COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 11 gennaio 2006


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 14,15.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione Luca Coscioni, della Società scientifica ANDRIA, dell'Unione donne in Italia (UDI) e della Federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione (FIAPAC).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione Luca Coscioni, della Società scientifica ANDRIA, dell'Unione donne in Italia (UDI) e della Federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione (FIAPAC).
Come è noto, questa indagine conoscitiva, che è stata promossa da alcuni parlamentari, intende, in particolare, soffermarsi sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, che, come è stato anche ricordato, tra gli altri, dal ministro della salute Storace, non si intende modificare.
La richiesta di approfondimenti formalizzata dai proponenti è finalizzata ad acquisire elementi conoscitivi in ordine al collegamento esistente tra i consultori, alla diffusione di questi ultimi, alla loro attività rispetto al rapporto con le donne, soprattutto nella diffusione dell'attività consultoriale come prevenzione sia primaria, ovvero dal punto di vista contraccettivo, sia secondaria, nell'eventualità che vi fossero donne o coppie che decidano di non interrompere la gravidanza. Si intende inoltre esaminare il rapporto tra i consultori e le altre strutture, siano esse di carattere ufficiale, come le strutture assistenziali comunali, ovvero di carattere volontario; inoltre, si intende verificare se tale rapporto rivesta carattere informale, oppure se esso sia istituzionalizzato.
Come è stato rilevato più volte, occorre soffermarsi anche sull'incidenza dell'interruzione volontaria di gravidanza, ed in particolare su quella che riguarda le donne immigrate. Quest'ultimo profilo rappresenta un problema assai «impellente» per la nostra società, dal momento che l'immigrazione è una realtà con la quale dobbiamo sempre più convivere.
Tuttavia, come spesso ci è stato ricordato, le donne che si sottopongono all'interruzione di gravidanza non conoscono la legge italiana e quindi non vi ricorrono, continuando ad attuare l'interruzione volontaria di gravidanza nel proprio ambito in modo clandestino ed attraverso metodi che non sono i migliori.
Darei quindi la parola ad un rappresentante per ciascuna organizzazione, in modo da consentire loro di svolgere una


Pag. 4

breve relazione. Successivamente, i parlamentari presenti formuleranno eventuali domande, alle quali seguiranno le repliche.
Ricordo che, ove gli auditi intendano farlo, può essere utile lasciare agli atti della Commissione memorie scritte o altri documenti.

MANUELA MOLINARI, Membro della Società scientifica ANDRIA. Vorrei in primo luogo ringraziare la Commissione per l'invito rivoltoci. Prima di parlare della legge n. 194 del 1978, credo sia opportuno soffermarsi sulla legge n. 405 del 1975, dal momento che proprio questa affida alla legge n. 194 il compito di prevenire l'interruzione volontaria di gravidanza e, ancor meglio, di tutelare la gravidanza, in modo che essa sia consapevole e responsabile.
Quali sono le specificità dei consultori familiari italiani? Prima di tutto, vorrei ricordare che i consultori italiani sono di base e quindi diffusissimi su tutto il territorio italiano, anche se in maniera non omogenea. Essi sono definibili come «a bassa soglia di accesso», vale a dire che, nella realtà del nostro paese, il consultorio familiare equivale al medico di famiglia o al pediatra di base, che è un'istituzione molto più recente e che è una peculiarità unica del nostro sistema in tutto il mondo.
Un altro profilo importante che occorre ricordare è che si tratta di servizi pubblici e laici: questo ne evidenzia il carattere di grande attualità, perché noi siamo dinanzi ad una società sempre più multiculturale, con persone che professano fedi e valori diversi, tutti egualmente degni di rispetto.
Un altro profilo importante che caratterizza i consultori familiari italiani è rappresentato dal loro carattere di servizio di ascolto: per questa ragione, si parla di «presa in carico globale», come specificità del consultorio. Per comprendere meglio: se noi pensiamo ad istituzioni tradizionali come gli ospedali, constatiamo che in questo caso la gente si presenta per richiedere una serie di prestazioni e, una volta assolte, viene rimandata ad un altro servizio di base rappresentato, ad esempio, dal medico di famiglia. Un'ulteriore specificità dei consultori è dovuta al fatto che si tratta di servizi non direttivi, vale a dire non caratterizzati da comunicazioni orizzontali. Inoltre, non rientrano nello schema che, di solito, contraddistingue la relazione tra il medico ed il paziente: gli operatori dei consultori sono consapevoli da sempre di trovarsi di fronte a persone sane, che sono lì per acquisire competenze.
Questa è la novità esistente già dal 1978 per i nostri servizi: pensiamo soltanto al contributo recente della letteratura scientifica internazionale, soprattutto di origine anglosassone, relativo all'istituto del consenso informato e a quanto questo abbia dato rilevanza al fatto che le persone siano consapevoli e responsabili delle scelte che compiono rispetto al tema della propria salute. Il legislatore, già negli anni '70, aveva anticipato questo concetto.
Occorre poi evidenziare il carattere multidisciplinare dell'équipe, perché l'approccio alla maternità è un approccio integrato e deve esserlo di fatto (probabilmente sotto questo profilo, vi sono problemi nel nostro paese). I consultori infatti seguono la vita della coppia in tutte le varie fasi e non soltanto per l'interruzione volontaria di gravidanza. Essi sono inseriti in un servizio di base rappresentato dal distretto e collaborano con i medici di famiglia e con i pediatri di base.
La particolarità dei consultori familiari è rappresentata dal fatto che, rispetto alle disposizioni legislative attuali, essi presentano una distribuzione ottimale sul territorio: ne esiste infatti uno ogni ventimila abitanti, perlomeno a Mantova dove lavoro come ostetrica; questo ci differenzia anche dalla stessa Lombardia, dove c'è un consultorio ogni cinquantamila abitanti.
Un ulteriore elemento che caratterizza la nostra realtà è che i consultori sono inseriti con i «punti nascita»: mi sembra che tale aspetto sia stato già sottolineato


Pag. 5

dal presidente Palumbo nelle precedenti audizioni. Si tratta di consultori inseriti e collegati in rete rispetto agli ospedali. Questo sicuramente fa in modo che l'utenza si rechi presso le nostre strutture: noi seguiamo quasi il 50 per cento delle gravidanze, come avviene anche in altre realtà del nostro paese.
Cosa fa, nell'ambito del consultorio, l'ostetrica, che è una sorta di gate keeper, nel senso che nella stragrande maggioranza dei casi le ostetriche sono le prime ad accogliere le donne? Cerca fondamentalmente di incontrare la donna, e la coppia, anche se non si tratta di un obbligo di legge: infatti la legge n. 194 del 1978 non chiede di ascoltare anche il padre del concepito. Tuttavia, per noi è cosa buona coinvolgere anche il partner della donna, se questa lo desidera. Cerchiamo di comprendere le ragioni per le quali è rimasta incinta: non chiediamo se intenda abortire, bensì perché è rimasta incinta. È una domanda strategica. Cerchiamo, quindi, di capire quale metodica abbia portato alla gravidanza, che lei sembra non volere (ho riscontrato ultimamente che sempre di più le donne dichiarano il fallimento di un metodo).
L'aborto rappresenta un'ultima spiaggia, non quindi una soluzione alla quale affidarsi fortuitamente. Invece, le donne straniere, che in Lombardia ed in altre regioni del nord e del centro Italia richiedono più del 30 per cento delle interruzioni volontarie di gravidanza, spesso non conoscono neppure la fisiologia della riproduzione; si pongono il problema della contraccezione, ma non conoscono la fisiologia. Vi sono poi problemi di tipo logistico: non abbiamo mediatrici culturali e spesso le donne immigrate non conoscono i nostri servizi; faticano anche ad acquistare la pillola, che costa 12-13 euro al mese.
Cosa fa un'ostetrica dopo avere effettuato una prima analisi? Cerca di capire quale sia il profilo rispetto al quale sostenere, eventualmente, la gravidanza. Questo è il nostro lavoro: sostenere la gravidanza. Se la donna ha un problema di tipo lavorativo, si coinvolgono servizi quale l'ispettorato del lavoro, ovvero i servizi di sicurezza sul posto di lavoro, le assistenti sociali ed anche le associazioni di volontariato. Non vi è alcuna contrapposizione ideologica tra gli operatori dei consultori e i movimenti di volontari, quali essi siano.
Un altro aspetto importante è quello relativo alla pianificazione degli incontri anche con altri operatori dei consultori. Vorrei puntualizzare un profilo: le donne che si recano da noi con una richiesta di interruzione volontaria di gravidanza, sicuramente hanno grossi dubbi nel portare avanti la gravidanza, ma se volessero realmente interromperla, si rivolgerebbero ad un ginecologo privato, non obiettore, che sicuramente non le «tormenterebbe» come facciamo noi: si tratta infatti quasi di attraversare le «forche caudine», tra ostetrica, ginecologo, assistente sociale e psicologo. Qui risiede lo specifico dell'approccio globale e quindi del tipo di risposte che forniamo alla domanda.
È chiaro che l'ostetrica non lavora da sola: la nostra consapevolezza è quella di conoscere bene il nostro lavoro e quello dei colleghi. Questo un altro punto di forza dei consultori.
Un ultimo aspetto sul quale vorrei ritornare riguarda il problema emergente delle donne straniere che ricorrono all'IVG. Spiace dire che in Lombardia, da diversi anni, non leggiamo un report sull'interruzione volontaria di gravidanza. Eppure il contributo regionale è, rispetto a questa problematica, altissimo.

