Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 12,10.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul riassetto del sistema radiotelevisivo, l'audizione di rappresentanti della Consulta qualità della RAI, del Comitato TV e minori FRT, del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti e del Forum delle associazioni familiari.
Do la parola al dottor Jader Jacobelli, coordinatore della Consulta qualità della RAI, che ringrazio con particolare piacere per aver accolto il nostro invito.
JADER JACOBELLI, Coordinatore Consulta qualità della RAI. Ringrazio il presidente per averci invitato all'audizione odierna.
La Consulta qualità della RAI compie un monitoraggio della qualità cosiddetta dovuta: lo specifico, perché sul tema della qualità si incontrano molti equivoci. Per qualità si intende quella percepita, cioè il gradimento del pubblico, ma essa si differenzia pochissimo dall'audience, anche perché assistere per intero ad un programma significa gradirlo in quanto, in caso contrario, si può cambiare canale: la qualità percepita deve essere monitorata per capire le reazioni del pubblico, ma essa non indica la qualità del servizio pubblico, che invece è rappresentata dalla qualità dovuta.
Si dice che la qualità è problematica ed equivale ad un'araba fenice, poiché ognuno possiede la propria, secondo i suoi giudizi di tipo filosofico ed estetico. Dobbiamo allora eliminare filosofia ed estetica dal giudizio di qualità dovuta e fare un riferimento semplicissimo alla normativa che regola il servizio pubblico: il contratto di servizio, gli indirizzi della Commissione di vigilanza sui servizi radiotelevisivi, le disposizioni dell'Authority, le linee editoriali del consiglio di amministrazione della RAI, la carta degli obblighi e dei doveri che la RAI si è data. Quest'ultima è carta bellissima e quasi ignota, che la RAI ha definito in un momento quasi di «autocoscienza», formulando obblighi e doveri molto precisi: consiste in un libretto piuttosto significativo, che non arriva al volume del codice inglese, che per noi sarebbe inaccettabile, in quanto apparirebbe quasi una legislazione di polizia.
La qualità risiede, dunque, nell'adempimento degli obblighi previsti nelle fonti concrete, non astratte o semplicemente culturali. La Consulta qualità ha il compito di verificare la maggiore o minore inadempienza delle trasmissioni della RAI a questi elementi di riferimento ed i suoi giudizi sono riferiti al consiglio di amministrazione,
tanto che sono solito dire che essa è la protesi visiva dei consiglieri che non possono assistere a tutte le trasmissioni; di conseguenza, si è istituito un organo, formato da persone che guardano i programmi e segnalano le eventuali inadempienze.
Se il consiglio di amministrazione e il direttore generale assumessero i pareri che la Consulta esprime, aprirebbero un contenzioso interno alla RAI con i singoli settori: in generale, questo non avviene, poiché i pareri sono apprezzati ma finiscono in un cassetto. In questo senso, la Consulta non incide sulla programmazione, ma segnala un problema e chi riceve la segnalazione la apprezza, ne è informato, ma non succede nulla di più. Questo è il limite rilevante della consulta qualità. Inoltre, essa compie una monitoraggio di prodotto: se il prodotto che è andato in onda non corrisponde agli obblighi ed ai doveri del servizio pubblico, ha già prodotto un danno.
Al monitoraggio di prodotto occorrerebbe affiancare, così come avviene in tutte le grandi aziende di servizio, un monitoraggio di processo: poiché si può dare la sensazione di proporre delle censure, bisogna configurare il monitoraggio di processo come espressione della stessa struttura produttiva. Nell'ambito della stessa struttura produttiva viene nominata una persona che, non avendo compiti di operatività, segue semplicemente il lavoro della propria struttura dal punto di vista dell'osservanza di certi obblighi e doveri. In questo caso, il monitoraggio di processo, coordinato con quello di prodotto, potrebbe effettivamente evitare che certe cose avvengano: piangere sul latte versato potrebbe essere positivo dal punto di vista morale, ma occorre evitare le inadempienze del servizio pubblico e non costringere la stesso servizio pubblico a rendere scuse che non servono a nulla.
Questi sono i limiti della Consulta e dei monitoraggi interni allo stesso servizio pubblico, per ovviare ai quali suggerisco la creazione di un organo che potrebbe chiamarsi «Qualitel» (in alternativa all'Auditel), che rappresenterebbe maggiormente l'articolazione della società. Chi è interessato al fatto che il servizio pubblico compia il suo dovere nel migliore dei modi possibile? In primo luogo, lo stesso servizio pubblico, il Ministero delle comunicazioni, la Commissione parlamentare di vigilanza, l'Authority.
Se questi organi interessati all'adempimento del contratto di servizio creassero quella struttura che ho chiamato «Qualitel», in grado di effettuare un monitoraggio sulla qualità dei programmi (intesa come osservanza di obblighi ben precisati), la sua azione potrebbe bilanciare bene quella attualmente svolta dall'Auditel.
L'attività svolta da Auditel, purtroppo, sotto un certo profilo, rappresenta un'azione perversa, poiché introduce anche nel servizio pubblico la logica per cui la quantità fa premio sulla qualità. Con tale logica, è evidente che certi programmi si giustificano per la loro alta audience, anche se non sono programmi di qualità.
MARIELLA CAGNETTA, Presidente del Comitato TV e minori FRT. Desidero precisare che il Comitato è un organismo paritetico composto da rappresentanti sia delle emittenti televisive, sia delle 21 associazioni di utenti, educatori, docenti e genitori che aderiscono a questa iniziativa. L'elenco completo di tali associazioni è riportato sul frontespizio del codice di regolamentazione convenzionale, stipulato nel 1993 tra la FRT e tali associazioni, che abbiano fatto pervenire alle Commissioni. Preciso che si tratta di un'esperienza che stiamo conducendo, da quasi dieci anni, in maniera positiva.
Illustrerò brevemente alcune note scritte, che abbiamo già trasmesso alle Commissioni, sul disegno di legge C. 3184, in materia di riassetto del sistema radiotelevisivo, e sulle abbinate proposte di legge.
In relazione al disegno di legge in oggetto, il Comitato TV e minori ritiene di esprimere alcune osservazioni limitatamente all'ambito della propria specifica area di competenza, relativa al rapporto e all'utilizzazione del mezzo radiotelevisivo da parte dei minori.
