Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 10.05.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul riassetto del sistema radiotelevisivo, l'audizione di rappresentanti di Stream Spa e di Telepiù.
GIANCARLO LOQUENZI, Direttore delle relazioni istituzionali di Telepiù. Signor presidente, onorevoli deputati, vorrei rivolgervi innanzitutto un ringraziamento per l'opportunità che c'è stata offerta di manifestare il nostro avviso sul disegno di legge di riassetto del sistema radiotelevisivo, che in queste ultime settimane ci ha occupato nella sua analisi e, sicuramente, molto interessati.
cercando di prevedere, prevenire e organizzare la normativa in vista di quello che sta per succedere e non di quanto è già successo. Si tratta sicuramente di un fatto positivo, di cui credo gli operatori si avvantaggieranno al momento della applicazione della nuova normativa.
preferito se si fosse parlato, magari, di deroghe automatiche. Sia chiaro che, almeno a nostro avviso, le regole che stabiliscono il rispetto delle quote europee sono tipicamente pensate ed immaginate per ricalcarsi sulla tradizionale televisione generalista e commerciale che trasmette «in chiaro». Queste stesse regole, se venissero imposte ad una emittente televisiva a pagamento, metterebbero l'operatore in grandissima difficoltà nel rispettare le quote. Le emittenti «in chiaro» possono sottrarre dal computo delle loro ore di trasmissione i dibattiti, le cosiddette televendite, la pubblicità, i giochi di qualsiasi tipo ed i programmi di intrattenimento; quindi, abbattono il 100 per cento della loro base di calcolo e, su quello che rimane, con molta facilità riescono a superare il 50 per cento che la norma loro impone. Una emittente come Tele più nero che, per il 98 per cento, trasmette cinema, trova difficoltà, ovviamente, a rispettare quella stessa quota del 50 per cento, essendo la sua base di calcolo vicina al 100 per cento, poiché trasmette pochissima pubblicità e non trasmette affatto dibattiti, «televendite», giochi o fiction. Vi è quindi una disparità di trattamento in re ipsa, che dovrebbe essere in qualche modo rivista.
TULLIO CAMIGLIERI, Direttore delle comunicazioni e dei rapporti istituzionali di Stream. Il disegno di legge in esame è per certi versi valido ma risente ancora di una visione molto legata alla televisione terrestre. In Italia la specificità di questo settore è stata legata innanzitutto all'installazione delle parabole e dei decoder, un elemento determinante nello sviluppo del mercato che in questi anni ha subìto anche il problema della pirateria; tuttavia,
tale problema - collaterale a quello del digitale che, fortunatamente, si sta affrontando anche in Parlamento - ha permesso lo sviluppo di un mercato importante, oggi valutato intorno ai 6 milioni di parabole installate nel nostro paese, equivalenti a circa 18 milioni di utenti.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare richieste di chiarimento.
CARLO ROGNONI. Ringrazio gli invitati per aver colto lo spirito che è all'origine
delle nostre audizioni, cioè avere commenti ed opinioni sulla «legge Gasparri». Mi pare che il problema del decoder sia un punto molto delicato perché, se si vorrà incentivare lo sviluppo di questa tecnologia digitale terrestre, sicuramente ci sarà il problema di stabilire quali tipologie scegliere, quelli aperti o quelli chiusi. Se si tratta di un intervento pubblico, credo che si dovrà preferire il decoder aperto. Non è un problema da poco, tanto che a Bruxelles si sta discutendo sui modelli: Murdoch, ad esempio, possiede un suo modello che, se ricordo bene, è chiuso, ma esistono altre possibilità e bisognerebbe comprendere bene come muoversi.
PAOLO ROMANI. Il dottor Camiglieri ha parlato di 6 milioni di parabole, le famose «padelle»; vorrei capire se esistono dati ragionevolmente precisi, poiché immagino che in questa cifra siano comprese sia le parabole autorizzate sia le situazioni «pirata».
PAOLO GENTILONI SILVERI. Sono incuriosito anch'io, come il presidente Romani, riguardo a cosa si potrebbe decidere in una legge di sistema, o con altri strumenti, sull'argomento della pirateria.
GIORGIO PANATTONI. Mi pare che oggi sia emersa la genericità di una serie di affermazioni che personalmente condivido molto. Si avanza una richiesta al Governo di chiarire gli intendimenti come base di partenza di una discussione che, ovviamente, competerà al Parlamento fare, ma che deve tenere conto dei criteri di indirizzo che hanno ispirato questo provvedimento.
ENZO CARRA. Mi pare che dalle memorie da voi prodotte, nonché da quanto da voi affermato questa mattina si vada configurando un terzo polo autentico, che è quello dei canali pay satellitari. Al fine di poter affrontare meglio il nostro successivo lavoro, chiedo se non sia troppo superficiale e frettoloso il modo con cui si affronta il tema - così come esso viene configurandosi dalla situazione anche societaria di cui siete esponenti e testimoni al tempo stesso -, e se esso possa essere normato meglio, in analogia a quanto già avvenuto in precedenti situazioni «non satellitari».
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per le risposte.
TULLIO CAMIGLIERI, Direttore delle comunicazioni e dei rapporti istituzionali di Stream. Rispondo all'onorevole Romani, che chiedeva di conoscere i numeri relativi alla installazione di parabole. Ovviamente, per quanto riguarda il mercato della pirateria, diventa veramente difficile stabilire un dato. Quindi, noi ci riferiamo alle cifre ufficiali della associazione degli installatori di parabole, confortati anche dagli ultimi dati della ricerca RAI-Eurisco presentata alcuni mesi fa. Orbene, i dati sostanzialmente testimoniano il superamento della soglia di cinque milioni di parabole installate e la tendenza, entro il prossimo anno, a superare i sei milioni. Naturalmente, onorevole Romani, questi sono dati che provengono da ricerche di mercato e, quindi, non sono certificabili, in quanto il mercato della pirateria è stato sino a pochi mesi fa quello che è stato.
PAOLO ROMANI. Lo possiamo dedurre per differenza, però.
TULLIO CAMIGLIERI, Direttore delle comunicazioni e dei rapporti istituzionali di Stream. Sì, sì, certo, per differenza di chi non paga, dice lei! Negli ultimi mesi la situazione è però nettamente migliorata, soprattutto grazie allo sforzo che Telepiù ha fatto per introdurre carte che, ad oggi, non sono «piratabili».
che tale mercato esiste e, probabilmente, è meglio che continui ad esistere in un ambito fortemente regolamentato da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, piuttosto che spingerlo nell'ambito della esclusiva clandestinità.
CARLO ROGNONI. Non è per contraddirla ma, poco tempo fa, ho osservato una situazione chiara. In Finlandia, da un anno, stanno già sperimentando un sistema di trasmissione digitale terrestre « in chiaro ». Il problema essenziale è nel tipo di decoder che consenta il ritorno; il motivo è che i servizi li puoi vendere. Quello che si sta dimostrando è che la trasmissione con sistema digitale terrestre non potrà mai essere a pagamento perché, dove lo è stata, è fallita, sia in Spagna, sia in Inghilterra. Il problema è sapere che il sistema digitale terrestre «in chiaro» deve consentire l'interattività, altrimenti ci avviciniamo alla web-tv o a qualche altra cosa.
TULLIO CAMIGLIERI, Direttore delle comunicazioni e dei rapporti istituzionali di Stream. Onorevole Rognoni, è necessario capire che cosa intendiamo per interattività. Infatti, se si intende una interattività generica, è un conto; ma se essa deve permettere a qualunque operatore di sapere chi sia l'utente che in quel momento sta effettuando operazioni tramite il decoder, di identificare l'interlocutore, è difficile. Lo può definire come vuole, ma parliamo pur sempre di un parco di utenti noti all'operatore, dei quali ha la possibilità di conoscere il numero di carta di credito, gli estremi di conto corrente bancario e così via. Si tratta di un utente identificabile da parte dell'operatore.
possibilità di declinare i contenuti in maniera diversa e di lavorare sui contenuti specifici in termini di interattività diventa estremamente complicata, se non addirittura impossibile.
PRESIDENTE. Dottor Camiglieri, le sue osservazioni non erano affatto provocatorie ma utili per la nostra riflessione.
GIANCARLO LOQUENZI, Direttore delle relazioni istituzionali di Telepiù. Considero estremamente interessanti le questioni che ci sono state poste. Devo riallacciarmi alla premessa, tanto più che proprio la domanda dell'onorevole Rognoni, sul sistema digitale terrestre, chiama in causa le nostre diverse posizioni, come impresa, attuali e future. Telepiù ha creduto nel sistema di trasmissione digitale terrestre, tant'è vero che è stata, ed è tuttora, l'unico operatore in Italia ad effettuare una vera sperimentazione commerciale con questo sistema. Abbiamo alcuni abbonati, paganti, che ricevono servizi in digitale terrestre: si trovano a Palermo, a Brescia, a La Spezia, a Sant'Agata dei Goti, in Campania - località in cui abbiamo effettuato la prima sperimentazione - e anche altrove. Forniamo i nostri contenuti a utenti che dispongono di un piccolo decoder collegato alla antenna domestica, quella «a rastrello», che pagano un abbonamento e seguono alcuni nostri programmi. Abbiamo investito su questo, abbiamo raccolto un know how che riteniamo prezioso e che mettiamo a disposizione, fin da adesso, di chi voglia proseguire questo percorso.
CARLO ROGNONI. Usate la vostra rete o quella di altri?
GIANCARLO LOQUENZI, Direttore delle relazioni istituzionali di Telepiù. Usiamo le nostre frequenze terrestri.
CARLO ROGNONI. E per la parte hardware dei ripetitori?
GIANCARLO LOQUENZI, Direttore delle relazioni istituzionali di Telepiù. Elettronica industriale ci assiste e ne cura la manutenzione.
mi sento di affermare che, pur senza finanziamenti a pioggia, pur senza sussidi, una forte leva dalla parte dell'offerta, a mio avviso, deve essere attivata dalla pubblica amministrazione. Se la pubblica amministrazione, in tutte le sue articolazioni, entrasse nel digitale terrestre come offerta di servizi e di collegamento con i cittadini, ciò rappresenterebbe un grandissimo volano per la sua affermazione, prima ancora che gli operatori Rai e Mediaset siano in grado di strutturare contenuti adatti al digitale terrestre di intrattenimento.
GIORGIO PANATTONI. Cablando tutta Siena.
GIANCARLO LOQUENZI, Direttore delle relazioni istituzionali di Telepiù. In quel caso non sarebbe bastato vendere il film ma bisognava fornire quei servizi che chiamiamo di iperprossimità (la possibilità di pagare una multa, di iscriversi all'università, di avere una lezione universitaria in casa). Per quanto riguarda la pirateria, esiste una proposta di legge approvata dalla Commissione giustizia della Camera di iniziativa dell'onorevole Centaro, che è stata assegnata in sede legislativa, che dovrà essere inserita all'ordine del giorno per discuterla ed approvarla. In effetti, per un problema di coordinamento legislativo con delle norme comunitarie, le sanzioni penali contro la pirateria sono scomparse dall'ordinamento e sono state sostituite da sanzioni amministrative: questo ha molto scoraggiato le operazioni di intelligence e di repressione, provocando un'impennata di tali fenomeni.
PAOLO ROMANI. Lei sta dicendo che l'Auditel non seleziona l'utente satellitare e fa base 100 con l'analogico terrestre?
GIANCARLO LOQUENZI, Direttore delle relazioni istituzionali di Telepiù. Effettivamente, ho esagerato, ma lo considera in modo molto marginale.
PAOLO ROMANI. Lo considera quantitativamente oppure no?
GIANCARLO LOQUENZI, Direttore delle relazioni istituzionali di Telepiù. In questo momento il campionamento dell'Auditel viene fatto in maniera diversa dall'analogico terrestre - che, invece, ha un ritorno preciso su un campione con la monitorizzazione quotidiana dell'apparecchio televisivo -, tant'è vero che in Audisat si sta cercando di capire innanzitutto
attraverso quale strumento tecnologico si debba rilevare il tutto (Commenti del deputato Gentiloni).
CARLO ROGNONI. Un flash sulle frequenze!
