COMMISSIONI RIUNITE
VII (CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE) E IX (TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 19 dicembre 2002


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IX COMMISSIONE
PAOLO ROMANI

La seduta comincia alle 15.35.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul riassetto del sistema radiotelevisivo, l'audizione di rappresentanti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Sono presenti il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, professor Giuseppe Tesauro, e il responsabile della direzione comunicazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dottor Giovanni Calabrò.
Chiediamo scusa per il rinvio della precedente audizione per motivi legati ai lavori dell'Assemblea, come del fatto che, purtroppo, il testo da voi depositato è già diventato di pubblico dominio ma il Parlamento è una casa trasparente della politica e, quindi, nulla può essere nascosto definitivamente.
Do ora la parola al professor Tesauro per la sua relazione.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Cercherò di riassumere i punti più rilevanti delle nostre considerazioni che sono focalizzate soprattutto sui problemi della concorrenza. Molto probabilmente faremo anche una segnalazione ai sensi dell'articolo 22 della nostra legge n. 287 del 1990 e, peraltro, non credo che andrà al di là di una versione un po' più completa del testo già depositato. Innanzitutto, abbiamo apprezzato il fatto che si sia avviata una riforma organica e che sia stato attivato il processo legislativo in un settore che lo richiedeva da tempo: lo consideriamo un passaggio molto importante per un miglioramento delle condizioni concorrenziali nei mercati dei media - e, in particolare, di quello televisivo - e per un contributo al pluralismo nell'informazione.
Quello italiano è un contesto economico che, dal punto vista della concorrenza, non può lasciare soddisfatti; d'altra parte, storicamente ci sono stati molti interventi e molte grida di dolore in questo senso, l'ultimo è stato quello dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e, naturalmente, non posso dimenticare né i reiterati interventi della Corte costituzionale né quello autorevolissimo del Capo dello Stato del luglio scorso.
Nella televisione in chiaro europea abbiamo un tasso di concentrazione che, forse, non ha eguali rispetto ai partner della Comunità. Per quanto riguarda il tasso di concentrazione dato dai primi due operatori della televisione in chiaro, siamo passati dall'89 per cento del 1992 al 90 per cento del 2001, quando la Spagna ha un tasso di concentrazione del 54 per cento, la Germania del 66 per cento e la Finlandia dell'82 per cento: in tale situazione


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si inserisce l'opportunità del disegno di legge attualmente all'esame del Parlamento.
Per quanto riguarda i riferimenti normativi, da una parte abbiamo delle direttive comunitarie, dall'altra la novella costituzionale - cioè, il riparto di attribuzioni tra lo Stato e le regioni - e, quindi, dobbiamo muoverci in questo contesto, rispettando anche i paletti cronologici posti dalla Corte costituzionale. Dal punto di vista specifico della concorrenza, guardiamo alla legge con qualche preoccupazione e, volendo riassumere al massimo, abbiamo due scenari, uno provvisorio e l'altro definitivo. Lo scenario definitivo, quello del digitale terrestre, ci preoccupa innanzitutto perché non possiamo prevederne con ragionevole certezza l'inizio: rispetto alle previsioni fatte nel passato anche in altri paesi della Comunità europea, è uno scenario un po' troppo ottimistico perché fa partire dal 2006 il digitale terrestre quando, con tutta probabilità, sarà almeno necessario procrastinare questo termine.
La nostra preoccupazione si focalizza soprattutto sull'aspetto di un tetto ai produttori di programmi, a cui però non corrisponde un tetto ai titolari di rete: tutto ciò, dal punto vista della concorrenza, pone una preoccupazione perché, chi possiede la rete, evidentemente, a valle controlla la trasmissione dei programmi. Quindi, in un certo senso il fatto di avere un limite del 20 per cento nella trasmissione dei programmi può essere vanificato - o, comunque, compensato in senso negativo - dalla circostanza di non avere alcun limite alla titolarità della rete.
Lo scenario a regime transitorio ci preoccupa anche di più e per diversi profili: innanzitutto per i meccanismi di assegnazione delle frequenze. Sappiamo che oggi ci sono degli operatori che hanno una frequenza ma non operano, ed altri che operano senza avere la frequenza: questa situazione non può essere soddisfacente. Ebbene, sia pure con l'idea che si tratti di un fatto transitorio, questo viene formalizzato dal meccanismo del generale assentimento di cui all'articolo 21 del disegno di legge in esame. Questo finirà per legittimare gli operatori - che, finora, hanno agito in virtù di provvedimenti precari, occupando risorse frequenziali - e, naturalmente, penalizzerà quei soggetti che avevano un titolo concessorio, anche a seguito di una procedura di selezione, e che, invece, non sono stati posti in grado di esercitare l'attività.
Quindi è chiaro che vi è una mancanza di certezza nel sistema delle regole. E questo naturalmente va considerato anche in rapporto a quanto dichiarato dalla Corte costituzionale nella sua ultima sentenza, quando ha parlato di occupazione di fatto delle frequenze, al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo - cito testualmente -, « della distribuzione delle frequenze, e di pianificazione effettiva dell'etere.» Naturalmente, i nostri punti di riferimento sono sia normativi - tanto di livello comunitario quanto regionale - sia giurisprudenziali, con un richiamo specifico agli interventi della Corte costituzionale. Quanto alle direttive comunitarie, evidentemente esse pongono un problema: relativamente all'assegnazione delle frequenze, infatti, tali discipline impongono il rispetto di criteri molto precisi. In particolare, mi riferisco all'articolo 9 della direttiva 2002/21/CE del 7 marzo 2002 e all'articolo 7 della direttiva 2002/20/CE di analoga data (cosiddetta direttiva « autorizzazioni »). Si apre certamente una questione rispetto all'indicazione - molto precisa ma anche altrettanto generale - contenuta nelle normative citate, di ispirare l'assegnazione delle frequenze a criteri obiettivi e trasparenti, non discriminatori e proporzionati: ciò costituirebbe il limite di base minimo da osservare nel settore al nostro esame.
Quindi, dal punto di vista dell'Autorità antitrust, evidentemente vi è una questione da dirimere.
Un'altra preoccupazione che intendiamo evidenziare riguarda gli articoli 12 e 13 del disegno di legge Gasparri, quanto ai limiti posti al cumulo di programmi televisivi e alla raccolta delle risorse nel cosiddetto «sistema integrato delle comunicazioni». Tale provvedimento, come


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noto, ha previsto un limite del 20 per cento alla diffusione dei programmi televisivi. Però, lo ripeto, questo sarà lo scenario a regime, mentre ciò non corrisponde alla situazione che si avrà di fatto in ragione dell'applicazione sistematica dell'articolo 22, comma 5 e comma 6, del disegno di legge governativo, riferito alla disciplina giuridica della fase transitoria: in particolare, infatti, il comma 6 consentirebbe una deroga al limite del 20 per cento, prevedendo per le reti eccedentarie la possibilità di proseguire la propria attività. Pertanto, il periodo di transizione, avendo come termine ultimo di vigenza l'avvio del digitale terrestre, in realtà sembra avere una estensione temporale alquanto incerta. In tal senso, preciso che il «torto» del disegno di legge è forse quello di fare affidamento sul richiamato limite del 2006 che, allo stato, non può non essere considerato lontano dalla realtà. Evidentemente, alla luce del contesto attuale, questa previsione non appare più molto realistica.
Un'altra preoccupazione che voglio sottolineare riguarda il limite posto alla raccolta delle risorse nel sistema integrato delle comunicazioni. Nel caso di specie, il criterio ispiratore è avveniristico, modernissimo, perché è quello della convergenza. Il rilievo dell'autorità, in proposito, è che però, si tratta probabilmente di una convergenza un po' troppo estesa. È del tutto chiaro che non si possono mettere insieme dei mercati - parlo ovviamente dal punto di vista dell'antitrust -, incommensurabili; non possono stare insieme l'editoria - da quella quotidiana a quella elettronica -, la produzione cinematografica e fonografica, e la raccolta pubblicitaria.
Si tratta di mercati assolutamente distinti. Quindi, ripeto, vi è un problema considerevole da sciogliere: porre un limite, rispetto ad una platea così consistente, evidentemente diluisce il limite medesimo, alzando così, nella sostanza, la soglia originaria.
Per ciò che riguarda la fase successiva al digitale terrestre, vi è la questione, precedentemente sottolineata, riferita al limite del 20 per cento dei programmi televisivi, cui in realtà non corrisponde un analogo vincolo per gli operatori di rete. Ciò vuol dire mettere questi ultimi in una condizione di fatto, ma anche di diritto, di assoluta predominanza anche rispetto al mercato a valle. Si pone allora l'esigenza, l'opportunità quanto meno di riflettere anche sulla possibilità di introdurre un limite per i soggetti suddetti.
Venendo al punto di vista dell'antitrust sugli intrecci tra media (televisione, in particolare) ed editoria, l'esperienza di altri paesi porta a considerare l'opportunità di porre qualche vincolo alla detenzione di partecipazioni azionarie incrociate tra gruppi editoriali e televisivi.
In altri Stati, dove si sta procedendo anche ad una divisione del sistema, come per esempio il Regno Unito in cui pure vi è un'esasperata deregulation di tutto, è in progetto anche l'idea di contenere in qualche modo la partecipazione incrociata. Circa il servizio pubblico radiotelevisivo, talune preoccupazioni derivano dal limite di avere in se' due anime troppo diverse per poter convivere nello stesso assetto societario, sia pure con la precauzione della divisione contabile. A nostro parere (ma questa è una riflessione che non riguarda soltanto la RAI, quanto piuttosto e in generale l'esigenza di trasparenza e chiarezza che l'antitrust antepone a molti altri valori) forse sarebbe opportuno aumentare il tasso di separazione e pensare ad una divisione societaria. Questo, in sintesi, è il quadro delle preoccupazioni specifiche dall'angolo di visuale dell'Autorità antitrust che, ripeto, ha in animo l'intento di travasare nel suo intervento odierno dinanzi a queste Commissioni anche una segnalazione formale, ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 287 del 1990, fornendo peraltro qualche elemento di dettaglio in più rispetto a quanto rappresentato a voi per iscritto nella nota precedentemente inviatavi.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

CARLO ROGNONI. Vorrei innanzitutto ringraziare il presidente dell'Autorità garante