Entrando più specificatamente nel merito, il Comitato fa presente che tra i principi fondamentali del sistema a garanzia e tutela delle libertà degli utenti e dei soggetti fornitori (articolo 3 del disegno di legge), i minori non sono menzionati, e non viene nemmeno citato l'obbligo al rispetto dell'armonico sviluppo della loro personalità, presente, invece, nella Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia, recepito dall'articolo 22 della direttiva europea 1997/36/CE, e recentemente introdotto nel codice di autoregolamentazione TV e minori varato dal Ministero delle comunicazioni. Non è sufficiente, infatti, quanto affermato nel successivo articolo 4 (Principi a garanzia degli utenti), ai punti b) e c), perché non si tratta soltanto di assicurare ai minori il rispetto di un diritto di cittadinanza, ma anche di riconoscere che i soggetti fornitori di contenuti e di servizi interattivi, in particolare della televisione, svolgono, oggettivamente e inevitabilmente, un'importante funzione educativa. Pertanto, anche nella scelta, nell'acquisto e nella messa in onda di programmi e pubblicità, è necessario riservare attenzione particolare ai minori, e tendere a una programmazione specificatamente dedicata ai più piccoli e di elevata qualità.
Al pari dell'attività di informazione radiotelevisiva, che, come recita il testo del disegno di legge al vostro esame, «(...) da qualsiasi emittente esercitata, costituisce un pubblico servizio (...)», anche la programmazione per i minori deve essere garantita in primo luogo, ovviamente, dal sistema pubblico radiotelevisivo, ma anche dalle altre emittenti, cioè trasmessa in orari appropriati e destinata specificatamente ai minori, tenendo presenti le esigenze e la sensibilità della prima infanzia e dell'età evolutiva. A tal fine, il Comitato TV e minori FRT auspica che l'articolo 6 del disegno di legge recepisca, in maniera esplicita e in apposito comma, il principio di tutela e garanzia dei minori, come precedentemente illustrato, e che il codice, di cui all'articolo 14 del provvedimento al vostro esame, contenga anche una norma che imponga il rispetto delle regole, legislative e di autodisciplina, in materia di TV e minori.
Il Comitato suggerisce, infine, di non interrompere con la pubblicità non solo cartoni animati, ma anche racconti e film per i più piccoli, e di sostituire, sul piano linguistico, la locuzione, più volte presente nel testo del disegno di legge C. 3184, «persone portatrici di handicap sensoriali» con quella, più adatta e pertinente, «persone con disabilità sensoriali».
Il Comitato Tv e minori FRT, in conclusione, ritiene che non sia suo compito entrare nel merito generale del provvedimento, sul quale, ovviamente, i singoli componenti del Comitato stesso, facenti capo a singole associazioni di utenti, docenti, educatori e genitori, hanno proprie opinioni.
STEFANO MASSA, Rappresentante del Codacons. Il Codacons - Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti considera con particolare interesse la tematica del rapporto tra i minori ed il sistema radiotelevisivo, tenendo presente che, attualmente, occorrerebbe prestare un'attenzione considerevole nei confronti di una tematica completamente nuova. La televisione, infatti, sta mutando, diventando sempre più un mezzo interattivo (poiché la televisione ed Internet tendono ad interagire in misura sempre maggiore), e si stanno aprendo nuove aree in cui l'utente è in grado di dialogare, in prima persona, con la televisione stessa. In tal senso, il minore diventa un soggetto particolarmente esposto, poiché interagire in Internet significa mettere a disposizione i propri dati e, soprattutto, significa diventare un soggetto a rischio, specialmente a causa di contatti anomali.
Il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti - che ho l'onore di rappresentare in questa audizione - intende porre questa problematica sotto una nuova luce. Infatti, chiediamo espressamente di prestare notevole attenzione nei confronti del minore in qualità sia di utente della televisione, sia, soprattutto, di soggetto raggiunto da messaggi subliminali
costanti, come, ad esempio, i messaggi pubblicitari più o meno occulti. Tali messaggi creano bisogni e rendono necessarie esigenze che i genitori, spesso, non sono neanche in grado di soddisfare, e si tratta di una sorta di viatico per un percorso personale che può condurre a successive frustrazioni: pensiamo, ad esempio, al fatto di non poter acquistare lo «zainetto» alla moda, o all'impossibilità di poter acquistare un oggetto che rappresenta uno status symbol da parte della famiglia.
Auspichiamo, pertanto, un maggiore controllo sulla qualità del servizio radiotelevisivo, in particolar modo un «filtro» alle forme dirette e, soprattutto, indirette di pubblicità; in secondo luogo, vorremmo si prestasse notevole attenzione alla televisione che cambia, in particolare alla televisione che interagisce con Internet, poiché sappiamo, avendo già segnalato più volte tale problema, che può diventare una sorta di territorio ad alto rischio per i minori.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI, Presidente del Forum delle associazioni familiari. Signor presidente, abbiamo elaborato una relazione assieme al Copercom (ampliando così il numero delle associazioni che sottoscrivono tale documento), che al termine della nostra esposizione consegneremo alle Commissioni.
PRESIDENTE. Sta bene, la documentazione prodotta dal Forum delle associazioni familiari sarà acquisita agli atti delle Commissioni.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI, Presidente del Forum delle associazioni familiari. Innanzitutto, mi associo a quanto precedentemente affermato dai rappresentanti del Comitato TV e minori FRT sul fatto che si ponga innanzitutto un problema culturale. Una legge che intende migliorare ed innovare il sistema radiotelevisivo, infatti, non può ignorare la circostanza che la televisione svolge un ruolo educativo. In un provvedimento di questa natura ciò deve essere esplicitato, altrimenti si continuerà a rovesciare sulle famiglie un compito educativo primario, che le stesse famiglie rivendicano in altri contesti ed in altri ambiti, ma che, comunque, non può costituire un alibi per le televisioni.