GIANCARLO LOQUENZI, Direttore delle relazioni istituzionali di Telepiù. Quella delle frequenze è una questione molto complessa ed importante ma ricordo che fu la stessa Autorità antitrust ad evidenziare le difficoltà nel momento in cui ci chiedevano di vendere e non sapevamo come fare: all'epoca studiarono la questione ma non furono in grado di darci una risposta chiara. È evidente che se l'esigenza di venderle verrà stabilita prima dell'approvazione della legge in esame - o, addirittura, la Corte costituzionale emanerà la relativa sentenza -, si procederà nel modo che ci verrà richiesto: sarà immediato e senza alcuna possibilità di trattativa.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti i nostri cortesi interlocutori per essere intervenuti e per non aver richiesto finanziamenti a pioggia.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul riassetto del sistema radiotelevisivo, l'audizione di rappresentanti di Aeranti-Corallo, Federazione radio TV-FRT e Radio nazionali associate-RNA. Ringraziamo per aver accolto il nostro invito il dottor Filippo Rebecchini, presidente di FRT, Maurizio Giunto, presidente dell'associazione TV locali della FRT, il dottor Roberto Giovannini, presidente dell'associazione radio della FRT, e i rappresentanti dell'Aeranti - Corallo, il presidente, avvocato Marco Rossignoli, il segretario generale, dottor Berrini, la dottoressa Alessia Caricato, consigliere delegato; ringrazio inoltre i rappresentanti delle Radio nazionali associate, dottor Sergio Natucci, segretario generale, ed il dottor Simone Fattori, responsabile delle relazioni esterne.
FILIPPO REBECCHINI, Presidente della FRT. L'FRT è una federazione formata da tre associazioni: la prima è costituita da televisioni locali, ed è rappresentata dal dottor Maurizio Giunto, la seconda dalle radio, rappresentata dal dottor Giovannini, e la terza da televisioni nazionali, e sarà ascoltata successivamente.
che viene dichiarato al tribunale da parte di tutte le emittenti commerciali, si vede che solo 47 superano i 3 miliardi di fatturato; di queste, 22 superano i cinque miliardi, mentre le altre si collocano al di sotto dei 3 miliardi e circa 120 addirittura sotto i 500 milioni l'anno.
MAURIZIO GIUNTO, Presidente dell'Associazione TV locali della FRT. Ho il compito di presentare le istanze che l'associazione delle TV locali farà presenti nel corso della discussione del disegno di legge sul riassetto del sistema radiotelevisivo.
(ciò per evitare una concentrazione smisurata in una singola regione) e che il concessionario possa detenere fino a 6 concessioni anche in bacini non limitrofi. Non si capisce, ad esempio, per quale motivo un concessionario pugliese non debba poter avere una televisione nel Lazio e un'altra in Piemonte. Il motivo di ciò ci è sempre sfuggito e, tanto più oggi, lo riteniamo assolutamente anacronistico. Peraltro le nostre stesse esigenze sono state efficacemente espresse nella relazione introduttiva dell'onorevole Romani nella prima seduta della Commissione, il quale ha accennato ad un possibile incremento della diffusione di queste emittenti, sia in termini di bacino sia in termini numerici di concessione.
ROBERTO GIOVANNINI, Presidente dell'Associazione radio della FRT. Condivido quanto sinora affermato dai presidenti Rebecchini e Giunto. Ho altresì apprezzato molto l'introduzione che l'onorevole Romani ha fatto nella prima riunione delle Commissioni, proprio per i suoi contenuti. Soltanto un piccolo rilievo: non si è parlato di radiofonia neppure in quell'intervento, anche se questa mia osservazione è forse solo frutto di deformazione professionale. Pur essendo una legge di principio, vorrei che si tenesse in debito conto quella che oggi è la radiofonia nel nostro paese. Si tratta di un settore di grande importanza dal punto di vista dell'occupazione e dello sviluppo tecnologico. Perciò il disegno di legge dovrebbe toccare anche le peculiari problematiche del settore
della radiofonia. Pertanto faccio soltanto una proposta: che le stesse richieste contenute nel nostro documento ( già illustrate dal presidente Giunto) siano estese anche al settore radiofonico, con la sola eccezione relativa al passaggio dal locale al nazionale. Al riguardo ritengo che la radiofonia abbia un assetto molto diverso dal settore televisivo. Esistono già 14 reti nazionali, 6 reti radiofoniche RAI nonché una serie di emittenti regionali di grande estensione dal punto di vista del fatturato e dell'ascolto. Pertanto, l'introduzione nell'ambito radiofonico di una norma recante il passaggio dal sistema locale a quello nazionale potrebbe portare scompensi nel settore.
MARCO ROSSIGNOLI, Presidente di Aeranti e coordinatore di Aeranti-Corallo. Ringrazio i presidenti Adornato e Romani per avere convocato questa audizione, che riteniamo importante al fine di poter approfondire le varie problematiche dal punto di vista degli operatori. Comunico che il presidente di Corallo, Bardelli, si scusa per non essere potuto intervenire, a causa di un impedimento improvviso di carattere familiare.
in una giornata media, contiamo 11 milioni 677 mila ascoltatori e, nei sette giorni, 37 milioni.
televisive e radiofoniche, di differenziare la pubblicità (di operare, cioè, il cosiddetto splittaggio) tra le varie aree servite, riservando, in pratica, all'emittenza locale l'esclusiva della pubblicità e della diffusione dei programmi dati a livello locale. Questi ultimi diventeranno molto importanti, come valore aggiunto delle trasmissioni, nell'ambito della futura tecnologia digitale.
venga ribadito il modello territoriale attualmente previsto dalla legge per l'emittenza locale (quattro regioni al nord, 5 al centro e al sud purché contigue e fino ad un massimo di 15 milioni di abitanti).
SERGIO NATUCCI, Segretario generale di Radio nazionali associate-RNA. La nostra associazione, diversamente dalle altre, rappresenta solo il settore radiofonico nazionale.
religiosi, commerciali classici, di informazione, di intrattenimento) ed un ripetitore di programmi esteri: si tratta delle radio nazionali del nostro paese, che formano un patrimonio abbastanza importante. Esso offre servizi a circa 32 milioni di ascoltatori, secondo la stima dell'indagine Audiradio, occupa 1800 addetti alla sola radiofonia nazionale, con un fatturato di 150 milioni di euro: un piccolo comparto, certamente non paragonabile a quello televisivo, ma comunque rilevante.
ineluttabile e non particolarmente gradito), ritengono di non avere altra possibilità, perché se la radio rimanesse l'unico mezzo di comunicazione ad usare la tecnica analogica, morirebbe, lasciando il campo a prodotti radiofonici su altre piattaforme: accettiamo, dunque, la sfida e la possibilità di convergere con altri linguaggi su reti digitali radiofoniche, ma vogliamo mantenere, durante la transizione, i connotati del sistema. Chiediamo che sia definitivamente chiarito (come in parte nella legge n. 249 del 1997 e nella legge n. 66 del 2001) il diritto degli attuali concessionari nazionali e locali a diffondere i propri programmi in ambito digitale, perché in caso contrario si cancellerebbe quanto è stato con tanta fatica costruito in circa 26 anni di attività. Accettiamo anche il cambio delle regole sul numero delle eventuali concessioni, ma in un quadro che consenta la correttezza delle regole e non la costruzione surrettizia di sistemi nazionali.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre domande e formulare osservazioni.
CARLO ROGNONI. Vorrei porre una domanda, che rivolgerò a tutti i nostri ospiti: considerate realistico che nel 2006 si compia il passaggio definitivo al sistema digitale, con la scomparsa di quello analogico?
PAOLO ROMANI. Penso che simili audizioni (lo dico agli amici delle associazioni presenti) servano non tanto ad individuare gli articoli o i commi delle diverse proposte di legge all'esame del Parlamento da emendare, quanto a definire alcune categorie di principio che possano meglio orientare il Parlamento sul complesso della legge di sistema. Abbiamo forse una occasione unica (mancando ancora circa i quattro quinti della legislatura) per varare finalmente una legge di sistema.
possano essere d'accordo sul principio di fondo) sta sostanzialmente nel tentativo di difendere quello che complessivamente è inteso come un segmento più debole della comunicazione. Abbiamo già assistito in questi anni ad alcune esplosioni di bolle speculative (vedi il mondo Internet), che poi si sono rivelate per quello che erano. Quindi non si dovrebbe e non si vorrebbe fare lo stesso errore. Ora, è ovvio che, rispetto alla precarietà del sistema della televisione a pagamento, esiste anche un problema di precarietà del sistema televisivo e radiofonico locale o nazionale (esclusi ovviamente i network pubblici o privati), che comunque ha avuto - grazie anche alla frammentarietà del settore e della legislazione - una vita verosimilmente difficile.
GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Avanzo due sintetiche richieste di chiarimenti. Mi sembra che Aeranti-Corallo richieda l'emanazione di norme che favoriscano l'accesso da parte delle emittenti locali a produzioni di qualità, soprattutto nel comparto televisivo. Potete chiarirmi che tipo di norme potreste auspicare in questo senso? La mia seconda richiesta si indirizza a FRT riguardo all'ipotesi di territorializzazione di una rete RAI. Ho letto quanto da voi scritto e mi chiedo se non pensiate che comunque il patrimonio acquisito in questi anni dall'emittenza radiotelevisiva locale, in termini di flessibilità e di capacità di risposta immediata, sia comunque una salvaguardia anche rispetto all'ipotesi di cui si parla.
GIORGIO PANATTONI. Confesso di non aver capito bene l'osservazione del presidente Romani. Noi riteniamo che una legge di sistema debba essere tale. Un sistema non deve discriminare tra parti forti e deboli, perché altrimenti sarebbe un sistema deviato, polarizzato.
PAOLO ROMANI. Forse, non mi sono spiegato bene, collega Panattoni.
GIORGIO PANATTONI. È probabile. La mia non è una polemica, ma soltanto l'espressione di una esigenza di chiarimento, visto che abbiamo l'obiettivo comune di fare una legge di sistema, che renda ugualmente ed equamente più forti tutti i soggetti operanti dentro il sistema. Questo mi pare che sia l'obiettivo che noi vogliamo perseguire: un sistema semplice da usare, che faccia salvi i diritti di tutti.
sia estranea a questo tavolo, perlomeno stando ai discorsi che si stanno facendo), vorrei fare alcune domande. Per quanto riguarda le risorse occorrenti per il passaggio al digitale, voglio riprendere una corretta osservazione fatta dal presidente Romani. Anch'io sono molto interessato a capire quale sia la condizione di ingresso per il passaggio al digitale da parte delle televisione locali. Mi è parso di cogliere una contraddittorietà di indicazioni. Oggi sono emerse due linee sostanzialmente opposte: qualcuno punta ad un aumento dimensionale come carta d'ingresso; qualcun altro sostiene che vada mantenuta la dimensione esistente, e che si necessiti di un qualche cosa d'altro, ma non ho capito bene di cosa si tratti. Desidero capire quale sia l'atteggiamento nei confronti dei sussidi. Non vorrei dimenticare che nel disegno di legge governativo il passaggio al digitale viene molto pilotato, attraverso strumenti pubblici e, quindi, in qualche maniera chiaramente indirizzato in modo preferenziale (per una serie di motivi, sui quali avremo modo di tornare e discutere). Comunque, per quanto riguarda il problema specifico, vorrei capire quale sia la barriera di ingresso che in qualche modo dobbiamo cercare di superare perché il passaggio al digitale avvenga in forma adeguata.
PAOLO GENTILONI SILVERI. Voglio anch'io confermare la sensazione, che ha spesso anche Natucci, di una scarsa o comunque non adeguata considerazione del settore della radio, per chiedere proprio a lui un chiarimento basilare. Ho ben chiaro il percorso della televisione verso il digitale ( le sue implicazioni in termini finanziari e i vantaggi per l'utente finale), ma non altrettanto posso dire per la radio. Nel documento di Aeranti viene addirittura dato per problematico il fatto che il comparto radiofonico possa avere una transizione verso il digitale. Oltre a chiedere al segretario Natucci una valutazione in merito, mi interessa capire alla radice che cosa possa succedere, ad esempio, con riferimento alla moltiplicazione dei canali, che non mi pare riguardi il comparto radiofonico. Quanto all'utente finale, il collega Rognoni ha parlato di costi rilevanti. Qual è la dinamica che dovrebbe consentire questa transizione, dal punto di vista dell'offerta e della domanda?
PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi per le domande formulate e invito gli auditi a formulare brevi risposte, scusandomi per il poco tempo che resta a nostra disposizione.