MARINA TOSCHI, Consigliere della Società scientifica ANDRIA. Vorrei brevemente presentare l'associazione che rappresento: la società scientifica ANDRIA lavora da tempo per favorire la collaborazione tra medici ed ostetrici a livello nazionale, nonché la diffusione della evidence based obstetrics, vale a dire l'ostetricia fondata sulle prove scientifiche.
Vorrei soffermarmi su alcuni sintetici punti relativi alla realizzazione di una politica della prevenzione delle interruzioni volontarie di gravidanza: fondamentalmente,


Pag. 6

essa potrebbe realizzarsi attraverso interventi di educazione all'affettività e alla sessualità, in collaborazione con tutte le scuole, da quelle materne, alle elementari, alle medie inferiori e superiori, nell'ambito delle quali si realizzano percorsi formativi anche sul tema della contraccezione oltre che delle malattie sessualmente trasmesse; attraverso studi sulla consulenza contraccettiva, o counselling, sulla contraccezione e sulla sessuologia, sia individuale che di coppia, per promuovere una sessualità soddisfacente, oltre che una maternità e una paternità responsabili per un'utenza che va dal periodo dell'adolescenza sino alla menopausa; attraverso consulenze contraccettive a carattere collettivo per gruppi di persone: giovani e meno giovani, in fase pre matrimoniale, che richiedano un supporto degli operatori sia per prevenire le gravidanze o le malattie sessualmente trasmesse, sia per parlare della fisiologia degli apparati o della sterilità; attraverso incontri dedicati al tema della pianificazione familiare nell'ambito dei corsi di preparazione al parto e alla nascita.
Un altro punto è rappresentato dalle consulenze contraccettive nell'ambito dell'assistenza domiciliare ed in puerperio alla madre ed al bambino: un servizio che nel nostro paese non è ancora sufficientemente diffuso, mentre andrebbe incentivato anche al fine dell'allattamento materno, e dalle consulenze sulle metodiche contraccettive nella donna e nella coppia in età fertile, durante il pap test, che rappresenta l'unico momento nel quale le donne vengono chiamate in modo attivo e personalmente invitate a recarsi al consultorio. Può quindi essere un'ottima occasione per parlare della contraccezione.
Vi sono poi la visita ed il controllo successivi all'interruzione volontaria di gravidanza, in accordo con gli ospedali, che offrono attivamente le metodiche in modo gratuito e favoriscono l'inizio della contraccezione, specialmente ormonale, fin dalla sera dell'intervento. In seguito, occorre realizzare incontri dedicati al tema della pianificazione familiare all'interno dei centri di accoglienza per donne e bambini stranieri o nei luoghi di aggregazione delle diverse comunità, specialmente insieme alle mediatrici culturali.
Un altro punto riguarda gli «spazi adolescenti», che in alcune aziende sono presenti e nei quali si possono tenere colloqui al fine di spiegare i metodi contraccettivi. Un ultimo punto - non per importanza - è quello della gratuità delle consulenze rispetto alla pianificazione familiare, cosa che non avviene in tutta l'Italia.
Gli interventi che riteniamo strategici per la prevenzione sulla interruzione volontaria di gravidanza sono rappresentati dagli sportelli di ascolto nelle scuole; dalla gratuità delle consulenze; dalla distribuzione, garantita in ogni distretto entro le ventiquattro ore, dei contraccettivi d'emergenza, che negli altri paesi europei è un prodotto «over the counter», mentre in Italia necessita di una ricetta medica. In ogni Azienda sanitaria locale andrebbe organizzata una rete tra consultori ed ospedali per rispondere a questa specifica domanda di contraccezione d'emergenza.
Come si ricordava, non tutte le Asl effettuano annualmente un ragionamento sulla interruzione volontaria di gravidanza, mentre sarebbe invece opportuno individuare momenti collegiali in cui gli ospedali e i presidi territoriali possano approfondire la tematica dell'IVG in base all'attività svolta e ipotizzare eventuali interventi necessari.
Occorre poi coinvolgere il consultorio nel percorso di scelta informata della donna per una effettuazione, ove possibile e ove richiesto, dell'interruzione volontaria gravidanza medica, vale a dire dell'RU 486.
È inoltre necessario omogeneizzare la rete consultoriale, che manca in molte zone d'Italia e riconoscere la professionalità di persone che, da più di trent'anni, lavorano nei consultori e spesso vedono il loro lavoro relegato al rango di «serie B».


Pag. 7


Occorrono poi la presenza di tutte le figure professionali previste nel POMI, ovvero dell'équipe di base consultoriale, e l'individuazione di una figura responsabile a livello di distretto o di Asl nel servizio consultoriale: spesso infatti i servizi sono abbandonati a se stessi. Vi è poi l'esigenza di assicurare la presenza di mediatrici linguistico-culturali di tutte le etnie presenti, per favorire l'accesso e la capacità di risposta all'utenza straniera; occorre formare in modo continuo sul tema della contraccezione in base alle evidenze scientifiche i medici di medicina generale oltre agli operatori dei consultori e a quelli ospedalieri, che non sempre sono informati su tutte le metodiche.
Bisognerebbe poi prevedere il tirocinio formativo obbligatorio nei servizi consultoriali per le nuove generazioni di operatori socio-sanitari perché i medici e i ginecologi, molto spesso, non hanno mai visto un consultorio e hanno soltanto una mentalità ospedaliera, mentre nei consultori si lavora in rete, attraverso il rapporto con il territorio, i comuni, le comunità, i servizi di igiene mentale, i medici di base, i pediatri di libera scelta e così via.
Vogliamo concludere suggerendo altre ipotesi di indagini conoscitive. Perché occuparsi solo dell'IVG quando in proposito in Italia registriamo uno tra i dati migliori d'Europa, se non del mondo? Siamo uno dei paesi in cui l'IVG è studiatissima ed è prevista una relazione annuale al Parlamento. Perché non proporre un'indagine conoscitiva sull'educazione sessuale nelle scuole, sul numero dei consultori effettivamente presenti, un'indagine sul livello di conoscenza dei servizi consultoriali da parte della popolazione e dei medici di base, che spesso non li conoscono? Perché non proporre un'indagine conoscitiva sull'«epidemia» di tagli cesarei, che affligge il sud del nostro paese, con una percentuale del 66 per cento in Campania, e che rende l'Italia il paese con il più alto tasso di tagli cesarei in Europa e tra i primi nel mondo?
Inoltre, occorre potenziare la cultura della contraccezione. La contraccezione ormonale potrebbe essere un farmaco etico, come sostiene l'OMS e i media potrebbero svolgere un ruolo di informazione in tutte le lingue, coinvolgendo anche l'utenza straniera. La campagna di promozione dell'uso del profilattico femminile può essere utile (ci risulta che la maggior parte dei colleghi medici non ne conoscono nemmeno l'esistenza). In Italia il farmaco non è ancora commercializzato, mentre nel resto d'Europa viene venduto ad un prezzo politico all'interno di alcuni servizi. Occorre che il Ministero della salute si attivi per reintrodurre in commercio, ad un prezzo accettabile, spermicidi e diaframmi, da anni fuori commercio solo nel nostro paese.
Concludendo, vorremmo affermare che il personale sanitario e psicosociale dei consultori italiani non è astrattamente favorevole o contrario all'aborto. Gli operatori sono più semplicemente contrari al ritorno all'aborto clandestino, che la legge n. 194 ha sicuramente combattuto, sino alla quasi totale scomparsa. Gli operatori auspicano inoltre che nel nostro paese si possano esercitare i diritti alle scelte riproduttive che sono garantiti e diffusi nel resto d'Europa, rispetto ai quali invece stiamo costantemente arretrando.

PRESIDENTE. Pregherei i nostri ospiti di limitare i tempi dei loro interventi. Prima di cedere la parola all'onorevole Marco Cappato, vorrei fare un'osservazione. Tutte le cose dette possono essere giuste. Si possono sicuramente proporre molte altre indagini conoscitive, ma in questo caso dovremmo finalizzare gli interventi, se possibile, all'oggetto di questa indagine conoscitiva. Sappiamo che i consultori svolgono molte funzioni positive, ma dai dati che ci sono stati presentati, risulta che soltanto il 30 per cento delle donne che ricorrono all' interruzione volontaria di gravidanza si rivolge ai consultori, mentre il 70 per cento utilizza altri canali.

MARCO CAPPATO, Segretario dell'Associazione Luca Coscioni. Grazie, presidente, per la scelta non scontata - legittimamente


Pag. 8

messa in discussione da membri della Commissione - di invitare questa associazione, che voglio presentare. Si tratta dell'associazione per la libertà di ricerca scientifica ma anche per la libertà terapeutica di accesso ad alcuni servizi e impegnata proprio sui temi oggetto di questa indagine. Il ministro della salute Francesco Storace, in sede parlamentare, rispondendo alla domanda sul perché si sia arrivati così tardi a quest'indagine, ha detto che il dibattito in proposito è iniziato a settembre, quando un signore ha deciso di sperimentare all'ospedale Sant'Anna di Torino la cosiddetta pillola abortiva. Siccome questo signore, che si chiama Silvio Viale, è nel consiglio generale dell'associazione Coscioni, insieme a tre membri del comitato nazionale di bioetica, gli darei subito la parola per presentare il punto di vista della nostra associazione.

SILVIO VIALE, Consigliere dell'Associazione Luca Coscioni e ginecologo dell'Ospedale Sant'Anna di Torino. Ringrazio il collega Cappato e il presidente per questo invito. Entrerò subito nel merito delle questioni. Questa indagine è stata deliberata dopo venti anni di silenzio. Della questione della legge n. 194 e dei problemi ad essa collegati in questi vent'anni, come dice sempre Casini, ce ne siamo occupati in pochi.
Ce ne occupiamo ora, dopo diversi anni di polemiche, curiosamente proprio nell'anno in cui l'Organizzazione mondiale della sanità ha inserito il mifepristone, che è il nome della pillola 486, e il misoprostolo, che è il secondo farmaco utilizzato, tra i farmaci essenziali. Non parlerò della pillola 486, perché si tratta di una questione prettamente clinica. Peraltro la legge n. 194 non ne impedisce l'uso, poiché non limita i metodi chirurgici o medici. In Piemonte gli assessori alla sanità di Alleanza nazionale, hanno sempre evitato di intromettersi nella questione sanitaria e medica e il consiglio regionale del Piemonte non ha mai discusso né in passato, quando governava il centro-destra, né adesso, con al governo il centro-sinistra, la questione della pillola abortiva, perché si tratta di una questione prettamente sanitaria. Questa vicenda è la spia di come in questi anni la legge n. 194 non sia stata applicata su moltissimi fronti, non solo su quello della prevenzione ma anche su quello della certezza dei tempi e dei modi di attuazione. Esiste una disomogeneità a livello nazionale e partirei da un esempio recente. Qualche giorno fa mi ha chiamato il genitore di una ragazza di 14 anni, di una regione del sud, dicendomi che aveva scoperto che la ragazza era incinta di tredici settimane, e che il medico, un obiettore, aveva negato la possibilità di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza. Recatosi in ospedale gli avevano detto che era tardi, ma che forse si poteva ricorrere ad altre metodiche. Ho ritenuto, quindi, di invitarli a venire a Torino, dove è stato effettuato l'intervento, che rientrava nell'ambito dei 90 giorni prescritti per legge, con il consenso di entrambi i genitori. Stiamo parlando di una ragazza di 14 anni: sfido chiunque a porsi anche soltanto per un attimo nei panni di questi genitori. Non è possibile che la legge venga applicata in maniera diversa a seconda della regione in cui si vive, ma in realtà purtroppo questa è la regola. A seconda di dove ci si trova, esistono procedure differenti e si è in balia di operatori e di medici che spesso sono obiettori. Si è abbandonati ai volontari e a chi applica la legge. Amo definirmi un umile servitore dello Stato perché sono uno dei pochi (siamo tra i seicento e gli ottocento medici) che applicano la legge praticando gli aborti. Non ne sono orgoglioso, né me ne vergogno. Se in questo paese non ci fossero queste centinaia di medici che applicano la legge non ci sarebbe la possibilità di ricorrere all'aborto; d'altro canto, non esiste alcuna norma che imponga al medico di intervenire. Si tratta di una questione rimasta aperta in questi anni.
Un altro aspetto preoccupante è che non esiste sul tema una letteratura scientifica in Italia; esiste a livello internazionale, ma in Italia c'è molto poco. Ciò è


