Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 27 del 31/7/2001
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TESTO AGGIORNATO AL 1° AGOSTO 2001


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(Discussione - Doc. LVII, n. 1/I).

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

NINO SOSPIRI, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Il Governo ritiene opportuno intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Sta bene.

ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, vorrei intervenire sull'ordine dei lavori. Avevo già chiesto di intervenire prima che parlasse il rappresentante del Governo, poiché vi è un fatto assolutamente nuovo che condiziona la nostra discussione. Infatti, questa mattina il Governo ha finalmente presentato i dati, che più volte avevamo chiesto e che la legge prescrive siano contenuti all'interno del DPEF, soprattutto i saldi. Credo che iniziare la discussione in aula, senza aver dato formalmente comunicazione all'Assemblea di questo avvenuto deposito da parte del Governo, infici la validità della discussione. Ho sollevato la questione stamattina nell'ufficio di presidenza, poiché questi dati sono stati trasmessi dall'ufficio legislativo del Ministero e mi è stata data assicurazione che si tratta sicuramente di dati che il ministro fa propri, ma visto come stanno andando avanti le cose - si cambiano i numeri ed ogni tanto si danno i numeri - chiedo che questo documento sia formalmente consegnato dal Governo all'Assemblea, in modo che la discussione possa cominciare con tutti i crismi della regolarità. In caso contrario, discuteremo di un DPEF dove, salvo la bravura del relatore - che tutti riconoscono -, alla fine manca un dato certo, che è quello del saldo.

PRESIDENTE. Onorevole Boccia, la sua osservazione è ragionevole. Dal momento che della questione si è trattato nell'ufficio di presidenza della Commissione bilancio, chiedo al presidente Giorgetti se voglia intervenire.

GIANCARLO GIORGETTI, Presidente della V Commissione. Signor Presidente, abbiamo parlato diffusamente della questione sia durante la settimana scorsa sia questa mattina, nel momento in cui è stata distribuita ai rappresentanti dei gruppi la tabella inviata dal Ministero dell'economia e delle finanze. Credo, tuttavia, che le osservazioni del collega Boccia siano fondate e che sia importante che questo dibattito sul DPEF inizi con l'intervento di un rappresentante del Ministero dell'economia delle finanze che possa confermare direttamente all'Assemblea il contenuto della nota che è stata trasmessa.
Pertanto, signor Presidente, le chiedo di fare in modo che sia presente il ministro o il viceministro o il sottosegretario per l'economia e le finanze, che possa confermare così all'Assemblea il contenuto di questa tabella.

PRESIDENTE. Sulla base della sua richiesta...

GERARDO BIANCO. Signor Presidente, bisogna sospendere.

PRESIDENTE. ...ed in attiva ricerca di un rappresentante del Governo che possa esporre esattamente il quadro delle cifre e dei numeri, mi vedo costretto a sospendere la seduta, fissando la ripresa alle 10,30. Non esageriamo con l'ampliamento dei tempi, poiché incombe il «generale agosto».

La seduta, sospesa alle 10,05, è ripresa alle 10,30.


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PRESIDENTE. Professor Baldassarri, immagino sia stato informato dell'esigenza che è stata poc'anzi rappresentata dall'onorevole Boccia e che l'onorevole Giorgetti, presidente della V Commissione, ha dichiarato di condividere.
Se desidera esprimere l'opinione del Governo al riguardo, ne ha facoltà.

MARIO BALDASSARRI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi perdoni se faccio perdere un po' di tempo a causa della mia inesperienza...

PRESIDENTE. Non si preoccupi, sottosegretario, è perdonato; quanto all'esperienza, l'acquisirà rapidamente.

MARIO BALDASSARRI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Credo che il quesito proposto fosse relativo al quadro programmatico di finanza pubblica.

PRESIDENTE. Sì, è esatto.

MARIO BALDASSARRI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Le elaborazioni approntate dalla Ragioneria generale dello Stato hanno consentito di predisporre i saldi della pubblica amministrazione per gli anni 2001-2006 e credo sia stata formalmente trasmessa alle Commissioni ed all'Assemblea la tabella che riporta i dati essenziali del conto della pubblica amministrazione e indica l'avanzo primario, le spese per interessi, l'indebitamento netto, le entrate fiscali, il saldo corrente, le entrate in conto capitale, le uscite in conto capitale, il saldo netto del bilancio dello Stato, il fabbisogno del settore statale ed il rapporto debito pubblico PIL per quanto riguarda il settore delle pubbliche amministrazioni.
Ovviamente, le proiezioni e le percentuali sul PIL fanno riferimento al quadro programmatico macroeconomico e quindi le indicazioni del prodotto interno lordo si riferiscono al quadro programmatico dell'andamento economico. Questa è una novità, nel senso che, quest'anno, l'andamento dell'economia descritto nel DPEF è sinergico rispetto agli interventi della politica economica e quindi al quadro della finanza pubblica, con interazione fra i due predetti settori dell'economia e della finanza pubblica.

PRESIDENTE. Rivendicata la paternità del documento e forniti i chiarimenti richiesti...

ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, poiché l'esposizione è stata condotta, giustamente, per indicazioni generali, e siccome negli ultimi tempi i numeri non sempre hanno coinciso nelle diverse versioni, la nostra preoccupazione è che anche gli indicatori formulati in Commissione dall'ufficio legislativo non siano coerenti con la volontà del Governo. Non avendo il viceministro rappresentato quali siano gli indicatori nei numeri, per poter avere certezze al riguardo avremmo bisogno che la tabella da lui utilizzata fosse distribuita, in modo tale da sapere con sicurezza quali siano i numeri del Ministero; questi, peraltro, in taluni indicatori, appaiono un po' diversi da quelli del DPEF e ciò a maggior ragione rende necessario che finalmente si disponga materialmente della tabella del Ministero dell'economia.

RENZO PATRIA. È la medesima tabella che ha già!

PRESIDENTE. Professor Baldassarri, è in grado di fornire questo documento?

GIANFRANCO BLASI. Dategli la tabella!

PRESIDENTE. Onorevole Boccia, tra poco il documento sarà a disposizione sua e dei colleghi, così sarà possibile intervenire anche su tali aspetti nel corso della discussione generale.


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Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, onorevole Liotta.

SILVIO LIOTTA, Relatore per la maggioranza. Onorevoli colleghi, il documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 362 del 1988, modificata dalla legge n. 208 del 1999, allo scopo essenziale di separare il momento della decisione programmatica in materia di bilancio e finanza pubblica dal momento dell'effettiva realizzazione degli interventi così prefigurati, con l'approvazione dei relativi provvedimenti legislativi.
In precedenza, i due momenti erano unificati nella sessione di bilancio e si incentravano essenzialmente nell'approvazione della legge finanziaria, che aveva finito per diventare un provvedimento pletorico e onnicomprensivo (la cosiddetta finanziaria omnibus), il cui esame dava luogo ad un iter parlamentare quanto mai complesso, disordinato ed a volte caotico. Per ovviare a questi inconvenienti, la decisione programmatica è stata dunque anticipata a metà anno, con la presentazione del documento di programmazione economico-finanziaria. Questo è costruito in modo da evidenziare innanzitutto quale sarebbe l'andamento delle grandezze economiche e finanziarie, per il periodo compreso nel bilancio pluriennale (da tre a cinque anni) assunto come periodo di riferimento, in assenza di interventi dei pubblici poteri (cioè mantenendo inalterata la situazione esistente al momento della sua presentazione); successivamente, il documento definisce invece quale dovrebbe essere l'andamento che si ritiene desiderabile per le predette grandezze economiche e finanziarie, individuando così obiettivi che i pubblici poteri si ripromettono di conseguire in relazione ad esse.
Lo scarto tra il livello che le grandezze considerate assumerebbero in assenza di interventi ed il livello che, invece, si considera per esse desiderabile, ci fornisce l'ampiezza della manovra correttiva, cioè la portata degli interventi che devono essere posti in essere per conseguire gli obiettivi stabiliti.
Gli interventi, anche settoriali, necessari per il conseguimento degli obiettivi fissati nel DPEF costituiscono oggetto dei provvedimenti collegati, che il Governo presenta al Parlamento entro il 15 novembre. Pertanto, il documento di programmazione economico-finanziaria deve contenere un elenco dei provvedimenti collegati, con i quali prenderà corpo nei singoli settori la manovra correttiva di finanza pubblica autunnale, con l'indicazione dei settori che saranno interessati dagli interventi e degli effetti finanziari di ciascuno dei collegati in relazione al conseguimento degli obiettivi.
Più in dettaglio, e con un livello di tecnicismo più alto, si può dire che, nell'ambito del ciclo annuale di bilancio, la presentazione da parte del Governo e l'esame da parte delle Camere del documento di programmazione economico-finanziaria risponde allo scopo fondamentale di inquadrare gli interventi legislativi in materia di bilancio e di finanza pubblica in una più generale decisione politico-programmatica.
Naturalmente, i dati contenuti nel documento di programmazione economico-finanziaria e le manovre ivi proposte scontano anche i risultati di bilancio relativi all'ultimo esercizio finanziario, contenuti nel disegno di legge di rendiconto, e con le previsioni assestate per l'anno ancora in corso, contenute nel disegno di legge di assestamento, da presentare entrambi alle Camere entro il 30 giugno.
Sono stati, dunque, separati il momento della decisione programmatica in materia di finanza pubblica dalla fase della effettiva realizzazione degli interventi con l'approvazione dei relativi provvedimenti legislativi. Alcuni sostengono l'opportunità di tornare all'unificazione di questi due momenti nell'ambito della sessione di bilancio, soprattutto in considerazione della necessità di coordinare l'impostazione programmatica della manovra con i vincoli comunitari posti dal patto di stabilità e crescita.
Il relatore ritiene invece positiva la circostanza che vi sia una specifica occasione in cui il Parlamento affronti, sul


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piano generale, il tema della politica economica dell'Italia nel contesto europeo e mondiale. Al riguardo, occorre in particolare tenere in considerazione il ruolo svolto dal DPEF nel contesto internazionale, costituendo il documento oggetto di attenta valutazione da parte delle istituzioni europee e mondiali.
Il DPEF si sviluppa nell'arco di un quinquennio, coprendo per intero la presente legislatura; quanto ai contenuti del documento, bisogna precisare che non sono stati indicati al momento gli effetti risultanti dall'attuazione dei provvedimenti programmati, come d'altra parte è già avvenuto nella passata legislatura. Ciò avverrà sicuramente con la nota di aggiornamento che il Governo si è riservato di presentare prima del deposito della finanziaria.
Onorevoli colleghi, iniziamo oggi l'esame del documento di programmazione economico-finanziaria che costituisce la base di partenza del processo di bilancio che poi si concreterà con la presentazione del disegno di legge di bilancio, della legge finanziaria e dei provvedimenti collegati.
In precedenza ho sottolineato l'importanza del documento, che tende a separare il momento della decisione programmatica dal momento dell'effettiva realizzazione degli interventi prefigurati, e tutto ciò avverrà con i disegni di legge collegati.
Veniamo ai punti fondamentali di questo DPEF.
In primo luogo, il DPEF, per la prima volta, copre l'arco di tutta la legislatura e - lo abbiamo sottolineato in Commissione anche nel corso delle repliche - si caratterizza, fondamentalmente, per la sua discontinuità rispetto al passato; discontinuità che fa riferimento a tre ragioni: di ordine politico, di ordine economico e istituzionali. Le ragioni politiche di questo DPEF, che copre l'arco di una intera legislatura, si collegano al principio dell'alternanza al Governo di due grandi aggregazioni politiche, reciprocamente competitive, che introduce, nell'ambito del Parlamento, il fattore fondamentale della cultura della stabilità. Le ragioni economiche fanno riferimento alla eliminazione dei fattori vincolo e dei fattori ostacolo sui quali erano stati impostati non solo i documenti di programmazione economico-finanziaria del passato ma anche la legge finanziaria e i disegni di legge collegati. Le ragioni istituzionali pongono come condizione prima della strategia dello sviluppo l'avvio di importanti riforme istituzionali ed economiche e introducono una politica legislativa nuova mirata a creare sviluppo nel rispetto della solidarietà.
Gli obiettivi e i vincoli che si presentano sono due e sono contestuali: garantire bassa inflazione insieme all'equilibrio della finanza pubblica e contestualmente muovere da un lento declino verso lo sviluppo garantendo un rapporto ottimale tra crescita economica e solidarietà sociale.
Ciò che riguarda il primo punto, cioè garantire bassa inflazione e l'equilibrio della finanza pubblica, deve essere valutato sulla base di due parametri, sui quali si è incentrato fondamentalmente (direi forse anche un po' eccessivamente) il dibattito di questi giorni in Commissione: quello dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione e quello del fabbisogno di cassa del settore pubblico. Sull'argomento la Commissione ha compiuto delle lunghe audizioni e il tema è stato esaminato sotto tutti gli aspetti. Non farò riferimento ai valori dell'extradeficit o del debordo, come alcuni li chiamano, perché ritengo che sul piano del patto di stabilità e crescita, nel momento in cui l'Italia abbia assunto un impegno in sede internazionale, tale impegno travalichi il rapporto tra opposizione e maggioranza e divenga un elemento fondamentale da rispettare anche se quella che prima era l'opposizione è, divenuta maggioranza, nel frattempo.
Per quanto riguarda il problema dei valori sottoscritti in sede Ecofin dal precedente Governo, l'attuale Governo si è assunto la responsabilità di mantenere fede a quei parametri. Le discussioni che ci sono state sull'indebitamento e sul fabbisogno di cassa ritengo possano continuare ma non debbano far dimenticare il


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valore complessivo della realtà italiana nella sua posizione in ambito europeo.
Conoscete le stime che sono state formulate (rinvio agli atti della Commissione per coloro che vogliano affrontare il tema): mi riferisco, citando i due dati limite, alle stime fornite dal Governo Amato (19 mila miliardi) e a quelle avanzate dalla Banca d'Italia (63 mila miliardi). Parlo di stime perché sapete che i dati finali sull'indebitamento netto vengono conosciuti, grazie alle rilevazioni compiute dall'ISTAT e dal confronto effettuato con i dati forniti da Eurostat, nel marzo di ogni anno: per il 2001 occorrerà quindi aspettare il marzo del 2002.
Qualunque possa essere l'indebitamento o l'extradeficit occorre comunque intervenire e proporre delle azioni correttive. Molti esponenti dell'opposizione hanno evidenziato in questo una certa incongruenza tra le posizioni del Governo e della maggioranza che, se da una parte parlano di un extradeficit per quanto riguarda l'indebitamento netto, dall'altro, a giudizio dell'opposizione, non hanno predisposto interventi correttivi immediati per sanare lo stesso.
Ebbene, proprio uno dei motivi di discontinuità tra questo DPEF ed i precedenti, nonché tra tutta la politica legislativa-economica che questo Governo vuole realizzare nei prossimi cinque anni e le politiche precedenti, è rappresentata anche dalla discontinuità degli interventi correttivi che si vanno a proporre.
Il Governo e la maggioranza avevano due possibilità di scelta: la prima consisteva nell'operare interventi correttivi utilizzando una metodologia di tipo tradizionale già impiegata nel passato, operando quindi sulla leva fiscale e ridisegnando la spesa sociale. Tali interventi avrebbero certamente rastrellato mezzi finanziari, ma avrebbero però depresso la crescita economica. La seconda alternativa si presentava del tutto opposta a questa: si trattava cioè di mettere al primo posto la crescita economica. Ciò viene fatto in due fasi: un momento iniziale relativo alla situazione contingente, che intende affrontare il problema rappresentato dalla necessità di rallentare la crescita del fabbisogno, onde evitare che lo stesso si trasformi poi in indebitamento, e che, contemporaneamente, mira a ridurre lo stesso indebitamento. Si tratta cioè di far sì che il dato del 1,9 per cento, accertato dalla Ragioneria generale dello Stato, da tendenziale diventi reale. Un primo segno in tal senso è stato dato dal taglio del 10 per cento che figura nell'assestamento per quanto riguarda l'acquisto di beni e servizi.
Nella fase di medio e lungo periodo, si intende invece rilanciare lo sviluppo, e quindi l'economia, attraverso cinque azioni strategiche tra di loro collegate in una interazione dinamica. Quali sono queste azioni strategiche? Innanzitutto, si tratta di depositare in Parlamento dieci provvedimenti, nove disegni di legge ed un decreto che attua la direttiva europea in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, e di presentare i testi normativi (afferenti i settori del lavoro, degli investimenti, del mercato dei capitali, delle semplificazioni) che costituiscono il cosiddetto pacchetto dei 100 giorni; al tempo stesso, si intende determinare una sorta di autolimitazione al Governo per il contenuto della legge finanziaria, affinché la stessa sia limitata esclusivamente a contenere il valore dei saldi, l'eventuale regolazione delle aliquote fiscali, le tabelle, con particolare riguardo alla tabella C. Di seguito, si tratta di indicare l'elenco dei provvedimenti collegati che trasformeranno in norme di legge il programma del Governo.
Già in sede di discussione in Commissione, molti intervenuti - alcuni esponenti dell'opposizione, che hanno sottolineato il valore di alcune tematiche, ma in modo particolare i componenti della maggioranza - hanno sottolineato al Governo l'esigenza che in finanziaria possano essere inseriti alcuni temi oggetto dei provvedimenti collegati: si è cioè chiesto che gli interventi riferiti ad alcuni settori specificamente connessi allo sviluppo - interventi che oggi, con le modificazioni apportate alla legislazione di contabilità quadro, possono essere inseriti in finanziaria


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- siano appunto anticipati dal Governo nella stessa finanziaria. Mi riferisco innanzitutto al tema prioritario dello sviluppo del Mezzogiorno e delle aree depresse, al tema delle infrastrutture e a quello degli interventi per lo sviluppo finalizzati all'ambiente.
Signor Presidente, tutto ciò ha comportato un progetto che copre l'intera legislatura. Il Governo si impegna (noi lo impegneremo con una risoluzione) a superare l'eredità tendenziale ricevuta, che indica un andamento modesto della crescita economica, al fine di creare le basi per uno sviluppo strutturale che porti a tassi di crescita costantemente superiori al 3 per cento. Ciò comporta ovviamente che, per quanto riguarda l'impegno prioritario nel Mezzogiorno e nelle aree depresse, al fine di garantire un tasso di sviluppo dell'intero paese costantemente superiore al 3 per cento, debba essere cifrato per il Mezzogiorno e per le aree depresse un tasso di crescita superiore al 4-5 per cento.
È certamente un grande programma, un programma ambizioso che non disconosce ciò che è stato fatto in passato per il risanamento dei conti pubblici dell'Italia. Lo ha detto, a conclusione delle sue audizioni, il ministro dell'economia e delle finanze e lo ha ribadito anche il viceministro dell'economia e delle finanze alla chiusura del dibattito in Commissione bilancio, tendendo, però, a sottolineare ciò che è avvenuto negli ultimi due anni: fino al 1998 certamente il risanamento è stato encomiabile, ma dal 1998 in poi è iniziato un lento declino dell'economia italiana che - se non vi sarà posto rimedio - ci potrebbe portare fuori mercato con l'assoluta scomparsa della nostra competitività dai mercati europei e da quello mondiale. Quindi, non vi è un disconoscimento di ciò che è stato compiuto, ma una valutazione realistica secondo la quale il traguardo che ci prefissiamo è così ambizioso che occorrono misure ed atteggiamenti completamente diversi.
Signor Presidente, riteniamo di aver predisposto tutto ciò con il DPEF che il Governo ha presentato.
Per concludere, signor Presidente, esprimo un giudizio ampiamente favorevole sul documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2002-2006 presentato dal Governo Berlusconi, annunciando che i gruppi di maggioranza presenteranno, al termine della discussione generale dell'Assemblea, una risoluzione che, nel far proprio il documento e nel tener conto dei temi emersi dal dibattito in Commissione bilancio e in Assemblea, nonché del contenuto dei pareri resi dalle altre Commissioni permanenti, serva da quadro di riferimento complessivo per trasformare gli obiettivi in esso indicati in quei risultati positivi che consentano al nostro paese di ricreare (molti non ci vogliano credere, ma noi ci crediamo e ne siamo convinti) in prospettiva un nuovo e grande miracolo italiano (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Barbieri.