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della concorrenza e del mercato. Confesso di aver sempre nutrito dubbi sull'utilità delle autorità indipendenti, ma questa volta la sua testimonianza sincera, chiara e puntuale sembra convincermi della loro utilità nella nostra democrazia. Detto ciò, vorrei fossero soddisfatte due curiosità, dal momento che è stato chiarito, anche grazie alle precedenti audizioni, che nella transizione dal sistema analogico al sistema digitale vi sono due punti delicati: le frequenze e la raccolta pubblicitaria.
Per quanto concerne il primo tema, mi piacerebbe comprendere quali siano i margini di intervento, dal momento che non sono disponibili risorse frequenziali. Esiste la possibilità che un soggetto, che attualmente occupa frequenze analogiche (mi riferisco a Murdoch, con Telepiù), abbandoni in prospettiva tali frequenze, poiché immagino che il suo interesse sia focalizzato solo sul satellite, per la pay-tv. In questo caso, tuttavia, mi sembra che vi sia un precedente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato che, se venisse riconfermato oggi, mi lascerebbe perplesso, poiché ammetterebbe la possibilità di cedere entrambe le frequenze occupate da Telepiù ad un unico operatore. Data la carenza di risorse frequenziali, invece, a mio avviso sarebbe importante che più soggetti abbiano la possibilità di acquisire tali frequenze.
Il tema della raccolta pubblicitaria rappresenta, invece, l'altra grande questione, poiché la risorsa rappresentata dalla pubblicità diventa indispensabile, dal momento che negli altri paesi che stanno sperimentando la televisione digitale (con la prospettiva di passare alla tecnica digitale nel 2010 o nel 2015, ma non certo nel 2006), la pay-tv non funziona sul sistema digitale terrestre, e dovrebbe dunque andare «in chiaro». «Andare in chiaro», allora, significa che le risorse non potranno che essere quelle derivanti dalla pubblicità; pertanto, essa diventerà un elemento strutturale del passaggio dal sistema analogico a quello digitale, se tale passaggio non sarà più soltanto in pay, ma diventerà prevalentemente «in chiaro». Mi risulta, ad esempio, che la Francia si era indirizzata verso 30 canali, di cui 15 «in chiaro» e 15 in pay. Al di là del fatto che mi sembra che abbia altri problemi, ritengo, comunque, che 15 nuovi canali «in chiaro», debbano mantenersi attraverso le risorse pubblicitarie.
Si tratta di un aspetto rilevante, nella prospettiva che il mercato globale, sul quale calcolare i limiti, sia quello, ancora non meglio identificato, che cumula tutto: infatti, una concessionaria che detenesse il 90 per cento del mercato pubblicitario televisivo, potrebbe essere al di sotto del 20 per cento nel mercato globale ed avere, di fatto, il monopolio della pubblicità, e dunque detenere il monopolio dell'unica risorsa veramente importante, nella prospettiva di un reale pluralismo.
Vorrei rivolgere, adesso, una domanda un po' più specifica, anche se non so se la materia sia di vostra competenza. Il disegno di legge al nostro esame, infatti, impegna la RAI ad investire per raggiungere, al luglio 2003, una copertura del 50 per cento della popolazione per quanto riguarda il digitale terrestre (probabilmente con due multiplex), trasmettendo, in realtà, quello che oggi trasmettono «in chiaro» le televisioni generaliste, senza offrire, in realtà, un prodotto nuovo. Anche se si realizzasse la copertura del 50 per cento con il digitale terrestre, attraverso antenne e non mediante ricevitori - perché nel luglio 2003 sarà difficile che vi siano -, essa viene riconosciuta come televisione nazionale e, come tale, entra nel calcolo per la definizione del limite del 20 per cento per le emittenti nazionali. Mi sembra uno degli aspetti più incredibili di questo disegno di legge, e vorrei capire se lo sia anche per voi: a mio avviso, infatti, rispetto ad una normale regola di concorrenza, tale previsione è assurda.

PAOLO GENTILONI SILVERI. Vorrei concentrarmi su un aspetto dell'intervento del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, di cui ho apprezzato anch'io la puntualità e la completezza, relativo alle concentrazioni nel settore pubblicitario.


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Mi sembra, infatti, che l'Autorità segnali, con particolare puntualità, il rischio di concentrazione in questo settore, nell'ambito di un giudizio generale - rientrante, naturalmente, nei suoi compiti di autorità antitrust -, in base al quale il cosiddetto duopolio realizza un elevato livello di concentrazione. Mi sembra di aver capito che nel settore pubblicitario, in particolare, si segnala la non corrispondenza con il quadro normativo comunitario di un limite basato non sulle risorse pubblicitarie, ma sul cosiddetto sistema integrato delle comunicazioni.
Se ho compreso bene quanto il dottor Tesauro ha affermato, anche nella documentazione precedentemente trasmessa a queste Commissioni, un macro settore come quello integrato delle comunicazioni non corrisponderebbe al quadro delle normative comunitarie, poiché quest'ultimo quadro richiede, in realtà, un limite più specifico. In altre parole, l'Autorità sostiene la necessità di fissare un limite più preciso contro la concentrazione pubblicitaria.
Vorrei porvi, allora, due domande. La prima: riterreste congruo riproporre, nell'ambito del disegno di legge Gasparri, il limite di concentrazione settoriale attualmente esistente? La seconda: quali sono i poteri dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in questa materia? Infatti, professor Tesauro, lei ha iniziato la sua esposizione annunciando la vostra intenzione di indirizzare una segnalazione in questa materia, ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 287 del 1990. Al di là di questo fatto, sicuramente importante ai fini della formazione del processo legislativo, qualora l'Autorità antitrust rilevasse, soprattutto nel settore della raccolta pubblicitaria, situazioni particolarmente meritorie di intervento, potrebbe intervenire? In che termini?
Al riguardo, vorrei portare un esempio concreto. In un'audizione recentemente svoltasi con il gruppo Mediaset, è stata posta ai responsabili di tale gruppo una domanda «di scenario»: se la cosiddetta legge Gasparri dovesse essere approvata nel testo attuale, la concessionaria di pubblicità Publitalia sarebbe interessata ad espandere il proprio raggio di azione, ad esempio nel settore della pay-tv (l'altro importante settore della televisione in Italia)? La risposta data non fu specifica ma, comprensibilmente e giustamente dal punto di vista di un operatore economico, fu del seguente tenore: se la legge li avesse autorizzati ad espandere il loro raggio di azione, essi sarebbero stati interessati a realizzarlo. In scenari del genere, la vostra Autorità può intervenire? E se sì, come?

GIUSEPPE GIULIETTI. Sono abituato ad ascoltare con grande attenzione le questioni poste dall'Autorità sia quando le condivido, sia quando non le ritengo condivisibili, poiché ritengo che le authority siano nate per vigilare, controllare e stimolare i trust. Affermo ciò perché ho ascoltato, in questi giorni, alcune interessanti interpretazioni, secondo le quali esse dovrebbero «stare buone»: mi sembra un'idea un po' strana, perché quello di vigilare su determinati settori è il loro mestiere, ed in una situazione complicata e chiusa, dovrebbero stimolarci, perché talvolta ci «accomodiamo» sugli accordi di cartello.
Innanzitutto, vorrei mi fosse chiarito se la concentrazione nel settore televisivo in Italia sia in aumento o in diminuzione; una delle tesi pubblicistiche più in voga, e talvolta di segno contrario, infatti, afferma che l'Italia rappresenta una anomalia in Europa, ma per difetto di concentrazione, poiché in Europa i gruppi sono talmente forti da essere in grado di competere, mentre nel nostro paese vi sarebbe una frantumazione, a causa della presenza di tante aziende in competizione.
Dal momento che lei, professor Tesauro, ha fatto un'affermazione precisa, vorrei dunque capire meglio se questa tendenza alla concentrazione sia delle reti generaliste, sia della pubblicità negli ultimi anni sia in aumento o in regresso. In altri termini, vorrei sapere se rappresentiamo un'anomalia nel contesto europeo perché il settore è eccessivamente liberalizzato, oppure perché esiste una situazione di segno contrario. Per il legislatore, infatti, è


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importante una segnalazione «terza» su un aspetto così importante, perché ne discendono due diverse filosofie industriali (e non politiche).
La seconda questione riguarda la determinazione del cosiddetto «paniere» (e domando scusa per la volgarità del termine usato): l'Autorità è in grado di effettuare, sulla base del testo attuale del disegno di legge presentato dal Governo, una propria simulazione, volta a stimare l'ammontare delle risorse, sulla base del nuovo «paniere»? Siccome si va da oscillazioni approssimative di 20 mila o 40 mila miliardi di lire, lei capisce, professor Tesauro, che, a seconda della cifra, ne conseguirà il relativo numero dell'antitrust. La sua Autorità e quella del professor Cheli sono in grado di operare, sulla base dei testi esistenti, una simulazione sulla quantificazione delle risorse determinata dall'attuale previsione?
Per quanto riguarda la questione relativa al numero delle reti, lei ha fatto riferimento alla sentenza della Corte costituzionale. Secondo la vostra esperienza ed una comparazione europea - fermo restando che il tetto delle risorse è ancora da definire -, il testo relativo al tetto antitrust sul numero delle reti è da abrogare? È possibile ipotizzare l'eliminazione del numero delle reti? Quindi, basta riferirsi alle risorse o ai programmi - e, quindi, ipotizzare un superamento del numero delle reti di proprietà di un solo determinato soggetto - o in Europa ancora esiste, a me così risulta, il mantenimento di una normativa antitrust che impedisce la creazione di una posizione dominante, in una fase in cui il digitale ancora non si è realizzato?
L'ultima questione riguarda l'editoria. Lei ha riferito che, forse, per un singolo operatore potrebbe restare il divieto di entrata in altri mercati, per il televisivo nell'editoria e viceversa. Le opzioni possibili sono tre. La prima è quella di un divieto assoluto, cioè il concessionario di tre reti, pubbliche o private, non può comprare giornali. Con la seconda si abbattono le barriere di ingresso - fu una vecchia richiesta degli editori - per i nuovi entranti: quindi, gli editori non hanno barriere ed entrano nel mercato di riferimento televisivo. Con la terza - che fu praticata per la liberalizzazione del settore della telefonia con una serie di osservazioni polemiche, a mio giudizio anche corrette, nei confronti del Governi di centrosinistra - sussiste, comunque, il problema di un dato asimmetrico. Infatti, se si liberassero dal vincolo i gestori, RAI o Mediaset, di tre reti e di gran parte della pubblicità, entrerebbero nel mercato dell'editoria con effetti molto forti, mentre i nuovi soggetti, che non hanno identiche condizioni di partenza, entrerebbero con un handicap.
Allora, sarebbe ipotizzabile l'idea di una norma che favorisca i nuovi entranti rispetto a quelli tradizionali? Si tratta di una norma praticabile oppure no? Per quanto riguarda gli utenti, dato che la televisione non riguarda solo le proprietà o gli incroci proprietari, so che avete competenze anche sui messaggi ingannevoli e sulle teletruffe e che più volte avete segnalato il rischio che, riguardo alle truffe televisive, l'attuale apparato sanzionatorio possa essere lento, non efficace o non automatico. L'apparato sanzionatorio e gli strumenti a disposizione dell'Autorità sono sufficienti per tutelare immediatamente il cittadino o il truffato oppure è necessario un provvedimento legislativo o un intervento specifico nel disegno di legge in esame?

GIORGIO PANATTONI. Desidero porre due quesiti. Il primo riguarda le direttive comunitarie che, giustamente, impongono criteri di assegnazione ed uso delle risorse frequenziali in modo che possano essere attribuite con criteri di trasparenza, non discriminatori e proporzionali. Mi risulta che Mediaset stia acquisendo risorse sul mercato, cioè stia andando in direzione assolutamente opposta alla creazione delle condizioni di avere risorse, anche scarse, disponibili per poter realizzare tale obiettivo, che lei cita come uno di quelli fondamentali per aprire il mercato, anziché chiuderlo o mantenerne l'attuale chiusura.