SERGIO NATUCCI, Segretario generale di Radio nazionali associate-RNA. Per quanto riguarda la transizione verso il sistema digitale radiofonico, ovviamente si tratta di un settore piccolo che muove una modesta massa finanziaria. Perciò, le transizioni e i passaggi sono sempre molto complicati. Anche se la tecnologia e lo standard DAB sono stati definiti nel 1989 e definitivamente approvati e standardizzati nel 1995, i tempi di implementazione del servizio sono difficili da prevedere e legati alla disponibilità di frequenze che, come ricordavo, sono diverse da quelle tradizionali. In alcuni paesi europei la sperimentazione è molto avanzata, come nel Regno Unito, in cui sia l'operatore pubblico sia i privati collaborano e portano decisamente avanti tale implementazione, o è discreta, come in Germania, in Belgio, in Olanda. In altri paesi, come la Spagna, presenta alcuni problemi. Dipende molto dalla disponibilità delle frequenze.
per il servizio nazionale (ma bisognerà capire come saranno eventualmente utilizzati dalla RAI) e 11 blocchi - se ricordo bene - per quanto riguarda la banda L, per altri tipi di emittenza. Il costo degli apparati, sul nostro mercato, è un po' come il gioco dell'uovo e della gallina: se ci sarà il servizio si venderanno gli apparati a prezzi accettabili ma se non ci sarà il servizio, ovviamente, non ci sarà mercato. Gli unici riferimenti possibili sono quelli ad altri mercati anche perché, una volta che si aprirà il nostro, immaginiamo che i prezzi saranno più o meno gli stessi. Infatti, non ci sono più produttori nazionali e tutti questi apparati provengono, comunque, dal mercato europeo. A Londra è possibile acquistare un apparecchio radio DAB portatile, da utilizzare in casa, a 99 sterline e apparati hi-fi ad un prezzo oscillante tra i 200 e i 300 euro, per giungere a prezzi più alti se si richiedono qualità particolarmente sofisticate. Per quanto riguarda le autoradio, che non necessitano ormai più di scatole aggiuntive per la decodifica, se non per i modelli più vecchi, il prezzo è abbastanza simile a quello dei prodotti di massima qualità con tecnica analogica, vale a dire intorno ai 300 o 400 euro.
MARCO ROSSIGNOLI, Presidente di Aeranti e coordinatore di Aeranti-Corallo. Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Rognoni, relativa alla data del 2006, prevista dal disegno di legge per quanto riguarda il comparto televisivo, credo che al momento sia una scadenza impossibile da rispettare in quanto il termine era già molto stretto se riferito ai tempi previsti dalla legge n. 66 del 2001. Considerato che la sperimentazione televisiva, ad oggi, sostanzialmente non si è iniziata e che non è minimamente iniziata la fase di transizione,
di migrazione degli impianti dal sistema televisivo analogico al sistema televisivo digitale, che dovrà funzionare sugli stessi canali di trasmissione, è evidente che ci sarà uno slittamento del termine del 2006.
di copertura finanziaria perché previsti da una legge entrata in vigore successivamente. In pratica, le televisioni locali usufruiranno complessivamente di circa 100-120 miliardi e le stime basate sui dati dei fornitori quest'anno dovrebbero essere di circa 60 miliardi di lire.
GIORGIO PANATTONI. La domanda era quali risorse e da chi.
MARCO ROSSIGNOLI, Presidente di Aeranti e coordinatore di Aeranti-Corallo. Le risorse devono essere innanzitutto per un settore e non per qualche progetto dello stesso, perché l'obiettivo non deve essere quello di far scomparire un settore oppure, come qualcuno ha ipotizzato, viste le poche risorse, di chiudere i tre quarti delle emittenti locali in modo da dividerle tra un minor numero di soggetti. Il problema, invece, è far crescere le risorse, ma ciò si può ottenere soltanto svincolando il sistema dalla logica duopolistica che ha caratterizzato tutto il comparto radiotelevisivo in questi anni. Il passaggio al digitale può rappresentare questa opportunità ma, al contrario, anche la possibilità di affermare un duopolio ancora più rigido, cioè a fianco di quello delle risorse pubblicitarie un altro delle risorse tecniche, con il controllo di tutti i canali di trasmissione.
FILIPPO REBECCHINI, Presidente della FRT. La domanda dell'onorevole Rognoni sul costo della trasformazione in digitale non è affatto semplice e, a tal riguardo, vi sono diverse correnti di pensiero. Infatti, le piccole emittenti, dovendo trasformare pochi impianti, posso spendere molto meno ma per una media emittente regionale si parla di circa 5 miliardi di lire.
Stato che giungono sino all'80 per cento del totale, con una legge che regola questo aspetto fino al 2002; in ragione di circa 2 milioni 500 mila euro per circa 150 emittenti locali, la somma stimata per poter trasformare 150 emittenti medio-grandi, ammonta a circa 75 milioni di euro.
MAURIZIO GIUNTO, Presidente dell'Associazione TV locali della FRT. Vorrei brevemente rispondere al quesito avanzato dal onorevole Rognoni, che solleva una questione molto importante. Il presidente Rebecchini ha sintetizzato molto bene la problematica: si pensa che l'ipotesi di switch off del regime di simul cast fissata al 2006 risolva i problemi perché le attuali frequenze analogiche delle televisioni locali verranno convertite in digitale. In realtà, però, non è così, perché il disegno di legge fissa una serie di dati e percentuali che dovranno essere rispettate. Immaginiamo che nel momento in cui i grandi gruppi nazionali come RAI e Mediaset arriveranno al 35 per cento di penetrazione della copertura del segnale digitale, utilizzando il simul cast e trasmettendo contemporaneamente in analogico ed in digitale su apposite frequenze, verranno distribuiti e studiati incentivi per favorire la diffusione dei famosi decoder che l'utente utilizzerà per ricevere. Questo dovrebbe avvenire in meno di un anno, secondo gli obiettivi fissati. Nel 2004-2005, si arriverà a sfiorare una percentuale di penetrazione attorno al 70-80 per cento. A tale proposito, vorrei proporre un paragone un po' ardito: non si può creare e distribuire il CD musicale, raggiungendo l'80 per cento della popolazione, chiedendo alle emittenti locali di trasmettere dischi in vinile; chi ascolterà ancora il disco in vinile, utilizzando il vecchio giradischi? Con il sistema digitale, l'utente che ha il maggiore interesse alla ricezione di televisioni che offrono un prodotto qualitativo superiore, annullerà sostanzialmente la ricezione analogica. Crediamo poco nel famoso switch off del 2006: nel 2010 le televisioni locali non esisteranno più perché perderanno, anno dopo anno, prima il 30, poi un ulteriore 20 per cento degli ascolti, fino a raggiungere il 100 per cento. Ripeto, al momento dello switch off le televisioni private non esisteranno più e le frequenze saranno abbondantemente disponibili.
CARLO ROGNONI. Non sono certo, e dunque vorrei chiedere conferma, del fatto
che si stanno ponendo opzioni su molte frequenze delle televisioni locali.
(Così rimane stabilito).
Sono presenti: per Stream Spa, il dottor Tullio Camiglieri, direttore del settore delle comunicazioni e dei rapporti istituzionali, la dottoressa Carola Lulli, della direzione affari legali e societari, nonché responsabile dell'area istituzionale, e il dottor Alfredo Borgia del settore affari istituzionale; per Telepiù, il dottor Giancarlo Loquenzi, direttore delle relazioni istituzionali e l'avvocato Barbara Bettelli, responsabile del settore affari istituzionali.
Do la parola ai rappresentanti di Telepiù e Stream.
Prima di entrare nel merito delle nostre scarne osservazioni, che peraltro potete rilevare anche dalla memoria che vi è stata distribuita in copia, vorrei fare una premessa. Come forse sapete, la società Telepiù è stata recentemente venduta. I nostri azionisti (il gruppo Vivendi Universal), infatti, hanno ceduto Telepiù Italia. Il contratto di vendita in questo momento è sub judice presso l'Autorità antitrust di Bruxelles. Credo di poter dire che ci aspettiamo un giudizio favorevole rispetto all'ipotesi di vendita. Quindi, in questo momento il management e gli azionisti di Telepiù vivono secondo una prospettiva strategica piuttosto circoscritta: i poteri che ci competono sono limitati al fine di poter esprimere un parere su un disegno di legge che, al momento della sua applicazione, vedrà un quadro del settore delle televisioni a pagamento del tutto cambiato. Da parte nostra - o tanto meno da parte del gruppo che sta per acquistare Telepiù - non è possibile assumere impegni che potrebbero non vederci protagonisti al momento della loro applicazione. Le nostre valutazioni sono quindi, per così dire, di tipo sincronico, cioè fatte con riferimento all'odierna situazione di Telepiù e all'attuale testo di legge che ci è stato chiesto di valutare.
Fatta questa doverosa premessa, possiamo sicuramente dire che il nostro giudizio in merito al disegno di legge è ampiamente favorevole. Abbiamo avuto la netta impressione che per la prima volta si legiferi nel settore guardando avanti, cioè
Assolutamente apprezzabile ci è parso il nuovo spirito che anima il testo della legge. Esso prende in considerazione l'idea che uno dei limiti principali della legislazione precedente, cioè quello della scarsità delle frequenze, che costringeva ad un atteggiamento normativo più severo e sorvegliato, in prospettiva verrà in qualche modo rimosso. Abbiamo l'impressione che il principio fondamentale a cui una riforma di tale portata deve attenersi, quello del pluralismo, in qualche modo si sposti di campo: non è più tutelato attraverso una serie di vincoli o limitazioni, ma si cerca di farlo vivere sul terreno della concorrenza. Essendoci in prospettiva risorse molto più ampie, il pluralismo - che è un po' la stella polare del legislatore e degli operatori - può vivere e svilupparsi non grazie ad incasellamenti, ma in virtù del libero dispiegarsi della concorrenza, che in questi casi è spesso più efficiente di una iper regolamentazione.
L'impostazione legislativa è quindi certamente interessante e teniamo a sottolinearlo. Trattandosi però di una legge di sistema, che non si occupa di entrare nei singoli dettagli del vasto mondo delle comunicazioni, è evidente che, per quanto ci concerne (fatta salva la premessa iniziale), le parti che riguardano direttamente le attività di una televisione a pagamento sono limitate, anche se di sicuro interesse. Uno degli elementi che abbiamo subito notato come molto vicino alla fase che Telepiù sta vivendo è quello di cui alla previsione dell'articolo 21, comma 3. Si tratta di un mutamento rispetto alla legge n. 66 della 2001 relativo al modo con cui verrà gestita la compravendita delle frequenze in ordine all'incoraggiamento e allo sviluppo della sperimentazione del digitale terrestre. La legge n. 66 poneva dei vincoli abbastanza stretti: gli operatori nazionali potevano vendere le loro frequenze soltanto a quelli locali e si prevedeva una serie di incroci che non erano possibili. Il disegno di legge Gasparri consente invece anche un rapporto diretto tra operatori nazionali.
Come sapete, la sentenza dell'Autorità antitrust italiana, che nel luglio scorso dava il via libera a Telepiù (all'epoca le parti erano ribaltate) per l'acquisto di Stream, poneva, tra le altre, la condizione (che riteniamo plausibile venga posta anche dalle autorità europee) di vendere immediatamente le nostre frequenze terrestri, con l'implicita affermazione che, costituendosi in qualche modo un monopolio nel settore satellitare, non ci sarebbe stato consentito di operare nel digitale terrestre. Quando ci fu posto l'obbligo di vendere le nostre frequenze, ci venne fatta anche la paradossale osservazione che era impossibile per noi alienare le frequenze in maniera rapida, senza svenderle, in quanto una serie di norme contrastanti rendevano difficile tale passaggio. Ci sembra di poter affermare che se, nel quadro previsto dal disegno di legge, Telepiù dovesse essere posta nuovamente nella condizione di liberarsi delle sue frequenze terrestri, questa volta ciò risulterebbe più facile, più equo, più lineare, più diretto e, in definitiva, più semplice. La legge libera alcune possibilità ma ne mantiene vincolate delle altre: è vero che ci può essere trading di frequenze tra operatori nazionali ma nessuno può acquistare frequenze se già non eserciti legittimamente l'attività radiotelevisiva. Questo ci sembra un limite che permane e che, a nostro avviso, non corrisponde alla ratio del disegno di legge di incoraggiare il più possibile la concorrenza e di accelerare il più possibile lo sviluppo delle trasmissioni digitali. Infatti, ci domandiamo per quale ragione un operatore, che attualmente non eserciti legittimamente l'attività radiotelevisiva, non possa essere nelle condizioni di investire, di rischiare, di acquistare frequenze e di cominciare questa nuova avventura nel mondo delle trasmissioni con il sistema digitale. Questa è un'osservazione che ci sembrava utile sottoporre all'attenzione delle Commissioni.
Un altro aspetto che vorrei evidenziare è quello relativo alla sorte di Telepiù nero. Come sapete, la sorte delle frequenze terrestri di questa emittente è collegata ad una vicenda complessa che coinvolge anche Rete 4. In base alle disposizioni della cosiddetta legge Maccanico - peraltro, in questo momento, è pendente un giudizio dinanzi alla Corte costituzionale, che complica ulteriormente il quadro - l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è competente a stabilire quale sia il momento in cui le frequenze terrestri di Telepiù nero dovranno essere trasferite sul satellite. Invece, abbiamo notato che le disposizioni del disegno di legge in esame sanano, in qualche modo, la posizione della nostra emittente in maniera abbastanza radicale. Anche questo elemento rassicura la nostra posizione e la rende più stabile sul mercato: nel caso in cui la legge fosse approvata, non avremmo più davanti a noi, a breve termine, la necessità di chiudere le frequenze terrestri e di sospendere il servizio analogico, con le conseguenze che ciò comporterebbe. Ci sembra opportuno (eviterò di scendere nel dettaglio di questo problema, già rilevato nella documentazione che abbiamo consegnato a alle Commissioni), per maggiore chiarezza, che la cosiddetta legge Maccanico sia modificata ulteriormente, abrogando anche il comma 11 dell'articolo 3, affinché tutto ciò sia ancora più chiaro ed esente da dubbi.
