Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,20.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul futuro dell'Unione europea, l'audizione del ministro degli affari esteri Franco Frattini.
Do subito la parola al ministro Frattini, che ringrazio per aver accolto l'invito delle Commissioni.
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. La ringrazio, presidente. I parlamentari sanno che gli esiti del Consiglio europeo di primavera riguardano molte tematiche e, fermo restando nella disponibilità di rispondere alle domande che riterranno di pormi, vorrei concentrarmi su alcuni argomenti che penso siano quelli più significativi affrontati dal Consiglio di marzo: il terrorismo e la strategia europea di prevenzione e contrasto; il piano europeo che segue e applica la cosiddetta strategia di Lisbona, cioè le azioni europee per la crescita, per l'occupazione e per lo sviluppo dell'economia; tra ai grandi temi relativi all'impegno internazionale dell'Europa mi limiterei al tema dei Balcani occidentali ed in particolare del Kosovo, che è materia di toccante attualità; ed infine le prospettive del negoziato per la futura Costituzione europea.
Per quanto riguarda il terrorismo sapete che il Consiglio europeo ha deciso l'approvazione di un documento strategico che contiene molti impegni e tanti punti innovativi nelle linee strategiche di contrasto al terrorismo.
Il punto maggiormente innovativo è quello di avere introdotto, con una decisione politica, l'anticipazione di quella clausola di solidarietà, in caso di attacco terroristico ad uno dei paesi europei, che si era concordato di inserire, durante i lavori della Conferenza intergovernativa, nel futuro trattato costituzionale. L'averne anticipato gli effetti è un risultato concreto di questo Consiglio perché, ovviamente, impegna politicamente tutti gli Stati ad intervenire con mezzi e con azioni in caso di attacco terroristico, come tragicamente è accaduto a Madrid.
È stato poi deciso di istituire un coordinamento europeo per le misure di prevenzione e contrasto, si è individuata nell'immediato una figura che assumerà questo incarico, attribuendo al coordinamento europeo compiti che sono certamente di raccordo, ma anche di monitoraggio, sulle linee strategiche dell'azione europea; questo è un altro risultato che definisco positivo e soprattutto concreto.
Si è svolta, inoltre, un'approfondita discussione sul tema dell'intensificazione dell'interscambio informativo e della cooperazione
fra servizi di informazione e sicurezza da una lato e tra forze di polizia dall'altro. E questa ovviamente è una materia di grande delicatezza; avevamo sottolineato l'importanza di una ancor più forte cooperazione a livello di intelligence sia nel corso della riunione tra i ministri degli interni e della giustizia, sia in quella dei ministri degli esteri, pur rendendoci conto - come ci rendiamo conto noi italiani, ma anche tutti i partner europei hanno ben compreso - che l'idea adombrata da qualcuno di creare un servizio segreto europeo o una centrale attiva di intelligence europea è allo stato non proponibile. È sconsigliata in questo momento sia per le difficoltà che hanno molti paesi, sia perché lo sviluppo di una cultura della intelligence europea non può partire dal livello più alto, cioè quello della creazione di una unità centrale di intelligence, ma deve prendere le mosse, come è ovvio, da un rafforzamento che faccia calare un po'- diciamo così - il «tasso di gelosia» degli apparati nazionali di intelligence nel mettere a disposizione informazioni utili per la sicurezza.
Valuteremo nel corso dei mesi come questa misura sarà applicata dal sistema delle relazioni tra servizi di informazione e sicurezza. Ci siamo dati un appuntamento a giugno, al Consiglio europeo di conclusione della Presidenza irlandese per un primo monitoraggio e per una prima valutazione sull'attuazione di queste decisioni strategiche di tipo ovviamente politico.
L'Italia ha collaborato alla definizione della strategia; sapete, infatti, che il nostro paese è parte di quel più ristretto strumento di consultazione permanente che a livello politico si è instaurato tra i quattro più grandi paesi europei e la Spagna e che nell'ambito, prima di questa riflessione informale, poi delle riunioni dei ministri, l'Italia ha messo sul tappeto in materia di clausola di solidarietà e di collaborazione di intelligence delle idee che sono state trasfuse nel documento finale della Presidenza.
In particolare, abbiamo posto due problemi che ritengo importanti e che richiederanno, però, per alcuni paesi membri degli adeguamenti normativi preliminari. Abbiamo posto il problema della protezione dei collaboratori di giustizia nei processi di terrorismo, estendendo il concetto della protezione del testimone a quella del collaboratore, figura che - come sapete - non esiste in molti ordinamenti dei paesi europei e che, quindi, non è potuta entrare nelle conclusioni politiche del Consiglio, ma è stata ritenuta una delle tematiche sulle quali la strategia europea di prevenzione e contrasto dovrà concentrarsi nel prossimo futuro.
Abbiamo posto anche il problema di un regime, se non comune, quanto meno coordinato, delle espulsioni, a titolo nazionale, ovviamente, di persone concretamente coinvolte in indagini di terrorismo e sospettate per fatti di terrorismo. Questo problema incontra difficoltà a tradursi in una decisione europea, perché in molti paesi gli ordinamenti nazionali sono diversi.
Queste sono le linee fondamentali di questa prima parte dell'ordine del giorno del Consiglio europeo.
Passando rapidamente alla seconda delle grandi tematiche (occupazione, sviluppo e strategia di Lisbona), credo che il Consiglio abbia avuto due meriti. Il primo è stato quello di confermare una forte volontà politica rispetto ai tempi e ai piani di azione della strategia di Lisbona. In particolare, è stato detto che occorre non solo la conferma di una volontà, ma l'indicazione di atti concreti per arrivare a tradurre in atto quella volontà e quell'impegno temporale.
Tra le linee principali, c'è certamente quella delle riforme strutturali che occorrono all'economia per diventare più competitiva. Settori importanti come quello del mercato del lavoro o la sostenibilità dei sistemi previdenziali sono oggetto di una confermata volontà europea di mettere al centro questo tema del piano di riforme strutturali che l'Europa ritiene necessarie per arrivare agli obiettivi della strategia di Lisbona.
Certamente i settori concreti da potenziare sono quelli della ricerca, dell'innovazione tecnologica e dell'investimento nelle risorse umane, quindi il grande tema
della formazione delle classi dirigenti e - abbiamo aggiunto confermando l'impegno del Consiglio europeo durante la Presidenza italiana di dicembre - la realizzazione del piano delle grandi infrastrutture europee come elemento fondante per attuare un mercato interno realmente aperto e privo di quelle barriere ed ostacoli, anche naturali, che rappresentano veramente un vulnus alla piena attuazione del mercato interno.
Su questo aspetto il Consiglio europeo da un lato ha confermato gli obiettivi, dall'altro ha enucleato i settori prioritari - quelli che ho indicato - sui quali appare necessario un maggiore sforzo da parte dei paesi membri.
Tra i grandi temi di politica internazionale toccati dal Consiglio europeo, che ha confermato, senza particolari novità, le tradizionali posizioni dell'Europa, vi sono la situazione in Medio Oriente, la necessità di una forte coesione per quanto riguarda la transizione politica in atto in Iraq e l'auspicio, da tutti condiviso, che si lavori per una risoluzione in grado di assicurare l'accompagnamento delle Nazioni Unite al processo di transizione politica verso un governo iracheno legittimato. Su tutto ciò abbiamo confermato quanto noi ministri degli esteri avevamo definito nei documenti comuni soltanto pochi giorni prima del Consiglio.
Un elemento di rilievo è costituito dai Balcani occidentali e, in particolare, dal Kosovo. È evidente che la preoccupazione di tutti aumenta, tanto che la materia delicata di una revisione o di una integrazione del programma per il Kosovo, che prevede il raggiungimento di alcuni standard prima di definire lo status finale, è stata oggetto di discussione. Essa sarà oggetto di discussione anche nella riunione informale del Consiglio della NATO che si terrà domani a Bruxelles, perché, ad esempio, vi sono paesi come la Russia che hanno ribadito - lo ha fatto ieri con me il ministro degli esteri Lavrov - una forte attenzione all'evoluzione della situazione nel Kosovo.