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L'Autorità antitrust può sanzionare questo comportamento? Ne esistono gli estremi ed è opportuno che lo faccia? Come si fa a tutelare se poi l'antitrust può intervenire solo a valle di un processo che si è già concluso ed ha già creato le condizioni per un'ulteriore chiusura del mercato anziché per una sua apertura? La seconda domanda riguarda l'estensione del limite del 20 per cento, dai contenuti alle infrastrutture trasmissive. Sembra molto giusta la diagnosi secondo la quale chi possiede in grandi quantità strutture trasmissive potrebbe condizionare il mercato a valle dei contenuti, nel senso che, in qualche modo, potrebbe incidere sulla possibilità di rendere totalmente aperto ed autonomo un mercato che, poi, deve transitare sulle strutture trasmissive.
Nel sistema analogico attuale come si configura il limite del 20 per cento, qual è la percentuale che attualmente detengono i due attori? Essendo molto elevata la percentuale di possesso di strutture trasmissive, come si fa a garantire che queste, con un meccanismo che non consente una liberalizzazione, possano trasferire sul mercato quel limite del 20 per cento?
Per quale strano motivo, per quale colpo di bacchetta magica dovrebbe avvenire questa improvvisa apertura, quando non esistono i presupposti e sussiste una condizione di particolare chiusura e un duopolio che sta, sostanzialmente, occupando una percentuale così elevata? Quali sono le condizioni di percorso da realizzare perché ciò possa essere un obiettivo credibile? Al di là di un'affermazione estremamente interessante ed importante per l'apertura dei mercati, le attuali vicende e il percorso di transizione verso il digitale non generano né automaticamente né con forzature un'apertura di questa natura. Ritengo che questo sia uno dei punti fondamentali per capire se questa norma vada verso una possibile apertura o verso un'ulteriore chiusura, come a noi pare.

PAOLO GENTILONI SILVERI. Il professor Tesauro ritiene sostenibile, dal punto vista giuridico, l'ipotesi di una norma, contenuta in alcuni disegni di legge in esame, che vieti ai concessionari di frequenze di controllare società di pubblicità? Dal punto vista della regolazione antitrust del mercato, è ipotizzabile stabilire un divieto ai concessionari di frequenze di controllare società di raccolta pubblicitaria?

PRESIDENTE. Professor Tesauro, l'ho ascoltata ed ho anche letto la relazione che, cortesemente, ci ha inviato. Francamente non condivido molti punti da lei espressi ma, senza entrare nel merito, mi ha sorpreso maggiormente la sua definizione, che non lascia spazio alle repliche, del 2006 come una data «lontana dalla realtà».
Mi pare che, sia nella legge n. 66 del 2001 sia nella proposta in esame, tutto il sistema politico - del quale giustamente, come sottolineava Giulietti, l'Autorità non deve tenere conto perché è assolutamente indipendente - fosse proiettato su una data e, guarda caso, coincidono.
È ovvio che vi sia un meccanismo ad imbuto nel quale andremo a cadere. Il sistema analogico è «obbligato» - per forza di cose - a continuare ad esistere: vi è un evidente problema in termini di risorse tecniche difficili da reperire, addirittura introvabili, che dovrebbero consentire il passaggio al digitale; vi è la necessità di uno stimolo forte che il sistema, nel suo complesso, dovrebbe subire, in base anche ad un rinnovato quadro legislativo, affinché si pervenga il più velocemente possibile alla fase del digitale autentico. Riporto un dato che vale per tutti: in occasione dell'approvazione della legge Maccanico, n. 249 del 1997, fu raggiunta una difficile mediazione tra le diverse posizioni, tanto che ci avvitammo per diversi giorni addirittura sul ricorso ad un aggettivo, il famoso «congruo ». Poi ne fu individuato un altro, che tendenzialmente non dovrebbe essere adottato nel linguaggio giuridico, dotato però di significato, di cui poi anche l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha cercato di fornire una definizione quantitativa. Ora, è indubbio


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che tra zero e cento vi sarà una percentuale in base alla quale tutti noi - quindi anche l'autorità - potremmo immaginare che il mercato sia completato o in via di completamento, o sia superato il punto di non ritorno.
Non so se questo livello possa o debba essere del 50 per cento, ma è immaginabile pensare che la cifra sarà compresa tra il 50 ed il 100 per cento, anche perché in Italia, in ragione della sua conformazione orografica, completare il famoso 5 per cento comporterebbe un costo altissimo, rispetto invece al completamento dell'iniziale 50 per cento; stante il fatto che, tecnicamente, il 50 per cento di questo paese si copre con cento impianti, i quali costituiscono una spesa relativamente non modesta - parliamo sempre di decine di miliardi - ma comunque neppure incredibile.
È immaginabile che, nel suddetto percorso ad imbuto, un'idea del punto di caduta in data 2006 non sia così peregrina. Quindi il fatto che lei, professor Tesauro, abbia invece definito quella data «lontana dalla realtà» francamente mi sorprende. Anche perché il sistema politico nel suo complesso sta cercando di individuare la strada per far sì di conseguire l'obiettivo prefissato, affinché questo termine divenga non dico perentorio ma almeno uno stimolo forte al settore. Gli stessi operatori, in questa sede, hanno spiegato che il meccanismo finale deve essere tale. Invece, ci troviamo di fronte all'Autorità che regola la concorrenza che, a differenza di quanto da più parti espresso, giudica negativi moltissimi passaggi di questo disegno di legge: francamente, non capisco quale sia la motivazione che porta l'Autorità ad esprimere giudizi così perentori.

EUGENIO DUCA. Intendo porre due domande. In precedenti audizioni è stato sostenuto che in Italia vi è una dominanza dei due monopoli, quello pubblico RAI e il privato Mediaset, ma che negli altri paesi europei o anche non europei la dominanza sia ancora maggiore, quindi l'Italia non presenterebbe di per sé nessuna anomalia. Lei ha citato alcuni dati diversi, che parrebbero smentire questa tesi. Le chiedo perciò di provvedere cortesemente ad esplicitare più compiutamente la sua posizione. La seconda domanda riguarda il cosiddetto tetto del 20 per cento: lei ritiene il limite del 20 per cento efficace, a patto che non si amplifichi surrettiziamente il dato 100 e si rimanga all'interno del mercato televisivo?

PRESIDENTE. Do ora la parola al professor Tesauro per la replica

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Desidero innanzitutto rispondere alle osservazioni del presidente Romani. Forse non mi sono spiegato abbastanza. Per me il 2006 rappresenta l'ideale, il sogno, lo sarebbe ancor più il 2004: tanto noi dell'Autorità antitrust ci speravamo da averlo all'inizio addirittura suggerito. Vi è stato un momento, al principio, in cui guardavamo persino con sfavore a quel limite temporale, ritenendolo troppo lontano. Poi, naturalmente, con il tempo ci siamo resi conto che negli altri paesi sono stati molto più prudenti per ragioni tecniche, politiche e normative. Ci siamo allora resi conto della difficoltà anche per il nostro paese di conseguire quel risultato in quei tempi. Naturalmente ciò non ha niente a che fare con il colore politico del Governo che ha fissato questa data o di quello che ha ereditato questo stesso termine di riferimento. Francamente, in proposito non abbiamo nulla da dire.
Possiamo soltanto esprimere la speranza di ottenere il risultato entro il 2006. Ma abbiamo qualche perplessità perché vediamo che altrove è stato ritenuto di impossibile realizzazione. E confermo inoltre che l'autorità oggi spinge verso una accelerazione del processo in corso: abbiamo già autorizzato sia Mediaset sia RAI alla sperimentazione, chiudendo gli occhi anche quando vi erano dei problemi di concorrenza, in vista proprio del favor generale che dimostriamo per la sperimentazione suddetta e quindi per l'accelerazione del processo di modernizzazione del paese.


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La nostra non è una posizione critica, esprimiamo, però, lo ripeto, qualche perplessità perché altrove mentre si è iniziato il cammino con entusiasmo, come se si volessero percorrere i cento metri in dieci secondi, ci si sta ora accorgendo che il tempo necessario è invece superiore. Questo evidentemente è un dato da tenere in considerazione.
Per quanto riguarda le altre domande, spero di essere all'altezza con le risposte. Ho piacere che qualche dubbio sulle autorità indipendenti sia stato fugato, benché non oso sperare che siano bastate queste parole amichevoli per scioglierli nella loro interezza. Tengo, però, soprattutto all'aggettivo «indipendente», più che al sostantivo «autorità», perché ho sempre pensato che non si tratti di un esercizio autoritario di qualche potere, ma semplicemente di un contributo di indipendenza ad un dibattito anche parlamentare e durante il processo legislativo.
Detto questo, sono state poste delle domande abbastanza interessanti, che aprono degli scenari complessi, in particolare sul rapporto con la pay-tv. Gli operatori di pay-tv per ragioni loro, economico-finanziarie e forse anche tecniche, si sono ridotti a due, dei quali poi uno si è trovato in situazioni molto difficili; per cui, alla fine, con grandissima sofferenza da parte nostra e con severe condizioni avevamo autorizzato la fusione tra i soggetti interessati (parlo naturalmente di Telepiù e Stream). Poi, per ragioni ancora una volte estranee sia a noi sia alle condizioni di riferimento, ma evidentemente inerenti alla vicenda societaria francese di uno dei due operatori, questo non si è verificato. Quale era la logica dell'approccio che abbiamo adottato di fronte a questa vicenda? Dal momento che allo stato doveva esserci un solo operatore, in ragione delle difficoltà incontrate da uno dei due soggetti, e nella consapevolezza che in futuro le cose andranno diversamente, creandosi altre prospettive, abbiamo ritenuto opportuno, dovendoci appunto essere un soggetto monopolista, che almeno questo operasse su uno solo dei tre scenari possibili, cioè satellitare via cavo e digitale terrestre. Quindi, abbiamo «chiuso» gli operatori sul satellitare impedendo loro nel futuro in qualunque modo, diretto o indiretto, di entrare nel digitale terrestre (il via cavo invece è irrilevante perché non ha avuto molto successo in Italia).
È chiaro che nel digitale terrestre tutti possono entrare, anche numerosi operatori: è la speranza che nutriamo per la modernizzazione del sistema. Si tratta di una questione di investimenti, e sia la RAI, sia Mediaset li stanno già effettuando, sia pure con qualche difficoltà di sperimentazione, e stanno acquistando e diffondendo gli impianti, nella prospettiva di beneficiare del sistema digitale terrestre.
Da questo punto di vista, quindi, credo che l'autorità abbia fatto tutto quanto era in suo potere, anche se, naturalmente, le condizioni economiche, le vicende societarie e gli aspetti tecnologici fanno il resto. Abbiamo ritenuto di fornire il nostro contributo per stemperare gli effetti perversi di una vicenda societaria che avrebbe condotto ad un monopolio della pay-tv in Italia, e non solo.
La seconda curiosità dell'onorevole Rognoni riguardava le concentrazioni nel settore pubblicitario. I limiti posti dal disegno di legge sono orientati al conseguimento dell'obiettivo del pluralismo, del quale, evidentemente, si occupa l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Per l'Autorità garante della concorrenza e del mercato rimane, ovviamente, lo spazio tipico di una autorità competente in materia di concorrenza: nel momento in cui vengono superate certe quote di mercato (in quello pubblicitario o in un altro), si oltrepassa la soglia di attenzione dell'Autorità antitrust, che può intervenire, attraverso procedimenti istruttori, al fine di verificare l'esistenza di un abuso di posizione dominante.
Oggi vi è uno spazio completamente libero, e ciò riguarderà anche il domani, in presenza o in assenza di limiti. Vorrei sottolineare come il pluralismo sia un po' un «cugino» della concorrenza, anche se vanno molto d'accordo e vi è una sinergia; tuttavia un conto sono i limiti volti a