Questi sono i profili che più ci riguardano e che ci sembrano degni di maggiore interesse. Alcuni elementi del disegno di legge in esame, invece, ci hanno instillato qualche dubbio e non ci sembrano chiari. Ad esempio, all'articolo 4, si afferma che a tutela degli utenti debba essere garantita la diffusione di un congruo numero di programmi radiotelevisivi nazionali e locali in chiaro, ponendo limiti alla capacità trasmissiva destinata ai programmi criptati. Il senso di questa disposizione non è chiaro e ci sembra molto generico: non si comprende se riguardi l'intero sistema, né per quale motivo si debbano imporre limiti ai programmi criptati, tanto più che il satellite, ab origine, costituisce un sistema di diffusione per il quale non si è mai registrata una scarsità di risorse. Non comprendiamo inoltre come mai una emittente televisiva finanziata dagli abbonamenti dei suoi sottoscrittori debba ricevere un trattamento diverso rispetto ad un'altra che è finanziata dal canone o dalla pubblicità; anzi, è probabile che per le trasmissioni via satellite si verificherà una situazione tale per cui le trasmissioni criptate diventeranno preponderanti rispetto a quelle «in chiaro», ma non capiamo quale danno ciò possa provocare al pluralismo ed alla concorrenza. Avvertiamo l'esigenza di un chiarimento su questo tema e di una riformulazione che consenta di comprendere quale sia il senso di tale disposizione.
Un'altra norma che ci lascia perplessi è quella relativa al diritto al collegamento, contenuta nell'articolo 5, comma 1, lettera g). Tale disposizione garantisce il «diritto di tutti i fornitori di contenuti radiotelevisivi di effettuare collegamenti in diretta e di trasmettere dati ed informazioni all'utenza sulle stesse frequenze assegnate». Anche in questo caso è difficile capire che cosa si intenda con questa disposizione perché, se non si tratta del diritto di cronaca, altrimenti stabilito, se non si tratta della possibilità di trasmettere dati sulla stessa frequenza sulla quale si trasmettono i programmi e si tratta, invece, di qualcosa che rischia di ledere il diritto alle esclusive, ciò potrebbe danneggiare gravemente l'attività degli operatori di emittenti televisive a pagamento, perché si svuoterebbe il valore dei diritti e si distorcerebbe la concorrenza. Queste poche righe dell'articolato, insomma, sono dense di rischi per la nostra attività e dovrebbero essere, in qualche modo, chiarite e riformulate.
Vi è un altro punto che ci sta particolarmente a cuore: quello della tutela della produzione culturale europea. Mi riferisco all'articolo 8 del disegno di legge in esame, nel quale non risulta chiarissima - e vorremmo, invece, che lo fosse - la norma secondo la quale limiti specifici sono previsti per le trasmissioni di programmi via cavo e via satellite. Avremmo
Un altra norma che non è chiarissima e che vorremmo segnalarvi è quella relativa alla attività del fornitore di servizi, definito fornitore di servizi interattivi associati e di servizi di accesso condizionato. Questa attività, secondo il disegno di legge, è soggetta al regime autorizzatorio. Anche se nel testo del provvedimento non è ben definito chi sia e come operi il fornitore di servizi associati (ad esempio, non è chiaro se anche l'approntamento dell'e.p.g., la guida elettronica dei programmi, rientri o meno tra questi servizi), riteniamo che la previsione di un regime autorizzatorio per la fornitura di questi servizi sia in contrasto con la normativa comunitaria secondo la quale, invece, per questo tipo di servizi non è richiesta alcuna autorizzazione.
In conclusione, vorrei formulare una osservazione più generale, che si riallaccia alla premessa delle nostre riflessioni su questo disegno di legge, relativa al modo in cui il sistema radiotelevisivo, e il pluralismo che lo deve informare, debba vivere, secondo l'ispirazione di questo provvedimento, attraverso il libero gioco della concorrenza. Il dibattito per l'approvazione del disegno di legge ci sembra l'occasione opportuna per sollevare un problema che molti operatori fronteggiano e di cui siete assolutamente consapevoli e, cioè, che in questo settore le competenze dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato spesso si sovrappongono, sottoponendo gli operatori a doppi scrutini e ad una fondamentale incertezza nella loro attività e delle regole cui sono sottoposti. Questa ci sembra l'occasione per chiarire meglio l'attività dell'antitrust che, in questo caso, secondo noi, dovrebbe prevalere nel sorvegliare, tutelare e garantire il libero sviluppo della concorrenza e nell'evitare la costituzione di posizioni dominanti. Invece, dovrebbe spettare all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni lo scrutinio più diretto sul superamento delle quote e sul superamento delle risorse, evitando di lasciare anche a quest'ultima autorità una strumentazione come quella della verifica delle posizioni dominanti e della garanzia della concorrenza, più propria dell'autorità antitrust. In numerose occasioni, questa doppia competenza, non del tutto chiarita, ha provocato difficoltà agli operatori e alle stesse Autorità.
In estrema sintesi, ho illustrato quanto volevamo segnalare all'attenzione di queste Commissioni. Siamo disponibili per eventuali ulteriori chiarimenti.
Quindi, se questo mercato comincia ad essere maturo, sarà necessario prenderlo in considerazione con un atteggiamento diverso rispetto a quello tenuto per la televisione terrestre e, in particolare, mi riferisco alla lettera f) del comma 1 dell'articolo 5, nella quale si parla di separazione fra produttori di contenuti, distributori tecnici e distributori di contenuti. Il decoder è un qualcosa di strettamente connesso alla distribuzione dei contenuti perché significa innanzitutto sviluppo di servizi interattivi avanzati. Grazie alla collaborazione con IntesaBci e con altre importanti banche italiane, oggi gli abbonati di Stream hanno la possibilità di effettuare sul proprio decoder di casa operazioni bancarie estremamente delicate, come bonifici ed estratti conti: naturalmente, tutto ciò è stato consentito grazie ad un'evoluzione di servizi molto avanzati e sicuri, perché parliamo di transazioni economiche su soldi degli abbonati.
Quindi, lo stretto legame tra tecnologia e contenuti in un settore di questo tipo è molto importante perché è legato alla possibilità di sviluppare servizi in termini di interattività molto avanzati (in questi mesi abbiamo discusso con vari enti locali e con varie amministrazioni pubbliche interessate a sviluppare sul decoder una serie di servizi): tutto ciò evidenzia la specificità del mercato digitale satellitare. Inoltre, non possiamo scindere la fase della distribuzione dei contenuti, della distribuzione tecnica e della produzione di contenuti proprio perché in Italia tale mercato si è sviluppato in questo modo e perché sussidiare i decoder - quindi, concedere gratuitamente il loro noleggio - ha consentito tale espansione; con ciò intendo evidenziare l'unicità di questi tre momenti perché il controllo di tutta la filiera permetterà di dare un'assistenza maggiore e più adeguata all'utente finale.
A nostro avviso, un aspetto importante del disegno di legge in esame è contenuto all'articolo 4, comma 1, lettera f), dove si parla dei limiti alle capacità trasmissive dei canali criptati. Per quali motivi dovremmo per legge limitare la capacità trasmissiva del mercato satellitare - lo capirei se parlassimo di terrestre - e, quindi, la possibilità che domani un consorzio di aziende italiane possa decidere di inviare uno o più satelliti nuovi che possano avere contenuti italiani?
All'articolo 8 si parla di limiti specifici previsti per la trasmissione di programmi via satellite: anche in questo caso, vorremmo capire meglio il significato di tali limitazioni. Inoltre, cosa vuol dire che l'attività di informazione radiotelevisiva rappresenta un servizio pubblico? Esistono già una serie di leggi che regolano, sia per gli aspetti penali sia per quelli civili, il mondo della stampa e dell'informazione e, quindi, non si capisce se ciò determinerà una riduzione o un aumento degli spazi e delle possibilità dell'attività di impresa.
Infine, all'articolo 4, comma 1, lettera b), è a nostro avviso fondamentale che resti la deroga per la programmazione criptata di programmi per adulti, anche perché tali trasmissioni esistono in tutto il mondo, se non su piattaforme italiane su quelle straniere, e sono ricevibili in qualunque luogo d'Italia: quindi, è vostra responsabilità stabilire se l'utente italiano debba abbonarsi a piattaforme straniere o italiane. Concludendo, vi invito a riflettere sull'unicità e sulla specificità del mercato satellitare, cioè sulla necessità di considerare la produzione dei contenuti, la distribuzione, la produzione dei decoder e delle infrastrutture tecnologiche come un unico elemento che è stato fondamentale nello sviluppo del mercato e che lo sarà ancora di più in quello successivo.
Vorrei chiedere ai nostri ospiti se considerano realistico lo switch off al 2006. Si tratta di un punto dirimente, perché il disegno di legge è impostato sulla transizione alle nuove tecnologie; il termine del 2006 è molto ravvicinato, ma è chiaro che l'orizzonte cambierà completamente se tale termine non sarà rispettato.
Sul tema delle frequenze, mi rendo conto, per così dire, dell'imbarazzo aziendale causato dall'arrivo di nuovi manager, che non si sa bene cosa faranno. Era stato assunto l'impegno di vendere le frequenze in tecnica analogica: vorrei domandare che cosa rappresenta oggi tale tecnica in termini di numero di clienti, se si tratti di un costo più che di un profitto e quali siano le modalità di vendita delle frequenze stesse. I rappresentanti di Telepiù e Stream hanno giustamente sottolineato la parte che li riguarda, molto interessante, contenuta nel disegno di legge, dalla quale si potrebbe capire che la vendita è consentita tra emittenti nazionali, mentre oggi non lo è; il disegno di legge verrà approvato nel futuro e se qualcuno volesse vendere le frequenze forse dovrà attenderne l'approvazione. Una sentenza della Corte costituzionale, di cui siamo tutti in attesa, potrebbe decidere che Retequattro e Telepiù debbano essere collocate sul satellite, chiudendo la parte analogica e restituendo le frequenze. Cosa vi fa pensare che potrete venderle e non restituirle?
Chiedo ai rappresentanti di Telepiù e Stream se riescono ad immaginare l'evoluzione del sistema. Con i meccanismi di filtro e di blocco della pirateria, che le stesse aziende hanno inventato ed attivato, riuscite ad immaginare, avendo un break even ancora molto lontano, un'evoluzione, anche quantitativa, del mercato complessivo? Riuscite cioè a comprendere quanti italiani riceveranno in maniera regolare l'emissione via satellite?
Come è noto, il disegno di legge finanziaria, prevede contributi per la diffusione del decoder; poiché il settore che rappresentate è in generale difficoltà, pensate - mi collego alla domanda dell'onorevole Rognoni sul tema dello switch off del 2006 - che esista una qualche misura che il legislatore possa immaginare affinché il passaggio della comunicazione da una fase largamente passiva ad una attiva, avvenga nel più breve tempo possibile e senza passare attraverso il contributo assistenziale che, immagino, non vi possa e non vi debba interessare? Mi riferisco ad esempio, ad un maggiore rigore nel perseguire la pirateria. Questo potrebbe essere il veicolo per giungere più velocemente alla «sistemazione» della televisione a pagamento.
Inoltre, possiamo parlare a lungo dei programmi per adulti, citati dal dottor Camiglieri, ma poiché il mercato appartiene per il 50 per cento ai programmi per adulti (anche rispetto al mercato delle videocassette), questo determina la scelta di fondo: sarebbe stupido proibirlo per il mercato italiano, mentre è consentito nel mercato straniero.
Il collega Rognoni chiedeva una valutazione circa l'attendibilità della previsione della legge n. 66 del 2001 sul passaggio al sistema digitale terrestre; in che modo il verificarsi o meno di questa previsione potrà incidere sull'esigenza emersa nelle relazioni introduttive (forse esplicitata maggiormente in quella del dottor Camiglieri) di non mischiare i settori - contigui ma che non presentano le stesse caratteristiche - del satellitare e del digitale terrestre? In uno scenario nel quale lo switch off non avvenisse nei tempi previsti dalla legge n. 66 - quindi alla fine del 2006 - , in che termini l'approvazione di un disegno di legge di questo genere potrebbe creare difficoltà, dal momento che non tiene conto della differenza tra essi?