Ebbene, l'esito di questo approfondito dibattito sul Kosovo è che occorre una forte accelerazione della fase di definizione degli standard, che è ancora in corso e che, purtroppo, non ha ancora visto risultati consistenti e, quindi, merita probabilmente di essere integrata, non sostituita o abbandonata, nonché l'affermazione di alcuni principi, il più significativo dei quali è stato proposto dall'Italia e condiviso dagli altri, cioè il principio del decentramento; ciò al fine da un lato di rafforzare i poteri locali, ma dall'altro di studiare delle soluzioni che impediscano la realizzazione di quel concetto tremendo di pulizia etnica a danno della minoranza serba kosovara, che, a nostro avviso, dovrebbe tra l'altro essere coinvolta nel processo negoziale assai più quanto in passato e nel presente sia accaduto. Inoltre, è stata condivisa l'idea, che illustrai proprio in quest'aula pochi giorni fa, secondo la quale ci vuole più Europa nel Kosovo. Non possiamo limitarci ad una presenza, pur importante, nelle Nazioni Unite delle forze NATO.
Questa richiesta italiana si è tradotta con la decisione di inviare stabilmente a Pristina un rappresentante speciale dell'Europa, quindi di Javier Solana, e di mandarci un italiano. Quindi è stato raggiunto un doppio risultato per la diplomazia italiana: avere posto il problema di una presenza dell'Unione europea e, a mio avviso, avere giustamente rivendicato all'Italia, per la conoscenza e per l'impegno strategico nel Kosovo, il ruolo di rappresentanza europea. Come sapete, il nostro designato, un funzionario diplomatico di alto valore, il consigliere Gentilini, ha già assunto le sue funzioni ed è già in contatto per iniziare concretamente ad operare a Pristina.
Vengo all'ultimo tema, che è stato discusso dai capi di Stato e di governo, ovvero le prospettive del processo negoziale relativo alla futura Costituzione europea.
Con sincerità doverosa - frutto anche di una profonda convinzione personale - nei confronti del Parlamento e delle Commissioni, esporrò, in modo estremamente sintetico, una considerazione su due aspetti, uno di metodo e l'altro di merito,
a proposito dei quali sarà necessario riflettere, posto che, a riguardo, chiederò con assoluta franchezza il parere del Parlamento. Si tratta, infatti, di una materia che non può essere - come purtroppo talvolta è accaduto - mescolata ad altre questioni, al fine di evitare che eventuali valutazioni di natura politica, partitica, o preelettorali sulle seconde finiscano per sacrificare la rilevanza della prima, adombrando il progetto essenziale di approvare una Costituzione per l'Europa. In ogni caso, ciò che occorre è un'assoluta chiarezza e una risposta adeguata - a cui il Governo si atterrà - nelle sedi che il Parlamento riterrà più opportune.
In primo luogo, svolgerò alcune osservazioni sui profili di metodo. Come loro sanno, è stata espressa dei capi di Stato e di governo l'unanime volontà politica di addivenire alla conclusione di un accordo sulla Costituzione europea entro il termine della Presidenza irlandese. È stato espresso un consenso unanime a cui l'Italia ha concorso, con convinzione, perché ritenevamo e riteniamo che il processo di allargamento e lo sviluppo delle istituzioni europee non possano conseguire il successo sperato in mancanza di istituzioni nuovamente disciplinate, nel senso dell'efficacia, dell'efficienza e della capacità decisionale. Non credo, pertanto, possa esservi alcun dubbio sulla nostra determinazione a proseguire in questo percorso, affinché la volontà politica espressa a Bruxelles si traduca in un accordo concreto sul testo costituzionale.
Come tutti gli onorevoli deputati e i senatori qui presenti ben sanno (ma è comunque bene confermarlo), la decisione politica del Consiglio europeo ha riguardato esclusivamente la prospettiva di un accordo entro il mese di giugno, non invece il merito della futura negoziazione, ed anzi, la Presidenza irlandese non ha comunicato a nessuno di noi se intenda convocare una riunione politica dei ministri o dei capi di governo prima del 17 giugno; sicuramente ha intenzione di non convocare una riunione politica prima della fine di aprile. Il primo punto da chiarire è che il Governo concorre e concorrerà all'attuazione di un accordo politico, ma lo farà nel quadro della tradizionale trasparenza e chiarezza sul merito e sul contenuto del futuro accordo. A poco servirebbe assumere un impegno politico di metodo senza che quello trovasse, su un altro tavolo - di cui auspichiamo imminente apertura -, un riferimento di merito. E nel merito occorrerà rapidamente entrare. Ancora una volta, gli onorevoli parlamentari sapranno che l'unico riferimento al metodo è rappresentato da un documento della Presidenza, che assume - come base condivisa per il futuro negoziato - un documento precedentemente definito dalla Presidenza italiana, il documento CIG 60, elaborato dopo il conclave di Napoli, tenendo conto delle numerose osservazioni e richieste avanzate in quella sede.
Ed è bene che io chiarisca, a questo punto, come molti già sanno, cosa pensi di quel documento che la Presidenza ha assunto come base. In primo luogo, il richiamo da parte del primo ministro irlandese Ahern al documento e la successiva specificazione - dinanzi al Parlamento europeo - che le questioni ancora da risolvere sono due, confermano quanto la Presidenza e il Governo italiani hanno sempre sostenuto. Ciò significa che, salvo i punti su cui accordo ancora non vi è, esiste una base condivisa sulla stragrande maggioranza, direi la quasi totalità, dei profili di merito della futura Costituzione. Queste premesse - riferite a documenti ufficiali dell'Unione europea - sono indispensabili ad una discussione sgombra da preoccupazioni di carattere preelettorale (e che, però, da parte degli organi di stampa, purtroppo, sono quasi fisiologiche).
Appare pertanto legittima la soddisfazione dell'Italia nel costatare che i punti del negoziato costituzionale ritenuti prioritari corrispondano proprio a quelli definiti dal documento della Presidenza italiana, salvo, ovviamente, gli aspetti relativi alla composizione della Commissione, ai casi di voto a maggioranza qualificata ovvero all'unanimità e ai criteri per il voto a maggioranza qualificata. Questi restano
i profili critici che l'attuale Presidenza di turno ritiene debbano essere ancora risolti. Per tutti gli altri aspetti, rimane valida l'architettura configurata dal documento CIG 60 della Presidenza italiana. Peraltro, quel documento era frutto di un compromesso il quale aveva attenuato l'ambizione costituente che l'Italia aveva ed ha a livello nazionale. Si è trattato, in altri termini, del risultato di un'attività negoziale che avrebbe potuto anche divenire definitivo, qualora a questo documento si fosse aggiunto: un sistema di voto a maggioranza - ispirato a quanto stabilito dalla Convenzione di Giscard D'Estaing -; un numero di casi di voto all'unanimità fortemente ridotto, a vantaggio di quelli a maggioranza; l'inesistenza di ipotesi in cui i seggi dell'Europarlamento fossero usati come strumento negoziale per convincere le resistenze di certi paesi, concependo la distribuzione dei seggi tra i membri come strumento attraverso il quale pervenire alla conclusione dell'accordo (questo era quanto la Presidenza italiana non voleva né poteva accettare).
