COMMISSIONI RIUNITE
VI (FINANZE) - X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 6a (FINANZE E TESORO) - 10a (INDUSTRIA, COMMERCIO E TURISMO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 20 gennaio 2004


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA VI COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIORGIO LA MALFA

La seduta comincia alle 9,05.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna e delle successive audizioni dell'indagine che avranno luogo alla Camera sarà assicurata, oltre che mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, analogamente a quanto già avvenuto in occasione dell'audizione del ministro Tremonti svoltasi al Senato il 15 gennaio 2004.
(Così rimane stabilito).

Audizione del presidente della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, l'audizione del presidente della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob).
Saluto i nostri ospiti e li ringrazio per la loro disponibilità; ringrazio altresì tutti i colleghi parlamentari intervenuti qui oggi. Avverto che per questa audizione è prevista una durata massima di circa tre ore e che il presidente della Consob, professor Cardia, ha facoltà di svolgere il suo intervento introduttivo per circa un'ora, salvo necessità di un maggior tempo; successivamente, per circa un'ora e 45 minuti, i colleghi parlamentari potranno porre delle domande avendo a disposizione tre minuti ciascuno. Pregherei i colleghi di segnalare per tempo coloro che intendono intervenire. La presidenza si riserva, se necessario, di tener conto della ripartizione dei tempi fra i gruppi su cui si è convenuto in sede di ufficio di presidenza delle Commissioni riunite. Spero comunque non vi sia bisogno di ricorrere a delle regole strette per i tempi degli interventi.

MAURIZIO EUFEMI. Signor presidente, intervengo sull'ordine dei lavori. Mi rifaccio all'articolo 144, commi 4 e 5, del regolamento. Abbiamo preso atto della puntualità e tempestività con cui è stato stampato il resoconto stenografico dell'audizione del 15 gennaio 2004 del ministro Tremonti di fronte a queste Commissioni riunite presso il Senato della Repubblica. È vero che, come viene precisato nel documento, quel testo anticipa l'edizione definitiva; ma nello stesso documento non è stato riprodotto, come sarebbe stato opportuno, tutto il fascicolo, messo a disposizione dal ministro dell'economia e delle finanze, relativo al carteggio con il Governatore della Banca d'Italia. Si tratta di verbali - ci tengo a sottolinearlo - che sono disciplinati dal decreto legislativo n. 691 del 17 luglio 1947, dal decreto n. 385 del 1993, nonché dal regolamento interno, articoli 4, 9 e seguenti. In ogni caso tali norme sostengono che non è consentita la pubblicazione di comunicazioni o esternazioni di opinioni dissenzienti. Nel momento in cui, però, si infrangono alcune regole, credo che si debba


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in ogni caso far sì che tutto il carteggio sia prodotto integralmente, almeno nel momento in cui il fascicolo sarà pubblicato nella sua edizione definitiva.

PRESIDENTE. Senatore Eufemi, nel resoconto stenografico (quantomeno alla Camera dei deputati) si riproduce ciò che viene detto nel corso della seduta. Gli allegati, a disposizione di tutti i colleghi, normalmente vengono riportati nel volume conclusivo in cui è raccolta tutta la documentazione dell'attività conoscitiva. In pratica il resoconto stenografico fa fede di ciò che viene detto nel corso delle sedute mentre gli allegati, che comunque sono documenti pubblici e disponibili per tutti i colleghi, vengono inseriti nella pubblicazione che normalmente completa il lavoro dell'indagine conoscitiva. Qualora però lei dovesse insistere su tale questione, mi riservo di sottoporla all'ufficio di presidenza delle Commissioni riunite.

MAURIZIO EUFEMI. Signor presidente, quei testi fanno comunque parte dell'allegato di seduta, non possono costituire una documentazione di difficile ricostruzione. Nello specifico caso, l'allegato di seduta prevedeva appunto la presenza di tutta quella documentazione.

PRESIDENTE. Le ripeto che i resoconti stenografici delle Commissioni si basano su ciò che viene detto in seduta; gli allegati di seduta sono comunque a disposizione dei colleghi e di solito vengono pubblicati a parte. Per il futuro non ho comunque difficoltà a portare la questione all'esame dell'ufficio di presidenza.
Do la parola per il suo intervento introduttivo al professor Cardia, presidente della Consob.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Signori presidenti, onorevoli senatori e deputati, nell'ultimo decennio il mercato finanziario italiano ha subito una graduale ma profonda trasformazione; ha progressivamente perso i connotati tipici di un sistema bancocentrico, soprattutto sul versante del finanziamento alle imprese (connotati che lo avevano caratterizzato per l'intero periodo postbellico), per assumere sempre più i tratti e la fisionomia di un sistema orientato al mercato. Come è noto, i due modelli di capitalismo hanno pro e contro. Il modello cosiddetto bancocentrico è tendenzialmente più conservativo nello scrutinio dei progetti di investimento, ma proprio per questo meno soggetto ad euforie e bolle; allo stesso tempo, però, è più propenso a sostenere le imprese nei momenti di crisi. Al contrario, un sistema orientato al mercato è più funzionale a consentire la raccolta diretta dei mezzi finanziari da parte delle imprese, ma è più soggetto a shock e instabilità, come purtroppo dimostrano i casi Cirio e Parmalat.
La maggiore instabilità di un sistema orientato al mercato deriva da due fenomeni in parte correlati fra loro. In primo luogo, le imprese hanno tendenzialmente una maggiore discrezionalità nelle decisioni di aumento dell'indebitamento e del grado di utilizzo della leva finanziaria rispetto a quanto avviene in una sistema bancocentrico. In secondo luogo, raccogliendo risorse attraverso il collocamento di strumenti finanziari, il rischio di impresa può essere trasferito a famiglie o investitori non soggetti a controllo di stabilità.
È dunque evidente come una diffusa presenza di investitori istituzionali e un forte sviluppo dell'industria del risparmio gestito possano attenuare considerevolmente l'impatto e le ripercussioni di shock e fenomeni di instabilità tipici dei sistemi finanziari orientati al mercato. Infatti, gli investitori istituzionali, oltre ad essere soggetti a regole di comportamento e contenimento dei rischi, hanno anche le competenze necessarie per valutare e adeguare il profilo di rischio e rendimento degli strumenti finanziari.
Prima di descrivere dettagliatamente i casi Parmalat e Cirio, è utile fornire alcuni elementi che testimoniano la trasformazione del sistema finanziario italiano alla luce delle brevissime riflessioni appena svolte. Uno dei segni più evidenti del cambiamento è rinvenibile dai bilanci


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delle imprese industriali: a partire dalla fine degli anni '90 le maggiori imprese non finanziarie italiane hanno profondamente mutato la composizione e la struttura dei loro debiti finanziari, aumentando notevolmente il ricorso all'emissione di titoli obbligazionari. In particolare, i principali gruppi industriali quotati hanno preferito emettere obbligazioni per raccogliere nuovo capitale di debito piuttosto che aumentare il ricorso al sistema bancario. Non vi è stata dunque, almeno a livello aggregato, una sostituzione fra debito bancario e obbligazioni, ma piuttosto la tendenza ad un maggior ricorso alle obbligazioni che non al debito bancario.
La trasformazione del sistema finanziario italiano è testimoniata anche dal mutamento della struttura dei bilanci delle famiglie. Le famiglie italiane hanno variato profondamente la composizione della propria ricchezza finanziaria. Il peso dei titoli pubblici domestici si è ridotto drasticamente. È aumentato invece il peso delle attività sull'estero, degli investimenti in fondi comuni e in obbligazioni di emittenti privati. Il peso del risparmio gestito sulla ricchezza finanziaria delle famiglie italiane rimane però ancora relativamente basso rispetto a quanto si riscontra nei principali paesi europei e negli Stati Uniti.
L'Italia tende, dunque, ad essere più esposta ai fenomeni di instabilità tipici dei sistemi orientati al mercato, perché non vi è ancora una adeguata diffusione degli investitori istituzionali e della cultura del risparmio gestito. Anzi, proprio queste debolezze configurano l'evoluzione del sistema finanziario italiano come un processo non ancora perfettamente compiuto. Le cause che hanno innescato questo processo di trasformazione sono molteplici. La più importante forse è quella connessa all'aumento della domanda di titoli obbligazionari, da parte di investitori professionali e non, collegata alla discesa dei rendimenti dei titoli pubblici. La ricerca di rendimenti nominali superiori a quelli offerti dai titoli di Stato ha indotto un radicale aggiustamento di portafoglio, non solo da parte delle famiglie, come già detto, ma anche da parte degli investitori istituzionali.
Questo processo è stato facilitato dall'introduzione dell'euro, che ha enormemente favorito l'integrazione dei mercati europei dei capitali, in particolare nel segmento del reddito fisso e delle obbligazioni, attraverso l'eliminazione del rischio di cambio e la creazione di un mercato secondario più ampio e liquido.
Lo sviluppo del mercato italiano delle obbligazioni societarie si è concentrato sostanzialmente tra il 1999 e il 2002, in un contesto congiunturale caratterizzato, almeno a partire dal 2000, da una brusca correzione al ribasso dei corsi azionari e da una fase di ristagno economico tuttora in corso. È evidente come la probabilità del manifestarsi di fenomeni di instabilità e fallimenti societari aumenti nelle fasi negative del ciclo economico e di borsa.
Nelle fasi congiunturali negative, come empiricamente accertato dalla letteratura economica, aumenta la propensione degli amministratori delle imprese in difficoltà finanziarie ad adottare politiche di bilancio non corrette, allo scopo di mascherare la reale situazione della società. Non vi è dunque da sorprendersi se le crisi societarie, anche legate a comportamenti fraudolenti, siano più frequenti nelle fasi congiunturali recessive e, nel caso dell'Italia, in una fase particolare di transizione verso un sistema finanziario più orientato al mercato.
Nei principali paesi europei, il fenomeno dei fallimenti di emittenti con obbligazioni diffuse è più ampio e datato nel tempo che in Italia. Esso è inoltre fortemente concentrato nei paesi anglosassoni, che tradizionalmente hanno sistemi finanziari più orientati al mercato.
È alla luce di queste considerazioni e dello scenario macroeconomico che ha caratterizzato l'economia italiana negli ultimi anni che vanno inquadrati i casi Cirio e Parmalat. Inoltre, le due vicende testimoniano come lo sviluppo del mercato italiano delle obbligazioni societarie sia avvenuto attraverso collocamenti effettuati al di fuori dei confini nazionali, sul cosiddetto


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«euromercato». Tali collocamenti sono formalmente riservati a investitori istituzionali internazionali ma una quota rilevante dei titoli può rifluire, più o meno rapidamente, presso famiglie e investitori non professionali residenti in Italia.
L'impetuoso e rapido sviluppo dei collocamenti sull'euromercato, soggetto a mera autoregolamentazione da parte di gruppi industriali italiani, ha posto problemi regolamentari rilevanti, difficili da affrontare in tempi altrettanto rapidi. In assenza di un prospetto informativo, il presidio a tutela degli investitori non professionali si impernia sui doveri fiduciari e di correttezza che sono tenuti a rispettare gli intermediari che fanno attività di consulenza e negoziano obbligazioni per conto della clientela. La probabilità che tali doveri fiduciari vengano rispettati si riduce in un sistema, quale è ormai quello italiano, caratterizzato dalla cosiddetta «banca universale». Le banche hanno assunto un ruolo multiforme: finanziano le imprese, collocano e negoziano i loro titoli, li acquistano e li vendono come gestori del risparmio delle famiglie; effettuano studi per consigliare l'acquisto o, più raramente, la vendita ai propri clienti e ad altri soggetti. I conflitti di interesse sono quindi endemici e strutturali.
Nella parte finale del mio intervento indicherò alcune ipotesi di modifica normativa che riguardano questo problema.
Infine, i casi Cirio e Parmalat mostrano come il trasferimento dei rischi di impresa dagli intermediari agli investitori finali tenda ad esasperare la centralità e l'importanza dei meccanismi di gestione dei conflitti di interesse nella vita societaria e delle regole di corporate governance. L'incentivo all'appropriazione dei cosiddetti benefici privati da parte dell'azionista di controllo (ma anche dei manager delle public companies, come insegna la vicenda Enron) è da ritenere ineliminabile. Operazioni con parti correlate creano possibilità di guadagni personali superiori alle perdite sopportate per la riduzione di valore inflitta alla società. La presenza di organi di controllo, cosiddetti endosocietari (sindaci, amministratori non esecutivi e revisori dei conti), realmente indipendenti rispetto alla proprietà e al management dell'impresa, è il presupposto fondamentale per una corretta e tempestiva informativa al mercato e per una piena percezione e valutazione dei rischi trasferiti agli investitori finali, oltre che per una più efficace azione da parte delle autorità di vigilanza. Anche su questo tema fornirò alcune indicazioni quale contributo per l'ipotesi di riforma della normativa oggi esistente.
Quanto alle vicende Parmalat e Cirio, l'esposizione dei fatti di cui si compone la vicenda Parmalat non può che prendere le mosse da un loro corretto inquadramento. Va detto, innanzitutto, che il caso Parmalat sembra configurarsi come un fenomeno criminoso che ci pone di fronte a condotte di rilievo penale, plurioffensive, poste in essere dolosamente da più soggetti in concorso fra loro. I comportamenti in oggetto, per quanto ad oggi è dato conoscere, sembrano essersi sostanziati, tra l'altro, nella falsificazione di documenti, nell'occultamento di informazioni, in illeciti artifici legali e contabili, attuati non solo in Italia ma anche e soprattutto all'estero, in un intricato reticolo globale che si estende ai paradisi fiscali e societari offshore.
I magistrati inquirenti di Parma e Milano, come è noto, starebbero qualificando tale condotta in vario modo: associazione a delinquere, truffa, false comunicazioni sociali (cosiddetto falso in bilancio), aggiotaggio, insider trading, ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza dell'autorità pubblica. Vorrei sottolineare, in particolare, una delle ipotesi di reato su cui starebbero lavorando i giudici: associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Tale ipotesi sottintende il fatto che un gruppo di persone - identificato per ora, quanto meno, nel vertice della società, in associazione con altri - avrebbe concepito e perseguito con determinazione un disegno criminoso al fine di mascherare la reale situazione economico-finanziaria dell'impresa. Le indagini sono in corso. Ma quello che già adesso sembra emergere è che il crack Parmalat sia stato reso possibile


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da una rete di connivenze il cui perimetro dovrà essere definito. Ad oggi, tutto lascia supporre che siano state violate le regole fondamentali in materia di doveri degli organi sociali e di quelli di revisione.
Dato il carattere fraudolento e la rilevanza penale dei fatti, la vicenda Parmalat presenta dimensioni e contenuti che non possono essere affrontati con certezza di successo da una singola autorità amministrativa qual è la Consob. E ciò indipendentemente dall'apparato normativo, più o meno incisivo e penetrante, di cui possa disporre.
Questa premessa, oltre che necessaria, aiuta a inquadrare meglio la dinamica e la successione delle vicende che hanno caratterizzato il caso Parmalat e le azioni di vigilanza intraprese dalla Consob. Consente, inoltre, di valutare meglio la necessità di intervenire in sede di riforma per evitare, per quanto possibile, il ripetersi di tali patologie e comportamenti criminosi.
Anche all'estero, del resto, sia in Europa sia oltreoceano, si sono verificati negli ultimi anni scandali finanziari simili a quello Parmalat, nonostante la presenza di organi di vigilanza dei mercati dotati di poteri e strumenti ben più incisivi e penetranti di quelli di cui oggi è dotata la Consob. Mi riferisco, come peraltro è a tutti noto, ai casi Enron, World Com e ad altri analoghi verificatisi negli Stati Uniti, ma anche ai tanti casi rilevati in Europa, in particolare nel Regno Unito, che ha il triste primato del maggior numero di insolvenze nel vecchio continente, quanto meno dal 2001 ad oggi.
Il dibattito pubblico scaturito dalla vicenda Parmalat e prima ancora da quella Cirio ha posto una domanda: come sia potuto accadere quello che è accaduto e come si potrà prevenire che si ripeta in futuro. Occorre interrogarsi e ricercare le soluzioni più idonee al fine di evitare, per quanto e al massimo del possibile, che si verifichino eventi del genere. L'obiettivo, condiviso da tutti, è quello di arrivare nel più breve tempo ad un sistema di controlli più efficace.
Sarà però opportuno evitare scossoni traumatici o iniziative di accorpamenti tanto vasti che potrebbero tradursi, sul piano operativo, almeno in un primo periodo, in un calo di efficienza anziché in una più incisiva e rapida capacità di intervento.
Alcuni dei più urgenti correttivi sono stati indicati da tempo e ripetutamente dalla Consob, anche nelle sedi istituzionali.
Non giova, comunque, alimentare aspettative di totale sicurezza. Nessun sistema di vigilanza, quali che siano la sua architettura ed i suoi strumenti, e nessuna normativa, per quanto stringente, potranno evitare del tutto i fenomeni fisiologici del mercato, quali i fallimenti di impresa, né i reati finanziari che appartengono alla più estrema patologia, come, del resto, nessuna polizia del mondo, neanche la più efficiente e più repressiva, può assicurare che non vengano commessi più reati.
Il miglioramento del sistema vigente, però, potrà rafforzare la capacità di rilevazione dei sintomi ed anticipare, con tempestività, l'individuazione di situazioni potenziali di instabilità finanziaria delle singole imprese, riducendo di conseguenza gli effetti dannosi per il mercato e il risparmio. Risulterebbe così più agevole raggiungere l'obiettivo del ripristino della fiducia, il bene che, come ha detto il Presidente Ciampi nel suo discorso di fine anno agli italiani, è il fondamento delle attività economiche.
Veniamo ora più in dettaglio all'esame della vicenda Parmalat.
Parmalat Finanziaria Spa è una multinazionale, con una struttura geografica complessa, presente in cinque continenti. Attraverso un sistema di 250 controllate, il gruppo opera in 30 paesi diversi. L'attività produttiva si articola su 139 stabilimenti, in cui lavorano oltre 36.000 dipendenti sparsi in tutto il mondo. Dal gennaio 2003, il titolo Parmalat è rientrato nel Mib30, l'indice delle società quotate a maggior capitalizzazione di borsa in Italia di cui aveva già fatto parte dal 1994 al 1999. Prima di tornare nel paniere delle blue chips, Parmalat apparteneva al Midex, l'indice


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delle imprese a media capitalizzazione quotate in borsa. All'epoca di questo passaggio, il consenso, pressoché unanime, degli analisti dava della Parmalat una valutazione che andava da positiva a molto positiva. Il target price, cioè l'obiettivo tendenziale stimato per il prezzo di quotazione, era al di sopra dei valori di mercato. Questo significa che, a giudizio della comunità finanziaria, Parmalat aveva un notevole potenziale di crescita e si presentava come una buona opportunità di investimento.
Questa valutazione trovava conferma anche nel giudizio espresso dalle principali agenzie internazionali di rating; nelle pagelle di Standard & Poor's, Parmalat riportava, fin dal novembre 2002, il voto «BBB-» e godeva quindi di un giudizio di bassa probabilità di insolvenza (il cosiddetto investment grade). Nell'estate del 2002, il barometro delle aspettative di Standard & Poor's, rispetto a Parmalat, ha fatto passare il suo giudizio sulla probabilità di revisione del rating da stabile a positivo. In altre parole, il rating attribuito alla società di Collecchio rientrava nella categoria dei titoli ragionevolmente sicuri, quelli che possono essere consigliati anche ad investitori non professionali.
Questo è il contesto in cui va considerata la vicenda Parmalat, un contesto in cui la Consob ha sempre esercitato la sua corretta attività di vigilanza.
A fine febbraio 2003, il titolo Parmalat ha avuto una breve fase di turbolenza, a fronte della quale il titolo è stato posto sotto osservazione e sono stati presi tempestivi contatti con la società. Parmalat aveva annunciato l'emissione di un prestito obbligazionario da collocare presso investitori istituzionali per un importo compreso fra 300 e 500 milioni di euro. L'annuncio ha trovato sul mercato accoglienza negativa, tradottasi in vendite consistenti. In quella occasione Consob è intervenuta, esercitando i poteri previsti dall'articolo 114 del testo unico della finanza. (Si tratta della norma in base alla quale l'autorità di vigilanza può chiedere alle società vigilate di fornire informazioni al mercato, a proposito di un evento o anche di semplici voci che il mercato giudichi rilevanti, comunque tali da influenzare i prezzi dei titoli.)
Tra il 26 e il 27 febbraio, Parmalat, su esplicita richiesta della Consob, ha diffuso ben quattro comunicati stampa. L'esito finale è stato che Parmalat ha deciso di ritirare l'emissione obbligazionaria annunciata. La breve turbolenza è rientrata e il titolo Parmalat ha ripreso a quotare con andamento stabile, caratterizzato da una lieve tendenza al rialzo. A seguito di quell'episodio, però, la Commissione ha avviato una serie accertamenti svolti come sempre con riservatezza. [Si tratta di accertamenti svolti dalla Consob in via ordinaria, ma resi nella circostanza di particolare intensità, considerata l'accentuata volatilità delle quotazioni del titolo Parmalat in quel momento. Tali accertamenti sono indirizzati a verificare il regolare processo di formazione dei prezzi al fine di individuare eventuali anomalie, riconducibili a casi di manipolazione o di insider trading.
All'inizio del marzo 2003 Assogestioni, in una lettera pubblica a Tanzi, all'epoca presidente e amministratore delegato del gruppo, ha lamentato una carenza di comunicazione da parte della società nei confronti del mercato e un contesto informativo insoddisfacente. A tale sollecitazione lo stesso Tanzi ha dato risposta, ricordando l'ormai prossima scadenza di fine marzo per l'approvazione del bilancio 2002 da parte del consiglio di amministrazione e preannunciando, per l'inizio di aprile, un incontro con la comunità finanziaria, nel quale la società avrebbe fornito al mercato le informazioni atte a colmare il deficit di comunicazione lamentato da Assogestioni. L'incontro si tenne effettivamente il 10 aprile nella sede di Borsa Italiana Spa a Milano e il risultato fu di rassicurare il mercato: l'andamento del titolo si mantenne stabile con lieve tendenza al rialzo.
A fornire motivo di ulteriori indagini è stato lo stesso Tanzi che, alla fine di marzo, si è rivolto alla Consob con un esposto in cui lamentava esattamente «un presunto aggiotaggio ai danni del titolo


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Parmalat». I fatti, secondo Tanzi, risalivano al febbraio precedente, quando le azioni Parmalat, come ricordato, erano state al centro di forti movimenti di mercato. Nell'esposto si sosteneva invece che quei movimenti erano da attribuire a manovre speculative orchestrate da operatori di mercato a danno della società. Si chiedeva quindi alla Consob di ricostruire la dinamica dei fatti ed individuare i presunti responsabili. Partendo da quell'esposto, che segnalava un'ipotesi di aggiotaggio a danno della Parmalat, la Consob ha fatto gli accertamenti del caso, impegnando tempo e risorse umane. Le verifiche effettuate non hanno però dato conferma. La conclusione è stata che di aggiotaggio non si poteva parlare. Le oscillazioni del titolo Parmalat, quelle di cui prima ho parlato, erano da considerare riconducibili all'evento dell'emissione obbligazionaria annunciata e poi ritirata, che aveva destato attenzione sul mercato. Visto con il senno di poi, l'esposto potrebbe anche apparire temerario e svelare forse una diversa finalità, ossia l'intento di sviare le verifiche di Consob su Parmalat.
Sulla base del bilancio approvato a fine marzo dal consiglio di amministrazione della Parmalat, la Commissione ha chiesto alla società una serie di chiarimenti e, in particolare, i motivi che giustificavano la peculiare struttura patrimoniale del gruppo. Si voleva far luce, fra l'altro, sui criteri di contabilizzazione dei prestiti obbligazionari, che non erano riportati separatamente rispetto al complesso dei debiti finanziari.
I bilanci evidenziavano un alto livello di disponibilità liquide, pari ad oltre 3 miliardi di euro, a fronte del quale però figurava un elevato grado di indebitamento, pari a circa 7 miliardi di euro. La società ha argomentato sostenendo che l'elevato grado di liquidità era coerente con la politica di espansione del gruppo e che l'abbondanza di attività prontamente disponibile avrebbe permesso a Parmalat di cogliere opportunità di investimento che si potevano presentare sul mercato. Quindi, in sostanza, è stato precisato che le disponibilità liquide erano da destinare ad investimenti che avrebbero presentato una redditività maggiore dei costi dell'indebitamento. I chiarimenti forniti facevano parte di una strategia finanziaria del gruppo che poteva essere condivisa o non condivisa, ma che al momento appariva legittima. Non può rientrare, infatti, nel compito di un'autorità di vigilanza quello di sindacare decisioni industriali, commerciali o finanziarie di un consiglio di amministrazione, decisioni che rimangono nell'ambito di responsabilità dello stesso.
In merito alle specificità della struttura finanziaria, il collegio sindacale, nella relazione sul bilancio 2002, redatta a metà aprile 2003, non aveva evidenziato alcun aspetto critico o fatto censurabile. La stessa valutazione è stata confermata dalla relazione di certificazione, sempre a metà aprile 2003, predisposta dalla società Deloitte, che, nella sua qualità di revisore principale dei conti sulla Parmalat, espresse un giudizio senza rilievi critici in merito alla situazione patrimoniale e finanziaria della società del gruppo.
In questa sede istituzionale, merita segnalare che la normativa di riferimento - ovvero il testo unico della finanza del 1998 - ha voluto attribuire un ruolo essenziale, ai fini del buon governo delle imprese, ai cosiddetti presidi endosocietari, primo fra tutti il collegio sindacale. È questo l'organo che per legge è tenuto a comunicare senza indugio alla Consob le irregolarità riscontrate nell'operato degli amministratori, grazie alla sua attività di vigilanza interna, e a trasmettere i relativi verbali delle riunioni degli accertamenti svolti, nonché ogni altra utile documentazione.
La filosofia sottostante a questa impostazione del testo unico della finanza è che l'organo di vigilanza interna della stessa società è in grado, meglio di quanto possa fare un osservatore esterno all'impresa, di cogliere tempestivamente possibili comportamenti scorretti da parte degli amministratori ed eventualmente segnalarli alle autorità, Consob o autorità giudiziaria che sia.
Questo presidio non ha funzionato, così come non ha funzionato l'altro presidio, cioè quello delle società di revisione.


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A partire dall'inizio dell'estate, l'azione della Consob nei confronti della Parmalat si è fatta più intensa ed incalzante. Infatti, nel corso dell'analisi dei temi connessi ai corporate bonds effettuato nella riunione del Comitato per il credito e il risparmio dell'8 luglio scorso in relazione alla vicenda Cirio, erano emerse alcune ipotesi utili ad estendere l'esame anche al di là del singolo caso. Parmalat, già posta sotto osservazione, è pertanto divenuta da subito una delle maggiori priorità di lavoro per l'Istituto. All'indomani della riunione, proprio il giorno dopo, è stata avviata una serie di atti formali di vigilanza, aventi il preciso obiettivo di fare piena luce sulla situazione del gruppo di Collecchio. È stato fatto ricorso allo strumento previsto dall'articolo 115 del Testo unico della finanza, che attribuisce il potere di chiedere ai soggetti vigilati di fornire informazioni alla Consob, ed è stato anche usato lo strumento dell'articolo 114, chiedendo di comunicare al mercato le modalità di impiego della liquidità che Parmalat dichiarava di possedere.
Da quel momento l'attività di vigilanza non ha avuto tregua. È stato un continuo crescendo di atti formali, sempre più incalzanti, incisivi e penetranti, per entrare sempre più addentro nel complesso bilancio della società. Gli oltre 60 interventi svolti dalla Consob indicano il ritmo incalzante che è stato impresso alla vigilanza per capire che cosa avvenisse nella Parmalat. Destinatari delle accertamenti sono stati, oltre al consiglio di amministrazione, anche il collegio dei sindaci e i due revisori dei conti, la Deloitte & Touche nel suo ruolo dei revisore principale e la Grant Thornton in quanto revisore secondario.
La questione centrale che si riteneva necessario chiarire era quella della asserita liquidità. Premeva anche far luce sull'entità delle emissioni obbligazionarie, per verificare, tra l'altro, eventuali carenze informative verso il mercato. Mano a mano che Consob chiedeva più specifici chiarimenti, le risposte risultavano essere sempre meno soddisfacenti e mettevano, quindi, l'istituto in condizione di dover porre nuove domande e di chiedere nuovi chiarimenti.
È stato un crescendo di richieste d'informazione sempre più mirate, cui facevano riscontro delucidazioni ancora evasive, a volte addirittura imbarazzate. Per ogni domanda che trovava risposta, se ne aprivano altre che richiedevano ulteriori approfondimenti; ci si trovava di fronte ad una società reticente, poco propensa a fornire chiare e complete informazioni sulle poste e sui segreti dei suoi bilanci.
Ricordo che in alcune occasioni domandando ai responsabili del settore di indagine della Consob per quale ragione non si riuscisse ad avere notizie più precise veniva da questi ipotizzato che, forse, la società non disponeva di uno staff sufficientemente efficiente da poter cogliere l'essenza delle nostre richieste. Questo per dire come, a volte, l'evoluzione dei fatti, quando non si ha la malizia di pensare ad una fraudolenza rilevante, possa indurre a interpretazioni, le più varie. L'attività della Consob è pertanto proseguita senza soste anche nel pieno dell'estate e persino in agosto sono stati effettuati ripetuti interventi. La lista degli atti di vigilanza compiuti dalla Consob si è andata sempre più allungando. Sono progressivamente venuti alla luce elementi atti a far sospettare l'esistenza di situazioni non corrette, che solo al termine della lunga e costante indagine hanno portato a svelare l'esistenza di una frode. Messi sotto pressione dalla Consob, il collegio dei sindaci e i revisori hanno fornito informazioni atte a fare emergere dalle pieghe nascoste del bilancio Parmalat il ruolo della Bonlat Financing Corporation, perno importante della truffa che solo dopo è venuto a galla nella sua reale dimensione. La Bonlat è una società controllata da Parmalat, con sede nelle isole Cayman, nel Mar dei Caraibi. Come sembra emergere dalla ricostruzione dei fatti alla quale lavorano i magistrati inquirenti, gli stessi dirigenti della Parmalat consideravano la Bonlat come una sorta di discarica, in cui nascondere le perdite accumulate dal gruppo.