Il disegno di legge non prevede il sistema di misurazione degli ascolti, che ritengo costituisca uno degli elementi interessanti relativi a tale settore. In quale modo il legislatore potrà venire incontro all'esigenza di maggiore certezza circa la presenza dei satelliti? Ad esempio, era stato suggerito lo strumento del censimento, che potrebbe costituire un'occasione (anche se da questo punto di vista abbiamo perso il decennio) per ottenere maggiori certezze sulla penetrazione satellitare. È ovvio che queste certezze hanno dei risvolti in termini di business. Si può fare qualcosa, oltre ad attendere il censimento del 2011, per avere maggiori certezze circa la penetrazione del satellite?
Da alcune considerazioni svolte questa mattina, ritengo che si possa affermare che tutta una serie di indicazioni contenute nel disegno di legge sarebbero estremamente vaghe e, perciò, bisognose di una formulazione più chiara.
La seconda osservazione, invece, voglio riferirla ai livelli di integrazione tra tecnologia, servizi, contenuti e distribuzione. Mentre mi è chiarissima la questione della distribuzione, personalmente non ho chiara - anzi non la condivido - l'integrazione tra tecnologia e contenuto. Sono due questioni completamente diverse: basti pensare all'industria del computer. Siccome un decoder per svolgere la sua funzione diventa un computer, non capisco cosa significhi integrazione sotto questo profilo. Perciò chiedo - in particolare ai rappresentanti di Stream che hanno sollevato il punto - di fornire chiarimenti al riguardo. Da un punto di vista commerciale, posso apprezzare il problema; dal punto di vista, invece, della normativa di riferimento, mi sfugge quale sia il contenuto reale dell'affermazione qui fatta, che, a mio avviso, non trova riscontro negli standard dell'odierna industria mondiale, anche in base ai criteri di specializzazione delle imprese.
La mia seconda domanda concerne soprattutto Telepiù. Nelle vostre lunghe traversie, che conosciamo (e il presidente Romani ricordava le difficoltà a raggiungere i valori di mercato), avete trascinato in Telepiù RAI-SAT. Mi pare che anche di questo dovremmo parlare. Perciò, in fin dei conti, vorrei sapere come la nascita di questo polo si rifletta su un valore che, da parte della azienda di Stato, comunque vi è stato conferito nel passato.
In proposito, se lo permettete, vorrei assumere un ruolo un po' provocatorio. Ci viene chiesto che tipo di atteggiamento il legislatore debba assumere rispetto al settore della televisione. Ebbene, dico innanzitutto che abbiamo invocato per molto tempo una legge di tutela contro la pirateria. Oggi vi è un provvedimento che ha superato il vaglio delle Commissioni parlamentari ed attendiamo con ansia che venga calendarizzato alla Camera. Perciò vi chiediamo un supporto vero, affinché il provvedimento venga calendarizzato. Vi sono dei casi che francamente si commentano da soli: mi riferisco a quanto verificatosi pochi mesi fa, dopo che in un magazzino sono state recuperate migliaia di carte pirata. Il giudice competente ha dovuto archiviare il caso, perché non si trattava di reato penale ma di un illecito amministrativo. Quindi ci troviamo di fronte anche alla impossibilità da parte delle forze di polizia di potere svolgere un'azione di contrasto vera a tale fenomeno. Naturalmente non diciamo che il reato penale debba essere introdotto per punire chi possieda una carta pirata in casa; saremmo davvero velleitari, se lo facessimo. Tuttavia che l'attività di produzione e smercio di carte pirata debba essere ricondotta a fattispecie penali ci sembra importante, soprattutto al fine di potere offrire uno strumento valido all'azione di contrasto delle forze dell'ordine.
Sul tema della programmazione per adulti, vorrei essere estremamente chiaro. L'offerta per adulti esiste in qualunque paese del mondo ed essa è ricevibile da qualunque decoder italiano: il tutto significa semplicemente abbonarsi ad un operatore straniero. Anche in proposito, voglio essere provocatorio: con un emendamento presentato al disegno di legge finanziaria genericamente si chiedeva l'introduzione di una tassa etica sulla pornografia. Non ho nulla da eccepire sul concetto, salvo forse rilevare che, se la tassazione è del 25 per cento, si sposta il mercato nell'ambito della clandestinità. Se questa è solo una mia valutazione personale, risponde invece ad una esigenza oggettiva salvaguardare il settore delle pay-tv, che da ciò ricava una parte, sia pur minima, dei propri ricavi. Da anni veniamo sollecitati dai Governi (di diverso orientamento) a salvare il calcio, la serie A, la serie B: lo abbiamo fatto ed i nostri bilanci hanno rischiato di essere fortemente messi in crisi a seguito delle somme sborsate alle squadre di calcio. I Governi ci hanno sollecitato - e noi lo abbiamo fatto - perché in questo paese il calcio è un fatto sociale di fondamentale importanza. Quello che ora chiediamo è di non essere penalizzati in quell'unica parte che produce ricavi per questo settore. Ci rimettiamo alle vostre decisioni, ma certo è
L'onorevole Rognoni chiedeva chiarimenti sui decoder, soprattutto in rapporto al digitale terrestre. In questo caso, bisogna innanzitutto intendersi su un concetto molto preciso. Se noi intendiamo il decoder come pura macchina, che trasforma il segnale digitale in analogico e ci consente di vedere le trasmissioni con il sistema digitale tramite il televisore domestico, siamo d'accordo. Se, invece, ci riferiamo ai servizi interattivi, allora dobbiamo parlare di pay-tv. Questo concetto deve essere chiarito. Infatti, i servizi interattivi sono caratterizzati da un elemento fondamentale: il segnale di ritorno. In altri termini, non soltanto io devo poter comunicare con lei ma anche lei deve avere la possibilità di inviarmi il suo segnale, per l'acquisto di un bene, la sottoscrizione di una polizza e così via. Però, io devo sapere che lei, in questo momento, sta inviando a me un segnale di ritorno e questo si può ottenere soltanto con un parco di utenti abbonati, poiché devo essere in grado di capire chi ci sia dall'altra parte.
A parte questo, il problema del sistema di trasmissione digitale terrestre, per quanto ci riguarda, ci trova spettatori. Al più, possiamo avere alcune opinioni in qualità di operatori televisivi, in senso lato. Abbiamo sempre affermato, ed i nostri soci hanno sempre sottolineato, che noi intendiamo operare solo ed esclusivamente nel settore delle trasmissioni con sistema digitale satellitare. Ribadiamo, in questa sede, che da parte dei nostri azionisti non vi è alcuna intenzione di operare nel settore delle trasmissioni terrestri, sia con sistema digitale, sia con sistema analogico. Ci teniamo a precisarlo anche a fronte di questa convinzione, di questa strategia di business. Perciò, le nostre opinioni sul sistema di trasmissione digitale terrestre si qualificano semplicemente come quelle di un qualsiasi cittadino e di un operatore che si occupa di questi problemi.
Per rispondere al deputato Panattoni, che non riusciva a capire per quale motivo ci debba essere questa unicità tra tecnologie e contenuti, vorrei illustrare un esempio molto semplice. Nel caso dell'interattività, con i decoder satellitari evoluti i contenuti si declinano insieme alle tecnologie. Ad esempio, con una piattaforma evoluta come quella di B Sky B, in Inghilterra, si può vedere un canale come Skynews e, contemporaneamente, si può entrare in otto tipi di programmazioni diverse, solo ed unicamente grazie alla possibilità di declinare insieme contenuti e tecnologie di trasmissione. Altrimenti, se questi due sistemi non si integrano, la
Non intendo evadere la risposta sullo switch-off e su quanto è stato chiesto a proposito del sistema di trasmissione digitale terrestre, ma oggi non disponiamo veramente degli elementi per fornire una risposta autorevole su questo terreno. Al di là degli specifici contenuti del cosiddetto disegno di legge Gasparri, ciò che chiedo a queste Commissioni - e vi ringrazio per averci domandato quale tipo di sostegno possa essere offerto a questo settore specifico - è la possibilità di vivere e di sviluppare questo business. Sono perfettamente d'accordo con il presidente Romani, nel senso che noi non cerchiamo sussidi. Vi chiediamo solo di non penalizzarci. Già ci ha penalizzato molto la necessità di sostenere, in questo paese, il calcio. Vorremmo sostenere il cinema.
Abbiamo avuto anche riscontri molto interessanti. Effettivamente, si abbatte la potenza del segnale, con enorme vantaggio sull'inquinamento elettromagnetico della zona, e la compressione dei canali funziona (laddove si poteva vedere un solo canale se ne vedono cinque, con servizi interattivi): esattamente quello che ci si aspetta per il 2006, in alcune zone, noi l'abbiamo già realizzato. Che esito avrà questa sperimentazione non lo sappiamo: innanzitutto, perché dobbiamo vendere le frequenze su cui la stiamo effettuando; in secondo luogo, perché gli azionisti del gruppo che nascerà dalla fusione tra Telepiù e Stream, probabilmente, come hanno già annunciato, dal settore del digitale terrestre intendono stare fuori.
Questo è un esempio di come ciò che mi trovo a riferirvi, in questo momento, sia limitato nel tempo e nella visione strategica. Mi sembra strano, ma ne sono contento, che dinanzi a due interlocutori che rappresentano il sistema di trasmissione digitale satellitare la maggior parte delle domande poste abbiano riguardato il sistema digitale terrestre: è segno che queste Commissioni sono molto attente e giustamente preoccupate della evoluzione del settore anche se, in questa fase, noi siamo destinati ad essere spettatori. Tuttavia,
Quindi, l'amministrazione pubblica potrebbe fare questo investimento, non sussidiando il singolo decoder ma fornendo questi servizi: a Siena abbiamo avviato una piccola sperimentazione via cavo che ha funzionato molto bene perché l'università, le banche, il comune e le istituzioni locali hanno inserito numerosi servizi per i cittadini ed immediatamente gli abbonamenti sono aumentati.
In futuro non sappiamo con quali sistemi si attiveranno le azioni di pirateria e, quindi, è sicuramente necessario trovare gli strumenti per contrastarle: se è difficile far approvare una proposta di legge di iniziativa parlamentare, forse i contenuti della stessa potrebbero essere trasfusi in un emendamento da inserire nel disegno di legge sul diritto d'autore, in modo da introdurre le sanzioni penali mancanti.
Per quanto riguarda la questione degli ascolti, con il censimento si è persa una grandissima occasione perché ci veniva chiesto quanti metri era alto il soffitto del nostro garage ma non se avevamo una parabola, un decoder o un computer. In questo senso, l'Autorità per le comunicazioni ha avviato un'istruttoria per analizzare il sistema dell'Auditel e, in effetti, quando quest'ultimo pensa alla base 100 dell'ascolto, su cui poi realizza i calcoli sullo share, considera in maniera molto marginale l'ammontare complessivo degli spettatori satellitari. Tutto ciò garantisce share intatti, ma cifre assolute che sono in calo perché, effettivamente, sono sempre di più quelli che vedono le trasmissioni in prima serata e ciò non viene considerato: questo è un danno per gli operatori e per i fornitori di contenuti indipendenti che, invece, hanno bisogno di dimostrare agli inserzionisti la loro effettiva potenza di ascolto.
Le domande poste dall'onorevole Carra sono molto interessanti anche se non mi azzardo a trattare la questione del terzo polo. Per quanto riguarda RAI-SAT, la RAI ha interrotto il suo rapporto societario con Telepiù e, quindi, in questo momento RAI-SAT è un editore che fornisce contenuti a Telepiù in forza di un contratto ancora vigente e quest'ultimo, come molti altri, sarà all'esame dei futuri proprietari della società che dovranno decidere se mantenerlo in vita oppure no.
Speriamo che, perlomeno, l'approvazione di questa legge consideri il modo in cui ci sarà consentito di vendere queste frequenze.
Dichiaro conclusa l'audizione.
Do la parola ai nostri ospiti.
Mi limiterò a presentare un quadro generale, soprattutto per quanto riguarda le emittenti locali e le radio, ma i presidenti delle due associazioni avanzeranno proposte e richieste più precise.
Rappresentiamo la quasi totalità degli ascolti delle emittenti televisive private e, per quanto riguarda le locali, riscontriamo un ascolto pari all'80 per cento di tutte le emittenti, sia pure con solo 130 emittenti locali iscritte. Per quanto riguarda la radiofonia, invece, la nostra rappresentatività è pari al 50 per cento del totale delle radio locali, mentre per quanto concerne le nazionali, la RNA le rappresenta quasi tutte, ad eccezione di due, che sono rappresentate da noi.