È stato per questo motivo che in merito al documento CIG 60 - già indebolito rispetto alla base che tuttora preferisco, cioè il testo che io presentai al conclave di Napoli del 2 dicembre - noi, come presidenza, tenemmo conto delle richieste degli uni e degli altri. Ne respingemmo molte, ne accogliemmo alcune. Qual è la prospettiva che da informali riferimenti - informali, perché non si è aperto alcun dibattito - sembra avanzare? Accanto al documento CIG 60 - già debole, per quanto mi riguarda, in confronto alle ambizioni, non più della presidenza, ma dell'Italia - sembra avanzare la prospettiva di una Commissione composta da 25 commissari, uno per ogni Stato membro, che, in futuro diventeranno 26, poi 27 e poi, ancora, 28. Non siamo certi se si prefigurerà o meno quel termine del 2014 - come noi chiediamo - oltre il quale la Commissione dovrà tornare ad essere un organismo snello, composto da non più di 15 membri. Non lo sappiamo. La prospettiva, comunque, è quella di attribuire, certamente, un commissario ad ogni Stato membro.
Quanto al sistema di individuazione delle materie sulle quali deliberare all'unanimità, la prospettiva che sta emergendo è nel senso che sarebbe richiesta l'unanimità per deliberare su un numero larghissimo di materie sulle quali, secondo la Convenzione, si sarebbe deliberato a maggioranza. Noi stessi, come presidenza, ritenevamo di far passare alcune di queste materie - mi riferisco alla politica estera - dall'unanimità alla maggioranza qualificata. Le decisioni sui sistemi fiscali diretti e indiretti dovrebbero essere assunte, tutte, all'unanimità, al pari di quelle sulle prospettive finanziarie, sui sistemi di sicurezza sociale e su tutti gli aspetti della politica estera.
Per quanto riguarda il sistema di voto a maggioranza qualificata nelle residue materie - così si devono definire quelle sulle quali si delibererà a maggioranza e non all'unanimità - sembra emergere, come orientamento informale (lo sottolineo ancora una volta, perché nessuno ne ha mai discusso), il limite del 65 per cento, per quanto riguarda la soglia di popolazione, e del 55 per cento, per quanto riguarda il numero degli Stati. Quindi, per adottare una decisione in quelle materie - non molte - sulle quali ancora si delibera a maggioranza, occorre il voto favorevole del 50 per cento degli Stati che rappresentino, non già - come indicato dalla Convenzione europea - il 60 per cento dei popoli, ma il 65 per cento delle popolazione. Quindi, si alzano le soglie e si rende più difficoltosa l'adozione delle decisioni. Sapendo di parlare ad addetti ai lavori ricordo - a me stesso - che nel trattato di Nizza, che tutti, giustamente, vogliamo superare, il filet di sicurezza è fissato al 62 per cento per quanto riguarda la soglia di popolazione. Quindi, fissarla stabilmente al 65 per cento vuol dire introdurre un livello superiore perfino a quanto indicato dal trattato di Nizza.
Queste sono le prospettive che sembrano emergere, informalmente. Ove queste prospettive diventassero realtà, con
una proposta di accordo su queste basi, la valutazione che ho espresso pubblicamente è che l'Italia non potrebbe accettare un compromesso al ribasso e non può accettare - come questo Parlamento ci aveva chiesto - ipotesi meno ambiziose di quelle che la Convenzione europea aveva delineato.
Ho notato reazioni sorprendenti da parte di alcune forze politiche interne - lo dico senza polemica, come è mio costume - che hanno confuso le mie indicazioni di preoccupazione con una presunta volontà di non collaborare alla stesura di una buona Costituzione (perciò, forse, è giusto il chiarimento di oggi). Lo chiarisco ancora una volta: noi vogliamo che sia approvata una buona Costituzione entro giugno ma credo che dobbiamo rimanere fermi sul rifiuto di un compromesso al ribasso. Noto con piacere, dalle dichiarazioni che ha reso ieri, che anche il Presidente della Commissione europea condivide, oggi, le preoccupazioni che avevo espresso in occasione del Consiglio europeo. Constato, cioè, che il Presidente Prodi afferma di non poter accettare soluzioni che rendano più difficile decidere e di volere soluzioni che rendano più facile la decisione.
Se questa fosse l'ipotesi finale del negoziato, ritengo che non si debba condividere ma chiedo al Parlamento di dire al Governo se debba accettare un ipotetico compromesso al ribasso o se debba far valere la tradizione europeista dell'Italia e rifiutarsi di condividerlo.
PRESIDENTE. Penso che il ministro degli esteri, senza mâcher les mots, senza masticare le parole, abbia posto noi di fronte ad una grande responsabilità. Lasciate che, in qualità di deputato (forse, in qualità di presidente non mi sarebbe consentito, ma voi sapete che non mi piacciono molto i formalismi) io condivida totalmente ciò che il ministro Frattini ci ha detto, con coraggio, con lealtà e con precisione tecnica propria della sua preparazione. Adesso, mi aspetto che tutti prendano posizione di fronte ad un fatto. Le campagne elettorali le facciamo tutti; siamo legati al voto degli elettori e amiamo, possibilmente, compiere atti che possano suonare dolci ed apprezzabili agli orecchi. Però, qui non si tratta di vincere le elezioni in questo o quel piccolo comune; si tratta di capire che cosa noi, in occasione delle elezioni europee, vogliamo fare per l'Europa e si tratta, nelle elezioni provinciali e comunali, di eleggere presidenti e sindaci che, oltretutto, siano sulla linea europeista che il ministro Frattini, con estrema lucidità, ha esposto. Confesso che, qualche volta, ho temuto che il mio amico Franco Frattini - non lo definisco neppure ministro, in questo caso - fosse un po' troppo debole. Questa volta, mi devo smentire in questa mia preoccupazione, evidentemente ingiustificata.
Interverranno ora, per rivolgere alcune domande al ministro, alternativamente un senatore ed un deputato.
Non c'è bisogno di parlare molto perché si tratta quasi di rispondere con un sì o con un no alle affermazioni del ministro. Pertanto fisso per ciascun intervento un limite di tre minuti. Del resto, se vogliamo andare a fare i deputati europei - come io ho fatto - dobbiamo abbandonare il nostro «stile barocco» - scusate, riguarda me - di parlare per cinque minuti per non dire niente.
PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. In questi giorni abbiamo assistito all'annullamento del vertice arabo di Tunisi e questo è un fatto non indifferente; ci troviamo, quindi, ad affrontare una situazione del tutto nuova perché è evidentissimo, ormai, che i venti paesi della Lega araba non sono più compatti.
Ho letto con attenzione e ho ascoltato quello che lei diceva in merito alla prevenzione del terrorismo e devo dire che, in questa occasione, è stato dato molto spazio alle soluzioni di polizia, prendendo per scontata una situazione di fatto.
Nell'ambito della prevenzione, ci troviamo davanti a paesi che scelgono la laicità dello Stato - ad esempio, la Tunisia che ha un codice di famiglia che forse è più evoluto del nostro - e a paesi che continuano, forse, ad essere considerati con una certa attenzione nell'ottica di un
terrorismo islamico che non può essere ovviamente negato. A questo punto le chiedo: che cosa è stato deciso prendendo atto di questa novità?
GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. La ringrazio, signor ministro, perché ha usato parole franche e giuste, esattamente quelle che, almeno noi esponenti della maggioranza, ci aspettavamo di sentire. Nella sua esposizione abbiamo riscontrato determinazione, coraggio e chiarezza di ragionamento; quindi, le assicuro che, per quanto riguarda Alleanza nazionale, troverà pieno sostegno in tutta la sua azione politica nella certezza che lei saprà compiere gli interessi, non della maggioranza, ma del paese, che è cosa ben diversa.