In altri termini, intendo affermare che è vero che le famiglie costituiscono i soggetti più importanti nell'educazione dei figli, ma che non si può neanche affermare, continuamente, che si tratta di un compito che devono svolgere esclusivamente le famiglie, «tirandosi fuori» da tale responsabilità, in nome della libertà degli adulti di vedere ciò che credono e ciò che ritengono un loro diritto e di una visione «adultocentrica» della società che non possiamo condividere. Pertanto, la discussione intorno all'articolo 3 del disegno di legge al vostro esame è rilevante.
Per quanto riguarda l'articolo 4, sappiamo che la televisione propone modelli di vita, come credo sia stato ripetuto più volte in questa sede.
Esisteva un codice di autoregolamentazione (cosiddetto «codice Prodi»), che adesso è stato cambiato, e si è trattato, a nostro parere, di un cambiamento migliorativo. Esprimiamo però una preoccupazione. Il vecchio codice è stato violato non una ma centinaia di volte. In occasione delle varie denunce presentate all'Authority per le telecomunicazioni, questa ha risposto di poter intervenire soltanto ai termini della legge n.223 del 1990, la quale però prevedeva interventi assolutamente risibili, inefficaci e privi di incisività, trattandosi piuttosto di mere sanzioni di tipo pecuniario. Mi spiego rapidamente: una televisione che avesse violato il codice avrebbe dovuto pagare semplicemente due o tre milioni di vecchie lire (cifre ridicole, senza che di ciò venisse data pubblicità). Il soggetto autore dell'infrazione avrebbe così provveduto a versare la somma richiesta, non appena avesse avuto la possibilità di farlo, sanando quindi la propria posizione, senza ulteriori conseguenze.
Si è dato luogo, pertanto, ad una sorta di meccanismo perverso a catena, in ragione del quale non si arrivava mai ad ottenere vere sanzioni ed un codice di regolamentazione efficace, non essendo la
legge stessa efficace, con un'authority del tutto inerte. A tale soggetto, noi cittadini-utenti ci siamo rivolti sovente e altrettanto abbiamo fatto con lo stesso consiglio degli utenti, i quali hanno frequentemente denunciato la propria impotenza, dinanzi la situazione in atto. Ebbene, riteniamo che adesso sia il disegno di legge in esame a peggiorare la situazione. Mi riferisco all'articolo 4, in particolare.
In ragione dell'acclarata inadeguatezza del codice di autoregolamentazione, incapace di imporre sanzioni effettive, e mancando la cosiddetta «certezza della pena» - trattandosi di uno strumento di regolamentazione autonoma le maglie si presentano all'origine troppo larghe per necessità -, dovrà essere il legislatore ad intervenire, serrando le fila senza creare un alibi ai mancati o inefficaci interventi dell'autorità. Diversamente, rimarremo immersi in una specie di giungla, e in uno stato di assoluta anarchia, come è successo peraltro in tutti questi anni. Siamo stanchi di correre dietro al responsabile ultimo, colui che alla fine dovrà caricarsi dell'onere di stabilire sanzioni efficaci in tempi rapidi, con denunce che siano visibili. Comminare sanzioni di tipo pecuniario, in loro irrisorie, ad una televisione piccola o grande, nazionale e locale, è ben altro dal mandare in onda, visibile sullo schermo, il messaggio con cui si comunica la violazione riscontrata dall'authority, ed il conseguente oscuramento della trasmissione per dieci secondi. Questo sarebbe molto diverso. Se fosse così, gli autori delle violazioni presterebbero maggior attenzione al rispetto del codice, pena l'incorrere in una sanzione visibile, pubblica e comprensibile dall'utenza.
Continuare a concorrere alla diffusione di una giungla, privi della consapevolezza di quanto accade, significherebbe perpetrare una sensazione diffusa di tradimento tra gli utenti (cittadini singoli, famiglie e minori). Vi è necessità di superare i limiti attuali e tali ristrettezze. Ciò deve avvenire anche alla luce delle direttive comunitarie intervenute in materia, le quali hanno introdotto precisamente l'obbligo per gli Stati membri di garantire che le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione non irradino programmi capaci di nuocere allo sviluppo mentale e morale dei minori. Seppur sono chiare le limitazioni cui soggiacciono tali normative, è altrettanto vero che molta della loro vincolatività dipenderà dalla volontà politica di raccoglierne il contenuto. Si tratta, lo ripeto, di un fattore politico-culturale, che, se presente, consentirebbe di mettere in atto sanzioni precise, capaci di migliorare il quadro attuale.
Occorre affrontare responsabilmente la questione, in via legislativa, bandendo quelle soluzioni pilatesche non realmente capaci di eliminare i nodi da sciogliere.
FRANCESCO CANFORA, Componente della giunta del COPERCOM. Intendo esprimere una prima osservazione, strettamente testuale, relativa all'articolo 4, lettera b), del disegno di legge in esame, laddove si dispone il divieto di irradiare trasmissioni capaci di nuocere allo sviluppo psichico, fisico e morale del minore o che presentino scene di violenza gratuite o pornografiche. Il disposto prosegue facendo poi «salve le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato». In primo luogo muovo riserve sulla terminologia usata, con riferimento particolare al concetto di «violenza gratuita». A mio parere sarebbe più congruo eliminare l'aggettivazione utilizzata, considerata la difficoltà di stabilire quando si tratti di gratuità o meno, a proposito della messa in onda di scene reputate violente (ricordo che spesso, peraltro, si sono addotte quanto più varie giustificazioni per escludere la gratuità della declamata violenza, spesso ricorrendo alla ragione «formativa» che la diffusione di certe scene potrebbe esercitare sul pubblico di riferimento).
Inoltre l'ultima parte dell'articolo 4, ovvero, ripeto, ove si intendono far «salve le norme speciali per la trasmissione ad accesso condizionato» ci sembra del tutto equivoca. Si intenderebbe forse far riferimento alle norme di un testo di legge, oppure ai regolamenti della authority? Dobbiamo inoltre segnalare uno stridente
contrasto con la normativa al momento vigente, mi riferisco alla legge citata n. 223 del 1990. Tale disciplina stabilisce chiaramente, all'articolo 15, comma 11, che i film vietati ai minori di 18 anni non possano essere trasmessi in televisione. Al contrario, i regolamenti dell'autorità hanno previsto che qualora vi siano trasmissioni criptate si possa mandare in onda qualsiasi tipo di immagine: ciò che è in contrasto - a nostro parere - con la legge medesima. Riteniamo che i regolamenti della authority siano come tali illegittimi.