Tutta l'emittenza locale, 600 emittenti, presenta ricavi per un totale di 600 miliardi di vecchie lire (300 milioni di euro circa), una cifra ridicola. Dal totale di ciò
Con il digitale e con le spese che questo comporta, andiamo incontro a modifiche sostanziali dal punto di vista tecnologico; esiste infatti una difficoltà seria per le emittenti locali a proseguire nella propria attività, se si mantengono i limiti attuali nella capacità sia di raccogliere pubblicità sia di esprimersi solamente in una regione, con un bacino che dà risultati «in sedicesimo» e non ha la possibilità, invece, di espandersi, così come il disegno di legge prevede per le emittenti nazionali.
Se siamo d'accordo e riteniamo veramente giusta la modifica dell'assetto antitrust di tutto il settore, nel senso di assegnare il limite del 20 per cento a tutti i settori dei media, eliminando vari vincoli posti da una serie di leggi, dobbiamo ritenere ancora più corretto eliminare i limiti che bloccano l'emittenza radiofonica e televisiva locale.
Mi resta da sottolineare una questione di carattere procedurale che non dipende da noi e forse neanche dalle Commissioni. Il tema dell'emittenza locale è piuttosto complicato: spesso si è pensato di varare una legge delega per regolamentarla e molti progetti di legge sono stati presentati dalla maggioranza e dall'opposizione, i cui contenuti auspichiamo vengano recepiti dal disegno di legge in esame. Dal mio punto di vista, infatti, tali progetti di legge sarebbero da sottoscrivere al 95 per cento, poiché derivano da un lungo studio sui problemi dell'emittenza locale. Se ciò non fosse possibile sarebbe necessaria una corsia preferenziale per recepire le esigenze dell'emittenza locale, nello stesso tempo, nello stesso modo e, eventualmente, anche prima che venga elaborato l'intero disegno di legge.
Ritengo inutile soffermarmi sull'apprezzamento del disegno di legge e della sua impalcatura che, sostanzialmente, si basa su una modernizzazione del sistema delle comunicazioni, partendo dal presupposto che con l'avvento degli anni 2000 cadano una serie di vincoli posti da inutili norme antitrust che ci renderebbero, nei confronti degli altri partner europei ed internazionali, estremamente deboli.
Senza dubbio, il disegno di legge conferisce ai grandi operatori nazionali la possibilità di espandersi e confrontarsi a livello internazionale, ma avrebbe anche dovuto, a nostro avviso, immaginare, nella sua prima scrittura, identica liberalizzazione per quanto attiene alle norme antitrust, assolutamente anacronistiche, che da anni (dall'avvento della legge n.223 del 1990), legano ed imbavagliano le televisioni locali.
In sostanza, lamentiamo che le televisioni locali siano sempre state nell'impossibilità di crescere per legge. Riteniamo che ciò costituisca un'anomalia non solo se confrontata con i settori economici dell'intero paese, ma anche se confrontata all'interno stesso del settore di cui facciamo parte.
Immaginiamo che un concessionario privato non può, per legge, avere più di una televisione per bacino. Immaginiamo altresì che, sino ad oggi, un concessionario privato non ha avuto la possibilità di crescere e di svilupparsi, perché impossibilitato ad acquistare altre emittenti in bacini diversi, trovandosi così inabilitato a far crescere la propria azienda, cioè ad ottenere risultati, in termini di ascolto nonché economici, radicalmente diversi grazie alla capacità di spalmare costi e investimenti su bacini diversi.
Questo è il primo punto su cui noi riteniamo si debba intervenire: consentire ad un medesimo soggetto di essere titolare di 6 concessioni o autorizzazioni in più bacini anche non limitrofi. Sostanzialmente, noi diciamo che il massimo per bacino debba essere limitato a 3 concessioni
L'altro «cancello» ostativo alla nostra crescita che riteniamo debba essere necessariamente abbattuto è quello che limita l'interconnessione fra le emittenti a 6 ore giornaliere. Senza dubbio non sfugge a nessuno di queste Commissioni che il ruolo delle televisioni locali è quello di informare e di crescere giornalisticamente all'interno del proprio bacino. È altrettanto vero che nella programmazione quotidiana di una televisione locale noi assistiamo ad un massimo di autoproduzione di tipo informativo variante tra le 4 e le 6 ore giornaliere. È evidente che nelle altre 18-20 ore giornaliere i cancelli messi dalla legge sulle spalle dei concessionari hanno impedito alle emittenti locali di produrre programmi di interesse e, quindi, di confrontarsi agevolmente con le televisioni competitrici, che noi individuiamo nelle televisioni nazionali dalle ali più grosse. Il superamento di questo limite sta nel consentire alle emittenti locali una interconnessione per un massimo di 12 ore giornaliere. Riteniamo che ciò apporterà senz'altro un miglioramento qualitativo della programmazione, a seguito della realizzazione di consorzi di acquisto, con conseguenze positive sulla fidelizzazione e sugli ascolti.
Infine, chiediamo di poter trasformare le diverse concessioni televisive, portandole dall'ambito locale ad un'unica concessione in ambito nazionale, utilizzando quindi le frequenze che sono a disposizione di un insieme di concessionari locali. Questa idea trae spunto dal fatto che - con l'avvento del digitale e il conseguente proliferare dell'offerta - vi sarà probabilmente la necessità di creare una televisione di nicchia, una sorta di insieme di televisioni tematiche. Non si vede chi meglio delle attuali reti locali, che già dispongono del necessario know-how, sia in grado di farlo.
Concludo riferendo la nostra contrarietà assolutamente decisa e forte sulla territorializzazione di una rete RAI. In sostanza, la FRT nutre preoccupazioni su tale ipotesi. Peraltro, si tratta di una prospettiva neppure desiderata dalla stessa concessionaria pubblica. Essa è devastante, perché finirebbe con il sottrarre alle emittenti locali un ruolo ed uno spazio che fino ad oggi è stato loro destinato, ai fini del contatto con l'utenza e con il suo territorio. Il disegno di legge, tra l'altro, in più norme contempla la necessità di prevedere una serie di diversi contratti di servizio tra RAI e regioni. A nostro avviso, si tratta di disposizioni inutili, su cui ribadiamo la nostra contrarietà, perché sottrarrebbe tout court la possibilità per le emittenti locali di stipulare o di continuare a stipulare convenzioni con le regioni e gli enti locali.
Per quanto riguarda la proprietà, anche noi siamo d'accordo sulle sei concessioni in bacini anche non contigui. Bisognerà però determinare con esattezza quale sia il bacino radiofonico, perché sino ad oggi nessuna legge lo ha fatto, in quanto non c'è pianificazione nel settore. Il disegno di legge presentato dal Governo in qualche modo indica il bacino di utenza (già individuato dalla legge n.66 del 2001): 5 regioni per il centro-sud, 5 al nord, per un massimo di 15 milioni di abitanti. Partendo da questo presupposto, si può estendere anche al settore radiofonico il principio delle 6 concessioni nell'ambito di bacini anche non contigui.
Per quanto riguarda l'interconnessione, oggi la radiofonia è limitata - dall'articolo 21 della legge Mammì - a sei ore. Tuttavia, di fatto già oggi (non essendo queste sei ore continuative) si fanno 12 ore nella radiofonia. Pertanto riteniamo giusto estendere anche alla radiofonia il principio dell'interconnessione per 12 ore.
Aeranti-Corallo è un organismo, aderente alla Confcommercio, composto da due associazioni di categoria: Aeranti e Corallo. Aeranti rappresenta l'emittenza radiofonica e televisiva di carattere commerciale; Corallo rappresenta l'emittenza radiofonica e televisiva di tipo comunitario che si ispira ai principi della Chiesa cattolica. Aeranti-Corallo rappresenta pertanto 708 imprese radiofoniche locali (su un totale di circa 1.300 operanti nel nostro paese), 307 imprese televisive locali (su un totale di circa 595 televisioni concessionarie), oltre che le 5 syndication di emittenti locali che effettuano trasmissioni in contemporanea sul territorio nazionale nonché alcuni content provider satellitari ed emittenti che operano via Internet.
Dal punto di vista qualitativo rappresentiamo 37 delle 93 televisioni locali che hanno avuto la concessione a carattere regionale e, in particolare, le prime emittenti delle graduatorie per le concessioni televisive locali delle regioni Lombardia, Piemonte, Liguria, Marche, Abruzzo, Valle d'Aosta. Nel Lazio rappresentiamo la seconda e la terza emittente. In termini di fatturato - basandoci anche sugli ultimi dati dell'autorità per le garanzie nelle comunicazioni - il sistema televisivo locale raccoglie un fatturato complessivo di 328 milioni di euro. In tale ambito, le nostre imprese hanno un fatturato complessivo tra i 150 e i 160 milioni di euro. Quanto alle radio, sui 150 milioni di euro totali del comparto le nostri emittenti rappresentano circa 90-100 milioni di euro (quindi circa i due terzi del fatturato complessivo).
Le nostre imprese danno occupazione a oltre quattromila lavoratori dipendenti ed a più di diecimila lavoratori inquadrati con contratti di collaborazione coordinata e continuativa. In termini di ascolto, Audiradio rileva l'esistenza di 171 emittenti locali, in base ai dati del 2001, delle quali 103 aderiscono alla nostra associazione, insieme alle due syndication. Complessivamente,
Per quanto riguarda le emittenti televisive locali, in base all'indagine Auditel (come sapete, il dato pubblicato riguarda soltanto una parte di esse) le 41 emittenti aderenti alla nostra associazione complessivamente contano 5 milioni 722 mila ascoltatori, considerando il dato netto giornaliero riferito alla media annuale dei dati del 2001.
Passando ai temi che riteniamo importanti ai fini di una ridefinizione dell'assetto del sistema radiotelevisivo, un primo rilevante aspetto, da noi apprezzato, del disegno di legge in esame, e delle proposte di legge ad esso collegate, è quello di ritenere che l'emittenza locale debba essere disciplinata in maniera organica nell'ambito della riforma complessiva del sistema. Infatti, riteniamo che la riforma debba riguardare sia l'emittenza pubblica sia quella privata, sia l'emittenza nazionale sia quella locale, sia l'emittenza commerciale sia quella comunitaria. Peraltro, la disciplina dovrà abbracciare tutte le forme tecniche di diffusione, sia terrestre, sia satellitare, sia a mezzo cavo, sia in tecnica analogica, sia in tecnica digitale. Sottolineiamo come sia importante che l'emittenza radiofonica e televisiva locale sia disciplinata in modo organico con tutto il sistema perché un diverso modo di procedere comporterebbe una marginalizzazione delle imprese radiotelevisive locali, come in passato, purtroppo, è spesso accaduto.
Altro aspetto che ci sta particolarmente a cuore è quello della individuazione di norme che consentano alle emittenti locali di potere effettivamente competere sul mercato. Si tratta di un problema di fondo che caratterizza il ruolo e l'attività dell'emittenza locale, da sempre.
Come ho ricordato, la relazione annuale sull'attività svolta e sui programmi di lavoro presentata dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il 30 giugno scorso, evidenzia che i ricavi derivanti dall'attività televisiva nell'anno 2001 sono stati di 5.603 milioni di euro. Di questi, solo 328 milioni di euro si riferiscono alle imprese televisive locali e, peraltro, sono suddivisi tra i circa 600 operatori, con una media pro capite di 550 mila euro. La stessa relazione dell'Autorità evidenzia che i due principali operatori, RAI e Mediaset, assorbono l'80 per cento delle risorse destinate al settore televisivo e contano sul 90 per cento dell'audience e delle risorse in termini pubblicitari. Per quanto riguarda il mercato radiofonico, la stima di AC Nielsen, per il 2001, è di 440 milioni di euro, un valore che rappresenta poco più del 5 per cento dell'intero mercato pubblicitario italiano. Secondo valutazioni della nostra federazione, la quota di mercato delle imprese radiofoniche locali ammonta a circa 130 o 150 milioni di euro, suddivisi tra circa 1300 operatori.
Questi dati evidenziano l'esigenza di una normativa che crei le condizioni per far crescere significativamente le risorse per l'intero settore televisivo e radiofonico locale. In tale contesto, riteniamo che, per favorire la crescita e lo sviluppo del comparto, siano necessarie alcune norme che favoriscano, anche sul piano fiscale, gli investimenti pubblicitari delle piccole e delle medie imprese sulle imprese radiofoniche e televisive locali. Inoltre, segnaliamo l'opportunità della emanazione di norme volte a favorire l'accesso, da parte delle emittenti locali, a produzioni di qualità - esigenza molto importante, soprattutto per il comparto televisivo locale - nonché di regole che favoriscano indagini di ascolto basate su metodologie che rilevino nel dettaglio le imprese radiofoniche e televisive locali. In questo senso, deve essere apprezzata la recente iniziativa dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di avviare un procedimento di consultazione pubblica finalizzata ad acquisire elementi per una eventuale disciplina delle indagini di ascolto.
Altro auspicio importante è quello di giungere all'emanazione di norme che permettano ed incentivino l'effettivo accesso dell'emittenza locale alle trasmissioni digitali.