Pag. 9

indice del disinteresse che le amministrazioni pubbliche e sanitarie hanno avuto nei confronti del più importante, per numero, intervento chirurgico femminile degli ultimi anni, superato soltanto da pochi anni dal taglio cesareo. Se sommiamo i 70 mila aborti spontanei ed i conseguenti interventi strumentali di svuotamento dell'utero, ci rendiamo conto che è un problema di sanità. Il perché in Italia in questi anni vi sia stato un disinteresse nei confronti di questo aspetto della sanità è inspiegabile, anche perché la sua distribuzione sul territorio è eterogenea. Si dice che la legge n. 194 abbia funzionato perché ha ridotto il numero di aborti. In realtà è stata la società a ridurli. Negli ultimi venti anni tra le italiane la riduzione è stata del 56 per cento (dal 1995 ad oggi, la riduzione è ancora più sensibile). Se consideriamo anche gli aborti clandestini, la riduzione è stata del 65 per cento, secondo i dati ISTAT (che però fanno riferimento al momento della dimissione, per cui per alcuni aspetti non hanno un valore significativo).
Il presidente ha posto la questione delle donne immigrate, per le quali si registra un tasso di natalità e di abortività superiore a quelli delle donne italiane: il tasso di abortività è di circa quattro volte quello delle donne italiane, mentre, tenendo conto del fatto che l'immigrazione è composta prevalentemente da donne in età fertile, il tasso di natalità è di tre volte superiore a quello delle donne italiane. C'e comunque una differenza tra le donne dell'est, nei cui paesi l'aborto è legale (tranne la Romania) e le donne di derivazione africana, asiatica e latinoamericana, paesi dove l'aborto è vietato e la mentalità delle donne immigrate è invece abortista. Culturalmente queste donne pensano all'aborto clandestino, che in quei paesi viene praticato farmacologicamente, con il misoprostolo. In Italia la loro situazione non è così drammatica, perché nel giro di pochissimo tempo le donne immigrate si adattano al sistema italiano: in un rapporto redatto dall'ospedale Sant'Anna di Torino emerge il fatto che in cinque anni le comunità straniere si adattano alle abitudini italiane. Quindi, la situazione delle donne immigrate non è drammatica in sé, ma lo è perché il sistema non è in grado di svolgere i compiti educativi e di orientamento che dovrebbero essere rivolti anche alle donne italiane. La contraccezione ormonale è diminuita anche tra le donne italiane negli ultimi anni e c'è una situazione di generale rilassatezza.
Da dati dell'ISTAT risulta che gli aborti, per il 15 per cento, sono ancora clandestini, prevalentemente nelle regioni del sud. Per quale motivo? Il ricorso all'aborto è ormai un incidente di percorso, tant'è vero che è diminuito tra le donne sposate e le conviventi stabili. Capita nel momento in cui chi rimane incinta senza volerlo non sa cosa fare. Spesso la donna si vergogna non tanto di ricorrere all'aborto ma del fatto che sia rimasta incinta. Molto spesso soluzioni paralegali o clandestine, a pagamento limitato, vengono preferite. Sia a Torino che nel sud sono stati scoperti colleghi ginecologi che praticavano aborti clandestini.
Per quanto riguarda la prevenzione, desidero sottolineare che essa può essere primaria, secondaria e terziaria. La prevenzione terziaria è sporadica; la prevenzione primaria è completamente assente. Il problema è di ridurre il numero di gravidanze indesiderate in maniera tale da ridurre il numero di aborti. Sappiamo che il 50 per cento delle gravidanze indesiderate finisce con l'aborto, un dato questo abbastanza costante, indipendentemente dai sistemi; invece, coloro che hanno voluto la gravidanza ricorrono all'aborto dopo un'indagine prenatale che ha lo scopo fondamentale di individuare i feti malformati, per i quali la donna spesso decide l'interruzione di gravidanza.
I tempi previsti dalla legge n. 194 non sono rispettati. La legge stabilisce che se c'è il certificato d'urgenza si provvede subito all'interruzione, mentre con un documento ordinario, trascorsi sette giorni, si interrompere la gravidanza. In realtà passano quindici giorni dalla certificazione all'interruzione di gravidanza, ma dalla


Pag. 10

richiesta della donna, considerando i tempi dell'appuntamento, che superano le tre settimane, si arriva addirittura ad un mese di attesa, che rappresenta la media nazionale. Questa cattiva applicazione della legge è dovuta ad un sistema che si è ormai organizzato in tal modo. Incide, inoltre, negativamente l'assenza di conoscenza e di aggiornamento del personale specializzato.
Occorre affrontare anche la questione dell'obiezione di coscienza, che deve essere tutelata, ma lo Stato deve comunque garantire la certezza dell'intervento. Se coloro che operano in questo settore decidessero tutti insieme di non applicare più l'interruzione volontaria di gravidanza, nessuno potrebbe sottoporsi all'aborto. Tutti sappiamo che l'obiezione di coscienza, tranne pochi casi, è un modo per non fare ciò che dai medici è percepito come un lavoro in più. La stragrande maggioranza dei colleghi consigliano la diagnosi prenatale e suggeriscono l'interruzione volontaria di gravidanza indirizzando la donna ad altri colleghi.
Credo che occorra in qualche modo affrontare il discorso della prevenzione come prevenzione primaria, per il profilo relativo alla contraccezione e soprattutto alla contraccezione d'emergenza, con l'abolizione della ricetta. É paradossale che per la contraccezione normale sia sufficiente una ricetta ripetibile, mentre per la contraccezione d'emergenza, che ha un più basso dosaggio ormonale, sia necessaria una ricetta nominativa e non ripetibile. Anche la prevenzione secondaria, che il ministro Storace ha in qualche modo adottato negli ultimi mesi (nessuno aveva mai adottato provvedimenti di quel tipo), mi lascia perplesso. La legge n. 194 non permette il colloquio senza il consenso della donna. Non solo la convenzione di Oviedo ma anche la normativa sul consenso informato e sulla privacy impediscono di sottoporre la donna ad un trattamento sanitario senza il suo consenso. Per cui se non interviene una modifica della legge, nessuno può obbligare la donna ad avere colloqui diversi da quelli con il medico. Se la donna si rifiuta, nessuno la può obbligare.
Su tali aspetti la Commissione ha fatto bene ad avviare l'indagine, tuttavia, credo che si tratti di un'indagine parziale e forse un po' strumentale, come hanno detto in tantissimi. A mio avviso la Commissione avrebbe dovuto avere il coraggio (spero che nella relazione finale sia affermato) di ampliare l'indagine a tutti gli aspetti della legge n. 194 del 1978, a tutte le parti che non sono state attuate.
Lavorando in un grande ospedale, dove avvengono 8 mila 680 parti l'anno e quasi 4 mila interruzioni di gravidanza, entro il novantesimo giorno, mi sono permesso di indagare su una curiosità. Ho controllato le ultime 2.526 prenotazioni e 290 donne, circa l'11,5 per cento, non si sono presentate per l'intervento: di queste signore che hanno preso un appuntamento e che hanno prenotato l'aborto, una buona parte quindi ha cambiato opinione.

PRESIDENTE. Come lo avete appurato?

SILVIO VIALE, Consigliere dell'Associazione Luca Coscioni. Per moltissime donne è stato appurato, seguendone poi la gravidanza; altre invece me l'hanno riferito personalmente: non obblighiamo nessuna donna ad abortire, se ha cambiato idea e non vuole più fare l'intervento.

PRESIDENTE. Una domanda che spesso viene posta riguarda la percentuale delle donne che cambiano idea. Si tratta di un dato difficile da valutare.

SILVIO VIALE, Consigliere dell'Associazione Luca Coscioni. Il dato è estemporaneo. Infatti, una parte avrà abortito, un'altra parte l'avrà fatto successivamente; tuttavia, almeno la metà ha cambiato opinione. Tale stima è confortata dal fatto che negli ultimi tre mesi su 130 donne prenotate per l'aborto farmacologico, un centinaio l'ha eseguito, ma almeno otto donne hanno cambiato opinione.


Pag. 11

GIULIO CONTI. Lei è intervenuto?