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favorire il pluralismo, un altro, invece, sono i limiti posti al dominio nel mercato, al di là dei quali vi è il sospetto, o l'inclinazione, ad abusare della propria posizione dominante. In tal caso, allora, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato può intervenire. Attualmente, abbiamo - e, se ce li lasceranno, li avremo anche domani - tutti i poteri di un'authority antitrust per quanto concerne l'uso della posizione dominante di un'impresa nel mercato. Ciò riguarda, naturalmente, anche i limiti alla raccolta pubblicitaria: attualmente, l'autorità ha la facoltà di intervenire ove si renda conto dell'esistenza di una posizione dominante, della quale si fa un uso abusivo.
Per quanto concerne gli interrogativi posti dall'onorevole Giulietti, rispondo che, per quanto riguarda le norme sia in itinere, sia vigenti, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato dispone di un potere-dovere di segnalazione, assegnatole dal legislatore del 1990, che cerca di usare in maniera anche «garbata». Per quanto garbo sia possibile usare, naturalmente, è evidente che, nel momento in cui viene attribuito il potere-dovere di segnalare al legislatore le possibili distorsioni concorrenziali di una normativa esistente o in itinere, l'autorità finisce per criticare il proponente del provvedimento, oppure chi ha fatto la legge e l'ha mantenuta. Questo è forse un destino avverso e crudele per noi, ma cerchiamo di svolgere il nostro lavoro, cercando di stimolare il legislatore a migliorare un provvedimento legislativo evitando, per quanto possibile, quegli effetti perversi che potrebbero danneggiare l'assetto competitivo del mercato.
In questo lavoro siamo ben consapevoli di avere un'ottica molto specifica; noi possiamo rilevare e rappresentare tale ottica, ma è poi il legislatore - che ha non solo i nostri problemi, ma almeno altri cento - a dover realizzare una combinazione tra i vari elementi e a compiere scelte in grado di tenere conto del punto di vista non solo nostro, ma anche di altri soggetti. In altri termini, siamo perfettamente consapevoli che non sempre è possibile soddisfare le esigenze del mercato e della libera concorrenza quando esistono anche altre esigenze, magari più importanti.
Per quanto riguarda l'anomalia italiana della frantumazione, soprattutto in rapporto ad altri paesi europei, vorrei rispondere che, nel corso dello svolgimento della mia relazione, ho fornito alcuni dati relativi ai primi due operatori nel settore. Osservando solamente i primi due operatori nei paesi dell'Unione europea, l'Italia presenta il tasso di concentrazione maggiore; il quale è passato - per la verità, senza peggiorare molto - dall'89 per cento del 1992 al 90 per cento del 2001. In Grecia, invece, si è passati dal 64 al 43 per cento, riducendo il tasso di concentrazione; nel Regno Unito si è passati dall'85 per cento al 65 per cento, riducendo ancora il tasso di concentrazione, in misura del 20 per cento; in Francia, si è passati dal 79 per cento al 74 per cento, riducendosi anche in tal caso, sia pure di poco; in Danimarca, è aumentato, passando dal 75 per cento al 79 per cento. Come vedete, esistono situazioni diverse, tuttavia l'Italia è il paese che presenta il tasso di concentrazione maggiore.
Per quanto concerne i limiti alle emittenti, al momento vorrei solamente illustrare alcuni esempi; successivamente, sarà fornita una descrizione più puntuale e approfondita della situazione in ambito europeo.
In Germania esiste uno strano limite: il 30 per cento di audience. Mi domandavo, con spirito ludico, come sia possibile scendere al di sotto di questo limite: magari, mandando in onda un cattivo programma!

GIUSEPPE GIULIETTI. Possiamo trovarle dei consulenti!

PRESIDENTE. I cattivi programmi eventualmente fanno ascolto, questo è il problema! Sono i buoni programmi a non fare audience!

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Oppure realizzando un buon programma!


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Nel Regno Unito, invece, i limiti sono in corso di modifica, e nel progetto in discussione è previsto un piccolo limite di audience, un limite al numero di licenze ed anche agli incroci tra editoria e televisione. In Spagna sono previsti limiti sia al numero di frequenze (una), sia al possesso azionario (49 per cento) (quest'ultimo in via di abolizione); in Francia è stato posto un limite al numero di frequenze occupate.
Per quanto concerne le emittenti pubbliche, in Germania è stato fissato un limite alla raccolta pubblicitaria; nel Regno Unito, la BBC possiede due reti finanziate esclusivamente attraverso il canone, mentre la sua terza rete, Channel4, beneficia esclusivamente della pubblicità; in Spagna e in Francia, infine, esistono limiti alla raccolta pubblicitaria.
Per quanto riguarda il quesito sulla pubblicità ingannevole, rispondo che si tratta di una competenza, assegnata dalla normativa vigente alla nostra autorità, molto interessante; devo riconoscere, tuttavia, l'esistenza di limiti all'efficacia dell'applicazione della legge, poiché, in pratica, non esistono sanzioni. L'attività di controllo dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, infatti, ha effetti solamente per le imprese «serie», che non so se siano la maggioranza; quando si tratta, invece, di imbroglioni o di cialtroni, non vi è alcuna possibilità di prenderli, sia per i tempi, sia per l'efficacia delle sanzioni comminate.
Per quanto concerne la domanda sulle direttive comunitarie e sul fatto che Mediaset stia acquistando impianti per la sperimentazione, rispondo che ciò corrisponde al vero, ma lo sta facendo anche la RAI: i due operatori principali, in sostanza, si stanno preparando, già da qualche tempo, sul piano della sperimentazione e della diffusione degli impianti sul territorio.
Per quanto riguarda il limite del 20 per cento per le reti, allo stato, vale a dire nel sistema analogico, è la sentenza della Corte costituzionale a porre il limite; per quanto concerne lo scenario successivo, invece, relativo all'introduzione del digitale terrestre, potrà esservi una norma specifica: così come esiste una norma che pone un limite per i programmi, infatti, potrebbe essere fissato un limite alla titolarità del possesso delle reti.
Anche in questo caso, le possibilità per l'Autorità antitrust di intervenire, evidentemente vi sono. Infatti, dal punto di vista della attenzione alla dominanza delle imprese, vi è una figura specifica della dominanza su un mercato che viene utilizzata per riversarla su un altro mercato contiguo: è questo il caso tipico della rete e di ciò che passa per essa. Noi vi abbiamo fatto ricorso, usandola nelle telecomunicazioni in più di un'occasione e abbiamo in qualche modo limitato l'operatore della rete per ciò che riguarda l'utilizzo della rete stessa e l'allacciamento ad essa da parte di altri operatori.
Quindi, le possibilità di intervento per un'Autorità antitrust ci sono e restano intatte, sia oggi, sia domani. Sarebbe opportuno che il legislatore - questo, tutto sommato, è il nostro suggerimento - laddove pensi ad un limite ai programmi, pensasse altresì ad un limite al possesso di reti, perché altrimenti il primo limite può essere vanificato: vi è poco da fare, è l'esperienza a dirci questo (oltre che il buon senso).

PRESIDENTE. Professor Tesauro, la invito a concludere perché a seguire avrà luogo l'audizione del professor Cheli e, purtroppo, ci troviamo oggi a dover comprimere i nostri lavori in un tempo più ristretto.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Un ultimo flash. In Italia vi sono più operatori dominanti che in altri paesi: non credo. Ogni Stato ha la sua storia.
Il tetto del 20 per cento è efficace? Tutto sommato crediamo di sì, un limite forse ci vuole - il 20 per cento - poi, dipende dai casi e dall'evoluzione poiché si tratta di situazioni dinamiche (tutto sommato, però, lo vediamo con un certo favore).
Vi ringrazio per il tempo che ho avuto a disposizione e mi scuso se non ho


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risposto puntualmente a tutte le vostre domande.

PRESIDENTE. La colpa è semmai nostra perché abbiamo condensato in un ora due audizioni. La ringrazio anche a nome delle Commissioni.

Audizione di rappresentanti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul riassetto del sistema radiotelevisivo, l'audizione di rappresentanti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ringraziamo i nostri ospiti, il professor Cheli, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il dottor Pilati e il dottor Sangiorgi, commissari, per aver accolto l'invito delle Commissioni. Do subito la parola al presidente Cheli.

ENZO CHELI, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ringrazio anzitutto la VII e la IX Commissione, così come i loro presidenti, per questo invito, che consente all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di esprimere alcune valutazioni sul riassetto del sistema radiotelevisivo alla luce dei progetti di legge che oggi sono all'esame della Camera.
A questo proposito, vorrei subito ricordare che l'Autorità, nelle varie relazioni annuali presentate al Parlamento e, in particolar modo, nell'ultima relazione del 14 luglio di quest'anno, ha ripetutamente sottolineato non solo la necessità ma anche l'urgenza di una legge di sistema costruita per principi e destinata a guidare gli sviluppi del nostro sistema radiotelevisivo in una fase particolarmente delicata di passaggio quale quella presente.
Questa necessità e urgenza di una legge di sistema risulta, a nostro avviso, determinata (l'abbiamo sottolineato nella relazione al Parlamento), dall'incrocio di tre passaggi che, nel corso dell'ultimo anno, sono andati maturando, si sono intrecciati fra loro e appaiono ora destinati ad incidere profondamente sugli sviluppi futuri del nostro sistema radiotelevisivo.
Un primo passaggio viene a collegarsi all'approvazione, avvenuta nell'aprile scorso, delle cinque nuove direttive comunitarie sulla comunicazione elettronica (una direttiva quadro e quattro direttive di settore), che andranno recepite dal nostro paese entro il luglio del prossimo anno e che, seguendo l'ottica della convergenza, hanno ampliato lo spazio regolatorio dal sistema delle telecomunicazioni (che era il sistema tradizionale di queste direttive di liberalizzazione e di armonizzazione) al sistema radiotelevisivo.
Un secondo passaggio si collega invece all'esigenza di attuare la riforma del Titolo V della Costituzione che, come noto, ha affidato alla competenza legislativa concorrente delle regioni una nuova materia, definita per la prima volta come «ordinamento della comunicazione».
Infine, un terzo passaggio è dato dall'avvio della sperimentazione delle trasmissioni televisive del digitale terrestre che, per una scelta operata dal nostro legislatore, dovrà sostituire integralmente l'attuale tecnologia analogica entro il dicembre del 2006.
Con riferimento a questo nuovo contesto che si va delineando dall'incrocio di questi tre diversi percorsi, l'Autorità valuta con favore il fatto che il Governo, aderendo alle sollecitazioni espresse nel messaggio del Capo dello Stato del luglio scorso, abbia elaborato e presentato al Parlamento un disegno di legge di sistema, costruito per principi - cioè dotato di un'adeguata flessibilità nella fase attuativa -, il cui esame è stato immediatamente avviato insieme alle numerose proposte di legge che sono agli atti della Camera.
Tra le varie proposte che state esaminando, a nostro avviso possono ambire alla qualifica di vere leggi di sistema, costruite per principi, oltre al disegno di legge governativo n. 3184, la proposta di legge n. 3286 presentata dall'onorevole Maccanico e la proposta di legge n. 436 presentata dall'onorevole Giulietti, che peraltro