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Dalle carte di lavoro della Grant Thornton è emerso un documento che attestava l'esistenza di gran parte dell'attivo circolante dichiarato in bilancio. Era una lettera di conferma della Bank of America di New York, che comprovava l'esistenza di disponibilità liquide di Bonlat pari a 3,95 miliardi di euro (quindi, circa 4 miliardi di euro, che corrispondono a circa 8.000 miliardi di vecchie lire).
Dalla documentazione acquisita è venuta alla luce, inoltre, l'esistenza di un fondo di investimento denominato Epicurum, con sede nelle isole Cayman, in cui Bonlat dichiarava di aver investito oltre 500 milioni di euro. La messa a fuoco del fenomeno Epicurum ha rappresentato un passo in avanti decisivo nelle indagini. Il fondo, basato in un centro off-shore, non risultava quotato su alcun mercato regolamentato. Per giunta, non era in condizione di presentare alcun resoconto sulla propria attività, visto che all'inizio di autunno dell'anno scorso doveva ancora chiudere il suo primo esercizio.
Dunque, i dubbi si facevano più forti.
A fronte delle nostre crescenti perplessità, il collegio dei sindaci e i revisori, cioè i due interlocutori che per loro compito istituzionale devono collaborare con l'autorità di vigilanza, hanno ribadito le proprie posizioni espresse nel bilancio 2002: carte alla mano, tutto, a loro dire, risultava essere in ordine. La Consob ha esercitato una forte pressione sui due revisori affinché procedessero ad una diversa ripartizione del lavoro. L'obiettivo - sancito peraltro in un principio di revisione entrato in vigore l'estate scorsa - era quello di responsabilizzare maggiormente il revisore principale, ampliando il perimetro di sua competenza, in modo da includervi non solo, in termini quantitativi, la parte più consistente del bilancio, ma anche, in termini qualitativi, quella più sensibile e delicata, ovvero la Bonlat. Il risultato è stato che la Deloitte & Touche, sulla base delle più approfondite e dirette verifiche svolte su Bonlat, ha espresso per la prima volta rilievi critici su Epicurum nella revisione del bilancio del primo semestre 2003 cioè su quel fondo nel quale asserivano essere stati investiti 500 milioni di euro.
Siamo arrivati con ciò alla fine di ottobre. È a questo punto che la Commissione ha tirato le fila dell'attività investigativa svolta nei mesi precedenti ed ha richiesto a Parmalat di predisporre e diffondere al mercato una rappresentazione completa ed organica della situazione per come questa era stata comunicata alla Consob. In particolare, la Consob ha richiesto (ex articolo 114 del Testo unico) di chiarire al mercato i due aspetti che sembravano destare interrogativi: quello relativo alle «attività finanziarie non immobilizzate» e quello relativo alle emissioni obbligazionarie in scadenza sino alla fine del 2004 (quindi, chiedendo come le avrebbero pagate).
In risposta alle richieste della Consob, Parmalat ha fatto avere al mercato, attraverso tre comunicati stampa, parte delle informazioni sollecitate. In particolare, la società ha annunciato che l'investimento in Epicurum sarebbe stato liquidato entro il successivo 4 dicembre (con un colpo di teatro ha detto che avrebbero ripreso i 500 milioni di euro, acquisendo le liquidità relative). Le informazioni diffuse in seguito alle richieste Consob hanno alimentato, però, nuovi interrogativi e nuova inquietudine da parte degli operatori. Per tentare di riportare il sereno, la società ha organizzato una conference call subito dopo la riunione del consiglio di amministrazione del 14 novembre. Le comunicazioni fornite al mercato nel corso di quell'incontro con la comunità finanziaria internazionale non hanno soddisfatto gli operatori. Quel giorno il titolo è stato penalizzato da forti vendite.
L'evolversi degli eventi successivi non ha fatto altro che tenere gli operatori con il fiato sospeso, alimentando timori e preoccupazioni. Il mercato si aspettava il rientro degli investimenti in Epicurum, come annunciato dalla stessa società, ma questo evento non si verificava; al tempo stesso, si stava avvicinando la data del 9 dicembre, giorno in cui sarebbe giunta a scadenza una prima emissione obbligazionaria


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da 150 milioni di euro. Consob ha seguito da vicino e pressantemente questa fase delicatissima, imponendo alla società e al collegio dei sindaci, ove vi fossero stati fatti nuovi, di tenere costantemente informato il mercato sugli sviluppi della situazione.
In assenza di novità positive, il consiglio di amministrazione del 9 dicembre scorso ha preso atto delle difficoltà insorte nella liquidazione della quota in Epicurum (improvvisamente il 9 dicembre è stato detto che il fondo Epicurum non poteva essere liquidato).
Il consiglio d'amministrazione ha deciso, inoltre, di sfruttare tutto il margine di manovra previsto dal regolamento del prestito obbligazionario in scadenza, prendendo tempo fino all'ultimo giorno utile e, cioè, il 15 dicembre, per procedere al rimborso delle obbligazioni. Contestualmente, lo stesso Consiglio d'amministrazione ha conferito al dottor Enrico Bondi un incarico di assistenza professionale per la stesura di un piano di ristrutturazione industriale e finanziaria. L'allarme era, quindi, ormai vasto.
Sul mercato la situazione era oltremodo tesa. Non sfuggiva agli operatori e - tantomeno alla Consob - l'incongruenza tra quanto dichiarato in bilancio (ovvero un attivo circolante, liquido e immediatamente disponibile per quasi 4 miliardi di euro) e le palesi difficoltà dell'azienda a reperire le risorse finanziarie per il rimborso di un'emissione obbligazionaria di appena 150 milioni di euro, di cui, peraltro, 80 milioni risultavano già acquistati dalla stessa Bonlat.
Il 10 dicembre sono stati convocati, nella sede di Roma, lo stesso Tanzi ed il collegio dei sindaci. L'uno e gli altri, ascoltati separatamente, si sono mostrati sorpresi dell'incapacità della Parmalat di rimborsare le obbligazioni.
Da parte della Consob, quindi, i dubbi sono divenuti sempre più forti e si sono incentrati anche sulla stessa dichiarata liquidità.
La Commissione ha quindi convocato immediatamente i revisori della Deloitte & Touche e della Grant Thornton, per effettuare una nuova verifica sulle carte di lavoro, alla base della certificazione del bilancio 2002 e di quella, già avviata, per il bilancio 2003.
In particolare, alla Grant Thornton, che, fino al dicembre 2002, si occupava della revisione della Bonlat, è stato chiesto di effettuare ogni possibile, urgente e specifico accertamento a conferma dell'esistenza dell'attivo, avvalendosi anche di propri corrispondenti a New York.
A seguito di tale cogente pressione della Consob, la Grant Thornton si è rivolta, il 17 dicembre, alla sede di New York della Bank of America, per acclarare, in modo definitivo e nuovamente documentale, la verifica di una carta di lavoro, datata 6 marzo 2003, in possesso dei revisori, che era stata trasmessa alla Consob lo scorso 20 agosto, a testimonianza dell'esistenza della liquidità.
Si tratta del saldo del conto corrente intestato a Bonlat presso Bank of America. Su tale conto avrebbero dovuto esserci i già richiamati 3,95 miliardi di euro liquidi. Il giorno stesso, per motivo di fuso orario (in Italia era già il 18 dicembre), la Bank of America ha fatto conoscere che il documento era falso. Con ciò, si è giunti alla scoperta decisiva (mi sembra di rivivere ancora il momento in cui ho letto le tre righe con cui si dichiarava che era falso).
Veniva meno, in tal modo, il presupposto su cui i revisori avevano costruito la certificazione di bilancio della Bonlat e, a cascata, di tutto il gruppo Parmalat. La dichiarazione della Bank of America era la prova documentale che faceva crollare il castello di carte. Si delineava, per la prima volta in tutta la sua entità, il disegno criminoso costruito nel corso del tempo.
Con la falsificazione del documento della Bank of America, la Parmalat aveva prospettato una situazione di liquidità totalmente inesistente, proponendo alle autorità di controllo una realtà assolutamente non veritiera. Da tale momento si è dispiegata l'azione della Consob nei confronti di tutti i soggetti del mercato, magistratura, dirigenti della Parmalat, per la


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conoscenza dei fatti e per gli eventuali provvedimenti di rispettiva competenza.
Appena acquisita tale drammatica informazione, la Consob ha immediatamente convocato, per metterlo al corrente dei fatti, il dottor Bondi (nel frattempo subentrato a Tanzi nelle funzioni di amministratore delegato). Mi piace ricordare che ho dovuto insistere - peraltro con una persona cortesissima, oltre che molto competente - per chiedergli di venire, lasciando le riunioni che aveva in corso. Egli si allarmò e prese un aereo privato per giungere - entro tre ore - alla Consob. Era necessario fare anche con lui una verifica, prima di dare al mercato una notizia di una tale gravità.
Allo stesso Bondi, giunto, nella medesima serata del 18 dicembre, presso gli uffici della Consob a Roma, è stato chiesto di informare il mercato, attraverso un comunicato stampa, da diffondersi prima dell'apertura della Borsa (che è stato, pertanto, diffuso la mattina del 19 dicembre, subito prima della riapertura delle contrattazioni).
Sempre nel tardo pomeriggio del 18 dicembre 2003 - per l'esattezza, appena definito, con il dottor Bondi, il da farsi - il Presidente della Consob in virtù della specifica competenza a lui attribuita, ha preso contatti telefonici con i procuratori di Milano e di Parma, ricercandoli nelle sedi in cui si trovavano per informarli della scoperta e preannunciare l'invio di una segnalazione di fatti ritenuti penalmente rilevanti.
Sempre nella stessa sera veniva deciso di effettuare accertamenti sulla documentazione trasmessa da Grant Thornton per il tramite dell'Autorità di vigilanza americana - la Securities and Exchange Commission (SEC) - alla quale abbiamo prima effettuato una segnalazione telefonica, seguita, in serata, dall'inoltro di una lettera formale di richiesta di collaborazione internazionale, ai sensi dell'accordo bilaterale tra la Consob e la SEC stabilito dal maggio 1993 e dell'accordo multilaterale di cooperazione della IOSCO (International Organisation of Securities Commissions) del 2002.
Sempre nella tarda serata del 18 dicembre i responsabili delle relazioni internazionali delle due organizzazioni (Consob e SEC) definivano le modalità operative per dare riscontro alla richiesta di assistenza della Consob e nella successiva giornata del 19 dicembre - in tempi, devo dire, brevissimi perveniva dalla SEC una prima conferma telefonica dell'inesistenza di conti intestati a Bonlat Financing Corporation, cui seguiva l'invio di attestazioni legali relative ai conti in oggetto: erano stati chiamati i responsabili della banca e, davanti ad un notaio, era stata fatta dichiarazione attestante l'inesistenza. (Lo devo segnalare in quanto tutto ciò è avvenuto in meno di 24 ore e testimonia sia la validità della collaborazione sia l'efficienza della SEC.)
Il 19 dicembre, la Consob ha trasmesso alle citate procure della Repubblica due distinte segnalazioni di fatti ritenuti penalmente rilevanti, ed ha illustrato l'attività di vigilanza svolta dall'Istituto. Nella stessa giornata, abbiamo dovuto mettere sotto pressione tutto l'apparato tecnico - legale della Consob, per stendere due relazioni che i due procuratori mi avevano chiesto di far pervenire in serata. A titolo di curiosità, dico che la conferma della loro acquisizione è giunta alle ore 23.50 ed alle 23.55 della stessa serata. Nel medesimo giorno, la Consob ha deciso anche di procedere ad un'immediata ispezione presso le sedi di Deloitte & Touche e Grant Thornton, per l'acquisizione di tutti i documenti possibili.
Nei giorni successivi, la collaborazione con l'autorità giudiziaria è proseguita con l'invio di copiosa documentazione a corredo delle segnalazioni già effettuate, concernente anche gli esiti della cooperazione internazionale attivata dalla Consob con analoghe autorità di controllo di altri paesi.
L'attività di cooperazione con la SEC è proseguita con contatti telefonici continui, con l'inoltro di altre due missive da parte della Consob, in date 22 e 23 dicembre 2003, e con l'invio da parte dell'Autorità americana di ulteriore documentazione, tra cui quella che ha poi costituito oggetto


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dell'azione legale intentata dalla SEC negli Stati Uniti contro Parmalat e relativa ai contatti tra esponenti della società italiana ed esponenti del gruppo Blackstone ai quali i Tanzi avrebbero fatto conoscere la reale entità dell'indebitamento del gruppo («avrebbero», in quanto è argomento oggetto di indagine della magistratura). Tutta la documentazione messa a disposizione dalla SEC è stata trasmessa alle Autorità inquirenti di Parma e Milano (verso le quali abbiamo tenuto un comportamento equivalente, inviando ad entrambe le stesse comunicazioni, in modo che ognuna avesse completa cognizione di quanto era in possesso della Consob e da essa conosciuto).
In data 19 dicembre venivano, altresì, avviati intensi contatti telefonici con l'autorità di vigilanza del Regno Unito, la Financial Services Autority (FSA), al fine di far svolgere alla stessa accertamenti sull'operatività di Parmalat e di altre società del gruppo. La richiesta è stata effettuata, sia in base a quanto previsto dalle vigenti direttive comunitarie sia in base agli accordi multilaterali per lo scambio di informazioni riservate presi in sede CESR (Committee of European Securities Regulators) e IOSCO. La FSA, così come il giorno precedente la SEC, ha avviato immediatamente accertamenti, al fine di prestare alla Consob l'assistenza richiesta.
A quel punto, si è posta anche un'evidente questione di inattendibilità della rappresentazione fornita nei bilanci. Effettuati, per scrupolo, ulteriori accertamenti documentali e raccolte altre evidenze, al fine di avere una documentazione più completa, Consob ha deciso di impugnare il bilancio Parmalat per il 2002, esercitando così i poteri previsti dall'articolo 157 del Testo unico della finanza.
Appariva, infatti, ormai chiaro che quel bilancio era stato redatto in violazione delle norme del codice civile, secondo cui i documenti contabili devono fornire una rappresentazione veritiera, corretta e completa della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell'impresa.
In data 29 dicembre la Consob ha altresì ricevuto informazioni dall'Autorità di vigilanza olandese, mentre le Autorità delle isole Cayman, che in un primo tempo avevano offerto assistenza alla Consob, successivamente hanno inoltrato documentazione all'Ufficio italiano cambi, l'autorità italiana che vigila sul riciclaggio. Nello stesso giorno, su richiesta della SEC, che preannunciava l'avvio di una azione civile negli Stati Uniti, il presidente della Consob prendeva contatti con i Procuratori di Milano e Parma per organizzare incontri tra i magistrati inquirenti e gli investigatori della SEC.
Gli incontri si sono svolti tempestivamente e precisamente il 31 dicembre presso tutte e due le sedi. I contatti tra la SEC e le Autorità inquirenti italiane continuano, l'Ufficio relazioni internazionali della Consob opera per favorire la collaborazione tra le predette autorità e la SEC, in particolare per le perquisizioni e per i sequestri all'estero. Ci sono cose che rientrano nel riserbo dell'autorità inquirente, ma posso dire che i primi contatti sono stati non solo concordati con la Consob, ma anche che il responsabile dell'Ufficio relazioni internazionali ha addirittura accompagnato i massimi responsabili della SEC, giunti in Italia per stabilire contatti diretti con la magistratura italiana, a Milano e a Parma. È veramente da apprezzare questa velocità di consultazione, anche perché la dimensione del fenomeno non è solo nazionale, ma è estesa anche all'estero; quanto e come lo stabiliranno gli inquirenti.
In data 8 gennaio l'Autorità americana veniva nuovamente interessata formalmente dalla Consob, con una richiesta di assistenza ai sensi degli accordi di cooperazione già citati, in merito ad indiscrezioni, diffuse a mezzo stampa la mattina dello stesso giorno relative all'esistenza di disponibilità riconducibili alla famiglia Tanzi ed al gruppo Parmalat, sempre presso la Bank of America. La cifra recuperata, sarebbe stata nell'ordine di grandezza di 7 miliardi di euro. La fonte citata era il comitato creditori Parmalat, presieduto dall'avvocato riminese Mauro Sandri, con cui la Consob si è subito messa in contatto. Al diffondersi delle


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indiscrezioni i mercati sono entrati in fibrillazione. In particolare, i titoli del settore bancario, pesantemente penalizzati il giorno prima, hanno avuto un andamento in netto rialzo. A fronte di dette asserzioni la Consob ha chiesto, quindi, di diffondere un comunicato stampa di commento. La Parmalat ha fatto sapere di non essere a conoscenza di alcun fatto in merito al presunto ritrovamento del «tesoro». L'asserzione circa l'esistenza di fondi riconducibili al gruppo Parmalat è stata rinnovata, per cui la Consob ha concordato con il dottor Bondi ulteriori accertamenti presso la Bank of America; alla data di domenica 18 gennaio l'asserzione non ha avuto alcun riscontro positivo, come mi ha comunicato nella serata in ufficio il dottor Bondi. Ieri, 19 gennaio, è stata effettuata dalla Consob una ulteriore segnalazione alle Autorità giudiziarie di Milano e Parma, perché questa ripetuta indiscrezione diffusa a mezzo stampa, che sostiene l'esistenza di un «tesoro» che rimuoverebbe lo stato di dissesto, turba i mercati.
In data 9 gennaio 2004 la Consob ha proceduto nuovamente ad interessare formalmente la FSA del Regno Unito, con una nuova richiesta di cooperazione relativa a transazioni su titoli emessi da società del gruppo Parmalat. Al contempo la Consob ha ricevuto informazioni dalle Autorità irlandesi (Irish financial services regulatory authority e Office of the director of corporate enforcement) in merito a società collegate al gruppo Parmalat esistenti in Irlanda che ha provveduto a trasmettere alle Autorità giudiziarie.
In pari data, a seguito di espressa richiesta della Consob, l'Autorità maltese (Malta financial services authority) ha inviato documenti depositati presso il registro delle imprese di Malta da società riconducibili al gruppo Parmalat, che la Consob ha prontamente trasmesso alle autorità giudiziarie.
L'attività di cooperazione è tuttora in corso, e la Consob sta procedendo ad inoltrare richiesta di cooperazione ad altre autorità.
Le informazioni ricevute dalla Consob nell'ambito della cooperazione internazionale sono coperte dal segreto d'ufficio, tanto ai sensi della normativa interna (articolo 4, comma 4, del Testo unico della finanza) quanto ai sensi della normativa comunitaria. Tuttavia, le informazioni ricevute possono essere poste a disposizione dell'autorità giudiziaria per collaborare alle indagini in corso, come del resto è stato fatto. La Commissione continua nella sua attività di vigilanza, anche nei confronti delle società di revisione e segue da vicino gli sviluppi del caso Parmalat.
Giovedì 14 gennaio, anche in previsione di questa audizione, è stato convocato in Consob il dottor Bondi per conoscere lo stato degli accertamenti in corso, la reale situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo e le iniziative in atto per ripristinare le condizioni di continuità aziendale. Il dottor Bondi ha confermato che entro la fine di gennaio conta di essere in condizione di tracciare un primo quadro sull'effettiva situazione economico-finanziaria del gruppo, anche alla luce degli accertamenti svolti dai consulenti da lui scelti (PriceWaterhouseCoopers, Mediobanca e Lazard).
È stato redatto un elenco degli interventi svolti dalla Consob, che trovano traccia documentale nei nostri uffici, dal febbraio 2003 fino ad oggi, per dimostrare quanto è stato fatto e per mostrare come dietro ogni intervento esista una serie, anche considerevole, di documenti di cui la magistratura dispone compiutamente. Ad oggi sono stati compiuti 75 atti di intervento da parte della Consob (l'ultimo, non ancora inserito nell'elenco, è quello concernente una ulteriore segnalazione alla procura sulla cosiddetta notizia del ritrovamento del «tesoro»).
Prima di passare alla Cirio vorrei fare una considerazione. In questa vicenda ci si trova di fronte ad una truffa certamente di dimensioni internazionali: un presidente-amministratore delegato ha tenuto comportamenti che non esito a definire fraudolenti. A questo è da aggiungere un consiglio di amministrazione che, come la magistratura accerterà, è stato connivente


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o silente. Vanno poi aggiunti gli uffici finanziari conniventi o silenti, un collegio sindacale connivente o silente, le società di revisione conniventi o silenti. Si tratta di una truffa di dimensioni eccezionali, che certamente è stata costruita nel corso degli anni e che poteva essere scoperta oggi o anche fra mesi. In genere una truffa di queste dimensioni si scopre quando il castello di carte crolla per mancanza di liquidità. Questo è un caso in cui debbono essere prese tutte le misure possibili e, certamente, questa è la sede più appropriata per esaminare la vicenda e produrre ciò che sarà ritenuto idoneo a migliorare e perfezionare l'esistente; tuttavia una truffa di tal genere può sfuggire anche a coloro che hanno le migliori capacità di approfondimento.
Certe volte può avvenire che la si scopra per una intuizione oppure per un fatto oggettivo; altre volte può avvenire che nel corso di una riunione si diano a domande risposte talmente sprovvedute da fare porre il problema di svolgere ulteriori accertamenti anche su atti trasmessi a comprova di quanto asserito. Oppure si deve proprio aspettare che crolli il castello perché non c'è più niente. Questa è una considerazione spot, ma è fatta con la serenità di chi è convinto che l'Istituzione ha operato con molta determinazione esercitando una attività di controllo sempre più pressante.
Passiamo al caso Cirio, che non è la stessa cosa.
Nel novembre del 2002 venne dichiarato il default di uno dei prestiti obbligazionari del gruppo Cirio; scattarono quindi le clausole di cross default per gli altri sei prestiti obbligazionari in essere, emessi per un importo complessivo di 1,125 miliardi di euro. Gran parte dei prestiti era quotato alla Borsa di Lussemburgo, nessuno presso Borsa Italiana. Tutti i prestiti erano privi di rating.
Il notevole importo dei crediti finanziari del gruppo quotato verso società correlate, direttamente controllate dall'azionista di maggioranza, e il venir meno di un accordo per la cessione di una società brasiliana appaiono essere stati alla base della crisi in cui il gruppo Cirio è precipitato.
Nel «caso Cirio» i problemi di vigilanza posti dalla vicenda sono non solo riconducibili alla scarsa trasparenza delle operazioni poste in essere dalla società quotata e dei bilanci relativi (con particolare riferimento alle operazioni finanziarie con parti correlate), ma anche al collocamento presso la clientela non professionale (cosiddetta retail) da parte di banche italiane dei prestiti obbligazionari collocati inizialmente attraverso offerte riservate a investitori istituzionali.
Nel corso degli ultimi tre anni, a partire dai primi mesi del 2000, la Consob è intervenuta ripetutamente con richieste di integrazione delle informazioni concernenti la situazione economico-finanziaria della Cirio e del suo gruppo, nell'ambito dell'attività di controllo sulla trasparenza dell'informativa al mercato. In particolare, essa è intervenuta sistematicamente in occasione delle assemblee della società che approvavano il bilancio di esercizio e ha fatto ciò nonostante il Testo unico della finanza avesse abrogato l'obbligo di trasmissione del progetto di bilancio alla Consob nei venti giorni precedenti l'assemblea.
L'attività di vigilanza (enforcement) realizzata nei tre anni qui considerati, si sostanzia in dodici audizioni, a livello di commissione o di uffici, di amministratori, sindaci e revisori; sono state effettuate inoltre, nello stesso periodo, dieci richieste di integrazione dell'informativa su poste contabili non ritenute idonee o sufficienti, oltre ai comunicati stampa (76 nel triennio) richiesti dalla Consob ai sensi della disciplina dell'informazione continua (price sensitive information).
Le richieste fatte e i comunicati diramati hanno posto sistematicamente all'attenzione del mercato le poste critiche del bilancio del gruppo quotato, e richiamato più volte l'attenzione degli organi preposti al controllo contabile e amministrativo della società su quelle valutazioni.
Sintetizzo di seguito i vari interventi realizzati. Essi, in particolare, si sono


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intensificati a partire dai primi mesi del 2000, a seguito del rilevante incremento (circa 550 miliardi di lire tra il 1998 e i1 1999) dei crediti finanziari netti verso società correlate facenti capo direttamente al dottor Sergio Cragnotti. Tale incremento era imputabile all'acquisizione, a dicembre del 1999, - così veniva documentato - da parte della Cirio della Bombril S.A., società quotata brasiliana già di proprietà dello stesso dottor Cragnotti, che in questo modo entrava a far parte del gruppo quotato italiano. La Bombril già da tempo presentava una forte esposizione creditoria verso tali società correlate.
La Consob, nei mesi precedenti l'approvazione del bilancio 1999, avviò un'intensa attività di acquisizione di informazioni nei confronti sia degli amministratori sia degli organi di controllo (sindaci e revisori), culminata con una richiesta di integrazione delle informazioni da fornire in occasione dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio 1999. In tale occasione venne, fra l'altro, richiesta un'approfondita disamina dei crediti vantati dal gruppo Cirio verso parti correlate, con particolare riguardo alle motivazioni economiche sottostanti e alle valutazioni formulate dagli amministratori a giustificazione della loro recuperabilità.
Come ampiamente riportato dagli organi di stampa (si veda per tutti l'articolo de Il Sole-24 Ore del 28 giugno 2000 intitolato «Faro Consob sui debiti ed i pegni Cirio»), nel corso della predetta assemblea gli amministratori fecero presente che i crediti in questione non risultavano assistiti da garanzie ed erano considerati interamente recuperabili sulla base delle situazioni economico-patrimoniali delle società debitrici e dei progetti di valorizzazione delle attività possedute da queste ultime.
I revisori della Deloitte & Touche, da parte loro, espressero il proprio giudizio sul bilancio 1999 senza formulare alcun rilievo sulla recuperabilità dei crediti in discorso. Tali valutazioni vennero confermate dagli stessi revisori in una memoria trasmessa alla Consob su specifica richiesta di quest'ultima.
Il quadro emerso dall'informativa resa nel corso dell'assemblea di approvazione del bilancio 1999 del 26 giugno 2000 indusse la Consob ad acquisire informazioni direttamente dal dottor Sergio Cragnotti, allo scopo di avere indicazioni in merito alle iniziative previste per la sistemazione delle posizioni creditorie nei confronti delle società controllanti e consociate e delle garanzie concesse.
Ad esito di tale richiesta venne trasmesso alla Consob e reso pubblico un complesso piano di riassetto del gruppo brasiliano Bombril, fondato anche sulla vendita di una parte rilevante del gruppo stesso ad una multinazionale americana, che avrebbe dovuto generare la liquidità necessaria a sistemare le posizioni debitorie. L'informativa in proposito, resa al mercato nei primi mesi del 2001, risultava comunque frammentata e incompleta; la Consob decise pertanto di richiedere ancora, in sede di approvazione del bilancio 2000, la predisposizione di una specifica memoria da mettere a disposizione dei soci.
In sede assembleare i sindaci, su specifica richiesta della Consob, dichiararono di ritenere il piano formulato dall'azionista di riferimento rispondente all'interesse sociale. I revisori Deloitte & Touche, da parte loro, espressero il proprio giudizio sul bilancio 2000 senza formulare alcun rilievo sulla recuperabilità dei crediti verso parti correlate.
Poco dopo, ad agosto del 2001, gli accordi con la società americana vennero meno improvvisamente (secondo quanto riferito) in ragione di un secco rifiuto da questa opposto a richieste modificative da parte della Cragnotti & Partners Capital Investment NV, azionista indiretto di maggioranza della Cirio Finanziaria.
Anche nella relazione semestrale al 30 giugno 2001, resa nota il 12 settembre, venivano riportate informazioni sulla rottura delle trattative con la società americana e sulla circostanza che sarebbe «proseguita la ricerca di un partner industriale affidabile insieme al quale fronteggiare il mutato ed impegnativo scenario».


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Nel 2002, in occasione dell'assemblea convocata per approvare il bilancio 2001, la Consob chiedeva ancora agli amministratori della società di riferire sulla mancata realizzazione dei piani. Poiché le informazioni fornite in assemblea erano apparse poco dettagliate e non chiare, la Commissione richiese alla Cirio l'emissione di un comunicato stampa contenente le considerazioni degli amministratori in ordine allo stato dell'indebitamento finanziario a data aggiornata, alle prospettive di rientro e all'eventuale esistenza di un nuovo piano finanziario.
Anche in tale occasione la Deloitte & Touche - che pur riportava nella propria relazione di revisione un richiamo di informativa, come già nell'esercizio precedente - non sollevava dubbi circa la recuperabilità dei crediti verso le parti correlate.
Gli interventi finora sintetizzati hanno consentito, in attuazione del compito istituzionale della Consob, di realizzare la massima trasparenza possibile sui punti critici della situazione finanziaria del gruppo Cirio. Le vicende successive, tuttavia, hanno dimostrato che anche il realizzarsi di condizioni di trasparenza non è elemento sufficiente ad impedire situazioni di crisi.
Nel novembre 2002, come è stato ricordato, veniva dichiarato il default di uno dei prestiti obbligazionari emessi, primo atto di una serie di fatti che, dopo il giugno 2003, sono culminati con l'ammissione della società all'amministrazione straordinaria, tuttora in corso.
Dopo il default, la Consob dava inizio a una nuova fase della propria attività, volta a dare la massima trasparenza informativa alla situazione di crisi e ad individuare l'esistenza di violazioni della normativa da parte dei diversi soggetti coinvolti nella vicenda.
Alla società ed al suo presidente-amministratore delegato venne richiesto di dare al mercato un completo aggiornamento sulla situazione finanziaria, sui crediti/debiti infragruppo, sui prestiti obbligazionari ancora in essere, sulle iniziative della società per superare lo stato di crisi. A fine novembre 2002 la Consob richiedeva alla società di emettere mensilmente un comunicato stampa concernente, tra l'altro, l'aggiornamento dell'indebitamento finanziario netto, delle procedure concernenti il default del prestito obbligazionario scaduto e degli altri in essere, nonché lo stato di avanzamento di trattative per le annunciate cessioni di partecipazioni.
Contestualmente, la Consob deliberava lo svolgimento di una urgente verifica ispettiva presso la società, svoltasi poi nel periodo dal 15 al 28 novembre 2002. Anche alla luce di quanto emerso da tale verifica, la Consob ha impugnato (con atto in data 20 gennaio 2003) i bilanci d'esercizio e consolidato al 31 dicembre 200l, avendo rilevato irregolarità nella valutazione dei crediti con parti correlate e nella descrizione degli impegni derivanti dai prestiti obbligazionari. Nello stesso tempo la Consob ha altresì effettuato verifiche ispettive nei confronti delle società di revisione (Deloitte & Touche e Grant Thornton); si stanno concludendo i procedimenti volti all'eventuale applicazione di provvedimenti sanzionatori.
La Consob ha posto altresì l'attenzione sul comportamento tenuto dagli amministratori della Cirio, con particolare riguardo alla relazione semestrale al 30 giugno 2002 (datata 13 settembre 2002) nella quale mancavano riferimenti alle incertezze esistenti sulla capacità del gruppo di far fronte ai propri impegni finanziari (in particolare al prestito obbligazionario in scadenza nel novembre 2002) ed era fornita una descrizione rassicurante della situazione economico-patrimoniale del gruppo medesimo. Su tale profilo la Consob ha messo in discussione anche la correttezza del comportamento dei sindaci che non hanno evidenziato alcuna irregolarità all'Autorità (secondo quanto previsto dall'articolo 149, comma 3, del TUF, da me già richiamato e che obbliga gli stessi a comunicare senza indugio le irregolarità riscontrate nell'attività di vigilanza e a trasmettere i relativi verbali delle riunioni e degli accertamenti svolti e ogni altra utile documentazione) o ai soci. I sindaci, infatti, essendo tenuti a


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vigilare, fra l'altro, sulla completezza e chiarezza informativa della relazione semestrale e avendo assistito alle riunioni dell'organo di gestione, erano a conoscenza nel caso di specie dell'esistenza di incertezze in merito al rimborso del prestito obbligazionario.
Oltre che sul fronte dell'informativa societaria, la Consob ha svolto un'intensa attività di vigilanza sul comportamento tenuto dagli intermediari che, nel triennio 2000-2002, hanno collocato o negoziato obbligazioni del gruppo Cirio. In quel periodo, infatti, il gruppo Cirio aveva emesso sette prestiti obbligazionari sull'euromercato per un controvalore complessivo di 1,125 miliardi di euro, tutti privi di rating, collocati attraverso offerte riservate ad investitori istituzionali e quotate sulla borsa del Lussemburgo.
Secondo la documentazione formale predisposta per quelle offerte (offering circular e subscription agreement), le obbligazioni erano destinate ad investitori professionali, a cui gli intermediari (lead manager e manager) incaricati del collocamento avrebbero venduto i titoli su base individuale; in quei documenti si dava conto che, proprio in ragione di tali peculiarità dell'offerta, non era stato predisposto un prospetto informativo di sollecitazione.
La Consob ha sviluppato su tali aspetti una intensa attività di vigilanza, finalizzata a conoscere le effettive dimensioni del fenomeno della diffusione di corporate bonds presso investitori italiani, in particolare nella fase del cosiddetto «mercato grigio» o grey market (ossia nel periodo compreso tra la data di lancio e la data di primo regolamento dell'emissione). Partendo da un gruppo di oltre cento intermediari, sono stati selezionati dieci intermediari più attivi sui titoli in questione.
La Consob, nell'aprile 2003, ha avviato accertamenti ispettivi nei confronti di sei dei dieci intermediari individuati, al fine di valutare eventuali violazioni della disciplina vigente in materia di «sollecitazione all'investimento» e di «prestazione di servizi di investimento». Per i restanti quattro intermediari, nei confronti dei quali erano già in corso, ad altri fini, accertamenti ispettivi da parte della Banca d'Italia, la Commissione ha richiesto a quest'ultima - come previsto dagli articoli 4, comma 1, e 10, comma 2, del TUF (che stabiliscono la reciproca collaborazione tra le due autorità anche in sede ispettiva) - di effettuare specifici accertamenti.
È appena il caso di rilevare che le sei ispezioni condotte tra il mese di aprile e quello di settembre 2003 hanno sostanzialmente assorbito l'intera «capacità produttiva» dell'ufficio ispettorato, così come gli esiti ispettivi relativi ai dieci intermediari stanno ancora impegnando, di fatto pressoché totalmente, le risorse degli uffici di vigilanza. Come segnalerò più diffusamente nella parte finale del mio intervento, questo rappresenta certamente un caso particolarmente evidente dell'assoluta necessità di rafforzare la dotazione di uomini e mezzi della Consob.
Allo stato attuale, le ispezioni sono concluse e i documenti e le informazioni acquisiti sono in fase di sottoposizione all'esame della commissione. Ove se ne individuino i presupposti, si procederà all'avvio di procedimenti sanzionatori a carico di soggetti ritenuti responsabili ed alla conseguente proposta al Ministero dell'economia delle relative sanzioni. Sulle determinazioni che saranno assunte, quali che esse possano essere, la Consob dovrà comunque tempestivamente riferire all'autorità giudiziaria con la quale, a partire dal marzo 2003, è in corso una vasta, puntuale e intensa attività di collaborazione. Quindi, ritengo che nella prossima settimana (e se necessario anche nella seguente) vi sarà l'esame di una prima relazione di base e generale sulle risultanze ispettive dei dieci istituti bancari e, successivamente, vi sarà l'analisi sulle risultanze delle ispezioni specificatamente riguardanti i dieci istituti.
Si tratta di una attività improba per difficoltà, per l'esigenza di svolgere bene il lavoro e per la vastità e la delicatezza della materia. Comunque si tratta di una attività che la commissione conta di portare a termine nel più breve tempo possibile. Su ciò, naturalmente, vige il segreto istruttorio;


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io stesso non sono a conoscenza delle risultanze emerse e le esaminerò soltanto quando gli atti saranno distribuiti. È costume della Consob che gli uffici siano lasciati lavorare in piena responsabilità e indipendenza. L'intervento del presidente o degli organi della commissione è volto soltanto a conoscere i tempi entro i quali gli uffici ritengono di poter portare a termine la propria attività. Si tratta di un ottimo sistema di funzionamento reciprocamente rispettoso.
In relazione a tale vicenda, si segnala che alcuni primari istituti di credito hanno avviato iniziative volte a rimborsare in tutto o in parte i risparmiatori che avevano acquistato obbligazioni del gruppo Cirio, sulla base di valutazioni, caso per caso, circa l'eventuale non corretta o non completa rappresentazione dei rischi dell'investimento e circa la sua adeguatezza rispetto alla situazione patrimoniale complessiva dei singoli risparmiatori; un altro istituto ha invece individuato un diverso sistema di ristoro.

PRESIDENTE. Propongo di sospendere la seduta per cinque minuti.

LUCA VOLONTÈ. Vorrei sapere se al termine della relazione del presidente Cardia si continuerà con le altre audizioni, aggiornando le domande al presidente ad un'altra giornata.