SILVIO VIALE, Consigliere dell'Associazione Luca Coscioni. Se posso intervengo, ma rispetto la decisione della donna. Ogni volta che esiste la minima possibilità di evitare l'intervento, nel caso in cui la donna esprima un dubbio di qualunque tipo, inserisco nella procedura gli strumenti più opportuni che vanno dall'aiuto dello psicologo ad un ulteriore colloquio. Ciò che non faccio è intervenire sulle questioni personali, familiari e sociali della persona, dove non ho potere. Non posso intervenire per risolvere una situazione economica disagiata, trovando eventualmente un lavoro.
La mia stima coincide sostanzialmente con quella fornita dall'Istituto superiore di sanità: dal 5 all'8 per cento delle pazienti modifica la propria scelta, tenendo conto dell'attuale organizzazione ospedaliera.
In questi anni sono stati stimati circa 4 milioni e settecentomila aborti, ma in realtà sono di più, perché è necessario aggiungere un milione di aborti clandestini, senza tener conto delle donne che vanno ad abortire all'estero, in Olanda, in Spagna e anche in Francia, dove la legislazione fino a poco tempo fa era più restrittiva.
Riferisco tali dati per sottolineare il fatto che l'affermazione che in altre condizioni tali interruzioni di gravidanza non ci sarebbero state, per cui avremmo avuto un identico numero di nascite, appare una forzatura. Infatti, il numero di figli che si sceglie di avere è frutto di una pianificazione costante. Sostanzialmente, le nostre scelte riguardanti i figli sono scelte personali in cui il numero è già definito. Non si tratta di una situazione per cui più volte la donna rimane incinta più figli avrà nel futuro. Su tale aspetto si registra un andamento costante in tutti i paesi occidentali.
La notevole riduzione dell'aborto è stata riscontrata in tutti i paesi in cui il fenomeno è stato legalizzato ed esiste la prevenzione: prima del 1978, non esisteva prevenzione, la quale è nata dopo la legalizzazione dell'aborto.
Suggerirei alla Commissione di ampliare il tema dell'indagine, al fine di modificare una legge vecchia di trent'anni e precedente la nascita del Servizio sanitario nazionale: cambiato il sistema, sarebbe opportuno adeguare la normativa ai nuovi tempi, pur mantenendone lo spirito.

PRESIDENTE. Abbiamo ascoltato quello che gli psicologi definiscono il programma procreativo che ogni donna definisce durante la sua vita ed a mio parere tale aspetto non riguarda la scelta di abortire o di procreare.

MIRELLA PARACHINI, Membro del consiglio direttivo della FIAPAC. Condivido l'intervento del collega Viale ed auspico che la Commissione, a cui va dato atto di aver audito gran parte degli operatori sanitari e sociali che hanno competenza sul tema in esame, faccia fruttare tale impegno, valutando attentamente le analisi compiute e non ripetendo l'errore prodotto per la legge riguardante la fecondazione assistita, che ha visto l'audizione di molti soggetti competenti, senza tuttavia riportare il loro significativo contribuito nella formazione della legge stessa. Il che significa che non sempre il lavoro della Commissione e la qualità delle audizioni condizionano il risultato finale.
Sono un ginecologo dell'ospedale San Filippo Neri, uno dei tre ospedali di Roma che si occupano di interruzione volontaria di gravidanza, e faccio parte della FIAPAC. Grazie a tale incarico, ho potuto conoscere il mondo scientifico internazionale che si occupa di interruzione volontaria di gravidanza. Da tale confronto ho potuto verificare come in Italia sia estremamente carente la posizione del mondo scientifico, in particolare, ginecologico, sull'aborto farmacologico, che rappresenta uno degli interventi più praticati nell'ambito della ginecologia internazionale. Consentitemi allora di suggerire alla Commissione di includere tra le sue priorità, la denuncia


Pag. 12

di una importante carenza del nostro paese: laddove esiste una legislazione che consente l'interruzione volontaria di gravidanza, il nostro paese è uno di quelli che non riconoscono tale pratica. Le linee guida delle maggiori società scientifiche considerano tale intervento come la migliore procedura.
Il ministro Storace, intervenendo in Commissione, ha dichiarato: «Se l'aborto farmacologico, rispetto a quello chirurgico, è un'alternativa sicura per la donna, avete ragione voi (rispondendo all'onorevole Valpiana), ma voglio esserne sicuro». Ebbene, ministro Storace e voi tutti membri della Commissione, vi assicuro che la letteratura internazionale da questo punto di vista non solo indica tale metodo come sicuro, ma lo raccomanda nelle prime settimane di gravidanza.

GIULIO CONTI. Sono soprattutto le aziende farmaceutiche a sostenerlo.

MIRELLA PARACHINI, Membro del consiglio direttivo della FIAPAC. Le aziende farmaceutiche guadagnano molto poco da tale procedura: il costo della pillola abortiva è pari a 70 euro. È importante considerare che la scelta farmacologica comporterebbe una notevole riduzione dei costi sanitari (ringrazio l'onorevole Conti per l'interruzione).
Desidero inoltre portare alla vostra attenzione una serie di articoli di giornale, che lascerò come documentazione per la Commissione, in cui si denuncia la lunghezza delle liste di attesa per l'interruzione di gravidanza, che anche le relazioni annuali del Ministero della salute sottolineano. Sono rimasta stupita allorché ho saputo dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, in quanto nel 2000, come operatore, sono stata interpellata dall'Assessorato alla sanità della regione Lazio, che all'epoca vedeva come presidente regionale l'attuale ministro della salute Storace. Infatti, la stessa regione sollecitava gli ospedali, nei quali si applicava la legge, a ridurre le liste d'attesa, proprio in seguito alla campagna di stampa che denunciava i tempi di attesa enormi. Vi prego di considerare che nelle strutture della regione Lazio esiste una quantità di ospedali in cui il servizio non è assolutamente attivato.
Ciò che lascia ancora più perplessi, entrando nella questione delle statistiche dei grandi ospedali, è l'esempio di Latina, in cui ci sono numerose carenze per quanto riguarda l'erogazione del servizio. Ancora più incredibili sono i dati riscontrati a Frosinone, dove si garantisce una seduta settimanale che fornisce solo tre interruzioni di gravidanza. All'ospedale di Rieti si garantisce una seduta settimanale con quattro interruzioni. Tali cifre rivelano ciò che succede alla paziente che vuole andare all'ospedale di Frosinone o di Viterbo o di Rieti o di Latina. Infatti, se in una settimana solo tre o quattro donne riceveranno una risposta e potranno quindi interrompere la loro gravidanza, dove andranno a finire tutte le altre donne? Una Commissione d'indagine dovrebbe assolutamente approfondire tali dati (ma altri ce ne sono più recenti che vanno al di là della regione Lazio). Riporto ad esempio il dato denunciato dal ginecologo responsabile della legge n. 194 del 1978 presso la clinica Mangiagalli di Milano, che presenta nel mese di dicembre 2005 un aumento del tasso di obiezione di coscienza tra i ginecologi milanesi: due medici su tre sono obiettori, e stiamo parlando di una realtà tra le più positive del paese. È importante che la Commissione esamini tali statistiche, presentate anche dall'ISTAT.
Sulla necessità di verificare le funzioni del consultorio, desidero ribadire ciò che è già stato detto da altri colleghi. Pensare che un deficit di attuazione dei compiti attribuiti alle figure professionali che esistono nei consultori possa essere colmato introducendo altre figure non previste dalla legge, è un modo errato di procedere. Vi ricordo che l'articolo 3 della legge 29 luglio 1975 n. 405, che ha istituito i consultori nel nostro paese, fa riferimento al personale di consulenza e di assistenza che deve essere in possesso di titoli specifici. Secondo me l'eventuale carenza di


Pag. 13

professionalità dell'operatore di consultorio non si corregge aggiungendo altre figure non professionali. Come diceva la dottoressa Toschi, in osservanza dell'articolo 15 della legge n. 194 del 1978, potrebbero anche essere ampliati i corsi di aggiornamento e di preparazione del personale qualificato. Ricordiamo però che la regola prima del counselling - una parola anglosassone intraducibile il cui significato non corrisponde al mero consulto tecnico, ma al prendersi carico del problema della persona - impone il rispetto della dignità e dell'autonomia del soggetto che vuole accedervi.
Permettetemi di concludere il mio intervento accennando alla terribile confusione che si fa tra prevenzione di gravidanze non desiderate e dissuasione. Il dottor Viale è entrato nel merito della questione, quindi non ne riparlerò, comunque credo sia veramente importante non confondere i vari livelli su cui ci si muove. Al ministro Storace vorrei far sapere che se fosse stata fatta prevenzione contraccettiva non avremmo avuto 400 mila bambini in più, ma 400 mila aborti e 400 mila gravidanze non desiderate in meno.
Ero molto in dubbio se introdurre o meno questa riflessione nell'ambito della Commissione, però lo voglio fare a titolo del tutto personale. Gli operatori - o chiunque abbia esperienza in tema di interruzione volontaria di gravidanza - possono confermarvi che nel corso di tutti questi anni hanno dovuto subire un curioso atteggiamento di doppia morale. Voglio dire che molto spesso veniamo sollecitati, anche direttamente, da personalità e da personaggi che pubblicamente si esprimono contro la legge n. 194 del 1978, a favorire situazioni personali; non so quanto sia giusto moralmente che, in quanto non obiettore, io debba coprire la doppia morale degli altri. Certamente non voglio fare dei processi morali: ho combattuto per l'obiezione di coscienza nel nostro paese a livello di servizio militare, quindi rispetto la clausola sull'obiezione di coscienza nel nostro paese, anche se si rimane profondamente turbati e colpiti dall'esistenza di questa doppia morale che molte volte riguarda anche personaggi assolutamente pubblici e con incarichi istituzionali.

PRESIDENTE. Do ora la parola alla dottoressa Pina Nuzzo, delegata nazionale dell'UDI.

PINA NUZZO, Delegata nazionale dell'UDI. Ci fa molto piacere questa riflessione poiché siamo un'associazione di donne che ha fortemente voluto la legge n. 194 del 1978 e siamo tranquille sul fatto che essa ha avuto un esito molto importante per il paese.
Come diceva il dottor Viale, la prevenzione è stata possibile grazie a questa legge ed aggiungo che, attualmente, la percezione delle donne riguardo all'aborto è completamente diversa da quella che ha rispecchiato la nostra generazione.
Non mi dilungherò molto poiché dopo di me parlerà la dottoressa Laura Piretti. Volevo solamente ricordare che in occasione del congresso tenutosi nel 2003, la declinazione del nostro acronimo (UDI) è stata modificata: da Unione donne italiane si è passati alla dizione Unione donne in Italia. Infatti, con il passare del tempo le donne straniere si sono sempre di più avvicinate a noi per avere un aiuto, un consiglio, un sostegno, poiché si sono trovate anche loro nella necessità di abortire o, comunque, di fare riferimento a leggi del nostro paese; la nostra pratica è stata sempre molto legata al territorio e al rapporto con le donne.
Subito dopo l'approvazione della legge n. 194 ed il successivo referendum abbiamo accompagnato molte donne negli ospedali e nei consultori. Questo lavoro è continuato negli anni e il rapporto con le donne non ha conosciuto interruzioni al punto tale che, nel novembre del 2005, abbiamo deciso di promuovere un convegno che riprendesse questo lavoro sotterraneo - carsico e, in parte, poco visto e vissuto all'esterno - utile a restituire sapienza alle donne circa questa esperienza. Proprio su questo tema lascio volentieri la parola alla dottoressa Laura Piretti.