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ricalca con poche varianti il disegno di legge n. 1138 presentato al Senato nella scorsa legislatura.
Nel disegno di legge n. 3184 del Governo vanno segnalati e meritano un apprezzamento particolare la completezza e la sistematicità dell'impianto del dettato normativo; la definizione nel capo I dei principi generali che riassumono e sviluppano efficacemente i principi presenti nella legislazione nazionale, comunitaria e negli orientamenti della giurisprudenza costituzionale; la definizione dei criteri direttivi per l'adozione del codice della radiotelevisione che sono indicati nel capo III; infine, l'individuazione dei compiti connessi alla missione propria del servizio pubblico che viene espressa nel capo IV.
Nella proposta di legge n. 3286 assumono, invece, particolare rilievo la definizione dei principi fondamentali destinati a circoscrivere le competenze regionali e la maggiore attenzione dedicata alla disciplina antitrust applicabile nella fase transitoria, in attesa dell'avvento definitivo del digitale terrestre.
In linea generale, alla luce del nuovo contesto prima ricordato, la valutazione dei progetti che hanno le caratteristiche di leggi di sistema costruite per principi sollecita l'esigenza di una maggiore valorizzazione di tre profili nella futura disciplina finale, tutti legati alla necessità di un miglior coordinamento tra le diverse discipline relative al settore in esame. In primo luogo, bisognerebbe puntare ad un rafforzamento del raccordo tra legge di sistema e futuri interventi finalizzati al recepimento delle nuove direttive comunitarie in tema di comunicazione elettronica, anche al fine di uniformare alcuni concetti che sono di impiego comune in questi due diversi campi. In secondo luogo, avvertiamo l'esigenza di una maggiore considerazione del profilo del decentramento, attraverso un richiamo più diretto ed una disciplina più completa del ruolo dei comitati regionali per le comunicazioni (CORECOM), con i quali la nostra Autorità ha da tempo avviato un rapporto di collaborazione. In terzo luogo, avvertiamo l'esigenza di un coordinamento più stretto tra legge di sistema e discipline già adottate in tema di digitale terrestre: si tratti della legge n. 66 del 2001 o del regolamento che l'Autorità ha adottato il 2 novembre del 2001.
L'Autorità, pur senza voler entrare nel merito di scelte che, ovviamente, spettano esclusivamente alla sfera politica, ritiene di dover accennare ad alcuni profili che in questo momento appaiono più problematici. Questi aspetti investono - e li abbiamo indicati nel documento che abbiamo depositato presso le Commissioni la scorsa settimana - tre aree, riferite rispettivamente alla disciplina antitrust, alla nuova disciplina della concessionaria pubblica e alle modalità e ai tempi del passaggio dall'analogico al digitale. Nella memoria schematica che abbiamo inviato vengono riassunti questi tre profili più incerti che richiederebbero ulteriori approfondimenti anche di ordine strettamente tecnico.
Partendo dalla disciplina antitrust, vorremmo in particolare richiamare i seguenti punti. In primo luogo, l'esigenza di definire meglio la nozione di «sistema integrato della comunicazione» presente nel disegno di legge governativo, nozione che, allo stato, risulta composta di settori tra loro diversi e non sempre agevolmente quantificabili, anche perché alcuni non sono tradizionalmente legati alla nozione di comunicazione.
In secondo luogo, l'esigenza di comparare e di allineare i limiti antitrust dell'editoria con quelli delle imprese radiotelevisive, al fine di introdurre una par condicio tra le diverse imprese operanti nel sistema della comunicazione.
In terzo luogo, l'esigenza di approfondire la valutazione della misura asimmetrica che è prevista per gli organismi di telecomunicazione, alla luce del diritto della concorrenza e delle valutazioni che sono state espresse dal Consiglio di Stato in sede di applicazione del comma 8, articolo 4, della legge n. 249 del 1997: si tratta del caso Seat-Telemontecarlo.
In quarto luogo, la necessità di considerare anche il profilo dell'audience tra gli indici rilevanti per la definizione delle


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posizioni dominanti vietate. In realtà, questo punto è richiamato - ma solo con un breve accenno che, forse, andrebbe sviluppato ed approfondito - nel disegno di legge governativo al comma 2 dell'articolo 11: questo profilo può assumere un rilievo particolare proprio ai fini del pluralismo cosiddetto esterno.
Infine, si avverte l'esigenza di precisare meglio, sempre sul piano della disciplina antitrust, il regime giuridico applicabile nell'attuale fase di passaggio dall'analogico al digitale. Anche questo punto è trattato nel disegno di legge governativo, ma nella proposizione iniziale dell'articolo 13 vi è un inciso che può suscitare qualche incertezza interpretativa e che, forse, andrebbe approfondito.
Per quanto concerne la seconda area della disciplina del servizio pubblico, gli aspetti più problematici investono il percorso della privatizzazione che nei progetti in esame non appare sempre ben determinato nei suoi vari passaggi e, più che altro, appare indeterminato nella sua prospettiva finale.
La scelta di una privatizzazione integrale della concessionaria del servizio pubblico dovrebbe tener conto anche dei contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 284 del 2002, dove il concessionario del servizio pubblico radiotelevisivo viene ricondotto, per struttura e modo di formazione degli organi di indirizzo e di gestione, alla sfera pubblica. A nostro avviso, una volta imboccata la strada della privatizzazione - che, certamente, la Corte non esclude e che è stata aperta da un referendum -, si prospetta l'esigenza di prendere in considerazione alcune garanzie di carattere pubblicistico nella scelta degli organi di indirizzo e di gestione.
Tali garanzie indurrebbero a valorizzare maggiormente - ma alcuni passaggi del disegno di legge governativo tengono conto di questa esigenza - la possibilità di conservare una forma di controllo parlamentare espresso, in ragione del valore costituzionale dell'informazione svolta attraverso il servizio pubblico, a maggioranza qualificata o, comunque, attraverso modalità suscettibili di assicurare anche l'apporto delle minoranze. Ci riferiamo ai criteri di nomina degli organi di gestione del servizio pubblico. Da alcune parti, si fa riferimento, ad esempio, ad una analogia con i criteri di nomina delle autorità indipendenti.
Infine, per quanto concerne i tempi e le modalità del passaggio al digitale, che a nostro avviso costituisce la terza area da approfondire, oltre a rinviare ai contenuti della scheda strettamente tecnica - sugli aspetti della pianificazione e digitale terrestre -, depositata la scorsa settimana insieme con la nota inviatavi, vorremmo sottolineare, innanzitutto, l'opportunità di rispettare la data già fissata per il 2006, ai fini del passaggio suddetto. Una data che a nostro giudizio può ritenersi ancora realistica, a condizione, ovviamente, di non accumulare ulteriori ritardi nell'avvio della sperimentazione e di adottare in tempi stretti tutti gli incentivi necessari per cominciare questo passaggio, incentivi che già l'autorità ebbe modo di segnalare e indicare nel Libro bianco sul digitale terrestre risalente all'autunno del 2000.
Sul piano della fase di transizione dall'analogico al digitale, naturalmente si pone un problema. Vedo che le Commissioni hanno già cominciato ad esaminare questo tema, relativamente alla valutazione dell'impatto della sentenza n. 466 del 2002 della Corte costituzionale, destinata a determinare conseguenze sulla disciplina transitoria, fissata nel disegno di legge C. 3184, e in particolare su alcuni commi dell'articolo 22 del provvedimento in esame, elaborato prima dell'intervento della Corte stessa. Nella medesima ottica di valutazione dell'impatto della sentenza sul disegno di legge governativo bisognerà anche valutare i riflessi che questa sarà destinata a produrre - e qui il richiamo è addirittura contenuto in un passaggio della pronuncia - su norme non direttamente investite dalla censura ma comunque strettamente connesse a quelle vagliate dalla Consulta. Si tratta delle norme espresse nei commi 9 e 11 dell'articolo 3 della legge n. 249 del 1997, in tema di terza rete senza pubblicità e di liberazione


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delle frequenze terrestri da parte di una rete legittimata a trasmettere in forma codificata. La Corte non è intervenuta espressamente su queste norme, che non formavano oggetto di impugnativa, ma nella sentenza è comunque evidenziato il collegamento fra la pronuncia emessa ed il riflesso che essa sarà destinata ad avere sulle disposizioni in menzione.
La lettura del dispositivo e della motivazione della sentenza induce a ritenere che gli adempimenti indicati dalla Corte - rispetto sia al termine di passaggio di una rete sul satellite sia agli effetti collegati ed esplicati su norme non impugnate - almeno con riferimento ad un quadro tecnologico invariato di qui ad un anno sul piano della distribuzione delle risorse frequenziali analogiche, non possono subire proroghe ulteriori, al di là del termine fissato, sebbene, secondo quanto la Corte ritiene, spetterà pur sempre al legislatore determinare le modalità del passaggio. Tuttavia, leggendo con attenzione la sentenza, dovrebbe trattarsi di modalità che non investiranno il termine suddetto.
Vengo poi, in chiusura del mio intervento, alle nuove e rilevanti competenze affidate dal disegno di legge governativo all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Queste attribuzioni investono, come noto, varie aree, ma assumono rilievo particolare con riferimento alle funzioni di regolazione e vigilanza della concessionaria di servizio pubblico. Mi pare evidente, in proposito, l'esigenza di accentuare - ciò che è stato sottolineato pure in un recente convegno - il raccordo tra autorità di garanzia e Commissione parlamentare di vigilanza proprio in relazione al rafforzamento del ruolo dell'autorità rispetto alla missione del servizio pubblico. Questo insieme di competenze si collega, del resto, a una scelta di ordine più generale che il disegno di legge governativo opera all'articolo 10, norma generale di riferimento e di impianto dei poteri conferiti all'autorità. La scelta operata dall'articolo in menzione affida a questa ultima il compito di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali della persona nel settore della comunicazione anche radiotelevisiva. È stata una scelta a nostro avviso ben giustificata alla luce del ruolo di garanzia e dei compiti estesi ai vari comparti della comunicazione che hanno caratterizzato l'autorità sin dalla sua istituzione, ai sensi della legge n. 249 del 1997.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