ROBERTO BARBIERI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, le forze dell'Ulivo hanno insieme deciso di presentare una relazione di minoranza sul documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2002-2006. Si tratta di una scelta di grande valore politico che vuole parlare al paese e che ribadisce - anche in questa circostanza che ci vede all'opposizione - la presenza, al nostro interno, di una cultura di governo, della capacità di valutare le azioni di questo Governo e di avanzare proposte concrete.
La relazione di minoranza è depositata e, per averne una visione completa, rimando alla lettura della stessa; in questa sede, quindi, mi limiterò ad illustrarne alcuni punti chiave, nonché quelli di una risoluzione che le stesse forze dell'Ulivo hanno già depositato.
Visto che vi è una novità, mi corre l'obbligo - come si fa nei normali dibattiti - di svolgere una prima, piccola valutazione in merito ad essa. Sono state consegnate


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le tabelle e faccio rilevare che, all'interno delle stesse, mancano due indicatori, a nostro avviso importanti, che erano presenti negli scorsi DPEF: i flussi verso il Mezzogiorno e la tabella di spesa degli enti locali e delle regioni che - come è chiaro - costituiscono variabili importanti, l'una per la valutazione delle potenzialità di crescita di un'area come il Mezzogiorno e l'altra per avere un quadro completo delle cifre della finanza pubblica.
Detto ciò, anche guardando i numeri che vengono qui mostrati, ho l'obbligo di iniziare da una valutazione della cifra su cui in questi giorni ed in queste ultime settimane si è svolta la discussione: il rapporto tra indebitamento netto e prodotto interno lordo. Riteniamo i dati presentati dalla Ragioneria (finché le leggi di questo paese obbligheranno il Governo a servirsene) consistenti ed affidabili. Vedendo che il rapporto tra indebitamento netto e prodotto interno lordo è dello 0,84 per cento, ritengo di poter dire che, per tutte queste settimane, abbiamo discusso inutilmente. La discussione ha semplicemente allarmato le organizzazioni internazionali, con il rischio di diffondere un clima di sfiducia negli operatori economici e finanziari nel paese, ed ha alterato - speriamo di poco - il rapporto di credibilità che, con grande difficoltà, si era costruito in questi anni tra il nostro paese e l'intero sistema economico e politico internazionale.
Da questo dato, infatti, deduco che il «buco» non ci sia. Vi possono essere, allo stato attuale, lievi scostamenti rispetto a ciò che era stato previsto in due sedi diverse (nel DPEF era stato previsto lo 0,8; nella trimestrale di cassa del marzo 2001 del Governo Amato vi era una lieve correzione verso l'alto che portava all'1 per cento), ma il buco di bilancio non c'è. Lo scostamento, cioè, è recuperabile attraverso normali azioni di politica economica tutte interne ai conti dello Stato e, quindi, senza manovra e senza provvedimenti che riguarderanno quest'aula o, eventualmente, il Senato.
Il Governo facendo il proprio dovere, peraltro seguendo le chiare indicazioni operative presenti nella legge finanziaria 2001, può raggiungere gli obiettivi che ci consentano di rispettare il patto di stabilità. Questa, a nostro avviso, è una buona notizia. Invitiamo, con grande franchezza e rispetto, il Governo, da adesso in poi, a mantenere una linea di serietà nelle sue comunicazioni. Comunichi ciò che è reale, non tenga due linee di comunicazione: una indipendente dai dati ed una che riguarda i dati reali.
Detto questo, ci corre l'obbligo di ricordare molto brevemente la situazione in cui il paese si trova oggi dopo cinque anni di Governo del centrosinistra. Riteniamo che il paese sia cresciuto, non quanto serviva, ma adeguatamente: è stata fatta una straordinaria operazione di risanamento dei conti pubblici. Si possono ricordare in questa sede alcuni dati significativi che incorporano i movimenti di altre variabili della finanza pubblica. Mi riferisco alla riduzione nel 2000 al 110 per cento del rapporto fra debito pubblico inteso come stock e prodotto interno lordo. Si possono ricordare qui le condizioni enormemente favorevoli agli investimenti (come mai ci sono state in questo paese) dal punto di vista dei tassi d'interesse a breve, medio e lungo termine. Ricordiamo che adesso siamo intorno al 4,64 per cento rispetto ad oltre il 9 per cento che avevamo cinque anni fa. Tali condizioni sono, peraltro, confermate dagli andamenti del tasso di crescita degli investimenti che - ma lo verificheremo nelle sedi opportune - ci fanno dubitare dell'efficacia di una legge che riteniamo esclusivamente congiunturale e non ben strutturata come la Tremonti-bis, presente nel provvedimento dei cento giorni.
Ricordiamo che abbiamo ricostruito anche un rapporto sano e credibile con i cittadini dal punto di vista fiscale. Abbiamo ridotto, risanando, la pressione fiscale, che è passata dal 44,5 per cento del 1997 al 42,4 per cento del 2000: non è cosa da poco pensando che, allo stesso tempo, abbiamo anche risanato i conti del paese. Oltre alla nuova credibilità nel rapporto


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con i cittadini, vi sono state la diminuzione del contenzioso, la lotta all'evasione ed all'elusione, la semplificazione e la razionalizzazione dei tributi ed il rafforzamento delle garanzie per i contribuenti.
Anche per il Mezzogiorno si sono create condizioni di convenienza agli investimenti. Certo, è l'inizio di un processo, ma anche gli ultimi dati forniti da istituzioni primarie e importanti come l'Unioncamere dimostrano che vi è una vitalità forte del sistema delle imprese nel Mezzogiorno. Probabilmente, alcune delle strumentazioni da noi messe in campo, come il credito di imposta per le imprese, possono aver dato qualche risultato.
Quindi, si tratta del quadro di un paese che ha ancora difficoltà strutturali da risolvere, ma in crescita, che stava migliorando e che questo Governo ha l'obbligo di continuare a far crescere dopo il lavoro che è stato realizzato. A questo punto, bisogna valutare il documento e preferisco - rimandando la lettura completa della relazione - concentrarmi maggiormente sulla parte relativa alle nostre proposte concrete; tuttavia, una valutazione minima, diciamo a volo d'uccello, sul documento al nostro esame, va fatta.
Secondo noi si tratta di un documento superficiale, poco convincente, con un ipotetico quadro previsionale di massima, senza indicazioni precise sulle modalità di realizzazione degli obiettivi, con palesi contraddizioni, ed anche incoerenze, sui numeri complessivi.
Per esempio, non chiarisce quale sia la strumentazione complessiva adeguata che possa consentire di raggiungere tassi di crescita superiori al 3 per cento; non chiarisce - e questo ci interessa anche da un punto di vista politico, data la nostra visione del mondo - come verranno tagliati nel quinquennio 125 mila miliardi di spesa corrente; vi sono reticenze e ambiguità: si deduce qualcosa di confuso o dovremmo fare un'analisi dietrologica per comprendere dove verranno apportati i tagli per 125 mila miliardi.
Non chiarisce - nel momento in cui fa venir meno un meccanismo di convenienza a investire nel Mezzogiorno, con la Tremonti-bis e con la non cumulabilità con il credito di imposta - come farà il Mezzogiorno a crescere più della media nazionale in termini di prodotto lordo con minore convenienza rispetto al quadro precedente.
Inoltre, vi sono anche alcune incongruenze di dettaglio - mi consenta il termine, ma lo dico sempre con rispetto - un po' ridicole: per esempio, nel campo della giustizia sono state avanzate proposte che rispecchiano provvedimenti adottati dal Governo precedente. Invito l'esecutivo a controllarle, vi sono dei dati precisi: proponete il giudice unico e soluzioni già approvate e contenute in leggi di questo paese.
Quindi, un'informazione un po' più dettagliata ed analitica sul quadro normativo di questo paese, oltre che su quello numerico, non sarebbe male.
Secondo noi si tratta, quindi, di un documento insufficiente. Sappiamo che quello dell'opposizione è un ruolo serio, duro, che si porta avanti in maniera rigorosa e, di conseguenza, si avanzano delle proposte precise; naturalmente, sappiamo anche che è l'esecutivo che deve governare e, quindi, noi non presentiamo un contro-DPEF, ma identifichiamo alcuni punti qualificanti su cui sfidarlo, anche attraverso un'iniziativa politica. Tuttavia, secondo il nostro stile e la nostra cultura si tratta di tutti punti politici qualificanti che hanno consistenza tecnica, cioè sono all'interno di un rigoroso controllo dei conti e del rispetto del patto di stabilità concordato con l'Unione europea.
Il primo punto che mettiamo in evidenza è l'esigenza di un paese più competitivo. Noi siamo interessati alla crescita della competitività del sistema delle imprese; peraltro, come dicevo prima, credo che abbiamo adottato molte disposizioni - non tutto il necessario - ma in cinque anni non si può fare tutto. Sussiste un problema strutturale che neanche noi abbiamo risolto nei cinque anni di Governo di centrosinistra: mi riferisco al rapporto fra innovazione e investimenti del sistema delle imprese italiane.


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Se confrontiamo i dati nazionali con quelli degli altri paesi a capitalismo avanzato, vediamo che le spese di ricerca e sviluppo e il contenuto di innovazione di processo, soprattutto nei processi produttivi, sono molto scarsi.
In questo senso, avanziamo una proposta precisa, alla quale vorremmo poi, nella replica da parte del Governo, una risposta altrettanto precisa: nella legge finanziaria dello scorso anno, la legge n. 388 del 2000, con l'articolo 108 si è istituito un fondo che poteva rendere potenzialmente estremamente competitiva la posizione dell'Italia nel campo dell'incentivazione della ricerca, perché prevedeva un credito di imposta per investimenti in ricerca e sviluppo nelle imprese industriali.
Noi chiediamo di semplificare ulteriormente le procedure; sappiamo che in questo paese - e qui concordiamo su alcuni passaggi del DPEF, con onestà intellettuale - bisogna ancora lavorare sulla semplificazione burocratica delle procedure e chiediamo di eliminare il plafond che oggi viene previsto in 180 miliardi.
Quindi, per un paese più competitivo è necessario prevedere per le imprese maggiore competitività nel senso dell'innovazione.
Per un paese più vivibile, l'ambiente. A tale proposito, chiediamo alcune cose chiare, ma semplici. In particolare, nel provvedimento cosiddetto dei cento giorni chiediamo di sopprimere tutte le disposizioni che prevedono sanatorie mascherate di illeciti ambientali edilizi, sia amministrativi sia penali, inaccettabili per un paese civile. Ci esprimeremo sul provvedimento relativo al sommerso, siamo d'accordo su una strumentazione eccezionale per risolvere un gravissimo problema come quello del sommerso, ma, a parte altri punti di grande debolezza del provvedimento che riguardano, ad esempio, lo schema previdenziale dei lavoratori che emergeranno, ci preoccupa anche il risultato ambientale di un provvedimento di questo genere. Chiediamo al Governo anche il rispetto della normativa comunitaria in materia di appalti, di lavori pubblici e di impatto ambientale nonché di rifiuti e di tutela delle acque, norme che, al contrario, vengono completamente disattese - a noi sembra - da questo provvedimento. Chiediamo, inoltre, di prevedere che la scelta delle infrastrutture da realizzare avvenga attraverso gli enti e gli strumenti della programmazione esistente, attraverso quello strumento importantissimo, approvato dal Parlamento, che è il piano generale dei trasporti.
Per un paese più unito: la questione del Mezzogiorno. Si tratta di una questione seria in merito alla quale avanziamo una richiesta molto semplice e siamo convinti che il Governo ci stia pensando e stia lavorando in tal senso. Noi, come Ulivo, abbiamo rilevato subito come non possano venir meno gli strumenti volti a rendere conveniente investire nel Mezzogiorno. Quindi, chiediamo, al di là del ricorso ad altri strumenti sui quali ci esprimeremo in sede di esame del provvedimento dei cento giorni, di prevedere immediatamente, in senso programmatico, la cumulabilità, peraltro non in contrasto con alcuna normativa europea, della Tremonti-bis - o meglio di quello che noi ci auguriamo uscirà da quest'aula della Tremonti-bis, vale a dire una Tremonti-bis molto cambiata - con il credito di imposta per le imprese nel Mezzogiorno, al fine di mantenere quella convenienza ad investire in questa zona del nostro paese, ma anche quella convenienza del Governo ad essere credibile quando prevede un tasso di crescita nel Mezzogiorno superiore al 4 per cento.
Per un paese più giusto: noi non dimentichiamo il problema vero di questo paese. Esistono una serie di soggetti che io definisco, col massimo rispetto, soggetti deboli. Man mano che si ricorre a meccanismi oggettivi, come ad esempio, la flessibilità del mercato del lavoro, lo Stato sociale non ha proceduto con sufficiente velocità nell'adeguamento di taluni strumenti al fine di renderli congrui alle esigenze di un mercato del lavoro sempre più flessibile; ricordo, ad esempio, che vi sono pensionati che vivono in condizioni ai limiti della sussistenza. Rispetto alle vaghe


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promesse, presenti in questo DPEF, di un aumento delle pensioni minime per categorie particolari (per gli ultrasettantacinquenni ed altri), noi, convinti che le politiche sociali abbiano strumenti adeguati, convinti della universalità dei servizi pubblici, proponiamo di utilizzare uno strumento moderno: il credito di imposta rimborsabile. Ciò significa, in termini molto semplici - anche se all'interno della relazione vi è una spiegazione tecnicamente dettagliata -, prevedere un rimborso, per i redditi non capienti - vale a dire quelli che comunque non pagherebbero l'imposta anche a seguito delle proposte fatte dal Governo e dall'Ulivo -, che rappresenterebbe una erogazione mirata nei confronti di chi ha situazioni reddituali e patrimoniali ai limiti della sussistenza; quindi, ricomprendendovi i pensionati al minimo, chi lavora tre o quattro mesi l'anno ed ha la flessibilità a condizione di precarietà, famiglie che hanno al loro interno soggetti deboli da assistere come handicappati o anziani. Dunque, questo strumento automatico, non negoziabile, non burocratico, partirebbe da un'analisi di giustizia e di equità. Siamo, comunque, convinti che la strumentazione nelle politiche sociali sia un elemento importante, per la cui universalità noi continueremo a batterci.
Da tali considerazioni si deduce il nostro giudizio fortemente negativo su questo documento di programmazione economica e finanziaria, che ci ha indotto a presentare una risoluzione di minoranza rigorosa e dettagliata, nella quale le analisi, ma soprattutto le proposte che ho qui illustrato, sono presenti e che mi auguro il Governo possa valutare con attenzione, in quanto sono tutte nello spirito positivo e nel senso di responsabilità che ha sempre caratterizzato la nostra cultura politica.
Le nostre proposte sono dirette ad un paese in crescita, un paese che noi abbiamo contribuito a far crescere e che vogliamo continui a farlo; tali proposte vengono dai banchi dell'opposizione dai quali vigileremo con grande rigore ed intelligenza (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di Sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Iannuzzi, al quale ricordo che ha a disposizione tre minuti. Ne ha facoltà.

TINO IANNUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le previsioni inserite nel documento di programmazione economico-finanziaria nel settore nevralgico dei lavori pubblici sono deludenti, insoddisfacenti e superficiali: il DPEF prevede che, per i cinque anni della legislatura, siano complessivamente destinati ad investimenti in infrastrutture 100 mila miliardi, di cui 50 mila a carico del bilancio dello Stato ed i restanti 50 mila acquisiti con capitali privati attraverso il meccanismo del project financing, la cosiddetta finanza derivata.
Ritengo si debba sottolineare la totale esiguità di questa dotazione finanziaria complessiva che risulta inferiore ai fondi assicurati, di anno in anno, dai governi dell'Ulivo alla politica delle opere pubbliche; questo dato va portato con forza all'attenzione del paese dopo che, per mesi, il Polo delle libertà aveva lanciato proclami trionfalistici per manifestare la sua volontà, una volta vinte le elezioni politiche, di realizzare uno straordinario ed imponente piano di investimenti, al fine di modernizzare ed innovare in profondità il sistema infrastrutturale del paese.
Appare assai poco realistica e credibile la possibilità di acquisire ben 50 mila miliardi attraverso l'istituto del project financing, introdotto nella nostra legislazione sui lavori pubblici nel novembre 1998 con la cosiddetta Merloni-ter; infatti, in questi tre anni l'applicazione di tale meccanismo ha sortito risultati assai modesti, essendo stato impiegato soltanto per opere di valore limitato, per complessivi 176 miliardi. È, quindi, improbabile che il reperimento quasi automatico, così come descritto nel DPEF, di un volume così imponente di risorse finanziarie possa effettivamente realizzarsi, senza neppure indicare


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la necessità di un'incisiva riforma legislativa con la creazione del contesto amministrativo e di tutte le condizioni necessarie per il decollo di questo procedimento.
L'esecutivo si è inoltre limitato ad indicare, in linea del tutto generica, gli investimenti da realizzare nei tre grandi sistemi infrastrutturali: idrico, idrogeologico e dei trasporti. Occorre che il Governo definisca tempestivamente le priorità di intervento per addivenire, attraverso un approfondito e preventivo confronto con il Parlamento, a scelte equilibrate ed adeguate.
Il gruppo della Margherita intende battersi con determinazione per il rispetto dell'obiettivo indicato nel DPEF di destinare il 45 per cento degli investimenti nel Mezzogiorno che ha bisogno di alcune infrastrutture vitali per lo sviluppo non solo del sud ma dell'intero paese. L'agenda delle priorità del Governo deve ricomprendere opere fondamentali tra cui il completamento della terza corsia sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria, la realizzazione della bretella di collegamento tra le autostrade Roma-Caserta e Salerno-Reggio Calabria, l'ammodernamento ed il potenziamento della rete ferroviaria del Meridione, da Napoli a Reggio Calabria, già esclusa dai progetti dell'alta velocità.