PRESIDENTE. No, prevedo di far porre ai colleghi le domande; vi sono già venti richieste di intervento.
Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 10,30, è ripresa alle 10,35.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ricordo che al termine della seconda parte della relazione del presidente della Consob Cardia passeremo alle domande. I colleghi iscritti a parlare sono al momento già venti; i deputati e i senatori interverranno tenendo conto dell'appartenenza ai diversi gruppi. Ai fini di una migliore comprensione, come abbiamo già fatto con il ministro Tremonti - se il presidente della Consob è d'accordo -, divideremo gli interventi in gruppi di cinque, ai quali il presidente Cardia potrà rispondere, continuando successivamente con le altre domande.
Il tempo a nostra disposizione non è poco, ma pregherei comunque i colleghi di essere sintetici nell'esposizione e di formulare le domande in maniera da poter concentrare il massimo di contributo informativo nel minor tempo possibile.
Do nuovamente la parola al professor Cardia, presidente della Consob.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Vorrei soltanto fare una precisazione in relazione a una domanda che mi è stata fatta. Ho svolto alcune considerazioni a braccio sul fatto che dal presidente della Parmalat a tutti i vari organismi che ho citato - tranne il primo, che ho dichiarato fraudolento - gli altri sono stati conniventi o silenti. Per fugare ogni dubbio vorrei precisare che quando ho parlato degli uffici finanziari, mi stavo riferendo agli uffici di contabilità della società e non certo all'Amministrazione finanziaria dello Stato.
La vicenda Cirio, e ancor più quella Parmalat pongono in evidenza l'esigenza di intervenire con sollecitudine per ripristinare la fiducia dei risparmiatori e per non demonizzare uno strumento, le obbligazioni societarie (corporate bonds), che - come riferito all'inizio - costituisce una componente importante del mercato finanziario. Già nell'audizione parlamentare del 7 ottobre scorso davanti alla Commissione Finanze della Camera dei deputati ho ritenuto di sottolineare tale esigenza e di formulare una ipotesi, fra le varie possibili, atta a concorrere al ripianamento dei danni subiti dai risparmiatori nel collocamento delle obbligazioni.
Rilevo che la semplice proposta, che allora forse è apparsa azzardata, sta avendo un seguito crescente presso i più importanti intermediari bancari. Elementi di quella proposta sembrano anche confluire


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nelle ipotesi di riordino del sistema dei controlli, attualmente in fase di elaborazione da parte del Governo.
Detto questo, più delicato appare il problema del cosa fare per agire con tempestività ed efficienza. Consegnerò poi agli atti della Commissione non soltanto il testo che sto leggendo, ma anche un altro documento: si tratta di un documento che è in fase di definizione e che è in qualche punto più esplicativo rispetto alla relazione da me letta. Nel documento, che verrà consegnato agli atti delle Commissioni con il consenso della Presidenza, verranno indicate singole proposte tecniche di riforma della legislazione.
Mi preme però fin d'ora segnalare che, quale che sia il sistema delle norme dei controlli, eventi come quelli del crack Parmalat, in cui si sono intrecciate connivenze e soggezioni tutte finalizzate a commettere illeciti penali di rilevante fraudolenza, ben difficilmente sarebbero stati evitabili. Si tratta, quindi, di agire per spingere al massimo livello la soglia di prevenzione.
Inoltre, può essere utile considerare alcuni insegnamenti che ci vengono dallo sviluppo e dall'applicazione che la normativa sul mercato finanziario ha avuto nel nostro Paese. Per quel che riguarda il contributo della Consob all'attuale quadro normativo va detto che, per molti anni a partire dalla sua costituzione nel 1974, essa ha operato sulla base di un disegno normativo ridotto ai minimi termini, in cui mancavano molte delle componenti necessarie per poter considerare la regolamentazione del mercato finanziario esistente almeno compatibile con quella dei principali paesi europei.
La presenza istituzionale della Consob ha, però, contribuito alla diffusione della cultura della regolamentazione che, nel corso del tempo, anche grazie alla collaborazione con i governi e i Parlamenti, ha reso possibile un progressivo rafforzamento della disciplina.
Dell'inizio degli anni '90 sono le prime leggi sull'intermediazione finanziaria, sugli abusi di informazione privilegiata e sulle offerte pubbliche di acquisto. Ricordo che prima di tale fase gli unici intermediari mobiliari riconosciuti erano gli agenti di cambio-persone fisiche e che altri soggetti attivi sul mercato non avevano alcuna regolamentazione in quanto intermediari in valori mobiliari.
Il Testo unico della finanza del 1998, a cui la Consob ha collaborato fattivamente, ha dato per la prima volta un assetto ordinato e completo alla regolamentazione del mercato finanziario, intervenendo anche su alcuni rilevanti aspetti di corporate governance delle società quotate. Per tale ragione esso è stato salutato unanimemente come un'evoluzione estremamente positiva nel quadro normativo nazionale.
Sulla base del Testo unico il controllo della Consob sugli emittenti quotati è un controllo di trasparenza, finalizzato ad assicurare la corretta informazione dei risparmiatori, per un consapevole compimento delle scelte di investimento o disinvestimento. Il parametro di giudizio di tale controllo è la correttezza intesa come completezza, chiarezza, coerenza e adeguatezza delle notizie fornite al mercato. Esso è necessariamente fondato sulle informazioni di cui l'Autorità dispone, su quelle che - nei limiti consentiti dalla normativa - può acquisire e, in particolar modo, sul presupposto normativo di un corretto funzionamento dei controlli endosocietari.
Non spetta invece alla Consob giudicare della veridicità dell'informazione - un controllo siffatto sarebbe del tutto incompatibile con i tempi del mercato e rappresenterebbe un unicum nel panorama internazionale - né pronunciarsi sul merito o sulla convenienza delle operazioni societarie.
La disciplina prevede, da una parte, obblighi informativi che devono essere adempiuti direttamente dalle società emittenti; dall'altra, poteri di richiesta di diffusione di ulteriori informazioni o di acquisizione di dati e notizie che la Consob può esercitare. Riguardo ai primi l'Autorità non svolge solo il compito di verifica dell'esatto assolvimento dell'obbligo ma contribuisce, attraverso il potere regolamentare, a definire un assetto normativo


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di regole che sia idoneo a soddisfare le esigenze informative del mercato e che sia rapidamente aggiornabile, anche con il contributo degli operatori.
Per perseguire l'obiettivo della correttezza e della trasparenza dei dati societari forniti al mercato, il Testo unico della finanza ha definito un articolato sistema di controlli sugli emittenti quotati. In questo sistema i revisori e i collegi sindacali, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze (per la prima volta chiaramente distinte), costituiscono il primo livello di controllo.
Nel sistema delineato dalla legge la Consob si attiva principalmente sulla base delle segnalazioni ricevute da sindaci e revisori, il cui corretto operare costituisce quindi il presupposto dell'intervento della Commissione. Esso è volto ad assicurare la «chiusura» del sistema dei controlli, che comprende anche la possibilità per la Consob di sanzionare i sindaci e soprattutto i revisori iscritti all'albo da essa tenuto.
Ognuno deve fare la sua parte. Ma se coloro che agiscono all'interno della società non individuano i sintomi di una possibile criticità e, quindi, non li segnalano, ma anzi attestano la piena regolarità dell'agire della stessa, allora gli ulteriori presidi vengono ad essere privati del presupposto necessario per un efficace e tempestivo funzionamento. Di conseguenza l'effettiva situazione dell'impresa potrebbe anche non emergere fino al momento dell'insolvenza.
Coerentemente con la scelta operata dal TUF di prevedere diversi livelli di controlli e con le tecniche utilizzate dagli omologhi organismi europei di vigilanza sulla base di principi riconosciuti in ambito internazionale, l'intervento della Consob si fonda su metodi di campionamento per selezionare gli emittenti e i documenti da esaminare ed è ordinariamente successivo alla diffusione di documenti societari.
Queste scelte dipendono anche dal numero di risorse disponibili, che nel caso della Consob è notoriamente limitato. Del resto la definizione di un efficiente sistema di controlli non può non tener conto anche dei costi che gravano sulla collettività e quindi sui soggetti controllati e dell'esigenza di non ostacolare i tempi del mercato.
La disciplina degli intermediari è essenzialmente fondata su regole di correttezza e trasparenza nei rapporti con gli investitori e sulla qualità dei servizi resi. Principi fondamentali del comportamento degli intermediari sono l'adeguata conoscenza degli strumenti finanziari trattati e la conoscenza del cliente, entrambe preliminari alla valutazione dell'adeguatezza agli interessi e agli obiettivi di investimento dei clienti delle operazioni concluse per loro conto.
Il controllo del rispetto di tali regole non può essere evidentemente concomitante, ma può essere svolto a posteriori e su base campionaria. Per tali ragioni la regolamentazione emanata dalla Consob pone un'enfasi particolare sugli aspetti organizzativi e procedurali degli intermediari, la cui efficienza ed adeguatezza è indice di un corretto svolgimento dell'attività.
Nel caso di collocamento di obbligazioni societarie, in assenza di un'offerta pubblica di vendita, sono quindi le regole di condotta e di trasparenza ad assumere rilievo e la loro osservanza costituisce il presidio essenziale per la tutela degli investitori.
Le esperienze applicative delle leggi che si sono susseguite ed il continuo contatto con l'evoluzione comunitaria ed internazionale hanno sempre indotto la Consob ad evidenziare tempestivamente, nelle proprie relazioni annuali o attraverso la propria partecipazione a sedi istituzionali, le correzioni o integrazioni necessarie. Ciò è avvenuto anche dopo l'approvazione del Testo unico del quale - fermi restando gli aspetti largamente positivi - furono da subito segnalate alcune mancanze su cui sarebbe stato il caso di intervenire tempestivamente: il mantenimento dell'opacità su alcune parti del sistema finanziario, rientranti nel mondo bancario ed assicurativo; la mancata attribuzione alla Consob di poteri ispettivi e di accertamento più forti, che pure erano stati ipotizzati


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sulla base di consolidate esperienze estere; la debolezza dell'apparato sanzionatorio, elemento quest'ultimo di particolare rilievo.
Vorrei chiarire meglio il mio pensiero su questi tre punti, anche per evitare interpretazioni non volute. Per «opacità su alcune parti del sistema finanziario» si intende la sottrazione, da parte dell'articolo 100 del Testo unico, di alcuni prodotti finanziari - principalmente le obbligazioni bancarie e le polizze assicurative a contenuto finanziario - agli obblighi stabiliti dalla disciplina in materia di sollecitazione all'investimento, e dunque principalmente a quelli di comunicazione alla Consob e di redazione di un prospetto informativo contenente le informazioni necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sull'investimento loro proposto. Ciò comporta la non completa realizzazione della vigilanza per finalità, che rappresenta una delle linee di fondo del Testo unico: alla Consob la vigilanza sul rispetto delle norme di trasparenza e correttezza dei comportamenti e alla Banca d'Italia, come è noto, la vigilanza sul rispetto delle norme di adeguatezza e stabilità patrimoniale. In qualche caso l'obiettivo della stabilità può confliggere con quello della trasparenza verso l'investitore.
Passo ora a chiarire il concetto di mancata attribuzione alla Consob di poteri ispettivi e di accertamento più forti. Alla Consob non sono stati attribuiti alcuni poteri di cui dispongono autorità di altri paesi e previsti, limitatamente all'insider trading, nello schema di decreto legislativo relativo al Testo unico prima del parere delle Camere. Ricordo fra questi i poteri di effettuare richieste e disporre ispezioni nei confronti di chiunque; richiedere perquisizioni o sequestri; richiedere l'accompagnamento coattivo di chi non avesse collaborato con le richieste presentate.
Per quanto riguarda la debolezza dell'apparato sanzionatorio, chiarisco che le sanzioni amministrative pecuniarie si sono rivelate poco efficaci, in particolare per la loro ridotta entità. Attualmente la sanzione massima in materia di intermediari è di 50 milioni delle vecchie lire, mentre in materia di emittenti sale a 200 milioni. Ricordo poi: la lentezza della procedura che coinvolgono più istituzioni, Consob e Ministero dell'economia e delle finanze (quando si fa una proposta si deve trasmetterla al suddetto Ministero, che provvederà a vagliarla, approfondirla e trasformarla in decreto); la scarsa pubblicità, dovuta alla possibilità per i soli emittenti di far ricorso alla cosiddetta oblazione (in caso di pagamento in misura ridotta non viene pubblicizzato quello che è stato un comportamento scorretto); l'impossibilità per la Consob di anticipare la pubblicità del proprio accertamento circa l'esistenza di violazioni.
Inoltre sono limitatamente presenti sanzioni di tipo diverso da quello pecuniario o di natura interdittiva (ad esempio l'impossibilità di ricoprire cariche sociali per chi abbia violato le norme) o reputazionali; sarebbe meglio un loro ampliamento.
L'evoluzione delle norme, il progressivo rafforzamento della tutela dell'investitore da esse perseguito e i limiti rimasti non sono d'altra parte il prodotto di attività puramente accademiche o di scelte di singole persone o istituzioni: esse sono in gran parte il frutto del lento diffondersi di una cultura di protezione del risparmio e dei cambiamenti del mercato finanziario, imposti da un'economia sempre più orientata al mercato. Ogni cambiamento, ogni minima tutela in più per gli investitori ha incontrato ostacoli, obiezioni, radicate avversità culturali. Le soluzioni che ne sono scaturite sono a volte soddisfacenti, a volte meno, ma sono in buona parte il frutto del grado di evoluzione del mercato finanziario italiano nel suo complesso.
Del resto, vi è una componente fondamentale per la buona riuscita di ogni regolamentazione che non va mai dimenticata, ed è quella della sua corrispondenza al comune sentire dell'ambiente in cui deve essere applicata e della sua convinta adesione. Come è stato già detto in una lontana relazione della Consob dell'anno 1997, «se il principio della fiducia non riceve sostegno dal mondo degli operatori


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finanziari e se chi lo tradisce non è colpito dalla sanzione della disistima nel suo stesso ambiente, il sistema dei controlli pubblici viene caricato di un compito impervio».
Passo ora al tema dei conflitti d'interesse. L'esperienza acquisita consente di individuare nell'esistenza di conflitti di interessi un aspetto critico comune, riguardante tutti gli operatori del mercato finanziario e che, nei casi in questione, è emerso con particolare forza.
Vi è in primo luogo un forte rischio di conflitti di interessi nell'attività di intermediazione finanziaria, nel cui svolgimento l'operatore professionale, di solito una banca, dovrebbe, secondo i principi di legge, dare priorità all'interesse del cliente.
Il rischio endemico di conflitti di interesse nell'attività delle banche è stato ripetutamente segnalato alla Consob nelle relazioni annuali, almeno dal 1998 in poi. Tale rischio è cresciuto negli ultimi anni, in conseguenza del concentrarsi nelle banche italiane di molte funzioni ulteriori rispetto a quella tradizionale di esercizio del credito: prestatori di servizi di investimento in via diretta; soci di controllo delle principali società di gestione del risparmio; organizzatori e collocatori delle più importanti emissioni azionarie ed obbligazionarie; soci di riferimento della società di gestione del mercato regolamentato (Borsa italiana) cui spetta, secondo l'attuale normativa, di pronunciarsi sull'ammissione a quotazione delle società. L'argomento della composizione dell'azionariato di Borsa Italiana, in relazione ai conflitti di interesse, meriterebbe un maggior approfondimento. La Consob ha competenza a deliberare sul prospetto di ammissione a quotazione delle società, ma l'ammissione alla borsa compete a Borsa Italiana i cui azionisti sono sostanzialmente le banche. Questa mia affermazione non vuole essere altro che la testimonianza di un dato di fatto.
Si tratta di un insieme di interessi e attività, frutto in parte dell'evoluzione naturale del mercato, su cui è possibile intervenire in modo non episodico soltanto con una decisa collaborazione degli istituti bancari stessi. Nessuno, infatti, può pensare di poterli risolvere soltanto con un intervento dall'alto, sia esso di natura normativa o repressiva.
Vi è poi un conflitto di interessi interno alla vita delle società e al sistema dei controlli. Esso riguarda, ad esempio, i comportamenti del socio di controllo/amministratore delegato, che effettua operazioni con parti correlate; dell'amministratore non esecutivo o del sindaco che si limita a controlli formali sull'attività degli amministratori esecutivi nominati dal medesimo socio; del revisore che si preoccupa di mantenere l'incarico e/o di instaurare o ampliare rapporti di consulenza correlati.
Naturalmente ciò non avviene sempre, ma comunque può avvenire.
In particolare, i titolari di funzioni di controllo interno e contabile sono i soggetti ai quali la normativa vigente assegna il compito principale di prevenzione dei comportamenti irregolari di chi gestisce le imprese. La Consob, con i poteri riconosciuti dalla legge e con le limitate risorse disponibili, ha nel corso degli anni compiuto vari interventi, talvolta regolamentari o sanzionatori, talvolta, e per quanto possibile, soltanto di moral suasion. Spero che la moral suasion della Consob possa crescere con il progredire dei tempi; forse all'inizio non esisteva per nulla, ma mi piace immaginare che si sia avviato un suo sviluppo. Ad esempio sui sindaci e amministratori non esecutivi, almeno dal 1997 e in più occasioni, la Consob ha, con proprie comunicazioni, chiaramente esplicitato dettagliati principi operativi di best practice per l'effettuazione dei controlli, pur consapevole della limitatezza dell'apparato sanzionatorio esistente in caso di loro violazione.
La prevenzione e la riduzione al minimo dei conflitti di interessi, nelle loro diverse forme e modalità, può costituire l'obiettivo di fondo dei miglioramenti da apportare alla disciplina, sia che essi riguardino l'indipendenza degli amministratori non esecutivi, dei sindaci, degli altri titolari del controllo interno o dei revisori contabili, sia che riguardino la scelta da parte delle banche degli strumenti finanziari


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da vendere ai clienti o da conservare nel proprio portafoglio, o, ancora, i comportamenti da sanzionare o i tipi di sanzione più efficaci.
Possono poi ipotizzarsi altri interventi, sia di natura legislativa, ad esempio sul funzionamento del sistema di responsabilità civile e sulle sanzioni penali, sia di natura diversa, ad esempio con riguardo alle regole per le quotazioni delle società. Inoltre, come dimostrato dal forte profilo internazionale delle vicende Cirio e Parmalat, alcuni problemi richiedono l'intervento e la collaborazione da parte di organismi ed autorità sovranazionali, anche perché soluzioni solo italiane potrebbero risultare inefficaci e/o rischierebbero di creare svantaggi competitivi per le nostre imprese. Fra questi, particolare rilievo sta assumendo sempre di più il ruolo dei cosiddetti centri off shore.
Venendo al contesto internazionale, qualsiasi ragionamento sulla modifica degli assetti normativi vigenti non può prescindere da una attenta valutazione degli sviluppi intervenuti in sede internazionale negli ultimi anni. Infatti, sia in sede IOSCO sia in sede europea si è registrata, negli ultimi anni, una crescente produzione normativa, intesa a porre rimedio a talune delle disfunzioni già evidenziate e rafforzare la cooperazione tra autorità di vigilanza per individuare e reprimere comportamenti illeciti in un'era di finanza globale. Per quanto attiene alla IOSCO, rilevanza assumono i recenti principi in materia di analisti finanziari e agenzie di rating, di cui il CESR ha raccomandato l'introduzione anche in Europa (in aggiunta ai principi generali già contenuti nella direttiva sugli abusi di mercato del 2003 che deve essere, come è noto, recepita dal nostro ordinamento entro l'ottobre di quest'anno) e l'accordo multilaterale per lo scambio di informazioni riservate tra autorità di vigilanza al quale, nel novembre 2003, risultavano aderire già 24 autorità, tra cui la Consob.
Particolare rilievo assume, inoltre, per l'importanza del mercato, la risposta che è stata data alla crisi della Enron negli Stati Uniti d'America. Il cosiddetto Sarbanes-Oxley Act, in particolare, ha introdotto nuovi obblighi in capo agli amministratori, ai responsabili finanziari delle società e ai revisori, prevedendo importanti sanzioni sia di natura pecuniaria sia di natura penale in caso di violazioni; ha portato all'introduzione di nuove regole in materia di conflitti di interessi (con particolare riguardo agli analisti finanziari) e ha realizzato un rilevante rafforzamento della SEC, sia in termini di risorse umane che di mezzi finanziari.
In sede europea vige il principio della libera circolazione sul territorio dell'Unione di operatori e di «prodotti finanziari», in base al cosiddetto «controllo del paese di origine»; importanti iniziative sono state assunte al fine di ravvicinare le normative vigenti nei diversi paesi e di dotare le autorità di vigilanza dei necessari poteri al fine di assicurare che gli obblighi di cui alle direttive siano rispettati.
Il nuovo corpus normativo europeo che comprende dettagliate disposizioni adottate nella forma di direttive e regolamenti, secondo il modello Lamfalussy, e cui ha contribuito in misura rilevante anche il CESR - il Comitato che riunisce le autorità di vigilanza di settore -, pone particolare enfasi sul ruolo dell'autorità di vigilanza e sui suoi poteri di indagine. La direttiva sugli abusi di mercato già richiamata, così come la posizione comune sulla proposta di direttiva sui servizi di investimento, raggiunta sotto la presidenza italiana, contengono una dettagliata lista di poteri la cui titolarità deve essere attribuita ad un unica autorità amministrativa indipendente di vigilanza, oggi non ancora previsti dalla legge italiana. Fra essi: la possibilità di chiedere informazioni e di effettuare ispezioni nei confronti di chiunque; l'accesso ai dati relativi al traffico telefonico; la richiesta o l'adozione di provvedimenti cautelari, quali il congelamento dei beni e l'inibizione alla prosecuzione di attività in violazione delle norme.

PRESIDENTE. Mi sia consentita una breve interruzione, professor Cardia. La parte che sta per leggere riguarda il de


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iure condendo. Ho l'impressione, però, che l'interesse e l'attenzione dei commissari siano rivolti sostanzialmente all'accertamento dei fatti. Propongo, pertanto, di considerare acquisita la parte finale del relazione, pubblicandola eventualmente in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna, e proseguire illustrando i punti principali relativi a quanto avvenuto.

ROBERTO PINZA. Sarebbe molto interessante sentire anche la parte propositiva, signor presidente.

PRESIDENTE. Sta bene.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Provvederò a illustrare il cuore della relazione per poi lasciare spazio alle domande dei signori commissari. Potremo così conciliare entrambe le esigenze. Cercherò di enunciare soltanto alcuni punti per poi leggere le ultime pagine della relazione.
Vi è fondamentalmente una richiesta di rafforzamento dei controlli societari e ciò implica: rendere obbligatoria la presenza di amministratori indipendenti; rendere effettivo l'obbligo di nominare almeno un rappresentante delle minoranze nell'organo societario deputato al controllo interno (collegio sindacale o altro); rafforzare ulteriormente le incompatibilità dei sindaci o degli altri controllori nei modelli alternativi societari; rendere ancora più chiaro che tali soggetti costituiscono l'interlocutore privilegiato della Consob per la tempestiva segnalazione di irregolarità e sanzionare adeguatamente il venir meno a tale obbligo di segnalazione; affidare alla Consob il compito di approvare le delibere di revoca degli incarichi alle società di revisione e di disporne direttamente la revoca; trasformare in norme cogenti i suggerimenti contenuti nel rapporto della commissione Galgano sulla durata dell'incarico delle società di revisione, prevedendo il regime delle incompatibilità da applicare alle società stesse ed a quelle facenti parte del loro network e l'attribuzione alla Consob di poteri regolamentari in materia; rimodulare il sistema sanzionatorio sui revisori, prevedendone una maggiore graduazione oltre ad interventi di natura cautelare.
Per quanto riguarda la disciplina degli intermediari e del collocamento delle obbligazioni societarie, ritengo di dover richiamare alcune ipotesi di modifiche legislative riguardanti: limiti alla diffusione delle obbligazioni societarie presso il pubblico, consentendola solo qualora vi sia una valutazione di affidabilità (rating) da parte di agenzie indipendenti; limiti civilistici ulteriori all'emissione delle obbligazioni, tenendo conto - come già segnalato - delle emissioni realizzate a livello di gruppo e delle garanzie rilasciate dalla capogruppo; il divieto temporaneo di negoziare con il pubblico obbligazioni oggetto di collocamento privato, stabilendo un periodo minimo (ad esempio un anno) di possesso delle obbligazioni stesse da parte dell'intermediario, in analogia a quanto previsto dalla regolamentazione statunitense, sempreché ciò in futuro possa essere in linea con le direttive europee.
Si parla poi di rafforzamento dei poteri e delle risorse della Consob: segnalo in proposito l'esigenza di un ampliamento dei poteri ispettivi di richiesta di dati e notizie a tutti i soggetti in possesso di informazioni utili, ciò che costituirebbe realmente uno strumento di approfondimento.
Riferendomi al caso Parmalat, osservo che la Consob, allo stato attuale, è priva dei poteri necessari per sentire direttamente quel soggetto che ha dichiarato di conoscere l'esistenza di circa 7 miliardi di euro. La Commissione, infatti, è tenuta esclusivamente ad inoltrare una segnalazione all'autorità giudiziaria. Diversamente, qualora tale potere ci fosse riconosciuto, disporremo di un strumento immediato ed efficace di intervento.
Inoltre, occorre procedere alla rimozione degli ostacoli tuttora presenti nei rapporti con altre autorità estere. Alcune di esse, peraltro, eccepiscono che nel nostro ordinamento via sia un'assenza di vincoli di segreto compatibili con gli accordi e la prassi internazionale della cooperazione.


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Occorre anche operare una revisione del sistema sanzionatorio, stabilendo sanzioni più adeguate.
Inoltre, come a tutti è noto, la consistenza dell'organico della Consob è molto ridotta. L'attuale limite delle risorse di organico utilizzabili rappresenta un obiettivo vincolo alla definizione di un assetto organizzativo della Consob adeguato ai compiti ad essa attribuiti. È da aggiungere poi che eventi eccezionali, quali quelli oggetto della presente indagine, hanno comportato la necessità di destinare un considerevole numero di risorse alla loro trattazione, con effetti negativi anche sull'attività ordinaria, ma non certo di modesto rilievo, dell'Istituto.
Le difficoltà di funzionamento sono aggravate dal continuo esodo di personale. Quanto segnalato non vuole essere una lamentazione, ma è un fatto oggettivo. Si tratta di un esodo che, nel solo anno 2003, ha interessato 21 unità (per essere esatti 20 nel 2003 ed una alcuni giorni fa), la quasi totalità delle quali di alto profilo professionale e assegnata a settori strategici della struttura. Quando in una struttura di ridotte dimensioni ci sono 20 persone di fascia medio-alta che vanno via e vengono meno le seconde e le terze linee, potrebbe frantumarsi il suo sistema di funzionamento. Questo è un fatto oggettivo di cui non si può non tener conto. Devo dire che questo stato di disagio è stato segnalato sia al Governo sia al Parlamento anche in occasione di audizioni e che, con la recente finanziaria (in tabella C), la Consob ha ottenuto un incremento dei trasferimenti statali di 5 milioni di euro. Ritengo comunque che tutto il sistema vada potenziato, con la facoltà di consentire l'acquisizione di personale non solo attraverso concorsi, che sicuramente sono un sistema corretto da utilizzare e da mantenere, ma anche attraverso acquisizioni dal mercato di personale altamente specializzato a costi di mercato.
Nel corso dei lavori di una delle commissioni sulla riforma delle Autorità indipendenti a cui ho avuto l'onore di partecipare, così come peraltro ho anche avuto modo di vedere in altri disegni di riforma, è stata segnalata l'esigenza che una certa entità percentuale di personale altamente specializzato possa essere acquisita dal mercato a prezzi di mercato; altrimenti il personale da noi formato come in una scuola e lascia poi l'Istituto perché retribuito meglio o attratto da posizioni maggiormente valide; ciò comporta che la Consob si trova a svolgere un qualificato addestramento dei giovani leve ma poi a perdere la fascia operativa medio-alta. Credo che questa sia una delle cose più preoccupanti per quanto riguarda il buon funzionamento della Consob. Non è da escludere anche la possibilità di temporaneo distacco di magistrati; in un incontro a Parigi, il presidente della COB francese mi ha detto che loro traggono un ottimo risultato dai cosiddetti stage di magistrati che, distaccati per due anni presso le loro strutture, danno un importante apporto giuridico e al termine del loro mandato tornano alla loro attività di istituto avendo acquisito una elevata specializzazione sul controllo dei mercati. È un'esperienza che potrà certamente essere valutata.
Riguardo alla riforma delle autorità di vigilanza, l'attuazione delle modifiche succintamente indicate, se accompagnata da una revisione di altre parti dell'ordinamento intesa a contrastare i conflitti di interesse fra più funzioni ed attività degli operatori e da un sostanziale adeguamento delle risorse in uomini e mezzi, consentirebbe di rendere più effettiva la tutela dei risparmiatori e più incisiva l'azione di vigilanza.
La Consob ritiene che il modello di vigilanza per finalità presenti indubbi vantaggi: evita i possibili conflitti di interessi tra finalità dei controlli intrinseci ai modelli di vigilanza accentrata e di vigilanza per soggetti e, attraverso la specializzazione delle autorità rispettivamente competenti, aumenta l'efficacia dei controlli stessi. Il Testo unico della finanza ha scelto tale modello per la vigilanza sugli intermediari. La Consob ritiene con ferma convinzione che tale modello vada mantenuto, pur se necessita di adeguamenti. In esso, infatti, sono presenti eccezioni non in linea con la ratio sostanziale del sistema.


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Alcuni aspetti dei controlli riguardanti i fondi comuni di investimento sono stati riferiti esclusivamente alla regolamentazione prudenziale, mentre possono coinvolgere rilevanti profili di trasparenza e di correttezza nelle gestioni.
Anche per altri prodotti finanziari esiste nel Testo unico della finanza una disciplina non omogenea. Come è noto, l'articolo 100 del suddetto Testo unico esonera le obbligazioni bancarie e gli altri prodotti di natura finanziaria, emessi dalle banche e dalle imprese di assicurazione, dalla disciplina degli obblighi di prospetto e, quindi, dai controlli di trasparenza della Consob; gli stessi prodotti sono anche sottratti, dall'articolo 30 del Testo unico della finanza, alla disciplina riguardante l'offerta fuori sede, con accentuazione delle asimmetrie normative in termini di tutela degli investitori.
Oltre alla correzione di tali anomalie, a parere della Consob, la presenza di autorità separate, rispettivamente competenti per tutti gli aspetti rilevanti ai fini della tutela del risparmio, richiede un ampliamento e un rafforzamento delle forme di collaborazione e di coordinamento, peraltro già esistenti, tra le singole autorità in modo da orientare reciprocamente gli interventi di vigilanza. Il senso di quella proposta - più che proposta, si tratta di una segnalazione - è quello di costruire in modo coordinato le banche dati allo scopo di soddisfare le esigenze informative di tutte le autorità, minimizzando i costi della vigilanza a carico degli operatori. In tal modo l'accesso sarebbe diretto e tempestivo, senza necessità di richiedere specifiche collaborazioni peraltro assolutamente e sempre prestate.
Nel quadro così delineato, che richiede un intervento legislativo, va inquadrato l'accesso al flusso informativo sulle emissioni obbligazionarie e quanto in altre occasioni ipotizzato a proposito della Centrale dei rischi.
Si ritiene che le riforme e i principi di coordinamento sopra indicati - parte dei quali la Consob ha più volte segnalato, anche con carattere di urgenza - consentirebbero una positiva evoluzione dell'operare della Consob stessa. In tal modo l'Istituto verrebbe ad acquisire una più ampia e migliore capacità di intervento, mettendosi quindi nelle condizioni di assicurare una più efficace tutela del mercato e dei risparmiatori. È l'intero processo di vigilanza e di controllo che verrebbe rafforzato. Ne risulterebbero una maggiore possibilità di percepire le nuove tendenze del mercato, un tempestivo scrutinio della loro conformità alle regole vigenti, un'azione di correzione attraverso efficaci strumenti di vigilanza ed un apparato sanzionatorio fortemente dissuasivo.
Il rapido recepimento della Direttiva comunitaria in materia di abusi di mercato, un tempestivo potenziamento di personale e di mezzi, insieme a forme più strutturate di collaborazione con le altre autorità, Guardia di finanza compresa, potrebbero costituire una risposta immediata, pragmatica ed efficace, per un sostanziale recupero della fiducia dei risparmiatori e per un positivo apprezzamento della comunità finanziaria. Interventi più radicali richiederebbero tempi di avvio inevitabilmente più lunghi, porrebbero problemi organizzativi di non agevole soluzione e potrebbero pregiudicare, almeno nell'immediato, la piena operatività dei sistemi di vigilanza.
Con riferimento a quanto detto e ancor più a quanto specificatamente esposto nella relazione che lascerò agli atti, ho sottolineato con convinzione due elementi. Da una parte l'esigenza che venga rivisto l'attuale sistema dei controlli attribuiti alla competenza delle diverse autorità, con un sensibile potenziamento delle funzioni della Consob, in direzione della correttezza e della trasparenza delle operazioni di mercato. Dall'altra, la necessità di uno stretto coordinamento tra le diverse autorità nello scambio di elementi di rispettiva conoscenza, oltre alla facoltà normativamente prevista di avvalersi anche del supporto della Guardia di finanza e ciò al fine di svolgere al meglio le proprie funzioni e di prevenire al massimo possibile le patologie che possono presentarsi.


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Ritengo anche che solo in una più ampia prospettiva di riforma potrebbe essere presa in esame un'applicazione generalizzata del sistema della vigilanza per finalità a tutti i comparti del mercato finanziario, riducendo il numero delle autorità oggi esistenti, ridefinendo e chiaramente specificando le competenze sulla base di un «sistema a tre teste» (Banca d'Italia, Antitrust e Consob potenziata), ma ritengo altresì che oggi una tale soluzione non potrebbe dare i risultati ricercati e necessari in tempi brevi. Inoltre, tale soluzione potrebbe creare difficoltà di accorpamento, depotenziando, almeno nella prima fase, la funzionalità di soggetti e di settori che al presente appaiono già produrre buoni frutti o essere avviati verso un efficace operare.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente della Consob per la sua ampia relazione. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre domande o formulare richieste di chiarimento.

VINCENZO VISCO. Presidente Cardia, innanzitutto mi pare che nella sua esposizione lei abbia espresso una valutazione di continuità assoluta nell'attività della Consob, da febbraio fino ai giorni nostri. Quindi, sostanzialmente lei non è d'accordo o, comunque, dà un'interpretazione diversa da quella che ci ha prospettato il ministro dell'economia su questo punto: è così oppure no?
In secondo luogo, agli atti della Consob esiste materiale che mostri qualche rapporto polemico fra l'istituzione ed il ministro su attività della commissione relative alla sua autonomia? In altre parole, ci sono state occasioni di polemica o di conflitto tra il ministro dell'economia e la Consob, in relazione a richieste del ministro che la stessa poteva ritenere, eventualmente, non coerenti con il suo statuto di autonomia?
La terza domanda riguarda una questione più rilevante, perché ci troviamo in una situazione in cui i risparmiatori italiani si sono visti piazzare dei titoli che non sarebbero mai dovuti andare nei loro portafogli, e questo vale soprattutto per la vicenda Cirio. Vorrei ricordare che l'articolo 21 del TUF e l'articolo 29 del regolamento degli intermediari attribuiscono in modo inequivoco all'esclusiva responsabilità della Consob il controllo su questi fatti. Il comma 3 dell'articolo 29 del regolamento dispone che «gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad un'operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l'investitore intenda, comunque, dare corso all'operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l'operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrati su nastro...». Vorrei sapere che tipi di controlli preventivi e che disposizioni dissuasive avete messo in atto nei confronti degli intermediari che hanno rapporti di vendita al minuto con il pubblico, perché tutta la questione sorta nelle ultime settimane è relativa a questo punto, che è di chiara ed esclusiva competenza dell'autorità che lei presiede.
In quarto luogo, il caso Cirio, a differenza di Parmalat, è stato per molto tempo all'attenzione dell'opinione pubblica e degli esperti; in particolare, abbiamo assistito ad uno svuotamento progressivo delle società controllate a beneficio del capogruppo, senza che questo venisse comunicato al mercato. La Consob ne era consapevole, se ne è accorta oppure no? Lei ritiene che questa dovrebbe essere una modifica, cioè imporre, comunque, una disclosure totale su questi punti?
Vorrei capire se la mia interpretazione della sua relazione sulla proposta di riforma delle autorità - lei mi sembra molto prudente rispetto ad innovazioni radicali - sia corretta oppure no.

ROSARIO GIORGIO COSTA. In forza della sua esperienza, al momento la sua opinione va nella direzione di una Consob potenziata o di un nuovo organismo? In secondo luogo, ammesso che le fosse dato desiderare, riterrebbe più opportuna una soluzione analoga a quella adottata in


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America, pressoché assimilabile alla nostra Consob, o un modello di tipo inglese? In terzo luogo, recentemente la Consob ha attuato una cooperazione virtuosa tra autorità similari a livello internazionale: come mai non si è pensato di avviarla anche in tempi più remoti?

MARIO LETTIERI. Visto che la collaborazione in sede internazionale ha sostanzialmente funzionato, vorrei sapere se abbia prodotto risultati quella con le altre autorità indipendenti del nostro paese, perché ciò era un obbligo previsto dagli articoli 4 e 5 del Testo unico di finanza. In pratica, vi è stata una collaborazione puntuale con la Banca d'Italia?
Per eliminare le asimmetrie dell'attuale legislazione, ritiene che sia necessario, per esempio, verificare l'opportunità di non quotare quelle società che hanno molte ramificazioni nei cosiddetti paradisi fiscali, così come qualche autorevole studioso ha suggerito recentemente?
Infine, vorrei sapere se esista continuità nell'attività della Consob, perché il ministro dell'economia l'ha rimarcata in senso positivo da luglio in poi e, precedentemente, in senso negativo. Per quanto è di mia conoscenza e per i rapporti che abbiamo avuto con la Consob - con lei e con il suo predecessore - in Commissione finanze, questo non mi sembrerebbe vero, ma vorrei che lei lo confermasse.