Inoltre, è fondamentale che sia mantenuto inalterato il divieto, per le reti nazionali
Uno spazio particolare dovrà essere riservato dalla nuova normativa all'emittenza di tipo comunitario. Infatti, Aeranti-Corallo ritiene che la riforma debba prevedere norme specifiche di tutela della posizione delle emittenti comunitarie che, proprio in quanto espressione di particolari istanze religiose, politiche, culturali o etniche, non hanno come obiettivo primario la raccolta della pubblicità.
Il disegno di legge governativo introduce l'ipotesi di un unico limite antitrust, in sostituzione di quelli attualmente vigenti e previsti dalla legge n. 249 del 1997, calcolato sul totale delle risorse di quello che è definito il sistema integrato delle comunicazioni. Questo meccanismo, in linea di principio, può essere condiviso ma presenta come conseguenza la possibilità, per le concessionarie di pubblicità controllate delle grandi reti televisive nazionali - RAI e Mediaset - di vendere pubblicità anche per le emittenti locali, attività attualmente vietata dalla legge n. 249 del 1997. In effetti, da tempo si dibatte circa l'opportunità o meno di introdurre, nella disciplina legislativa di settore, la possibilità da parte delle concessionarie di pubblicità controllate da RAI e Mediaset - quindi Publitalia e Sipra - di acquisire spazi pubblicitari anche per conto delle emittenti televisive locali attraverso quello che, comunemente, si definisce il traino pubblicitario. Aeranti-Corallo ha sempre manifestato il proprio giudizio negativo rispetto a questa ipotesi normativa. Credo che si tratti di un aspetto tra i più importanti ed essenziali. Il nostro dissenso deriva dalla circostanza che il cosiddetto traino pubblicitario rappresenta una misura che non favorisce la crescita del settore ma soltanto le poche imprese televisive locali che potrebbero essere trainate. Tra esse ci sono anche alcune nostre rappresentate ma questo non è certamente un modo per portare avanti una politica di settore. La logica che differenzia il nostro modo di vedere, cioè un modello di sviluppo del settore televisivo locale (il problema del «traino» è soprattutto legato alle problematiche televisive), sta nella previsione di norme che favoriscano la crescita e lo sviluppo dell'intero comparto. In seguito, chi avrà capacità imprenditoriale, chi avrà la capacità di sviluppare la propria impresa avrà sicuramente successo, come in tutti gli altri settori. Diversamente, introdurre norme legislative che favoriscano soltanto determinati pochissimi soggetti rispetto a quelli attuali significherebbe creare un meccanismo che potrebbe alterare tutte le normali regole di concorrenza sul piano locale, con effetti distorsivi assolutamente evidenti.
Riteniamo che, se il legislatore si orienterà verso una soluzione collegata all'ipotesi di un limite antitrust unico del 20 per cento sui ricavi del sistema integrato delle comunicazioni, si dovranno contestualmente prevedere norme finalizzate a tutelare l'emittenza locale rispetto alle eventuali ingerenze, in questo campo, da parte delle grandi reti televisive nazionali.
Quindi, pensiamo al divieto per le concessionarie pubblicitarie controllate da RAI e Mediaset di vendere pubblicità per le televisioni locali e tale importante aspetto si collega anche alle dimensioni territoriali dell'emittenza locale.
Nell'ambito dei futuri scenari digitali siamo assolutamente contrari all'ipotesi, sia nel campo televisivo sia in quello radiofonico, di una conversione degli atti abilitativi (concessioni o autorizzazioni) dal locale al nazionale perché permettere ad un gruppo di soggetti locali di diventare una rete nazionale significherebbe soltanto creare le condizioni per far sparire l'emittenza locale. Riteniamo altresì non percorribile l'ipotesi di prevedere emittenti locali che abbiano una copertura per bacini non contigui fra di loro e chiediamo che, dal punto di vista della dimensione,
Con i bacini non territorialmente limitrofi, si realizzerebbero, di fatto, delle ulteriori reti nazionali parziali, perché un soggetto potrebbe coprire, con i principali centri metropolitani, circa il 50 per cento del numero degli abitanti. Prevedere un'ipotesi del «traino» insieme ad un aumento delle ore di interconnessione per le trasmissioni di programmi in contemporanea, dalle 6 alle 12 ore giornaliere, creerebbe degli effetti sicuramente distorsivi e le due norme abbinate sarebbero sicuramente negative.
Quindi, dovranno essere introdotte delle norme per favorire le aggregazioni e i consorzi fra le imprese televisive e radiofoniche locali; inoltre, non è da escludere l'aumento delle ore di interconnessione (passare da sei a otto ore sarebbe un'ipotesi percorribile) ma solo se inserito in una politica generale di sviluppo dell'emittenza locale, senza favorire soltanto coloro che avrebbero l'aspettativa e l'obiettivo dichiarato di commutarsi in soggetti nazionali: in questo modo, la normativa finirebbe per essere soltanto lo strumento tecnico per far sparire definitivamente l'emittenza locale.
Un altro aspetto importante è quello di favorire il passaggio effettivo dell'emittenza locale alla nuova tecnologia digitale, mentre per la radiofonia la normativa dovrà tenere conto della differente situazione tecnica. Di conseguenza, chiediamo che le norme sul digitale non siano assolutamente penalizzanti per l'emittenza locale e, soprattutto, che vengano ribaditi alcuni principi già contenuti all'interno dell'attuale legislazione e del regolamento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: il titolo preferenziale per le televisioni locali nel passaggio al digitale, la riserva di frequenze a favore dell'emittenza locale e l'obbligo per le reti televisive nazionali di non differenziare la propria pubblicità e i propri programmi.
Riteniamo che per il passaggio al digitale l'obiettivo strategico primario delle televisioni locali sia di convertire l'attuale attività di diffusione televisiva analogica in quella di operatori di rete (network provider) a livello digitale, utilizzando i propri canali di trasmissione. In questo senso, le televisioni locali potranno veicolare contenuti e servizi audio-video propri, nonché quelli realizzati da altri soggetti sprovvisti dei canali di trasmissione, come importanti gruppi editoriali e gli attuali content provider satellitari.
Se alcune televisioni dovessero cedere i propri canali di trasmissione alle reti nazionali, seguendo l'impostazione contenuta nella legge n. 66 del 2001, queste ultime dovrebbero veicolare per un certo numero di anni i contenuti della televisione locale senza oneri per la stessa.
Per quanto riguarda il ruolo della concessionaria pubblica, riteniamo che debba essere mantenuto ed implementato il ruolo fondamentale dell'emittenza locale - che le è stato attribuito sin dall'introduzione del sistema misto pubblico-privato - e che la nuova disciplina non debba prevedere un aumento della presenza della concessionaria pubblica sul territorio in termini di quantità e di differenziazione della programmazione: in definitiva, l'informazione locale dovrebbe rimanere, in termini sia territoriali sia di spazi giornalieri, analoga a quella attuale.
Condividiamo anche l'ipotesi, formulata nel disegno di legge governativo, di una delega al Governo per un testo unico di armonizzazione e di semplificazione delle attuali disposizioni di legge perché, dal 1990 ad oggi, quasi ogni anno è stata emanata una legge di settore con sovrapposizioni continue di norme che hanno portato a difficoltà interpretative e a duplicazioni di adempimenti.
Noi rappresentiamo 12 concessionari radiofonici (comunitari e commerciali, politici,
Il sistema radiofonico italiano ha conservato caratteristiche di grande interesse e vivacità: sono ancora attivi circa 1.400 soggetti sia locali sia nazionali, alcuni dei quali presentano ascolti e dimensioni aziendali molto importanti; secondo alcune stime, almeno 80 soggetti trasmettono in ambiti abbastanza vasti o pluriregionali.
La radio negli ultimi anni ha riscosso un grande successo di pubblico: ogni giorno, in Italia, la ascoltano 36 milioni di cittadini, che diventano 240 milioni a livello europeo (non per molte ore, ma in alcune fasce orarie essa assume un ruolo sociale ed informativo veramente straordinario).
Ho esposto i vantaggi che normalmente associamo al mezzo radiofonico, ma esiste un piccolo neo che riguarda i membri delle Commissioni: troppo spesso abbiamo ricevuto poca considerazione da parte sia del Parlamento sia degli organismi di regolamentazione. La radio è giudicata un mezzo estremamente importante che ognuno di noi, singolarmente, ascolta la mattina, ma al momento dei fatti viene considerata un mezzo minore, liquidata con le solite regole della televisione, magari applicate in maniera leggera, come si fa con i farmaci quando vengono somministrati ai bambini.
Oggi siamo di fronte al passaggio importante verso l'ambito digitale e non si può permettere ancora una volta che la radio sia considerata un omologo inferiore, soprattutto per un problema tecnico e oggettivo, non politico o di sistema. La radio digitale non utilizzerà le stesse frequenze di trasmissione della radio analogica, diversamente dal comparto televisivo dove i canali rimarranno gli stessi, seppure organizzati e gestiti in altro modo. Poiché in Europa l'etere è particolarmente affollato (questo vale per l'Italia, la Francia, la Spagna, per grandi mercati e grandi paesi) la Conferenza europea di poste e telecomunicazione - l'organismo che decide l'utilizzo delle frequenze - ha scelto un indirizzo già da molti anni, che è stato confermato a Maastricht quest'anno con accordi internazionali a cui ha partecipato anche il nostro paese: la diffusione della radiofonia digitale (T-DAB) utilizzerà la banda VHF III e la banda UHF L, due spazi completamente diversi che obbligano anche il legislatore a trattare la materia radiofonica in modo diverso, poiché si è in presenza di una vera transizione.
Riconosciamo elementi validi nel disegno di legge del Governo, ad esempio condividiamo pienamente la scelta che vi siano contenuti solo le norme di base ed i principi fondamentali: infatti, il nostro paese ha bisogno di una riorganizzazione del corpo normativo riguardante la materia radiotelevisiva e di ulteriori interventi, a patto che essi siano delegati al Governo, senza entrare in dettagli che una legge di sistema moderna non può permettersi.
Chiediamo al legislatore di introdurre, però, articoli (avanzeremo in tal senso proposte concrete) che affrontino specificamente il tema della radiofonia, senza alcuna preoccupazione che tali norme possano inquinare o costituire pregiudizi riguardo al sistema televisivo, che è completamente separato. Nella fase di transizione, proprio perché le trasmissioni vengono trasferite ad altra zona dello spettro elettromagnetico, sarebbe pericolosissimo se le regole fossero modificate (se le emittenti locali, ad esempio, potessero diventare nazionali). Gli spazi che l'Autorità ha trovato per il digitale sono pochi e forse neppure sufficienti per gli attuali soggetti: se cambiassero fisionomia e connotati degli attuali soggetti, non sarebbe mai possibile percorrere la strada verso il digitale.
Gli addetti al settore radiofonico, seppur con difficoltà e preoccupazioni (molti considerano il passaggio al digitale come
Riguardo al servizio pubblico, siamo convinti che si tratti di un grande patrimonio del nostro paese, a condizione che la sua missione sia effettivamente propria del servizio pubblico: riteniamo che molto spesso tale vocazione non sia rispettata. Sono necessarie regole chiare, perché in un mercato piccolo - centocinquanta milioni di euro - un soggetto che possiede le risorse del finanziamento pubblico e della pubblicità rende difficile la vita e lo sviluppo del nostro mezzo.
La mia ultima affermazione verte sul tema della libertà e dell'autonomia degli editori radiofonici circa la composizione dei programmi: crediamo che esso non sia in discussione, ma è importante ribadirlo, perché negli ultimi mesi se ne è «chiacchierato» troppo, in particolare da parte di alcuni soggetti che lavorano nel mondo della comunicazione. Chiediamo che gli editori abbiano piena libertà riguardo sia al palinsesto musicale sia a quello informativo, perché il nostro paese ha bisogno di esprimere appieno la sua cultura e la sua identità, senza obblighi e vincoli.
In secondo luogo, durante la fase di transizione - che in realtà, io credo, sarà più lunga - come pensate di affrontare il problema del simul cast, cioè l'uso delle frequenze attuali contemporaneamente alla sperimentazione del sistema digitale?
Mi sembra d'aver capito che la strada del digitale terrestre televisivo è già tracciata, mentre per il settore radiofonico essa è estremamente problematica perché costa moltissimo alla radio stessa.
Se non vi sono produttori di apparecchi in grado di fabbricare radio digitali a costi inferiori a quelli attuali (1-2 milioni di vecchie lire), commercializzandole a prezzi accessibili per il consumatore medio (massimo 100 euro), la radio digitale farà una enorme fatica ad imporsi, in quanto, pur avendo - forse più della televisione attuale - killer applications, il consumatore non sarebbe in grado di pagare le cifre che ho detto.