PRESIDENTE. Prego tutti i colleghi di rispettare rigorosamente i tempi, perché la lista degli iscritti a parlare è più lunga di quella di don Giovanni in Spagna. Il primo intervento è durato esattamente tre minuti.
È iscritto a parlare l'onorevole Blasi, al quale ricordo che ha a disposizione dieci minuti. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO BLASI. Signor Presidente, colleghi, prendo la parola per la prima volta in quest'aula, manifestando un sentimento di piena responsabilità per la fiducia accordatami da Forza Italia con un intervento nel corso di un dibattito così alto come quello sul DPEF del paese; permettetemi di ringraziare il mio gruppo, il presidente Vito, i colleghi azzurri della Commissione bilancio, ben coordinati dall'onorevole Casero.
Il ministro Tremonti ha sostenuto, nell'introdurre il DPEF, che l'alternativa innanzi alla quale ci troviamo è fra declino e sviluppo: il declino è evitabile, lo sviluppo è alla nostra portata. Colleghi, in queste poche e dirette parole c'è soprattutto la diversità culturale, c'è tutta la discontinuità possibile fra la politica economica del centrosinistra e quella della Casa delle libertà, discontinuità riconducibile al nostro programma, alle linee che guidano il pensiero liberale ma anche ad una temperata azione di democrazia sociale verificabile, per chi come me ha questa formazione, nella dottrina sociale della Chiesa.
Proprietà privata portata a valore e coniugata al principio di sussidiarietà orizzontale, capace di azioni solidali che penetrino i corpi sociali. Mi è parso ineccepibile il riferimento del documento alla valorizzazione del cosiddetto terzo settore ed al cambiamento dello Stato sociale in welfare to work. Questo orientamento programmatico delle nostre posizioni socio-economiche sfugge ancora alle valutazioni della sinistra italiana, pur essendo questo uno dei motivi della sua stessa sconfitta elettorale. Ogni intervento di promozione dell'intrapresa economica, di sostegno alle imprese, anche sociali, di produzione di maggiore ricchezza, è per noi auspicabile e, dunque, irrinunciabile. Incentivare gli investimenti significa promuovere nuove opportunità, determinare la moltiplicazione dei fattori indotti, capaci di allargare ed estendere i cicli dello sviluppo socio-economico.
La Tremonti-bis e gli altri provvedimenti presenti nel DPEF rappresentano in maniera pregnante questa prospettiva, fin già dalla sua dimensione culturale. Per valutare il DPEF del Governo Berlusconi occorre dunque porlo in una prospettiva di medio periodo. Infatti, questo documento non è la legge finanziaria, ma disegna il quadro in cui si pone tutta la politica economica della legislatura. La situazione attuale, nell'intreccio fra vincoli severi e grandi opportunità, costituisce


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una sorta di limbo, appunto, tra declino e sviluppo e impone di rilanciare le trasformazioni seguendo la linea tracciata dagli stati europei più virtuosi.
Il paese vuole crescere, deve crescere. Peraltro, siamo convinti che una elevata crescita sia assolutamente compatibile con il risanamento del bilancio e noi, nei prossimi mesi, lavoreremo in Commissione perché le voci di spesa aumentino sì, in termini reali, ma in modo inferiore al dato di crescita del PIL. In questo senso, ha perfettamente ragione il presidente Giancarlo Giorgetti - che ringrazio, a nome di Forza Italia, per la sua ottima regia della Commissione bilancio - quando sostiene che gli stipendi e i salari possono anche crescere dell'1 per cento: l'importante è che il PIL cresca del 3 per cento, altrimenti diventa necessario operare dei tagli in termini reali.
Sono questi i concetti da sempre espressi, non solo in queste settimane, dal governatore della Banca d'Italia. Facendo salire la pressione fiscale, si è assottigliata la disponibilità reale delle famiglie, dei lavoratori e delle imprese. Fazio ci ha ricordato che negli anni novanta, nel corso dell'intero decennio, si è registrata una riduzione del potere d'acquisto degli italiani in maniera mai verificatasi nella storia recente della Repubblica. Il Governo Berlusconi sostiene che il risanamento si ottiene con lo sviluppo. Il governatore Fazio lo ha detto - mi sono documentato - in tutte le audizioni e lo ha ripetuto anche questa volta. È ben strano che qualcuno a sinistra abbia finto di cadere dalle nuvole.
Tuttavia, colleghi, il governatore della Banca d'Italia ha anche sostenuto che la crescita dello scorso anno non è stata del 2,9 per cento: vi è stata una palese revisione dei criteri di stima. A questo proposito, credo che il Parlamento debba essere rispettato anche nella sua funzione di controllo. Diciamoci la verità: è inammissibile che vi sia stato un sistema contabile arbitrario, fatto costruire più sui bisogni politici che sulla verità. Il centrodestra è impegnato a mettere a punto strumenti contabili certi, capaci di offrire moderne opportunità di rilevazioni periodiche in lassi temporali brevi.
In ogni caso, è un dato che il fabbisogno stimato dalla Ragioneria generale dello Stato per il 1999 è stato inferiore di circa 9 mila miliardi rispetto a quello calcolato dalla Banca d'Italia. Ricordiamo ai distratti che la valutazione del fabbisogno del settore pubblico è effettuata dalla Ragioneria generale dello Stato dal lato della formazione, mentre quello rilevato dalla Banca d'Italia è dal lato della copertura. Nel DPEF la stima per il 2001 del fabbisogno tendenziale del settore pubblico è stata portata a 93 mila miliardi, dai 74.800 indicati nella relazione trimestrale di cassa dello scorso aprile. Alle luce di questa indicazione, la previsione dell'indebitamento netto tendenziale è salita dall'1 all'1,9 per cento del PIL. Che dire? Il buco c'è: non vi è alcun dubbio.
Signor Presidente, colleghi, continuando ad esaminare il DPEF non si può sottacere la necessità - ben argomentata nel documento - di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, soprattutto se interpretata globalmente, in tutti i settori, compreso quello dei servizi. Le forme di contratto a scadenza prefissata soddisferanno sia l'offerta che la domanda di lavoro. Il DPEF contiene anche le altre misure del cosiddetto pacchetto dei cento giorni: la riforma del diritto societario, gli investimenti in opere pubbliche, la semplificazione degli adempimenti burocratici, contabili e fiscali, la legge obiettivo, l'emersione del sommerso, l'aumento progressivo delle pensioni minime oltre la riforma concertata del sistema previdenziale e, in ultimo, l'alleggerimento della morsa fiscale. A questo proposito, vorrei citare il professor Rudy Dornbusch del Massachusetts Institute of Technology, il MIT. Qualche giorno fa, intervistato dal Corriere della Sera, ha sostenuto: « In Italia le imposte hanno trasformato il vostro cammino in una corsa ad ostacoli; l'Italia deve avere il coraggio di passare dall'oppressione fiscale agli incentivi agli investimenti che, tra l'altro, portano occupazione». Questa è la strada, sono questi


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i provvedimenti da assumere per determinare il nuovo corso della politica economica del nostro paese.
Entro questo contesto si innesca la ripresa dello stesso Mezzogiorno d'Italia, ove si rende necessario accelerare gli investimenti e le infrastrutture materiali ed immateriali. È indispensabile che il corredo finanziario dei fondi strutturali dell'Unione europea venga pienamente, concretamente e - aggiungerei - efficacemente utilizzato.
Resta però sul tappeto il problema dell'omogeneità delle genesi socio-economiche. Resta un gap storico fra nord e sud e quello, non meno importante - lo dico da italiano proveniente dalla piccola Basilicata - fra grandi e piccole regioni svantaggiate.
Lo slogan potrebbe essere quello di un federalismo equo che, a partire dal Mezzogiorno d'Italia, sia al servizio dello sviluppo e della crescita dell'intero paese. Lo sviluppo è in ogni caso la chiave di volta di questo eccellente documento. Sviluppo, crescita, ricchezza, equità fiscale, flessibilità, modernizzazione del welfare, valorizzazione del terzo settore, investimenti, infrastrutture, nuove opportunità di lavoro, lotta alla povertà, Mezzogiorno. Tutto questo si accompagna con la determinazione di una nuova classe dirigente che oggi guida il paese.
Il Presidente Berlusconi interpreta proprio questo sentimento degli italiani, delle famiglie, delle imprese. Si tratta, in ultima analisi, anche di una nuova socialità libera dagli angusti recinti delle liturgie polverose appartenenti al partitismo tradizionale, lontana anni luce dal centralismo sia come cultura sia come metodo.
È il paese che abbiamo pensato in questi anni e che oggi ci apprestiamo a realizzare. Un'Italia dove protagonisti diventano la persona, le famiglie, le associazioni, il volontariato, le regioni, il sistema delle autonomie locali e funzionali, le imprese.
Sul piano «valoriale» il collante è proprio il già citato principio di sussidiarietà; quest'ultimo fa breccia proprio nella parte costruttiva che appartiene all'uomo. L'applicazione del principio di sussidiarietà può essere accolta come la metodologia di riproposizione di quel personalismo comunitario attraverso il quale dare nuovo fiato non solo all'organizzazione sociale ed economica, come nel caso di questo DPEF, ma anche alla politica.
Siamo qui proprio grazie a questi presupposti culturali, più che mai convinti a lanciare la sfida del cambiamento e dello sviluppo.
È vero che la crescita al 3 per cento non dipenderà solo da noi, perché molti sono anche i fattori esterni. L'economia è ormai un villaggio multivaloriale, omnicomprensivo; non sappiamo se il sistema americano farà ancora da traino, come dicono gli esperti, a partire dal secondo trimestre del 2002. Se il Giappone recupererà competitività internazionale, quale impatto avrà l'euro sui mercati? Una cosa è certa: con questo DPEF il nostro Governo vuole offrire nuove opportunità all'Italia. Con i precedenti governi gli italiani erano costretti a dare senza ricevere.

PRESIDENTE. Onorevole Blasi, si avvii a concludere.

GIANFRANCO BLASI. L'esecutivo era passivo ed il sistema economico doveva arrangiarsi da solo contando essenzialmente sulla capacità creativa del nostro straordinario popolo e, magari, sul deprezzamento della moneta europea per tirare fuori qualche soldo dalle esportazioni.
Noi crediamo nello sviluppo senza reticenze e lo dimostreremo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e del CCD-CDU Biancofiore - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Rossi. Ne ha facoltà.

NICOLA ROSSI. Signor Presidente, non vorrei tornare sui temi già discussi in Commissione, che sono stati in larga misura ripresi questa mattina nel corso del dibattito. Non vorrei tornare sulla conformità del DPEF alla legge; abbiamo visto che i problemi, da questo punto di vista,


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non sono pochi e, ammesso che siano stati risolti, lo sono stati all'ultimo secondo.
Non vorrei tornare sulla credibilità di un quadro tendenziale centrato su un buco che non c'è (ormai ne abbiamo consapevolezza); non vorrei tornare sulla attendibilità di un quadro programmatico centrato su una crescita dell'economia meridionale nei confronti della quale, peraltro, l'unica cosa prevista nel DPEF è la penalizzazione degli investimenti. Non vorrei, inoltre, tornare sulla natura complessiva del documento di programmazione economico-finanziaria nel quale i numeri sono ambiziosi ma le idee, purtroppo, sono modeste e rinunciatarie.
Vorrei, invece, concentrarmi su un tema diverso che chiamerei il tema dei due documenti. Accanto, cioè, al documento, in larga misura, di propaganda politica oggi in discussione vi è un secondo documento (e ciò, devo dire la verità, non è una cosa granché bella) che emerge da quanto esponenti di primo piano del Governo ci hanno raccontato nelle audizioni in Commissione (tutto ciò lo troverete tranquillamente nei resoconti stenografici, non si tratta di mie valutazioni).
In primo luogo, per quanto riguarda le scelte di fondo della politica economica, è stato affermato con chiarezza in Commissione che non rientra fra gli obiettivi del Governo l'incremento strutturale del potenziale produttivo del paese.
Il Governo si propone solo - e lo sottolineo - di usare al meglio le risorse esistenti e ciò è una cosa che anche il capo della missione del Fondo monetario internazionale ci ha ricordato ieri, quando ha sottolineato che quei tassi di crescita sono quanto più il paese può fare con le risorse che ha a disposizione. Pertanto, stiamo «buttando nel cestino» mesi di discussione sui limiti strutturali dell'economia italiana, sulla competitività del paese, con buona pace di quanto compare nelle prime pagine del documento di programmazione. Eppure, quei problemi esistono, tant'è che abbiamo cercato, parzialmente, con tutte le difficoltà del caso, di affrontarli nella scorsa legislatura.
Crediamo che i temi dell'innovazione, della ricerca, del trasferimento tecnologico, dell'investimento in capitale umano, siano ancora tutti lì e avrebbero meritato ben altra attenzione e capacità di Governo. La scelta del Governo è, da questo punto di vista, come ho già rilevato, modesta e rinunciataria.
Sinteticamente potremmo semplicemente dire che si tratta di una scelta conservatrice che si traduce - ammesso e non concesso che le cifre del documento di programmazione siano effettivamente realistiche, e qualche dubbio lo stesso Fondo monetario ce lo sta mettendo - in uno sviluppo trainato, in larga misura, dai consumi, per di più importati. Questo è il quadro macroeconomico che emerge dal documento di programmazione; il che significa: pochi investimenti, poco risparmio e una base produttiva sempre più povera.
Si tratta, peraltro, anche di una scelta contraddittoria. Ha affermato chiaramente il collega Barbieri che se si parla di utilizzo delle risorse esistenti, la mente corre in primo luogo al Mezzogiorno. Per il Mezzogiorno è previsto molto poco; l'unica cosa prevista nei provvedimenti dei cento giorni, come ho già affermato, è una esplicita penalizzazione degli investimenti.
Le scelte di fondo, dunque, non sono quelle espresse nel documento di programmazione; sono altre e forse sarebbe stato opportuno chiarirle, così come sono state chiarite in Commissione. Non lo sono nemmeno gli strumenti. Anche sugli strumenti vi è una divergenza abbastanza profonda tra ciò che nel documento si afferma e ciò che altrove abbiamo ascoltato.
Dove e come si interviene affinché quel quadro programmatico si realizzi?
Lo sintetizzo per comodità: se veramente si vuole tagliare la pressione fiscale - lo vedremo in seguito - bisogna, come affermato nel documento di programmazione, intervenire dal lato delle spese, riducendole consistentemente.
Ora capisco benissimo il ragionamento del Governo relativo al fatto che ciò che serve è l'impulso iniziale perché successivamente la crescita, da sola, può aiutare


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nell'operazione di contenimento delle spese. Dove avviene, però, il taglio iniziale? Riferendomi, anche in tale caso, a ciò che in Commissione è stato detto: 3-4 mila miliardi dagli acquisti di beni e servizi (mi auguro vivamente che siano oltre quelli che già derivano dalle misure adottate nella finanziaria dello scorso anno); 6-7 mila miliardi dal pubblico impiego, con un blocco del turnover che - mi permetto di dire - non farà altro che definire anagraficamente, in maniera sempre più invecchiata, la pubblica amministrazione italiana; 4-5 mila miliardi dai trasferimenti alle imprese (pubbliche beninteso, le imprese private rimangono lì dove sono); 5 mila miliardi dalla sanità; 2-5 mila miliardi, dalla previdenza.
Questo è il secondo documento di programmazione economico finanziaria, quello che non è scritto e che abbiamo avuto modo di ascoltare nelle Commissioni. Si tratta di un disegno di basso profilo, centrato in larga misura su ipotetiche riduzioni fiscali finanziate da tagli alla spesa sociale ed in cui è scarsissima l'attenzione ai problemi della qualità della crescita del paese.
Intendiamoci bene: si parla di ipotetiche riduzioni fiscali, dal momento che dalla lettura della tabella che ci è stata consegnata, almeno per il 2002, non v'è traccia alcuna di tali misure, e vorrei sapere dove sia finita la mia aliquota al 33 per cento; per quanto riguarda il 2003, vale poi lo stesso discorso. A partire dal 2004 si scorgono invece i primi segnali di tali riduzioni.
Consentitemi un po' di ironia: il ministro dell'economia, nelle ultime settimane, ci ha ricordato spesso il ciclo elettorale. Mai è stato descritto così bene come in questa tabella! Nel 2004 si terranno le elezioni europee: si pratica quindi una qualche riduzione sotto il profilo fiscale. Si procede poi in questo senso, dal momento che si vota anche nel 2005 e nel 2006.
E difficile sottrarsi all'impressione di aver già visto tutto questo. Vorrei rinviare tutti a quanto accadeva nella seconda metà degli anni '80: erano gli anni in cui si gonfiavano i tendenziali di spesa e su questi si costruivano fantasiosi scenari di finanza. Esattamente come oggi.
Erano gli anni in cui la finanza pubblica si serviva, per esempio nel settore dei farmaci, della fissazione dei prezzi e dei tetti di spesa, ponendo le basi per fenomeni diffusi di corruzione. Esattamente come oggi.
Erano gli anni in cui - e il professor Baldassarri lo sa bene, conoscendo i dati macroeconomici - i tassi di crescita vicini al 3 per cento poggiavano su una dinamica sostenuta dei consumi privati e delle importazioni e su una finanza pubblica spesso facile. Esattamente come oggi.
La continuità rispetto a quindici anni fa sembra essere il dato prevalente di questo documento di programmazione economico-finanziaria. Posto di fronte alla scelta fra sviluppo e declino, il Governo ha scelto molto semplicemente la retorica dello sviluppo e la pratica del declino. Allora come oggi, buon sangue non mente (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leo, al quale ricordo che ha quindici minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

MAURIZIO LEO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il documento di programmazione economico finanziaria è, come ha puntualmente rilevato l'onorevole Liotta, caratterizzato da una profonda innovazione sia sul versante dei contenuti sia su quello dell'impostazione. Per quanto attiene all'impostazione, come diceva l'onorevole Liotta, si viene a coprire l'intero arco della legislatura; per quanto concerne i contenuti, viene invece messo in risalto il rilancio dell'economia attraverso un ampliamento della domanda interna da realizzare su due versanti: quello del reddito disponibile per le famiglie, e, in secondo luogo, quello degli incentivi allo sviluppo delle imprese.
In questo contesto, la leva fiscale assume un particolare rilievo e va quindi considerata con molta attenzione. Essa si