ROBERTO SALERNO. Sinceramente, mi aspettavo una relazione che, in qualche modo, concludesse in maniera «più forte» su alcune realtà che abbiamo trattato, come Cirio e Parmalat.
Non ci sono collegi sindacali o società di revisione silenti. Ci siamo trovati di fronte ad un'enorme associazione a delinquere (bisogna chiamarla con il suo nome) tesa a dissimulare in certi casi, a simulare in altri, al fine di trarre vantaggi che vedremo, alla fine di quest'indagine, a beneficio di chi andranno.
Parto dal caso Parmalat e Cirio anche per dire ciò che, poi, dovrebbe essere un compito più forte della Consob o, perlomeno, per verificare se vi siano situazioni in cui Consob avrebbe dovuto intervenire in modo più efficace, più forte e più puntuale.
Dalla documentazione che ci è fornita dalle Commissioni, leggo che la Consob ha un ruolo estremamente forte di controllo e di vigilanza in merito a trasparenza e correttezza dei comportamenti degli intermediari che operano in strumenti finanziari, controllo e vigilanza sulla trasparenza dei mercati regolamentati e ordinato svolgimento delle negoziazioni. Mi sembra che alcuni istituti di credito - nel caso Cirio e Parmalat - abbiano collocato titoli addirittura in data 1o dicembre, in un momento in cui non si è più nell'ipotesi di alcuni indicatori che potevano essere definiti legittimi (anche in relazione alla definizione di legittimità di risposta da parte del gruppo Parmalat, quando gli sono stati contestati alcuni indicatori di bilancio, quali il fatturato e il monte debiti, per cui l'impiego del monte di liquidità fosse più utile rispetto al pagamento dei debiti, poiché rendeva più di quanto potesse esser pagato alle banche per l'esposizione).
Mi sembra, signor presidente, che si stia facendo un po' acqua. Quando vi è una cassaforte di garanzia di un gruppo (oggi è Parmalat, ma potrebbe essere anche un altro gruppo, fra qualche mese) in cui sono presenti 4 miliardi di euro presunti (poi accertati falsi), è possibile che un gruppo di tali dimensioni la possa detenere alle isole Cayman? Si può ammettere che, nel nostro sistema, la Consob non ritenga ciò inaccettabile, visto che vi sono miliardi di bond in circolazione, acquisiti dai risparmiatori, sapendo che alle isole Cayman non vi è nulla, eccetto alcune caselle postali? È possibile che siano emessi bond a scadenza trentennale, quando persino lo Stato ha difficoltà a pensare ad un periodo così lungo per un titolo obbligazionario?
Signor presidente, bisogna forse cercare di capire cosa poteva già essere fatto e non si è fatto e ciò che si dovrebbe attuare in casi analoghi. Vorrei non essere banale nel dire che si possono istituire authority, super-authority, legislazioni severe e sanzioni,


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ma se vi è una sistematica associazione a delinquere in cui tutti i passaggi sono falsificati non è possibile pensare di risolvere il problema solo attraverso gli strumenti offerti dalla legislazione.
Oltre a richiedere documenti, nel caso in questione, se si fosse effettuato il controllo fisico dei documenti contabili, con un semplice incrocio dei dati (estratti conto, fatture, debiti, crediti, movimenti bancari) in una mezza giornata, il castello messo in atto sarebbe stato smontato. La Consob è già in grado di effettuare un controllo fisico della documentazione della contabilità? Se non lo è, lei, presidente, non ritiene che ciò sarebbe un passaggio fondamentale?

LUIGI CASERO. Signor presidente Cardia, lei ha presentato un'analisi precisa dei controlli effettuati nel 2003. Vorrei sapere quali controlli sono stati compiuti e quale attività ispettiva è stata condotta dalla Consob dal 1998 al 2002.
La seconda domanda che le pongo riguarda le società di revisione. Risulta che tali società non abbiano svolto il proprio lavoro. Sintetizzando ciò che ha detto il senatore Salerno, sarebbe bastato incrociare i dati e il problema si sarebbe scoperto. Cosa ha fatto la Consob, o quale organo di vigilanza sarebbe dovuto intervenire per controllare l'attività (non svolta) delle società di revisione?
La terza domanda riguarda i Cirio bond. Lei ha detto che sono stati collocati titoli che non potevano esserlo ai risparmiatori. Anche in tal caso, chi doveva intervenire? Perché non si è intervenuto? Probabilmente ciò non rientra nella competenza della Consob.
Ultima domanda: nel passato, verso la fine degli anni '90, sono state quotate società che (lo ricordo per ragioni di studio) non avrebbero potuto esserlo (era necessario che presentassero alcuni bilanci in attivo e tutta una serie di vincoli). Sono state quotate società che non avevano ancora presentato un bilancio, tutte quelle relative alla new economy. Sono state quotate società calcistiche, che molto probabilmente, non avevano bilanci in utile. Desidero conoscere la sua opinione, come presidente della Consob, su tale azione e le chiedo se non sia necessario tornare alla modifica dei criteri di quotazione di alcune società.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Cardia per le risposte a questo primo gruppo di domande.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Per quanto riguarda la prima domanda dell'onorevole Visco circa la continuità assoluta dell'operare della Consob, mi è già capitato di affermare, in occasione di un'audizione svoltasi presso la Commissione finanze della Camera, che esiste una continuità assoluta nello svolgimento dell'attività della Consob. Ciò in linea di principio ed in linea reale, nel senso che non vi sono state né cesure, né contrasti, né diversità di azione nei diversi periodi di attività. Ho anche avuto occasione di dire che i lavori si sono svolti, sia per quanto riguarda la Commissione, che per l'intera struttura, in un rapporto armonico di collaborazione. Ciò vorrei che fosse tenuto presente. L'ho detto in tempi precedenti e lo confermo in modo assoluto e convinto.
Aggiungo che determinati periodi possono aver richiesto approfondimenti di una particolare materia ed altri di altre. Ciò non mi consente di vedere differenze di volontà nell'operare. Naturalmente, ognuno opera secondo le proprie preferenze, le proprie tendenze, le proprie caratteristiche e le proprie specializzazioni.
L'onorevole Visco mi chiede altresì se esista materiale che confermi polemiche tra il Ministro e la Consob, tali da inficiare un rapporto di autonomia. È veramente una domanda a cui non mi sento di rispondere, nel senso che certamente non mi risulta vi siano atti tali da giustificare tali polemiche. Se, poi, vi siano state situazioni specifiche inter partes, per correttezza, non mi sento di rispondere. Posso solo dire che alcune esigenze della Consob possono essere state rappresentate in precedenza così come lo sono state in


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momenti successivi. Da un punto di vista operativo, quando la Consob riteneva di segnalare qualcosa all'Amministrazione dell'economia o alla Presidenza del Consiglio, ciò è avvenuto. La questione dei rapporti la lascio alle valutazioni o a ciò che i soggetti interessati possono dire.
Per quanto riguarda la responsabilità della Consob in riferimento ai fatti Cirio, ho esposto e rimane documentato agli atti l'atteggiamento tenuto dalla Consob in merito alla vicenda. La parte più delicata riguarda la fase successiva al default, che ha visto tra l'altro l'inizio di una attività di vigilanza su dieci istituti bancari coperta dal segreto d'ufficio della Consob che riguarda anche il segreto istruttorio imposto dalle numerose Procure che stanno indagando sulla vicenda; ciò non mi consente di dire alcunché al momento attuale. Posso tuttavia affermare che in riferimento ai corporate bond emessi dalla Cirio la Consob non ha potuto esaminare alcun prospetto, in quanto queste obbligazioni sono state emesse all'estero e destinate a investitori istituzionali; quindi, la Consob ne è venuta a conoscenza solo indirettamente, perché la normativa stabilisce che quando le obbligazioni vengono emesse all'estero devono essere accompagnate solo da un breve documento in lingua inglese utilizzato dagli investitori professionali.
Una volta acquisite dagli investitori istituzionali, le obbligazioni possono essere mantenute in portafoglio o ricollocate; ho ricordato prima come negli Stati Uniti sia previsto che gli investitori istituzionali debbano mantenere per almeno un anno questo tipo di obbligazioni prima di poterle ricollocare presso i risparmiatori: si tratta, a mio avviso, di una norma preziosa, da tenere presente anche per il nostro ordinamento. I comportamenti degli investitori istituzionali che hanno ritenuto poi di collocare le obbligazioni Cirio alla propria clientela saranno giudicati dalla Consob nell'ambito della propria competenza e riferiti, se del caso, all'autorità giudiziaria. Ove dovesse constatarsi che vi siano stati comportamenti non conformi alle regole da parte degli istituti presso i quali i titoli sono stati collocati o da parte di alcuni di essi, la Consob avrà anche il dovere di proporre sanzioni al Ministero dell'economia, che potrà valutarle ed emanare un proprio decreto.
Certamente la Consob non ha il potere-dovere di intervenire se l'emissione di obbligazioni avviene all'estero; mentre se l'emissione è effettuata in Italia ed è destinata al pubblico, la Consob può analizzare preventivamente il prospetto e far inserire in esso tutte le informazioni necessarie sulla società emittente. Pertanto, colui che vorrà acquisire queste obbligazioni, se avrà avuto la preveggenza di leggere il prospetto, potrà stabilire se esse siano acquistabili serenamente o con un rischio variabile più o meno alto. Purtroppo devo sottolineare che la maggior parte delle obbligazioni sono emesse all'estero principalmente e sistematicamente per due motivi. Intanto perché le procedure sono più veloci e facili, in quanto comportano una minore esigenza di trasparenza; inoltre, all'estero potevano essere superati i limiti stabiliti fino a qualche tempo fa dalla normativa italiana. Ancora oggi, infatti, l'ordinamento italiano consente di emettere obbligazioni solo entro un limite ragguagliato al capitale della società emittente, mentre le emissioni effettuate per il tramite di società controllate estere sono libere da questo vincolo.

VINCENZO VISCO. Chiedo scusa, ma il punto di fondo della questione è l'articolo 29 del regolamento degli intermediari.

PRESIDENTE. Anche io qualche volta avrei il desiderio di seguire le risposte, ma in una seduta come questa non possiamo adottare una procedura di tal genere.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Il senatore Costa mi ha chiesto se sia preferibile il potenziamento della Consob o la creazione di un nuovo organismo. Ritengo che i tempi con i quali si deve rispondere ai problemi attuali, ristabilendo la fiducia, non siano compatibili con i tempi lunghi necessari per l'istituzione di un nuovo organismo, che non avrebbe un avviamento facile. Infatti accorpare l'Isvap,


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che negli ultimi anni mi è sembrato funzionare molto meglio rispetto al passato, ed altre autorità richiederebbe tempi piuttosto lunghi. Affidare il controllo sul risparmio alla Consob avrebbe sicuramente un effetto rassicurante sull'opinione pubblica e sugli investitori, tuttavia la tutela del risparmio non può essere attribuita esclusivamente alla Consob o, comunque, ad un'unica entità. Mi preoccupo pertanto che un domani l'istituzione di una autorità indicata nel titolo come avente la missione della tutela del risparmio possa far credere a tutti coloro che, per un verso o per un altro, abbiano avuto a dispiacersi per qualche comportamento scorretto, vero o presunto che sia, che la sola Consob o questa futura autorità (unica) possa sanare gli stessi ed evitare tutti i rischi e che sia sufficiente da sola a garantire la tutela del risparmio.
Conclusivamente, a questa domanda rispondo che in un periodo lungo l'istituzione di un'autorità che possa accentrare funzioni oggi attribuite a più soggetti e accorpare il sistema dei controlli in tre sole autorità è sicuramente una soluzione da perseguire ed è un disegno che condivido; nel breve periodo, tuttavia, vi è l'esigenza di affrontare la situazione in tempi molto rapidi. Ritengo quindi che, dando più poteri e mezzi alla Consob e razionalizzando secondo una netta separazione per finalità le competenze esistenti tra Banca d'Italia, Antitrust e Consob e mantenendo il resto esistente, si possano ottenere risultati più immediati e, con tutta semplicità, molto efficaci.
Per quanto riguarda la richiesta del senatore Costa se sia a mio giudizio preferibile la soluzione americana oppure quella inglese, da alcune parti è stato suggerito di seguire la soluzione dell'unica autorità esistente in Inghilterra. Ritengo che il sistema vigente negli Stati Uniti, specialmente dopo la vicenda Enron, sia veramente la linea di riferimento. Io ho concesso un'unica intervista in questi mesi (mosso più dall'esigenza della Consob, che diceva di non poter essere silente rispetto alle molte carenze che le venivano addebitate giornalisticamente, che non per una forma di presenzialismo che non mi è congeniale) e in quella circostanza ho chiesto di darci i poteri necessari affinché la Consob sia in grado di diventare come la SEC americana. Non so se con questo ho risposto nella sostanza alla domanda.
L'onorevole Lettieri mi ha chiesto delucidazioni riguardo alla collaborazione in sede internazionale. Essa ha funzionato, come ha funzionato quella con la Banca d'Italia. Devo dire che la collaborazione in sede internazionale è stata eccezionale, ma forse è stata la prima volta che essa è stata messa alla frusta. Ciò è successo perché ci siamo trovati - forse questo poteva avvenire anche un anno fa, non posso escluderlo - in una situazione che definisco drammatica; oramai eravamo convinti che ci fosse qualcosa che non andava e quando tale situazione è esplosa eravamo tutti tesi a cercare di fare al meglio il nostro dovere. Tra l'altro la Consob ha un eccezionale Ufficio per le relazioni internazionali con pochi dipendenti ma con personalità di grandissima rilevanza. Chi lo conosce sa che non si tratta di un'affermazione di convenienza. Quindi, grazie a questo Ufficio si è stretta una collaborazione veramente efficace con le Autorità estere.
Peraltro, per avviare i rapporti fra la SEC e l'Autorità giudiziaria nazionale, ho dovuto avere diretti contatti con i responsabili degli Uffici giudiziari di Parma e di Milano e illustrare quale poteva esserne il vantaggio. In più, si trattava della prima volta, perché la stessa collaborazione tra autorità giudiziarie esiste ma ha tempi più lunghi. Questa, invece, si è realizzata immediatamente. Il responsabile dell'Ufficio per le relazioni internazionali della Consob ha accompagnato i massimi responsabili della SEC nelle due Procure, sostando tre ore a Milano e tre ore a Parma. È stato un risultato eccezionale. Tale rapporto di cooperazione poteva essere fatto prima? Forse sì, ma per fortuna ha dato ottimi frutti al verificarsi di una vicenda così fraudolenta quale è quella che è accaduta.
Riguardo ai rapporti con la Banca d'Italia, vorrei chiarire il mio pensiero con


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assoluta schiettezza. Premesso che i rapporti personali sono ottimi con tutte le autorità e con tutti coloro che le rappresentano, sono ottimi anche i rapporti istituzionali. Ciò detto, non ritengo che la Consob debba dire se un compito o una competenza spetti ad un istituto piuttosto che ad un altro. La Consob può affermare solo ciò che spetta a se stessa. Potrei arrivare a dire, ove ne fossi consapevole e convinto, che la Consob ha sbagliato in qualcosa; ma ritengo che nei casi in esame la Commissione abbia svolto tutte le attività possibili. Aggiungo però che ogni qual volta vi sono state occasioni di rapporti con la Banca d'Italia, questi sono stati fluenti e concreti. L'unica cosa che si può segnalare - ma non è una critica - è che certe volte i rapporti inter partes, non certo ad alto livello, prendono molto tempo.
Esiste un aspetto sul quale sono state espresse opinioni diverse e sul quale finora ho ritenuto di non rispondere, ossia la Centrale rischi. Se la Consob, attraverso i suoi uffici, richiede un'informazione alla Centrale dei rischi, la Banca d'Italia fornisce questa informazione; però ciò può richiedere un certo tempo. La situazione ideale sarebbe invece quella di potere premere un tasto e, se l'informazione è depositata presso la Centrale dei rischi, avere la notizia nel momento in cui si sta verificando un determinato evento: si faciliterebbero molto le cose. Naturalmente ciò deve avvenire nel massimo riserbo, che peraltro è sempre esistito. Non ci sono mai state lamentele per il fatto che informazioni rese dalla Banca d'Italia alla Consob o viceversa siano uscite dal riserbo dovuto ex lege. Quindi, i rapporti sono ottimi, la collaborazione esiste anche se ci possono essere rallentamenti; perciò è necessaria la ricerca di un sistema che, invece di richiedere tempi lunghi e la formulazione di richieste specifiche, possa consentire una verifica immediata della situazione riguardante una determinata società. Questa è la linea guida e quanto mi sento di dire.
Chiedo scusa se sorvolerò su qualche aspetto, ma lo faccio soprattutto per rispettare i tempi.
Il senatore Salerno si aspettava delle conclusioni più forti. Ricorda che sono stati collocati titoli Parmalat anche alla data del 1o dicembre e che il bilancio poteva destare allarme per quanto riguarda il rapporto fra debiti e liquidità. Quando vi è una cassaforte di garanzia che si trova nelle Caymans o si collocano bond a trent'anni, certamente l'allarme dovrebbe esserci. Sul fatto che i titoli siano stati collocati il 1o dicembre, ciò non può essere attribuito alla Consob né a sue errate valutazioni. I titoli sono stati collocati secondo la legge e quindi quel collocamento non poteva essere bloccato.
Per quanto riguarda, invece, la situazione di debiti e di liquidità dichiarate, più volte ci siamo ritrovati ad esaminarla. Non l'ho detto nella relazione precedente, ma mi richiamo ad una segnalazione fatta dalla Parmalat (cosa che considero una forma di aggiotaggio). Mi scuso se la mia precisione è relativa, ma mi sembra che nel mese di ottobre o all'inizio di novembre fu fatta una comunicazione al mercato da parte della Parmalat, richiamando l'attenzione sul fatto che troppi mormorii e approfondimenti sulla Parmalat - non so se giornalistici o di altro tipo, non era specificato - potevano danneggiare il titolo. In quella circostanza ho parlato, oltre che con i colleghi della Commissione, con i massimi dirigenti con i quali abbiamo un rapporto frequentissimo: stiamo ore ed ore insieme ogni giorno. Ho detto: signori, continuiamo a compiere la nostra attività, però stiamo attenti che non ci sia un quid pluris, che un domani ci possano accusare di essere la fonte di un andamento anomalo del titolo (perché ancora non avevamo il quadro della situazione). Il fatto poi che la liquidità fosse nelle Caymans fa parte di scelte sulle quali non è possibile interferire. Certo che, quando siamo andati a stringere, c'è stato un momento in cui abbiamo deciso di verificare l'esistenza della liquidità documentalmente attestata. Forse mi si può dire che avremmo potuto farlo prima.

ROBERTO SALERNO. Un paio di anni prima.


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LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. La pressione conoscitiva è stata progressiva e costante: occorre anche tener conto che fino a che non si determinano situazioni particolari, del tipo di quelle riscontrate nel caso Parmalat, non si può immaginare di tenere il fucile puntato contro società che sono quotate in borsa, che fanno parte del Mib30 e che, a buon titolo, potrebbero anche dire, magari in un momento di temporanea mancanza di liquidità, ma non certo di crisi, che subiscono una pressione oltre il dovuto.
Abbiamo quindi fatto ciò che ho già esposto. Resta da giudicare se avremmo potuto fare di più. Personalmente credo di no; forse avremmo potuto anticipare di qualche giorno.
Passo alle domande poste dall'onorevole Casero riguardanti le analisi dei controlli effettuati dal 1998 al 2003, le società di revisione ed il collocamento dei titoli Cirio e la quotazione delle società di calcio. Per quanto riguarda la Cirio, come esposto e documentato, l'attenzione è stata posta nel 2000, iniziando dal bilancio del 1999. Ci siamo trovati dinanzi non ad una frode, ma ad intrecci tra società, molte delle quali ubicate all'estero, che documentavano l'esistenza di un'ipotesi che consentisse di acquisire la liquidità necessaria. Si trattava, quindi, di verificare la situazione e di far sì che fosse sempre resa cognita tempestivamente al mercato. La società, in una fase successiva, è stata addirittura sottoposta ad obblighi informativi aventi cadenza mensile.
Per quanto riguarda la situazione di default, essa si è realizzata improvvisamente, a seguito di una mancanza di 500 milioni di euro che sarebbero dovuti derivare da una compravendita per la quale era in corso una trattativa, resa note tempestivamente al mercato. Anche in questo caso la trattativa era svolta in una sede estera e non era consentito che essa fosse inficiata. L'unica cosa possibile era seguire mensilmente l'andamento della trattativa e imporre di fornire informazioni al mercato.
Successivamente la trattativa non si è conclusa e il dichiarato e atteso apporto di liquidità di 500 milioni si è dimostrato inesistente. Dopo il default l'attività di esame è stata costante e continua.
In merito alle società di calcio, ritengo che la Consob abbia già manifestato, nelle sue relazioni al mercato, le proprie perplessità circa la quotazione di società che avevano rischi particolari. La quotazione è effettuata dalla Borsa e quindi, nel momento stesso in cui il sistema la reputa possibile, la Consob può soltanto far sì che siano rese evidenti situazioni particolari, che possono dar luogo a situazioni critiche. D'altronde la particolarità è ben evidente: quando una società ha un patrimonio costituito da giocatori e non da beni immobili... Una volta che la quotazione è stata effettuata, non è possibile far altro che monitorare in continuità l'andamento della società. Vi sono due società di calcio che, da tempo, debbono esporre mensilmente la propria situazione. Nell'unica occasione in cui ho avuto modo di parlare con la stampa ho affermato che le società di calcio «destano preoccupazione».

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi per il secondo ciclo di domande.

BRUNO TABACCI, Presidente della X Commissione permanente della Camera dei deputati. Torno alla questione della Centrale dei rischi della Banca d'Italia, perché la precisazione fatta non mi convince. Penso sia necessario creare le condizioni formali ed organizzative affinché la Consob ne abbia la piena disponibilità in tempo reale, perché se fosse necessario passare attraverso una sorta di concessione i tempi potrebbero diventare incompatibili con la celerità. Il persistere di rapporti protocollari si presta poi, di fronte ad eventi così gravi, solo a «scaricare» le rispettive responsabilità.
Leggo ciò che dice il presidente Cardia: «Se la legge ci avesse consentito di accedere alla Centrale dei rischi della Banca d'Italia, probabilmente la Consob si sarebbe accorta in anticipo». La risposta del Governatore è la seguente: «Alla Consob abbiamo sempre dato il massimo della


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collaborazione ed abbiamo sempre fornito tutte le informazioni possibili. Certo i dati della Centrale dei rischi sono riservati; sono cifre che la Banca comunica ad altre banche su basi private e, comunque, anche in base ai numeri della Centrale dei rischi la valutazione sulla Parmalat non sarebbe potuta cambiare». Ciò significa che i rapporti protocollari non vanno bene. Bisogna definire procedure di automaticità, se si ritiene - come io ritengo - che per i titoli quotati la Consob debba avere accesso alla Centrale in tempo reale. Vorrei una risposta precisa.
La seconda questione che intendo porre riguarda i risparmiatori raggirati. Affrontiamo la questione concretamente: lei, presidente, qualche tempo fa propose di istituire un fondo di solidarietà, proposta in parte «snobbata» dal sistema bancario. Vi era una scarsa percezione di quanto stava accadendo; si pensava ad una pioggerellina ed invece era una grandinata. Penso, almeno per quanto riguarda il caso Cirio, che quei titoli senza rating non potevano essere piazzati presso il pubblico risparmio. Va da sé che le banche dovrebbero ricomprarli, come ho già sostenuto nell'estate scorsa, assumendosi la piena responsabilità e non limitandosi all'esame del cosiddetto «caso per caso». In subordine, e comunque di norma nel caso Parmalat, le banche dovrebbero postergare il loro credito rispetto alle attese degli obbligazionisti da soddisfare prioritariamente rispetto alle banche stesse.
Infine, bisogna essere molto puntuali sulla diffida e sulla denuncia in maniera severa e rigorosa di avvocati «santoni» o «sciacalli» che stanno agitando i mercati e raggirando ulteriormente gli obbligazionisti, magari facendosi anticipare le spese legali sventolando il miraggio del ritrovamento del «tesoro» di Tanzi. Non vorrei che si aggiungesse truffa a truffa. Anche su questo aspetto è bene essere molto precisi.

NATALE D'AMICO. Ringrazio anch'io il presidente Cardia per la relazione ampia ed esauriente. Una prima domanda riguarda ancora la Centrale dei rischi della Banca d'Italia a cui ha fatto riferimento anche ora il presidente Tabacci. Il presidente Cardia ci ha ricordato che egli ha fornito una sola intervista sulla vicenda, nella quale ha avuto il merito, secondo me, di sostenere per primo quanto molti di noi stanno affermando ora, cioè che occorre una Consob che abbia i poteri di cui gode la SEC. La scelta fatta nella presentazione sul giornale di quella intervista - ricordo che si tratta del principale giornale finanziario italiano - non riguardava questo aspetto (il titolo era più o meno il seguente: Se avessi avuto i dati della Centrale dei rischi, me ne sarei accorto prima). Spero sia chiaro a tutti che la Centrale dei rischi censisce solo i crediti di banche italiane e filiali di banche estere a società italiane del gruppo Parmalat e che in essi vi sono circa tre miliardi di esposizione. Nei debiti della Parmalat risultanti dalla Centrale dei rischi non vi è alcuna anomalia. Stiamo parlando di meno di un terzo dei debiti della società. Sappiamo che il problema della società non è in questi debiti, quanto nell'attivo che manca e quindi, nel merito, i numeri della Centrale dei rischi non sarebbero serviti.
I rapporti tra Banca d'Italia e Consob sono regolati da una convenzione relativa allo scambio di informazioni. Quella convenzione parla anche dei dati che sono contenuti nella Centrale dei rischi oppure no? Se così non fosse, vorrei sapere per quale motivo e se non sia il caso di integrarla. La seconda domanda, più specifica, è la seguente: nell'occasione della Parmalat - la Consob aveva chiesto alla Banca d'Italia i numeri - c'è stato comunque un qualche ritardo, come sembra ipotizzare il presidente Tabacci, nella trasmissione? In questa sede occorrerebbe comunque un ulteriore chiarimento sulla Centrale dei rischi.
Il presidente Cardia ci ha ricordato, seguendo una linea di continuità, una serie impressionante di interventi fatti dalla Consob in questo ultimo periodo, dall'inizio del 2003 ad oggi: si tratta di oltre 70 interventi. La questione affonda le radici in una vera truffa, poiché le carte erano false, ma per verificare che le carte fossero false era necessario andarle a vedere.


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Vorrei sapere se era possibile farlo e in caso positivo perché non è stato fatto prima, ma soprattutto credo che la Commissione debba capire se la Consob non ha fatto queste ispezioni presso la società medesima o presso i revisori che sostenevano la veridicità di quei documenti per un problema di poteri o anche per un problema di scarsità di risorse e di personale.
Lei, presidente, ha ricordato che la capacità ispettiva della Consob è stata sostanzialmente esaurita dalla vicenda Cirio. Temo che ci sia una problema serio, da enfatizzare maggiormente, di capacità, di risorse finanziarie, di personale e forse anche di potere, del quale il paese non ha sufficiente coscienza. Ogni volta che c'è una recrudescenza di fenomeni criminali accresciamo di 500 unità il personale delle forze dell'ordine - facendo spesso bene - ma qui si tratta di integrare non di dieci ma di cinquecento unità il personale della Consob.
Un'ultima domanda, e chiudo velocemente: abbiamo acquisito agli atti delle Commissioni quanto risulta dal verbale della famosa riunione del CICR, nel corso della quale incidentalmente il ministro dell'economia ha parlato di Parmalat. Volevo chiedere al presidente di Consob se c'è stato qualche altro atto formale di segnalazione del caso Parmalat del ministro nei confronti della Consob.

GIORGIO BENVENUTO. Ho sotto gli occhi la relazione che la Consob ha presentato sull'attività del 2002, relazione nella quale venivano puntualmente formulate delle proposte, tese ad evitare il fenomeno della triangolazione sui bond che passavano attraverso legislazioni favorevoli e che indicava la necessità di modifiche da introdurre dopo il caso Enron.
Questa relazione, del marzo del 2003, mandata al ministro dell'economia, è stata trasmessa alla Camera soltanto nell'ottobre del 2003. Faccio notare questa contraddizione: mentre da una parte c'era questo scambio di corrispondenza preoccupata tra Banca d'Italia e ministro dell'economia, e mentre c'era questa attività impegnata cui ha fatto riferimento il presidente Cardia, ci troviamo con una relazione del ministro dell'economia che accompagna la relazione della Consob che non sembra consapevole di quello che stava accadendo.
Aggiungo ancora che svolgemmo un'indagine conoscitiva informale per il recepimento della direttiva comunitaria sugli abusi di mercato e sentimmo in quell'occasione anche la Consob. Formulammo allora un emendamento, trasformato poi in un ordine del giorno, che aveva il consenso unanime nella Commissione, perché eravamo preoccupati di ciò che era avvenuto già con Cirio e con i bond argentini. Questo ordine del giorno è rimasto praticamente lettera morta. Segnalo questa contraddizione anche ai colleghi e consiglio di leggere la documentazione corposa che conferma la preoccupazione e la difficoltà della Consob ad operare, perché in più di un'occasione aveva già segnalato le questioni poi emerse.
Nella relazione di ottobre del ministro dell'economia si riteneva che fossero sufficienti le proposte fatte dalla commissione presieduta da Galgano e chiedo quindi al presidente Cardia se reputi sufficienti le misure suggerite da quella commissione.
Inoltre, vorrei sapere se giudica sufficienti le proposte che avevamo formulato attraverso l'ordine del giorno, che porta la firma di tutta la Commissione finanze, tese ad introdurre sanzioni efficaci e dissuasive, proporzionate alla gravità della violazione e agli utili realizzati.
Possiamo essere tranquilli dopo gli eventi della Cirio e della Parmalat o non rischiamo piuttosto altri casi analoghi? Ci può dare qualche elemento di maggiore valutazione al riguardo?
Da ultimo, mi richiamo alla questione sollevata relativa alle squadre di calcio. A chi dobbiamo chiedere come stanno le cose? Ci troviamo di fronte ad uno «scoppio» di 7 miliardi, con squadre di calcio che sono state quotate in borsa, e siamo preoccupati dell'intreccio tra banche e industria. Ci troviamo di fronte ad un intreccio tra effimero e banche, perché le banche sono sovraesposte nei confronti di


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molte squadre di calcio. Chi deve intervenire su questa vicenda, anche alla luce di ciò che sta accadendo in questi giorni, come le dichiarazioni di Carraro, le dimissioni del presidente dell'Inter e la situazione della Lazio?

LOREDANA DE PETRIS. Vorrei tornare sull'ultima domanda posta dall'onorevole Benvenuto. Alcune affermazioni del presidente Cardia personalmente hanno suscitato in me dei timori, soprattutto laddove egli ha evidenziato come fosse difficile prevenire ciò che si è verificato. Quali garanzie abbiamo che analoghi eventi non si verifichino di nuovo?
Rispondendo prima ad un'altra domanda, lei, presidente, ha peraltro detto che la maggior parte dei prestiti obbligazionari vengono emessi all'estero e quindi al di fuori dell'obbligo del prospetto informativo, ma lei sa perfettamente che la Consob ha tra i suoi compiti anche quello di vigilare affinchè gli intermediari informino adeguatamente gli investitori non professionali, secondo quanto previsto dalle disposizioni del Testo unico sulla finanza.
Da questo punto di vista, siccome è allarmante il fatto che la maggior parte delle emissioni avvenga all'estero, le chiedo cosa si sia fatto e cosa a suo avviso si debba ancora fare per far sì che ci sia un adeguato controllo sulla trasparenza e la correttezza dei comportamenti degli intermediari. Forse non si tratterà di un prospetto, ma comunque mi riferisco a tutto quanto debba essere fatto per l'informazione nei confronti degli investitori non professionali.
Infine, sempre sulla vicenda della Centrale rischi, mi associo anch'io alle precise richieste del senatore D'Amico, soprattutto perché il titolo della sua intervista aveva dato un'impressione ben chiara; oggi lei ha affermato altre cose. Sarebbe quindi il caso di sapere se la Consob abbia chiesto informazioni alla Centrale rischi, se queste siano state fornite o meno, e, se sì, con quali tempi e modalità.

MAURIZIO EUFEMI. Il presidente Cardia ha fatto chiarezza sui rapporti tra Consob e Banca d'Italia e sull'utilizzo della Centrale rischi; anche se, come già detto, si tratta di corporate bond sull'estero, quindi di difficile identificazione.
Non convince, invece, la ricostruzione dei fatti sulla vicenda Parmalat, e in parte anche sul caso Cirio. Per la vicenda Parmalat non dobbiamo dimenticare la fuoriuscita, a febbraio, del direttore finanziario, l'inadeguatezza delle informazioni (pure rilevate da analisti seri), la rinuncia ai bond (sempre a febbraio) e l'aumento di capitale ad aprile riservato al rimborso del prestito indicizzato. Si tratta di elementi che tutti avrebbero dovuto far suonare un campanello di allarme.
Volendo agire preventivamente, vorrei sapere quanti casi Parmalat potrebbero verificarsi. Quante aziende italiane possiedono «scatole» finanziarie nei paradisi fiscali? Avete svolto un indagine al riguardo?
Tra le linee di intervento, ricordate in conclusione della sua relazione, non è stato citato ad esempio un intervento per regolamentare le stock options; a fronte, ad esempio, di un caso eclatante come quello della SEAT-Pagine gialle, con i 187 miliardi di vecchie lire di stock options che hanno provocato un danno agli azionisti, ai risparmiatori. Su tali aspetti si crea un conflitto inevitabile tra manager, azionisti e risparmiatori. Credo che di ciò si debba tener conto nelle linee di intervento legislativo.
Quante sono le aziende quotate che hanno un elevato rapporto tra indebitamento e mezzi propri? Infine, può spiegare alle Commissioni perché è stata disattesa la delibera n. 274 del 5 ottobre 1977 formulata dal primo presidente della Consob, che prevedeva due importanti strumenti di conoscenza: il bollettino dei riporti e il bollettino delle anticipazioni? Questa pubblicazione non avviene più, ma costituiva un importante strumento di conoscenza per tutti gli operatori e per il pubblico dei risparmiatori.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Cardia per le risposte.