Prevedendo di far salve le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato non si comprende se si intenda o meno dare mano libera nel trasmettere qualsiasi cosa, anche perché l'esperienza finora accumulata ci spinge in questa direzione: è notorio che vengono trasmessi film a luci rosse, criptati, dopo una certa ora su alcune televisioni. Questo chiaramente contrasta con le disposizioni attualmente vigenti. Proponiamo quindi, oltre ad eliminare l'espressione «gratuita» riferita a violenza, l'eliminazione dell'ultimo inciso «salvo le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato», fonte di incertezze e ambiguità interpretativa.
In conclusione, occorre aggiungere qualcosa al disposto del disegno di legge in esame, cosicché l'interpretazione scaturente non sia contraria al mantenimento del buon costume, oppure intervenire e modificare la norma che, diversamente, rimarrebbe troppo vaga. Sappiamo che l'Autorità finora non è stata utile, ci spiace dirlo, perché a distanza di cinque anni non ha svolto ancora i monitoraggi necessari, e tutte le trasmissioni TV vengono irradiate senza controlli. L'unica alternativa possibile pare allora quella di definire un quadro dispositivo più certo e completo.
GIUSEPPE GIULIETTI. Rivolgo in primo luogo una domanda a lei, signor presidente, estranea all'audizione in corso. Chiedo dunque se, in sede di ufficio di presidenza, si possa deliberare sull'opportunità di accogliere le istanze avanzate da alcune associazioni - penso ai produttori indipendenti ma anche al grande mondo costituito dai documentaristi e dalla animazione -, le quali costituiscono espressione non trascurabile di una parte delle nostre intelligenze nel settore della comunicazione televisiva. Mi sembra, infatti, scaturiscano dalle audizioni svolte sin qui suggerimenti - inerenti ad eventuali emendamenti da apportare al testo del disegno di legge in esame -, derivanti dall'intelligenza e dal buonsenso di chi opera ogni giorno nel settore e non, invece, da ragioni di conflitto politico. È importante conoscere l'opinione di chi riceve, mentre purtroppo il nostro dibattito pare sempre collocarsi dalla parte di chi è proprietario della comunicazione. Dobbiamo invece considerare che troppo spesso quelle intelligenze vengono trascurate (ci sono programmi, come loro sanno, poco appetibili per la pubblicità): dovremmo intervenire per far in modo di evitare uno strangolamento di certe trasmissioni, e smorzare l'iperattenzione a Mediaset, RAI e La 7, rispondendo alla necessità di audire tutti insieme i soggetti interessati, posti in una par condicio con le tre grandi imprese citate.
Passando ad una domanda che rivolgo a tutti voi, mi interessa capire un punto fondamentale. La definizione di violenza e buon costume attengono ad un antichissimo dibattito molto complicato. Vorrei invece entrare nella partita dei codici di autoregolamentazione e del funzionamento del Consiglio degli utenti e di altre associazioni.
Condivido la via del codice di autoregolamentazione, per esempio per la tv dei minori. Ma ho una perplessità: se sono le aziende medesime a sponsorizzare i comitati ed il codice, allora qual è il fine per cui questi sono stati introdotti? Vorrei pertanto una vostra valutazione in merito. Io credo poco in un patto corporativo nel quale le aziende pagano i comitati per applicare alle stesse aziende le sanzioni. Ritengo che quando le corporazioni o le imprese giudicano se stesse, e il giudizio è interno all'ordine dei giornalisti, rischi di
prevalere l'esigenza della corporazione o delle imprese su quella del soggetto esterno.
L'esperienza dei codici di autoregolamentazione privi di sanzione ha dato risultati positivi o negativi? Lo chiedo non polemicamente (in genere, tendo a distinguere il momento dello scontro da quello della costruzione) perché anche altri Governi hanno avallato tale scelta.
In secondo luogo, penso che nel mondo dei comunicatori la sanzione morale abbia molta più efficacia delle diverse gride manzoniane che ho ascoltato teorizzare in questi anni. Faccio un esempio concreto: se in una trasmissione che si rivolge ai ragazzi, si compie una violazione palese delle norme e dei codici di autoregolamentazione, mi interessa poco che la RAI commini un provvedimento disciplinare dopo sei mesi: riterrei molto più efficace che un soggetto terzo, sia esso il Consiglio degli utenti o altri, esprimesse il proprio giudizio in 48 ore e, durante la trasmissione, l'azienda presentasse le proprie scuse agli ascoltatori per la violazione commessa. In apparenza, si tratta di una soluzione banale, ma non è mai stata tentata: in realtà, essa darebbe un colpo alla credibilità del giornalista, dell'autore e dell'operatore. Chiedo ai nostri ospiti se, secondo la loro esperienza, questa strada sia percorribile o meno. Si potrebbe, come diceva molto bene l'avvocato Canfora, stabilire una norma, che diventerebbe esecutiva nel caso in cui questa soluzione venisse derisa o aggirata.
Noto una continua sovrapposizione di organismi e comitati, che mi provoca la sensazione che i nuovi non funzionino ed i vecchi siano svuotati di competenza. La Consulta qualità della RAI ha avviato una serie di riflessioni e vorrei chiedere ai nostri ospiti qual è il loro giudizio sul proprio lavoro (non mi riferisco all'attuale governo della RAI, ma pongo tale problema in generale): avete avuto la sensazione che l'attività di monitoraggio sia stata presa in considerazione? Essa ha comportato dei provvedimenti? Non mi interessano quelli eclatanti, con grande risonanza esterna, ma gli aggiustamenti di palinsesto: c'è stato un recepimento culturale dell'attività della Consulta, oppure quest'ultima è stata vissuta alla stregua di una commissione di rompiscatole - chiedo scusa del termine - che pongono problemi? La ritengo una questione importante perché se non viene accettata la via dell'autoregolamentazione attraverso una riflessione collettiva, allora deve essere proposta un'altra soluzione, che a me non piace perché sono consapevole che quando i Parlamenti intervengono sul tema della comunicazione, all'inizio si difendono i soggetti deboli e, alla fine, solo quelli forti. Ecco perché ho paura di questa ultima via, chiunque governi.