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incentra sostanzialmente su due strumenti: il primo è di natura congiunturale; il secondo è di natura strutturale.
Sotto il profilo congiunturale, è stato ricordato che i capisaldi normativi sono costituiti dal cosiddetto provvedimento dei cento giorni, già approvato dal Senato. In quest'ultimo, viene in particolare segnalato il meccanismo di detassazione contenuto nella cosiddetta legge Tremonti - meglio nota come legge Tremonti-bis - e la disciplina dell'emersione del lavoro sommerso.
Con riferimento alla detassazione Tremonti, va detto che sicuramente il provvedimento costituirà un rilancio reale e significativo degli investimenti; cosa che non hanno prodotto né la DIT né la legge Visco.
Sappiamo infatti tutti che tali provvedimenti, che hanno interessato il quinquennio del centrosinistra, hanno prodotto scarsi risultati. Basti pensare alle difficoltà applicative della legge Visco. Essa non solo non era diretta a favorire gli investimenti, ma questi avrebbero dovuto essere favoriti attraverso la capitalizzazione. Occorreva sottrarre agli investimenti le cessioni, le dismissioni e gli ammortamenti dei beni strumentali; la capitalizzazione avrebbe dovuto essere ridotta dalla distribuzione del patrimonio.
Si tratta di una serie di farraginosità e di complessità che non hanno permesso in alcun modo lo sviluppo di questo strumento che, nelle intenzioni, era agevolativo. Si può dire altrettanto per la DIT, mirata a rilanciare l'economia, che, in buona sostanza, è stata costruita con meccanismi antielusivi che rendono la vita difficile a tutti (agli operatori, ai professionisti e all'amministrazione finanziaria).
Pertanto, la legge Tremonti sicuramente va nel segno dell'innovazione, del rilancio degli investimenti e dello sviluppo dell'economia. Mi permetto di segnalare un aspetto saliente sul quale si potrebbe intervenire. La legge Tremonti, come ricordavo, è un provvedimento concentrato sulla detassazione degli investimenti effettuati negli anni 2001 e 2002, sull'eccedenza rispetto alla media degli investimenti dell'ultimo quinquennio. Già il Governo si è dimostrato disponibile ad introdurre eventuali correttivi. Si potrebbe fare qualcosa di significativo pensando alla cosiddetta «Tremonti per il lavoro», che è una misura da adottare a favore delle imprese che non hanno bisogno di investimenti produttivi. Mi riferisco alle imprese di servizi, al comparto del lavoro autonomo e, in genere, a tutte le imprese che già hanno un consistente patrimonio di beni strumentali. Queste imprese potrebbero ottenere il vantaggio di assumere dipendenti - non necessariamente a tempo indeterminato, perché si possono utilizzare i vari strumenti di flessibilità oggi esistenti (contratti a tempo determinato, contratti di collaborazione coordinata e continuativa) - e di usufruire di una detassazione sul versante del reddito di impresa. Questa detassazione comporterebbe però una tassazione in misura corrispondente sui redditi corrisposti ai lavoratori e ai collaboratori. In questo modo, si assicurerebbe una sostanziale invarianza di gettito o, comunque, l'eventuale riduzione di gettito potrebbe essere adeguatamente compensata.
Per quanto riguarda l'emersione del sommerso, il Governo merita davvero una lode, perché risolve un problema realmente esistente nel nostro paese, specialmente nel Mezzogiorno. Anche per quanto riguarda l'emersione del sommerso, mi permetterei di suggerire di avere cura delle problematiche proprie delle imprese agricole che, oggi, per come è costruita la norma, non possono avvantaggiarsene (e anche nel comparto agricolo, come ben sapete, vi sono grosse sacche di sommerso che potrebbero venire alla luce). Pertanto, anche per quel settore si potrebbero apportare correttivi in questa sede.
Tra gli interventi strutturali va ricordata, prima di tutto, la riduzione delle aliquote. È stato uno dei capisaldi della campagna elettorale della Casa delle libertà e il Governo, compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione, si è impegnato a realizzare questo obiettivo nel corso della legislatura. Le aliquote che vengono proposte - mi riferisco all'imposta


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sul reddito delle persone fisiche - ammontano al 23 per cento per i redditi fino a 200 milioni e al 32 per cento per i redditi oltre i 200 milioni. Inoltre, vi sarebbe la fascia di esenzione fino ai 22 milioni.
A tale riguardo, sarebbe opportuno inserire nel contesto normativo una misura sicuramente auspicata da tutti: il cosiddetto «meccanismo del quoziente familiare», già introdotto in Francia, che potrebbe essere tranquillamente importato nel nostro ordinamento, con significative semplificazioni del sistema tributario, sopprimendo la disciplina delle detrazioni, oggi farraginosa ed incomprensibile. Basti pensare all'ultima finanziaria, che ha disegnato un sistema di detrazioni pressoché incomprensibile, dove bisogna considerare se vi sono figli di età superiore o inferiore ai tre anni, se il coniuge (marito o moglie) abbia un reddito superiore a cinque milioni di lire, e così via. Il meccanismo, quindi, è oggi inestricabile e si potrebbe semplificare notevolmente con l'introduzione del meccanismo del quoziente familiare.
Riduzione dell'aliquota IRPEF: si dice molto bene, nel documento di programmazione economico-finanziaria, che si effettuerà una riduzione dell'aliquota IRPEG portandola al 33 per cento. Si tratta di un intervento mirato, ben centrato, che ottiene il pieno apprezzamento da parte del gruppo di Alleanza nazionale.
Un altro punto significativo del documento di programmazione economico-finanziaria riguarda la graduale soppressione dell'imposta regionale sulle attività produttive. Tutti sanno che tale tributo - calato sulle teste degli italiani, dei contribuenti, delle imprese e dei lavoratori autonomi - è un meccanismo che, puntualmente, non viene applicato da nessuno, anche a causa della complessità della base imponibile che caratterizza questo tributo. Possiamo dire che, attualmente, il gettito da IRAP è talmente capriccioso ed erratico che nessuno ho pagato correttamente il tributo. Basti pensare che vi sono formulazioni normative molto astratte ed ambigue le quali dispongono che alcuni componenti non rilevabili nel conto economico devono riferirsi in documenti correlati di esercizi precedenti o successivi. Lascio a tutti immaginare la difficoltà che incontrano i contribuenti nel pagare un tributo attraverso il quale si finanzia la spesa sanitaria delle regioni.
Ben venga, in futuro, una soppressione dell'IRAP, ma già qualcosa si può fare, ossia semplificare la base imponibile dell'IRAP e prendere, come riferimento della base imponibile, quella prevista in materia di imposte sui redditi; mi riferisco al reddito d'impresa, tassabile ai fini dell'IRPEF o dell'IRPEG; al reddito di lavoro autonomo, tassabile ai fini dell'IRPEF e dell'IRPEG, e al reddito agrario tassabile per le imprese agricole. Ovviamente, per non creare dissesti nei conti pubblici, si possono fare due variazioni in aumento: quelle per le spese per il lavoro e per gli oneri finanziari o le perdite su crediti per le imprese commerciali, al fine di assicurare una invarianza di gettito tra il precedente assetto e quello che si ipotizza.
La strada maestra - come opportunamente ricorda il Governo nel documento - e quella di procedere verso la soppressione dell'IRAP e di finanziare la perdita di gettito derivante dalla soppressione dell'IRAP con il travaso dell'IRPEG e dell'imposta sul reddito delle persone fisiche gravante sulle imprese e sui lavoratori autonomi.
Accanto a queste misure, puntualmente evidenziate nel documento di programmazione economico-finanziaria, mi permetterei di suggerirne altre due, sicuramente significative, che hanno formato oggetto del parere che la Commissione finanze ha reso alla consorella Commissione bilancio, tesoro e programmazione. Mi riferisco, in particolare, alla semplificazione nei cosiddetti regimi forfettari di impresa e di lavoro autonomo. Oggi, un imprenditore con bassi volumi d'affari e con ridotte dimensioni che voglia applicare meccanismi forfettari di determinazione del reddito non capisce nulla sul tipo di agevolazioni che gli vengono concesse. Vi sono agevolazioni riscontrabili nella legge n. 662 del 1996 e nell'ultima finanziaria.


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Si dice che questi imprenditori possono avere una semplificazione nelle scritture contabili: ma come si può parlare di semplificazione nelle scritture contabili quando il reddito è determinato forfettariamente? Voi mi insegnate che il reddito è un differenziale tra ricavi e costi. Quindi, se devo fare una differenza tra ricavi e costi, debbo registrare i primi sulle scritture delle fatture emesse e i secondi sulle scritture del libro degli acquisti. Quindi, semplificazioni contabili non ce ne sono. Le vere semplificazioni di determinazione del reddito e, conseguentemente, contabili si avranno nel momento in cui si determineranno forfettariamente i ricavi: si prendono i ricavi, si applica una percentuale forfettaria di abbattimento sugli stessi e si attiene un reddito sul quale possono applicarsi le aliquote progressive o applicare un'imposta sostitutiva.
Un altro punto significativo del documento di programmazione economico-finanziaria concerne gli interventi sulla previdenza complementare. Si dice, molto opportunamente, che bisogna ridurre il carico fiscale dei fondi pensione.
Questa è una misura sicuramente da incentivare perché, come sapete, la previdenza complementare non è decollata proprio a causa del carico fiscale che grava sui fondi pensione.
In questo contesto, mi permetto di ricordare un altro aspetto che considero fondamentale: la rivisitazione della tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria. Come ricorderete, con il decreto legislativo n. 461 del 1997 è stato deciso di tassare tali redditi con il meccanismo del cosiddetto maturato, il che vuol dire tassarli indipendentemente dalla percezione, dal realizzo, dal conseguimento: sulla base dell'andamento dei mercati, i predetti redditi vengono tassati, insomma, indipendentemente dagli introiti effettivamente conseguiti. Praticamente, quando la borsa sale - com'è avvenuto nell'anno 2000 - i contribuenti subiscono la tassazione senza che abbiano percepito alcunché. Questo sistema è estraneo all'ordinamento dell'imposizione sui redditi, che esclude assolutamente la sottoposizione a tassazione di un reddito che non è stato percepito: l'articolo 1 del testo unico delle imposte sui redditi stabilisce, infatti, che il presupposto di imposta è costituito dal possesso del reddito, vale a dire la disponibilità del reddito; se il reddito non è disponibile, non può essere assoggettato a tassazione, perché in questo modo si finisce per tassare un reddito inesistente, un reddito virtuale. Quindi, è necessario abolire il meccanismo della tassazione sul maturato e, conseguentemente, occorre anche eliminare quell'aborto giuridico dell'equalizzatore che oggi esiste nel nostro ordinamento tributario.
Questi sono i punti di maggior rilievo che mi premeva segnalare. Ma vorrei anche - e mi dispiace che l'onorevole Barbieri non sia presente ...

PIETRO ARMANI. C'è il suo banco.

MAURIZIO LEO. Ho letto la relazione di minoranza e devo dire che alcune affermazioni in essa contenute mi appaiono allarmanti. In particolare, su due punti vorrei richiamare la vostra attenzione. Quanto al primo, leggo che la mobilità di persone e cose...

PRESIDENTE. Onorevole Leo, la prego di avviarsi alla conclusione perché le rimangono trenta secondi.

MAURIZIO LEO. ...va favorita, dapprima riducendo progressivamente l'imposta di registro e le altre imposte analoghe che oggi gravano sulle compravendite e, successivamente, abolendole del tutto. Ma è tecnicamente impossibile abolire l'imposta di registro!
Chi fa affermazioni del genere non conosce il diritto tributario - e ovviamente non gliene faccio una colpa -, perché non si rende conto che, abolendo l'imposta di registro, si introdurrebbe una discriminazione a svantaggio delle imprese: se, infatti, si acquista un immobile da un imprenditore, tale compravendita è soggetta all'IVA (anziché all'imposta di registro) e


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questa, in quanto tributo comunitario, non può essere soppressa dal singolo Stato membro...

PRESIDENTE. Onorevole Leo, il tempo a sua disposizione è terminato.

MAURIZIO LEO. ... quindi, se abolissimo l'imposta di registro, creeremmo una sperequazione non consentita dal nostro ordinamento (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Sgobio, iscritto parlare: s'intende vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l'onorevole Dario Galli, al quale ricordo che ha sette minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

DARIO GALLI. Signor Presidente, il DPEF in discussione è particolarmente importante perché è tra i primi atti di una certa rilevanza di questa nuova maggioranza e di questo nuovo Governo. Esso contiene una serie di novità importanti e copre - anche questo è particolarmente indicativo - tutti i cinque anni di legislatura invece dei tre previsti dalla legge.
Quello che c'è di più significativo nel documento è, senz'altro, la nuova impostazione che viene data alla programmazione economico-finanziaria, volta a ridare slancio al paese e alla sua competitività complessiva e non soltanto ad esporre una serie di dati secondo regole puramente ragionieristiche e contabili. Uno dei suoi punti fondamentali è costituito dal contenimento del rilevante deficit di bilancio. Ho appena ascoltato i colleghi ed ho constatato che ognuno interpreta a suo modo il problema dell'esistenza del «buco»; tuttavia, mi pare che i conti, anche se non ancora definitivi, siano, purtroppo, poco rassicuranti. Del resto, questo non sorprende nessuno di noi della nuova maggioranza perché il risanamento tanto sbandierato dai colleghi dell'ex maggioranza era stato fatto solo sulla carta e, soprattutto, utilizzando artifici contabili come l'incremento delle imposte, le diverse modalità di calcolo e, diciamolo, anche avvantaggiandosi di una serie di circostanze favorevoli come la diminuzione dei tassi di interesse a livello internazionale e, di conseguenza, anche sul mercato italiano.
In realtà, il rischio è ancora tutto lì. Infatti, il debito consolidato, nel suo complesso, mantiene la sua intensità, così straordinariamente spaventosa che qualunque minima modifica sui tassi di interesse farebbe cadere di nuovo tutti i conti, anche quelli correnti, su cifre ben diverse dalle attuali. Del resto, non si può pensare di risanare un paese solo con interventi contabili, trasformando continuamente il fabbisogno di cassa in indebitamenti netti.
In questa sede, si sono dette molte cose, ma a me risulta semplicemente che negli ultimi anni la spesa corrente dello Stato sia comunque aumentata nel complesso di 180 mila miliardi; quindi, non vedo dove sia questo miglioramento della finanza, non vedo dove sia questo risanamento dei conti, così sbandierato dai colleghi della minoranza.
Si deve sicuramente riportare l'attenzione allo sviluppo reale del paese, allo sviluppo che crea ricchezza, e non solo ai conti ragionieristici.
Il documento tratta, in particolare, anche del problema della disoccupazione che, anche se leggermente diminuita di qualche punto rispetto a qualche anno fa, resta comunque nell'ordine del 10 per cento; una percentuale comunque estremamente elevata, che ci lascia agli ultimi posti della classifica a livello europeo.
Sulla disoccupazione ci sarebbe moltissimo da dire, a partire dal fatto che bisognerebbe distinguere tra disoccupazione vera e disoccupazione di comodo, che le leggi di questo Stato - certo non migliorate negli ultimi cinque anni di Governo - permettono. La disoccupazione è dovuta anche alla rigidità del mercato del lavoro, per cui moltissime imprese, soprattutto nel Mezzogiorno, non sono incentivate ad assumere persone in maniera regolare, alimentando così continuamente il mercato nero del lavoro; invece, con le regole semplificatorie previste in


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questo documento di programmazione economico-finanziaria, moltissime imprese sarebbero incentivate a fare riemergere questi lavoratori dalla situazione di non regolarità in cui si trovano, a tutto vantaggio sia delle imprese sia dei lavoratori stessi.
Pensiamo che questo DPEF si inserisca nella manovra complessiva definita dei cento giorni di questo Governo, che vuole rilanciare il paese nel suo complesso; una manovra che comprende, tra le questioni più importanti, l'emersione - come abbiamo detto - dal sommerso di moltissimi lavoratori e la detassazione degli utili; infatti, è evidente che, se le imprese non avessero interesse ad investire, se non avessero interesse a proseguire l'attività economica, diventerebbe difficile pensare ad uno sviluppo del paese che andasse aldilà della sufficienza scarsa avuta in questi anni.
Si interviene poi pesantemente sulle infrastrutture - come dirò anche in seguito -, visto che il nostro paese presenta strutture risalenti ormai a trenta o quarant'anni fa. Negli ultimi vent'anni si è costruito veramente poco: mentre l'economia nel suo complesso è aumentata - così come sono aumentati moltissimo gli spostamenti delle persone, sia privati che lavorativi -, le infrastrutture sono rimaste assolutamente inadeguate. C'è bisogno di incrementare la flessibilità del lavoro, perché le esigenze delle industrie di oggi sono diverse da quelle delle ferriere del 1850 o da quelle delle imprese del dopoguerra. Ci sono esigenze di lavoro molto diverse sia per le imprese sia per i lavoratori; quindi, è indispensabile che i contratti di lavoro vengano rivisti alla luce delle nuove necessità.
Ci sono importanti indicazioni sugli incentivi alla new economy che di per sé non è qualcosa di particolarmente nuovo; si tratta tuttavia di un settore importante che deve essere particolarmente curato anche e soprattutto perché il nostro paese, anche in questa graduatoria, si trova agli ultimi posti tra i paesi industrializzati.
Sarà importante la riforma del diritto societario per ridare tranquillità e sicurezza alle imprese.
Altro aspetto particolarmente rilevante è la riforma fiscale, come qualche collega ha sottolineato negli interventi precedenti, perché oggi in Italia esiste un carico fiscale assolutamente insostenibile: i numeri citati dai colleghi della minoranza non sono realistici perché il 40 o 45 per cento (poco cambia) è calcolato sulla media nazionale del prodotto interno lordo, all'interno del quale è compresa anche la quota del 20, 25 per cento ufficiale di sommerso (che è un fenomeno solamente italiano), mentre, in realtà, le persone che materialmente e fisicamente pagano le tasse pagano una media superiore al 55 per cento e questa è soltanto la tassazione diretta! Oltre a questa, vi è una quota di tassazione indiretta, che non entra mai nei numeri dell'ISTAT, ma che è particolarmente rilevante: pensiamo soltanto a quanto abbiamo pagato, tutti noi, negli ultimi due anni come incremento delle accise e dell'IVA sulla benzina per l'incremento del prezzo base industriale.
Sono poi indicati provvedimenti importanti a sostegno delle famiglie sicuramente dimenticate negli ultimi anni dai governi anche di centrosinistra.

PRESIDENTE. Onorevole Dario Galli, la invito a concludere.

DARIO GALLI. Ho concluso, signor Presidente, ancora 30 secondi.

PRESIDENTE. Tempus fugit.