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LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Sia il presidente Tabacci sia il senatore D'Amico hanno affrontato il tema della Centrale dei rischi e l'automatico accesso ai dati. Nella convenzione che la Consob ha sottoscritto con la Banca d'Italia non sono previsti i dati della Centrale dei rischi. Tale convenzione riguarda i fondi comuni e le SIM (società di intermediazione mobiliare).
Inoltre, nel momento in cui si devono chiedere informazioni alla Banca d'Italia, gli uffici vi provvedono sistematicamente; non c'è mai stato motivo per sostenere che non vi sia stata corrispondenza. Emerge però il discorso dell'automatismo.
Non si tratta di un tema di poco conto quando ci si trova in una situazione in cui è necessario compiere una verifica, non necessariamente delle dimensioni del caso Parmalat né magari riguardante società che destano preoccupazione; con le modalità attuali occorre allora porre in essere un approfondimento tra gli uffici, necessariamente lungo e che non può essere tempestivo. Mi ripeto, il tema della Centrale dei rischi è stato forse ingigantito a causa di un titolo di giornale; per quanto mi riguarda voglio solo ricordare che la conoscenza dei dati con l'accesso automatico alla Centrale dei rischi potrebbe rendere più facile l'operato della Consob. In alcuni casi - spero minimi - ciò potrebbe essere utile per dare un segnale di alcune situazioni, oppure per rendere note alcune notizie al pubblico (ribadisco comunque il riserbo sui dati della Centrale dei rischi). Pertanto, da questo punto di vista spero di aver risposto ad entrambe le domande. Sono una persona schietta, anche se parlando a braccio spesso non si usano i termini più adatti.
I rapporti con la Banca d'Italia erano e sono corretti e buoni; l'utilizzo di alcuni strumenti, tra i quali l'accesso automatico ai dati della Centrale può rendere migliore l'operato della Consob. Accetto in pieno le considerazioni su ciò che è di nostra competenza; non mi compete invece valutare i comportamenti di altri. A volte leggendo i titoli dei giornali si può ingenerare confusione circa l'effettiva attribuzione di determinati compiti; ripeto, sono qui per rendere conto di ciò che ci compete e mi limito strettamente a questo. I rapporti inter partes sono basati sul rispetto e sulla collaborazione; i tempi di questa collaborazione possono essere talora lunghi ma a questo si può ovviare con un accesso automatico ai dati di rispettivo interesse.
Per quanto riguarda la domanda sui risparmiatori raggirati e la richiesta risarcitoria cui è stato fatto riferimento dal presidente Tabacci, ricordo che in occasione di un mio precedente intervento in Commissione feci presente che avevo la netta sensazione, anzi la consapevolezza, della caduta di fiducia che derivava dalla vicenda Cirio. In occasione di una mia visita all'estero di pochi giorni prima avevo ricevuto con sorpresa domande proprio sul caso Cirio. Certo si è trattato di un caso eclatante, ma sentirne parlare a Parigi o altrove mi ha reso più consapevole e mi ha fatto rendere conto che la vicenda aveva superato i confini nazionali e quindi stava determinando problemi di fiducia e di immagine anche all'estero.
Forse allora la mia ipotesi di soluzione di tipo mutualistico è apparsa a qualcuno azzardata; quando individuai quella ipotesi forse mi addentrai in un campo non di mia specifica competenza, ma comunque intervenni a titolo personale e sulla base della mia esperienza.
In quella circostanza segnalai l'esigenza che la fiducia scossa trovasse un valido sostegno o rinforzo attraverso un'adeguata forma di ristoro dei risparmiatori incolpevoli che avessero fatto un acquisto di bond Cirio. Reputai che la misura più efficace fosse rappresentata da un adeguato sistema mutualistico di ristoro. Mi posi preliminarmente il problema del riconoscimento di colpa e dolo, da cui invece prescinde il sistema mutualistico, e alla fine ritenni di optare per questo. Il sistema mutualistico, in quel caso, non avrebbe danneggiato singoli istituti né avrebbe rappresentato un'ammissione di colpa né tantomeno di operare doloso e avrebbe potuto invece essere utile. Naturalmente nei giorni successivi sono state


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molte le valutazioni fatte e forse mi sarà stato addebitato di entrare in un campo estraneo alla mia competenza. Rispondo che la finalità unica era quella di supportare una ripresa di fiducia complessiva.
Come ho già illustrato nella relazione, ho preso atto che talune banche stanno procedendo ad una valutazione caso per caso, peraltro su input della Banca d'Italia espresso alla fine di ottobre. Mi sono anche incontrato - per sua precisa richiesta - con l'amministratore delegato di una banca pochi giorni fa, il quale mi ha illustrato l'intenzione di assicurare un ristoro, totale per talune categorie e parziale per le altre. In quella circostanza, ho verificato, con il concorso degli uffici, come è costume in Consob, se il comunicato dell'istituto fosse o meno secundum legem. Verificato ciò, è stata autorizzata la diffusione del comunicato all'esterno. Quanto poi alla domanda specifica se i bond potessero essere venduti alla clientela, mi sia consentito di non rispondere, considerato che attualmente vi è un'indagine in corso e fornire chiarimenti potrebbe interferire con quanto eventualmente dovrà essere riferito alla magistratura.
Si è poi detto di diffide e denunce di avvocati sciacalli. Ebbene, come ho già sottolineato, abbiamo fatto una segnalazione ed aperto un'indagine per aggiotaggio nei confronti del soggetto che ha comunicato l'esistenza di un «tesoretto» di ben 7 miliardi di euro. Questa affermazione è stata ripetuta, sia pure in modo diverso, in occasione, qualche giorno fa, di una riunione di cui ha parlato la stampa. Ho firmato ieri sera la segnalazione di questo fatto all'autorità giudiziaria dopo aver chiesto conferma all'amministratore delegato Bondi dell'inesistenza di tracce di questo «tesoretto». La segnalazione è indirizzata alle procure competenti di Milano e Parma considerata la possibilità che la fattispecie in esame integri gli estremi dell'aggiotaggio. Le Autorità giudiziarie potranno accertare i fatti citati, disponendo degli strumenti necessari per riscontrare eventuali reati e chiamare il soggetto coinvolto al fine di accertare la verità dei fatti o, diversamente, in caso di assenza di fondamento degli stessi, imputare le responsabilità delle turbative non solo di mercato ma anche di stati d'animo dei risparmiatori coinvolti.
Venendo alla domanda del senatore D'Amico a proposito della Centrale dei rischi, non so se potrà dirsi soddisfatto della risposta fornita, ma è ciò che penso esattamente. Il titolo de Il Sole 24 ore ha messo in evidenza uno dei tanti argomenti che ho trattato nell'intervista. Sul punto ripeto che l'accesso diretto avrebbe potuto essere di aiuto; nulla ci dice che se lo avessimo richiesto ci sarebbe stato negato, né che avremmo potuto trarne necessariamente elementi utili per procedere meglio.
Non vorrei tornare più volte sul punto. Cercherei, invece, di ribadire l'importanza di un rapporto di collaborazione tra le istituzioni competenti che a mio parere non può escludere, appunto, un accesso ai dati, naturalmente regolato in modo preciso e corretto, tale da poter rendere più agevole e proficuo l'operare della Consob.
Venendo alla domanda del senatore D'Amico circa l'esistenza di carte false, osservo quanto segue. Ho affermato - ed è anche scritto nella mia relazione - che le carte ci sono state consegnate nel mese di agosto (risulta dagli atti), mese in cui abbiamo effettuato ben tre interventi. Certamente, in prima istanza, non si riscontrarono elementi da cui poter ricavare la falsità della documentazione. Il progredire però dell'attività ha portato ad identificare una situazione fraudolenta ed unica nel suo genere.
Quella della Consob è stata interpretata come una resa o un'incapacità di far fronte alle situazioni fraudolente. A questa posizione rispondo e ripeto ancora: le situazioni fraudolente hanno dimensione e consistenza tali da richiedere senza dubbio interventi pronti. Ad esse è necessario far fronte, ma l'efficacia e l'immediatezza delle risposte dipenderanno anche dal possesso o meno di strumenti normativi e di personale adeguati, unitamente a competenze sufficienti per intervenire.


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Inoltre, nella mia esperienza, una fraudolenza di questo genere è unica; certamente a tutta la Consob e a me sarà molto utile per il futuro: se accadranno altri episodi simili, capaci di destare allarme, probabilmente correremo anche il rischio di sentirci accusare di un eccesso di intervento sulle società, interferendo nella loro attività con un'ispezione finalizzata al prelievo delle carte e alla loro verifica. Occorre però osservare che con i poteri attuali ci è data la possibilità non di venire direttamente in possesso della documentazione, ma solo di richiederla. Ecco la differenza rispetto al potere di cui dispone la Guardia di finanza o di cui dispongono altri soggetti; una cosa è poter richiedere semplicemente che ci vengano consegnati documenti, altro è poter accedere direttamente agli uffici degli enti interessati e cercare direttamente tra la loro documentazione. In questo caso la situazione sarebbe ben diversa. Si è parlato, inoltre, di capacità di personale, di risorse e delle norme da integrare. Non posso che ripetere che tali problemi sono allo stato ineludibili, perlomeno per far funzionare in modo adeguato il sistema, anche di fronte alla mole di interventi che ci sta letteralmente schiacciando. Non esito a dire che molto personale della Consob rimane presente negli uffici anche il sabato e spesso la domenica. Chiunque passasse di fronte ai nostri uffici vedrebbe non poche macchine nei parcheggi: lo sforzo sta raggiungendo un limite non superabile.
L'onorevole Benvenuto parla della relazione del marzo del 2003, trasmessa alla Camera nell'ottobre successivo. Rispetto a ciò non posso che ascoltare. Abbiamo presentato nei tempi la nostra relazione ed il Ministro ha ritenuto di trasmettere al Parlamento con i commenti del caso. Non sono a conoscenza di altro.
Per quanto riguarda, invece, i quesiti sollevati a proposito della commissione Galgano e la domanda se quelli posseduti siano strumenti sufficienti, rispondo che lo sono soltanto sotto l'aspetto dell'indipendenza dei revisori, ma non per gli altri organi di controllo societario, come per esempio amministratori e sindaci. Certamente sono strumenti utili, l'ho già detto nella mia relazione; ripeto però che è soprattutto dal recepimento della direttiva sugli abusi di mercato - che fu oggetto di un emendamento dell'onorevole Benvenuto non recepito nella legge comunitaria 2003 - può derivare un potenziamento rilevante della Consob.
Passando alle squadre di calcio, devo anzitutto sottolineare che si tratta di soggetti con caratteristiche del tutto peculiari, tant'è che la loro quotazione - in un primo momento impedita dalla Consob proprio in considerazione delle loro particolarità - è stata possibile solo a seguito di un intervento legislativo. Quanto ai legami tra banche e quello che è stato definito «effimero», osservo come la Consob non possa entrare in questo intreccio. Dinanzi alla scelta di un soggetto che ritenga di finanziare una società - sia essa una squadra di calcio o altro -, la Consob potrà soltanto far sì che tutto avvenga nel modo più trasparente. E noi abbiamo fatto in modo che ogni mese per le squadre di calcio siano esposte le situazioni esistenti. Nell'intervista che rilasciai a suo tempo, dissi anche: attenzione alle squadre di calcio e ciò perché la Consob aveva ritenuto di fare esporre al mercato la loro situazione con cadenza mensile, essendovi preoccupazione sui loro costi di gestione e sullo stato del loro indebitamento. Ciò a conferma del fatto che, nei limiti degli interventi normativi consentiti dalle norme vigenti, la Consob svolge anche sulle società sportive quotate in borsa un'attenta vigilanza. Ove poi ci fossero situazioni diverse - che non voglio nemmeno ipotizzare - certamente esse competerebbero a soggetti diversi e non alla Consob, alla quale spetta unicamente di far si che ci sia trasparenza nella situazione societaria e sulla evoluzione della stessa.
Riguardo a quanto detto dalla senatrice De Petris, sarebbe difficile per me esprimere un giudizio su quale sia la situazione da attenderci per il futuro, perché dovrei esprimere un giudizio di merito su situazioni ancora in essere. Immaginate, per assurdo, se dicessi che una società con un


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alto indebitamento sia a rischio: sarebbe non solo una pazzia ma creerebbe anche una turbativa di mercato. Posso solo dire che gli insegnamenti che abbiamo tratto ci porteranno a svolgere con maggiore puntualità e tempestività ulteriori verifiche su quelle situazioni che, non necessariamente per il livello di indebitamento, ma anche per altri motivi, possono essere tali da richiamare attenzione.
Ricordo inoltre che la normativa consente alle società di emettere prestiti obbligazionari all'estero e che non compete in tal caso alla Consob dare il via libera alle operazioni; se poi i titoli vengono collocati presso il pubblico con una sollecitazione, allora occorre un prospetto nel quale vengano evidenziate tutte le informazioni necessarie. Come è noto, però, se i corporate bond sono collocati solo presso investitori istituzionali, non vi è obbligo di pubblicazione del prospetto.
Riguardo al controllo sulla trasparenza e sulla correttezza degli intermediari, mi rendo conto del senso della domanda, e cioè se è possibile vigilare i comportamenti degli intermediari anche alla fonte. Prendiamo ad esempio il caso della Cirio, ed immaginiamo che un corporate bond venga dato ad un istituto bancario e che esso in un certo momento lo metta a disposizione del pubblico; allora, se il titolo è richiesto dal pubblico e se vengono esposte chiaramente le caratteristiche del bond e vengono fornite tutte le informazioni necessarie, ciò rientra in una normale attività di trading che mi appare corretta; se, invece (faccio un esempio di scuola perché, essendoci un'indagine, non vorrei che questo fosse inteso come un riferimento specifico) l'iniziativa della vendita venisse assunta direttamente dalla banca senza richiesta del risparmiatore, allora si deve valutare se questo sia conforme a legge o meno.
Ritornando al caso di principio, la Consob può a tale proposito fare due cose: innanzitutto verificare che il sistema organizzativo degli istituti, cioè della banca e degli intermediari, sia funzionante e adeguato, oppure, verificare a posteriori, attraverso l'avvio di un indagine, come esso abbia funzionato. È assolutamente escluso che la Consob possa prendere uno, due o - ammesso che li avesse - mille dei suoi funzionari e dire loro di andare a vedere cosa viene fatto a quello o a quell'altro sportello. Questo è assolutamente al di fuori di ogni possibilità e di ogni previsione normativa.
Circa le domande poste dal senatore Eufemi, faccio presente che nell'esposizione del caso Parlamat ho descritto tutto ciò che è stato fatto e che dietro ogni indicazione di eventi esiste una specifica documentazione. Resta a chi deve giudicare, compreso il Parlamento, stabilire se si poteva fare di più e di meglio. Credo che sia stata fatta un'analisi ab initio, che dopo si è tramutata in un vero e proprio pressing, perché quanto emergeva ha sollevato sempre maggiori dubbi e ha indotto a verifiche più puntuali sino a giungere all'accertamento della drammatica verità; accertamento, mi sia consentito, che è derivato dal pressing della Consob.
È certamente vero quanto affermato a proposito delle aziende italiane e dei paradisi fiscali e ricordo, per averne avuto piena conoscenza, che i rapporti di collaborazione internazionale sono necessari. Certo, si potrebbe anche pensare ad una normativa che consenta di sottoporre nel nostro Paese a verifica più cogente società che abbiano parte rilevante del loro attivo nei paradisi fiscali. Devo dire, però, che finchè la normativa internazionale lo consente, abbiamo pochi strumenti per contrastare tale fenomeno. Auspicherei quindi una normazione, quanto meno sul piano europeo, che preveda principi e strumenti comuni e, forse, a lungo andare, anche forme di controllo unificato.
Circa le stock option, che rappresentano probabilmente una delle situazioni in cui al vantaggio di alcuni si potrebbe contrapporre uno svantaggio degli investitori, possiamo solo far sì che, nei prospetti e nelle occasioni in cui si rende informativa al pubblico, venga puntualmente esposta l'entità di quelle che sono state concesse. Il fatto che la normativa ne consenta l'emissione, non permette che la Consob si opponga alle stock option; si può solo fare in modo che di esse vengano rese


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cognite l'esistenza e la attribuzione. Sicuramente una normativa che le rendesse non conformi a legge, o ne regolasse entità e modalità di attribuzione, potrebbe eliminare o ridurre il fenomeno, diminuendo anche gli effetti conseguenti.
Sinceramente, non ricordo il bollettino Riporti ed anticipazioni esistente nel 1977; ne prendo comunque nota, perché probabilmente potrebbe essere un utile spunto. Mi pare però che il bollettino dei riporti non sia più pubblicato perché i riporti di borsa, con il passaggio da un mercato di borsa a termine a un mercato di borsa a contanti, sono spariti, e quindi non è più necessaria la loro rilevazione. Questo non vuol dire che, in qualche modo, non possano essere recuperate altre forme di rilevazione dei dati di mercato.

PRESIDENTE. Passiamo ora al terzo gruppo di domande. Do la parola all'onorevole Saglia.

STEFANO SAGLIA. Rinuncio a porre quesiti, essendo state ampie e puntuali le domande poste dai colleghi e colgo l'occasione per ringraziare il presidente Cardia.

GIAMPIERO CANTONI. È certamente difficile porre quesiti dopo che i colleghi hanno posto con puntualità le loro domande. Ringrazio anch'io il presidente Cardia, che in realtà ha fatto un'ottima difesa dell'operato della Consob. Però le devo dire - senza assolutamente alcuna polemica - che non mi trova assolutamente soddisfatto. Le sue sono risposte giuste, ha ricordato la normativa ed ha anche fatto valutazioni che vorrei però puntualizzare.
Una puntualizzazione grave è che, quando lei, presidente Cardia, non ha più letto la relazione, preparata puntigliosamente dai collaboratori della Consob, ha detto che dai bilanci non si poteva evidenziare questa - chiamiamola eufemisticamente - distorsione. Non sono d'accordo con lei e con i suoi collaboratori su ciò, per il semplicissimo fatto che nessuna azienda può avere debiti per 7 miliardi e mezzo e liquidità per 4 miliardi; ciò insospettirebbe qualsiasi analista alle prime armi.
I 4 miliardi potevano essere evidenziati perché potevano esserci delle nuove acquisizioni e poteva sembrare che la liquidità costasse meno dell'indebitamento. A mio avviso, si tratta di una discrepanza assolutamente non accettabile, perché qualsiasi analista poteva effettivamente verificare i bilanci e vedere che esisteva un buco. In realtà, troppe istituzioni, troppi analisti, troppi certificatori - che, guarda caso, sono anche consulenti - hanno fatto finta di non vedere, mentre, invece, c'era una grande attenzione su tanti altri gruppi. Più volte i miei colleghi hanno posto il problema riguardante la Centrale rischi e, anche se con un eloquio estremamente prudente, lei ha detto - mi congratulo con lei perché la Consob non avrebbe mai potuto avere miglior difensore del suo presidente - che con la possibilità di consultare la Centrale rischi, probabilmente, avreste fornito qualche dato in più.
Quindi, implicitamente ritiene che la Banca d'Italia si sarebbe dovuta accorgere di questa discrepanza perché, in realtà, la stessa - e in modo particolare il suo governatore - ha più volte richiamato la responsabilità della Consob e su questo aspetto non mi sembra che da parte della stessa ci sia stata una difesa d'ufficio. Ricordo che la Consob, istituita come Commissione nazionale per la società e la borsa nel 1974, secondo quanto previsto dallo statuto vigila sulle società quotate in borsa e, in particolare, sulla trasparenza e sulla tutela degli investitori. Quindi, dato che ci sono almeno 500 mila risparmiatori truffati, dovremmo stabilire di chi sia la responsabilità non solo oggettiva, civilistica o penale, ma anche morale. In questo caso, mi riferisco al sistema bancario, alla Consob, alla Banca d'Italia, ai certificatori, ad un sistema di sindaci che deve essere assolutamente cambiato, alla necessità di avere, come negli Stati Uniti e in Germania, una commissione di vigilanza sulle società di certificazione e sui sindaci; altrimenti, assisteremo in questa commissione


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ad uno scarico di responsabilità normative fra un istituzione e l'altra, mentre, in realtà, rimane sempre il «cerino» e il cosiddetto «parco buoi».
Per quanto riguarda l'istituzione che deve controllare, quanto previsto non è moralmente ed eticamente accettabile. Sono rimasto molto sorpreso quando lei ha detto che, nel momento in cui gli obbligazionisti risparmiatori acquistano dalle banche, la Consob non è tenuta a controllare se lo sportello abbia consigliato loro di acquistare i titoli Cirio, Parmalat, i bond dell'Argentina o My Way: sotto l'aspetto normativo, lei ha assolutamente ragione, ma ciò non è moralmente ed eticamente accettabile.
Inoltre, lei ha ripetuto più volte che la Consob non è tenuta - malgrado quanto previsto dallo statuto in materia di controllo e di trasparenza delle società quotate in borsa - a vigilare sulle obbligazioni emesse sull'estero. Tuttavia, vorrei ricordarle che all'estero nessun bond può essere emesso, perché nessuna istituzione ne acquisterà mai uno senza una fideiussione o una garanzia della casa madre. Quindi, sulle garanzie della casa madre la Consob o la Banca d'Italia hanno il dovere specifico di controllare e, se questo non è avvenuto, sono state negligenti.
È stato più volte detto che i bond Cirio sono stati «spalmati» sui risparmiatori. Tuttavia, i colleghi Eufemi, Turci, Costa e il presidente Pedrizzi ricorderanno che, alla mia domanda specifica rivolta al presidente Spaventa nel corso di una sua audizione, è stato risposto che i bond dovevano essere solo ed esclusivamente venduti all'estero fra istituzioni e banche, e quindi, non potevano essere venduti ai risparmiatori.
Allora, presidente, come mai queste banche, che fanno un prospetto e nazionalizzano i bond, poi li danno ai pensionati? Escludo nel modo più assoluto che un pensionato, una vecchietta o un cosiddetto «parco buoi» possono andare in banca e chiedere dei titoli Cirio o Parmalat.

PRESIDENTE. Senatore Cantoni, la invito a concludere il suo intervento.

GIAMPIERO CANTONI. Quindi, mi chiedo se i bond potessero essere circolarizzati in Italia e se la loro emissione all'estero avesse la garanzia della casa madre.

ETTORE ROMOLI. Mi sembra assolutamente eccessivo dire che si è trattato di una truffa sofisticata. Infatti, qualunque studente alle prime armi della facoltà di Economia e commercio è in grado di capire che esiste qualche anomalia in un bilancio che presenta al suo attivo 4 miliardi di liquidità e al passivo 7 miliardi di indebitamento: mi sembra che di tutto ciò non si sia preoccupato nessuno (i sindaci, i revisori, la Banca d'Italia, la Consob o chiunque dovesse formulare un giudizio su quel bilancio).
Quindi, continuare a dire che dei grandi truffatori vi hanno preso alla sprovvista, mi sembra un modo non molto elegante per scaricare delle responsabilità. Presidente, mi permetto di consigliarle un controllo più approfondito su altre società quotate in borsa con una situazione, se non uguale, perlomeno analoga a questa, perché non può non essere anomala. Inoltre, si continua a parlare di bond che - emessi all'estero o in Italia, con o senza rating - circolano e che vengono collocati agli sportelli. Tuttavia, credo che il fenomeno sia peggiore di quello rappresentato dai colleghi e mascheri un conflitto di interesse assolutamente preoccupante. Gli istituti di credito hanno la possibilità di collocare i bond o i titoli azionari attraverso le società di gestione fondi da loro create e controllate. Quindi, il risparmiatore non viene neanche a sapere che nel fondo comune di investimento che ha acquistato esistono bond Cirio, Parmalat o Argentina.
Semplicemente, può registrare, se controlla l'andamento del fondo, qualche anomala diminuzione di valore che, poi, viene compensata da altre situazioni.
Credo che sia un fenomeno da esplorare. Non è possibile continuare a parlare


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di vecchiette allo sportello. Credo che sia un fatto che debba essere indagato.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, faccio soltanto presente che stiamo andando oltre il limite di un'ora e mezza, un'ora e tre quarti per le domande, che ci eravamo autoattributo.
Senatore Cantoni, è inutile dire: sarebbe meglio una Commissione d'inchiesta. Chi vuole una Commissione d'inchiesta presenta un progetto di legge. Le Commissioni d'inchiesta si istituiscono con legge o possono essere disposte dalle Camere. Se qualcuno ritiene che sarebbe necessaria una Commissione d'inchiesta, avanza una proposta e, se vi è una maggioranza, la si approva.
Dagli uffici di presidenza è stato concluso che, nell'interesse del dibattito e dell'acquisizione immediata di conoscenze, era meglio che i senatori ed i deputati ascoltassero direttamente le parole dei nostri interlocutori, per porre domande e non l'indomani, dopo che le relazioni fossero conosciute.
Debbo ringraziare il presidente della Consob, che ha svolto una relazione di un'ora e mezza, anziché di cinquanta minuti. Sono tutti elementi che vanno a vantaggio della nostra conoscenza.
È chiaro che tutto ciò è molto faticoso, per noi e per il nostro interlocutore, ma più materiale ci viene fornito - direttamente o in allegato - più questo è utile per il nostro lavoro.
Dobbiamo, tuttavia, essere molto rapidi nel formulare le domande.

MAURIZIO LEO. Signor presidente, cercherò di accogliere il suo invito. Sugli aspetti attuali delle vicende Parmalat e Cirio va, sicuramente, messo in evidenza che i bilanci aziendali non sono stati accuratamente controllati.
Quando si riscontrano i bilanci aziendali, è necessario operare riscontri di tipo materiale e oggettivo, sulla liquidità, sul conto banca, cassa, eccetera. Poi si effettuano riscontri di tipo valutativo sulle partecipazioni, eccetera.
I riscontri di tipo oggettivo sono facili. Non bisogna far ricorso o appello a grandi specialisti della materia. Come ha detto qualche collega che mi ha preceduto, le garanzie vanno, poi, esaminate. Le garanzie, come sa chi si occupa di tecnica aziendale, sono poste sotto la riga e, quindi, possono offrire possibilità di riscontro al verificatore.
La mia domanda si incentra su prospettive future: siamo alla vigilia di un'importante revisione del sistema di contabilità, che si riflette, sicuramente, sull'emissione dei prestiti obbligazionari. Sappiamo che si sta introducendo nel nostro ordinamento l'adozione dei principi contabili internazionali.
Attraverso tali principi le emissioni dei prestiti obbligazionari non si faranno più sulla base dei costi, degli asset patrimoniali, ma sulla base dei valori di mercato. Pertanto, se il costo del bene patrimoniale è cento, ma il suo valore di mercato è mille, ciò si rifletterà automaticamente sull'emissione del prestito obbligazionario. Ciò comporterà notevoli e deflagranti conseguenze sull'emissione dei prestiti obbligazionari e sulla tutela dei risparmiatori.
Come ritiene, presidente Cardia, che si possano scongiurare tali pericoli, che sono alle porte? Attraverso l'introduzione dei nuovi meccanismi, probabilmente avremo valori falsati di bilancio che consentiranno l'emissione di prestiti obbligazionari, con le ricadute connesse che si verificheranno in capo ai risparmiatori.
Vorrei sapere se lei ritiene necessarie modifiche normative (mi riferisco, in particolare, alla legge comunitaria, all'articolo 25 che prevede per i bilanci individuali, l'adozione dei principi contabili internazionali) e se tali modifiche vadano compiute in tempi rapidi, proprio al fine di evitare le problematiche evidenziate.

RICCARDO PEDRIZZI, Presidente della 6a Commissione permanente del Senato della Repubblica. Parto dall'indagine conoscitiva condotta dalla Commissione Finanze della Camera, presieduta dal collega, onorevole La Malfa. Se ricordo bene, risultò, da tale indagine, che l'impianto normativo e regolamentare del Testo unico delle finanze, nel complesso, era idoneo a


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garantire la solidità del sistema finanziario e, quindi, la tutela dei risparmiatori e degli investitori.
La stessa indagine, però, sottolineò che l'evoluzione del sistema finanziario e l'integrazione europea ed internazionale avrebbero richiesto sempre più un alto tasso di trasparenza ed un impianto di vigilanza più efficace, in particolare per ciò che riguardava i controlli.
Tale rilievo fu ripreso dal Governatore della Banca d'Italia, in occasione della sua ultima considerazione. In tale occasione, egli invitò gli intermediari - bancari e non bancari - ad informare correttamente i risparmiatori nel consigliare quale investimento effettuare.
Sulla stessa linea si mosse la relazione del presidente della Consob, relativa all'anno 2002. Si sottolineava, innanzitutto, il formalismo dell'operatività della Consob, ma promettendo modifiche normative, volte a garantire, sempre più, alla clientela informazioni adeguate, in particolare per le obbligazioni prive di rating.
Nella stessa occasione il presidente della Consob affermava che avrebbe preso iniziative sul versante dell'attività di vigilanza sulle società di revisione.
Come possono rilevare i colleghi, vi è stata una fase in cui è risultata una percezione ed una sensibilità forte, innanzitutto della politica (abbiamo, quindi, smentito che la politica giunge sempre in ritardo: la Commissione presieduta dall'onorevole La Malfa individuò tali nodi importanti) e, successivamente, delle stesse autorità di vigilanza (Bankitalia e Consob) su tali temi, divenuti cruciali, allo scoppio degli ultimi scandali.
Mi chiedo: nonostante tali sensibilità, tali percezioni e tale consapevolezza, come è stato possibile che, nel febbraio 2003, la Consob abbia domandato chiarimenti alla Parmalat e, da quel momento, fino all'autunno, non si sia fatto alcunché; non vi siano state segnalazioni ad altre autorità, non si sia fatto riferimento ai singoli istituti bancari?
Aggiungo che il presidente della Consob ha ricordato una lettera del 3 marzo, di esposto della stessa Parmalat, che chiedeva di essere «aiutata» sui mercati.
È possibile che un'azienda che possiede controllate o collegate in paradisi fiscali, che presenti una situazione patrimoniale quale quella rilevata dai colleghi, per la quale siano stati richiesti chiarimenti (non forniti), possa veder trascorrere, in modo indenne, dieci mesi, senza subire alcun controllo?
È già risultato dalla lunghissima relazione del presidente della Consob, per la quale lo ringrazio, che, a questo punto, dobbiamo operare a trecentosessanta gradi sui controlli interni (è stato fatto riferimento al collegio sindacale ed alle società di certificazione), sul diritto societario, in particolare per quanto riguarda la disciplina dei gruppi; esistono competenze delle autorità nazionali che si fermano ai confini dello Stato nazionale. I gruppi e le loro architetture societarie sono costruite apposta per sfuggire ai controlli delle autorità nazionali, che non riescono ad andare oltre.
Occorre condurre indagini più precise e più approfondite per tutte le società che hanno collegamenti e società controllate o collegate in paradisi fiscali.
Occorre una maggiore collaborazione tra le autorità di vigilanza, mi riferisco in particolare alla Centrale rischi. Basterebbe una convenzione, non occorre neanche provvedere dal punto di vista legislativo. Come operatore del settore vorrei ricordare che i dati a disposizione della Banca d'Italia vengono elaborati e poi diffusi almeno con due mesi di ritardo, per cui la celerità, a cui si faceva riferimento prima riguardo al settore bancario, non è poi così tempestiva.
Penso che sia necessario rafforzare la Consob, come è stato evidenziato del resto in tutti gli interventi. La SEC con l'ultima legge di bilancio federale americano ha ricevuto il 38 per cento in più di risorse finanziarie, che gli hanno permesso di assumere 600 persone, mentre noi dibattiamo per fare assumere alla Consob una decina di elementi in più.


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Vorrei parole più precise da parte del presidente Cardia sulla riforma della Borsa, perché c'è un evidente conflitto di interesse. Come si può evitare questo conflitto di interessi? Chi parla ha un'idea: creare una società pubblica e poi privatizzarla, se possibile anche a livello europeo.
Come vengono censiti i prodotti derivati? Nell'ultimo anno i prodotti derivati nel mondo si sono moltiplicati almeno per 50. Non si sa neanche come vengano classificate nei bilanci questo tipo di scommesse, che non hanno più alcun collegamento con il rapporto commerciale sottostante, e come vengano rilevati dalla Banca d'Italia e dalla Consob. Attraverso i prodotti derivati ci potrebbe essere una montagna di debiti che sfuggono completamente alle rilevazioni degli istituti di vigilanza.
Rilevo, infine, con soddisfazione come il presidente Cardia non ritenga necessarie grandi riforme per le autorità di vigilanza per il breve termine, ma solamente degli aggiustamenti per il miglior funzionamento di ciascuna di esse.

PRESIDENTE. Do nuovamente la parola al presidente della Consob.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. È noto che il senatore Cantoni è un grande esperto del settore; è ragionevole, quindi, che più che un discorso generico ricerchi una risposta puntuale, in quanto, come ha fatto presente, non si poteva non dedurre da quanto esposto in bilancio che esisteva una situazione anomala che doveva essere approfondita e perseguita. La Parmalat sin dal 1999 aveva mostrato sempre utili di bilancio nell'ordine di circa 200 milioni di euro e aveva un indebitamento attestato intorno a 5 miliardi di euro; cifra sicuramente rilevante, ma a fronte di tale situazione debitoria mostrava disponibilità liquide che andavano anche fino a 3,5 miliardi di euro, con un indebitamento netto inferiore ai 2 miliardi di euro. Si trattava di una situazione che di per sé non era anormale, se comparata con altre società quotate. Il gruppo comprendeva anche centinaia di società estere, cosa da non sottovalutare. La società aveva una strategia finanziaria di gruppo che poteva anche non essere condivisibile, ma non rientra nei compiti dell'autorità di vigilanza sindacare le decisioni industriali, commerciali o finanziarie di un consiglio di amministrazione, che rientrano nell'ambito di responsabilità del management. Personalmente non mi sottrarrò mai alle mie responsabilità o alla critica di non essere all'altezza del compito o di operare in modo inadeguato.
La questione della particolare situazione finanziaria del gruppo è stata più volte esaminata; per riferirsi solo all'ultimo anno, ricordo che il 10 aprile essa è stata oggetto anche di una conference call di Parmalat con gli analisti finanziari durante la quale vi è stato un dibattito aperto in cui si è cimentata l'intera collettività finanziaria e al termine di quel dibattito il valore di borsa del titolo è migliorato.
È la prima volta che accade che una posta di liquidità così rilevante, indicata tra l'altro come depositata in una grande banca americana, si riveli poi falsa. Tutti coloro che controllavano la società in base alla normativa vigente, a partire dal collegio sindacale, davano per esistente questa liquidità. Certamente da oggi in poi se la Consob rileverà società che hanno una grande liquidità all'estero ed un indebitamento netto elevato cercherà in tutti i modi di verificare la situazione, anche se i suoi poteri si fermano al confine italiano e si dovrà fare ricorso alla collaborazione internazionale. Tra l'altro noi lo abbiamo anche fatto per Parmalat, ma i suoi dirigenti ci hanno consegnato nell'agosto del 2003 un documento bancario da cui risultava che esistevano 3,95 miliardi di euro di liquidità. Tutte le società di consulenza e di analisi, eccetto forse una, hanno segnalato una situazione di bilancio da non destare allarme.
Vorrei che tutto ciò suonasse non a giustificazione di un operato ritenuto omissivo, ma suonasse a considerazione di un operato corretto che la Consob ha avuto nei confronti di tutte le società - e


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sino ai primi motivi di dubbio anche nei confronti di Parmalat - in modo tale da non turbare l'andamento di borsa. Quando ad ottobre mi è stato detto che vi erano troppi controlli e troppe pressioni, ho ritenuto di andare avanti comunque, magari senza fare apparire troppo manifesto il controllo che però in modo sempre stringente la Consob stava svolgendo. Ripeto, che, resi ancor più maliziosi dal senno di poi e forti della esperienza vissuta, semmai dovesse verificarsi il caso di una società che avesse all'estero tutta o gran parte della sua liquidità e avesse un consistente indebitamento, ci attiveremo in tempi minimi e con la massima determinazione possibile: comunque, solo avendo maggiori poteri si può intervenire in maniera più efficace.
Per quanto riguarda la questione della vigilanza sulle obbligazioni emesse, se la casa madre è stata negligente o meno nelle garanzie prestate (mi riferisco alla Cirio) è in corso un'indagine che accerterà i fatti; per quanto riguarda le obbligazioni (i corporate bond), esse possono essere legittimamente vendute a investitori istituzionali senza bisogno di prospetto. Solo ove fossero collocate direttamente presso la clientela cosiddetta retail, c'è bisogno del prospetto (Interruzione del senatore Cantoni)...