Pag. 14

LAURA PIRETTI, Membro del Coordinamento nazionale dell'UDI. Signor presidente, intanto vorrei far presente che, pur facendo parte del coordinamento nazionale dell'UDI, non sono né una psicologa, né una ginecologa, né un'operatrice di consultorio, né un'ostetrica: abito a Modena, insegno all'università e mi occupo di India classica. Ho detto questo perché credo che la mia sia la voce delle donne del movimento, delle associazioni femminili. Il nostro rappresenta un punto di vista sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, sui consultori e su questo dibattito. Si tratta dell'opinione di chi, secondo il ministro Storace, dovrebbe svolgere una funzione di supporto per le gravidanze difficili nell'ambito dei consultori: facciamo parte di quell'associazionismo laico in rete con i consultori.
Per quanto riguarda la legge n. 194 del 1978 e la prevenzione dell'aborto, affermo che il linguaggio è importante perché è anche contenuto e su di esso insistono tutti i nostri documenti e tutte le nostre riflessioni. Neanche una virgola della legge fa riferimento al concetto di dissuasione poiché viene contemplata solamente la prevenzione. Si possono poi prevenire le gravidanze indesiderate, oppure si può anche cercare di evitare un aborto se si riescono a individuare e, eventualmente, a rimuovere le cause che lo determinano: lo ribadiamo ovunque e ci teniamo particolarmente, però pensiamo che non sia messo in evidenza abbastanza. Crediamo, quindi, che sia utile segnalarlo alla Commissione perché, altrimenti, sarebbe difficile capirsi; infatti, se si parla di prevenzione, ma si intende dissuasione, allora è evidente che ci possono essere delle differenze. La contrarietà alle pratiche di dissuasione non nasce da un'avversione al fatto che il consultorio sia in rete con il sociale e con le opportunità che vengono offerte per sostenere le maternità difficili, perché sia l'UDI sia l'associazionismo in generale sono soggetti direttamente interessati a questo aspetto; infatti, siamo forniti di telefoni a sostegno delle donne, di punti informativi e di tutto quello che si può immaginare per essere in rete con i consultori.
Un'altra questione pertinente alla rete riguarda il linguaggio; infatti, se si legge bene la normativa, ci si rende conto che non è previsto l'ingresso di associazioni o di elementi esterni sia nel consultorio sia nel percorso che la donna deve fare, mentre è presente il concetto della rete, cioè del supporto anche tramite convenzioni. Noi siamo particolarmente sensibili a questo punto che fa la differenza poiché va incontro all'esigenza di avere a disposizione personale qualificato - senza rischi di improvvisazioni - e più rispettoso nel momento del colloquio e del percorso che la donna deve fare; infatti, tutte le pratiche di prevenzione nascono dalla capacità del consultorio di far fronte ai propri impegni.
Giustamente la legge n. 194 del 1978 individua nei consultori gli strumenti più importanti per l'applicazione della legge, ma questi sono stati istituiti prima che venisse varata tale legge e, comunque, indipendentemente da essa; infatti, hanno tutta una serie di ulteriori compiti come l'informazione e l'educazione di tipo contraccettivo, sui quali richiamiamo l'attenzione perché preventivi rispetto all'aborto. A tal proposito intendiamo mettere in particolare rilievo il rischio che in questo modo, anche i consultori che funzionano riducano e peggiorino le prestazioni loro affidate, compresa la prevenzione. Io vengo da una realtà, quella di Modena, in cui i consultori hanno un forte peso, ma posso assicurarvi che questo rischio esiste; infatti, se non si riesce a fare fino in fondo quello che si potrebbe fare sul versante della prevenzione, ciò è dovuto al fatto che su tutta la partita dell'educazione sessuale e sulla contraccezione i consultori rischiano, per le difficoltà attuali, di trovarsi in una fase recessiva.
La nostra richiesta allora è quella di avere una grande attenzione per la contraccezione del giorno dopo e anche per la questione dell'obiezione di coscienza rispetto a questi contraccettivi che vengono considerati abortivi per motivi ideologici


Pag. 15

che in questo momento non dobbiamo discutere. Siamo dunque assolutamente preoccupate per il discorso del «due più due uguale quattro» del ministro Storace - non credo sia stata una interpretazione errata del suo pensiero perché non c'è stata nessuna smentita - secondo cui una mancata contraccezione o addirittura una negata contraccezione porta direttamente ad una nascita, mentre - come diceva chi mi ha preceduto - è più facile che conduca ad una interruzione di gravidanza. Proprio per potenziare la prevenzione dell'aborto, pensiamo che vada posta la massima attenzione su questo tipo di contraccezione di emergenza che, oltretutto, è quella che tocca le fasce più deboli, cioè sia le giovanissime sia le persone che hanno degli standard di vita che non consentono una contraccezione precisa.
Ribadiamo però che la questione della prevenzione dell'aborto è qualcosa di assolutamente più ampio; infatti, nella piattaforma «Generare oggi tra precarietà e futuro», che stiamo distribuendo e che presenteremo in tutte le sedi possibili, insistiamo sul fatto che i sostegni alla maternità rappresentano l'unica seria prevenzione all'aborto, che è ritenuto comunque una sconfitta. Per questo motivo ci è difficile capire un tipo di politica così disarticolata che, da una parte, presta attenzione ai non nati come nati e, dall'altra, ha poco interesse verso quella che è la precarietà della vita delle donne, la precarietà nel lavoro che sposta in avanti l'età feconda, producendo anche il problema della sterilità.
Siamo convinte che - questo è l'invito o, comunque, il suggerimento e le note che io posso fare a questa Commissione - nel nostro paese ci sia bisogno di una prevenzione primaria rispetto all'interruzione di gravidanza, tenendo conto che i sostegni alla natalità devono essere sostegni dati alla donna che fa i figli, considerando l'ordine sociale, lavorativo e culturale perché questa è la cosa più importante, come abbiamo potuto rilevare dagli incontri che abbiamo avuto con giovani donne che, tra l'altro, sono in età feconda e all'inizio del loro percorso lavorativo. Questa «donna in saldo» come ci diceva un gruppo di ragazze che aderiscono alla manifestazione di sabato prossimo a Milano, è interessata soprattutto al problema della precarietà del lavoro che - secondo noi - è fondamentale.
Ritornando ai consultori, luoghi molto cari alle donne e utili per la loro salute, mi chiedo: perché affidare solo ad essi la prevenzione dell'aborto? Se noi affidiamo soltanto ai consultori quel 30 per cento di interruzioni di gravidanza, tutto il percorso preventivo e la responsabilità preventiva rispetto all'aborto, senza prestare la minima attenzione ai luoghi dove gli interventi vengono eseguiti e senza accertarci se in quelle sedi si faccia o no contraccezione, succederà che le donne che devono fare un'interruzione di gravidanza si recheranno direttamente in questi luoghi, perché nei consultori devono seguire un percorso più faticoso. In questo modo rischiamo di far diventare i consultori dei «luoghi pesanti». Pur ritenendo che la prevenzione dell'aborto sia qualcosa di importante, pensiamo che non sia una attività da demandare solo ai consultori.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre delle questioni o richiedere dei chiarimenti.

LUANA ZANELLA. Ringrazio i nostri ospiti per i loro interventi autorevoli ed interessanti che ci hanno fornito ulteriori elementi di riflessione e approfondimento.
Credo che tra i temi su cui dovremmo soffermarci - nei limiti dei tempi di indagine a noi concessi, purtroppo alquanto ristretti - rientri, in primo luogo, l'obiezione di coscienza, la cui trattazione rappresenta - a mio parere - una vera e propria emergenza. Al riguardo, io stessa mi sono fatta promotrice di una proposta di legge che già il collega Corleone - dei Verdi - aveva presentato nel corso della precedente legislatura, allo scopo di prevedere, in ogni azienda sanitaria locale e in ciascuna realtà territoriale, un'unità che fosse in grado di rispondere ai problemi esistenti. Poc'anzi si discuteva in proposito, usando l'analogia - che peraltro non


Pag. 16

amo moltissimo ma della quale rendo conto - dell'obiezione di coscienza al servizio militare: vorrei ricordare, però, che in quel caso, l'obiezione non ha implicato l'abolizione degli eserciti o l'assunzione di mercenari. Perciò, volendo procedere sempre per analogia, bisognerebbe comunque garantire, anche per l'ipotesi di cui discutiamo in questa sede, il servizio. Sarebbe opportuno intervenire in tal senso anche per non dar adito ad un fenomeno che nella realtà sappiamo esistere: mi riferisco alla decisione di esercitare l'obiezione di coscienza da parte di tutta una serie di operatori che, dopo aver trascorso anni ad operare soltanto aborti - magari costretti dall'organizzazione del lavoro della loro realtà - decidono di ricorrere a questa opzione per poter «progredire di carriera» o fare altro. Ritengo che di questa emergenza la Commissione e soprattutto il futuro Governo dovranno farsi carico.
Vorrei, inoltre, soffermarmi su un secondo problema. Reputo, infatti, necessario anche offrire una possibilità, ovviamente a livello locale, di presa in carico - da parte dei soggetti preposti, consultori e non - del problema dell'accesso delle donne straniere ai servizi offerti sul territorio - questione richiamata dai rappresentanti dell'UDI - perché, accanto al problema dell'assistenza da prestare alle giovani donne, sappiamo esisterne uno di relazione con il mondo delle donne straniere, che non può esaurirsi nel mero intervento emergenziale dovuto ad una gravidanza non desiderata. Credo sia necessario riflettere al riguardo, fintanto che non si crei davvero una rete di reale accoglienza, che - definendo degli effettivi punti di riferimento - consenta a ciascuna donna di conoscere in anticipo i soggetti a cui rivolgersi. In proposito, ricordo che spesso l'unica intermediazione tra la donna straniera ed i servizi locali è svolta dalle scuole, perché attraverso i figli, e soltanto attraverso di loro, per molte donne è possibile accedere alle strutture sociali esistenti nel territorio. Reputo perciò necessario coinvolgere anche quel livello scolastico per poter integrare le soggettività femminili al meglio, nel quadro di una più ampia rete di servizi che riguardano la salute di tutte, ma soprattutto delle donne che si trovano a vivere in stato di necessità.