DARIO GALLI. Oggi la famiglia italiana non è certo incentivata a fare quello che dovrebbe fare e cioè ad allevare dei figli e creare dei cittadini per il futuro.
Per tutti questi motivi e per quelli che verranno illustrati negli interventi successivi, appoggiamo decisamente il DPEF e speriamo sia soltanto il primo passo compiuto da questa nuova maggioranza e da questo nuovo Governo per uno sviluppo economico ma anche, e soprattutto, civile


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e sociale, reale del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
Le ricordo, onorevole Deiana, che il tempo a sua disposizione è di quindici minuti.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, parto, ancora una volta, dai fatti di Genova che hanno dimostrato che, per questo Governo, diritti civili, diritti politici, garanzie costituzionali e stato di diritto sono semplicemente un optional. La democrazia è considerata, da questo Governo, né più né meno che una variabile dipendente, ma da cosa il Governo deve ancora dircelo! Il DPEF che è stato presentato fa il paio con questa impostazione autoritaria e illiberale: dimostra che la cittadinanza sociale, nei suoi aspetti fondativi e fondamentali e nei principi guida che ne hanno orientato la faticosa costruzione in un paese come il nostro e nel contesto europeo, dove ha avuto grandi e civilissime applicazioni, non soltanto è una variabile dipendente ma è semplicemente una variabile inesistente.
Il DPEF seppellisce definitivamente, ripeto, definitivamente, il principio della responsabilità pubblica e collettiva in materia di diritti sociali e di bene comune. Lo Stato sociale viene smantellato in radice e sostituito dall'idea che un mercato dei servizi sia sufficiente, sia necessario. Un mercato dei servizi destinato, evidentemente, soltanto a chi è in grado di comprarseli, a chi ha i mezzi per procurarseli. L'intervento pubblico viene considerato soltanto in funzione di copertura sussidiaria per gli strati sociali più deboli; viene cioè smantellata la responsabilità pubblica e sostituita con una idea caritatevole dello Stato, della collettività e delle istituzioni pubbliche in una visione miserabile della cittadinanza che uccide i diritti sociali come i diritti universali erga omnes ed esigibili da chiunque al di là della propria condizione sociale; quindi, diritti intesi come base materiale e condizione giuridica dell'uguaglianza che l'articolo 3 della Costituzione repubblicana ancora stabilisce, sulla carta!
Particolarmente significativa, a questo proposito, nel documento di programmazione economico-finanziaria, è la parte relativa alla sanità, essendo il diritto alla salute un principio fondamentale della visione repubblicana della cittadinanza sociale. In questa parte del documento viene delineato un progetto organico di distruzione del sistema nazionale relativo alla sanità. L'operazione di privatizzazione pressoché totale del settore è delineata in maniera precisa e decisiva, sostenuta dalla logica micidiale e dalla strumentazione pratica della cosiddetta devolution, parola magica! Si prevede cioè il passaggio di competenze legislative dallo Stato alle regioni, ponendo fine ai modelli organizzativi rigidi applicati su tutto il territorio nazionale. Quei modelli, cioè, che fino ad oggi hanno garantito la tenuta egualitaria del diritto alla salute. In questi anni è stato portato, anche da altre parti, un attacco forsennato ai cosiddetti lacci, lacciuoli e vincoli che voglio ricordare in questa sede come il frutto faticosamente conquistato dalla lotta sociale dei settori con meno potere economico e politico per stabilire rapporti di forza meno sfavorevoli nei confronti di chi, invece, ha grande potere economico e può contare su importanti mediazioni politiche.
Oggi quei lacci, lacciuoli, e vincoli, che erano la manifestazione di una faticosa costruzione di una cittadinanza più giusta, più egualitaria ed universale, vengono scardinati. Ogni regione, in sostanza, si farà la sanità che vorrà, garantendo i servizi che riterrà opportuno garantire ed offrendo ai propri cittadini livelli di assistenza socio-sanitaria diversa a seconda delle proprie capacità economiche e della propria ricchezza. Allo Stato centrale spetterà unicamente il compito, appunto sussidiario, di garantire i livelli minimi di assistenza, sospendendo così nei fatti il diritto alla salute costituzionalmente garantito ed uguale per tutti.
È conseguente a questa impostazione l'apertura ai privati in alcuni servizi socio-sanitari


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così come previsto nel DPEF, come coerente con tutto ciò risulta essere la proposta avanzata in queste settimane dal ministro Maroni circa l'introduzione del cosiddetto «bonus salute» (lo ha anticipato anche in Commissione affari sociali). Che cos'è questo bonus salute? Non è altro che la possibilità data agli utenti di spendere una determinata somma, definita ed elargita dallo Stato, anche nelle strutture sanitarie private. Viene così sottratto finanziamento in forma crescente alla sanità pubblica e, attraverso altri finanziamenti pubblici sottratti alle strutture sanitarie, si privilegia la parte privata dell'assistenza sanitaria. Aggiungiamo tutto ciò alle varie voci, rumori, che vi sono stati sulla possibilità che ricompaiono ticket sulle ricette, sui farmaci, sulla diagnostica e sui ricoveri. Otteniamo così un quadro allarmante di quello che sarà il sistema sanitario in Italia, una vera e propria giungla sociale, un massacro sociale.
Credo sia esemplare, da questo punto di vista, stabilire un rapporto tra ciò che viene preventivato nel DPEF relativamente alle questioni dello Stato sociale e della sanità e ciò che viene prefigurato nel capitolo relativo alla difesa. In tutti i sistemi ispirati ad una visione ademocratica ed autoritaria, vi è sempre una connessione profonda tra smantellamento o riduzione delle spese destinate alla qualità sociale del vivere insieme e spese destinate all'incremento delle logiche di guerra ed agli armamenti. L'amministrazione Bush ne è un esempio formidabile, così come esempio formidabile in tal senso furono le amministrazioni Reagan e Thatcher. Mi sembra che anche in Italia siamo nel pieno di questa connessione micidiale: liquidazione della spesa sociale e delle rigidità, dei vincoli relativi all'obbligo della solidarietà e all'obbligo della responsabilità pubblica verso il bene collettivo ed espansione delle spese relative alle logiche di guerra ed agli armamenti.
Il capitolo relativo alla difesa è, così, un vero e proprio contraltare rispetto all'impostazione che il DPEF dà allo Stato sociale. In questa parte del documento, infatti, non soltanto viene ribadita una serie di principi e di impegni che riteniamo assolutamente nefasti - come l'impegno ad una professionalizzazione delle Forze armate e ad un incremento del carattere separato e antidemocratico di queste ultime rispetto al resto della società - ma viene anche ribadita la partecipazione a qualsiasi missione internazionale.
Si conferma così, in maniera ancora più radicale, l'idea del superamento del concetto classico di difesa, che in tutti questi anni è stato strettamente legato all'articolo 11 della Costituzione italiana: la difesa connessa all'idea secondo cui soltanto la pace ed il ripudio della guerra possono essere strumenti efficaci di difesa, di mantenimento di relazioni, di pace e di risoluzione dei conflitti su scala internazionale.
Si afferma, ancora una volta, che il concetto di difesa è cambiato in relazione alle nuove funzioni che la NATO riveste su scala internazionale: funzioni di gendarme armato e di polizia internazionale rispetto a tutto ciò che crea turbolenze, insorgenze, disordini e rischi per gli Stati forti, ricchi dell'occidente.
Viene, quindi, ribadita tutta una serie di principi di questo genere e soprattutto, dal punto di vista sociale e da quello della connessione tra armamenti e Stato sociale, viene previsto un incremento delle spese militari, in modo tale da portare queste ultime a livello europeo.
L'Europa è una strana coperta per molti esponenti di questo Governo; l'Europa funge da coperta per legittimare solo ciò che si vuole. L'Italia continua ad essere molto indietro rispetto ad importantissimi paesi europei - soprattutto a quelli in cui lo Stato sociale ha rappresentato una grande costruzione storico-sociale - per quanto riguarda la qualità dello Stato sociale e la quantità delle spese erogate per assicurare i diritti di cittadinanza sociale.
Credo bisognerebbe guardare soprattutto a queste differenze tra noi e l'Europa e lavorare sulle stesse, anziché correre dietro alle strategie di difesa militare che, in realtà, sono strategie di polizia internazionale


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a cui il nostro paese sembra sempre più destinato, vista anche l'affinità elettiva che intercorre tra il Presidente del Consiglio Berlusconi e il Presidente Bush.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccia, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, il documento di programmazione economico-finanziaria può essere così sintetizzato: passiamo dalla crescita solidale alla disuguaglianza sociale. In buona sostanza, abbiamo lasciato un'Italia che cammina in quinta marcia, dopo aver risanato i conti pubblici ed avviato lo sviluppo. Il risanamento è negli indicatori e lo sviluppo, soprattutto del Mezzogiorno, è nei risultati: il prodotto interno lordo aumenta più al sud che nel resto del paese e la disoccupazione scende più al sud che nel resto del paese.
Gli indicatori di macroeconomia segnalano una riduzione del debito di 15 punti, una riduzione sensibilissima dell'indebitamento (previsto già anche da noi allo 0,8 per cento), un calo della disoccupazione ed un grande aumento del prodotto interno lordo. È, dunque, una macchina in corsa che, ovviamente, se avessimo continuato a governare noi, avrebbe ingranato la quinta.
Il quadro macroeconomico programmatico prevede, in fondo, gli stessi obiettivi negli indicatori che oggi il Governo di centrodestra propone. È solo una questione di differenti percorsi. Lo scostamento tra il progetto messo in campo dal centrosinistra e quello messo in campo dai conservatori del centrodestra vede una prima differenza nella trasparenza.
Nei numeri che ci sono stati forniti questa mattina non vi è quella diminuzione di un punto della pressione fiscale che, invece, nel DPEF è annunziata, almeno nei primi tre anni. Non viene indicato cosa si riduca come minore spesa (125 mila miliardi in cinque anni), non vi è chiarezza nel complesso dei conti pubblici e, soprattutto, non vi è trasparenza nei provvedimenti. L'emersione del sommerso, di fatto, è un condono a favore delle grandi industrie che di solito operavano in nero. La soppressione della tassa sulle donazioni e sulle successioni già era stabilita per cifre non superiori ai 350 milioni: anche in questo caso, dunque, si vogliono aiutare i grandi ricchi. La stessa legge Tremonti, che l'altra volta portò un paio di 100 miliardi a Berlusconi, non so questa volta, nel reinvestimento degli utili non legati al lavoro (quindi senza alcuna possibilità di credito di imposta), che vantaggio porterà.
Il top verrà, comunque, raggiunto nei prossimi giorni, perché tra le priorità della manovra e del DPEF vi è il falso in bilancio. Nel mese di agosto, cioè, la Camera dei deputati sarà chiamata, per fare risanamento e sviluppo, a togliere quel reato per il quale Berlusconi è perseguito. Si tratta, dunque, di uno scostamento in termini di trasparenza ed in termini di solidarietà.
Il DPEF, in fondo, parte dalla riduzione di spesa pubblica. Ciò significa, per quel poco che ci viene detto, riduzione della spesa sanitaria, blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione e nuovo quadro di riduzione delle pensioni. È, francamente, un'elemosina per il Mezzogiorno, nemmeno paragonabile a quanto ha dato il centrosinistra negli ultimi cinque anni in una condizione di grande difficoltà.
Signor Presidente, colleghi del Governo, passiamo da una crescita solidale ad una disuguaglianza sociale. Voteremo contro e faremo opposizione perché in questi due scostamenti (mancanza di trasparenza e caduta dell'equità sociale) vediamo una forte discontinuità con le azioni di un Governo che ha saputo promuovere lo sviluppo nella solidarietà ed in una forte adesione, per chi parla, ai principi della dottrina sociale cristiana.
Per questo motivo, annuncio il nostro voto contrario (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Floresta, al quale ricordo che ha a disposizione sette minuti di tempo. Ne ha facoltà.

ILARIO FLORESTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2002-2006 presentato dal Governo si sviluppa, per la prima volta, lungo un arco temporale che comprende l'intera legislatura e rappresenta, di fatto, il programma economico che l'esecutivo intende attuare nei prossimi anni. Nell'elaborazione del documento, il Governo ha tenuto presente la situazione che ha ereditato e, in particolare, ha cercato di far tesoro delle esperienze e delle tendenze registrate negli anni novanta.
Infatti, nel corso dell'ultimo decennio il tasso di sviluppo dell'Italia è risultato in media inferiore rispetto al resto d'Europa. Diversi sono i fattori che hanno contribuito a determinare tali risultati: alcuni di essi sono stati ricordati la scorsa settimana dal governatore della Banca d'Italia nel corso dell'audizione presso la Commissione bilancio del Senato.
Lo stesso ha rammentato che, per realizzare uno sviluppo economico coerente e duraturo, occorrono politiche in grado di mobilitare pienamente tutte le risorse esistenti e di portare il paese a livelli di crescita europei, sostenendo altresì che occorre puntare sulla crescita.
Con il DPEF al nostro esame il Governo ha delineato una strategia di politica economica che consentirà al paese di compiere un balzo in avanti, strutturale e permanente, nei ritmi di sviluppo. Una politica che porti l'Italia alla realizzazione di tassi di crescita superiori al 3 per cento per l'intera legislatura.
In un quadro di stabilità politica, oggi esistente, diventa senz'altro più facile governare le politiche economiche attraverso un programma, con obiettivi precisi, concretamente realizzabili, prevedendo ed attuando finalmente le fondamentali riforme strutturali del paese.
Vi sono, come appena detto, le condizioni politiche, ma bisogna creare e garantire anche le condizioni economiche: occorre, cioè, eliminare tutti i fattori frenanti che ancora persistono, attuando politiche in grado di aumentare la competitività e di mobilitare tutte le risorse disponibili per accrescere le occasioni di sviluppo.
Per essere pienamente efficace, è indispensabile che questa azione di politica economica avvenga nel pieno rispetto delle compatibilità macroeconomiche e degli impegni nei confronti dei partner europei. Questo vincolo incide pesantemente e condiziona la politica di bilancio ed è proprio sui conti pubblici e sulle possibili politiche di bilancio che il documento di programmazione si sofferma particolarmente.
L'azione di politica economica per il rilancio dell'economia - in parte anticipata nei provvedimenti dei cento giorni, che sono parte integrante del documento di programmazione economico-finanziaria - include una serie di interventi che hanno lo scopo di creare una spinta propulsiva che porterà ad una maggiore crescita misurata in un punto percentuale medio annuo rispetto al quadro tendenziale.
Il Governo ha spiegato in maniera precisa come intenda raggiungere tali obiettivi e ha illustrato nel documento di programmazione economico-finanziaria gli interventi che intende realizzare: investimenti pubblici per 100 mila miliardi di lire, il 50 per cento dei quali finanziati con capitali privati; una riforma fiscale mirante a ridurre dell'1 per cento l'anno per cinque anni la pressione fiscale complessiva, nonché una riduzione dell'1 per cento l'anno dell'aliquota dei contributi sociali al fine di comprimere il «cuneo fiscale»; un contenimento della crescita della spesa corrente nell'ordine dell'1 per cento di PIL all'anno; l'adeguamento ad 1 milione al mese delle pensioni minime, a partire dal 2002 iniziando dai soggetti più anziani e più deboli, nonché aumenti retributivi per il settore pubblico pari al tasso di inflazione programmata, più l'1 per cento di eventuali incrementi di produttività; privatizzazioni


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per circa 120 mila miliardi distribuiti secondo un profilo decrescente nel corso della legislatura; interventi in materia di scuola, ricerca e infrastrutture; misure a tutela dell'ambiente e della salute; misure in materia di sicurezza, giustizia, difesa e rapporti internazionali; riforme del mercato del lavoro e della previdenza; accelerazione delle liberalizzazioni; interventi per la crescita delle imprese.
Intendiamo sottolineare come, nell'ambito degli interventi per l'economia, un ruolo significativo e strategico venga attribuito al rilancio del Mezzogiorno. Per realizzare lo sviluppo dell'intera economia italiana, il Governo intende coinvolgere in modo sostenuto sulla via della crescita economica e del riscatto sociale e civile le aree del Mezzogiorno.
Per conseguire questo obiettivo prioritario e permettere allo stesso di raggiungere tassi di crescita, nei prossimi cinque anni, pari al doppio di quelli nazionali, il documento di programmazione economico-finanziaria prevede: una accelerazione degli investimenti pubblici in infrastrutture materiali e immateriali per aumentare la competitività del meridione; l'ottimizzazione delle risorse finanziarie e l'attuazione di semplificazioni procedurali per avviare investimenti mirati, che valorizzino le risorse naturali e culturali del Mezzogiorno e promuovano il rinnovamento urbano e un'adeguata dotazione di infrastrutture, rafforzando adeguatamente le condizioni di sicurezza e legalità; la realizzazione ed il potenziamento delle reti di comunicazione e della logistica, nonché lo sviluppo della ricerca e della formazione; il raggiungimento di una maggiore efficienza del mercato del lavoro, attraverso il piano per l'emersione del lavoro sommerso, che contiene incentivi fiscali e contributivi proporzionali al volume di lavoro emerso, per accrescere la convenienza, di lavoratori e imprese, ad operare nel mercato regolare.
Ce n'è abbastanza per rimettere veramente in moto l'economia italiana per i prossimi anni. Ecco perché questi interventi, anche se ritenuti ambiziosi, hanno comunque suscitato l'interesse, l'attenzione e il plauso degli ispettori del Fondo monetario internazionale che seguono da vicino i nostri conti pubblici.
Nello specifico, per quanto concerne in particolare alcuni interventi, il DPEF contiene importanti e significative innovazioni che intendiamo sottolineare.
Per ciò che riguarda il recupero e l'ammodernamento del capitale fisico pubblico, in materia di trasporti, riteniamo di straordinaria importanza l'inserimento, tra gli obiettivi prioritari, della realizzazione del ponte sullo stretto di Messina, che rappresenta - non solo per i siciliani, ma per tutto il paese - un'importante opera dal valore non soltanto simbolico, ma soprattutto economico e sociale, che permetterà alla Sicilia e al meridione di acquisire il ruolo di ponte tra l'Unione europea e i paesi del bacino del Mediterraneo.
Inoltre, il piano dei trasporti del Governo prevede la realizzazione dei grandi collegamenti e degli anelli mancanti della rete stradale e ferroviaria nazionale, la realizzazione di sistemi integrati di trasporto nelle grandi aggregazioni urbane e la realizzazione di hub portuali, interportuali ed aeroportuali. Si tratta di infrastrutture sulle quali si gioca la competitività e la credibilità del nostro sistema paese, la cui messa in opera non è più rinviabile. Tali opere saranno realizzate con risorse pubbliche e risorse private, attraverso il metodo del project financing.
Altro tema prioritario, sulla via della modernizzazione del paese, riguarda la società e le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Per favorire l'avvento della società digitale e l'ingresso dei cittadini e delle imprese nella società dell'informazione, riteniamo prioritario il completamento del processo di liberalizzazione in atto nel settore delle telecomunicazioni, attraverso la celere adozione di tutti i provvedimenti necessari, a partire dalle direttive comunitarie.

PRESIDENTE. Onorevole Floresta, la invito a concludere.


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ILARIO FLORESTA. Signor Presidente, passa velocemente il tempo, non avevo a disposizione sette minuti?

PRESIDENTE. Il tempo ha uno scorrimento costante.

ILARIO FLORESTA. Mi avvio a concludere e chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza lo autorizza.