CARLO ROGNONI. Da quanto dichiarato in questa sede, sono emersi alcuni aspetti significativi. Svolgo pertanto alcune rapide considerazioni. Per quanto riguarda, in primo luogo, la data del 2006 la vostra posizione è leggermente diversa da quella dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Posto che tutti noi vorremmo fosse conseguito il risultato del 2006, emerge questa contraddizione fra le visioni delle autorità audite: dopo che l'Autorità antitrust ha sostenuto che, rispetto all'esperienza del resto d'Europa, questo obiettivo appare poco realistico, lei affermerebbe il contrario, sempre che vengano garantiti adeguati investimenti.
Ritengo che rispetto alla legge risalente al 2000, il quadro sia cambiato. Perché, mentre nel 2000, con la rapidità degli sviluppi tecnologici, avevamo tutti la speranza e l'ambizione che l'Italia riuscisse entro il 2006 a compiere questa trasformazione, gli ultimi due anni hanno pressoché smentito tale previsione, non essendo accaduto nulla, salvo alcuni piccoli esperimenti compiuti in certe zone dell'Italia. In altri paesi, del resto, ove la sperimentazione è stata molto più ampia e avanzata, si è spostato l'asse al 2010, o addirittura al 2015. A mio parere lo switch off è il punto centrale, e non è un piccolo dettaglio: un conto è raggiungere la transizione dall'analogico al digitale in due o tre anni un altro in dieci. E credo sia importante dire, rispetto al contesto internazionale, che il 2006 potrebbe essere una scadenza realistica solo se questo Governo al più presto - e non fra un anno - intervenisse in modo opportuno. Consideriamo certamente la difficoltà di realizzare certe prospettive, tenuto conto che nel


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luglio del 2003 la RAI dovrebbe dotarsi di due multiplex con copertura. Alla luce di ciò, voi considerate - come Autorità garante delle comunicazioni, anche in rapporto al messaggio del Presidente della Repubblica sul pluralismo - realistico, accettabile il fatto che in una legge si valuti sufficiente la copertura del 50 per cento della popolazione, senza richiedere peraltro l'effettivo collegamento a quella rete nelle stessa percentuale, ottenendo ciononostante un riconoscimento a livello nazionale?
Le reti nazionali, in questo modo, salirebbero di fatto da undici a quindici e così facendo il punto posto dalla Corte costituzionale verrebbe a saltare (il 20 per cento di quindici diventa tre, e quindi non ci sarebbe più nulla da mettere in discussione). Questo alla luce delle considerazioni che avete svolto sull'audience. Peraltro, la transizione da undici a quindici delle reti nazionali avverrebbe in modo strumentale. Si riconoscerebbero, infatti, delle reti - oggi prive di concessione - a cui consentire di operare in una fase transitoria che sarà lunga (voi dite di no e noi rispondiamo che dipenderà dall'iniziativa del Governo).
In tale quadro, soggetti privi di concessione, perché non aventi titolo per ottenerla, continueranno a trasmettere, ad occupare frequenze, impedendo persino, in un reale mercato frequenziale, la possibilità di gestione anche in funzione delle direttive europee, richiamate peraltro dall'Autorità antitrust.
Siamo di fronte ad un punto assolutamente delicato per un'Autorità garante delle comunicazioni. Vorrei avere, allora, chiarimenti sulla vostra posizione, perché altrimenti ci ritroveremo in una posizione difficile, in cui, a mio avviso, si rischia di far passare i provvedimenti più insensati.
Ritengo che questo aspetto, assieme al problema delle frequenze, delle risorse e del mercato pubblicitario, sia essenziale, dal momento che il disegno di legge al nostro esame si basa proprio sulla transizione al sistema digitale. Pertanto, affermare che il termine del 2006 sia realistico significa accettare un punto fondamentale di questo disegno di legge. Nella migliore delle ipotesi, infatti, il provvedimento verrà approvato nella primavera del prossimo anno, dopodiché si dirà cosa accadrà. La Corte afferma che una rete dovrà essere tolta dall'attuale sistema già alla fine dell'anno prossimo, ma nel luglio 2003 dovrà essere assicurata la copertura del 50 per cento, con due multiplex inesistenti, che non vedrà nessuno e che trasmetteranno programmi inesistenti. Se sarà così, ciò rappresenterà, a mio avviso, anche un tradimento dello spirito con il quale il Presidente della Repubblica ha inviato il messaggio alle Camere sull'informazione.

GIUSEPPE GIULIETTI. Ringrazio il presidente Cheli ed i commissari dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Sangiorgi e Pilati, dal momento che, in questa situazione così anomala, svolgono un lavoro che non invidio. Esprimo, tuttavia, un giudizio di approvazione della loro attività, prescindendo dalla convergenza con i loro orientamenti, poiché ritengo importante avere autorità indipendenti in grado di fornire sollecitazioni sulle quali confrontarsi.
Il consenso, invece, è una questione diversa, e ritengo fondamentale la distinzione dei ruoli. Spesso, infatti, polemizzo, perché voglio che vi sia un arbitro, mentre altri vorrebbero l'assenza dell'arbitro ed autorità «governative». Personalmente, credo negli arbitri, e se dovesse prendere corpo una qualsiasi proposta volta a ricondurre sotto i Governi - di qualsiasi colore - le nomine delle autorità, oppure a condizionarle, riterrei conclusa tale esperienza, mentre credo che occorra coinvolgere pienamente le diverse authority nella prospettiva di un riassetto del settore. Non si tratta di un problema di destra o di sinistra, ed eviterei di giocare con questi argomenti.
Fatta questa premessa, vorrei rivolgere alcune domande, anche se credo che alcune risposte siano contenute nella documentazione trasmessa dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni alle Commissioni riunite. La recente sentenza della Corte costituzionale è «aggirabile» dal


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legislatore? In altri termini, rispetto ad una sentenza assolutamente chiara in alcuni dei suoi elementi, esiste la possibilità che il legislatore, in corso d'opera, la superi, modificando tetti e numeri?
Ritengo importante, altresì, un giudizio imparziale - dal momento che le authority nascono non per essere parti, ma per mediare tra le parti e, soprattutto, per condizionare i trust, che per loro natura non intendono accettare alcuna condizione, e dunque tutelare l'interesse generale - sul «paniere» delle risorse del disegno di legge Gasparri, perché dalla sua lettura non riesco a comprendere la definizione del limite del 20 per cento previsto. Reputo importante, allora, che l'Autorità svolta un'attività di monitoraggio, poiché sapete bene che se il 20 percento è calcolato su un determinato numero, e se tale numero viene elevato all'ennesima potenza, quel 20 per cento non esiste, e dunque decade automaticamente la possibilità di apprezzare l'esistenza di una norma antitrust.
Immagino abbiate compiuto o suggerito una stima - anche perché, se viene fatto dall'Autorità, essa diventa impegnativa per il suo stesso futuro - di questo «paniere»: spesso ci scherziamo, ma dietro questa definizione vi sono gli interessi non solo di Mediaset e della RAI, ma anche dell'editoria, dei nuovi entranti e di numerose imprese, che devono avere pari dignità rispetto alle due aziende storiche. Vorrei domandarvi, allora, se avete effettuato tale monitoraggio, oppure una valutazione in tal senso.
Inoltre, suppongo che l'Autorità non possa che opporsi ad ogni idea di condono delle violazioni, da chiunque consumate in questo periodo (RAI o Mediaset), perché so che lo stesso presidente Cheli, in modo molto forte, e talvolta con un Parlamento sordo, si è espresso in tal senso. Se non ricordo male, esiste un antico problema, relativo alle modalità del monitoraggio e del controllo degli «sforamenti». Mi riferisco a questioni molto dettagliate, quali gli «sforamenti» eventualmente commessi da RAI e da Mediaset in questo periodo e l'annoso problema delle telepromozioni, che ritengo oggi abbia trovato una soluzione definitiva. Su tali eventuali violazioni, allora, l'Autorità ha svolto un monitoraggio? A quanto ammontano gli «sforamenti» commessi da queste aziende in questo periodo? Nel momento in cui si legifera, infatti, è fondamentale comprendere quali siano le condizioni di partenza.
Svolgo questo ragionamento, presidente Cheli, perché, per quanto riguarda il settore dell'editoria, ad esempio, lei sa che la questione delle telepromozioni non è secondaria, e non è possibile dare all'Autorità norme di difficile interpretazione. Lei non pensa che, su una materia come le telepromozioni, oggi che tale termine è acclarato, sarebbe opportuno introdurre una norma, non ambigua e non aggirabile, che le sottragga dagli indici di affollamento pubblicitario? Vorrei che lei tenesse conto anche dell'esistenza di un settore dell'editoria in questo paese che, anche se ha sponsor meno forti, pesa ugualmente dal punto di vista industriale. Non sarebbe opportuno definire le telepromozioni in termini più chiari? So che vi è stata una lunga vicenda sull'interpretazione ed un rimpallo tra le autorità. Credo che sarebbe utile una definizione delle telepromozioni che recepisse integralmente, oltre al vostro parere, quello del Consiglio di Stato.
Inoltre, dal momento che avete posto con molta forza la questione del monitoraggio, vorrei domandare al presidente Cheli se l'attuale assetto dell'authority sia adeguato non solo dal punto di vista normativo, ma anche sotto il profilo della dotazione di mezzi e del personale e del ruolo del Corelat. Non è il caso di assumere questo provvedimento per rispondere ad alcune delle questioni poste? Quante volte è stato detto, ad esempio, che vi viene richiesto il monitoraggio, minuto per minuto, della presenza delle forze politiche, quando poi non avete le risorse, anche a livello territoriale, per svolgere questa funzione? Esiste la possibilità di un aggiustamento legislativo o di mezzi e di organici in questa direzione?
Infine, proprio perché il presidente Cheli ed i suoi consiglieri hanno posto il


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problema relativo alla normativa contenuta nella legge n. 122 del 1998, che talvolta dà vita ad interpretazioni difformi, dal momento che ritengo che quanto più i trust crescono, tanto più occorra investire negli autori e nelle produzioni indipendenti, domando se non sia il caso, anche in base ad alcune vostre interpretazioni, di inserire nella norma una interpretazione chiara, trasparente e limpida a favore dei produttori e degli autori indipendenti sul tema delle quote di produzione, in modo tale che la sua definizione non sia permanentemente demandata all'Autorità stessa, o ai tribunali. Ritengo, infatti, che, in un provvedimento come quello al nostro esame, le due grandi imprese possano fare qualche passo indietro, senza gridare all'esproprio (che, peraltro, credo faccia ridere anche coloro che affermano ciò). Personalmente, non vedo l'esproprio né in Italia, né in Europa, e dunque discuterei di questi argomenti in maniera più cauta.