Pongo una questione al presidente Adornato, poiché ne conosco la sensibilità, e alla relatrice, onorevole Bianchi Clerici, anche se non ci troviamo nella sede della Commissione di vigilanza sui servizi radiotelevisivi. Mi auguro che sia infondata la notizia che riguarda la chiusura di una delle poche trasmissioni intelligenti ed amata da molti bambini, cioè Il pianeta azzurro: segnalo tale problema perché si tratta di una trasmissione che possiede una propria storia ed un proprio linguaggio, che mi dispiacerebbe fosse cancellata nell'indifferenza. Ripeto, non so se si tratti di un fatto vero, ma pongo tale questione affinché si compia una verifica collettiva.
PRESIDENTE. Onorevole Giulietti, vorrei rispondere alla prima parte del suo intervento. Con il presidente Romani, in sede di ufficio di presidenza, abbiamo definito un calendario di audizioni improntato al pluralismo e non centrato sul RAI e Mediaset, come lei osservava, prova ne sia l'audizione odierna - per la quale abbiamo tempo a disposizione - di soggetti decisivi per gli argomenti di cui si occupano, ma che non fanno parte del cosiddetto star system della comunicazione. Non possiamo, però, modificare il calendario delle audizioni, che è ampio ed articolato, perché ciò equivarrebbe a un comportamento non corretto sul piano procedurale; inoltre, abbiamo già stabilito il termine ultimo del 15 dicembre per la conclusione dei nostri lavori.
Ciò non esclude che i soggetti indicati dall'onorevole Giulietti forniscano un parere scritto alle Commissioni riunite.
GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Contrariamente al solito, non porrò una domanda diretta, ma svolgerò alcune osservazioni, poiché mi pare che sia emerso un atteggiamento assolutamente chiaro ed univoco da parte degli auditi. Credo sia sotto gli occhi di tutti che gli strumenti fin qui utilizzati per cercare di mantenere elevato il livello di qualità ed il grado di tutela delle fasce più deboli, in particolare dei bambini, non sono stati efficaci: si tratta di un problema riguardo cui sta crescendo in modo sempre più consapevole la sensibilità sociale del paese.
Al riguardo, durante la preparazione della relazione introduttiva al testo della disegno di legge del Governo, che ho redatto per la parte di competenza della VII Commissione, mi sono chiesta se non fosse il caso di pensare ad uno specifico intervento legislativo, senza voler colpire la libertà di impresa insita nel produrre informazione e comunicazione anche televisiva, nella consapevolezza che viviamo in un mondo che non è certamente quello della RAI didattica e pedagogica degli anni '50-'60. Il mondo è cambiato, esiste Internet ed altre forme di diffusione delle informazioni, di cui chiaramente dobbiamo tener conto.
Le Commissioni si faranno carico della necessità di un intervento più netto all'interno del disegno di legge a tale proposito, anche in relazione al prospetto, che ci ha mostrato la dottoressa Santolini, che descrive le otto sanzioni finora comminate e che ritengo abbastanza ridicole. Affronteremo tale questione, dunque, considerato che i codici non sono sufficienti.
ANGELO SANZA. Vorrei esprimere il mio apprezzamento ai rappresentanti delle organizzazioni che hanno accolto il nostro invito, per le questioni su cui hanno richiamato l'attenzione del legislatore.
Come ha dichiarato il dottor Jacobelli, il giudizio della Consulta qualità della RAI ha luogo in seguito alla messa in onda dei programmi, inficiando l'effetto del giudizio che viene espresso. È stato fatto qualche tentativo per capire se programmi possano essere mostrati alla Consulta prima della loro messa in onda? È percorribile tale strada dal punto di vista legislativo? In questo modo si corre certamente il rischio della censura ma, senza volere eludere tale problema, vorrei comprendere se sia possibile ottenere maggiore efficacia da questo punto di vista.
L'avvocato Massa ha richiamato il pericolo dei messaggi occulti, che mi pare sia molto sentito da parte di coloro che hanno frequentazione con i programmi televisivi, in modo particolare è più accentuato nelle pay tv. Vorremmo provare, allora, ad introdurre alcuni constraint per via normativa.
Per quanto riguarda l'inefficacia dei codici di autoregolamentazione, precedentemente richiamata dal collega Giulietti, ritengo che la denuncia della dottoressa Capitanio Santolini alle Commissioni sia pertinente; l'avvocato Canfora, inoltre, ci ha richiamato alle problematiche connesse all'articolo 4 del disegno di legge al nostro esame, ed allora ritengo che sia forse il caso di prendere in considerazione le vostre esperienze e approntare un meccanismo sanzionatorio in grado di comminare sanzioni puntuali. Al riguardo, il collega Giulietti ha avanzato alcune proposte, e potremmo anche ipotizzarne altre, tuttavia credo che dobbiamo cogliere l'occasione della riforma del sistema radiotelevisivo per fare chiarezza sul fronte della qualità dei programmi.
PAOLO ROMANI. Vorrei riprendere parzialmente il ragionamento formulato dal collega Giulietti, quando, con riferimento all'impianto sanzionatorio, ha sostenuto legittimamente, a mio avviso, la tesi per cui è più importante la condanna pubblica nei confronti di determinati comportamenti rispetto alla sanzione di uno o 2 milioni di vecchie lire. Tuttavia, a prescindere se la sanzione sia di natura amministrativa, oppure appartenga ad una categoria «morale», come quella che ha cercato di descrivere precedentemente
l'onorevole Giulietti, vorrei capire - e forse è questa la sede più adatta - quale sia il comportamento che dobbiamo sanzionare.
Al riguardo, vorrei portare alcuni esempi. L'immagine del mercato di Sarajevo, con brandelli di carne e di sangue, in onda alle ore 20, rappresenta violenza gratuita? L'immagine di bambini nei paesi africani sconvolti da una carestia, o di malati di AIDS, è violenza gratuita? L'immagine della vivisezione dei cani è violenza gratuita?