ILARIO FLORESTA. Siamo, comunque, convinti che il documento di programmazione economico-finanziaria contenga, in sintesi, tutti i provvedimenti che riteniamo indispensabili per consentire al nostro paese di imboccare la strada maestra della crescita e dello sviluppo economico, partendo dal Mezzogiorno.
La locomotiva della ripresa economica italiana non può correre se il carro del Mezzogiorno, e, in particolare, della Sicilia, non verrà sbloccato da un ogni freno inibitorio e questo il Governo Berlusconi lo sa bene. Dunque, a noi deputati eletti nel sud spetta il compito di collaborare appieno affinché tutti i programmi annunciati vengano attuati nei tempi previsti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gambini, al quale ricordo che ha otto minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

SERGIO GAMBINI. Signor Presidente, nel DPEF c'è troppo e c'è troppo poco. C'è troppo, in quanto vi sono troppe diverse e discordanti previsioni sugli andamenti delle principali grandezze della finanza e dell'economia del paese, quasi volessero tenersi aperte diverse soluzioni per il futuro. C'è troppo poco: è addirittura imbarazzante ripercorrere la scheda di lettura, predisposta dal servizio studi della Camera, che elenca puntigliosamente tutte le cifre che dovrebbero essere contenute nel documento per legge e che invece non ci sono e che solo ora, in modo tardivo, ci sono state presentate. C'è troppo nell'indicare ambiziosi obiettivi di spesa pubblica per rinnovare la dotazione infrastrutturale del paese, ma c'è troppo poco perché non si sa da dove verranno le risorse per questo impegno straordinario; esse sono, infatti, per la metà affidate allo strumento del project financing.
Neanche il più inguaribile ottimista può credere che una modalità di finanziamento di opere infrastrutturali, che negli anni passati ha prodotto un valore complessivo vicino a 177 miliardi di procedure concluse, possa anche solo avvicinarsi ai cinquantamila miliardi previsti dal documento. C'è troppo: una diminuzione accelerata del carico fiscale, accompagnata dall'aumento delle pensioni, dalla riforma del welfare, dall'aumento delle risorse per la sicurezza e la giustizia; c'è tutto, insomma. Ma c'è troppo poco, perché non è indicata una priorità che indichi al paese in quale direzione si voglia andare, da che lato si voglia tirare la coperta, a meno che si consideri superato il tema del risanamento.
Tutto ciò ha una sola spiegazione e lo sapete anche voi, colleghi della maggioranza: prendere tempo e scommettere tutto sulle difficoltà che altri paesi avranno (Francia e Germania) nel rispettare i parametri del patto di stabilità, per sperare in una sua rinegoziazione. Si affida, perciò, alla nota di aggiornamento dell'autunno non l'ordinaria opera di aggiustamento di previsioni, di obiettivi alla luce di nuovi dati, ma il vero DPEF, quello che oggi, di fatto, è sottratto alla discussione parlamentare.
Solo allora conosceremo le reali grandezze, i veri obiettivi, le priorità, i tagli; solo allora conosceremo i redditi che verranno colpiti e quelli che saranno privilegiati. È un cattivo affare, così, per la credibilità del paese sullo scenario europeo; è un cattivo affare perché si svuota di significato la concertazione con le parti sociali e si affida il confronto con il paese reale ad altre sedi e ad altri luoghi; è un cattivo affare perché si prolunga in modo del tutto innaturale un clima di campagna


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elettorale, nel quale contano più le promesse che i concreti e verificabili impegni di governo.
Ciò che rimane è il pacchetto cosiddetto dei cento giorni: esso diviene l'unico vero punto di riferimento per valutare il DPEF; nel documento, infatti, si esprimono priorità, scelte, indirizzi e sono priorità, scelte ed indirizzi sbagliati che vanno in direzione contraria rispetto a ciò di cui avrebbe bisogno di il paese. I diversi provvedimenti convergono nell'assegnare la priorità agli investimenti - poi vedremo quali - piuttosto che ai consumi, invertendo le scelte che, sul finire della passata legislatura, erano state compiute dai governi di centrosinistra; esse muovevano dalla convinzione che l'andamento della congiuntura internazionale ed il rallentamento dell'economia americana imponessero di basare la crescita su una robusta ripresa dei consumi interni.
È forse cambiato qualcosa di quello scenario? Dalla ricognizione del quadro economico internazionale tracciato dal DPEF risulta di no. Eppure, le scelte che allora vennero giudicate insufficienti, troppo timide, oggi vengono abbandonate per assegnare la priorità agli investimenti. L'allarme sulla portata delle scelte attuali, per l'impatto che esse avranno sulla larga platea delle piccole e medie imprese cresciute negli anni passati, è già stato lanciato e proviene anche da organizzazioni rappresentanti parti sociali che certamente non possono dirsi vicine all'opposizione. Sto pensando, ad esempio, a quanto affermato dal presidente della Confcommercio nel corso dell'assemblea annuale, alla sua preoccupazione per l'assenza di un sostegno ai consumi ed al rinvio di un giudizio alla prova di riparazione in autunno. Ma il punto è un altro: la natura degli investimenti indotti da questa manovra. Nei giorni passati è stata al centro del dibattito fra economisti proprio la questione della natura e della dimensione degli investimenti compiuti dalle imprese del nostro paese negli anni passati; al di là di diverse accentuazioni, i giudizi convergono nel riconoscere che gli investimenti fissi italiani sono stati costantemente in cima alla classifica dei paesi industrializzati negli ultimi anni e nel ritenere, però, che la loro grande dimensione non possa nascondere il fatto che siano stati i peggiori, essendo orientati a sostituire a tutti costi il lavoro e facendolo in settori che sono, in assoluto, i meno tecnologicamente avanzati e, quindi, i più privi di speranza per il futuro. L'interrogativo, dunque, è il seguente: quali investimenti indurre, come dislocare sui versanti innovativi l'apparato produttivo del paese, come produrre innovazione di prodotto e non solo di processo, come mettere le imprese del nostro paese nelle condizioni di competere e di crescere sul terreno della qualità?
La Tremonti-bis, da questo punto di vista, è l'esatto contrario di quanto serve: incentiva in maniera indiscriminata, cancellando gli strumenti di incentivazione varati dai governi di centrosinistra, come il credito d'imposta nel meridione, drena risorse verso il nord, estende l'incentivo a beni che nulla hanno a che vedere con l'innovazione, concentra gli investimenti in un periodo troppo ristretto per dispiegare i benefici sulle singole imprese e sull'intero sistema, privilegia il ricorso al credito piuttosto che alla capitalizzazione.
Vedete, allora, quanto siano importanti le proposte contenute nella risoluzione annunciata da parte dell'opposizione: il rischio concreto è che avremo, forse, imprenditori più ricchi ma, certamente, imprese più povere e meno in grado di competere; ciò emerge anche dalla superficialità con la quale vengono trattate le piccole e medie imprese e quelle dell'artigianato, le poche righe dedicate al turismo, la mancanza di attenzione per il commercio.
Se lo scambio tra imprese più povere ed imprenditori più ricchi è ciò che il Governo propone per tenere assieme il blocco elettorale che lo ha sostenuto, è evidente che a pagare sarà il nostro sistema produttivo. Le nostre proposte continueranno, invece, ad indicare un'altra strada, quella della crescita e dello sviluppo,


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per l'Italia e per le sue imprese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di Sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armani, al quale ricordo che ha a disposizione dieci minuti. Ne ha facoltà.

PIETRO ARMANI. Signor Presidente, dopo cinque anni, è la prima volta che mi trovo ad intervenire sul DPEF stando dalla parte della maggioranza: quindi, consentitemi la soddisfazione di essere passato dall'altra parte della barricata...

PRESIDENTE. È l'alternanza, onorevole Armani.

PIETRO ARMANI. Signor Presidente, può capitare a tutti di tornare dall'altra parte. Noi della maggioranza faremo di tutto per evitarlo.
Sono soddisfatto non solo perché mi trovo dalla parte della maggioranza, ma anche perché posso rispondere alle critiche espresse da alcuni colleghi, come l'onorevole Nicola Rossi e l'onorevole Boccia.
Il collega Nicola Rossi, che tra l'altro è stato autorevole consulente di Presidenti del Consiglio del periodo del centrosinistra, ha affermato che lo sviluppo di questo paese è insufficiente e che non c'è nulla di aggiuntivo rispetto alle risorse disponibili. Vorrei ricordare all'onorevole Nicola Rossi che negli ultimi cinque anni la media di crescita del PIL di questo paese è stata dell'1,6 per cento: pertanto, se noi ci proponiamo una crescita del 3 per cento, ancorché con le risorse disponibili, tutto sommato abbiamo una prospettiva certamente superiore a quella del centrosinistra. Al collega Boccia, il quale ci accusava di non voler ridurre la pressione fiscale di un punto all'anno, dico che, in base alla tabella fornitaci dal Governo, si passa dal 42 per cento in rapporto al PIL del 2002 al 38 per cento del 2006: quindi, in quattro anni, si scende di 4 punti. Purtroppo, abbiamo dovuto rinviare la riduzione della pressione fiscale dal 2002 al 2003, perché ci avete lasciato le macerie, che stiamo raccogliendo in questo momento.
Fra l'altro, queste dimostrano come non avete nemmeno saputo gestire la riforma del bilancio dello Stato, che pure con grandi grancasse avete varato nel 1997, prima con la delega, poi con i decreti delegati, quindi con la infausta Commissione per la riforma del bilancio, dove era emersa anche la prospettiva della convergenza fra i conti di competenza e i conti di tesoreria, che si è perduta nella nebbia dei cinque anni della vostra gestione. Oggi, noi constatiamo che, mentre la Banca d'Italia rileva il fabbisogno di cassa dal lato della copertura, la Ragioneria generale dello Stato lo rileva ancora del lato della formazione. Sono stato per molti anni vicepresidente della Commissione bilancio e devo dire che abbiamo avuto il dramma di non avere tempestivamente i flussi degli incassi tributari, perché il meccanismo era impostato sulla base della formazione e quindi dovevamo aspettare alcuni mesi dopo la chiusura dell'esercizio per poter rilevare effettivamente il contenuto, soprattutto, dei residui attivi. Fra l'altro, non si distingue tra gli accertamenti che non hanno dato luogo a contenzioso, e che, quindi, potrebbero ipoteticamente trasformarsi in incassi, e gli accertamenti che, strombazzati come ritrovamento di evasori e di redditi occultati, in realtà poi hanno dato luogo a contenziosi, con la conseguenza che non si parla più di incassi o se ne parla in misura molto minore. Mi pare che il collega Leo, in qualche occasione, abbia ricordato che, con un accertamento pari a 100, se ne incassa il 30 per cento: quindi, evidentemente si tratta di un meccanismo che non funziona.
Allora, ben venga la proposta fatta dalla Commissione bilancio - che credo il Governo accetterà - di attribuire ad un disegno di legge collegato la riforma della contabilità generale dello Stato. In particolare, come ho già fatto nel mio intervento in Commissione bilancio, propongo il trasferimento a conto nuovo, praticamente a riporto, dell'intera gestione dei


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residui che risulta a consuntivo, nel preventivo dell'esercizio successivo, in modo che il Parlamento possa votare anche la gestione dei residui. In questo senso si imporrebbe alla Ragioneria generale dello Stato una verifica del contenuto degli accertamenti e quindi dei residui attivi - visto che per i residui passivi è più semplice -, per distinguere gli accertamenti che daranno luogo a incassi da quelli che, viceversa, essendo colpiti da contenzioso, non potranno darvi luogo.
Questa è una riforma importante; se questo paese vuole entrare a pieno titolo nel sistema della moneta unica europea a partire dal 2002, non può permettersi il lusso di avere da un lato la Banca d'Italia che rileva - come è giusto che sia - in tempo reale i flussi del fabbisogno in base alla copertura e dall'altro la Ragioneria generale dello Stato che deve aspettare la fine dell'esercizio per scoprire che il fabbisogno è di una certa dimensione piuttosto che di un'altra.
Dobbiamo fare in modo che i due flussi, tesoreria e competenza, siano inseriti nella stessa previsione; in questo senso credo che Governo e Parlamento dovranno impegnarsi per riformare la contabilità generale dello Stato che l'esecutivo di sinistra, attraverso la riforma del 1997, non ha saputo gestire.
Una componente importante della previsione di crescita di questo paese è affidata ai provvedimenti di sviluppo degli investimenti nel settore delle infrastrutture. È una sfida molto importante ed il fatto di averla annunciata ha un riflesso significativo dal punto di vista economico perché modifica le aspettative degli imprenditori. Da questo punto di vista anche i provvedimenti di sburocratizzazione relativi alle ristrutturazioni edilizie delle case di abitazione rappresentano un ulteriore elemento che può dare una prospettiva di crescita al settore dell'edilizia. Voi sapete che in economia quand le bâtiment va, tout va, quindi è un fatto significativo aver affidato allo sviluppo delle infrastrutture una componente importante della crescita del PIL.
Naturalmente nel settore pubblico i soldi a sufficienza non esistono, dobbiamo quindi ricorrere al project financing.
Purtroppo nel nostro paese il project financing non ha avuto uno sviluppo sufficiente; qualcuno ha ricordato che la media degli impegni di project financing non ha superato i 200 miliardi.
Noi invece abbiamo bisogno di migliaia di miliardi. Nel DPEF e nei provvedimenti che hanno accompagnato la legge obiettivo si pensa di poter attribuire al project financing il 50 per cento della copertura dei costi delle grandi infrastrutture strategiche di cui abbiamo preannuncio sia nella legge obiettivo sia nel DPEF.
Il problema della funzionalità del project financing è stato uno dei punti sui quali la Commissione ambiente territorio e lavori pubblici - che ho l'onore di presiedere - si è soffermata. Voi capite che, se 100 mila miliardi rappresentano il complesso della spesa prevista per le infrastrutture e se 50 mila miliardi possono venire dal settore privato, questo fatto ha un riflesso significativo sulla realizzazione delle opere.
Dal punto di vista del project financing la Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici ha avuto l'opportunità di sottolineare non solo che il project financing richiede un congruo periodo di tempo dalla creazione delle premesse normative fino al dispiegarsi di significativi effetti sulla composizione degli investimenti, ma anche che un elemento essenziale al suo decollo è rappresentato da un ambiente complessivamente favorevole alla realizzazione in tempi certi - ahimè sappiamo che purtroppo in Italia nelle opere pubbliche il concetto di certezza dei tempi non è particolarmente apprezzato, acquisito a priori - delle opere finanziate. Infatti, l'istituto finanziatore - quindi il privato - effettua una verifica su tre elementi: il costo dell'opera, la sua redditività e il tempo occorrente alla sua realizzazione. Questi tre elementi richiedono che si proceda ad un eguale grado di certezza.
La Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici, per ciò che concerne il parere favorevole della Commissione Bilancio


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sul DPEF, ha sottolineato che occorre rimuovere il limite legislativo di trent'anni per la durata dei contratti di concessione e gestione.
Amici, se vogliamo realizzare rapidamente, senza intoppi, il ponte sullo stretto di Messina o qualunque altra opera importante e strategica per il nostro paese, abbiamo bisogno di periodi di concessione più lunghi di trent'anni perché, e concludo signor Presidente, un'opera di quelle dimensioni, come dimostra l'Eurotunnel sotto la Manica, non può che essere finanziata, recuperando i costi nell'ambito di un periodo di tempo più lungo di 30 anni (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e del CCD-CDU Biancofiore).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Nesi, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l'onorevole Parolo a cui ricordo che ha a disposizione sei minuti. Ne ha facoltà.

UGO PAROLO. Signor Presidente, potrei iniziare dicendo che, finalmente, nel documento di programmazione economico-finanziaria, si stabilisce un concetto che riteniamo importantissimo: realizzare infatti più infrastrutture significa avere più sviluppo e quindi un incremento del prodotto interno lordo. Conseguentemente, più sviluppo significa più disponibilità finanziaria e speriamo, in prospettiva, attraverso lo sviluppo, anche meno tasse.
Il documento di programmazione economico-finanziaria indica in modo generico gli obiettivi che si intendono perseguire ma ciò è un dato di fatto, fa parte della struttura del documento. Non per questo gli obiettivi sono meno importanti e strategici.
Voglio limitarmi alla parte relativa alle infrastrutture, al territorio e all'ambiente.
In primo luogo, occorre partire da alcuni dati che ribadisco, visto che anche gli interventi da parte di esponenti della ex maggioranza che mi hanno preceduto sembrano dipingere un paese fiorente dove tutte le cose vanno bene.
Prendo spunto anche da alcuni dati che sono stati elencati dal ministro Lunardi in Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici per ricordare che, nel settore dei trasporti, negli ultimi dieci anni, sono stati investiti in Italia 205 mila miliardi in meno rispetto alla media europea.
Per quanto riguarda il transito delle merci nei valichi alpini, nel 1969 transitavano 19 milioni di tonnellate all'anno; nel 1999 dai 19 milioni si è passati a 120 milioni, mentre nel 2005, secondo le stime più ottimistiche, cioè a ribasso, la cifra di 120 milioni si attesterà a 135 milioni di tonnellate all'anno.
Dobbiamo anche considerare che in questo paese l'85 per cento delle merci viaggia su gomma e solo il 12 per cento su ferrovia mentre, per esempio, in Germania, su ferrovia viaggia il 32 per cento delle merci.
In questo paese ci sono 12 mila miliardi all'anno di danni causati dalle calamità naturali, di cui circa il 70 per cento causati dal dissesto idrogeologico del territorio.
Circa il 45 per cento del nostro territorio nazionale non ha una dotazione minima di acqua per un paese civile (intendo dire dai 400 ai 500 litri pro capite al giorno).
Negli ultimi 15 anni, in alcuni paesi europei, come la Francia e la Germania, le infrastrutture sono aumentate del 50 per cento (nel Regno Unito sono aumentate del 35 per cento) mentre in Italia, invece, non c'è stato alcun intervento.
Dal rapporto di Business International si evince chiaramente che su 17 paesi appartenenti all'OCSE, l'Italia, come dotazione infrastrutturale, è al quindicesimo posto, cioè al penultimo posto.
Dobbiamo partire da questi dati per capire quale è la situazione ma vorrei anche richiamare il Governo ad una maggiore precisione perché senza soldi non si fa niente.
Nel documento di programmazione economico-finanziaria si afferma, come ha appena ricordato anche l'onorevole Armani, che gli investimenti saranno 100 mila miliardi, compresa la parte privata. Il


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ministro Lunardi ha però riferito in Commissione che gli investimenti saranno 236 mila miliardi, ma il sottosegretario ai lavori pubblici ha subito dopo precisato nuovamente, rispondendo ad un'interpellanza, che gli investimenti saranno 100 mila miliardi.
A noi interessa, come gruppo Lega nord Padania, sapere esattamente quanto il Governo intenda impegnare nelle infrastrutture poichè da questo dato bisogna partire per ragionare seriamente. Velocemente vorrei chiarire che i criteri che sono stati individuati li condividiamo.
Viene finalmente introdotto il concetto di unitarietà del territorio comunitario. Viene pertanto superata la visione di un territorio dello Stato italiano separato dal resto dell'Europa. Ciò consentirà il superamento di taluni dualismi locali.
Nelle priorità è inserito un concetto banale ma importante: gli investimenti vanno fatti laddove servono. È allora chiaro che se il 58 per cento della popolazione vive nelle aree di grande aggregazione urbana, dove peraltro vi sono il 45 per cento delle attività industriali e l'85 per cento delle attività terziarie e, se teniamo conto che il 10 per cento della popolazione vive in un territorio abbastanza ridotto, quale quello lombardo-veneto, è chiaro che, se parliamo di viabilità, lì è presente un'emergenza relativa a tale aspetto.
Allo stesso modo, è altrettanto chiaro che, se vogliamo trasportare merci su rotaie, dobbiamo necessariamente concentrarci sulla apertura verso l'Europa di nuovi valichi, come già previsto nel programma di Governo. Vorrei ricordare, al riguardo, che la piccola Svizzera investirà nei prossimi anni 36 mila miliardi di lire per realizzare due trafori importantissimi, quali quello del Gottardo e del Lötschberg, per far transitare merci su rotaie. Lascio immaginare cosa potrà accadere quando questi trafori saranno completati se noi non saremo pronti.
Ricordo anche l'importanza dei flussi turistici attraverso l'Europa e, conseguentemente, dei valichi minori anche stradali che potrebbero essere realizzati col project financing. Gli strumenti individuati, ripeto, sono innovativi: la legge obiettivo è condivisibile ed importantissima...

PRESIDENTE. Onorevole Parolo, la invito a concludere.