GRAZIA LABATE. Vorrei ringraziare non formalmente tutti gli intervenuti, per aver riportato - pur nelle diverse accezioni con cui hanno affrontato la materia - sui binari l'intendimento che ha originariamente mosso la nostra Commissione nell'affrontare l'indagine conoscitiva in corso, che il dottor Viale mi pare abbia definito molto utile, riconoscendole il merito di averci mostrato come molteplici aspetti della legge n. 194 non siano stati applicati.
Sul punto, dico subito ai presenti che questa attività conoscitiva è stata invece osteggiata dal mio gruppo, ed in generale da tutta l'opposizione, non già e non tanto perché il suo presupposto traeva origine dal timore che, con l'applicazione di metodiche abortive diverse da quelle tradizionali, si ingenerasse una sorta di cultura dell'aborto facile nel nostro paese, quanto perché, accanto alla prima ispirazione, ve n'è un'altra - da noi riscontrata nel corso di tutte le audizioni svolte almeno sino a ieri -, e cioè la convinzione che, in realtà, la legge n. 194 non sia pienamente applicata (ciò che a mio avviso è imputabile alla confusione tra prevenzione e dissuasione spesso rilevata nelle discussioni in materia). Questo è il punto politico e culturale che ci ha visto ostili all'avvio dell'indagine conoscitiva ora in corso. Aggiungo - rivolgendomi a lei, dottor Viale - che ogni Parlamento che si rispetti, ogni Commissione parlamentare che si rispetti, certamente non aspetta gli ultimi 29 giorni dell'anno per aprire un'indagine conoscitiva realmente seria sulla materia, qualità che voi avete oggi dimostrato, rappresentandoci gli aspetti di luce ed ombra che l'applicazione di questa legge ha presentato nel nostro paese, e mostrandoci alcuni dati oggettivi e di fondo sull'evoluzione della società italiana.
Certamente, il primo punto molto chiaro - credo che il presidente e tutti i


Pag. 17

colleghi saranno d'accordo -, è che da questa indagine non emerge il volto di una società italiana, né tanto meno un ritratto della donna animata da una concezione abortista, intesa come «diritto di libertà». Il dottor Viale ci diceva che il momento in cui le donne si presentano per una IVG rappresenta piuttosto il fallimento di un metodo, il fallimento di una capacità di controllo delle nascite, nonostante le misure messe oggi a disposizione dalla scienza e dall'informazione. Quindi, questo è un punto che abbiamo acquisito. Noi eravamo ostili all'indagine proprio per questo, perché tale risultato già emergeva con tutta evidenza, e non solo dai dati numerici e statistici ampiamente a disposizione della Commissione. Faccio, peraltro, presente che quando fu varato il famoso POMI (Progetto obiettivo materno infantile), si raccolse una gran quantità di materiale analitico, dal cui esame scaturì la stessa identica considerazione da voi oggi ribadita, riguardo alla necessità di mettere in rete i servizi territoriali con quelli ospedalieri, e di adeguare la formazione culturale e scientifica degli operatori intorno a questa materia.
La nostra contrarietà non è dunque motivata da una contrapposizione ideologica, non è dovuta al fatto che, rappresentando noi «l'opposizione» e provenendo la richiesta dai colleghi della maggioranza, a forte ispirazione culturale cattolica, dovevamo necessariamente comportarci così. Abbiamo semmai agito in nome del rispetto delle istituzioni parlamentari, considerato che si è voluto avviare questa indagine proprio a fine legislatura (sebbene il presidente non manchi di ricordare che il lavoro svolto sarà consegnato ai posteri): al riguardo, suggerisco solo di non fingere con noi stessi, perché in questa sede rappresentiamo il paese, e dovremmo farlo anche garantendo solennità e coerenza nel modo di lavorare istituzionale. La nostra ostilità era quindi rivolta contro una lettura non già necessaria ma del tutto strumentale di questi temi, quasi che l'avvio dell'indagine fosse un modo per lavarsi la coscienza, e per individuare i difetti del sistema, con un'ottica decisamente piegata all'idea che la legge n. 194 non venga applicata nella parte di persuasione alla non IVG, campo, peraltro, assai particolare.
Nel corso di questa indagine conoscitiva abbiamo ascoltato diversi rappresentanti del mondo del volontariato. Personalmente, ho constatato con piacere che nessuno di loro chiede di divenire una figura professionale stabilmente presente nei consultori, tra l'altro per svolgere un ruolo che non compete loro. Meno male che il volontariato del nostro paese - di ogni orientamento culturale - ha maturato in questi vent'anni una concezione reale del «terzo settore», come fattore di sussidiarietà che, insieme alle istituzioni, contribuisce a portare a compimento un'opera molto più vasta, che il settore pubblico non può adempiere appieno.
Mi ha fatto molto piacere ascoltare qui le dottoresse Molinari e Parachini sostenere la necessità di prestare attenzione a non abbassare il livello di guardia circa la qualità delle nostre strutture, che già in passato hanno lavorato in presenza di una notevole scarsità di risorse economiche ed umane, pur affrontando uno ampio spettro di problemi.
Ho altresì accolto con piacere (ne avevo già contezza) un chiarimento circa la realtà dei consultori italiani, che non è fatta solo di prevenzione e di contraccezione. È opportuno che la Commissione ne prenda atto. In merito al numero delle strutture, va detto che purtroppo non siamo vicini al parametro auspicato di un consultorio ogni ventimila abitanti, anzi, siamo prossimi a 0,8 consultori. Ebbene, pur nella ristrettezza di risorse economiche e professionali - va sempre ricordato -, queste strutture si sono occupate di fornire numerosi percorsi; mi riferisco alle interruzioni volontarie di gravidanza, ai percorsi-nascita, ai corsi di preparazione al parto e alla tutela della vita.
Condivido quanto detto dai presenti: queste strutture sono addirittura prese ad esempio in Europa e nel mondo come modalità primaria di lavoro sul territorio. Ho ricordato questi elementi perché chi immagina che i consultori esistano solo


Pag. 18

per occuparsi di contraccezione, per rilasciare certificazioni o per praticare interruzioni volontarie di gravidanza, rischia di prendere una cantonata. La smentita a questa tesi, comunque, la forniscono non solo i dati statistici che ci avete trasmesso, ma anche l'esperienza sui consultori, che abbiamo potuto verificare nel corso di questa indagine.
La materia è appassionante ed è sempre meglio poter ascoltare in audizione i soggetti che operano sul campo, piuttosto che leggere pubblicazioni o mere statistiche.
Anzitutto, vorrei rivolgere una domanda al dottor Viale in merito ad un particolare sinora non emerso nel corso delle audizioni, ma che i dati forniti dall'ISTAT e dall'Istituto superiore della sanità evidenziano come una questione da approfondire. Considerato che il dottor Viale opera in una struttura ospedaliera, i cui dati rappresentano un campione notevole anche dal punto di vista statistico, vorrei chiedergli come mai nel nostro paese le interruzioni volontarie di gravidanza, a distanza di tanti anni dal varo della legge, vengano ancora effettuate con il metodo dell'anestesia generale! Perché gli altri metodi non si consolidano?
A tal proposito, il dottor Viale ha giustamente ipotizzato una certa sordità, per così dire, dal punto di vista scientifico e professionale. Egli, inoltre, nel suo intervento ha sollevato diverse questioni e ha fatto riferimento a pubblicazioni come The Lancet o il Medical journal. Ho ripreso questo tema affinché un eventuale approfondimento dei nostri ospiti in questa direzione possa costituire un elemento di riflessione in vista della predisposizione del documento conclusivo della nostra indagine.
Sempre al riguardo, sarebbe auspicabile comprendere quali misure andrebbero varate - con molto più coraggio -, soprattutto in sede formativa universitaria e a livello delle società scientifiche. In questo campo esistono diversi problemi, non solo di ordine sanitario.
L'altra questione che vorrei sottoporre ai nostri ospiti, riguarda il tema dell'obiezione di coscienza. Non è la prima volta che emerge questa problematica (ne chiedo conferma alla collega Angela Leone); spesso, nelle audizioni è stato evidenziato che l'obiezione di coscienza rischia di far entrare in crisi l'applicazione di una legge dello Stato, il che può dare adito a fenomeni di clandestinità o quant'altro.
Su questo tema, chiedo spesso chiarimenti ai soggetti che ricoprono un ruolo professionale all'interno delle strutture. Come il dottor Viale saprà, questi soggetti hanno oggi molte più responsabilità che non in passato. Sarebbe opportuno sapere se, nei confronti delle regioni o dei manager delle diverse aziende sanitarie, sia stata esercitata o meno un'azione efficace, volta a garantire lo svolgimento di un servizio.
A parte quanto previsto dalla legge n. 194, sono a conoscenza di molte realtà dove queste pressioni sono state esercitate e dove le istituzioni regionali e le aziende ospedaliere si sono fatte carico di questi problemi. Si rispettino anche i principi della legge, ma vi è un altro principio dell'ordinamento sanitario che va rispettato: la garanzia di un servizio (previsto per legge). E ciò nonostante per gli operatori esista la possibilità dell'obiezione di coscienza.
Concludo chiedendo se i nostri ospiti siano a conoscenza di un problema di deontologia professionale, che sembra emergere con forza nel nostro paese. In realtà, sembrerebbe che nelle strutture ospedaliere territoriali, specialistiche o polispecialistiche (ossia quelle dove si reca un terzo delle donne che richiede la certificazione), sia invalsa una metodologia operativa, non suffragata da atti formali scritti, in base alla quale chi pratica l'interruzione volontaria di gravidanza non gode di molti titoli per fare carriera. Questo mi sembra un altro tema sul quale la Commissione dovrebbe riflettere in sede di predisposizione del documento conclusivo. Credo che tale questione afferisca al metodo strutturale e organizzativo del sistema delle responsabilità nelle strutture sanitarie.