Dato che si dibatte molto sulla Costituzione europea e soprattutto, come lei ha giustamente sottolineato, sulla necessità di avere un indirizzo di politica estera comune, signor ministro, vorrei chiederle alcuni chiarimenti in ordine a taluni fatti ed in particolare ad uno che avvenuto ieri nell'ambito dell'Unione europea. Ieri, sia i partiti del centrodestra sia quelli del centrosinistra si sono spaccati su due mozioni che riguardano la questione dei flussi finanziari dell'Unione europea verso l'Organizzazione nazionale della Palestina - quindi il movimento di Arafat - e questo non sarebbe un fatto di particolare gravità se non si fosse verificato e scoperto che molti di questi flussi sono finiti nell'area di disponibilità economico-finanziaria di Hamas e quindi anche della frangia più estremista che è responsabile di fatti - che io definisco, e me ne prendo tutta la responsabilità - di terrorismo anche politico. In tale situazione è sembrato che lo stesso Presidente della Commissione europea abbia mantenuto un atteggiamento di reticenza che non aiuta certamente ad essere ottimisti sul futuro dell'Unione europea.
Ricollegandomi alla prima parte del suo intervento in ordine alle opportune iniziative per dare risposte unitarie di sicurezza a livello europeo, vorrei fare un breve cenno anche ai tre palestinesi che sono stati portati in Italia in seguito allo sgombero della chiesa della Natività di Betlemme, perché anche questo è un elemento di grande preoccupazione, dato che uno di essi, il 22 maggio del 2002, è stato sorpreso mentre telefonava al capo di Hamas.
Si parla giustamente di spazio giuridico europeo e si cita spesso il mandato d'arresto europeo, e su questo sollecito il Governo perché lo adotti, però non riusciamo a far estradare dalla Francia il brigatista e pluriomicida Cesare Battisti. A queste contraddizioni bisogna che la Francia dia delle risposte precise e puntuali, non chieda i direttori, l'Europa a più velocità, non sfondi i parametri ma si adegui alle leggi che tutti chiedono, cioè alla giustizia europea e quindi ci restituisca il criminale.
ANDREA MANZELLA. Signor presidente la ringrazio, anche se sono un po' sorpreso dal fatto che lei voglia ridurre il discorso, come sempre articolato, dialogico e pieno di sottintesi, del ministro Frattini ad un referendum rispetto al quale si deve rispondere con un sì o con un no. Questo non è infatti un referendum e ne esporrò le ragioni.
La documentazione di questa indagine conoscitiva ci dimostra che Franco Frattini è un ministro parlamentare, cioè un ministro che ha sempre cercato il dialogo con il Parlamento, e siccome sono molto rari, in questa compagine governativa, ministri di tal fatta, l'opposizione lo ringrazia con profonda convinzione.
PRESIDENTE. Ho richiamato uno stile tipico del Parlamento europeo, non penso che i nostri deputati europei siano meno dialogici di quelli italiani. Mi sono solo permesso di rilevare che essi riescono a fare una dichiarazione di voto in un minuto e a svolgere un intervento in tre minuti.
ANDREA MANZELLA. D'accordo. Il ministro viene qui avendo alle spalle la durezza di un negoziato; nel suo intervento ha ricordato il documento CIG 60 del conclave di Napoli, ha rammentato gli
addenda al documento e ha fatto stato di dolorose rinunce che forse in altre audizioni non erano emerse in piena luce.
È logico che la Presidenza irlandese da questo stadio debba partire. Però, per fortuna, questa Presidenza non tiene conto di quello che è avvenuto negli incontri da confessionale a Bruxelles e, per fortuna, non gli è pervenuto quello «scartafaccio», che pure è circolato ed è andato in mano a chi non doveva andare, sui risultati di quegli incontri.
Io dico al ministro Frattini e anche a lei, signor presidente, che a parte tutto, un referendum in questo momento sarebbe prematuro, perché Franco Frattini ci ha parlato di risultati informali, di voci.
Momentaneamente noi possediamo soltanto la breve relazione della Presidenza irlandese - due pagine e mezzo - in cui si dice di voler partire dalla «grande massa» (great bulk) della Convenzione e poi vengono esposti in maniera problematica i punti a cui il ministro si è riferito; quindi, non abbiamo di per sé la materia per un referendum, non c'è stata la «legge» già emanata per dire un sì o no.
Se così stanno le cose, non vedo il dilemma che Frattini ci ha esposto tra metodo e contenuti, perché innanzitutto c'è il metodo. Quindi, se posso permettermi, dire che la parola d'ordine è: negoziare, negoziare, negoziare, come ci ha insegnato - tanto per fare un nome - Aldo Moro. Noi siamo sulla linea europeista, quella di cui si è fatto portatore il Presidente Prodi e di cui è stato costante custode il Presidente della Repubblica Ciampi, in tutti questi mesi; quindi, lo ripeto noi siamo per negoziare.
E il negoziato può implicare anche ciò che un alto intellettuale, rappresentante del partito popolare tedesco, Karl Lamers, ha definito «compromessi subottimali» per arrivare al bene comune della Costituzione.
Da questo punto di vista, sono sorpreso che il ministro Frattini non abbia evocato la data tragica dell'11 marzo. L'11 marzo non è stato soltanto una data tragica nella storia d'Europa, ma è stato anche un punto di rottura nel costituzionalismo europeo, nel senso che non possiamo tenere conto dei negoziati e di come si sono svolti finora senza tener conto di quella data. Ciò che è avvenuto l'11 marzo ha rappresentato l'ingresso del terrorismo nell'Unione europea, ma anche un sussulto dell'Unione stessa, sia - come giustamente ha detto il ministro degli affari esteri - per fortificare la lotta antiterrorismo, sia per vedere in una luce nuova i dati della Costituzione e della conclusione dei relativi lavori prima delle elezioni europee del 12 giugno.
Che significherebbe un referendum? Significa forse che, se l'Italia rimanesse sola nei confronti degli altri 24 Stati che accettano la Costituzione, ci solleveremmo e diremmo di no? Prenderemmo noi il posto lasciato libero da Spagna e Polonia per dire no alla Costituzione? Ci assumeremmo una responsabilità simile?
Se si verificasse questa situazione di estremo isolamento dell'Italia (l'Italia versus 24 paesi) - come oggi in un quotidiano di grande prestigio un ex diplomatico adombra - allora, signor ministro, non già del Parlamento avremmo bisogno, ma del corpo elettorale. Perché sarebbe in gioco non solo il nostro interesse nazionale, ma anche l'interesse costituzionale profondo legato all'articolo 11 della nostra Costituzione. Ciò significherebbe una rottura della nostra Costituzione formale e materiale. Quindi, signor ministro, altro che referendum: negoziare, negoziare, negoziare!
PRESIDENTE. Senatore Manzella, siccome sono stato io la causa del suo appassionato intervento, vorrei dire innanzitutto che per me la sua presenza è esemplare dal punto di vista dell'intelligenza e dell'acutezza. Ho il piacere di ascoltarla soltanto quando il Senato e la Camera si riuniscono. Immagino che la stessa intelligenza, passione e acutezza, lei manifesti nella Commissione o nell'Aula di Palazzo Madama.
Però, sono privo di diplomazia, perché devo replicare sul documento irlandese che lei ha citato. Anche io ho avuto il piacere domenica, lunedì e martedì scorsi
di essere presente alla riunione dei presidenti della Commissione esteri. Il primo ministro Ahern mi ha fatto l'onore di ricevermi in un colloquio privato, in cui mi ha fatto stato di ciò che in diplomazia si deve usare, cioè di un documento un po' blando. Tuttavia, egli ha affermato che non sarebbe mai disponibile a compiere dei passi indietro che ci portino verso Nizza. Questa è la sua testimonianza.
Non capisco che cosa abbia detto di diverso il ministro Frattini che possa determinare posizioni pro o contro il mio «referendum» e che cosa si sia permesso di dire il giornalista, forse più che il politico Gustavo Selva, affermando che a questo punto della discussione si deve rispondere positivamente o negativamente, dopo aver argomentato le nostre ragioni, possibilmente nell'arco di tre minuti come si fa il Parlamento europeo.
Quindi, mantengo intatta la mia posizione, perché non posso misurarmi con lei, senatore Manzella. Mi misuro soltanto, forse, nella praticità «sloganistica» del giornalista che cerca di sintetizzare un'intervista.