PRESIDENTE. Il senatore Cantoni sta affermando, non so se sia esatto, che queste obbligazioni senza prospetto emesse all'estero non potevano circolare in Italia. Lei è in grado di dare una risposta a questa affermazione?

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Se la domanda è questa, certamente sono in grado di darla.

PRESIDENTE. Non ho ridato la parola ad altri deputati e senatori, ma credo che questo sia un punto delicatissimo e pertanto ritengo di dover dare la parola al senatore Cantoni.

GIAMPIERO CANTONI. Io escludo che i bond emessi all'estero possano essere immessi, senza rating ovviamente, perché non erano società che avessero un rating accettabile, senza la garanzia della casa madre. Quindi, la casa madre ha evidentemente un aspetto contabile e societario che deve essere collocato dove esiste la sua sede, e quindi per la Cirio dov'è la Cirio, per la Parmalat dov'è la Parmalat, e quindi queste garanzie e queste fidejussioni vengono immediatamente evidenziate e devono essere sottoposte a sorveglianza.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Senatore, le rispondo. Confermando che non c'è dubbio che se all'estero viene fatta una emissione di bond ci sarà un soggetto che fornirà una garanzia; nel caso della Cirio era la casa madre. Ma dobbiamo considerare che nel caso della Cirio e della casa madre esisteva, all'estero, un asset di 500 milioni di euro, per il quale risultava che era in corso una trattativa per la sua vendita. L'affare non è andato in porto. Sono un po' cauto nel fare altre affermazioni perché esse sono oggetto di indagine da parte dell'autorità giudiziaria e quindi, se dico una cosa in modo non esatto o che non posso dire, domani potrebbero chiamarmi a renderne conto, anche se ho dato una risposta nella sede più nobile ed elevata quale è il Parlamento.
Mi sento solo di dire che queste garanzie avevano per corrispondenza un asset dichiarato del valore di 500 milioni di euro. Dopo di che, se questo asset lungo la strada è venuto meno, ciò riguarda lo sviluppo di una situazione che non ha portato all'acquisizione della liquidità corrispondente. Peraltro, il giudizio su tutto ciò e sulla veridicità di quanto a suo tempo dichiarato in atti ormai compete all'Autorità giudiziaria che sta attivamente e a tutto campo indagando.

PRESIDENTE. L'altro aspetto riguarda un chiarimento utile al Parlamento riguardo ai bond senza rating emessi all'estero, con o senza garanzia della casa madre, e piazzati presso gli investitori istituzionali. Essi possono essere a loro volta rivenduti alla clientela retail dopo essere stati piazzati?


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LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Allora, il problema è il seguente: i bond emessi all'estero (nel caso specifico in Lussemburgo, che tra l'altro è la sede dove maggiormente vengono emessi), se sono corporate bond, possono essere piazzati o acquistati senza prospetto dagli investitori istituzionali, che li inseriscono nel loro portafoglio. Se ci trovassimo in America dovrebbero rimanerci dodici mesi in base al principio 144 della loro legislazione.
In Italia è consentito che successivamente vengano dati a coloro che li richiedono, spiegando esattamente cosa sono, previa piena conoscenza e attenta valutazione della situazione in cui si trova l'emittente e chiedendo, ad esempio, a Lamberto Cardia - che per ipotesi volesse acquistarli con trasparenza e correttezza - qual è la sua situazione finanziaria, qual è la sua attuale propensione al rischio, cosa vuole acquistare e qual è il rendimento che si aspetta: «tu mi hai chiesto questi bond e io te li do». Questo è ciò che la legge e i regolamenti richiedono e consentono (Commenti).
L'onorevole Romoli in sostanza afferma qualcosa di simile a quanto oggetto della parte iniziale della mia risposta: egli dice che non si tratta di una truffa sofisticata, eccessiva; anche uno studente alle prime armi sarebbe stato in grado di smascherarla. Io non posso dire se si tratti di una truffa sofisticata o no, ma certamente posso dire che si è trattato di una truffa dilagante, di cui molta parte è avvenuta all'estero, ma non sono in grado di dire di più. Non si tratta del singolo truffatore o del singolo falsificatore di un bilancio. È una dimensione notevole e non so se con sede all'estero o nel nostro Paese e quali ne siano le propaggini su cui l'Autorità giudiziaria sta indagando.
Quindi non la definirei sofisticata, perché non ho elementi per definirla tale. Ma che si tratti di una grande truffa è sicuro. Lei, onorevole Romoli, afferma che lo studente alle prime armi avrebbe potuto coglierne l'anomalia. Io sono lieto che ci siano studenti, che sono la speranza del nostro futuro, in grado di fare questo. Sinceramente, i fatti sono quelli che ho rappresentato.
Quali altre società quotate in Borsa presentano anomalie? Mi sia consentita una semplicissima considerazione. Premesso che non lo so e che certamente, specie se avremo mezzi maggiori, faremo controlli più tempestivi e ad ampio raggio, se io mi permettessi ora di dire che c'è una sola società che, per ipotesi, avesse una situazione difficile, credo che mi troverei in grande difficoltà.

GIANCARLO PAGLIARINI. Non le chiedo i nomi ma quante sono.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Vi posso dire, per esempio, senza fare nomi naturalmente, che questa mattina un procuratore della Repubblica mi ha chiamato alle 8 (mi voleva chiamare alle 9 ma gli avevo chiesto di farlo alle 8 perché dovevo recarmi qui) per segnalarmi specifiche indagini su una società. Nel momento stesso in cui me l'ha detto, prima di venire qui lungo la strada ho dato disposizioni affinché la Consob facesse ciò che doveva fare. Ma mi rendo conto che è una risposta limitata rispetto al quesito postomi e per di più riguarda indagini in corso.
Dico questo per dire che noi facciamo fronte per quanto possibile alle situazioni che si presentano. Sinceramente non mi sento di dire che, per quanto è a mia conoscenza, ci siano ipotesi di anomalie di questo genere o di queste dimensioni. Per quanto ne sappia o per quanto pensi, non ho motivo di rispondere diversamente.
Per quanto riguarda le domande poste dall'onorevole Leo, la revisione dei principi contabili è particolarmente rilevante. Si sta discutendo per giungere ad una unificazione; la valutazione a valore reale dei valori di libro potrebbe «scuotere» il sistema e pesare sui bilanci delle grandi e medie imprese più che su quelli delle piccole. È noto che esiste un contrasto di rilievo; l'augurio è che, anche in sede internazionale, si giunga finalmente ad una unificazione dei principi sia pure con


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un certo periodo di transizione; si tratta di una opinione personale, ma credo che trovi consenso anche perché è necessario un graduale adattamento.
L'esposizione, peraltro da me totalmente condivisa, svolta dal presidente Pedrizzi è stata molto ampia. Egli ha affrontato le questioni relative ai controlli interni ed esterni, alle società di certificazione, al diritto societario ed alla disciplina dei gruppi. In merito a quest'ultimo aspetto, non so se i gruppi siano strutturati con la finalità specifica di sfuggire al controllo, ma certamente ciò può anche essere, per cui essi debbono essere monitorati e controllati nella maniera più idonea.
Per quanto riguarda i controlli sulle società di certificazione confido che la emananda normativa possa dare maggiori poteri. Mi rendo conto che in sede di ispezione verificare tutto il materiale, anziché richiedere una semplice carta, è cosa ben diversa ed auspico quindi che il Parlamento fornisca poteri di indagine e di acquisizione diretta, anche tramite la Guardia di finanza. Anche sulla questione dei gruppi, una regolamentazione più cogente dovrà essere tale da evitare non l'esistenza dei gruppi, quanto quel «malizioso» o non corretto uso di tali strumenti, che, ove malizioso, può provocare danni. La ringrazio quindi, onorevole Leo, per le domande poste. Lei ha segnalato ciò che è avvenuto alla SEC dopo il caso Enron. Gli Stati Uniti d'America hanno avuto uno «scossone» ma hanno reagito in modo tempestivo ed efficace.
Per quanto riguarda la riforma della Borsa (se debba essere una società pubblica o privatizzata), osservo che la privatizzazione dei mercati è una costante di tutti i paesi più evoluti; si ritiene infatti che l'apertura e la competizione dei mercati sia meglio soddisfatta da una gestione imprenditoriale degli stessi.
Ciò non esclude che anche Borsa Italiana S.p.A. svolga una importante funzione di interesse pubblico e ciò giustifica i poteri Consob di approvazione dei regolamenti dei mercati e di autorizzazione al loro esercizio da parte della società di gestione. La Consob non ha comunque il potere di quotare i titoli, ma può solo intervenire, ad esempio, nell'ipotesi in cui Borsa Italiana S.p.A. quotasse una società che apparisse fragile, per fare esporre nel prospetto di quotazione dati e notizie per un consapevole investimento da parte dei risparmiatori.
Certamente una composizione azionaria di Borsa Italiana molto più diffusa e meno accentrata sarebbe, più che auspicabile, necessaria. La mia è una convinzione profonda.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Cardia. Vorrei fare il punto dell'audizione. Quattordici colleghi hanno già posto domande e vi sono ancora altri tredici colleghi che intendono intervenire. Vi sono due gruppi che non hanno ancora preso la parola, il gruppo misto, per il quale è presente l'onorevole Filippo Mancuso, ed il gruppo della Lega Nord. Dati i tempi a nostra disposizione invito gli altri gruppi a far intervenire un solo esponente per gruppo, in modo da concludere con un ultimo giro di domande prima della risposta conclusiva del presidente Cardia.

ALFIERO GRANDI. Signor presidente, non vi è dubbio che l'audizione del presidente Cardia sia una delle più importanti dell'indagine conoscitiva. È senz'altro possibile aderire alla sua proposta, ma la invito a prevedere la possibilità di audire nuovamente il presidente della Consob.

PRESIDENTE. È possibile affrontare l'argomento in ufficio di presidenza, ma dati i limiti posti per la conclusione dell'indagine conoscitiva, prevista per il 20 febbraio, penso sia molto difficile poter audire nuovamente il presidente Cardia.
Invito nuovamente i colleghi a ridurre il numero degli iscritti a parlare.

FILIPPO MANCUSO. Grazie, signor presidente, la Consob non ha certamente bisogno di essere tutelata da alcuno (il suo presidente lo ha fatto oggi in maniera egregia) e desidero che la mia osservazione non sia recepita tanto in termini defensionali


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quanto oggettivi. La questione della regolarità della vicenda dal punto di vista dei controlli diversamente distribuiti mi sembra non tenga conto di una peculiarità: i fatti che hanno inciso sullo svolgimento delle procedure sono di reato. Il fatto di reato interrompe normalmente qualsiasi relazione formale tra autore ed il riferimento di vertice. Quindi, altro è addebitare a questa esperienza una irregolarità puramente societaria, altro è vedere questa stessa esperienza come incisa da un fatto di reato. Ciò determina, a mio avviso, la trasformazione di quella che dovrebbe essere una competenza primaria (Banca d'Italia, Consob) in una competenza succedanea rispetto a quella dell'autorità che ha competenza sul reato. Si tratta di una competenza non decisiva ma da non trascurare nel momento in cui analizziamo le eventuali carenze che gli organi di controllo hanno potuto porre in essere.
Signor presidente Cardia, non ho bisogno di ricordarle che una recentissima riforma della legge bancaria, a sua volta recente, cioè il decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, ha introdotto la seguente disposizione con il comma 5 dell'articolo 7: «La Banca d'Italia, la Consob, la COVIP, l'ISVAP e l'UIC collaborano tra loro, anche mediante scambio di informazioni, al fine di agevolare le rispettive funzioni. Detti organismi non possono reciprocamente opporsi il segreto d'ufficio». Esiste quindi una normativa ma, come molte volte nel nostro ordinamento, si tratta di una normativa senza sanzione e senza disciplina. Si può comprendere forse il motivo per cui sia senza sanzione, data la plurisoggettività della fattispecie, ma si dovrebbe rendere più tassativa questa obbligazione (in questo caso puramente naturale, morale ed istituzionale) che non garantisce né chi debba fornire né chi debba ricevere la collaborazione.
In questi casi, la Consob è per così dire inerme, al di là della inettitudine funzionale che il presidente Cardia ha lamentato causa l'assenza di numerosi strumenti. Questo intervento secondo me non si può esaurire qui, ma occorre porre mano ad una riforma istituzionale e legislativa in ordine ai poteri non solo della Consob, ma di tutti gli altri organi, quelli da me citati, coinvolti in questo diritto-dovere di informazione senza il quale tutto è assolutamente arbitrario e potrà consegnare alla nostra esperienza episodi come questi.
Inoltre, nell'ambito di queste collaborazioni, la Consob dovrebbe munirsi di una norma la quale la autorizzi a disporre direttamente della Guardia di finanza, creando presso il proprio ufficio un nucleo apposito.
Accenno poi all'esigenza di curare altri aspetti. Mi riferisco alla competenza che ricade nell'ambito della Consob e dell'autorità giudiziaria circa i reati commessi da cittadini all'estero, e questo potrebbe arricchire l'interesse dell'autorità giudiziaria e al tempo stesso l'obbligo di collaborazione. Inoltre, vi sono reati connessi l'uno con l'altro tra fori diversi: Parma, Roma probabilmente e anche Milano. È interesse della Consob risolvere in nuce un possibile conflitto di competenze, anche perché, e chiudo, vedo sullo sfondo la possibilità che, in rapporto a taluni reati, come quello di aggiotaggio o di talune ipotesi di falso, la Consob sia parte offesa, fatto che con i poteri di ingerenza processuale esistenti può determinare anche il foro esatto di competenza. Naturalmente l'urgenza che il presidente mi impone mi rende sommario.

SERGIO ROSSI. Presidente, mi chiedo quante ispezioni da parte di Consob siano state fatte ai sensi dell'articolo 115 del Testo unico della finanza, ma soprattutto dopo quanto tempo ciò è avvenuto. È possibile che i bilanci di Parmalat non avessero mai presentato un solo elemento di valutazione tale da spingere la Consob a procedere ad ispezioni, come nei precedenti casi, considerato che esiste all'interno di Consob un ufficio valutativo che ha l'incarico di valutare la simmetria e la coerenza dei bilanci e questo ufficio aveva lanciato segnali di avvertimento sulla Parmalat, analoghi alle osservazioni emerse in questa sede e che quindi non voglio ripetere?


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Lei, presidente, è venuto a spiegarci che, di fronte a queste segnalazioni, c'è stata una prolungata attività di richiesta di chiarimenti da parte di Consob a Parmalat, senza però mai ottenere delle adeguate informazioni. La domanda allora è: perché questa prolungata attività epistolare senza giungere ad un'ispezione? Tutto ciò facilita l'interpretazione che anche l'attività di Consob sia stata insoddisfacente. Lei ha utilizzato nei confronti dei revisori dei conti della società Parmalat e nei confronti della società di revisione della Parmalat il termine «silente». Io non voglio arrivare a tanto, ma lei non ci ha spiegato, tramite una comparazione dei dati storici, che l'attività di Consob è stata sollecita per altre società. Lei, professor Cardia, è stato prima commissario e dopo presidente della Consob e ha già vissuto in precedenza il caso Cirio, un altro caso di truffa. Com'è possibile che lei non si sia attivato per prevenire o anticipare un ulteriore caso simile a quello? Lei ha dichiarato in questa sede che truffe come queste si possono scoprire o per caso o solo quando viene a mancare la liquidità. A questo punto, se lei non dà ulteriori chiarimenti, è inutile parlare di nuovi poteri per la Consob, perché il problema molto probabilmente dipende dai soggetti. Il suo curriculum vitae ricomprende tra le sue esperienze la docenza universitaria in diritto societario, con particolare riferimento al controllo di gestione. Certe dichiarazioni da parte di un professore che ha questa qualifica meritano ulteriori chiarimenti.
Concludo con una domanda che può sembrare una ripetizione di quelle già fatte ma non lo è: esistono altri casi attualmente all'attenzione di Consob? Non vogliamo conoscere i nomi di queste società, ma vogliamo sapere se ci sono casi nei quali, di fronte ad un elevato indebitamento, c'è una corrispondente elevata liquidità, o dei crediti, perché vogliamo capire se la Consob tiene in considerazione questa situazione come una situazione critica, oppure non la considera affatto. Quando in America si è verificato il black-out elettrico, il presidente dell'ente gestore della rete ha detto che ciò non sarebbe mai accaduto in Italia e poi in realtà è successo. Non ci vorremmo trovare di fronte ad un'analoga situazione.

ROBERTO PINZA. Presidente Cardia, la ringrazio per tutti i dati che ci ha fornito e per il grande equilibrio che oggi ha dimostrato, utile per procedere ad un dibattito che ci coinvolga e che ci orienti verso fini positivi, perché lei ha tolto di mezzo un paio di pillole avvelenate che qualcuno, in maniera un po' sprovveduta, aveva seminato.
Mi riferisco al fatto che ci sarebbero due Consob nel tempo e quindi l'impossibilità di coabitazione o di collegamento passato o presente tra la Consob e la Banca d'Italia. La sua opera di chiarezza ci consente quindi di andare avanti in modo molto più sereno, perché è nostro interesse costruire qualcosa di positivo.
Ma voglio invitarla ad aggiornare nei prossimi giorni il suo contributo per la riorganizzazione della Consob, anche in funzione di altri compiti segnatamente ispettivi che alla stessa devono essere dati e sulle cui attribuzioni sono assolutamente d'accordo. Lei ha fatto delle ipotesi di rinforzo delle attuali funzioni che devono essere incrementate, perché quando abbiamo approvato il Testo unico sulla finanza, all'articolo 6, abbiamo ad essa attribuiti molteplici funzioni.
Si dice, infatti, di tutelare gli investitori, non in modo generico ma con riferimento alla qualità ed all'esperienza professionale dei medesimi. Quando si parla di tutela del risparmio non basta solo parlare delle autorità, sono d'accordo con lei: ciò che conta è la concretezza. La tutela deve svolgersi su base individuale, con modalità aderenti alle specifiche esigenze dei singoli investitori. Quindi, è necessaria un'attività molto penetrante a favore e a tutela del risparmio.
È vero che nella norma di cui all'articolo 6 del Testo unico si stabilisce che a ciò si provveda con regolamento e quindi si attribuisce ad un potere regolamentare questa forma di tutela. Ma noi in realtà, conformemente a quanto da lei affermato, vogliamo che vi sia non solo un potere di


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normazione secondaria, ma anche un potere di ispezione o controllo. Pertanto è opportuno che venga predisposto da lei e dai suoi collaboratori un meccanismo di organizzazione complessiva della Consob che si addentri in questi problemi, come il tema della tutela finale, specifico (naturalmente nei limiti del possibile).
Ho rilevato da parte sua preoccupazione per l'autonomia e l'indipendenza dei revisori. A mio avviso ha ragione, e le chiedo: ritiene che la loro revoca possa spettare alla Consob o quanto meno che la revoca, decisa dagli organi societari, non sia efficace se non c'è anche l'approvazione della Consob? Questa misura sarebbe già un risultato, ma non ritiene che sia il caso di compiere un passo avanti al riguardo ed affermare che la nomina dei revisori non debba più essere di pertinenza degli azionisti di maggioranza? Il leit motiv della sua relazione è, a mio avviso, fondamentale: smantellare ovunque sia possibile il conflitto di interessi. Nel momento in cui il socio di maggioranza nomina gli amministratori, i sindaci (che lo controllano su un certo fronte) e i revisori (che lo controllano su un altro fronte), l'autonomia di tutti questi soggetti è zero o vicino allo zero. In tal caso non c'è società di rating che conti quando il bilancio è approvato, controllato dai sindaci (almeno all'apparenza) e certificato dei revisori, ed allora inizia il caos.
Bisogna quindi smantellare all'origine il conflitto di interessi, rafforzando quelli che lei definisce i controlli endosocietari. Ha ragione anche quando afferma che la commissione Galgano ha avanzato delle ottime proposte - utili ma non sufficienti -; le chiedo però un suo parere. Possiamo pervenire ad un potere di nomina extra societario, analogamente a quanto previsto negli Stati Uniti dal Sarbanes-Oxley Act? Quest'ultima, lo ricordo, è una legge notevole; si fa presto a citarla ma quando la si legge si nota come sia un intervento normativo ragguardevole.
Cosa pensa il nostro ospite delle iniziative del collega Tabacci e di quella del collega Letta e del sottoscritto, insieme ad altri? Si tratta di proposte che tendono a ridurre, se non ad eliminare, un altro tipo di conflitto istituzionale: quello dell'imprenditore che siede nel consiglio di amministrazione, o addirittura lo presiede, ed è finanziato dalla stessa banca di cui è presidente (o membro del consiglio di amministrazione). Restano da valutare le modalità con cui intervenire al riguardo; si potrebbe ad esempio ipotizzare di interdire la finanziabilità o di interdire la carica.
Desidero poi un suo parere a caldo sul discorso di ieri del Presidente della Commissione europea alla London School of Economics, quando ha ipotizzato un incremento della vigilanza europea proprio in relazione alla dimensione di questi episodi.
Infine, cosa pensa della questione dei paradisi fiscali? Ovviamente penserà male come tutti noi di questi luoghi, ma, in particolare, quale tipo di provvedimento lei ipotizza si possa assumere? Si può, ad esempio, immaginare la non quotabilità dei soggetti che vi operano, anche se ciò implica dei grossi problemi nei rapporti fra le borse, sfavorendo indubbiamente quella borsa che adotti un tale tipo di provvedimento. Quindi si può ipotizzare la non quotabilità della società che operi sui paradisi fiscali, oppure, più semplicemente, la non certificabilità del bilancio di una società che, dichiarando di operare sui paradisi fiscali, automaticamente ne precluda il controllo? Oppure ancora, come ricordava il collega Ruggeri, è ipotizzabile che questo tipo di operazioni costituisca almeno un indicatore di bilancio? Si è fatto un'idea di cosa si possa fare per questi problemi?

ALFIERO GRANDI. Anzitutto ho apprezzato il fatto che il presidente Cardia abbia evitato uno sport molto diffuso, anche in occasione di questa vicenda: lo scaricabarile. La rivendicazione della continuità dell'istituto e anche le relazioni con le altre autorità sono a mio avviso un fatto istituzionalmente rilevante, nel momento in cui si assiste ad un tentativo del tutto evidente di andare in senso contrario.


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Si dice che lei sia stato presente alla riunione del CICR dell'8 luglio; in quella sede del caso in oggetto venne fatta una citazione molto rapida, per inciso dal ministro che presiedeva il CICR, che poi ha asserito di aver fatto tale affermazione sulla Parmalat, tra parentesi e di sfuggita, in quanto ne aveva ricevuto un suggerimento dai giornali. La vorrei pregare di indicare esattamente, e con maggior precisione di quanto non sia stato fatto fino ad ora, gli atti che la Consob ha ritenuto conseguenti. Inoltre le chiedo di indicare, nel caso in cui ci si sia rivolti alla centrale rischi, alla Banca d'Italia, se abbiate ottenuto risposte negative o positive.
Nel meccanismo vigente, tutto ciò che attiene al controllo dei bilanci oggi fa sostanzialmente riferimento alla Consob; altri paesi hanno ritenuto che non fosse questo il modo ottimale per garantire che i controlli societari venissero realizzati nel modo migliore. La Consob ritiene di poter considerare, come ricordava il collega Pinza poc'anzi, che i sindaci, le società di revisione, eccetera, rientrino all'interno di una struttura che faccia capo alla Consob stessa anche in futuro, oppure inevitabilmente si dovrebbe andare nella direzione di attribuire ad altri il controllo nei confronti degli organi di revisione? È del tutto evidente che questo tema rappresenta il primo fondamento di tutto quanto è accaduto. Del resto lei lo ha affermato in modo molto chiaro. Ciò che non mi è altrettanto chiaro è se si ritiene che il meccanismo attuale sia sufficiente, ma francamente i fatti direbbero di no. In futuro questi aspetti non dovrebbero essere organizzati diversamente?
In materia di risparmio dobbiamo chiederci se l'organizzazione e il funzionamento delle società, i controlli su queste e sul ricorso al mercato, e di conseguenza la presenza del risparmio nel mercato, accanto all'esigenza di trasparenza e quindi di garanzia per i risparmiatori, non rappresentino forse attività che la Consob con difficoltà riesce a garantire effettivamente.

IVO TAROLLI. Vorrei ringraziare il presidente Cardia per la sua corposa relazione, precisando peraltro che sono rimasto insoddisfatto. Ho maturato la convinzione che siamo di fronte ad una associazione a delinquere per quanto riguarda i titolari, i revisori e i certificatori, che hanno svolto attività dolose e fraudolente. Lei ci ha poi spiegato che la Consob ha sviluppato un'intensa attività ispettiva. In merito ai primi lei ha utilizzato due attributi: li ha definiti o conniventi o silenti. Mi consenta di dire, in risposta all'affermazione che la Consob avrebbe svolto un'intensa attività ispettiva, che la sua azione di certo non è stata connivente, ma sicuramente è stata inconsistente, per l'efficacia che ha prodotto.
Credo nella buona fede delle persone e quindi le chiedo il perché di questo esito. Forse perché non disponevate degli strumenti necessari? O perché non avevate mezzi adeguati? Ma allora le ipotesi sono due: se non si disponeva dei mezzi adeguati e lo si sapeva perché non è stato detto? Se non è stato detto si è sbagliato, e grava sulla vostra responsabilità una eventuale sottovalutazione. Se lo si sapeva e lo avevate già fatto presente ad organi istituzionali, perché non avete reiterato questa richiesta? Potrebbe, altrimenti, addebitarsi alla Consob un gravame di responsabilità per inerzia. Le faccio un esempio, citato da più di un collega: lei ha ricordato che a febbraio la Consob ha chiesto informazioni alla Parmalat non ottenendone risposta. A luglio lei partecipa al CICR dove, per inciso, viene segnalato il problema Parmalat. Mi chiedo allora, non avendo la Consob ottenuto alcuna risposta rispetto alle richieste fatte, ed avendone avuto una segnalazione (seppure incidentale), perché non ha avviato di sua iniziativa un'attività ispettiva e non ha ritenuto di coinvolgere la Guardia di finanza. Essendo trascorsi tanti mesi, credo che anche da questo punto di vista vi sia stata sottovalutazione.
Vengo al futuro, allacciandomi a quanto detto dal collega Pinza e da altri commissari: non ritiene che anche la migliore risposta possibile in termini nazionali - a mio parere quella di un rafforzamento di Consob sul modello SEC -


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qualora non accompagnata da una parallela iniziativa a livello europeo e internazionale, sia un'occasione persa?
Il governatore della Banca centrale europea, Trichet, dopo aver fatto riferimento al Trattato di Maastricht, ove fu previsto che responsabili delle competenze richiamate fossero le nazioni - in ragione della diversità dei modelli adottati dai paesi membri - e sebbene esse rimangano ancora presenti, ebbe a dire che sarebbe comunque possibile identificare regole comuni per tutta la Comunità europea.
Da ultimo, domando come sia possibile collegarsi con la Federal Reserve e con le autorità di Tokyo per mettere sotto lucchetto le scorciatoie e i paradisi esistenti.

GIANCARLO PAGLIARINI. Ho letto che il primo revisore della Parmalat è stata la Hodgson Landau, tuttavia la ragione sociale completa è a nome della Hodgson Landau Brands del dottor Lucio Rosario Calogero Sas. Lucio Rosario Calogero era il professionista che rappresentava i soggetti abilitati, Hodgson Landau è un nome, un marchio. Allora la domanda è: perché la Consob non pensa di ammettere nell'albo solo società che operano con nome e cognome di uno o più dei suoi soci, vietando l'uso di nomi di fantasia? Altrimenti, la revisione diviene più marketing, più operazione di pubbliche relazioni che non servizio professionale.
Naturalmente, in Italia non vi è nessuna società di revisione internazionale. Si tratta di società italiane con professionisti italiani che usano, per motivi di marketing, il nome dell'associazione internazionale di cui fanno parte. Dovrebbero essere ammessi, diversamente, soltanto coloro che utilizzano nome e cognome proprio o dei relativi soci, posto che il nome dell'associazione di appartenenza potrà sempre essere indicato nella intestazione della carta da lettere. Diventa molto più professionale una operazione di questo tipo. Spetterà poi a lei, presidente Cardia, fare le necessarie valutazioni.
Ancora, in base alle informazioni pubblicate dalla stampa, risulta che i revisori-persone fisiche della Parmalat sono sempre rimasti i medesimi, che prima agivano per la Hodgson e poi sono passati alla Grant Thornton e oltre. È vero o no? Voi dovete garantire la rotazione non della società ma dei revisori. Quindi, se tali informazioni fossero corrispondenti a verità, significherebbe che la Consob non ha garantito quella rotazione. E questo sarebbe un motivo in più perché, in prospettiva, lei aderisca alla mia prima proposta, ovvero che la revisione - in quanto servizio professionale - si faccia indicando nome e cognome di professionisti che operano e non genericamente quello dell'associazione di riferimento.
Oggi, in tale modo, sono i controllati che scelgono i controllori. Quando poi il controllore opera prevalentemente al servizio di colui che l'ha scelto, accadono i guai che si sono verificati nel caso della Enron negli Stati Uniti e forse - lo dirà la magistratura - con la Parmalat. Perché lei non propone una procedura di questo genere?

PRESIDENTE. Chi nomina risponde, anche finanziariamente, del suo operato.

GIANCARLO PAGLIARINI. Ho capito, però mettiamo in piedi un sistema che funzioni meglio. Lei, inoltre, sa benissimo che i revisori per dare giudizi sui numeri del bilancio debbono rilevare e valutare le procedure e le tecniche di controllo interno. Perché allora non propone, presidente, che oltre ad un giudizio professionale articolato sul bilancio venga espresso anche un giudizio professionale sulle procedure e le tecniche di controllo interno? In questo modo, la revisione diventa molto più utile per la società, gli addetti ai lavori e il mercato, senza importare costi addizionali.
Da ultimo, dal momento che lei si lamenta di non avere abbastanza poteri, cosa ne pensa di una Consob privata? Le spiego: oggi la legge le impedisce di intervenire. Ma se invece gli addetti ai lavori, tutti - essendo nel loro interesse - dovessero finanziare ed avere una loro Consob privata, perché vada a individuare tutte le mele marce, ecco che lo statuto


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potrebbe prevedere in primo luogo che gli addetti stessi facciano parte dell'associazione, e in secondo luogo che non debbano frapporre nulla, neppure se previsto dalla legge, a quello che l'organo di controllo decide di fare, così che sia possibile per il controllore agire come necessario. Se ci muovessimo verso la privatizzazione del controllo, forse non avremmo più i problemi attualmente esistenti, dovuti anche alla presenza di limitazioni poste in via legislativa.

BENITO SAVO. Vorrei porre un paio di domande di carattere politico ai tecnici presenti. Non ritiene, signor presidente, che il Governo debba stimolare l'estensione e l'approfondimento dei controlli a tappeto a difesa dei risparmiatori, anche attraverso una normativa più efficace, visto che l'attuale si è rivelata inefficiente? Perché l'efficacia e la trasparenza non debbono appartenere anche alla Consob e alla Banca d'Italia? Alla luce del crack Parmalat e Cirio, quale cittadino tra i cittadini, senza entrare nei particolari tecnici, perché tecnico non sono, attraverso le letture della stampa, mi sono fatto questa impressione: il Governo Berlusconi, finalmente, sta entrando in un sacrario grigio per pochi non eletti; bisogna accendere, adesso, la luce e scrutare anche gli angoli per servire il paese. Solo così tutti i mali, signor presidente, non vengono per nuocere alla nazione italiana.

VINCENZO CANELLI. Sarò brevissimo. Le chiedo quante emissioni di prestiti obbligazionari della Parmalat in Italia sono stati autorizzati dalla Commissione. Inoltre, come mai le notizie di liquidità del gruppo - che risalgono al marzo 2003 - non hanno costituito un freno a due altre emissioni della Parmalat in Italia, a giugno di 300 milioni di euro e a settembre di 350 milioni di euro? In ultimo, lei più volte, questa mattina, ha dichiarato che, se la Consob avesse avuto più potere, si sarebbe potuto evitare il crack, eppure, a mio avviso, c'è una contraddizione in termini.
Quando la Consob ha incominciato a passare e chiedere notizie, alla fine, è venuto fuori che mancavano 3,9 miliardi di euro all'estero. Perché non lo avete fatto prima?

FRANCO CHIUSOLI. Signor presidente, vorrei cercare di concludere in modo esplicito le mie domande e tradurne alcune, se possibile, cercando di renderle comprensibili anche a coloro i quali hanno perso i loro risparmi. Il presidente Cardia non risponda soltanto citando le norme, ma anche manifestando, quando sarà il caso, la sua opinione a cui io tengo moltissimo.
Nell'ultima fase della vicenda Parmalat, le iniziative di indagine si sono fatte stringenti, con richieste, chiarimenti, documentazione, e preoccupazione della Consob. Intanto, le banche piazzavano i bond e le azioni avariate fino al giorno prima del crollo.
Le pare giusto, serio e possibile, e chi, secondo lei, doveva intervenire per impedire che questo avvenisse? Faccio una parentesi: un'automobile, comprata da un intermediario con la garanzia, sarà cambiata se non funziona; analogamente avverrà se un pacco di biscotti, acquistato in un supermercato, risulta avariato, e ciò a prescindere da chi sia il produttore. Le banche, invece, pensano di cavarsela in questo modo? Nella fase delle inchieste stringenti, vi sono mai stati incontri di coordinamento fra le varie autorità? Qualcuna di esse l'ha mai chiesto o ne ha sentito il bisogno? Infine, lei ci ha detto che in Italia ci sono cose non consentite dalle leggi e che tutti vanno a farle all'estero, per poi portarle nel nostro paese. Di fronte ad una simile assurdità, come ritiene sia possibile intervenire?