UGO PAROLO. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente, sottolineando come vorremmo che fosse attuata anche per l'ordinaria emergenza per le tante opere che non sono strategiche.
Infine, richiamo l'attenzione sulla situazione di dissesto idrogeologico: è necessaria una nuova normativa per il suolo, anche per limitare l'uso speculativo del territorio. Inoltre, una particolare attenzione va rivolta al ruolo importantissimo che devono svolgere, nella prevenzione, gli enti locali (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Delbono, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

EMILIO DELBONO. Signor Presidente, rappresentante del Governo, intendo, nel mio intervento, soffermarmi sugli orientamenti esposti in materia pensionistica. Quelli che nel documento di programmazione economico-finanziaria, appaiono riferimenti blandi e non circostanziati, in realtà lasciano intendere, anche per le affermazioni che esponenti del Governo hanno formulato nel corso di queste settimane, una volontà di intervento strutturale sul fronte previdenziale. Infatti, il documento di programmazione economico-finanziaria prende le mosse da una drammatizzazione della spesa previdenziale che viene definita come superiore di oltre quattro punti percentuali del PIL rispetto alla media europea e superiore alla stessa crescita del prodotto interno lordo. Dato questo che non corrisponde all'ultima rilevazione.
Un quadro che quindi già preannuncia un giudizio, ancor prima della verifica dei conti previdenziali, totalmente disinteressato ad un'autentica ed efficace concertazione


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con le parti sociali. Ciò che maggiormente preoccupa, tuttavia, è il combinato disposto che da una lettura attenta del documento di programmazione economico finanziaria si ricava: si registra la volontà di ridurre il peso della spesa previdenziale attraverso una significativa riduzione delle aliquote contributive e una contestuale estensione del sistema contributivo. Il che, come è evidente, determinerà una consistente decurtazione dei trattamenti previdenziali garantiti che diventeranno di dimensioni così modeste da non assicurare una dignitosa esistenza ai pensionati italiani. Infatti, si intende spingere al massimo nella direzione non di un sistema di previdenza integrativa, bensì verso un secondo pilastro della previdenza, così da - e cito testualmente il documento di programmazione economico finanziaria - «consentire una riallocazione dell'attuale composizione degli oneri contributivi gravanti sulla previdenza di base e su quella complementare».
Se a questo quadro si aggiunge la rivelatrice indifferenza del Governo tra fondi chiusi, figli della contrattazione collettiva e strumenti di democrazia economica, e fondi aperti, inevitabilmente di natura bancaria ed assicurativa, che si intendono tassare nello stesso modo, appare percepibile e forte una volontà di finanziarizzare, seppure gradualmente, il sistema previdenziale, ovvero di incamminarsi, in modo indolore, verso un modello americano, o comunque anglosassone, ma meno continentale-europeo.
Su questo aspetto anche i sindacati, e in particolare la CISL, dovrebbero alzare il loro grado di attenzione. Il timore, onorevoli colleghi, è che si intenda passare da un sistema a ripartizione (anche se contributivo) ad un sistema a capitalizzazione. Il primo - quello che anche noi dell'Ulivo condividiamo e che abbiamo avviato con la legge n. 35 del 1995 - è legato ad un patto di solidarietà intra e intergenerazionale; il secondo, quello a capitalizzazione finanziaria, è fondato su una cultura neoliberista e, soprattutto, sul modello individualista.
Credo non sia un caso che le smodate promesse della campagna elettorale sull'aumento di tutte le pensioni ad un milione di lire, si sia ridotto ad un generico intendimento di adeguare ad un milione al mese le pensioni sociali, ovvero quelle di natura assistenziale. È un intendimento certo condivisibile, ma che nulla ha a che fare con i trattamenti pensionistici sotto il milione di lire per lavoratori dipendenti ed autonomi che hanno versato contributi nella loro esistenza lavorativa. Questo percorso, al contrario, è stato invece avviato negli ultimi anni dei governi di centrosinistra, che hanno innalzato le pensioni minime, oltre che sociali, da una media di 659 mila lire ad 820-830 mila lire al mese (con un incremento del 24-27 per cento).
Per intenderci, rifiutiamo l'idea alla Bush di un sistema di protezione sociale di natura assistenziale figlio del cosiddetto conservatorismo compassionevole e vogliamo, al contrario, uno Stato sociale moderno, compatibile con le esigenze di bilancio, ma che costruisca un welfare delle opportunità e della qualità della vita. Infatti, sul fronte pensionistico crediamo ci si debba concentrare sulla compiuta applicazione della riforma Dini, con un'accelerazione di entrata a regime del sistema, con una più compiuta armonizzazione dei fondi e delle gestioni, così da rendere più equo e più giusto il nostro sistema pensionistico. Per questo, non possiamo che esprimere un giudizio critico sugli orientamenti di riforma del Governo e dichiarare, sin da ora, la massima vigilanza da parte dei parlamentari del gruppo della Margherita e di tutta l'opposizione (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sterpa, a cui ricordo che ha dieci minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

EGIDIO STERPA. Chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del mio intervento.


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PRESIDENTE. La Presidenza lo autorizza senz'altro.

EGIDIO STERPA. In verità, mi ero preparato per un discorso più compiuto, anche perché avrei voluto - e vorrei - toccare non solo gli aspetti tecnici ed economici del DPEF, ma anche gli aspetti politici che, tra l'altro, a me interessano molto di più, lo confesso. In ogni caso, avendo ricevuto l'autorizzazione della Presidenza, mi permetterò di consegnare il testo che avevo preparato.
Vorrei dedicare una parte del mio intervento alle polemiche suscitate dalle parole del governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio. Si è detto che non era mai accaduto che un governatore della Banca d'Italia venisse meno alla tradizione di terzietà dell'istituto di emissione. Ho letto attentamente ed anche con spirito critico - vengo, come è noto, dalle file liberali - il testo del discorso del governatore Fazio, nonché le domande che successivamente gli sono state poste e, francamente, non vedo dove sia lo scandalo. Il governatore, giustamente, ha detto di essere stato ai numeri. Forse - se mi è permesso dirlo ai colleghi dell'opposizione - lo scandalo sta nel fatto che mai era accaduto che un governatore della Banca d'Italia fosse attaccato in così malo modo e, direi, con tanta acrimonia.
Voglio dirlo ai colleghi dell'opposizione, ma anche a quelli della maggioranza perché rimanga agli atti, è un errore lasciarsi portare a polemiche contro una tradizione critica, anche censoria, dell'istituto di emissione.
È una tradizione che, secondo me, occorre difendere strenuamente. La classe politica deve affrontare con molto rispetto il ruolo del governatore e dell'istituto della Banca d'Italia. È un ruolo che fa parte del nostro assetto democratico. Privare il nostro sistema dell'alta magistratura economica della Banca d'Italia costituirebbe un'imputazione gravissima che potrebbe provocare una minorazione carica di rischi per la nostra democrazia...

GERARDO BIANCO. Dillo a Tremonti!

EGIDIO STERPA. Lo dico... Tremonti fa il suo mestiere di ministro, di politico.

GERARDO BIANCO. Male!

EGIDIO STERPA. Caro Gerardo Bianco, nel testo del discorso del governatore e negli interventi soprattutto degli esponenti della maggioranza non ho mai trovato qualcosa di disdicevole. Gli stessi protagonisti del dibattito, ripeto, soprattutto dell'opposizione, non hanno trovato alcunché da eccepire sul luogo, mentre si svolgeva il dibattito, alle parole del governatore della Banca d'Italia.
La prego, onorevole Bianco - la conosco da tanti anni, la stimo e l'apprezzo - si legga il resoconto stenografico se non era presente - io non c'ero, ma ho letto il testo - e poi mi dirà se ci sia lo scandalo. Da parte dell'opposizione vi sono state dichiarazioni ed affermazioni che direi esagerate. Si è parlato, addirittura, di mancanza di stile da parte del governatore. Francamente, se c'è una cosa che davvero non si può rimproverare a questo governatore, è la mancanza di stile!
Lasciamo stare la questione. Voglio fare, come ho affermato, soprattutto un intervento politico. Non voglio spacciarmi per economista, per tecnico delle questioni di bilancio, anche se leggo e scrivo e, leggendo e scrivendo, si possono capire anche cose che non appartengono alla nostra cultura; nel caso specifico, alla mia cultura.
Nell'approvare il DPEF in discussione e, soprattutto, i suoi pregi, parto da una constatazione. Negli anni cinquanta e sessanta - queste cose vanno riconosciute, e voglio farlo io che, spesso, anche dai banchi liberali, l'onorevole Bianco lo sa, non sono stato sempre compiacente verso la maggioranza - questo paese è stato messo nelle condizioni di partecipare al club dei cosiddetti paesi sviluppati. Questo va al merito di De Gasperi, per esempio, e di alcuni suoi successori che hanno, non c'è dubbio, contribuito a modernizzare il paese. È anche vero, però, che sono passati molti anni e che questo paese è obsoleto non solo nelle opere fisiche ma anche


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nelle istituzioni ed è necessario - sta qui la parte migliore del DPEF - provvedere a modernizzarlo.
Occorre puntare - non so se possiamo chiamarlo «nuovo miracolo economico» - ad uno sforzo grandissimo per rimettere questo paese alla pari con le democrazie occidentali, con i sistemi delle democrazie europee ed occidentali. Non reggono più le strutture fisiche - quelle costruite negli anni cinquanta e sessanta, gli anni del cosiddetto miracolo economico - non reggono le ferrovie, come constatiamo, e le autostrade. L'autostrada che porta in Calabria è una vera vergogna, ma non è da meno quella che attraversa gli Appennini.
Mancano opere per la difesa dell'ambiente e del territorio e mancano opere - queste sì veramente nuove, necessarie ed indispensabili - per lo smaltimento dei rifiuti. Si tratta di opere che possono modernizzare il paese, ma non sono le sole.
Non è più accettabile, ad esempio, il vecchio modello di burocrazia - da qui la necessità dell'informatizzazione e della digitalizzazione -, non è più pensabile di assistere a code, ad attese - a volte, non di ore, ma di giorni - nei ministeri e negli uffici della burocrazia italiana.
Occorre, inoltre, che il sistema educativo, e cioè quello che crea la vera ricchezza di un paese, perché crea sapere, venga potenziato. Né va dimenticata l'amministrazione della giustizia: non voglio dilungarmi su questo tema, ma ritengo importante che anche tale settore venga modernizzato. Tempo fa si è potuto leggere, sui giornali, di un processo civile, svoltosi in una sede giudiziaria della Calabria, che è durato decenni, più di mezzo secolo! È qui che bisogna intervenire, senza dimenticare che anche i processi penali, a volte, hanno durate inaccettabili. È tutto il nostro sistema economico, politico, istituzionale, amministrativo, culturale e giudiziario che va potenziato, rivisto e ammodernato!
Questa è l'intenzione che vedo trasparire dal DPEF e dagli obiettivi che esso si propone; in tal senso è la volontà di questo Governo ed è per questo che voglio dare il mio personale contributo: non sono uno yes-man, come qualcuno dei presenti ben sa, ma sento comunque il bisogno di concorrere, in qualche modo, alla rinascita, all'ammodernamento del mio paese e questa posizione voglio modestamente rappresentare occupando questo banco.
Mi dispiace, e lo dico ai colleghi più autorevoli di me...

PRESIDENTE. Onorevole Sterpa, la prego di avviarsi alla conclusione.

EGIDIO STERPA. ... mi dispiace ci sia una certa iattanza ideologica da parte della sinistra: ci sono addirittura colleghi che non si salutano o che non rispondono al saluto. Questa è inciviltà politica! Questa è davvero inciviltà politica; ma è alla civiltà politica, invece, che dobbiamo improntare i nostri comportamenti se vogliamo davvero ammodernare questo paese. Noi crediamo, almeno io credo fermamente...

PRESIDENTE. Onorevole Sterpa, adesso deve proprio concludere perché ha superato di quasi un minuto il tempo a sua disposizione; non vorrei essere costretto a toglierle la parola.

EGIDIO STERPA. ... nel sistema dell'alternanza e vogliamo contribuire alla sua affermazione: non consideriamo i colleghi dell'opposizione come dei nemici - anche se, a volte, purtroppo, da quella parte è questo che si pensa - ma degli avversari. La mia non è la testimonianza di uno yes-man ma quella di un uomo che, se necessario, sa dire anche di no, di un uomo che, anche a nome di altri colleghi che siedono su questi banchi, chiede all'opposizione e alla sinistra rispetto e riconoscimento per la battaglia di carattere civile, culturale e politico, di alta rilevanza, che stiamo conducendo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Se posso permettermi di fare un'osservazione a tale riguardo,


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debbo dire che gli interventi fatti stamani da quei banchi sono stati rispettosissimi.
È iscritta a parlare l'onorevole Lucidi, alla quale ricordo che ha otto minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

MARCELLA LUCIDI. Posso parlare, signor Presidente?

PRESIDENTE. Certo, onorevole Lucidi; le ho dato la parola specificando anche che il tempo a sua disposizione è di otto minuti.

MARCELLA LUCIDI. Il fatto è, signor Presidente, che in questo momento il Governo non è rappresentato in aula e questo è un po' mortificante e fa nascere in me un sentimento di solitudine.

GERARDO BIANCO. Bisogna sospendere!

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, il rappresentante del Governo c'è.

PRESIDENTE. C'è bisogno della presenza del rappresentante del Governo, onorevole Leone, e lei non può sostituirlo, a meno che non ci sia stato un rimpasto...

ANTONIO LEONE. È qui fuori, vado a chiamarlo.

PRESIDENTE. Onorevole Lucidi, in assenza del rappresentante del Governo dovrei sospendere la seduta, ma mi dicono che il sottosegretario sta sopraggiungendo ... Eccolo, è arrivato! Approfitto dell'occasione per pregare il rappresentante del Governo di non assentarsi perché la sua presenza è necessaria per il regolare svolgimento della discussione.
Onorevole Lucidi, può svolgere il suo intervento.

MARCELLA LUCIDI. Signor Presidente, l'attuale maggioranza ha sempre detto di considerare la sicurezza dei cittadini tra le sue priorità e, negli anni passati, ha mosso critiche accese nei confronti delle misure adottate dai governi dell'Ulivo a questo riguardo, cercando sempre credito tra le forze di polizia e promettendo interventi ed incentivi maggiori in favore degli operatori.
Non abbiamo mai condiviso l'approccio esasperante della Casa delle libertà a questo tema, atto solo ad esasperare un clima di paura, ad esasperare la percezione e il vissuto di insicurezza dei cittadini con il sospetto, la diffidenza e il mito della sicurezza totale, proponendo un modello rigido di salvaguardia della comunità a forte livello di esclusione. Continuiamo, invece, a credere nella necessità di mettere a fattore comune, per quanto riguarda la sicurezza, politiche sociali e amministrative di ordine pubblico, sanzionatorie e riparatrici, per essere duri contro il crimine e contro le sue cause. Al riguardo abbiamo consegnato ai cittadini un nostro programma. Proverà, invece, una forte delusione chi volesse trovare nel documento di programmazione economico-finanziaria del Governo quel che era presente nel manifesto elettorale della Casa delle libertà, ossia la traduzione degli slogan sulla sicurezza in impegni concreti. Eppure, era questa la prova dei fatti, era questa la sede per stabilire le linee di intervento e le previsioni economiche relative. Così, questo Governo, mentre continua a dirci di credere nell'impegno, nei meriti e nella professionalità delle forze di polizia, trascura completamente alcune scadenze essenziali per dare sostanza alle sue parole.
Voglio ricordare al sottosegretario presente che l'articolo 7 della legge n. 86 del 2001 prevede che con decreto legislativo, che questo Governo dovrà adottare, sia ristrutturato il trattamento stipendiale di oltre 400.000 addetti delle forze dell'ordine, passando dagli attuali livelli ai parametri. È un provvedimento che ha un costo tecnico ineludibile, che serve per ristabilire un ordine retributivo stipendiale commisurato al grado e alla qualifica rivestita, un costo da non sottovalutare, su cui invece il Governo tace.
Nel mese di dicembre prossimo scadrà il contratto vigente per le forze di polizia; non è una data così lontana da non dover


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prefigurare nel documento mezzi finanziari adeguati. Il Governo dell'Ulivo, per questa esigenza, stanziò 2.000 miliardi dei quali 920 furono impegnati per le specificità delle forze di polizia.
Vi chiediamo di non essere così evasivi di fronte ad attese che impegnano la vostra e la nostra credibilità, perché le forze di polizia non appartengono a questa o a quella parte politica, ma servono lo Stato, e per questo vi incalzeremo, affinché siate coerenti.
Vogliamo sapere con chiarezza che cosa significhi che procederete alla redistribuzione delle forze di polizia, come scritto nel documento di programmazione economico-finanziaria. Qual è il modello che vi sta ispirando? Prevarranno, al riguardo, le idee di Bossi, le idee di Berlusconi o le idee di Fini? Avevate già il compito di dircelo. I cittadini ed i lavoratori dei corpi di polizia hanno il diritto di saperlo. Abbiamo assistito, in quest'aula, ad un dibattito sulla riforma in senso federale dello Stato sulla quale la Casa delle libertà ha votato in maniera diversificata: infatti una parte dell'attuale maggioranza ha votato contro la proposta della Lega di tassare e di realizzare polizie regionali; abbiamo sentito Berlusconi parlare di una distribuzione sul territorio delle forze di polizia assegnando ad una città i carabinieri all'altra la Polizia di Stato. Non ci avete ancora detto su quale idea vogliate lavorare. Registriamo solo un paternalismo di questo Governo verso coloro che Berlusconi, ancora ieri, ha definito «i ragazzi delle forze dell'ordine» ma questo non basta a soddisfare le attese sugli stipendi, sulla formazione, sugli straordinari, sulla previdenza integrativa.
Per i temi che sono in agenda, per questi temi, è ingiustificabile l'inesistenza, attuale, di un sottosegretario che tratti, per delega, la pubblica sicurezza, come pure la legge richiede, perché questa lacunosità, questa assenza progettuale di responsabilità che il ministro, da solo, non è in grado di assumere, sta togliendo spazio politico ad una gestione ordinaria e ad un confronto sulle strategie, sugli interventi per la sicurezza pubblica e per i suoi addetti dei quali invece - i fatti recenti ce lo continuano a dire - ci sarebbe urgente bisogno (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.
Le ricordo, onorevole Polledri, che il tempo a sua disposizione è di 6 minuti.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, chi tra di voi ha mai usato un binocolo? Sappiamo tutti che un binocolo serve per guardare lontano. Ebbene, oggi l'obiettivo della politica italiana guarda lontano e vede la parte più povera del mondo, vale a dire 5 miliardi di individui, che si divide il 22 per cento della ricchezza, mentre gli altri tre quarti del reddito sono in mano a soltanto un miliardo di individui, con un miliardo di persone che vivono con un dollaro al giorno. Ma io vi chiedo di spostare l'obiettivo di questo binocolo e di puntarlo verso il nostro paese. Cosa vediamo? Ebbene noi vediamo oggi 5 milioni di poveri, vediamo 2 milioni 400 mila persone in cerca di occupazione, 829 mila disoccupati, un milione di giovani in cerca di prima occupazione. Cosa offre il documento di programmazione economico-finanziaria? Cosa vogliamo offrire come maggioranza a questa moltitudine? Non vogliamo offrire l'elemosina di Stato o compassione, perché i lavori socialmente utili sono una elemosina di Stato. Con questo documento programmatico vogliamo offrire opportunità e dignità. Con questo progetto di azione di Governo per i prossimi cinque anni proponiamo una politica economica che consenta il realizzarsi di tassi di crescita superiori al 3 per cento; riduzioni del carico fiscale; misure a sostegno della famiglia, perché una società che non fa più figli, come la nostra attuale, è una società destinata all'estinzione e al declino.
Ebbene, signori, chi è che crea ricchezza in questo paese? Non la creano di sicuro i boiardi di Stato o i superdirigenti, nuova casta superprotetta e superpagata,