Generalmente sono stato celebre per le poche parole che ho detto e per i grandi risultati che ho ottenuto. Quando dirigevo il GR2, parlavo da un minuto a un minuto e mezzo e i miei amici comunisti dicevano che monopolizzavo l'attenzione. Certamente, con le idee nelle quali credevo monopolizzavo l'attenzione, ma credevo talmente in ciò che dicevo che l'ascolto del GR2 si è raddoppiato. Ciò voleva dire che c'era gente che aveva bisogno di ascoltare ciò che dicevo.
ANDREA MANZELLA. Presidente, lei sa che io ho sempre ammirato «Radio Belva».
PRESIDENTE. Però, sono riusciti a cacciarmi da «Radio Belva» con dei motivi ingiusti. Se avessero detto che mi cacciavano perché non rispettavo la linea editoriale, avrei risposto che avevano ragione. Siccome, invece, hanno motivato questa decisione con elementi insussistenti, voglio continuare a dirlo anche in questa sede. Do ora la parola all'onorevole Spini.
VALDO SPINI. La ringrazio, signor ministro, per questa occasione di confronto. Lei ha ricordato la clausola di solidarietà, che è stata elaborata all'interno del gruppo di lavoro difesa della Convenzione presieduto da Michel Barnier, diventato ora ministro degli esteri francese.
Il paragrafo 5 della dichiarazione sulla lotta al terrorismo elenca sei misure legislative che, per battersi efficacemente contro il terrorismo, devono essere adottate entro il giugno 2004: la decisione quadro relativa al mandato di arresto europeo, l'Eurojust, eccetera. Siccome si tratta di materie sulle quali il Governo italiano - non tanto il ministro degli esteri, quanto il Governo complessivamente - si era piuttosto «imbizzarrito», vorrei chiedere se dopo l'11 marzo questo tema viene sbloccato.
Affronto poi il tema del processo negoziale sulla Costituzione europea. Perché il ragionamento che abbiamo sentito precedentemente in questi giorni ha causato una certa diffidenza? Perché il Governo italiano è stato l'unico a non cogliere la differenza tra le dichiarazioni del futuro primo ministro Zapatero e quelle di Aznar. Infatti, Zapatero ha affermato di volersi discostare dalla difesa del criterio di Nizza e di voler accettare il principio della doppia maggioranza. Lo stesso è avvenuto in una riunione che Schroeder ha tenuto con il primo ministro polacco Miller.
È giusto che si dica che è necessario verificare nella pratica cosa tutto questo significhi. Ma nascondersi dietro a un dito di fronte al fatto che Aznar parlava un linguaggio e Zapatero, almeno, ha annunciato un altro linguaggio, ha causato diffidenza tra di noi, perché ci è sembrato che in qualche modo il Governo non volesse vedere quello che, seppur tutto da verificare, naturalmente, costituisce un punto di ottimismo: ossia, laddove la conferenza di dicembre era fallita sull'adozione del principio della doppia maggioranza, almeno in linea di principio il tema
sembra ora discutibile, trattabile e negoziabile.
Non sottolineare questo aspetto nemmeno in questa sede ha determinato in noi una certa diffidenza. Invece, cogliamo questa novità e, tra l'altro, ci avrebbe fatto piacere che fosse stata colta, per esempio, dal Presidente del Consiglio Berlusconi, il quale, invece, ha annunciato un suo totale scetticismo, che prima di avere motivo di essere, credo che vada verificato.
Il secondo aspetto riguarda il merito dell'accordo.
Ritengo non sia possibile agire operando una sorta di «scissione di personalità»: come presidenti, abbiamo proposto un compromesso, e come singole nazioni, adesso, adottiamo una posizione che da quello è più lontana. Non reputo che il ministro Frattini intenda agire in tale direzione, ma qualora ciò si verificasse sarebbe un errore; infatti, il medesimo senso di responsabilità - sotteso all'iniziativa italiana finalizzata a perseguire un accordo definitivo sul testo costituzionale - deve pervadere l'azione del nostro paese, non solo quando detenga la presidenza di turno dell'Unione ma anche allorché agisca come singolo paese, non rivestendo più quel ruolo.
Pertanto, da parte nostra, rispondiamo alla richiesta del ministro Frattini di un mandato; in merito, peraltro, già esistono mozioni attualmente giacenti in Parlamento, per cui nulla esclude la possibilità di addivenire ad un voto parlamentare futuro, che anzi sarebbe senz'altro auspicabile.
Ribadendo questi principi, ci si attenga al testo della Convenzione, si cerchi, nella misura in cui sia possibile, di procedere in questo percorso, e si rifiuti di arretrare. Questi sono i tre pilastri a cui ritengo tutta la delegazione italiana - la quale, tra l'altro, ha concordato, in sede di Convenzione il testo - possa attenersi. Se, come ha sottolineato molto intelligentemente il senatore Manzella, dopo aver negoziato e tenuto duro su tale posizione, l'Italia risultasse l'unico paese responsabile di far saltare un compromesso ritenuto invece accettabile dagli altri 24 paesi, allora, se ciò avvenisse, il quadro muterebbe e chiaramente il ministro Frattini non sarebbe mai legittimato dal Parlamento ad operare in tale direzione. E diverrebbe sbagliato avanzare qualsiasi pretesa di legittimazione da parte nostra.
Se fosse avanzata una richiesta simile, infatti, il ministro indebolirebbe le sue possibilità negoziali, le quali esistono e sono forti solo nella misura in cui sia riavviato il contatto con quei paesi membri che, in generale, si sono attestati sulla medesima lunghezza d'onda riguardo all'ipotesi comunitaria e federalista.
Alla domanda su cosa sia fallito nella politica del Governo, più ancora che del ministro degli esteri, rispondo che una volta distaccatici dalla tradizionale posizione che ci aveva visto uniti insieme ai paesi fondatori - in particolare Francia e Germania -, ci siamo sostanzialmente uniformati alla posizione assunta - nella vicenda irachena - da Spagna e Gran Bretagna, ricevendo poi, come regalo, l'esclusione dalla troika dei tre paesi europei che continuano a riunirsi a più riprese; è, infatti, evidente che tali Stati non abbiano più il medesimo interesse ad aggregarsi all'Italia. Del resto, occorre sottolineare che il patto che ci lega attualmente alla Gran Bretagna è molto labile, e lo resterà nella misura in cui non riesca a spingere questo paese a imporre agli altri due la condizione di una presenza italiana nella troika stessa.
Ritengo sia necessario riprendere l'iniziativa su nuove basi - e reputo che il ministro Frattini possa ricevere questo mandato dal Parlamento -, partendo da una reale solidarietà con i paesi dotati di quella sensibilità comunitaria e federalista, già presente nello spirito originario dei fondatori dell'Unione europea.
È essenziale quindi, da questo punto di vista, rifuggire da qualsiasi posizione di isolamento, interpretabile - anche legittimamente - come delusione da parte di chi non ha potuto coronare, sotto la propria Presidenza, il conseguimento del compromesso sperato. Siamo amici dell'Irlanda e dell'Olanda, cui auguriamo - nella speranza che ciò possa avvenire già durante
la Presidenza irlandese - di concludere senza esitazioni i negoziati in corso. Ma più importante del luogo in cui avverrà e della presidenza sotto cui si raggiungerà il compromesso, sarà rimanere nel gruppo di testa e avanguardia, senza essere estromessi dal consesso dei tre grandi paesi europei.
Signor ministro, lei da noi, otterrà questo mandato; si muova pertanto nella direzione più idonea a far recuperare all'Italia quella posizione di guida del processo europeo che è consona e coerente con la nostra grande tradizione europeista.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Spini per il suo intervento. Invito, inoltre, gli onorevoli colleghi a contenere gli interventi entro il termine di tre minuti ciascuno, in ragione dell'elevato numero di iscritti a parlare, consentendo lo svolgimento dell'audizione entro tempi ragionevoli.