Pongo il problema per le immagini relative ad eventi reali, ma vorrei ricordare che esiste anche la finzione. Ad immagini reali e concrete di questo tipo - e dunque estremamente violente, perché vere - corrispondono, infatti, altrettante scene finte o di fiction. Ad esempio, in Salvate il soldato Ryan, un grande film di guerra, i primi venti minuti sono una «macelleria» unica e continua: anche quella, allora, è violenza gratuita? Non vorrei che, alla fine, l'intero ragionamento conduca all'unica e possibile conclusione per cui l'oscenità e la pornografia risiedono esclusivamente nell'esplicito atto sessuale (che, per quanto mi riguarda, trovo assolutamente non violento e molto meno grave, per certi aspetti, rispetto a scene di violenza veramente gratuita).
Al riguardo, ho una bambina di sette anni, e dunque mi pongo quotidianamente il problema di far vedere o meno certe immagini. Anche se affermo ciò per esperienza personale, e sono consapevole che le mie considerazioni non dovrebbero derivare da esperienze di carattere personale, ma dovrebbero tener conto della realtà complessiva, credo che proprio dalle piccole esperienze personali sia possibile ricavare grandi principi. Ebbene, mi pongo spesso il problema se i 18 mila omicidi che ogni anno si vedono in televisione siano più gravi rispetto a qualcos'altro. Allora, o noi genitori dobbiamo essere in grado di spiegare ai nostri figli che quei 18 mila omicidi sono finti, e che il sangue è solamente succo di pomodoro, oppure obblighiamo il telegiornale a non mostrare determinate scene.
Ricorderete la dura polemica di qualche anno fa nei confronti del direttore Lerner, quando inopinatamente passarono sul TG1 immagini che sicuramente non dovevano essere viste. Ci fu un grande scandalo - ed io lo condivisi -, ma anche in quella occasione mi sono posto il problema: fino a che punto è possibile spingersi? Chi decide qual è il limite?
Ho l'impressione di sentire parlare sempre di meccanismi burocratici e di sanzioni, ma non riesco ad avere mai una definizione del problema ragionevolmente sentita, approfondita, consapevole e - concedetemi il termine - «liberale»: infatti, considero la censura uno strumento di abbrutimento culturale, e non uno stimolo propositivo. Vorrei ribadire, inoltre, che un conto è raccontare a bambini di sette o dieci anni che gli animali non devono essere vivisezionati, ed un altro è vedere un animale che soffre per la vivisezione: ritengo che l'efficacia di tale immagine, seppur brutale, spesso possa avere una capacità di educazione maggiore rispetto a tante parole ed a tante chiacchiere inutili.
Suppongo abbiate lavorato per tanti anni in questo settore, ed allora mi chiedo se siete in grado di offrire una risposta alle mie considerazioni che non sia posta solamente in termini legislativi, giuridici o sanzionatori, ma che rappresenti un contributo autentico, anche se forse si tratta di domande alle quali è difficile rispondere.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri interlocutori per le repliche.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI, Presidente del Forum delle associazioni familiari. Signor presidente, sono convinta che le Commissioni lavoreranno seriamente, raccogliendo anche la voce degli utenti.
Per quanto concerne il problema posto dal Comitato TV e minori, vorrei dire che in effetti anche il Forum nutre molte perplessità; peraltro, tra i membri del comitato previsto dall'ultimo codice di autoregolamentazione vi sono i soggetti controllati, e dunque essi diventeranno controllori, poiché tale comitato è composto
da cinque rappresentanti delle emittenti televisive, cinque rappresentanti dei cittadini-utenti e da cinque rappresentanti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; inoltre, affinché le sue deliberazioni siano valide, è richiesta sia la presenza di almeno dieci componenti, sia il voto nello stesso senso di otto membri. A nostro avviso, dunque, proprio in base a tali meccanismi il comitato funzionerà poco e male e, soprattutto, esiste il problema della commistione tra chi deve essere controllato e chi dovrebbe controllare. Il problema di fondo, tuttavia, è rappresentato dall'authority, che si dichiara impotente ad agire: infatti, ha ragione chi ha sostenuto che esistono meccanismi complicati che non garantiscono, alla fine, né la certezza della pena, né, soprattutto, la rapidità della sanzione. Si tratta, pertanto, di affrontare i problemi in un altro modo, e di assicurare una tutela che riteniamo importante.
Per quanto concerne i quesiti posti dall'onorevole Romani, è chiaro che egli ha portato esempi indiscutibili. Che cosa vuol dire comune senso del pudore? Si discute al riguardo da cinquant'anni! Quando la violenza è gratuita e quando non lo è? È vero che ci troviamo di fronte ad una vaghezza di termini e di discorsi, ma purtroppo, a mio avviso, siamo ormai in una babele di linguaggi, per cui ciascuno attribuisce alle stesse parole significati diversi.
PAOLO ROMANI. Ho portato esempi precisi.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI, Presidente del Forum delle associazioni familiari. Vorrei insistere, tuttavia, sul fatto che ciò non deve rappresentare un alibi affinché tutto sia possibile, dal momento che è impossibile fornire definizioni precise. A mio avviso, vi sono dei limiti, esiste un comune sentire, anche se è difficile da definire, ed esiste un Comitato degli utenti formato da persone responsabili, preparate, serie ed esperte e da genitori, famiglie, utenti e quant'altro, che hanno titolo per esprimere un parere, anche se poi si tratta di un parere opinabile, oppure non così pertinente, come tutti i pareri.
Lei, onorevole Romani, è dell'avviso che la libertà sia un grande valore; anch'io penso che la libertà sia un grande valore, tuttavia, quando si parla di minori, nel dubbio preferisco un limite stretto, preferisco restringere le maglie e correre il rischio di essere accusati di imporre una censura - che non piace neanche a me -, e dunque preferisco avere una legge che prevede «maglie strette», sapendo benissimo che le violazioni delle leggi sono all'ordine del giorno e che le normative non sempre sono applicate come si deve (infatti, dovrà essere successivamente approvato un regolamento attuativo della legge, e seguirà un'altra discussione ed un'altra lunga trattativa).
È chiaro che non si può rispondere in termini tecnici e cogenti, tuttavia ritengo che sia possibile imporre limiti più seri rispetto sia alla normativa precedente, sia al provvedimento attualmente in discussione.