PAOLO GENTILONI SILVERI. Anch'io, come il collega Rognoni, sono rimasto colpito dalla questione del famoso termine, fissato al 2006, dalla legge n. 66 del 2001, e concordo con i quesiti che ha posto. Infatti, siamo reduci da un lungo periodo di audizioni, nelle quali è risultata abbastanza infrequente una dichiarazione che ritenga realistica tale scadenza, a cominciare dagli operatori del settore, RAI e Mediaset.
Personalmente, invece, penso sia possibile raggiungere tale obiettivo, e non ritengo determinante il fatto che sia il frutto di una legge approvata da un Governo di centrosinistra - e mi rivolgo al sottosegretario per le comunicazioni Innocenzi, perché si tratta di un argomento utilizzato spesso dal suo ministro -, anche perché in quegli anni di new economy sono state formulate numerose previsioni che, in seguito, si sono rivelate irrealistiche dal punto di vista temporale, e questa non sarebbe certamente l'unica. Però - ripeto - mi associo alla domanda del collega Rognoni per cercare di capire che cosa si intenda, professor Cheli, quando si afferma: «...può ancora essere realistica se...» (se cioè vi è un'immediata politica industriale e via dicendo), fermo restando il punto politico - che credo vi sia chiarissimo -, per il quale nessuno, tanto meno noi, mette in discussione l'importanza di spingere in questa direzione con politiche pubbliche, incentivi, politiche industriali e via dicendo.
Ciò che si mette in discussione è la necessità di prevedere una fase di transizione che richiede, come del resto il vostro testo afferma, misure legislative, misure antitrust, accorgimenti normativi specifici, altrimenti, in nome di una sorta di escatologia del digitale, si decide un regime come se fosse attuale soltanto il regime futuro.
Desidero poi porre due questioni specifiche. Innanzitutto, ho letto nel vostro testo - e mi pare che lei, professore, lo abbia ribadito - la possibilità di stabilire per la fase transitoria - lasciamo stare se sarà una fase di cinque, dieci, tre o dodici anni - la sopravvivenza di limiti specifici antitrust, sostenendo che sussisterebbero dubbi in merito al fatto che, in questa fase transitoria, quel limite del 20 per cento del sistema integrato possa essere il limite esistente. Ho capito bene? In particolare, mi domando se voi suggeriate la necessità di reintrodurre nella fase transitoria un limite specifico alla raccolta pubblicitaria in particolare.
In secondo luogo, nel corso della precedente audizione del professor Tesauro, abbiamo ascoltato da parte dell'Autorità antitrust - che peraltro coincide con le valutazioni che lei, professor Cheli, aveva svolto nella relazione annuale e che lo stesso Capo dello Stato ha ripreso, sia pure in forma generale, nel suo messaggio - una preoccupazione sui livelli di concentrazione, in particolare nel settore televisivo. Il professor Tesauro ci ha parlato di una tendenza al peggioramento di tale livello di concentrazione, sia nel tempo in Italia, sia in relazione a tendenze di altri paesi europei.
Approfitto allora dell'occasione per domandarle a che punto siamo su questo e se lei può fornirci delle informazioni rispetto


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all'istruttoria che avete riaperto nel luglio scorso, presentando la relazione annuale dell'Autorità sulle posizioni dominanti.
Al di là della legislazione di cui stiamo discutendo - ma direi, proprio alla luce di quanto stiamo dibattendo - ritengo che gli esiti di questa istruttoria siano di un certo interesse per i nostri lavori.

ANGELO SANZA. Vorrei anzitutto ringraziare il presidente e i commissari Pilati e Sangiorgi dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per essere qui con noi oggi pomeriggio. Senza indugiare in riflessioni che ci allontanerebbero dal tema in oggetto, vorrei porre a lei, signor presidente, due interrogativi.
Innanzitutto, in tema di concentrazione di frequenza, vorrei sapere come l'Autorità valuti la tesi dell'esistenza di barriere all'entrata, prevalentemente di carattere normativo e istituzionale. Noi abbiamo verificato, per esempio in questo recente periodo, situazioni quali quella della rete LA7 (se non ricordo male, all'inizio del campionato di calcio, vi è stato anche un tentativo posto in essere da parte di alcune società per utilizzare delle televisioni locali nello stesso senso), rispetto alle quali mi pareva ci fosse una facilità di entrata sul mercato da parte di altre televisioni (vi è poi naturalmente un problema di audience, ma questo è un altro aspetto). Allora, vi domando, poiché avete più sotto controllo il problema delle barriere all'entrata, come l'Autorità valuti tale problema e se quest'ultimo esista o meno.
L'altro aspetto riguarda la disposizione in materia di assegnazione di frequenze, in questa fase transitoria e poi in quella successiva. Vorrei comprendere come si realizzano tali criteri di assegnazione - perlomeno come voi li valutate - e di uso delle frequenze e se vi siano criteri oggettivi e trasparenti nell'assegnazione delle stesse. Il criterio dell'assegnazione d'uso di tali frequenze viene spesso considerato strumentalmente: vorremmo da voi qualche parola di chiarimento in proposito.
Vi sono poi due aspetti a latere (si tratta di un problema che affronteremo più avanti, quando valuteremo nel merito il disegno di legge del Governo e le proposte di legge collegate), che vorrei approfondire poiché mi pare, anche a seguito di quanto ascoltato nel corso delle due audizioni di oggi, che vi sia una sovrapposizione di competenze tra le due Autorità (questo è uno problema del Parlamento che dovremmo in qualche modo affrontare e chiarire ma, comunque sia, in questo provvedimento governativo c'è un ruolo specifico dell'Autorità). In realtà, per quanto riguarda i due aspetti, da un lato vi è un discorso politico, dall'altro vi è un problema, richiamato anche poc'anzi dai colleghi, riguardante i mezzi, i ruoli e gli organici ed inerente alle relative modalità di individuazione di tali elementi da parte dell'Autorità. Si dovrebbe infatti appurare se tali modalità ed elementi siano soddisfacenti o se non dovremmo approfondire maggiormente anche questo aspetto nel corso dei lavori delle Commissioni.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai rappresentanti dell'Autorità per i loro interventi di replica.

ANTONIO PILATI, Commissario dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Affronterò il problema del passaggio al digitale (e della data del 2006) e delle misure che bisognerà prendere in questo periodo.
A me pare evidente, ma credo si tratti di una valutazione che trova concorde l'intera Autorità, che la data del 2006 non indica il termine di un processo naturale, bensì il termine di un processo di politica industriale. In altre parole, può essere vero che l'ultimo televisore analogico verrà spento il 31 dicembre del 2006, ma ciò potrà accadere soltanto se vi sarà una serie di iniziative di politica industriale che consentano di ottenere tale risultato.
In primo luogo, vorrei sottolineare la differenza rispetto agli altri paesi europei, dove il passaggio al digitale non è stato oggetto di particolari misure di politica industriale. Tale processo è stato affidato per lo più agli operatori della televisione a pagamento e lasciato alle dinamiche di


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mercato, vale a dire alla capacità degli operatori che facevano televisione a pagamento su frequenze terrestri di contrastare altri operatori di televisione a pagamento che utilizzavano il satellite o le reti via cavo. Questa è la ragione principale delle difficoltà che ha incontrato il passaggio al digitale terrestre negli altri paesi: la forte presenza di operatori di pay-tv via satellite e via cavo ha compresso lo spazio degli operatori su frequenze terrestri.
In Italia il disegno di legge Gasparri prefigura una situazione completamente diversa perché il passaggio al digitale terrestre investe l'intero sistema televisivo, tutti gli operatori e, in primo luogo, quelli della televisione gratuita in chiaro: si tratta di un passaggio molto più ampio e complesso che non può essere affidato, a meno di tempi lunghi, semplicemente alle dinamiche del mercato. Ricordo che in Italia la sostituzione dell'intero parco di televisori in bianco e nero con quelli a colori ha richiesto circa 10-11 anni; per analogia, lo stesso periodo sarà necessario alle famiglie italiane per dotarsi di apparecchi in grado di ricevere il segnale digitale e, quindi, siamo fuori dai tempi del 2006. La situazione cambierebbe se avvenissero interventi specifici di politica industriale o misure che consentissero di accelerare l'ingresso dei decoder nelle famiglie.
Il disegno di legge in esame fa degli accenni in questo senso e mi pare che la sostenibilità della data del 2006 dipenda essenzialmente dalla capacità di attuare misure che accelerino tale ingresso. Per quanto riguarda la costruzione delle reti digitali, bisogna aggiornare quelle esistenti e trasformarle in maniera tale che il segnale digitale possa coprire l'intero territorio nazionale.
L'articolo 21 del disegno di legge Gasparri fissa alla concessionaria pubblica dei termini precisi per il processo di costruzione delle reti, perché quest'ultima riceve un finanziamento pubblico e l'aggiornamento tecnologico rientra fra i suoi compiti istituzionali, ma tale misura dovrebbe trascinare l'intera gamma degli operatori ad aggiornare in tempi brevi le proprie reti. Infatti, se un operatore digitalizza e, quindi, amplia la capacità trasmissiva e l'efficienza della propria rete, tutti gli altri, non facendo altrettanto, vedono depauperare il valore delle proprie reti e del proprio investimento: quindi, tale norma è volta ad accelerare i tempi di costruzione delle reti. Occorre peraltro che, alle politiche di misura industriale tese a portare nelle case i decoder, venga affiancata anche una serie di incentivi che facilitino la costruzione delle reti digitali.
In questo senso è molto importante la parte della legge che prevede di agevolare il trading delle frequenze, vale a dire la possibilità di scambiarle, per un motivo che si collega alla differenza tra il panorama italiano e quello degli altri paesi europei. Il nostro paese ha uno spettro frequenziale con un gran numero di operatori ed è la conseguenza storica della nascita della televisione commerciale, che non ha avuto origine sulla base di un piano ma deriva dallo spontaneo operare dei diversi broadcaster: di conseguenza, l'assegnazione delle frequenze non è avvenuta in una maniera razionale e coordinata ma disordinatamente.
Tutto ciò rende molto importante il passaggio al digitale, perché razionalizza un sistema che è cresciuto in via spontanea nel corso di oltre vent'anni, ma per farlo occorre che ci siano dei meccanismi di mercato che permettano a ciascuno di decidere se fare l'operatore di rete - e, quindi, utilizzare al meglio il valore della frequenza - o il fornitore di contenuti e, quindi, disinteressarsi dell'aspetto tecnologico e puntare essenzialmente a valorizzare i contenuti.
Il trading è importante perché permette di valorizzare l'intuizione più importante della legge n. 66 del 2001, vale a dire la divisione tra operatori di rete e fornitori di contenuti e la possibilità di rompere l'integrazione verticale nel settore degli operatori, permettendo a ciascuno di fare il proprio mestiere. Il comma 5 dell'articolo 21 del disegno di legge Gasparri rimanda al nostro regolamento sul digitale terrestre, esattamente nel punto in cui prevede che si debba fare un regolamento specifico


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entro il 2004 in grado di regolare i rapporti tra operatori di rete e fornitori di contenuti, in particolare prevedendo delle condizioni eque, proporzionate e non discriminatorie per l'accesso dei fornitori di contenuto alle frequenze degli operatori di rete.
Questo è particolarmente importante perché riprende una delle previsioni più importanti della direttiva europea sull'accesso, di cui a breve avremo il recepimento, che stabilisce misure di tipo proporzionale e non discriminatorio nell'accesso dei fornitori di contenuti alle reti. Al riguardo, credo che si debba valorizzare l'ingresso di nuovi operatori, consentendo loro di sfruttare i multiplex, vale a dire i blocchi di diffusione che saranno costruiti con le frequenze scambiate, in maniera tale da aumentare la varietà pluralistica dei contenuti.