MARCO ZACCHERA. Non condivido l'ultima parte dell'ottimo intervento del collega Spini, poiché non è possibile sostenere, da un lato, l'esigenza di proseguire lungo il percorso avviato, richiamandosi ai sacri principi appena ricordati, e poi contestare quanto stanno facendo attualmente il ministro Frattini ed il nostro Governo, perché ciò appare una contraddizione in termini.
Intendo porle, signor ministro, tre domande brevissime. In primo luogo, vengo alla questione del mandato di cattura europeo, cui ha accennato già l'onorevole Landi Di Chiavenna: se ne è parlato? A che punto siamo? Ritengo che l'Italia debba dare delle risposte in proposito, pronunciandosi su questo tema specifico. Anche qualora qualcuno mostrasse resistenze in materia, io ritengo che una maggioranza disposta a fornire queste risposte vi sia.
Inoltre, nell'ottica del termine del 30 giugno, in cui dovrebbe avvenire il passaggio dei poteri ad un governo iracheno, e tenendo conto soprattutto dei fatti dell'11 marzo, le domando se l'Europa stia adoperandosi in vario modo, e se vi sia una comunione di intenti per accelerare l'arrivo o un controllo dell'ONU in Iraq. Il tempo scorre maledettamente veloce, e il rischio che si profila è arrivare, mi sia consentito il termine, « in mutande » a quella data fatidica, senza aver deciso nulla in proposito.
Infine, si è parlato della Libia: cosa sta succedendo nei rapporti tra l'Italia e questo paese? Corriamo il rischio, infatti, di rimanere al di fuori dalle trattative in corso, mentre, invece, i nostri cugini inglesi si stanno impegnando molto ed in tempi estremamente rapidi.
PRESIDENTE. La ringrazio per la brevità e la concisione del suo intervento, certamente esemplare.
UMBERTO RANIERI. Signor presidente, mi limiterò a soffermarmi sulle questioni relative alla Costituzione europea. Taluni governi hanno lanciato segnali positivi, dichiarando di essere pronti ad addivenire ad un'intesa che porti prima di giugno all'approvazione della Costituzione. Ritengo, pertanto, necessario adoperarsi affinché ciò accada. Il Governo italiano si impegni, dunque, a riprendere il filo di un'intesa istituzionale, così come pare possibile alla luce delle dichiarazioni rese dai governi di diversi Stati dell'Unione. Rinviare ulteriormente la conclusione del negoziato oltre il termine della Presidenza irlandese, quando l'Unione europea avrà un nuovo Parlamento e una nuova Commissione, significherebbe correre il rischio di vanificare interamente lo sforzo per il progetto costituzionale, con il pericolo che l'Unione allargata conosca processi di implosione o paralisi decisionale. L'obiettivo da perseguire è quello di addivenire ad un accordo finale che non metta in discussione gli equilibri istituzionali stabiliti nel progetto di Costituzione scaturito dai lavori della Convenzione europea.
Nel merito, ritengo sia necessario ripartire dal testo presentato dalla Presidenza italiana al conclave di Napoli, tenutosi a fine novembre. Successivamente a quella data, sono stati presentati altri due testi, a mio parere peggiorativi del primo,
nel senso che prevedono l'intervento del Consiglio europeo nelle procedure legislative, in modo tale da concedere ad esso addirittura il potere di bloccarle a richiesta di un singolo Stato; inoltre, è stata fortemente ridimensionata la cosiddetta «passerella», cioè la facoltà dello stesso Consiglio europeo di decidere all'unanimità di adottare in talune materie il voto a maggioranza.
Su tali aspetti, mi pare non si sia mai svolta una discussione sufficientemente approfondita e chiedo pertanto a lei, signor ministro, di chiarire quanto avvenuto, indicandoci chi ha voluto introdurre quelle modifiche e chi invece si è opposto.
In conclusione, ritengo che l'asse dell'iniziativa italiana debba concentrarsi sulle seguenti priorità: partire dal testo presentato a Napoli; affermare sul punto più controverso - ovvero il sistema di voto (doppia maggioranza o voto ponderato) - la linea della Convenzione. In merito a ciò reputo al momento che sussistono le condizioni per consentire al Governo italiano, a partire da quei punti di riferimento appena richiamati, di tessere nuovamente le fila di un'intesa.
Successivamente, nell'ambito di un rapporto intenso e continuo con il Parlamento, si valuteranno gli sviluppi di tale iniziativa. Mi auguro che lei, signor ministro, saprà spiegarci il reale svolgimento dei fatti - culminati con la presentazione di quei testi peggiorativi rispetto al documento di Napoli - chiarendo se la Presidenza italiana si sia battuta per evitarli, sebbene, non mi sembri di aver percepito con chiarezza una convinta iniziativa del Governo tesa a contrastare i rischi di un intervento peggiorativo sul testo della Convenzione.
PRESIDENTE. Rivolgo anche all'onorevole Ranieri il mio apprezzamento per la forma ed i tempi in cui si è svolto l'intervento. Cedo dunque la parola al senatore Basile.
FILADELFIO GUIDO BASILE. Ringrazio il presidente e il ministro Frattini che, con molta chiarezza, trasparenza e coerenza, ha esposto i termini della questione relativa alla Costituzione europea. Personalmente, reputo necessario sottolineare quanto il ministro, nel corso del suo intervento, ha dichiarato, sostenendo con fermezza l'esigenza - da parte dell'Italia - di impegnarci per addivenire ad un accordo sulla Carta costituzionale. Ritengo sia molto importante quanto dichiarato, dimostrando l'intenzione di porre concretamente in essere iniziative volte al conseguimento di questo risultato. Però, egli ha anche precisato che non accetteremo un compromesso al ribasso. Già qualche mese fa era stato dichiarato questo dal ministro e anche il Vicepresidente Fini lo aveva sostenuto; lo stesso Romano Prodi, in questi giorni, ha dichiarato inaccettabili soluzioni tali da rendere più difficile il processo decisionale.
Il punto di partenza è il documento CIG 60 che rappresenta già una soluzione di compromesso. Come ha ricordato il ministro, vi sono soltanto due questioni da risolvere. Questa soluzione di compromesso, che non è ufficiale, rappresenta l'attuale prospettiva, rappresenta un compromesso al ribasso e, inoltre, una soluzione che rende più difficile l'adozione di decisioni. Il ministro ha ben chiara questa posizione. Massima fiducia a lui, perché prosegua in questa direzione.
CLAUDIO AZZOLINI. Sarò brevissimo perché, come lei ben sa, signor presidente, da sempre ho rispettato i «tempi» europei. Però, non voglio esimermi dall'esprimere al ministro Frattini un apprezzamento sincero, non formale e, tanto meno, motivato dalla mia appartenenza. Il dato è oggettivo e questo mi porta a dire che gli interventi svolti dai colleghi poc'anzi sono condivisibili perché, di fatto, si collocano nella linea espressa dal ministro, legittimano proprio l'esistenza di fatti oggettivamente riscontrabili nella relazione, puntuale e precisa, che ha svolto. Perciò, signor ministro, la ringrazio per questa esposizione e, soprattutto, per la sua linea di fermezza e di chiarezza. Devo ricordare anche che se non abbiamo concluso questo iter durante il semestre di Presidenza
italiana è proprio perché non si immaginava che si potesse andare al ribasso. Questa ultima possibilità deve essere esclusa, comunque, per quanto si possa e si voglia mediare.