Pag. 19


Se quanto ipotizzato si verifica effettivamente, allora è evidente che possiamo cambiare tutte le leggi che vogliamo o emettere tutte le ordinanze possibili, ma se non si rimuove una concezione deontologica professionale in base alla quale è minus chi esegue queste pratiche ed è major chi fa dell'altro, difficilmente potremo fornire risposte positive.

MAURA COSSUTTA. Anzitutto ringrazio gli intervenuti, che ci hanno consentito di svolgere questa discussione. Tutti gli operatori sottolineano l'esistenza di un problema di professionalità; esistono una legge ed un modello sperimentato, verificato, controllato, approfondito e rielaborato. Insomma, esiste una notevole mole di documenti in materia. Dottor Viale, esistono documenti del coordinamento nazionale di tutti gli operatori del settore - altro che indagine conoscitiva! -, che da decenni, come lei ben sa, chiedono incontri con gli assessori, con il ministro, con i governatori, ma restano inascoltati. Esiste quindi un problema di professionalità. Tutti gli operatori, non solo oggi, ma in tutte le audizioni, signor presidente, sia pur con le sfumature del caso e con alcune diversità e specificità, hanno sostenuto le stesse tesi.
Affido a lei, signor presidente, la realizzazione di una rigorosa sintesi di quanto emerso oggi in questa seduta, da inserire successivamente nel documento conclusivo.
Noi non abbiamo voluto questa indagine perché la consideriamo un mezzo per far propaganda, e non intendiamo concluderla, ma siccome sarà comunque predisposto un documento conclusivo, chiedo ai nostri auditi cosa andrebbe scritto in questo documento e soprattutto cosa non vi andrebbe scritto.
Ieri non ho potuto partecipare alla seduta, ma ho letto la documentazione trasmessa dai rappresentanti del Movimento per la vita, grazie alla quale si comprendono esattamente i termini dell'audizione del ministro Storace. Quest'ultimo ha avanzato la propria proposta di modifica del sistema di sorveglianza sotto dettatura del Movimento per la vita!
Nel suddetto documento è scritto esattamente quanto proposto dalla stessa maggioranza; ossia vi è la volontà di tradurre la prevenzione in politiche per la natalità e di dare «diritto di tribuna» al Movimento per la vita. Si tratta dello smantellamento della legge n. 194, che così verrebbe scardinata.
Lasciamo da parte gli approcci ideologici, parliamo delle professionalità, parliamo degli operatori. Chiedo proprio agli operatori un consiglio su come si dovrebbe concludere questa indagine conoscitiva e su cosa andrebbe scritto e cosa no in questo documento conclusivo!

ANNA MARIA LEONE. Signor presidente, cercherò di rispettare gli ospiti che hanno diritto di replicare, tuttavia, sento il dovere di intervenire, essendo una delle tre firmatarie della richiesta di indagine conoscitiva, che ha avuto un percorso molto significativo al quale le audizioni di oggi hanno dato un ulteriore contributo. Ho ascoltato con molta attenzione l'intervento del dottor Viale e mi è rimasto qualche interrogativo, se vogliamo - come penso debba essere - affrontare i problemi con animo libero, con la mente sgombra da pregiudizi ideologici e con la volontà di fornire risposte.
Le colleghe lo sanno: sono contro la legge n. 194. Ho perso la battaglia referendaria, ma dal momento in cui la n. 194 è diventata legge dello Stato, anche quando ero assessore ai servizi sociali della mia regione, ho lavorato perché fosse applicata, perché così deve essere.
Vorrei essere coerente con ciò che ho dichiarato all'inizio. Darò il mio contributo per la realizzazione di un documento conclusivo che testimoni il lavoro positivo che è stato svolto e la ricca serie di documenti che sono stati consegnati e che credo dovranno diventare motivo di riflessione anche per la prossima legislatura.
Sono membro di questa Commissione da pochissimi mesi ed il rammarico che sento riguarda la mancata realizzazione di


Pag. 20

una legge per la tutela della maternità. Si tratta di un punto a sfavore di cui mi faccio carico.
Credo che nel documento debba essere puntualizzato un aspetto che è emerso anche oggi, sempre se vogliamo essere donne libere. Nell'atteggiamento di alcune associazioni di volontariato - forse sarò ingenua, non lo so - non leggo la volontà di opporsi all'aborto e, quindi, di intervenire in termini dissuasivi. Credo occorra fare luce sul concetto di «prevenzione», perché è un aspetto che noi, richiedenti l'indagine conoscitiva sul tema, volevamo affrontare.
Tutte le parti della legge n. 194 sono applicate. Ci sembra di capire, invece, che la parte non applicata sia quella riguardante la prevenzione primaria (quindi, la prevenzione delle gravidanze non desiderate). Occorre definire le scelte da compiere nel rispetto della libertà della donna, che comunque, in ultima analisi, decide della sua gravidanza. Bisogna però capire cosa significhi realmente prevenzione.
Cosa vuol dire inserire nelle strutture preposte al sostegno della donna, della coppia e della famiglia anche i soggetti terzi? Cosa vuol dire convenzione? Chi fa che cosa rispetto allo strumento primario dei piani di zona, che possono vedere interagire soggetti diversi, per il raggiungimento di un obiettivo scritto con chiarezza e condiviso, dove non c'è la prevaricazione di un'idea di un soggetto su un'altra, ma c'è la volontà di interagire per consentire realmente la libera scelta? Se è vero, infatti, che dev'essere rispettato il diritto di abortire, è altrettanto vero (vorrei che emergesse per rispetto nei confronti della donna e della sua ansia di maternità) che deve essere rispettato anche il diritto di non abortire.
Un altro elemento che, a mio avviso, dovrà essere indicato nel documento (qui forse, dottor Viale, vado incontro ad una delle eredità che lei mi ha lasciato, quegli interrogativi le cui risposte, forse anche per la mia cultura di una vita, faccio fatica ad accogliere immediatamente) riguarda il ruolo vero che devono avere la ricerca e gli aiuti da parte dei medici, affinché, una volta che sia stata assunta la volontà di procedere con l'aborto, questo avvenga nel rispetto della sicurezza della donna. Sto percorrendo un cammino in salita, ho meno certezze e forse una maggiore difficoltà, ma più per ciò che sono che per l'argomento in sé. Credo occorra mostrare questa apertura per dire: ragioniamoci insieme e cerchiamo di capire.
Allora, se tutto ciò è vero, colleghi, in questo momento quasi conclusivo dell'indagine, è stato proprio un errore esserci dati, anche se a fine legislatura, come Commissione investita di queste funzioni, un angolo così importante di riflessione? Io credo di no. Se lo abbiamo fatto, è stato con mente libera. Se poi lo abbiamo fatto per altri fini, ciò attiene alla responsabilità di ciascuno. Vi assicuro che la firma che ho posto sulla richiesta di indagine conoscitiva non aveva reconditi pensieri, ma esprimeva questa volontà.

GIULIO CONTI. Anzitutto, mi complimento con il dottor Viale, perché ha chiesto la modifica della legge n. 194. È stato l'unico a dirlo e mi pare sia stato molto serio e molto obiettivo.

LAURA PIRETTI, Membro del Coordinamento nazionale dell'UDI. Anche l'unico a pensarlo!

GIULIO CONTI. Perché protesta, scusi? Io ho ascoltato in silenzio.
Credo che questo sia un discorso importante, perché si profila una modifica della legge n. 405, altrimenti l'osservazione che è stata fatta non avrebbe senso.
Credo che la legge vada rivista. Nella richiesta di indagine conoscitiva, ho chiesto che si specificasse che era esclusa la modifica della legge n. 194, nel senso che non volevo che si avviasse un'indagine contro l'aborto. Questo è un discorso che deve essere chiarito, altrimenti non ci intendiamo. Tuttavia, in seguito alle osservazioni, alle audizioni e a quanto è emerso, credo che la legge debba essere modificata in alcuni punti.
Un discorso serio va fatto sull'obiezione di coscienza. Sono medico di base e sono


Pag. 21

un obiettore di coscienza, tuttavia, ho chiesto all'ordine dei medici, poiché è possibile (dottor Viale, lei lo saprà benissimo), di prevedere una deroga temporanea nei casi in cui si ritenga di dover consigliare l'aborto; l'ho fatto più di una volta per alcune ragazzine, ma anche per donne mature che non desideravano quella gravidanza per motivi sociali e di età (richiamo l'esempio di una donna di cinquant'anni: non credo voglia un figlio, quando è già nonna).
Sono aspetti importanti che occorre valutare nell'ambito della legge. Ma non vedo perché l'obiezione di coscienza debba essere condannata aprioristicamente, perché il medico, che non è abortista, non vuole praticare aborti. Penso sia un suo diritto.

MAURA COSSUTTA. Ma l'obiezione è pure sulla pillola, sulle ricette per i contraccettivi! Stiamo scherzando!

GIULIO CONTI. Questo è un altro discorso. La legge deve essere modificata, valutando anche tali aspetti. Non sto dicendo il contrario. L'obiezione di coscienza esiste anche per la morte cerebrale, quindi, lasciamo perdere. È un discorso ampio e diffuso, non riguarda solo il servizio militare. È un tema che occorre affrontare con molta serietà e con molta apertura mentale.
Non accetto il discorso che ha fatto, per esempio, l'onorevole Cossutta, ossia che chi viene audito debba dirci ciò che indicheremo nel documento finale, altrimenti non si tratta di obiezioni, ma di un'imposizione, come è nella sua mentalità politica.
Vorrei porre l'accento anche su un altro argomento che in Italia non deve essere trascurato, soprattutto quando ci riferiamo alle donne immigrate, che sono quelle che abortiscono maggiormente. In proposito, occorre fare un discorso profondo e serio. Non si può dire, infatti, che siamo compassionevoli nei confronti di una donna straniera che va ad abortire (il 31 per cento), e poi però non ci poniamo il problema della denatalità, e quindi della necessità di far venire in Italia le donne straniere: si tratta di problemi collegati.
D'altro canto, voi avete detto poco fa, e anch'io credo che sia così, che il problema economico e di certezza del lavoro, per una donna è uno dei motivi per i quali ricorre all'interruzione volontaria di gravidanza...