FRANCESCO CANFORA, Componente della giunta del COPERCOM. Vorrei brevemente intervenire a proposito della questione inerente alla proiezione di certe immagini brutali, quali quelle di vivisezione di animali, ritenute dannose per i minori. Mi permetto di ricordare che la legislazione vigente già vieta espressamente la riproduzione delle immagini più raccapriccianti. Il problema che allora si pone è di natura interpretativa: cosa dobbiamo intendere effettivamente per raccapricciante? È chiaro che si finisce per esprimere un giudizio ex post. Ciò su cui ritengo necessario riflettere è l'esigenza di stabilire un limite anche quantitativo cui fare riferimento. C'è una misura in tutte le cose: dar visione di un fatto per uno o pochi attimi (si pensi al caso della vivisezione), è ben altro dal soffermarcisi troppo a lungo, caso in cui un'immagine violenta diventerebbe una visione raccapricciante da sottoporre necessariamente a sanzione, come del resto la legge dispone. È dunque, ripeto, trovare la misura giusta il vero problema da affrontare.
STEFANO MASSA, Rappresentante del CODACONS. Intervengo per rispondere all'onorevole Romani. Ricordo che quando studiavo diritto penale uno dei miei incubi era proprio il «comune senso del pudore», concetto - almeno in quel ramo del diritto - di rara dinamicità.
PAOLO ROMANI. Rocco e i suoi fratelli è stato vietato ai minori di 16 anni!
STEFANO MASSA, Rappresentante del CODACONS. Infatti; le ripeto, è stato un incubo tale che il farvi ora riferimento, in questa sede, mi ha riportato agli anni di studio universitario.
Dagli interventi precedenti sono scaturiti dei segnali che mi sento di condividere. C'è sempre qualcosa di poco chiaro quando vi è eccessiva vicinanza tra controllati e controllori. Probabilmente sarebbe necessario individuare un meccanismo più agile di quello attuale. L'authority - ne prendiamo atto anche noi - sta mostrando delle difficoltà (mi dispiace, perché tra l'altro è pure l'unica ad avere sede a Napoli, la mia città), e purtroppo vive una fase quanto meno molto travagliata. Mi è piaciuta molto l'idea della sanzione entro le 48 ore. Premesso che da parte nostra non c'è nessuna velleità di tornare indietro a forme dirette o indirette di censura, faccio mia la tesi del presidente Romani, del resto sono aspirante padre e magari tra qualche anno mi porrò gli stessi problemi riguardo all'educazione dei miei figli.
La vera soluzione andrà vista anche dal punto di vista deontologico, nell'ambito dell'ordine dei giornalisti. Esercitare la professione giornalistica significa anche saper ponderare ciò che si dice, come lo si dice e lo si propone, a beneficio dell'utenza. In tal senso diciamo no a qualsivoglia forma di censura, però, in ogni caso, una sonora tirata di orecchie, rivelante pubblicamente entro le 48 ore dalla violazione, se un certo soggetto ha mandato in onda un servizio capace di turbare un minore, sarebbe una soddisfacente risposta alle questioni sollevate. Un richiamo ufficiale reputo potrebbe essere utile al fine di impedire reiterazioni di comportamenti del genere.
BARBARA ACCETTA, Membro del Comitato TV e minori FRT. Cercherò di fornire una risposta di carattere complessivo, toccando le interessanti questioni sollevate. Parto dall'ultima domanda posta dal presidente Romani. Sicuramente, le immagini richiamate non sono considerate dal comitato TV e minori immagini di violenza gratuita. Svolgiamo anche attività di formazione nei confronti di genitori, educatori in genere, insegnanti. Alla radice della nostra esperienza è una ricerca straordinaria, compiuta con i bambini, che hanno dato e danno prova di sapere distinguere perfettamente ciò che è finzione da ciò che è realtà. E parlo di bambini anche molto piccoli. Malgrado il sistema complessivo sia ancora carente, la scuola è in realtà riuscita ad infondere un certo senso critico, attraverso alcuni imput ai ragazzi, benché non ovunque e non in senso generalizzato (il fenomeno, in tal senso, è diffuso a macchia di leopardo). L'intento è quello di coltivare lo spirito critico anche nei confronti di quanto proposto. In ogni caso, il Comitato rivendica come uno dei propri compiti istituzionali quello di far crescere la consapevolezza tra genitori ed educatori, anche in ragione del fatto che - per dirla con uno slogan - è nostra la convinzione che la tv non migliorerà fino a che non lo farà il suo pubblico.
Non vi è dubbio che la sanzione morale, per quel che riguarda la nostra esperienza pur molto limitata, eppure decennale, sia determinante. Esiste però una leggera differenza tra le diverse posizioni presentate in questa sede. È vero che anche noi, nella nostra richiesta, parliamo di norme ma siamo convinti, lo ripeto, che il codice di autoregolamentazione funzioni. Concordo in tal senso con le posizioni dell'onorevole Giulietti. È molto importante una sanzione morale che responsabilizzi l'autore dell'infrazione, in modo tale che la madre, il padre, l'insegnante i quali segnalino una violazione, ricevano in risposta le scuse dell'emittente colpevole.
Riteniamo ciò sia più determinante di altri tipi di soluzioni.
Reputiamo altrettanto fondamentale far in modo che, perlomeno nell'ambito di una fascia protetta - questo è quello di cui si occupa il Comitato - il minore sia tutelato. Si tratta proprio di questo: far in modo di muoverci entro fasce garantite. Ripeto, si tratterà solo di fasce, nella consapevolezza che a voler garantire tutto si finirebbe per non garantire nulla.
È essenziale talvolta saper compiere delle scelte. Ciò che per esempio abbiamo apprezzato nel nuovo codice del Ministero delle comunicazioni, in cui non vi è ipocrisia, è la capacità di porre sullo stesso piano il diritto dell'utenza e dell'impresa, senza nascondersi dietro un paravento. Pensare di poter controllare tutte le televisioni dalle sette di mattina a mezzanotte, è un prendersi in giro. La risposta più sincera forse la diede a noi una funzionaria di Mediaset, la quale ci spiegava di avere i magazzini colmi di materiale e di non poter far altro che trasmetterlo. È allora evidente l'esigenza di scegliere. Aggiungo peraltro che l'esperienza del Comitato è servita a noi, associazioni della società civile, a capire meglio e di più le ragioni delle aziende ma è servito anche alle aziende per confrontarsi; forse la cosa più straordinaria è che proprio dai rappresentanti di queste ultime sono pervenuti al Comitato suggerimenti e attenzioni non aventi nulla a che vedere con propensioni di controllo nei nostri confronti.