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Cardia per la risposta ai quesiti formulati.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. L'onorevole Mancuso ha precisato che questa esperienza del caso Parmalat deve essere ascritta all'ambito penale e che le competenze della Banca d'Italia e della Consob diventerebbero quindi succedanee


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alla rilevanza penale del reato stesso. Da questo punto di vista non ho nulla da osservare e ringrazio l'onorevole perché, con la sua esperienza di giurista, ha aperto una finestra aggiuntiva che mostra che l'ipotesi di reato ha valore assorbente e dovrebbe far vedere in modo diverso l'attività degli organi di controllo. Ho colto questa osservazione e perciò ho riferito che siamo di fronte ad una truffa, ad un reato che, una volta venuto alla luce, pone le autorità competenti nella condizione di dover collaborare in ogni modo con l'Autorità giudiziaria (collaborazione peraltro che, in questo caso, è stata eccellente).
Richiamando con puntualità una riforma recente, l'onorevole ha poi fatto riferimento al fatto che le autorità collaborano fra loro al fine di agevolare lo svolgimento delle proprie funzioni e che, quindi, questi organismi non possono opporsi il segreto d'ufficio. Però, ha anche segnalato che tale normativa è senza sanzioni e senza adempimenti prescrittivi e, quindi, l'ipotesi avanzata è quella di una riforma istituzionale e legislativa che possa consentire ciò che oggi esiste normativamente ma che non sempre, di fatto, si realizza, non per mancanza di volontà, ma proprio perché, non essendoci una codificazione puntuale, occorrono lunghi e dispersivi interventi che, a volte, rendono addirittura inutile una richiesta. Ci sono casi di urgenza nei quali la Consob deve far approvare un comunicato o far sospendere un titolo dalla borsa in tempi minimi e si rende quindi indispensabile avere le informazioni necessarie per decidere con tempestività.
Esiste quindi un divario fra le esigenze conoscitive della Consob e le possibilità offerte dall'ordinamento che riguardano non solo l'accesso alla cosiddetta Centrale dei rischi, ma anche le ipotesi di efficace e sollecita collaborazione fra tutte le autorità.
Vorrei ricordare che c'è stato un caso in cui la Consob ha dichiarato che non riusciva a trovare elementi idonei per verificare che c'era stato un accordo tra società di un certo rilievo. L'Antitrust invece, avvalendosi di un potere specifico, ha sequestrato gli atti, dai quali è emerso che esisteva un accordo occulto inter partes. La Consob ha quindi richiesto all'Autorità stessa la consegna degli atti che aveva acquisito. Il presidente Tesauro, persona peraltro cortesissima ed amabile, rispose che la normativa non lo consentiva ma che, nel caso specifico, tali atti potevano essere individuati perché la loro esistenza era divenuta di dominio pubblico; a quel punto la Consob potè richiedere i vari atti documentali singolarmente individuati alle società interessate ed emettere una pronuncia che in precedenza non era stato possibile adeguatamente supportare. Voglio dire che, se normativamente fosse stata prevista una collaborazione, sarebbe bastata una semplice telefonata, pur se formalmente seguita da richiesta scritta, per conoscere l'esistenza di una diversa realtà e per consentire lo scambio di atti documentali, facendoci risparmiare tempo e rendendo più efficace l'operato della Consob.
Ritengo, quindi, utilissima l'indicazione dell'onorevole Mancuso e ritengo che si tratti di un'esigenza che non manca di rispetto e di riguardo a nessuno, ma che vuole solo giungere a potenziare il funzionamento dei controlli e la loro efficacia. L'onorevole ha poi parlato anche dell'ipotesi di dotare la Consob di un nucleo della Guardia di finanza il cui intervento potrebbe essere efficace e tempestivo ed avrebbe anche il vantaggio di essere un nucleo non dipendente gerarchicamente dal Comando della Guardia di finanza (altrimenti si potrebbe creare una bivalenza, con obbligo di riferire da una parte e di collaborare dall'altra); comunque l'apporto di un corpo specializzato che possa agire tempestivamente è da considerare senz'altro di grande efficacia.
L'onorevole, poi, ha colto un aspetto molto importante quando ha parlato dell'unificazione della sede inquirente. Questa sarebbe una fortuna. Dico questo perché, nella vicenda Cirio, ci siamo trovati a dover corrispondere prima con una, poi con due, poi tre e poi con quasi dieci Autorità giudiziarie aventi sedi diverse, tanto che alla fine - questo è stato un


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altro degli sforzi notevoli a cui sono stati sottoposti gli uffici - ho ritenuto di far inviare in modo equivalente gli elementi, le documentazioni e le relazioni in nostro possesso a tutte le Autorità (eccetto una, cui interessava un unico aspetto) onde evitare di corrispondere, sia pure involontariamente, in modo difforme agli uffici delle Procure interessate. Tutti sanno che sono due le Autorità che stanno indagando sull'ultima vicenda e - come l'onorevole ha colto - sta avvenendo che si stanno ampliando i motivi di indagine. Dovremmo così prepararci ad inviare tutti gli atti mandati alle une anche alle altre. Quindi, l'unificazione della sede competente per materia, sia penale sia civile, sarebbe utile. Se il Parlamento spingesse verso una soluzione, non dico specifica, penso che sarebbe utile a tutti, anche per ottenere risultati migliori con il minor sforzo.
L'onorevole Rossi mi ha chiesto quante siano le ispezioni fatte ex articolo 115. Credo che la domanda sottintenda se siano state fatte ispezioni sulla Parmalat. Non sono state fatte ispezioni nella società per due motivi. Intanto, all'estero la società è stabilita in 36 paesi - e, quindi, l'ispezione avrebbe portato ad un approfondimento di vastissimo raggio -, ma non è questo il motivo, altrimenti si tratterebbe di un'omissione; invece, non si è colta tale esigenza in quanto all'inizio sembrava piuttosto che le risposte fossero confuse, piuttosto che errate o reticenti. Infatti, visto che le domande da noi formulate non ricevevano risposte puntuali, i miei uffici mi hanno segnalato che forse la società non disponeva di uno staff adeguato.
Tutti sanno come sia sensibile il mercato e come si abbia il dovere di non turbare il corretto svolgimento delle quotazioni delle società; a volte, un intervento non sorretto da una giustificata motivazione può produrre una turbativa anche immediata sul titolo, specie di società che hanno una quotazione ed una valenza sostanziale all'interno della Borsa (per dimensioni la Parmalat è la sesta società quotata in Borsa). Quindi, l'ispezione non è stata fatta perché all'inizio non si riteneva che ve ne fosse bisogno ma, alla fine gradualmente e fermamente insistendo, abbiamo operato un pressing. Vorrei depositare agli atti l'elenco degli oltre 70 interventi che abbiamo attuato, e ciò a conferma dell'attività che è stata svolta; ripeto però che non si immaginava di trovarsi di fronte a un caso di frode di tali dimensioni. Fino al 6 maggio sono stati fatti 12 interventi di approfondimento sulla Parmalat. Il 7 luglio si lesse su Affari e finanza, inserto della Repubblica, che Parmalat era la «regina delle obbligazioni» societarie, ma l'8 luglio ci fu la riunione del Comitato del credito e del risparmio e dal 9 luglio la Consob ha iniziato una marcia che è diventata un pressing sempre più determinato e cogente.
Il 7 luglio una nota degli uffici ha segnalato l'esigenza di verificare quanto pubblicato su Affari e finanza e questo dimostra che, autonomamente, prima ancora della riunione del CICR, la Consob aveva notato questo articolo ed aveva segnalato che era opportuno analizzare la situazione.

SERGIO ROSSI. Non dovete scoprirlo dai giornali!

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Noi lo scopriamo da tutto. I rumors, gli esposti, le notizie ci mettono in allarme; certamente, anche i dati di bilancio, ma non soltanto quelli perché, allora, gli allarmi sarebbero molti meno. Il 9 luglio la Consob ha chiesto a Parmalat finanziaria di comunicare, ex articolo 115 del Testo unico, un elenco aggiornato dei prestiti obbligazionari emessi dal proprio gruppo, evidenziando per ciascuno di essi l'emittente, l'ammontare totale, il residuo, la scadenza, le modalità di collocamento, l'eventuale rating, se esistente; inoltre, in base all'articolo 114 ha chiesto di comunicare al mercato informazioni circa le presumibili modalità di impiego della liquidità disponibile.
Si tratta quindi, per la precisione, di ben 75 interventi la cui elencazione vorrei lasciare agli atti perché possa essere conosciuta nella loro continua e sempre più


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pressante evoluzione. Tutto ciò non perché sia una giustificazione a difesa d'ufficio, ma perché credo che pochi pressing siano stati fatti con tanto equilibrio iniziale e rispetto di società che operano nel mercato ma con tanta cogenza e fermezza sempre più crescente nella parte finale e poi con tanto sacrificio per intervenire ancora (anche l'altro giorno ho parlato con il dottor Bondi per conoscere gli sviluppi della situazione), non ritenendo certo concluso l'operato della Consob una volta scoperta la drammatica verità. Quindi, in termini oggettivi e al di fuori della persona che la rappresenta, la Consob ha agito in modo consistente e coerente con i suoi doveri; può essere anche giudicata diversamente, ma i fatti sono quelli documentati. La Consob presta sicuramente attenzione a tutte le situazioni esistenti, naturalmente nei modi possibili e con le risorse di cui dispone. Non c'è dubbio che queste sono ridotte e, quindi, è impensabile che, con 300 società quotate, si facciano 300 analisi contemporaneamente. Certamente si fanno tenendo conto di vari parametri, che sono molteplici e, tra questi, è compreso anche un articolo di giornale o un esposto. Sulla Cirio ne stiamo ricevendo molti e non meno ne arriveranno per la Parmalat, ma in questo caso non si tratta più di segnalazione di allarme ma di contributi riguardanti vicende avvenute.
Per quanto riguarda l'aggiornamento dei poteri della Consob rilevo che il Testo unico della finanza ha attribuito ad essa il compito di tutelare il risparmio ma non sempre ha previsto tutti i poteri necessari a tale scopo. Un tempo la Consob poteva pronunziarsi sulle nomine delle società di revisione, ma poi il TUF le ha sottratto tale potere e la Consob ora deve soltanto verificare che ogni 9 anni ci sia la nomina di una nuova società. Bisogna rispettare poi l'autonomia e l'indipendenza dei revisori dal punto di vista organizzativo interno, ma, ove si ritenesse che tale nomina debba essere fatta dalla Consob - purché questo non comporti una responsabilità specifica nel caso che qualcuno di essi dovesse male operare - l'argomento potrebbe essere esaminato. Non c'è dubbio che, se i revisori falliscono nello svolgimento del loro compito, non c'è rating che conti e, quindi, da questo punto di vista concordo con le finalità prospettate. Certamente l'idea è di non lasciare le cose allo stato attuale e il problema della loro nomina merita una riflessione ed un approfondimento.
Una larga parte della relazione si è basata sul conflitto di interesse. Per quanto riguarda l'imprenditore che siede nei consigli di amministrazione delle banche o si approva una normativa che lo vieti oppure bisogna eliminare la possibilità di finanziamento alle loro società.
Questa potrebbe essere un'idea. Probabilmente, però, i problemi vanno affrontati alla radice.
I conflitti d'interesse sono forse tra i problemi più difficili da eliminare oltre che i più dannosi. Di conseguenza, una decisione in radice su chi deve essere dentro e chi fuori (ma, lo ripeto, non si tratta di una scelta che compete a noi) o sul divieto di concedere finanziamenti da parte della banca che ha un imprenditore nel consiglio d'amministrazione dell'impresa, potrebbe essere una soluzione.
Per quanto riguarda la non quotabilità delle società che operano nei paradisi fiscali, vi è un problema di normativa internazionale ed anche di conformità degli ordinamenti. Probabilmente non si può realizzare. Rifletteremo al riguardo, in termini di approfondimento. L'indicare in bilancio chi opera nei paradisi fiscali potrebbe rappresentare un quid pluris e potrebbe anche costituire un caveat per coloro che volessero avvicinarsi, per qualsiasi motivo, alla società che opera nei paradisi fiscali.
L'onorevole Grandi ha posto un quesito circa la riunione del Comitato per il credito ed il risparmio dell'8 luglio scorso. Credo che non competa a me riferire ciò che è avvenuto nell'organismo, e che rientra nella cognizione di coloro che, avendone titolo, hanno partecipato alla riunione. Ho affermato che dal 9 luglio la Consob ha operato subito una serie di approfondimenti che sono elencati puntualmente


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nell'elenco che deposito agli atti insieme alla relazione che ho esposto; per il resto lascio ad altri fornire risposta alla domanda perché, se fornita da me, sarebbe stridente.
È stato chiesto se sia sufficiente il controllo dei bilanci attribuito alla Consob o se esso possa essere affidato ad altri organi di revisione. Nel corso dei controlli sui bilanci la Consob non verifica le varie componenti singolarmente e la documentazione sottostante. Ciò compete alle società di revisione. La Consob riceve i bilanci dai quali trae, sul presupposto della correttezza e non della falsità di ciò che ad essi è sottostante, le sue valutazioni. Si può anche affermare che l'ufficio competente per il controllo sui bilanci potrebbe essere affinato e comunque potenziato. «Affinato» non significa però che la qualità attuale non è idonea, ma che vi debbano essere più analisti di bilancio. L'analisi delle singole componenti di bilancio deve rimanere esterna alla Consob. Se, per ipotesi, si attribuisse alla Consob il potere di esaminare tutti gli atti, i collegi sindacali delle società e le società di revisione diverrebbero inutili. Prendo, perciò, come uno spunto ben condivisibile, anzi necessario, il possibile potenziamento, in termini di ampliamento, dell'attività degli uffici.
Il senatore Tarolli si è dichiarato insoddisfatto, in quanto l'attività della Consob, a suo dire, è stata inconsistente per poca efficacia e si è chiesto se ciò sia stato dovuto alla mancanza di mezzi. Sulla non soddisfazione, avendo io esposto ciò che è stato fatto, lascio la valutazione a chi ha titolo e diritto di farlo. Per quanto riguarda la mancanza di mezzi, essa è un problema effettivo, già segnalato in passato. Chi vi parla ha rappresentato e reiterato richieste di potenziamento, sia in sede parlamentare che agli organi di governo. Per mancanza di mezzi si intendono sia carenze normative e di finanziamento sia impossibilità di acquisire personale in numero adeguato (per legge, abbiamo un tetto), anche dal libero mercato - sia pure in percentuale limitata: altrimenti la Consob diventa una scuola (molti giovani sono usciti molto preparati professionalmente) ma continua a perdere (perché sempre più attratti da offerte esterne) la fascia medio-alta dei suoi funzionari.
L'onorevole Pagliarini chiede perché la Consob non inserisca nell'albo delle società di revisione nomi e cognomi. Molte società hanno la sede all'estero e non possiamo cambiarne la denominazione sociale. Forse potremmo richiedere maggiori esplicazioni. Obiettivamente, però, se una società si chiama, ad esempio, Standard & Poor's, non possiamo dirle di cambiare denominazione. Potremmo, per le società di revisione contabile che esercitano attività in Italia, far esplicitare i soggetti fisici che collaborano. È un quid pluris che si può tentare; l'idea è valida e merita attento esame.
Il problema che siano i controllati a scegliere i controllori è un fatto obiettivo. Si tratta di un argomento che potrà essere approfondito, affidando alla Consob poteri determinati. Non vi è dubbio che la scelta dei revisori è esposta al rischio di concreti conflitti d'interessi. La società sceglie chi deve controllare ed il controllore - dal momento che finisce per non essere solo tale, ma per svolgere, in modo diretto o indiretto, un'attività di consulenza - forse dedica più tempo all'attività di consulenza che a quella di controllo. È un problema importante e sempre più delicato.
Sul finanziamento privato e sul fatto che attraverso di esso si potrebbero generalizzare i controlli, ho qualche dubbio. È noto che la Consob riceve grosso modo due terzi del suo finanziamento dal mercato ed un terzo dall'erario. Ricordo che quando ci si affida all'autonomia privata o meglio alla autoregolamentazione - anche quest'affermazione, probabilmente, non mi procurerà molte simpatie - non sempre si ottengono buoni risultati. Ricordo altresì che Borsa Italiana ha predisposto il cd. Codice Preda, la cui adozione era stata rimessa all'autonomia privata. Vi sono state società che non lo hanno accettato e basta e sono state, tutto sommato, quelle che hanno agito in modo più chiaro. Viceversa, altre società lo hanno adottato


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in toto, dandosi un'autoregolamentazione sicuramente utile, forse non completamente soddisfacente. Altre società invece hanno adottato detto codice solo limitatamente ad alcuni aspetti.
L'idea di estendere a tappeto i controlli per tutelare i risparmiatori è certamente valida. Tale estensione può essere tanto più vasta, pregnante ed efficace quanto più vi saranno norme, uomini e mezzi idonei a svolgere i controlli.
L'onorevole Canelli mi ha chiesto quante emissioni siano state autorizzate dalla Consob. Le emissioni autorizzate sono state soltanto tre, quotate al MOT, le altre emissioni sono avvenute tutte all'estero. Il senatore Chiusoli mi chiede un'opinione sul comportamento delle banche nei momenti terminali della vicenda. Al riguardo posso solo ribadire che sono qui per rispondere dell'attività integrale svolta dalla Consob, di ciò che ha compiuto e delle eventuali omissioni che si ritiene possano essere avvenute. Ho la consapevolezza che la Consob si è impegnata allo spasimo; per i comportamenti tenuti da altri soggetti, sono certo che altre istituzioni e associazioni potranno rispondere. Per quanto riguarda il «cambio dei prodotti avariati», ricordo che il 7 ottobre scorso, in una audizione svoltasi proprio qui alla Camera dei deputati manifestai la mia preoccupazione e avanzai l'idea di instaurare un sistema mutualistico per cercare di ritrovare la fiducia aiutando quei risparmiatori che individuai quali «danneggiati incolpevoli». In proposito alcune banche hanno già messo in piedi sistemi di analisi, caso per caso, per definire ipotesi di ristoro; altre potrebbero farlo: un operare in tale direzione potrebbe concorrere a ristabilire quel rapporto di fiducia tra intermediari e investitori di cui il mercato ha assoluto bisogno.
Spero di aver risposto in maniera esauriente ai quesiti posti, con la consapevolezza che la Consob ha compiuto un notevole sforzo per fornire la più ampia collaborazione. Consegno alle Commissioni, insieme alla mia relazione integrale, il testo degli interventi svolti dalla Consob nel caso Parmalat dal gennaio 2003 fino ad oggi, assicurando che in tempi rapidi farò pervenire una relazione alquanto più estesa e con esplicazioni tecniche, perché è mio intendimento verificarne la più completa rispondenza, anche nelle espressioni da me formulate a braccio, a ciò che ho letto. Ringrazio per l'attenzione che ci è stata dedicata, di cui tutta l'Istituzione che rappresento si sente onorata. Essa ringrazia, per mio tramite, il Parlamento.

PRESIDENTE. Desidero ringraziare il presidente della Consob per questa lunga ed approfondita audizione, durata quasi 6 ore, a dimostrazione dell'importanza che il Parlamento attribuisce alla Consob su un problema di tale rilevanza. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 14.40, è ripresa alle 14.45.

Audizione dei rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e del Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, l'audizione dei rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e l'audizione dei rappresentanti del Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali. Avverto che per l'esigenza di accelerare i tempi, tali audizioni saranno svolte congiuntamente. Ringrazio, pertanto, i nostri ospiti per aver accettato di essere ascoltati insieme.
Do ora la parola al dottor Antonio Tamborrino, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, e al dottor Francesco Di Stefano, vicepresidente del Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali, che sintetizzeranno al massimo le loro memorie. Darò poi la parola ai rappresentanti dei gruppi parlamentari, che sicuramente avranno molte domande da porre.


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ANTONIO TAMBORRINO, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. Signori presidenti, onorevoli senatori, onorevoli deputati, nella qualità di presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ringrazio il Parlamento per aver dato l'onore e la possibilità alla mia professione di conferire un contributo in questo momento particolare che l'economia del paese sta attraversando, anche in ordine alle varie vicende che si sono succedute in questo periodo.
Accettando l'invito del presidente La Malfa, sintetizzo brevemente le note che sono state oggetto delle nostre considerazioni, che sostanzialmente si incentrano sui motivi dei controlli, interni ed esterni. Nel sistema dei controlli abbiamo sottolineato, in particolare, tre elementi fondamentali: la competenza, l'indipendenza etica e la responsabilità. In questo senso, naturalmente, è bene fare innanzitutto chiarezza sui compiti e sulle funzioni delle società di revisione e del collegio sindacale. Essi hanno compiti e funzioni completamente diversi, anche se devono necessariamente collaborare. L'articolo 155 del TUF stabilisce che le società di revisione nel corso dell'esercizio devono verificare la regolare tenuta della contabilità sociale, la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili (cioè il controllo materiale della rispondenza dei fatti amministrativi ai documenti giustificativi delle singole attività) e la corrispondenza del bilancio di esercizio, ed eventualmente del bilancio consolidato, alle risultanze delle scritture contabili. Al collegio sindacale, invece, competono, in particolare, la verifica dell'osservanza della legge e dello statuto sociale, il rispetto dei principi di corretta amministrazione da parte degli amministratori, l'adeguatezza della struttura organizzativa della società, il sistema di controllo interno, se esistente, e l'adeguatezza delle disposizioni impartite alle società collegate e controllate.
Ciò che noi abbiamo da sempre denunciato alle forze politiche, al Parlamento e alle autorità di vigilanza è la commistione che esiste nell'ambito delle società di revisione tra le attività di revisione e quelle di consulenza. Questa commistione di compiti crea inevitabili conflitti di interesse, vanifica la peculiarità dei controlli delle società di revisione e annulla l'indipendenza rispetto alla società sottoposta a revisione. Senza dire poi che molto spesso, anzi spessissimo, al capitale delle società di revisione partecipano direttamente o indirettamente, tra gli altri, imprenditori, banche e società finanziarie. È impossibile non vedere un netto e chiarissimo conflitto di interessi: basti leggere le ultime notizie apparse sui giornali specializzati di queste ultime settimane.
L'altro problema è quello relativo all'indipendenza delle società di revisione. Su questo noi siamo d'accordo con la proposta di legge n. 2202, di iniziativa del senatore Pedrizzi, in ordine ai casi di incompatibilità e all'aumento delle sanzioni.
Altra questione è quella relativa alla responsabilità delle società di revisione, perché si può parlare di un regime ingiustificato di agevolazioni delle società di revisione nei confronti del collegio sindacale. Nell'ambito delle società di revisione vi sono una responsabilità contrattuale ed una responsabilità extracontrattuale e non rispondono nei confronti del singolo socio, cosa che invece può accadere nei confronti del collegio sindacale. Quindi, esistono tre problemi fondamentali: la competenza, l'indipendenza, che noi definiamo «etica», in quanto soggetta al controllo dell'attuazione delle norme di deontologia professionale, e la responsabilità.
Per quanto concerne il caso Parmalat, l'unico organismo di controllo che non è stato raggiunto da avviso di garanzia o da altro provvedimento di delimitazione della libertà (e mi auguro che non avvenga nel prosieguo) è il collegio sindacale. Non a caso il commissario Bondi, nel rinnovare il collegio sindacale del Parma calcio, ha chiamato uno dei tre sindaci della Parmalat finanziaria. Nel caso di specie, evidentemente, il collegio sindacale aveva svolto fino in fondo il suo dovere. Mi auguro che le cose rimangano tali fino alla fine dell'indagine in corso.


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Per quanto riguarda l'efficacia dei controlli, il Consiglio nazionale, con la fondazione Aristeia, un istituto di ricerca del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, ha condotto una indagine sulle possibilità e l'efficienza dei controlli nell'ambito delle società non quotate, ottenendo risultati, pubblicati sin dal luglio 2003, da cui si evince chiaramente che nell'ambito delle società prive di un collegio sindacale i casi di default e quelli di fallimento sono di gran lunga superiori rispetto alle società dotate di collegio sindacale. Nelle Srl, nella media degli anni dal 1999 al 2001, si sono verificati fallimenti nella percentuale dell'8,9 per mille, mentre nelle società per azioni la percentuale scende al 4 per mille; nelle Srl con collegio sindacale i casi di fallimento sono stati pari al 3,8 per mille, mentre in quelle prive di collegio sindacale il dato sale all'8,8 per mille. Ciò significa che questo sistema è efficace dal punto di vista dei controlli nell'ambito delle società.
Si è parlato di casi eclatanti, come quello della Parmalat, in cui si sono verificati atti di criminalità senza limite, che non potevano non sfuggire anche a coloro che erano preposti ai controlli. Per accrescere ulteriormente l'efficacia del collegio sindacale e per favorire la competenza e l'indipendenza etica dei comportamenti, presentiamo le seguenti proposte. In primo luogo, l'introduzione di un controllo di qualità sull'operato dei sindaci, attuando senza indugio una raccomandazione della Commissione europea del novembre 2000, ancorché rivolta più in generale alla revisione. A tal fine gli ordini professionali dovranno elaborare un sistema-tipo di controllo interno, fondato sull'analisi dei documenti inerenti all'attività di sindaco del professionista.
In secondo luogo, nelle società quotate ed in quelle che comunque fanno ricorso all'emissione di titoli di debito, proponiamo che l'indicazione del presidente del collegio sindacale sia demandata al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, il quale, in attuazione della riforma della professione in itinere, che prevede la gestione del registro dei revisori contabili, dovrà segnalare alla società una terna di professionisti di provata esperienza e professionalità, fra i quali la società stessa dovrà scegliere il presidente. Inoltre, un altro sindaco dovrà essere indicato dai rappresentanti degli obbligazionisti o dal titolare di strumenti finanziari emessi.
In terzo luogo, per le sole società quotate suggeriamo la preclusione, per il sindaco, di qualsiasi attività di consulenza, diretta e indiretta, nei confronti delle società sottoposte a controllo, in linea con gli orientamenti IFAC al riguardo.
Proponiamo, inoltre, la limitazione obbligatoria del numero degli incarichi, anche nelle società non quotate. Detta limitazione degli incarichi potrebbe essere formulata o in termini quantitativi o in termini dimensionali delle società.
Chiediamo, in quinto luogo, la previsione di obbligatorietà di acquisizione di un determinato numero di crediti formativi, inerenti il programma di formazione professionale continua obbligatorio (nell'ambito della formazione coloro che intendono svolgere l'attività di sindaco debbono avere crediti formativi obbligatori ogni anno). Prospettiamo, infine, la necessità di rendere obbligatoria l'adozione di un sistema di controllo interno che si interfacci con il collegio sindacale per tutte le società quotate, non soltanto in attuazione del codice Preda, che dia facoltà alle società quotate di creare un sistema di controllo interno, ma anche estendendolo obbligatoriamente alle società non quotate ad azionariato diffuso, nonché per le società che abbiano dimensioni significative in termini di fatturato e di patrimonio netto e/o rivestano rilevanza sotto il profilo economico sociale e per tutte quelle che emettono strumenti finanziari.
Un altro argomento è quello della responsabilità e quindi anche della capacità del risarcimento del danno. Su ciò si è discusso molto, anche perché il sindaco è responsabile in prima persona. Sarebbe opportuno prevedere regimi di responsabilità che consentano una diversa gradualità della stessa in relazione alla natura dell'incarico e che limitino l'eventuale risarcimento


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del danno ad un multiplo dei compensi percepiti, ovvero ad altro parametro dimensionale, in linea con l'ordine del giorno approvato dal Senato nel corso del varo della legge delega in materia di riforma del diritto societario.
Per quanto concerne i gruppi societari ed i «paradisi fiscali» proponiamo, tra l'altro, di eliminare dalle quotazioni tutte le società che abbiano collegate o controllate che operano in «paradisi fiscali». I redditi provenienti da tali società debbono sottostare alla legislazione italiana ai fini della tassazione.
Un'altra annotazione riguarda il falso in bilancio. Il passaggio del reato di falso in bilancio da reato di pericolo a reato di danno può essere sicuramente accolto con favore, a condizione però che le pene siano inasprite, in modo particolare quando vi è truffa nei confronti della società e dei soci, e siano realmente commisurate all'entità del danno, con pene effettivamente restrittive e che non consentano a coloro i quali le hanno commesse di continuare a svolgere attività di direzione o di controllo nell'ambito delle società.
Per quanto concerne la divisione e le proposte relative all'autorità di vigilanza, riteniamo che sia opportuna una diversificazione, con un'autorità preposta alla stabilità che dovrà continuare ad essere la Banca d'Italia, un'autorità preposta alla concorrenza, compresa l'attività bancaria, cioè l'Antitrust, e l'attribuzione della tutela del risparmio alla Consob o ad una nuova autorità che dovrà raccogliere gli altri organismi.
L'ultima considerazione riguarda la gestione del credito erogato dal sistema bancario. Si palesa urgente e assolutamente necessaria una rigorosa disciplina dei rapporti tra banche ed impresa, volta ad evitare conflitti di interessi, che creano forti ripercussioni sulla tutela dei risparmiatori. Ridefinire tali rapporti, a nostro avviso, significa rompere il circuito perverso che lega le banche che collocano gli strumenti finanziari di imprese già esposte con le stesse evitando, da un lato, la commistione delle banche nella gestione dell'impresa e, dall'altro, che gli azionisti delle imprese esposte presenti nei consigli di amministrazione e nei patti di sindacato delle banche possano influenzare le decisioni nella erogazione di finanziamenti, incanalandoli verso iniziative non confliggenti con la propria area di business.
Questo potrà essere un segnale forte verso i risparmiatori ed il mondo delle piccole e medie imprese. Infatti, in queste ultime, le recenti vicende hanno determinato le preoccupazioni scaturenti dal rischio indotto di vedersi razionare i finanziamenti ed accrescere in modo ingiustificato il costo del denaro. Si tratta di un rischio quanto mai concreto ed in forte accelerazione. Segnali allarmanti in questa direzione pervengono da tutta Italia, in particolare del Mezzogiorno, ed investono tutti i settori produttivi del paese. Il Ministero dell'economia, la Banca d'Italia e l'ABI hanno il dovere di intervenire e vigilare affinché questa tendenza venga immediatamente arginata, se non si vogliono ulteriormente penalizzare le piccole e medie imprese, che costituiscono la sola struttura portante dell'economia italiana.
Concludo ponendo a disposizione del legislatore e delle autorità competenti la competenza tecnica, l'indipendenza e l'etica deontologica dei dottori commercialisti, onde concorrere a risolvere i gravi problemi indotti dalla vicenda Parmalat ed eliminare ogni possibilità del verificarsi di casi analoghi.

FRANCESCO DI STEFANO, Vicepresidente del Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali. In questi anni il contributo della professione contabile su questa materia è stato costante e ha portato all'evidenza di tutti la problematica che la chiarezza e la trasparenza sono fondamentali per lo sviluppo del mercato finanziario. Se osserviamo il contesto internazionale, uno studio fatto dagli economisti di Harvard nel 2002 assegnava un rating da zero a uno ai vari paesi, articolato in due parti - uno sul sistema normativo e l'altro sull'effettivo comportamento degli operatori di quel paese - . Esso ha assegnato all'Italia un rating dello


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0, 69 per cento per il sistema normativo e soltanto dello 0,46 per cento per il comportamento dei privati, segnalando che soltanto il 36 per cento delle società quotate non dà notizie di regole sulla corporate governance e soltanto il 29 per cento dice quali sono i consiglieri indipendenti (nel caso Parmalat è stato segnalato come consigliere indipendente il commercialista della società stessa). La comunicazione, quando è viziata, non ha possibilità di rimedi.
Per favorire il sistema normativo, la professione contabile, a livello mondiale ed europeo, ha partecipato ad una serie di iniziative per sensibilizzare la Comunità europea e per consentirle di emettere delle direttive che realizzino una maggiore trasparenza delle informazioni finanziarie. A seguito di ciò, opera già dal 1998 un comitato per la revisione a livello europeo, e sotto le spinte di questo comitato è stata emanata nel novembre del 2000, una raccomandazione sul controllo esterno di qualità sulla revisione contabile. Tale controllo deve essere articolato attraverso una verifica tra pari e una verifica esterna, una ridefinizione delle procedure di vigilanza pubblica, una pubblicazione dei risultati di questa vigilanza, oltre ad un collegamento tra i risultati della vigilanza e i sistemi di disciplina.
Proprio in linea con questa attività internazionale, il Consiglio nazionale che rappresento ha predisposto una serie di strumenti e di proposte normative, tra cui una norma che istituisca in Italia il controllo di qualità sul controllo contabile, un regolamento per l'attuazione di questa norma e delle procedure pratiche di attuazione. Queste disposizioni sono state presentate sia alla Consob che al Ministero della giustizia, e alla luce della riforma del diritto societario stiamo provvedendo ad una revisione, congiuntamente con i dottori commercialisti, per renderle attuali.
Un'altra questione che si ritiene di dover segnalare riguarda i risultati della commissione Galgano presso il Ministero dell'economia, dove ancora una volta si rappresentava l'esigenza di indipendenza tra gli organismi e la corporate governance, l'indipendenza delle società di revisione e le informazioni sul mercato. Il contributo che può dare una professione come la nostra è anche quello di fornire gli elementi di analisi, perché si capisca meglio il significato di ciò che è successo e di ciò che succede, per rimuovere i vizi della situazione attuale.
Ciò che preoccupa non è tanto la dimensione individuale del caso, quanto il timore che esso possa ripetersi e che molti altri gruppi possano trovarsi nella stessa situazione. Questo timore è indotto dalla consapevolezza che il sistema è debole: la debolezza riguarda in primo luogo il sistema industriale, che ha perso capacità di innovazione e competitività e che cerca quindi sostegni finanziari. In Italia è debole anche il sistema banca-impresa, non soltanto per le collusioni già denunciate dal collega Tamborrino, quanto perché le banche devono esercitare la funzione del credito, funzione sociale, con la consapevolezza che hanno il dovere di sostenere la produttività delle imprese, mentre non devono aiutare le imprese produttive a sopravvivere. Deve essere evidente a tutti che la permanenza nel mercato di soggetti malati infetta il sistema, perché le patologie si trasmettono a catena: i malati non devono essere uccisi ma curati alla luce del sole.
La riservatezza non si può spingere sino a diventare complicità. Ricordo a tutti che gli argomenti che vengono usati per limitare o per giustificare la riservatezza non hanno motivo di essere apprezzati: infatti, l'esclusiva onestà della riservatezza non è un argomento convincente. Dove non c'è trasparenza sovente si annidano incapacità competitiva, ricorso abusivo al credito, riciclaggio di danaro, corruzione, dissipazione e distrazione di patrimoni. Quindi, occorre che si abbia consapevolezza dei rischi. Non esaminiamo i rischi di impresa, ma si può parlare di rischio anche per gli investitori privati.
Distinguerei tra risparmiatori e speculatori. Ai risparmiatori non si possono mandare segnali troppo rassicuranti, mentre gli speculatori hanno per natura una forte propensione al rischio ed è la loro


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presenza sul mercato che ispira la cosiddetta finanza creativa. Per lo speculatore tipo, i grandi personaggi della finanza, industriali o banchieri, più sono spregiudicati e più rappresentano un mito da emulare, almeno finché non cadono in disgrazia e spesso continuano ad esserlo anche in circostanze avverse.
I giornali di oggi riportano la notizia di una sentenza della Cassazione che ha dichiarato penalmente rilevante il comportamento di un commercialista che ha consigliato fatti di bancarotta fraudolenta. Ora, per i commercialisti questa è una «non notizia»: il principio riaffermato dalla Cassazione per i commercialisti è sempre stato pacifico. Quelli a cui ciò non è chiaro sono gli imprenditori, che continuano a richiedere ai professionisti consigli per porre in essere atti illeciti e selezionano i professionisti sulla base di questa loro disponibilità. È assolutamente inutile e fuorviante cercare di scaricare le colpe sugli altri se prima non si interviene sui colpevoli. I controllori possano essere rigidi o elastici, efficienti o inefficienti, onesti o collusi, ma alla fine quelli che commettono i reati non sono i controllori, ma coloro che cercano di eludere i controlli. Allora quello che occorre è un rigurgito di moralità collettiva; occorre una forte iniziativa istituzionale, una campagna di sensibilizzazione in grande stile - come si fa per la droga, il traffico, il fumo - che indichi i comportamenti virtuosi e condanni fermamente quelli immorali, spiegando che poi risultano dannosi alla lunga per gli stessi operatori.
Ognuno deve fare la sua parte in questo senso. Le imprese devono mantenere la consistenza patrimoniale, le banche devono evitare collusione di interessi, sostenere la produttività delle imprese e non la loro espansione finanziaria. Il mercato finanziario non può allargarsi comunque, anche a costo di farvi accedere imprese non solide. E la solidità delle imprese non la si conquista con il credito attinto sul mercato, ma rafforzando i loro fondamentali.
I rapporti con i paesi che non garantiscono trasparenza di informazione devono essere visti come fatti patologici di estrema pericolosità. I revisori devono in primo luogo verificare l'indipendenza e la moralità degli amministratori. La scelta del revisore deve essere vagliata sia dai sindaci sia dalla Consob (reinserendo quindi questa possibilità), così come la Consob e i sindaci devono valutare la congruità dei corrispettivi per la revisione. Deve esservi assoluta incompatibilità tra funzione di revisione e funzione di consulenza, e il lavoro di revisione deve essere sottoposto a sua volta a controllo da parte di organismi indipendenti. Occorre una frequente rotazione degli incarichi, ma alla fine gli speculatori debbono avere consapevolezza del rischio connesso agli investimenti apparentemente più remunerativi; i risparmiatori debbono essere sconsigliati da investimenti eccessivamente speculativi ed i comportamenti illeciti debbono essere pubblicamente deplorati, da chiunque siano posti in essere.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e do la parola ai colleghi che intendano porre questioni o chiedere chiarimenti.