GIUSEPPE SANGIORGI, Commissario dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Per quanto riguarda la domanda sul monitoraggio del pluralismo politico, cioè se l'esperienza fatta finora faccia pensare o meno ad una modifica del modello realizzato, vorrei ricordare cosa ha fatto l'Autorità per organizzare questa forma di monitoraggio. Siamo partiti dalla convinzione che il semplice dato quantitativo fosse insufficiente e, impiegato da solo, potesse diventare fuorviante rispetto a una valutazione compiuta della presenza dei soggetti politici nella radio e nella televisione.
Abbiamo sempre detto che la presenza, ovvero il tempo d'antenna complessivo di un soggetto, fosse la somma di un tempo di parola (quanto parla direttamente) e di un tempo di notizia (quanto si parla di lui): questo elemento mette già in luce la politica editoriale delle emittenti. Tuttavia, il dato quantitativo ha bisogno di due ulteriori riferimenti qualitativi. In primo luogo la contestualizzazione dell'argomento espresso o riferito al soggetto politico. In secondo luogo, la fascia d'ascolto, che costituisce un altro elemento strutturale da considerare nella nostra rilevazione.
È evidente che si possa parlare di un soggetto politico per un'ora in un giorno e di un altro per cinque minuti: tutto ciò genera risultati diversi se il primo servizio va in onda alle due di notte e il secondo nel TG delle otto. Il monitoraggio svolto è la risultante di questo insieme di analisi che vengono compiute sulle TV. Il nostro è peraltro un controllo esercitato su tutte le emittenti radiotelevisive nazionali, accanto al quale ve ne è un altro da svolgere sul piano locale (si tratta di oltre 600 emittenti televisive e 1000 emittenti radiofoniche locali). Alla luce di un'indicazione forte come quella espressa dal Capo dello Stato - il quale è arrivato a sostenere che lo statuto delle opposizioni passerà, nel nostro paese, per una nuova legge equilibrata nel settore delle comunicazioni - e dopo la modifica del Titolo V della Costituzione, che attribuisce alle regioni, su questo tema, poteri da protagoniste, si pongono certamente degli aspetti rilevanti da analizzare.
Rivolgo dunque una domanda - a mia volta corredata di queste ulteriori riflessioni - al Parlamento del nostro paese: se non occorra decidere che il compito da svolgere sia di tale rilievo e complicazione per cui, una volta che l'Autorità abbia studiato queste forme di monitoraggio, la sfera pubblica si dovrà assumere l'onere di garantirlo essendo ciò nell'interesse collettivo. Deve dunque trattarsi di un dato di assoluta oggettività.
Per quanto riguarda la pubblicità, anche in questo caso, ci muoviamo in un cantiere davvero molto aperto e complicato. Da un lato vi è la questione dei mini spot, a proposito della quale adesso è in corso un procedimento di infrazione relativo al nostro paese, in base a cui siamo chiamati a spiegare il perché di certe scelte regolamentari, e dall'altro abbiamo il tema delle telepromozioni, questione annosa che va avanti ormai da tempo. Quest'ultima inizia con la prima direttiva sulla TV senza frontiere, passa per la sentenza della Corte di giustizia europea del 1996, per una successiva sentenza del TAR che ha cancellato alcune leggi responsabili di aver modificato la legge


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Mammì, per due pareri del Consiglio di Stato molto autorevoli e certamente da applicare (infatti noi abbiamo già demandato la riscrittura delle disposizioni in proposito, onde conformare l'attività di monitoraggio ai pareri del Consiglio stesso), ma passa anche attraverso le nuove forme di pubblicità che, al momento, non sono disciplinate normativamente e che spesso, però, vediamo già sui nostri mezzi di comunicazione.
Mi riferisco alla pubblicità virtuale, ed in particolare allo split screen, quello specifico meccanismo per cui, durante un avvenimento, in una parte dello schermo si inserisce un evento pubblicitario. E anche qui, di nuovo, abbiamo un cantiere aperto. Con riferimento specifico alle telepromozioni, a domanda singola risponderei così: invece di entrare e uscire dai tribunali amministrativi, con le varie interpretazioni che si susseguono, se il legislatore decidesse di indicare - con una parola esplicativa - il percorso da seguire, illuminandoci sulla sua visione della «TV senza frontiere», tenendo conto della modifica intervenuta nel 1997, e del contrasto in corso nella disciplina italiana tra il tetto orario del 18 per cento e un ipotetico tetto giornaliero che arriva al 20 per cento - ma che non è mai possibile raggiungere applicando ora il parere del Consiglio di Stato - questo farebbe chiarezza. Quindi se si procedesse non più in via interpretativa ma di nuovo in quella legislativa, sarebbe un utile passo in avanti per tutti.

ENZO CHELI, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Intendo sottolineare solo tre punti più rilevanti rispetto alle domande rimaste ancora scoperte. Per quanto riguarda la richiesta dell'onorevole Giulietti sulla sentenza n.466 del 2002 della Corte costituzionale, circa la operatività del limite fissato dalla Consulta, ritengo che in tal caso la risposta debba essere molto chiara e proprio legata al dispositivo della suddetta sentenza.
La sentenza della Corte è una di quelle che i costituzionalisti definiscono di tipo «additivo», cioè la Corte ha dichiarato incostituzionale la norma dell'articolo 3, comma 7, del testo richiamato, nella parte in cui non prevede un termine insuperabile. In conseguenza di questa sentenza, il termine certo e non prorogabile è stato introdotto, dunque - come se si trattasse di una pronuncia del legislatore - da una sentenza della Corte, termine che oggi esiste ed integra la legge n. 249 del 1997, al comma 7 dichiarata incostituzionale.
Alla domanda se sia superabile o meno rispondo che le indicazioni contenute nella sentenza mi paiono fornire delucidazioni chiare. In base alla pronuncia, questo termine segna la definitiva cessazione del regime transitorio indicato dall'articolo 3, comma 7, il quale riguarda un regime di risorse frequenziali analogiche. Allora, se il quadro - quando si arriverà alla scadenza di questo periodo - delle risorse frequenziali non sarà modificato, questo termine, a mio avviso, ma anche alla luce di una lettura oggettiva della sentenza, non può essere superato. Tuttavia un correttivo è contenuto nel dispositivo esaminato. Infatti, nella motivazione vi è pure l'inciso successivo che rende ancora aperto il problema; mi riferisco alla parte in cui si dice che la decisione riguarda le frequenze analogiche con le attuali risorse frequenziali, ma che un diverso futuro assetto potrebbe derivare dallo sviluppo del digitale terrestre con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili. La risposta alla domanda da lei sollevata, onorevole Giulietti, è la seguente: a risorse frequenziali immutate il termine è insuperabile, direi anche dal legislatore, perché è espressione della sentenza di incostituzionalità. Se, però, il quadro delle risorse frequenziali nel corso dell'anno muta con un aumento di queste risorse, scatta la variante che la sentenza pone: nulla vieta che si possa, in questo caso, riesaminare il termine adottato. Perciò tale è la risposta che si può dare oggi, rebus sic stantibus, e che potrà essere diversa alla scadenza del termine, ripeto, rispetto al quadro delle risorse frequenziali disponibili. Questo mi pare il senso molto preciso della sentenza. Voglio poi toccare il seguente punto, aggiungendo una


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considerazione: rilevo che è stata l'Autorità, sulla base di un'istruttoria molto attenta, ad individuare il termine stesso del 2006 già nel 2000. Nel Libro bianco sul digitale terrestre si lavorò a lungo, con un confronto con gli operatori, e proprio saggiando il realismo di questo passaggio; anche alla luce dell'esperienza di altri paesi, ritenemmo - eravamo nel 2000, ripeto - che in sei anni di tempo avremmo potuto farcela.
Fu scelta quella strada perché l'Autorità credeva in questo passaggio. Il Parlamento è arrivato meno di un anno dopo - dal novembre del 2000 si passa al marzo del 2001 - nell'adottare la legge n. 66 del 2001, al recepimento di quel termine, e credo l'abbia fatto dando per buoni i risultati dell'istruttoria dell'Autorità.
Eravamo al marzo 2001, e il Parlamento condivideva la valutazione di un organo tecnico quale l'Autorità. Non siamo più nel marzo 2001, siamo alla fine del 2002, al 2006 mancano ancora quattro anni. Se si pensa al tipo di analisi e di confronti svolti - certo vi era all'inizio anche una maggiore euforia rispetto agli sviluppi futuri del mercato - ritengo che il termine, con le condizioni poste in quel Libro, sia ancora valido.
Per cui, la ragione in base alla quale l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è forse più ottimista su questo termine rispetto all'Autorità antitrust e ad altri soggetti, è che la prima ha direttamente compiuto questo percorso credendoci e istruendo gli atti, individuando i dati di riferimento. È chiaro però che quel termine, ampiamente ragionevole sei anni fa, a quattro anni della sua scadenza comincia ad essere a nostro avviso al limite. Probabilmente, se si aspetta ancora qualche mese le prospettive di realismo cesseranno. Ciò è motivo di un ottimismo che non riteniamo eccessivo, ma che nasce appunto dalle analisi specifiche e puntuali condotte sul campo.
Alla sopravvivenza dei limiti specifici della fase transitoria ho accennato nell'introduzione. Trovo che in proposito sia stata fornita una risposta piuttosto ambigua dal testo in esame, a nostro avviso da chiarire, laddove, all'inizio dell'articolo 13 («fermo restando il divieto di costituzione di posizione dominante nei singoli mercati») si introduce il divieto riferito al sistema integrato della comunicazione del 20 per cento. Cosa significa? Nella nostra relazione come nella memoria presentata in questa sede, proprio sul punto relativo alla transizione, rileviamo come il disegno di legge governativo sia tutto proiettato sul digitale e lasci più in ombra la fase dell'analogico. La proposta di legge n. 3286 dell'onorevole Maccanico è invece prevalentemente centrata sull'attualità dell'analogico e lascia in ombra il passaggio al digitale. Ma la Corte costituzionale, nella sentenza n. 466 del 2002, sostiene che il digitale sia il futuro e l'analogico il presente. Chiosando questo passaggio della Corte, diciamo che sarebbe bene, in questo momento, considerare il presente e il futuro integrando e chiarendo tali due aspetti che debbono essere complementari. È un problema di metodo, poi, stabilire quale sia la data del momento di incrocio: questa è una scelta eminentemente politica che il legislatore dovrà fare.
Una domanda specifica è stata posta sui livelli di concentrazione del settore televisivo. È stato chiesto a che punto fosse l'istruttoria sulle posizioni dominanti. Proprio stamattina a Napoli, nell'ultima riunione che abbiamo tenuto, si è esaminata la conclusione dell'istruttoria fatta dal nostro dipartimento. Nella riunione del 9 gennaio cominceremo a discutere di una bozza di decisione relativa al periodo triennale 1998-2000, cioè quello successivo alla prima pronuncia riguardante la fase transitoria del 1997, e che sarà una pronuncia di accertamento dell'eventuale sforamento del tetto del 30 per cento di cui all'articolo 3, comma 8, della legge n. 49 del 1997.
Sarà una pronuncia meramente ricognitiva, alla quale dovrà seguire un'istruttoria relativa al 2001 (poi, in sequenza, verrà svolta in base ai dati del 2002, e via dicendo) e alla luce di questo primo accertamento si valuterà se il livello accertato, rispetto alle varie imprese, metta in


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discussione il primo comma dell'articolo 3, nel quale entrano in gioco elementi interpretativi della legge ed elementi di multimedialità che credo saranno oggetto di un ulteriore passaggio. Probabilmente già il 9 gennaio, o comunque entro il mese di gennaio del prossimo anno, il primo passaggio relativo all'accertamento sul triennio dovrebbe concludersi.

PRESIDENTE. Ringrazio moltissimo gli intervenuti, poiché si è trattato di un'audizione molto importante: possiamo affermare di aver concluso in bellezza il ciclo di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul riassetto del sistema radiotelevisivo.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17.45.