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di questo Stato; la creano la conoscenza, l'innovazione tecnologica, l'imprenditorialità e la tenacia dei nostri artigiani e dei nostri piccoli imprenditori, degli operai, delle persone che hanno voglia di lavorare. Questa è la ricchezza che vogliamo offrire al nostro paese per risolvere dei problemi importanti.
Dobbiamo allora chiederci quale sia il valore aggiunto che questa maggioranza porta e come questa maggioranza si ponga nei confronti della libertà del mercato. L'atteggiamento di questa maggioranza nei confronti del mercato è un atteggiamento sereno. Non credo sia un caso che questa maggioranza abbia espresso, e gli italiani abbiano votato, un Presidente del Consiglio imprenditore. Non siamo, oggi, in un sistema di bassa tutela, non parliamo della Corea!
Oggi, anche grazie ad una serie di battaglie sostenute dal mondo cattolico e dalla sinistra - bisogna riconoscere questo - vi è un sistema di tutela che può garantire uno sviluppo compatibile. Questa maggioranza ha però un atteggiamento sereno nei confronti del mercato, atteggiamento che non è possibile da parte dell'opposizione. Avete provato ad averlo, avete espresso anche un bravo ministro dell'industria, avete anche iniziato un percorso di liberalizzazione, tra l'altro fallendo alcuni importanti obiettivi (mi riferisco al processo di liberalizzazione della terza frequenza, dove abbiamo ereditato un buco e un flop incredibile).
Ebbene, onorevoli colleghi, credo sia necessario un chiarimento da parte dell'opposizione a proposito del mercato: l'altro giorno abbiamo sentito l'ex Presidente del Consiglio, uno dei migliori politici, provare nostalgia nei confronti della Democrazia cristiana. Della Democrazia cristiana rimane sicuramente un bagaglio etico, una testimonianza del valore della persona, ma si è chiuso, lo ripeto, si è chiuso, un periodo di interventi diretti dello Stato. Fino a pochi anni orsono circa il 70 per cento del prodotto interno lordo proveniva dallo Stato. Ora questo Stato ha funzione esclusivamente se riesce a promuovere lo sviluppo economico del sistema paese.
Consentitemi una piccola digressione su questa nostalgia: la nostalgia di solito attiene ai momenti conclusivi della nostra vita, in cui ci guardiamo attorno e non abbiamo risorse o speranze. Credo che da parte dell'ex Presidente del Consiglio guardarsi indietro significhi forse ammettere indirettamente che le speranze, il coraggio ed i progetti sul futuro sono limitati. Progetti che sono limitati dal background culturale: nel nostro paese abbiamo infatti tre partiti di derivazione, o di ispirazione, comunista: uno che è contrario al mercato, il secondo che si barcamena ed il terzo che ha affrontato il problema del mercato, confrontandosi anche positivamente con esso. Cosa vorreste fare nel futuro? Lo chiedo perché ritengo che anche l'atteggiamento dell'opposizione sia importante nei confronti dello sviluppo del paese. È importante che si adotti...

PRESIDENTE. Onorevole Polledri, la invito a concludere.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, mi avvio a concludere. È importante che si adotti un atteggiamento sereno. Ebbene, ci dovete dire: siete favorevoli ad uno sviluppo compatibile? Siete favorevoli a ridurre le tasse? Siete favorevoli a creare occupazione e sviluppo in questo paese? L'invito che vorrei rivolgere a questa maggioranza è quello di vedere cancellato tra cinque anni, quando mi auguro potremmo riscrivere un altro documento di programmazione economica finanziaria, quel numero infame di 6 milioni di poveri in questo paese (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Susini, al quale ricordo che ha otto minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

MARCO SUSINI. Signor Presidente, credo che si debba davvero utilizzare la lente di ingrandimento per cogliere nel


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DPEF qualsiasi riferimento alla politica dei trasporti. Questa infatti appare come la grande assente nelle scelte e negli orientamenti che in questo documento vengono proposti. Non vi è davvero alcun serio riferimento ad una moderna ed organica politica dei trasporti. Non vi è, in primo luogo, alcun accenno alla necessità di dare continuità e concretezza alle linee indicate nel piano generale dei trasporti licenziato nell'ultima legislatura.
È difficile, dunque, discutere sul niente: per questo vorrei cogliere quest'occasione per porre alcuni interrogativi alla maggioranza, sperando che anche questi non rimangano senza risposta. Per esempio, dove sono andati a finire gli investimenti, pari a oltre 200 mila miliardi, indicati dal piano generale dei trasporti? Nel DPEF vi è un accenno fugace ad investimenti pubblici pari a 100 mila miliardi - poi su questo argomento tornerò - che sembrano in gran parte finalizzati ad interventi già previsti e già finanziati dai precedenti governi. Per il resto, non ritenete che lo sforzo per rinnovare l'armatura infrastrutturale e del trasporto del paese, che segna su questo versante un gap rispetto agli altri nostri partner, abbia bisogno proprio di quel livello di risorse indicate nel piano generale dei trasporti?
Soprattutto, siete d'accordo con l'idea-forza che stava alla base di quel piano, cioè intervenire decisamente per un riequilibrio dei diversi modi di trasporto, considerando come tale obiettivo sia non solo assolutamente decisivo per elevare la competitività del sistema ma anche assolutamente rilevante per allentare i guasti del traffico, per ridurre l'inquinamento, per migliorare la sicurezza sulle nostre strade? Se la risposta a questo interrogativo è costituita, intanto, da quella estemporanea esternazione del ministro Lunardi che, in spregio alle stragi che si verificano sulle strade con gli incidente stradali, propone di elevare i limiti di velocità in una misura che non esiste in nessun altro paese, facendo in questo modo strame degli impegni sulla sicurezza che questo Parlamento ha assunto con la riforma del codice della strada, credo davvero che ci si debba preoccupare.
Inoltre, vorremmo chiedervi che fine farà la scelta strategica di puntare sulle autostrade del mare richiamata autorevolmente tante volte dallo stesso Presidente della Repubblica. Quali risposte si intende fornire sulla cantieristica, un settore strategico dell'industria italiana, nel quale le nostre imprese devono affrontare una concorrenza internazionale sempre più forte e agguerrita?
Vorremmo anche sapere come intendiate proseguire quel processo avviato con risultati positivi dal centrosinistra in materia di riorganizzazione societaria delle Ferrovie dello Stato.
Non si dice niente nemmeno sulle tante iniziative che nel paese coinvolgono regioni, enti locali ed anche privati per rispondere in modo nuovo ai problemi della mobilità nelle aree metropolitane con scelte che puntano a realizzare tranvie, metropolitane di superficie e che reclamano, per essere completate, un sostegno finanziario forte che si sposi al project financing e all'intervento dei privati.
Anche per quanto riguarda le scelte relative alle infrastrutture e alle opere pubbliche, si registra davvero - consentitemi di dirlo - una distanza enorme tra gli annunci pomposamente proclamati, con tanto di pennarello, che il centrodestra ha diffuso in campagna elettorale e l'estrema modestia delle indicazioni contenute nel documento di programmazione economico-finanziaria. In tale documento si parla di un impegno di 100 mila miliardi nel quinquennio e se ne parla, peraltro, in modo del tutto generico.
Il sottosegretario Martinat, rispondendo in questi giorni ad una specifica interrogazione in merito, ha precisato che tale spesa rappresenta l'intero ammontare degli investimenti pubblici nel quinquennio, metà dei quali dovrebbero arrivare proprio attraverso il project financing. Poiché tutti sappiamo che la cifra di 50 mila miliardi in cinque anni, da reperire con il project financing, è assolutamente esagerata, è facile comprendere che negli indirizzi


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del Governo in materia di infrastrutture, non solo non c'è alcuna rivoluzione né alcuna svolta innovativa ma, anzi, vi è un arretramento rispetto alle scelte e agli impegni dei governi precedenti.
Ciò che sto dicendo non è una forzatura propagandistica, se è vero com'è vero che persino lo stesso Presidente della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici, onorevole Armani, autorevole esponente della maggioranza, ha giudicato esigue (sono parole sue) le risorse destinate alle opere pubbliche.
Inoltre, c'è da segnalare l'assenza di un quadro di priorità delle opere infrastrutturali da realizzare, nonché l'estrema laconicità delle enunciazioni in materia abitativa e sulle politiche ambientali. A questo preciso riguardo destano, invece, viva preoccupazione l'assenza di qualsiasi riferimento all'attuazione del protocollo di Kyoto e la presenza, nel cosiddetto pacchetto Tremonti, di misure che favoriscono il condono per i reati ambientali a danno delle imprese che, invece, hanno operato correttamente. Allo stesso modo, suscitano preoccupazione i disegni di legge del Governo in materia di valutazione d'impatto ambientale e di ristrutturazione degli appartamenti.
In conclusione, riteniamo che questo documento, soprattutto per quanto riguarda la materia dei trasporti e delle infrastrutture, sia assolutamente povero, pieno di omissioni, di silenzi e di gravi lacune. Anche a seguito di questa valutazione ci viene da pensare che davvero l'unico buco esistente sia quello nelle idee di questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Franciscis, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo in questa discussione sul DPEF con la serenità di chi concorre a sviluppare un dibattito scontato. Non immagino, infatti, che alcuna delle pur convincenti opinioni che verranno da questi banchi potrà impedire l'approvazione, da parte dell'Assemblea, di un documento che appare del tutto generico.
La reale intenzione di sfuggire, peraltro, a qualunque tentativo di maggiore concretezza di questo documento è avvalorata dalla straordinaria pubblicità che ha avuto il coup de théâtre del ministro Tremonti al TG1 qualche settimana fa. Con sapiente tecnica si è spostata l'attenzione della pubblica opinione dalle proposte del DPEF all'ipotetico buco. Ciò ha ottenuto l'effetto desiderato: tutti hanno parlato del buco, pochi hanno riflettuto sulle proposte.
Non mi iscrivo tra quanti sono agitati per l'«operazione buco», per due ordini di motivi. Anzitutto perché se avessi vinto nella mia città di Caserta le elezioni a sindaco non per la forza della mia coalizione o per la bontà del mio programma ma per gli errori dei miei avversari, avrei dovuto poi, in poche ore, demolire l'unica positiva ed oggettiva conquista della precedente amministrazione: il risanamento finanziario dell'ente. Avrei dovuto, cioè, lanciare il sospetto, tra i miei concittadini, che il sindaco mio predecessore fosse scappato con la cassa comunale. Questa è l'operazione buco che, quando questo Governo avrà avuto il tempo di governare, apparirà con chiarezza. La seconda ragione è che l'oggetto del contendere appare essere un presunto scostamento rispetto alla previsione che, a legislazione vigente, è di circa un punto percentuale di PIL.
Eppure, in campagna elettorale, ho dimostrato agli elettori che il Governo di centrosinistra aveva ereditato una situazione economica di almeno tre volte più grave della presunta situazione attuale. Attendo, dunque, che all'esito di questa esperienza di Governo di destra, il Governo dimostri di avere perlomeno pari capacità di conseguire due risultati. Da una parte, il proseguimento dello sviluppo conseguito nella legislatura 1996- 2001, dall'altra, il mantenimento della pacifica


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convivenza che nella Repubblica è garantita a tutti i cittadini, segnatamente a quelli più svantaggiati.
Non spetta a me rammentare in quest'aula il senso dell'articolo 3 della Costituzione, di cui non vedo traccia in questo documento. Altro che un punto percentuale di PIL! Non a caso ho evocato la nostra Costituzione, non a caso ho parlato di pacifica convivenza, perché dalla lettura di questo DPEF e dei provvedimenti denominati dei cento giorni appare completamente assente la questione che ritengo centrale nella legislatura che si apre: la questione meridionale.
Siamo in una fase nuova della vita del nostro occidente nella quale, onorevoli colleghi, sono da ripensare ruolo e prerogative di un Parlamento nazionale schiacciato, da una parte, dalla legittima richiesta di rappresentanza delle autonomie locali e delle regioni, dall'altra, dal crescente ruolo politico dell'Unione europea. In questo scenario, all'oggettiva esistenza di due Italie, di due diverse velocità, di due diverse realtà sociali, culturali, economiche, con il Mezzogiorno e le isole a rincorrere un sistema economico più avanzato, questo Governo propone un DPEF di respiro niente meno che quinquennale, dove scompare la questione del Mezzogiorno, dove il credito costa in banca più che in Padania, dove si mette mano allo scardinamento del sistema sanitario invocando l'ipocrita conservazione di principi universalistici del sistema (che oggi costa percentualmente meno che in altri paesi europei), ed invocando la valorizzazione del cosiddetto terzo settore.
Sono cresciuto, fin da ragazzo, tra vita professionale e cosiddetto terzo settore. Sono meridionale, senza particolare orgoglio o senza complessi di inferiorità, perché italiano. Sono un medico che, pur potendo lucrare su una certa competenza professionale - a detta degli altri - peraltro acquisita e perfezionata nel sistema pubblico, ha scelto di operare nel sistema sanitario nazionale. Ebbene, da cittadino, da medico dipendente del sistema sanitario nazionale e da meridionale ravviso in questo documento e nei provvedimenti collegati un pericoloso freno allo sviluppo sociale di tutto il paese.
La progressiva evoluzione dei contratti di lavoro a tempo determinato, utilizzati prevalentemente per eludere l'aspettativa di una stabile collocazione nel mercato del lavoro, il tentativo di premiare in maniera non controllabile e sociologicamente scorretta l'emersione dell'economia sommersa, la nuova detassazione degli utili nell'esercizio dell'attività produttiva senza una ragionevole copertura finanziaria, la mitizzata evoluzione della politica di investimenti in grandi opere pubbliche, il rimaneggiamento del diritto societario del quale si è già ben argomentato in questi giorni in quest'aula, e la semplificazione degli adempimenti per le imprese mi appaiono un'impostazione che risponde alla seguente logica: innanzitutto, ridurre la spesa sociale; in secondo luogo favorire le imprese per creare ricchezza e, poi, dalla ricchezza nuovo sviluppo e dallo sviluppo migliore qualità di vita per tutti.
Eccepisco che in democrazia un Governo è tale quando è in grado di garantire lo sviluppo economico in un sistema di regole di libertà,...

PRESIDENTE. Onorevole De Franciscis, la prego di avviarsi alla conclusione.

ALESSANDRO DE FRANCISCIS. ...di coniugare questo sviluppo con politiche di equità e giustizia sociale. Ad oggi, in attesa di ulteriori definizioni cui ci rinvia più avanti nell'anno il DPEF al nostro esame, a me pare che siano assicurate solo le aspettative di una parte del paese, quella che intraprende ed accumula senza obblighi verso chicchessia (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Saglia, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

STEFANO SAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi comprendiamo l'imbarazzo


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che serpeggia tra le forze politiche dell'opposizione man mano che esaminano il documento di programmazione economico-finanziaria: le comprendiamo perché crediamo che i contenuti e, soprattutto, il metodo seguito dal documento siano altamente innovativi.
In passato siamo stati abituati a documenti che cercavano in qualche misura di disciplinare - nel più corretto burocratese e nella peggiore capacità amministrativa - ogni aspetto della vita sociale ed economica del paese. A nostro avviso esso attua una rivoluzione copernicana anche negli aspetti e nel metodo con il quale si presenta al Parlamento e al paese: innanzitutto, perché si proietta in una programmazione di legislatura, pone degli obiettivi chiari, trasparenti e leggibili e, soprattutto, dovrebbe essere accolto dalla minoranza come un elemento di ulteriore possibilità di controllo e di verifica, essendo chiari i contenuti e i programmi che esso esprime.
Per quanto attiene alla competenza ed alle osservazioni che abbiamo suggerito al Governo in modo da corroborare il parere espresso dalla Commissione attività produttive, commercio e turismo, ci interessa sottolineare soprattutto le misure che sono state individuate puntualmente rispetto alla politica industriale ed energetica del paese.
Crediamo vi debba essere un profondo cambiamento di impostazione della politica industriale dello Stato, perché - senza alcun intento dirigistico, essendo noi ben consapevoli della necessità di un mercato più libero e meno vincolato da lacci e lacciuoli burocratici - riteniamo che, senza insinuarsi all'interno delle competenze del comparto privato, lo Stato, attraverso le sue aziende, possa influenzare la politica industriale di questo paese: crediamo possa farlo in maniera positiva soprattutto nel settore dell'approvvigionamento energetico.
A questo Governo è consegnato un paese che nell'approvvigionamento energetico è profondamente dipendente dagli idrocarburi. Non credo sfugga ad alcuno che l'81 per cento della nostra energia è prodotto attraverso l'utilizzo di gas e petrolio.
Tutto ciò pone una delle precondizioni per uno sviluppo economico assolutamente non competitivo, perché - come ammonisce in questi giorni l'autorità per l'energia elettrica e il gas e come è possibile evincere da molteplici documenti di autorevoli fonti - il 12 per cento in più del costo dell'energia per i cittadini e il 45 per cento in più del costo dell'energia per le imprese sono dati che ci devono far riflettere.
Riteniamo che nel DPEF sia contenuto il principio della liberalizzazione che, purtroppo, dovrà e deve precedere il sistema delle privatizzazioni. In Italia si è proceduto al sistema delle privatizzazioni senza creare le regole di un mercato realmente libero e liberalizzato, senza affrontare - dimostrando una incapacità programmatica grave e pesante - quelle asimmetrie che oggi si manifestano appieno fra i vari mercati europei.
Basti pensare a cosa è accaduto in occasione della vicenda Montedison e a cosa ci aspetta, in futuro, con altre operazioni di privatizzazione.
Purtroppo, il Governo che ha preceduto il Governo Berlusconi non ha creato le precondizioni per una liberalizzazione regolata, che consenta alle aziende di Stato di poter essere veramente privatizzate e non conquistate.
Vi è, dunque, la necessità di una politica estera energetica che vada a diversificare le fonti di approvvigionamento, così com'è evidente - ciò è previsto nel DPEF ed è stato sottolineato, in maniera particolare, dal ministro Marzano, in Commissione attività produttive - la necessità di nuove fonti di approvvigionamento come, ad esempio, le fonti rinnovabili e il ricorso ad altre materie prime.
In conclusione, il nostro giudizio sul DPEF è certamente favorevole. Vi è la necessità di porre ulteriormente l'accento sulla politica energetica del nostro paese, che non ha avuto quelle risposte che, oggi,


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noi crediamo possa ricevere da questo documento di programmazione economico-finanziaria.

PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi previsti per la parte antimeridiana dell'odierna seduta.
Sospendo la seduta che proseguirà, con il seguito della discussione, a partire dalle 15,30.

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