Mi permetto una sola sollecitazione. Insieme ai colleghi Ranieri e Malgieri ed al senatore Mario Greco, recentemente, sono stato ad Atene, in occasione della riunione della Assemblea dei Parlamenti euromediterranei. Ho la percezione - e credo che i colleghi la condividano - che ci sia una disattenzione nei confronti della politica euromediterranea da parte dell'Unione europea. Vorrei rivolgermi al ministro affinché, con il suo impegno e nelle sue relazioni, solleciti tutti gli altri, in modo tale che il processo di Barcellona non sia marginalizzato perché da quel processo, se riattivato in modo intelligente e strategico, potrebbero derivare molte soluzioni che, al momento, non si riescono a trovare. È un problema che a lei non sfuggirà, signor ministro. Quindi, confido in lei - anche per la fiducia che ho sempre nutrito - affinché proceda verso questo obiettivo con la determinazione di cui è capace.
PRESIDENTE. Lei ha risparmiato un minuto del tempo a sua disposizione, onorevole Azzolini. Sarò ben lieto di concederlo al senatore Marino, ove dovesse superare i suoi tre minuti.
LUIGI MARINO. La ringrazio, signor presidente, ma non li supererò.
Non ho bisogno di ricordare ad un ministro degli esteri le ovvie interdipendenze esistenti tra i problemi. Credo che il problema del «grande Medio Oriente» non sia lontanissimo dalle tematiche trattate in questa sede, se non altro perché, personalmente, ritengo che il progetto americano sia ben lontano dagli interessi dell'Europa nel Mediterraneo. Siamo alla vigilia della conferenza di Istanbul, manca poco più di un mese. Posso affermare che ho apprezzato alcune puntualizzazioni contenute nel discorso del ministro Frattini, in sede di Consiglio atlantico, il 3 marzo scorso, laddove ha affermato che è distruttivo mettere religioni e culture l'una contro l'altra e, soprattutto, laddove ha affermato che dobbiamo evitare l'impressione che la nostra iniziativa segua un approccio paternalistico e sia imposta dall'esterno.
Al di là degli apprezzamenti per queste precisazioni, c'è una sostanziale adesione del nostro paese a questo progetto rispetto al quale sono completamente contrari tutti i paesi arabi - mi riferisco ai paesi della Lega araba e all'intervista rilasciata dal presidente Mubarak - perché ritengono che sia lesivo della loro identità. Soprattutto, questi paesi notano come al centro della discussione, oggi, non vi sia il problema mediorientale e, precisamente, il problema israelo-palestinese, che costituisce un prius rispetto agli altri.
Lei ha affermato, signor presidente, che il ministro è un ministro parlamentare. Ebbene, chiedo a un ministro parlamentare di avere pazienza, soprattutto, con la forza politica più lontana da lui. A seguito del vertice di Praga, in cui sono state modificate funzioni, missioni, compiti ed aree geografiche dell'Alleanza atlantica, ci troviamo di fronte alla adesione sostanziale ad un progetto, sia pure con le dovute precisazioni, senza che si sia svolto un minimo di discussione parlamentare, che non può limitarsi ad una domanda e ad una risposta di pochi minuti. A nostro avviso, ad avviso dei comunisti italiani, occorre un passaggio parlamentare, attraverso una specifica ratifica di accordi che si collocano molto al di là del trattato sottoscritto dal nostro paese. Quanto meno, chiedo che prima della conferenza di Istanbul si discuta seriamente di questo problema. Infatti, non possiamo limitarci ad assistere rispetto ad una situazione in cui il nostro ministro, con tutti i meriti che ha, si impegna su una questione, a mio avviso, lesiva degli interessi del nostro paese e dell'Europa. Non cito quanto è stato affermato dai paesi arabi in materia.
ALESSANDRO FORLANI. Intervengo, signor ministro, sulle prospettive di un compromesso che comunque, a mio giudizio, potrebbe portare a compiere un passo in avanti importante nello sviluppo
dell'integrazione politica dell'Europa. Pur tenendo ferme le posizioni - sono d'accordo - su alcune questioni basilari, penso che, in ogni caso, il trattato costituzionale rappresenti un grande risultato in termini di miglioramento degli strumenti istituzionali e degli strumenti di risposta dell'Unione europea, tanto alle aspettative dei suoi popoli, quanto alle attese che la comunità internazionale in essa ripone per il suo ruolo a garanzia della pace, dello sviluppo, dei valori democratici e dei diritti umani. Certamente, può essere modificabile, magari adottando una forma di revisione più flessibile di quella che caratterizza il nostro ordinamento nazionale, almeno fino ad ora.
Nella prospettiva di una soluzione - entro il mese di giugno - delle questioni sulle quali ancora oggi non si fosse realizzato un definitivo accordo, volevo porre l'attenzione sulla proiezione esterna del ruolo dell'Unione, in merito agli aspetti che investono la sua politica estera ed il suo ruolo nel mondo. Vorrei sapere se sia stato esaminato, per esempio, il problema di come contemperare la presenza e il ruolo del Consiglio degli affari esteri, che è una delle formazioni in cui si articola il Consiglio dei ministri e risponde all'area del Consiglio, e quella del ministro degli esteri dell'Unione che, quale vice presidente della Commissione, è parte della stessa Commissione. Vorrei sapere se sia stata individuata una chiara ripartizione e distinzione dei compiti tra questi due organi. Questo è molto importante affinché si possa arrivare alla capacità dell'Unione di esprimere un ruolo ed una strategia unitaria in termini di politica estera.
Sempre per quanto riguarda la politica estera, volevo sottoporle due temi. Vorrei sapere se, alla luce dell'esigenza della riforma della Organizzazione delle Nazioni Unite e del multilateralismo, sia stata esaminata la proposta dell'istituzione di un seggio unico dell'Unione europea nel Consiglio di sicurezza, in vista del ruolo più importante che le organizzazioni regionali avranno nel futuro multilateralismo.
L'altra questione riguarda il ruolo dell'Unione europea nei conflitti africani. Mi riferisco, in particolare, alla regione dei grandi laghi. Un mese fa, la Commissione per i diritti umani del Senato ha compiuto una missione in Uganda, dove un conflitto efferato oppone una guerriglia di invasati religiosi al governo legittimo. Negli ultimi mesi, ci sono state diverse stragi tra i civili e, negli ultimi due giorni, eccidi molto gravi e l'uccisione di un missionario italiano. In Uganda, abbiamo riscontrato grandi aspettative nei confronti dell'Unione europea, che era già intervenuta, attraverso la cosiddetta troika, tanto sul conflitto interno sudanese quanto su quello ugandese. Vorrei sapere se ci sia un intento, da parte dell'Unione, di rilanciare il suo ruolo di negoziazione in questa vicenda dei grandi laghi, soprattutto in Sudan e in Uganda, le cui vicende sono strettamente interconnesse.
MARCELLO PACINI. Ritengo di aver colto bene il significato del discorso che ha fatto il ministro, credo che quando ha chiesto a noi parlamentari un'opinione sul rifiuto di accettare un compromesso al ribasso, abbia espresso una grande voglia di Europa, cioè la necessità di tenere la barra del timone dritta verso un progresso dell'unificazione europea.
Certamente esiste un problema riguardante i compromessi subottimali. Credo che il realismo del Governo lo indurrà a non farsi scrupolo di esaminare in concreto quei compromessi subottimali che sono stati preannunciati e che comunque sono il pane della politica.
Bisogna però riuscire a capire in che quadro questo compromesso subottimale si potrebbe realizzare; credo quindi che sia doveroso esprimere tutta la solidarietà al Governo, anche per non indebolirne le capacità negoziali.
Semmai c'è da apprezzare nella giusta importanza il clima politico nuovo in cui si sta vivendo. È stato già citato l'11 marzo, io aggiungo il ritrovamento recente di esplosivo a Londra, il misterioso suicidio di un kamikaze a Brescia, di cui non si riesce a capire la reale importanza. Ci
sono cioè degli indizi per cui le città europee sembrano diventare delle periferie di Haifa, Telaviv e Gerusalemme, il peggio forse si sta già realizzando.
Noi dobbiamo renderci conto di ciò, dobbiamo leggere quanto accade con senso realistico e quindi capire che il problema del futuro dell'Europa è ormai un problema squisitamente politico.