GRAZIA LABATE. Uno dei motivi!

GIULIO CONTI. «Uno dei motivi» ho detto! Certamente è uno dei motivi! È un discorso che ci siamo fatti tante volte.
È anche vero però che in questo contesto non comprendo perché all'interno di un consultorio familiare non vi debba essere anche chi proponga di risolvere i problemi sociali della donna e cerchi di dissuaderla: non vi deve essere solo l'assistenza per la decisione già presa o quella per creare i presupporti per una decisione (abortista) da prendere.
Forse ho capito male, ma non riesco a comprendere perché vi sia contrarietà nei confronti della pillola del giorno dopo, con le ragazzine che fanno tutto da sole! Bisogna che gli abortisti e i non abortisti lo capiscano! Coloro che lavorano nei consultori intervengono in questo modo tutti i giorni, quando vi è il problema di un sospetto di gravidanza, laddove non vi sia stato l'uso di un contraccettivo anche materiale. Non si può dire che non si deve usare la pillola del giorno dopo, ma si può applicare la legge n. 486! È una contraddizione nei termini che portate avanti soltanto per motivi ideologici, altrimenti non riesco a capirne il motivo. È un discorso da chiarire questo!

PRESIDENTE. Sono due cose completamente diverse!

GIULIO CONTI. Bisognerebbe dire che sono due cose completamente diverse: non si può essere a favore della legge n. 486 e contrari alla pillola del giorno dopo!

TIZIANA VALPIANA. Sarò molto breve. Mi scuso per aver perso una buona parte dell'audizione odierna, di cui sicuramente


Pag. 22

leggerò il resoconto stenografico e il materiale che avete avuto la gentilezza di lasciarci a disposizione. Sono stata impegnata in aula per lo svolgimento del question time, dove ho avuto la sorpresa positiva di sentirmi dire dal Governo che farà di tutto per implementare, anche con finanziamenti appositi, la rete dei consultori familiari e tutti i servizi alla maternità. Vedremo se alle promesse seguirà qualcosa di concreto.
Prendo spunto dall'intervento dell'onorevole Leone, alla quale devo dare atto, come veneta, di essere sempre stata, in qualità di assessora regionale, attenta, pur essendo contraria, all'attuazione della legge n. 194. Credo che questo sia il metodo «laico» di fare i pubblici amministratori.
Quello che però non riesco a capire del suo intervento - come d'altra parte non sono riuscita a capirlo in quello del ministro della sanità e neppure in quello di alcuni movimenti di ispirazione cattolica durante l'audizione che si è svolta ieri - è un concetto che chiedo a voi di chiarirmi: che cosa si intende quando si parla di «diritto di non abortire»? Nella mia mente «limitata» intravedo un unico modo di avere il diritto di non abortire, quello di fare in modo che ogni donna possa portare avanti solo le gravidanze che desidera. Ciò vuol dire, dunque, informazione sui contraccettivi e sulla salute sessuale a partire dalla scuola, ma vuole dire anche contraccettivi gratuiti e sicuri nel nostro paese e strutture che invece non ci sono: penso al diaframma e alle creme spermicide, temi sui quali, nonostante le migliaia di interrogazioni presentate in cinque anni non ho avuto risposte.
Penso anche al discorso, che dobbiamo trovare il modo di inserire nella nostra relazione finale, sull'obiezione di coscienza che può e deve essere tutelata, ma che non può diventare obiezione delle strutture: nella mia regione vi sono intere strutture che non praticano l'interruzione di gravidanza, perché sono tutti obiettori!

PRESIDENTE. Cedo la parola ai nostri ospiti per le repliche.

MANUELA MOLINARI, Membro della società scientifica ANDRIA. Vorrei dire che, per l'attenzione culturale, sociale e politica che i consultori italiani hanno avuto in questi trent'anni, gli operatori dei consultori hanno fatto miracoli in termini di promozione della salute; non a caso il presidente dell'Associazione italiana di pediatria a Milano ha detto recentemente che il 25 per cento dei bambini a Milano sono obesi, pensiamo alle madri! Si sa però che ai miracoli in Italia non ci crede nessuno, occorre molta fede e noi ci auguriamo che ci darete una mano.

SILVIO VIALE, Consigliere dell'Associazione Luca Coscioni. A proposito dell'anestesia generale vorrei dire che si tratta di una questione molto tecnica. È vero che le linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità dicono che è meglio utilizzare l'anestesia locale, ma in Italia tendiamo a praticare la prima (al Sant'Anna applichiamo soltanto l'anestesia generale, perché i farmaci sono cambiati e vi è una questione di comodità). È un paradosso, perché se dovessimo utilizzare lo stesso ragionamento e lo stesso metro i dentisti dovrebbero agire solo in ospedale.
Circa l'obiezione di coscienza, ricordo che la legge oggi non prevede sanzioni di alcun tipo: in qualche modo vi è un incentivo ad essere obiettori ed eventualmente a derogare; se come obiettore faccio l'intervento e vengo segnalato (io non l'ho mai fatto nella mia carriera), decado e il mese dopo potrò rifare l'obiezione: è del tutto irrilevante, però è vero che l'obiezione rischia di minare la possibilità di applicare la legge.

PRESIDENTE. Mi scusi ma, dopo avere ascoltato decine di auditi, vorrei dirle che tutti hanno detto che, in fondo, proprio per l'obbligatorietà, l'interruzione di gravidanza viene assicurata bene o male in tutte le regioni.

MAURA COSSUTTA. No!

LAURA PIRETTI, Membro del Coordinamento nazionale dell'UDI. Non è proprio così!


Pag. 23

PRESIDENTE. Sto parlando delle audizioni svolte in questa sede: leggete i testi. Per questo motivo dico che vi sono alcune contraddizioni.

SILVIO VIALE, Consigliere dell'Associazione Luca Coscioni. Potrei fare altri esempi...

PRESIDENTE. Lo dico perché voi non sapete tutto quello che è stato detto in questa sede, ma che è agli atti!

SILVIO VIALE, Consigliere dell'Associazione Luca Coscioni. Il problema è che continuo a trovare medici che fanno l'obiezione di coscienza in modo protestatario contro la direzione, il Governo, la regione, perché si sono stancati di praticare gli aborti e di non averne alcuna gratificazione. Credo che pensare ad indennità, anche di tipo economico, come ad esempio quelle previste per coloro che operano presso i servizi di tossicodipendenze, o fanno lavori usuranti, per gli anestesisti ed altri, non sia una cosa fuori dal mondo, perché è già così. All'ospedale Sant'Anna gli anestesisti sono a gettone e guadagnano molto di più... Il fatto che sia così, onorevole Palumbo, non vuol dire che debba esserlo di sotterfugio, ma che la questione deve essere affrontata.
Per quanto riguarda l'aspetto economico, l'ISTAT nella sua rilevazione statistica, fino a pochi anni fa, inseriva le motivazioni, che discendevano da formulari «crocettati» a caso un po' da tutti. In realtà, coloro che operano nel settore sanno perfettamente che, tranne per un'estrema minoranza di casi (ed è pretestuosa), l'aspetto economico è l'ultima delle motivazioni che portano alla scelta dell'IVG. Se fosse così veramente, si dovrebbe applicare non la legge n. 194, ma quella sulla maternità.
Vi ringrazio, dunque, ricordando però l'aspetto della prevenzione secondaria. Ha ragione, infatti, l'onorevole Leone: sulla prevenzione primaria sono tutti bravi a parlare, ma il discorso è diverso su quella secondaria (una volta incinta cosa fare?). Esiste l'aspetto «embrione», ma esiste anche l'aspetto «madre». Non sono entrato prima in questo argomento per ragioni di tempo, ma ritengo che anche per quanto concerne la prevenzione secondaria la legge oggi dovrebbe valutare i vari aspetti, come noi medici facciamo. Nessuno di noi viene qui a dire: voglio fare tanti aborti.
Il diritto a non abortire deve essere garantito e lo è, perché nemmeno il Movimento per la vita - se non l'avete fatto, chiedeteglielo la prossima volta - può dire che vi sono donne che hanno abortito controvoglia.
Ritengo però che la legge n. 194 sia stata applicata male in questi anni: è bene discuterne, perché il non averne discusso per vent'anni ha portato alla situazione attuale in cui...

PRESIDENTE. Non vi sono donne che abortiscono allegramente!

LAURA PIRETTI, Membro del Coordinamento nazionale dell'UDI. Per quanto riguarda la differenza tra la rete di prevenzione che interessa il consultorio e gli strumenti d'indagine, di dissuasione e di prevenzione vorrei aggiungere qualche altro elemento. Il consultorio può attivare servizi sociali non necessariamente sanitari ed anche associazioni il cui scopo primario è quello di sostenere specificamente le gravidanze difficili.
Io non sono un'operatrice di consultorio, quindi la mia è una notizia solamente ufficiosa e non ufficiale. In ogni caso, a proposito delle iniziative del ministro Storace, vi sono state delle prese di posizione non tanto da parte dell'associazione Giovanni XXIIIo, quanto dei CAV (centri di assistenza alla vita), i cui rappresentanti hanno espressamente affermato che non intendono minimamente entrare nei consultori perché vogliono continuare a collaborare per l'applicazione della legge.


Pag. 24


Infine, vorrei precisare che per «diritto a non abortire» si intende anche essere in grado di dare esito al desiderio di maternità.

MARINA TOSCHI, Consigliere della Società scientifica ANDRIA. Alla fine di questo dibattito vorrei suggerire agli onorevoli di far conoscere i consultori alle giovani d'oggi attraverso la promozione di varie iniziative come, ad esempio, l'istituzione della giornata nazionale del consultorio da far coincidere con la data dell'8 febbraio, o dell'8 aprile; addirittura, lo Stato italiano laico potrebbe introdurre all'uopo un apposito francobollo.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti per averci gentilmente concesso la loro disponibilità e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,10.