VINCENZO CANELLI. Ringrazio anch'io i nostri ospiti per il loro intervento. Vorrei loro chiedere se ci siano dei limiti nell'attività di controllo nei collegi sindacali di società capogruppo con sede legale in Italia e consociate, collegate o controllate all'estero.

MARIO LETTIERI. Mi unisco ai ringraziamenti ai nostri ospiti, che ci hanno illustrato con molta sinteticità e puntualità i problemi all'ordine del giorno che dovremo affrontare nella revisione della normativa attuale. In particolare mi rivolgo al dottor Tamborrino, che ha sottolineato il conflitto di interessi ormai diffuso, sul quale non credo vi possano essere ormai perplessità da parte di nessuno.
Senza voler essere impertinente, ma considerato il riferimento al diritto societario, ricordo una precedente audizione in Commissione, quando il giudizio della sua categoria sulla riforma del diritto societario non fu critico, mentre oggi il nostro


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ospite ha affermato che si dovrebbe aumentare la sanzione penale per quanto riguarda il falso in bilancio. È stato altresì affermato come sia positivo il passaggio dal reato di pericolo a quello di danno. Quindi lei accetta che il reato di falso in bilancio sia perseguibile solo dietro querela di parte, mentre non ritiene sia comunque un reato contro la fede pubblica; ma c'è un danno complessivo che si reca anche alla società italiana.
In materia di decreto legislativo relativo all'IRES, si prevede che le sanzioni pecuniarie in caso di irregolarità vengano comminate alla società e non più al singolo responsabile. Qual è il giudizio dei nostri ospiti al riguardo?

GIANCARLO PAGLIARINI. Approfitto della presenza dei nostri ospiti per rivolgere loro domande di più ampio respiro. Per l'azienda Parmalat non è stato chiesto il fallimento; considerata la possibilità di ricorrere all'affitto dell'azienda, non sembra porsi il problema della tutela dei posti di lavoro. Per tale ragione, secondo i nostri ospiti, non è stato chiesto il fallimento della Parmalat? La nuova azienda che ne deriverebbe manterrebbe comunque l'occupazione ed andrebbe avanti tranquillamente, ma almeno coloro che hanno commesso illegalità ne risponderebbero, e la posizione nei loro confronti sarebbe molto più dura. Forse mi sfuggono alcuni aspetti, ma ribadisco la richiesta di spiegazioni sul perché non si chiede il fallimento della Parmalat. Chi di dovere, invece di proteggere coloro che hanno compiuto delle «porcherie», dovrebbe dare loro delle «legnate in testa».
Da semplice persona di campagna poi vorrei sapere perché Tanzi è in galera e Cragnotti no. Forse voi lo sapete meglio di me.
Parlando di etica, saprete che il Parlamento ha approvato una legge contro natura, la legge «salva calcio», che è come sostenere che se uno subisce una volta un furto di 100 euro, applicando quella legge si vedrebbe derubato di 100 euro all'anno per dieci anni! Una cosa contro natura! Cosa pensano gli iscritti all'ordine dei ragionieri e dei dottori commercialisti, che svolgono un ruolo di sindaco in una società che applica questa norma contro natura e quindi contro la professione? Anche se è previsto in una legge, perché i vostri iscritti accettano compiti del genere? Non dovrebbero semplicemente rifiutarsi? I comportamenti contro natura non sono opportuni.

LANFRANCO TURCI. Rivolgo anzitutto una richiesta ai nostri ospiti. Negli ultimi tempi da parte dei loro organismi sono state adottate misure nei confronti di quei loro associati che siano stati coinvolti in vicende di default o comunque di mala gestione aziendale? Dico ciò perché comunque in questo campo vi è un preciso compito di vigilanza da parte degli ordini e dei collegi nei confronti dei loro associati.
Inoltre, vi risultano denunce alla magistratura da parte dei componenti del collegio dei sindaci di Cirio o di Parmalat, prima che lo scandalo scoppiasse a tutti gli effetti?
Devo poi sostenere, dottor Tamborrino, che rilevo uno scarto tra il carattere quasi arcadico della sua descrizione della situazione del collegio sindacale della Parmalat e la situazione concreta che abbiamo sotto mano, comprese le parole pronunciate poco fa in questa sede dal presidente della Consob, che ha affermato che, dai sindaci in su, o sono stati conniventi o sono stati dormienti. Secondo me è un giudizio preciso. Prendo atto che vi sono iniziative della magistratura; non tocca a me sollecitarle, posso solo pensare che la magistratura forse si è mossa finora a livello di gravità emergente dei problemi.
Ma faccio fatica a pensare che non si arriverà a toccare anche qualcun altro non ancora coinvolto nelle indagini della magistratura su Parmalat e Cirio.
Mi domando come si possa sostenere che il collegio dei sindaci della Parmalat o di Cirio abbia risposto ai propri doveri di legge, che lei ha citato nella nota consegnataci, ovvero: «osservanza della legge e dell'atto costitutivo da parte degli amministratori, rispetto del principio di corretta


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amministrazione, adeguatezza della struttura organizzativa». Il collegio sindacale della Parmalat ha mai esaminato come era strutturato l'ufficio di contabilità del ragionier Tonna e dintorni?
La stessa questione la pongo per la Cirio: in sostanza, siamo stati di fronte all'emergere di scandali covati nel tempo, e da nessun livello - non voglio screditare i tecnici ragionieri o i dottori commercialisti, unicamente o specificamente facendo cadere solo su di essi le responsabilità - ho visto arrivare per tempo qualche segnale. Mi aspetterei, allora, che oltre a parlarci del conflitto di interesse nelle società di revisione, voi interveniste anche relativamente a problemi attinenti in modo più diretto ai vostri rappresentati.

MAURIZIO LEO. Anch'io desidero ringraziare il presidente Tamborrino e il vicepresidente Di Stefano per le puntuali e attente considerazioni che hanno svolto in ordine alla tipologia dei controlli, e li ringrazio in particolare per le iniziative che hanno proposto per quanto attiene il cosiddetto controllo di qualità, che mi pare costituisca un tassello fondamentale nel sistema dei controlli.
Vorrei soffermare l'attenzione su una questione connessa al nuovo diritto societario. È noto che la tipologia dei titoli viene a modificarsi radicalmente; nel nuovo diritto societario non abbiamo più i titoli tradizionali, azioni da una parte e obbligazioni dall'altra, ma obbligazioni - il cui rendimento è parametrato all'utile di gestione - che potranno sicuramente dar vita ad un mercato interessante per i risparmiatori. Desidero conoscere la posizione dei presidenti in ordine alle difficoltà che potranno insorgere a seguito dell'adozione da parte dei mercati di questi nuovi strumenti finanziari, che non rappresentano - parlando delle obbligazioni - una restituzione del capitale in senso proprio e che quindi potranno assumere le più diverse connotazioni, con ricadute potenzialmente significative per il mercato del risparmio.

BRUNO TABACCI, Presidente della X Commissione della Camera dei deputati. Sono stato molto stimolato dall'intervento del collega Pagliarini ed è per questo che ho chiesto la parola. Emerge da questa audizione, e da quelle svoltesi in precedenza, la necessità che si compia uno sforzo per saltare sul carro della responsabilità. D'altro canto, in assenza di questo disegno sinergico e sistemico, non sarebbe accaduto quello che si è verificato. Ognuno cerca di togliersi un pezzo, di pulirsi da uno schizzo, peraltro non senza fatica, come abbiamo appurato. E nemmeno mi riferisco specificamente ai nostri interlocutori odierni, quanto piuttosto al quadro generale, per le cose che si sono lette. Bisogna davvero voltare pagina. Non so se sarà sufficiente qualche corso di formazione degli ordini all'etica, ma certo non bastano più il titolo di studio o l'abilitazione alla professione. C'è qualcosa d'altro che non funziona nel quadro della società italiana. Questo richiama tutto un discorso relativo al rapporto tra le professioni, così come sono svolte in Italia, e il loro corrispettivo in Europa. Altro che devolution delle professioni!
Sul tema, il collega Pagliarini ha sollevato il problema della Parmalat; in proposito ricordo che la Commissione attività produttive della Camera proprio oggi esaminerà il decreto-legge concernente la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza. E ritengo che sia stata una scelta giusta. Prima di spezzettare l'azienda sarà necessario valutare la possibilità di tenerla insieme, e questo può essere fatto con un piano industriale, in maniera rapida, come Bondi si è impegnato a garantire. Ovviamente, se la maggioranza dei creditori - e in tal senso presenteremo un emendamento al testo -, non appoggerà questo tentativo, andremo al fallimento. Ma non vedo perché dovremmo anticipare gli eventi, spogliando l'unità, che può rappresentare un utile asset industriale.
Quanto poi al cosiddetto decreto «salva calcio», dovremmo fare tutti un po' di autocritica. Me ne sono occupato poco in quei giorni, ero leggermente turbato, ma dopo quanto ho visto in tutti questi mesi, il panorama mi appare chiarissimo. Si è


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ricorsi al decreto «salva calcio» ma in realtà dietro questa etichetta si è celato un provvedimento «salva banche». Chiamatelo come volete, ma la sostanza è questa. Se per i debiti delle società di calcio che erano state finanziate - alcune delle quali quotate in danno dei risparmiatori tifosi - non fosse intervenuta la spalmatura decennale, cosa sarebbe accaduto ai bilanci dei finanziatori di quelle stesse società? Ecco dunque la spiegazione.
Torniamo così a monte. Altro che vittime: le signore banche debbono presentarsi in campo assumendosi le proprie responsabilità. Diversamente, continueremo a sentire prediche in questi giorni, anche autorevolissime e di una dimensione morale profondissima. Ma ciò contrasta con la realtà delle cose e anche con la percezione diffusa presente nell'opinione pubblica.
Certamente, il contributo proveniente dalle categorie è molto importante, e ritengo che anche l'audizione odierna abbia dato un segnale. Occorre però fare questo salto di qualità.

ANTONIO PEPE. Ringrazio anch'io il presidente Tamborrino e il vicepresidente Di Stefano. Obiettivo di tutti è quello di restituire fiducia ai risparmiatori, tutelare il valore risparmio e fornire una risposta ai tanti investitori «penalizzati» - uso un termine volutamente leggero - dai casi Parmalat, Cirio ma anche Banca 121. Torneremo in seguito su questo. Ciò che non ha funzionato è sicuramente nel sistema dei controlli, sia esterni sia interni.
Mi voglio riferire, in questa sede, ai secondi. Il presidente Tamborrino ha parlato di competenza, indipendenza e responsabilità. Ha sostenuto che queste tre condizioni sono presenti quando vi è un collegio sindacale. Quando ci troviamo invece di fronte a società di revisione vi è la competenza, e mancano garanzie di indipendenza e responsabilità. Il presidente ha poi presentato delle proposte. Ritengo che sarà necessario spingerci oltre.
A mio parere, otterremo vera indipendenza con il collegio sindacale se per le società quotate faremo sì che la nomina dei componenti il collegio venga affidata a un soggetto completamente esterno alla società (diversamente da quanto lei ha proposto, ovvero che il presidente del collegio sindacale sia scelto in base ad una terna, indicata dall'ordine). Ritengo piuttosto che la sua proposta possa andar bene per le società che si avvalgono del sistema tradizionale; con la riforma del diritto societario, però, le società potranno avvalersi anche del sistema dualistico, dove il collegio sindacale non ci sarà più. Anche quelle avranno esigenza di un controllo eseguito da soggetti indipendenti e competenti.
Come affrontare, allora, il problema di queste società prive, al loro interno, di un collegio sindacale?

RUGGERO RUGGERI. Ringrazio i presidenti convenuti perché hanno espresso in modo molto esplicito il loro pensiero a proposito di quanto accaduto. Sono d'accordo con il dottor Di Stefano quando parla della necessità di riprendere una moralità collettiva, che riguardi tutti i soggetti e non soltanto alcuni. Penso anche alla politica. Diamo quasi per scontata una certa assuefazione a non considerare pericolosa la presenza di un paradiso fiscale. In realtà, più che dall'aspetto fiscale in sé il problema è generato dalla non trasparenza di questi sistemi e delle relative operazioni. Ma non si tratta solo di questo. Vi è altro: falso in bilancio, decreto «salva calcio», condoni passati, presenti e futuri, il «salva banca», la sottovalutazione del problema Cirio, che in realtà è espressione di una rapina eseguita dalle banche a carico dei risparmiatori.
Sono quindi d'accordo sulla ripresa della moralità collettiva, senza spingere gli uni sugli altri, poiché, del resto, si tratta di un fatto generalizzato.
Non è un caso che la comunità finanziaria, di fronte ai dati di bilancio della Parmalat, abbia dato un giudizio positivo o molto positivo, come ci è stato detto dalla Consob. Qui, gli analisti sapevano che questi erano in paradisi fiscali e che non si trattava solo di non pagare le tasse


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o di mancanza di trasparenza? Quindi, oltre al problema dell'aggiornamento degli iscritti agli ordini, si pone anche quello del recupero di una dimensione ampia, più vera. Non penso che siano stati tutti conniventi; qualcuno certamente lo sarà stato, ma non tutti. Forse è un fatto positivo che questa vicenda sia accaduta. Bisogna però riprendere un discorso più concreto e reale sui problemi del paese, con etica nei comportamenti ma senza moralismi.
La mia domanda nasce dal fatto che reputo assolutamente grave il problema attinente ai nostri ordini professionali. Se i nostri istituti di ricerca hanno stimato che esiste circa un terzo di economia sommersa, un terzo del mercato del lavoro sommerso, e - diciamo pure - un terzo, in modo speculare, di finanza sommersa, chi sta aiutando questa economia sommersa non è qualche dottore commercialista o qualche ragioniere, ma una quantità non indifferente di consulenti che aiutano un'illegalità diffusa che, purtroppo, va a scapito dell'economia stessa. Esiste una stima di colleghi non degni di essere iscritti agli ordini?

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Tamborrino perché risponda ai quesiti formulati.

ANTONIO TAMBORRINO, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. Devo ringraziare tutti i parlamentari per le domande che mi sono state poste, che ci mettono nella condizione di illustrare meglio anche i compiti e le funzioni della nostra professione.
L'onorevole Canelli chiedeva se esistono limiti nell'attività di controllo nei confronti di società che operano all'estero. Non c'è dubbio che ci sono limiti da parte del collegio sindacale, in particolare non tanto nelle società che operano nell'ambito della Comunità europea - perché sostanzialmente il diritto si sta uniformando - ma quando hanno diramazioni in paradisi fiscali (si parla delle cosiddette società offshore). Nella proposta che abbiamo formulato, allegata alla relazione scritta, emerge l'esigenza di prevedere limiti in questo senso, sia dal punto di vista della tassazione dei redditi derivanti da quelle società, sia, soprattutto, mitigando l'opportunità di avere quotazioni in borsa. D'altro canto, ciò che a me più sgomenta è la classifica, apparsa nei giorni scorsi, dei più grandi istituti bancari europei ed italiani, i quali hanno frange operative nei paradisi fiscali. Ha perciò ragione l'onorevole Tabacci quando dice che bisogna compiere questa analisi di dettaglio in primo luogo sulle banche (si pensi che una delle più grosse banche italiane ha almeno centocinquanta società collegate in paradisi fiscali) e proprio al Parlamento spetta fare chiarezza e pulizia in questo senso.
Circa quanto detto dall'onorevole Lettieri, ricordo che siamo stati critici in sede di discussione sulla riforma del diritto societario e - come risulta agli atti parlamentari - abbiamo manifestato il nostro consenso sulla riduzione delle sanzioni a condizione che venissero incrementati i controlli nell'ambito delle società e inasprite le pene per coloro i quali commettono reati.
Alla domanda posta dall'onorevole Pagliarini sul motivo per il quale gli iscritti accettano incarichi di sindaci o di consulenza, oltre a quanto già detto dall'onorevole Tabacci, aggiungo che l'azione di controllo da parte degli ordini, ed in modo particolare di quelli locali, deve essere rigorosissima sotto questo aspetto. Oltre alle norme di deontologia professionale, abbiamo dato direttive che comportano sanzioni anche sino alla radiazione dall'albo professionale. Non vi è dubbio che, nel momento in cui veniamo a conoscenza di fatti di questa natura, prendiamo tutti i provvedimenti del caso.
Ricordo all'onorevole Turci, che chiedeva se sono stati adottati provvedimenti disciplinari nei confronti dei colleghi implicati in questi casi, che, per quanto concerne il caso Cirio, mi risulta che gli ordini locali abbiano iniziato il procedimento di azione disciplinare nei confronti dei colleghi interessati; per quanto riguarda invece i colleghi di Parmalat, finora questo non si è ancora verificato,


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grazie al cielo, perché evidentemente sino a questo momento hanno svolto la loro attività. A me consta che per ben sette volte il collegio sindacale ha chiesto alla società di revisione la reale consistenza della liquidità della Parmalat, e ogni volta questo è stato rinviato. Non è compito del collegio sindacale andare ad accertare la veridicità dei documenti, ma della società di revisione. Non ricordo quando è avvenuto, ma comunque in periodi diversi.
L'onorevole Leo ha fatto riferimento al nuovo diritto societario e all'opportunità di emissione di nuovi strumenti finanziari. Il nuovo diritto societario prevede opportunamente la possibilità per le società per azioni ed anche per le Srl dell'emissione di nuovi strumenti finanziari, come l'emissione di obbligazioni, ma, vivaddio, finalmente gli istituti che emettono e che negoziano quei titoli devono assumere l'onere e la responsabilità nei confronti dei risparmiatori allorquando questi titoli non vengono collocati agli investitori istituzionali.
Esiste una norma (il terzo comma dell'articolo relativo proprio all'emissione di titoli) che prevede un'eccezione per quanto concerne i titoli quotati in borsa. Ho l'impressione che il legislatore dovrebbe intervenire anche su questo, compatibilmente con le regole di mercato, e dovrebbe anche, almeno per alcuni titoli, rendere compartecipi nella responsabilità le banche e gli intermediari finanziari che collocano questi prodotti.
L'onorevole Tabacci giustamente fa osservare che non basta più il titolo di studio né l'esame di stato e, per questo motivo, abbiamo reso obbligatoria la formazione professionale continua proprio dal 1o gennaio del 2003. Il Parlamento deve però anche sapere che, per quanto concerne l'attività dei revisori e la loro professionalità, la legislazione al riguardo è piuttosto arretrata. Chiederei a tutti parlamentari di rivolgersi al Ministero della giustizia per avere il registro dei revisori contabili: questo non esiste. Tutti devono essere iscritti nel registro dei revisori contabili, ma non vi è un registro dove siano elencati tutti i revisori contabili.
Esistono i provvedimenti pubblicati sui numeri della Gazzetta ufficiale, ma non vi è un repertorio ed un'elencazione. Non solo, ma fino al 21 aprile 1995 potevano essere iscritte persone che non avevano alcuna qualificazione sul piano professionale. Infatti, nel registro dei revisori contabili sono iscritti ostetriche, infermieri, amministratori di condominio, perché, purtroppo, una legislazione approvata negli anni passati non richiedeva questo titolo di professionalità. Quindi, potremo verificare che in un ente pubblico, ove è previsto che il presidente del collegio dei revisori debba essere necessariamente un iscritto nel registro dei revisori contabili, può essere nominato un soggetto che svolge la funzione, e non la professione, di revisore contabile, ma che non è né dottore commercialista né ragioniere né consulente del lavoro né avvocato. Infatti, la legge stabilisce che negli enti pubblici il presidente del collegio dei revisori debba essere un revisore contabile, ma non che sia iscritto in un albo professionale.
Questa modifica va apportata con immediatezza e, naturalmente, si innesta con la riforma della professione di dottore commercialista e con la creazione della nuova professione economico-giuridico-contabile, che mi auguro sia approvata tra breve dal Parlamento attraverso l'unificazione degli ordini dei dottori commercialisti e dei ragionieri. L'onorevole Pepe afferma che non hanno funzionato i controlli interni ed esterni, e per quanto concerne le nomine, in parte, ha apprezzato la nostra proposta. Siamo aperti a qualsiasi altro tipo di proposta, questo nell'interesse della società in genere ma, soprattutto, per la tutela del risparmio, che è il nostro punto di riferimento. Infatti, il risparmio crea la finanza ed oggi, purtroppo, la finanza non è più al servizio delle imprese, ma sono le imprese che sono al suo servizio. Gli imprenditori, non tutti per fortuna, non fanno più impresa ma svolgono finanza, ed anche questa è una situazione che va rivista.
Per quanto concerne la possibilità di incidere sulla stima dei professionisti che si interessano dell'attività del lavoro nero


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e del sommerso, posso assicurare all'onorevole Ruggeri che siamo - a livello centrale come consigli nazionali e a livello locale come ordini locali - di un rigore incredibile. Tuttavia, molto spesso chi assiste quelle aziende per il sommerso non è iscritto negli albi professionali. Certamente, possono esserci delle «mele marce», come in tutti i consessi, ma non si può generalizzare.

PRESIDENTE. È possibile, allo stato attuale, che una vicenda come quella della Parmalat non veda una responsabilità omissiva dei sindaci, dovuta a colpa o a dolo? È possibile che il collegio sindacale possa uscire da tale vicenda senza alcuna responsabilità né per colpa né per dolo? Se così fosse, mi verrebbe da domandarmi a che servono i sindaci.

ANTONIO TAMBORRINO, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. Escluderei a priori la possibilità che abbiano potuto agire con dolo ma, probabilmente, ci sarà qualche colpa. Personalmente, posso dire cosa avrei fatto: se mi fossi rivolto molte volte alla società di revisione per chiedere notizie sulla liquidità, non avrei esitato un solo attimo a informare la Consob. Non so cosa abbiano fatto i colleghi, però mi consta che abbiano adempiuto con molta solerzia allo svolgimento della loro attività. Non siamo infallibili e, di fronte ad atti delinquenziali di quella natura, non c'è dubbio che qualcosa possa essere accaduto anche dal punto di vista dell'inerzia.

PRESIDENTE. Volevo precisare che proprio per evitare che lei fosse costretto ad accusare, senza conoscere a fondo la materia, i suoi colleghi, ho fatto riferimento ad una vicenda tipo Parmalat, con tali caratteristiche, perché da questo comitato di indagine è esclusa qualsiasi imputazione di responsabilità personale. Questo vale in particolare per le parole che lei ha detto in rapporto ad un caso astratto che assomigliasse, in linea di principio, a ciò che si sa del caso Parmalat. Quindi, in quel caso astratto abbiamo chiesto se sarebbe potuto avvenire senza una colpa o un dolo, e lei astrattamente ha risposto che, in quel caso, sembrerebbero esservi le condizioni di una colpa. Ovviamente, tutto questo non ha nulla a che fare con le questioni effettive del caso Parmalat, che noi non vogliamo apprezzare in questa sede.

FRANCESCO DI STEFANO, Vicepresidente del Consiglio di nazionale dei ragionieri e dei periti commerciali. Riteniamo che l'inasprimento della sanzione direttamente su chi intende compiere un illecito non sia un rimedio efficace; comunque, se con l'incremento della sanzione si vuole dare un segnale per stigmatizzare determinati comportamenti e per moralizzare la società, allora possiamo anche accettarlo. Tuttavia, vorrei ricordare a tutti quello che diceva Montesquieu: quando i romani avevano dei costumi incorruttibili non si era pensato neanche di istituire un reato come il peculato, ma quando vi fu tale necessità, fu ritenuta già grave la pena di restituire il maltolto. Quindi, evidentemente, non è la gravità della pena che può scoraggiare chi vuole compiere determinati reati, soprattutto quando conducono a importi così macroscopici.
Non è stato dichiarato il fallimento della Parmalat perché la stessa è stata considerata nell'ambito della legge Prodi e questo ha impedito che si potesse dichiarare il fallimento. Noi siamo sempre stati molto perplessi sull'utilità di tale legge, perché non tutela gli interessi dei creditori, in base al presupposto che, invece, devono essere tutelati gli impianti validi ed organizzati. Adesso si tratterà di vedere se nell'ambito della Parmalat tali impianti esistono, se possono essere riallocati e se ciò può avvenire senza gravissimo danno per i creditori. Credo che questa ultima parte venga presa in esame secondariamente nell'ambito di una procedura come quella dell'amministrazione straordinaria rispetto a quanto possa avvenire in una di tipo fallimentare.


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Ricordiamoci che tale procedura deve essere condotta in maniera tale da non indurre l'Unione europea a pensare che si stiano concedendo aiuti di Stato.
L'onorevole Pagliarini ricordava anche il problema del calcio e dell'etica. Ciò m'induce anche ad un'altra riflessione. La professione contabile ha, da sempre, stigmatizzato determinati comportamenti. Quando è stato approvato il decreto sullo spalmamento delle minusvalenze del mercato delle società di calcio, siamo stati molto duri nell'affermare che si trattava di una norma inopportuna e che era applicata anche in modo peggiore di quanto fosse stato enunciato. Abbiamo detto anche quali erano i modi con i quali veniva applicata e che essi non dovevano essere ritenuti accettabili, nell'ambito della legge.
Si trattava di una legge dello Stato, e noi non possiamo impedire ad un operatore di rispettare una legge statale. Ciò che ci meraviglia maggiormente, in questo caso, è la reazione degli imprenditori. Quando prevediamo delle norme di revisione più rigide per i revisori, i primi a reagire in modo negativo sono gli imprenditori, perché si ritengono oppressi dai controlli ed affermano che gli stessi controlli non devono essere organizzati partendo dal presupposto che gli imprenditori non siano persone oneste. Ciò crea, già in partenza, limiti all'organizzazione stessa dei controlli.
L'onorevole Turci chiedeva se vi sono stati casi in cui abbiamo riscontrato anomalie. Come Consiglio nazionale, ci riuniamo non meno di due volte al mese ed in ogni seduta vi sono casi di giurisprudenza domestica che ci portano ad un esame, in secondo grado, di provvedimenti disciplinari assunti dai collegi periferici.
Ciò che fa notizia non sono i casi nei quali i comportamenti sono stati corretti. Per ciò che riguarda la privacy, possiamo massimare le sentenze, ma non possiamo divulgare i casi specifici, perché i nostri sono provvedimenti amministrativi e non giurisdizionali. A ciò si accoppia, tuttavia, una fortissima attività, nell'ambito dei collegi, per indicare i comportamenti scorretti. Come Consiglio nazionale, non possiamo fare altro.
Non bisogna criminalizzare, partendo da un caso, un'intera categoria. Se vi è una banca che si comporta in maniera scorretta, non si può affermare che tutte le banche sono scorrette. Abbiamo l'obbligo di segnalare e di sollecitare i nostri iscritti a soffermarsi sui comportamenti corretti, stigmatizzando quelli scorretti.
I nostri iscritti soffrono quando, rispettando le regole deontologiche, non accettano cariche sindacali o si dimettono dai collegi sindacali, e vi sono soggetti che accettano un numero di incarichi superiori alle diverse decine. Ecco perché, assieme al collega Tamborrino, affermiamo che vi deve essere una limitazione nel numero degli incarichi ed una rotazione degli stessi. È sempre l'imprenditore, però, che va a cercare il connivente. Non è il professionista che cerca l'imprenditore che vuole commettere reati.
L'onorevole Leo ci pone il problema se il nuovo diritto societario, con gli strumenti finanziari che disciplina, possa creare nuovi problemi al mondo della finanza. Noi non possiamo impedire al progresso di andare avanti. Non vi è dubbio che siamo in un contesto estremamente articolato e, quindi, bisogna fornire alle imprese strumenti adeguati. Bisogna vigilare attentamente sull'uso che si fa degli stessi strumenti. Bisogna avvertire, molto correttamente, coloro che vogliono acquisire tali strumenti finanziari.
È certo che la massaia non va ad acquistare uno strumento finanziario sofisticato. A questo proposito, ricordo che il sistema finanziario italiano, oltre che basarsi sui bond e su altri strumenti, si fonda anche sui derivati.
Il sistema finanziario provoca danno alle imprese, poiché, avendole finanziate, le obbliga, in contropartita, ad acquistare i derivati. Questi ultimi sono una vera e propria scommessa, perché non vi è qualcosa che si produce; vi è una parte che vince ed un'altra che perde. Gli unici che


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guadagnano, in questo contesto, sono gli intermediari e ciò aggrava i bilanci delle imprese.

PRESIDENTE. La interrompo, anche per chiarimento di chi ascolta fuori da quest'aula. Non è detto che i derivati abbiano tale natura. Se, per esempio, il derivato è un titolo con il quale l'impresa trasferisce sul mercato o sulla banca il rischio di cambio, tale derivato ha un costo, poiché l'impresa si libera del rischio pagando una certa cifra. Altri derivati contengono un elemento di rischio che si assume l'impresa. I derivati sono moltissimi: alcuni hanno le caratteristiche da lei menzionate, altri non le hanno. Bisogna distinguere, per non arrivare ad una demonizzazione dello strumento dei derivati, che può essere molto pericolosa.

FRANCESCO DI STEFANO, Vicepresidente del Consiglio nazionale ragionieri e periti commerciali. Signor presidente, lei ha perfettamente esplicitato il mio pensiero. Avevo già sostenuto, in precedenza, che non bisogna criminalizzare gli strumenti, ma vedere l'uso che se ne fa. A noi insegnavano che, in caso di debito, bisogna, con il cambio a termine, assicurarsi di poterlo onorare.
Quando, perciò, tali strumenti derivati sono accoppiati a transazioni commerciali, hanno una loro ragione; quando non lo sono, è necessario capire l'utilizzo che se ne fa, e come essi sono sistemati nei bilanci delle imprese. Si tratta di uno dei motivi per i quali il sistema italiano ancora non accetta di applicare gli IAS 32 e 39. Il sistema finanziario continua, infatti, ad inserire tali operazioni in bilancio, anticipando tutto nel momento in cui l'operazione è compiuta, il risultato dell'operazione stessa, anche se quest'ultima ha una progressività nel tempo.
Dalla nostra professione giungono le indicazioni per comportamenti virtuosi, ma le resistenze provengono da parte di coloro che non vogliono utilizzare gli strumenti nel senso che lei, signor presidente, ha appena detto.
L'onorevole Tabacci affermava che il sistema non funziona e nessuno è indenne. Noi, anche nel caso Parmalat, stiamo valutando se vi siano stati nostri iscritti che hanno posto in essere comportamenti scorretti, a tutti i livelli.
Non potremo, evidentemente, operare tale valutazione sull'onda degli umori della piazza, ma dovremo aspettare che le sensazioni attuali si stratifichino e si decantino. Se iniziassimo subito i procedimenti, avremmo, poi, un'immediata richiesta di blocco per la concomitanza dei processi penali. Dovremmo quindi attendere l'esito dei processi penali stessi, per valutare, in sede deontologica, se vi siano responsabilità.
Non vogliamo dire che non vi possano essere, all'interno dei vari organismi, elementi che sbagliano. Non lo possiamo dire, perché ovunque succede che vi siano «mele marce». Possiamo affermare però che abbiamo un forte intendimento a perseguire, in modo determinato, i comportamenti scorretti.
Il sommerso è una situazione delicata, ma vi è anche un sommerso nelle professioni.

LANFRANCO TURCI. La funzione della Commissione d'indagine non è quella di accertare responsabilità individuali. Non è questo il senso della proposta che avanzo. Dobbiamo, tuttavia, capire quali meccanismi non hanno funzionato e come modificarli, per evitare che si riproducano, nel futuro, situazioni quali l'attuale.
Domando se, come Commissione, possiamo chiedere ai presidenti dell'Ordine e del Collegio di fornirci tali informazioni: in quali altre società del gruppo Parmalat e del gruppo Cirio avevano incarichi di sindaci i sindaci che sono nelle due società capofila? Quanti altri incarichi, a prescindere dai due gruppi, avevano in altre società? Poiché si pone il problema del numero degli incarichi e dei conflitti di interesse, probabilmente la ricostruzione di questo dato ci può servire a comprendere meglio se esistono meccanismi che possono avere agevolato o meno determinati malfunzionamenti del sistema.


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PRESIDENTE. Credo che queste informazioni potrebbe ricavarle anche l'ufficio studi della Camera dei deputati; comunque se i nostri interlocutori, che hanno ascoltato le sue ragionevoli richieste, riterranno di fornirci un supplemento di informativa con questi dati fattuali gliene saremo grati. Qualora non lo ritenessero opportuno, possiamo vedere se i nostri uffici, trattandosi di dati pubblici, visto che si tratta di bilanci di società quotate, sono in grado di ottenerli comunque.
Ringrazio il dottor Tamborrino ed il dottor Di Stefano per la loro cortesia e per l'ampiezza delle risposte forniteci e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.05.