Ricordo un solo esempio fra i tanti: la rappresentante di Publitalia ci ha distribuito, in Comitato, un dossier contenente documentazione relativa a come si era intervenuti preventivamente su alcune pubblicità trasmesse in fascia protetta, poi fermate o modificate. Altra considerazione riguarda il concetto di «violenza». Secondo noi, non ne costituiscono espressione le immagini vere, inerenti ad accadimenti reali di cui i bambini debbono essere a conoscenza, seppur con gradualità, col supporto e l'intervento di genitori ed educatori.
Riteniamo profondamente gratuita e molto grave, ad esempio, l'intervista trasmessa in un pomeriggio recente dalla RAI (in un programma in cui si verificano molti episodi del genere), di un bambino undicenne che entrava nel merito delle amicizie e degli accompagnatori della madre: si tratta sicuramente di violenza ed istigazione alla violenza.
PRESIDENTE. In merito alla discussione assai interessante che si è sviluppata in seguito all'intervento del presidente Romani, segnalerei la circostanza che una parte dei minori vivano come irreale l'informazione, in quanto lontana da loro mondo, e come reale la fiction, che fa parte pienamente del mondo in cui un bambino si identifica.
Mi permetto di segnalare una seconda questione all'onorevole Giulietti, che sa che il meccanismo mediatico può dilatare il messaggio originale, trasformandolo: riguardo al caso del giornalista Gad Lerner, citato dal presidente Romani, ricordiamo che oltre al danno originario, se tale si vuole considerare, se ne aggiunse uno successivo, attraverso l'esibizione mediatica amplificata del problema e delle immagini che erano state diffuse. Si tratta di una discussione non dissimile da quella che abbiamo vissuto in Italia sul terrorismo, su quanto convenga dare pubblicità a certi fatti: la ritengo assai pericolosa e difficile e, personalmente, non ho nessuna soluzione.
JADER JACOBELLI, Coordinatore della Consulta qualità della RAI. Vorrei rispondere alle domande che sono state poste. Le commissioni ed i comitati sono tanti, troppi e non hanno ottenuto nulla, Consulta compresa. Sarebbe necessario creare una grande organizzazione di utenti, che formi un'autentica controparte in quanto le varie commissioni oggi si elidono l'una con l'altra per la loro parzialità. Per esempio, una grande associazione di utenti, diretta da una donna molto autorevole, sta trattando da cinque anni con la BBC, ed ha ottenuto di rivedere i palinsesti quando essi vengono proposti e di discutere ogni tre mesi quelli che sono andati in onda: è l'unica associazione operante in Gran Bretagna.
In secondo luogo, è indiscutibile il fatto che la sanzione morale è efficace quando proviene da un'alta autorità e non assume una grande influenza morale quando è comminata da una qualunque commissione, la cui composizione è un po' «arrabbattata» e l'autorevolezza dei componenti non è nota. Bastò che il grande filosofo Karl Popper, che non aveva nemmeno la televisione, in fin di vita si esprimesse contro la televisione che tutto il mondo si sentì impegnato da quelle affermazioni; oppure, si può ricordare l'affermazione della signora Franca in merito alla televisione deficiente, sulla quale tutta l'Italia convenne. Sarebbe sufficiente che le associazioni disponessero di un organo di monitoraggio autorevole e si potrebbe fare a meno della sanzione.
Suggerisco, dunque, di tentare una confederazione di tutte le associazioni che si occupano degli utenti, con un sistema di monitoraggio autorevole, formato da personalità che godono di prestigio nel paese: una mia affermazione non equivale a quella di Umberto Eco, oppure di Norberto Bobbio. Il monitoraggio non è un fatto meccanico, ma riguarda l'autorevolezza di chi lo compie. Alla domanda in merito alla possibilità di una maggiore efficacia, dunque, rispondo che è necessario intraprendere la strada che ho descritto, cambiando lo scenario attuale: nel quadro dello scenario attuale ciò non è possibile.
Onorevole Romani, per quanto riguarda la violenza ed i cosiddetti traumi che i bambini conseguono in seguito alla visione di certe immagini, secondo gli studi psicologici e psichiatrici più avanzati non è tanto la preoccupazione del trauma che ci fa dire che la televisione debba essere in qualche modo diversa, ma è l'assuefazione dei bambini. Le manifestazioni di violenza non traumatizzano, ma diventano eventi ovvi, tanto che circola una battuta: il padre comunica al figlio che è morto il nonno ed il figlio gli domanda chi lo ha ucciso; è diventato ovvio che si muore perché si è uccisi!
PRESIDENTE. Gli scontri intra familiari sono ormai eventi quotidiani!
JADER JACOBELLI, Coordinatore della consulta qualità della RAI. Dobbiamo preoccuparci dell'assuefazione che i bambini traggono dalla televisione.
Riguardo alla decisione sugli effetti positivi o negativi, ritengo si tratti di una questione culturale, ambientale, di contesto nel quale si vive, di fasce orarie: in una fascia oraria un programma è di qualità, mentre in un'altra non lo è e, dunque, occorre una valutazione estremamente dettagliata e precisa. A questo fine, è necessario creare un autorevole organo di monitoraggio esterno alle emittenti, che compia un'azione estremamente sofisticata, una sorta di «Qualitel» che crei lo stesso subbuglio dell'Auditel.
CARLO ROGNONI. Signor presidente, intervenendo sui lavori delle Commissioni, desidero sollecitare l'audizione della European Broadcasting Union (EBU), la quale, peraltro, ha già trasmesso alle Commissioni una documentazione scritta che ritengo interessante. Non intendo allungare i tempi della nostra indagine conoscitiva, tuttavia, ai fini dei nostri lavori, ritengo utile svolgere l'audizione.
PRESIDENTE. Onorevole Rognoni, vedremo, in base al calendario, se è possibile soddisfare la sua richiesta.
Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13,20.