Nell'audizione è stato rilevato in quale misura molti segmenti del mondo televisivo e radiofonico siano tendenzialmente più deboli. La ratio complessiva del disegno di legge (benché alcuni colleghi - parlo soprattutto dell'opposizione - non
Complessivamente il settore televisivo locale fattura intorno a 328 milioni di euro, ma mi pare che negli ultimi anni - a seguito di una legislazione tormentata e anche un poco pasticciata - abbia comunque potuto usufruire di finanziamenti. Potete, allora, dare alle Commissioni una quantificazione complessiva dei finanziamenti ricaduti sulla emittenza locale? Chiedo ciò, in quanto, se è vero che sono sopravvissute sino ad oggi tante televisioni - mentre fino a ieri o ieri l'altro si diceva che non potessero farlo - è da ritenere che ciò si sia verificato perché nel frattempo è accaduto qualcosa che ha consentito loro di continuare a vivere. Osservo questo perché è difficile che nell'occasione del varo di una legge di sistema possano esserci occasioni di contribuzione così confuse come quelle avvenute in anni passati. Sarebbe quindi bene se, una volte per tutte, si conoscesse quanto è stato erogato a questo mondo complessivamente inteso in tutte le sue fattispecie.
Ciò si aggancia anche alla domanda fatta prima dal collega Rognoni. Il passaggio al digitale (sento parlare di cifre alte) per i grandi network nazionali rappresenta una spesa di circa 500 miliardi (per ciascuna impresa). Immagino quindi che per l'emittenza locale - suddivisa tra le tante imprese, e considerata anche la scadenza perentoria del 2006 - si tratti di un significativo investimento. Quindi, da un lato ci sarebbe la rinuncia a quanto avvenuto in questi anni, dall'altro anche un obbligo di investimento. Siccome nei documenti da voi consegnati non rintraccio un processo di sintesi finale, vi chiedo di indicare l'entità degli esborsi che, a vostro avviso, si dovrebbero investire per il passaggio al digitale.
Detto ciò (per sgomberare il terreno da una polarizzazione politica, che mi pare
Passo alla seconda domanda. Ritengo che le televisioni locali abbiano un grande problema davanti a loro: operare quel salto di qualità che sino ad oggi (vuoi per le origini, vuoi per la dimensione o lo schiacciamento del sistema nonché per altri fattori che non sto qui a valutare), nel contesto di uno scenario più allargato, fanno fatica a compiere. Allora, alla luce di queste mie considerazioni, mi piacerebbe conoscere la vostra opinione sull'entità delle risorse necessarie per fare delle televisioni locali l'asset che tutti noi auspichiamo.
Nel nostro paese, l'Autorità recentemente ha approvato il piano di assegnazione. Si prevedono quattro possibili blocchi
Per quanto riguarda la moltiplicazione dei canali, dipenderà dalle risorse che il Ministero delle comunicazioni deciderà di mettere a disposizione di questo servizio. Se si rivedesse il piano di ripartizione e si destinassero anche altri canali alla radiofonia digitale, oltre al canale 12 della terza banda, probabilmente ci sarebbero più spazi e ci sarebbe anche la possibilità di una transizione, per così dire, più tranquilla per gli attuali soggetti e si potrebbe aprire il mercato ad altri. Noi facciamo il conto sulla base di quanto abbiamo e di quanti siamo. Il sistema digitale rappresenta un plus nel senso che la trasmissione radio ha un suono perfetto, non ci sono interferenze e possono essere offerti altri servizi. Per il nostro paese, in cui è ancora molto difficile ascoltare la radio con una qualità medio alta, è una rivoluzione copernicana. È un passaggio che dobbiamo effettuare, anche per le ragioni che ho esposto precedentemente. Ovviamente, da questo punto di vista, un intervento del legislatore è importante. Noi operatori nazionali siamo convinti che la sperimentazione digitale non serva più e costituisca, ormai, uno spreco di denaro e di tempo. Abbiamo maturato una piccola esperienza nel nord Italia e abbiamo capito perfettamente che è inutile continuare ad alimentare l'illusione che sperimenteremo, in quanto la sperimentazione non crea mercato. L'Autorità deve finire immediatamente il proprio lavoro, redigere il regolamento e il Ministero deve concedere le licenze, perché soltanto così, con le licenze, si possono costruire reti in un tempo sufficientemente lungo in relazione agli investimenti e si possono realizzare un servizio ed un mercato.
In relazione al problema del sostegno, presidente Romani, ricordo che la radiofonia nazionale non beneficia di aiuti precisi ma di provvidenze legate alle famose leggi di sostegno dell'editoria, che presentano alcuni aspetti specifici per la radiofonia ma soltanto per quei soggetti che trasmettano almeno il 25 per cento di informazione tra le ore sette del mattino e le venti. Da un rapido calcolo che ho effettuato mentre ascoltavo la domanda, per le emittenti radio nazionali il 25 per cento di trasmissioni di informazione credo che equivalga a 195 minuti al giorno, un impegno abbastanza oneroso. In ogni caso, il sostegno che ricevono dallo Stato per questo servizio informativo oscillerà, a mio avviso, complessivamente tra i quattro e i cinque milioni di euro all'anno.
Per quanto riguarda la transizione, noi ipotizziamo una conversione graduale dei canali. Attualmente, le nostre televisioni, che stanno anche presentando domanda di sperimentazione al Ministero delle comunicazioni, si muovono lungo due ipotesi di impostazione. La prima è quella di effettuare la sperimentazione delle trasmissioni digitali, in una prima fase, nelle ore notturne utilizzando gli stessi canali sui quali continuano le trasmissioni analogiche. La seconda prevede di utilizzare alcuni canali parzialmente ridondanti nell'ambito della diffusione analogica, cioè canali che coprono parzialmente le stesse aree di servizio coperte da altri canali ed a cui, quindi, possono rinunciare senza grave danno alla copertura territoriale complessiva delle trasmissioni analogiche. Tali canali possono essere conferiti in società consortili tra televisioni locali di aree contigue che, in alcuni casi, sono state ipotizzate e, in altri, sono già in via di costituzione, per poter cominciare, su alcuni canali, una sperimentazione, ventiquattr'ore su ventiquattro, specificamente dedicata alla trasmissione con sistema digitale. Ovviamente, la spinta maggiore verso la transizione dovrà essere data dai due principali operatori, RAI e Mediaset, e le emittenti televisive locali, non appena partirà questo impulso, intenderanno essere subito pronte a seguire la scia.
Il discorso è completamente diverso per quanto riguarda le trasmissioni radiofoniche con sistema digitale. Per spiegare la ragione di quanto da noi affermato, cioè che le problematiche del passaggio sono enormi, basti pensare che per la radiofonia esistono due bande di trasmissione con caratteristiche tecniche completamente diverse. Nessuna delle due è idonea per permettere a tutti i soggetti del sistema, sia nazionali sia locali, di trasmettere allo stesso modo. Perciò, significherebbe creare un sistema che, in partenza, prevede disparità di trattamento. Infatti, chi trasmette sulla banda III ha la possibilità di utilizzare un minor numero di impianti e coprire aree più vaste, mentre chi trasmette sulla banda L deve impegnare un numero di impianti maggiore, spendere più denaro e coprire aree meno vaste. Questo primo problema deve essere assolutamente risolto, altrimenti non è possibile partire. In secondo luogo, anche volendo ipotizzare soltanto l'uso della banda III, tecnicamente più valida ma più limitata in termini di spazi, i pochi spazi disponibili lo sono solo teoricamente perché, di fatto, sono occupati in quasi tutta Italia dalle trasmissioni della prima rete televisiva RAI con sistema analogico, la quale non ha alternative prevedibili nell'arco di numerosi anni, per spostarsi su altri canali. Perciò, non capisco come possa partire la sperimentazione delle trasmissioni radiofoniche con tecnica digitale.
Per quanto riguarda la domanda del presidente Romani sulle misure di sostegno, ricordo che, per quanto riguarda il comparto televisivo locale, sono state previste misure del genere da alcune leggi finanziarie, a partire dal 1999, che ammontavano, in termini di lire italiane, a 24 miliardi nel 1999, saliti ad 82 miliardi nel 2000 (dovevano essere 40) e a 108 miliardi nel 2001. Questi 108 miliardi rappresentano la quota delle televisioni locali anche per gli anni a venire. Queste somme non sono state ancora incassate, i primi pagamenti del 1999 si stanno effettuando ora e si stanno completando le pratiche del 2000-2001 (complessivamente 200 miliardi suddivisi tra 600 televisioni). Da adesso in avanti tali contributi saranno di 108 miliardi l'anno ed inoltre esiste un intervento, a suo tempo gestito pessimamente dalla legge n. 57 del 2001, dell'80 per cento del contributo per l'innovazione tecnologica degli impianti e delle televisioni locali finalizzati soprattutto al digitale. Questo stanziamento era riferito agli anni 2000-2001 e 2002 ma, sostanzialmente, per gli anni 2000-2001 gli investimenti sono stati molto inferiori rispetto alle previsioni
Inoltre, esistono un fondo di 10 miliardi a carico del Ministero dei beni e delle attività culturali per produzioni di qualità (le domande sono state presentate entro il 23 agosto di quest'anno e dovranno essere esaminate) ed un ulteriore fondo per il pagamento dei messaggi politici autogestiti trasmessi. Per rispondere all'intervento dell'onorevole Bianchi Clerici, riteniamo che si debba arrivare all'obiettivo della produzione di qualità attraverso norme che favoriscano la possibilità per le emittenti locali di accedere ai magazzini-programmi, sia delle reti televisive nazionali sia dei grandi produttori, a condizioni eque e non discriminatorie e, quindi, con forme di regolamentazione definite dall'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni. In secondo luogo, è necessario legare gli incentivi previsti dalle normative anche alla qualità della produzione perché, altrimenti, si rischia di avere una contribuzione non finalizzata ad un obiettivo specifico.
In terzo luogo, bisogna prevedere una regolamentazione precisa per l'acquisizione dei cosiddetti secondi diritti, cioè la possibilità di diffondere avvenimenti, filmati, fiction e diritti di eventi di particolare interesse, perché in molti casi vengono richieste somme diverse e non eque. Riteniamo che le televisioni potrebbero fare un salto di qualità se venissero messe in condizioni di avere le risorse.
Le televisioni locali, pur deficitarie nei contenuti e nelle risorse, hanno il patrimonio importante dei canali di trasmissione che deve essere valorizzato, permettendo alle stesse di transitare al digitale e di modificare la loro attuale attività di diffusione televisiva analogica in quella di operatore di rete locale digitale, in una logica della suddivisione dei ruoli tra fornitore di contenuti ed operatore di rete. In questo modo, le televisioni locali potranno svolgere l'attività di televisione tradizionale e una nuova attività di telecomunicazione per veicolare i contenuti di altri soggetti che non hanno i canali di trasmissione (grandi gruppi editoriali, content provider satellitari, fornitori di servizi multimediali), raggiungendo accordi sinergici con i vari operatori di rete locali, regionali o interregionali, con l'opportunità di business per le televisioni locali.
Ecco da dove nasce il fatto che nel futuro crediamo vi sarà poco posto per grandi emittenti che si potranno permettere queste spese; si tratta di un fatto economico difficilmente eludibile. Chi mi ha preceduto ha parlato di contributi dello
In questo quadro si inserisce il problema del simul cast (di cui è esperto il dottor Maurizio Giunto) che ci spaventa moltissimo; nel comparto televisivo, sullo stesso canale non si può trasmettere simultaneamente con il sistema digitale e quello analogico, per cui sono necessarie altre frequenze. Conosciamo i problemi della RAI e di Mediaset, oltre alla discussione sulle frequenze di Telepiù, che potrebbero essere utilizzate per la sperimentazione. Riteniamo errato parlare di sperimentazione perché, sotto il profilo tecnico, essa non è necessaria, ma bisogna semplicemente dare avvio al sistema digitale; ciò sarebbe semplice se esistessero tante frequenze a disposizione quanti sono i canali che vengono attualmente utilizzati, ma in realtà non ce ne sono e le emittenti locali hanno paura per questo motivo: se le emittenti nazionali trasmetteranno in digitale, esse perderanno spettatori.
L'onorevole Bianchi Clerici poneva un quesito difficile circa la produzione di qualità, che compete all'editore, ma in gran parte anche a chi assiste ai programmi: l'editore trasmetterà un programma di scarso livello, se gli spettatori lo richiederanno.
Vorrei ricordare all'onorevole Rognoni una sua proposta di alcuni anni fa, che riscosse consenso, ma non fu mai attuata: la famosa incentivazione alle dismissioni delle televisioni (la cosiddetta «rottamazione» delle televisioni locali). Si tratta di un punto su cui, senza dubbio, occorre riflettere per consentire all'emittenza locale di dotarsi di frequenze necessarie alla sperimentazione, giungendo al momento dello switch off in presenza dell'intero settore.