L'Europa è cresciuta sotto tematiche economiche, ma ormai queste tematiche hanno quasi esaurito la loro potenzialità; adesso al primo punto ci sono i temi politici della lotta al terrorismo, che non sono semplici perché influenzano anche i diritti delle persone e il modo con cui la democrazia in Europa si è costruita. Forse, saremo posti di fronte a penosi e dolorosi compromessi fra sicurezza e salvaguardia dei diritti tradizionali; credo quindi che dovremmo abituarci a riflettere con grande serenità su questi temi.
Il problema allora diventa come e dove si istaura questo eventuale compromesso subottimale che dovrebbe essere fatto. Credo che faccia una grande differenza se è collocato in un quadro di rilancio complessivo dell'unità europea o se invece è inquadrato nell'ambito di una visione riduttiva della stessa.
Noi abbiamo nella nostra recente storia l'Europa dei sei, l'Europa dei sette, l'Europa dei 15, l'Europa dei 25 ed in prospettiva quella dei 27. Esistono dei concetti storici e dei concetti giuridici, certamente bisogna riuscire ad elaborare questo tipo di esperienza che abbiamo fatto e stiamo facendo avendo un rilancio complessivo del concetto di Europa sotto tre profili.
Una prima convinzione è quella che la troika, così come si sta connaturando, indebolisce l'unità dell'Europa. Questo devono capire i nostri alleati maggiori; infatti, non è facendo le troike che si rafforza l'unità dell'Europa.
Le vie che mi piacerebbe indicare alla riflessione di tutti sono quelle di un rilancio intelligente e razionale, politicamente sensato della cooperazione rafforzata all'interno dell'Europa. All'esterno abbiamo invece un problema di inventare e rafforzare due concetti diversi: in primo luogo quello delle associazioni speciali, penso ai Balcani o a certi paesi del Mediterraneo in cui dovremo fare un intelligente opera di cooptazione; in secondo luogo il già richiamato concetto di partenariato euromediterraneo.
Questi sono tutti concetti che servono a tendere una rete di alleanze e di amicizie all'esterno dell'Europa. Credo che questo rilancio complessivo del tema all'interno dell'unità sempre maggiore dell'Europa fugherebbe anche dubbi sull'euroscetticismo del Governo e sulla volontà di realizzare una forma federale di Europa.
Si tratta, quindi, di riuscire a sostenere il Governo perché dica no a compromessi subottimali. Comunque, se questo compromesso dovesse essere raggiunto, cambierà molto se sarà raggiunto in una prospettiva di rilancio dell'Europa oppure in un'ottica di un accomodamento e di rinuncia di quelle che possano essere le necessità del processo storico di unificazione europea.
MILOS BUDIN. Interverrò brevemente, perché sul merito non ho nulla da aggiungere a ciò che è stato già detto dai colleghi Manzella, Ranieri e Spini.
Credo che il Governo debba portare avanti il negoziato per arrivare al risultato migliore possibile; può farlo con il sostegno del Parlamento e facendo tesoro del documento CIG 60 che fa riferimento a quanto è risultato dal conclave di Napoli.
Deve farlo con l'obiettivo comunque di arrivare ad un risultato, perché l'11 marzo c'è stato ed è difficile immaginare che dopo quell'avvenimento i paesi che si sono opposti nel dicembre scorso rispetto al trattato costituzionale persistano nel loro atteggiamento; quindi, tanto meno posso immaginare che l'Italia potrebbe assumere la responsabilità di non approvare un accordo o, come vogliamo chiamarlo, compromesso subottimale di tutti e 25 i paesi. Questo è ciò che dobbiamo fare anche perché non vedo assolutamente nessuna alternativa.
ALBERTO MICHELINI. Intervengo soltanto per ringraziare il ministro Frattini per la sua audizione, per la sua posizione
e per la chiarezza e la decisione con cui si sta muovendo. Lo ringrazio, inoltre, per la disponibilità che ha avuto nei confronti del Parlamento aggiornandoci sul lavoro comune svolto in Europa e su questo futuro trattato che parte proprio dal testo uscito dal conclave di Napoli.
Approfitto dell'esperienza fatta a Mosca in questi ultimi giorni per segnalare che i russi sono molto preoccupati per la vicenda del Kosovo, tanto che durante una riunione con i colleghi russi il presidente della commissione esteri, che era con noi, ci ha lasciati per incontrare urgentemente una delegazione di serbi kosovari. Visto che si era parlato anche di Kosovo volevo sottolineare la delicatezza del problema che noi ci troviamo di fronte.
MAURO ZANI. Dopo il fallimento del 12 e 13 dicembre del 2003 si era sparso un clima che definire pessimista o negativo credo sia perfino poco enfatico; dopodiché sotto la Presidenza irlandese è scaturito a poco a poco un clima di maggiore fiducia.
Poi c'è stato l'11 marzo, che ha determinato una posizione nuova della Spagna e della Polonia. Si tratta di fattori rilevantissimi e, per quanto riguarda il voto a maggioranza qualificata, sicuramente decisivi.
Siamo in un momento in cui tutti in Europa hanno la consapevolezza che l'allargamento richiede un approfondimento del processo comunitario, che necessita di istituzioni politiche forti. Siamo in una specie di momento magico.
In questo contesto, il ministro Frattini e il presidente Selva ci chiedono, nel momento in cui tutti accelerano, se il Parlamento italiano intenda accettare un compromesso al ribasso. Mi domando: è questa la questione principale che abbiamo di fronte? È questo il problema?
Ritengo che questo modo di procedere sia poco opportuno sotto il profilo politico e persino dal punto di vista del Governo, non solo del Parlamento. Considero tale atteggiamento politicamente rilevante e, dal mio punto di vista, assolutamente errato per gli interessi del nostro paese.
A proposito di compromesso al ribasso, prima di interrogare il Parlamento, bisogna avere chiarezza sull'atteggiamento del Governo rispetto alle singole importanti questioni che sono in gioco. Vogliamo partire dalla proposta complessiva della Presidenza italiana, che ho qui davanti? Vogliamo parlare della composizione della Commissione europea? Possiamo permetterci oggi di non essere d'accordo con una posizione che vuole un commissario per ogni paese, quando noi stessi e il Governo italiano, la Presidenza, voleva una Commissione ridotta a partire da una determinata data? Ne discutemmo anche con il ministro Frattini in un'altra occasione e fummo d'accordo su questa mediazione, perché significava partire, anche secondo la Commissione Prodi, con un membro per ogni paese.
Vogliamo parlare delle cooperazioni rafforzate? Secondo me si tratta di un campo assolutamente essenziale in questo momento, senza indicare i motivi perché li conoscete benissimo (Francia, Germania e Gran Bretagna...).
Soprattutto nel settore della politica estera e di sicurezza comune, la Presidenza italiana è arretrata rispetto al progetto della Convenzione, che prevedeva la maggioranza qualificata per l'ingresso di nuovi membri. Nelle cooperazioni rafforzate, aveva una posizione di ulteriore mediazione. La vogliamo chiamare al ribasso? Sarebbe singolare, io non ragiono così, però certamente una posizione di ulteriore mediazione, dal mio punto di vista, non è positiva. Infatti, la Presidenza propose l'abrogazione dell'articolo III-328 del progetto della Convenzione che conteneva la specifica clausola «passerella» sulla cooperazione rafforzata nel settore della politica estera e della sicurezza comune. Era un compromesso al ribasso? Chi lo ha fatto?
Per cui, se vogliamo discutere davvero su quale debba essere il ruolo di questo Parlamento nel dare un mandato al Governo, bisogna che ci riuniamo per trovare un accordo su tutti questi aspetti.
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Lo desidererei.
MAURO ZANI. Anche io, perché ritengo che questa sia una delle poche questioni sulle quali effettivamente occorre avere un atteggiamento del paese, del nostro Governo e del Parlamento insieme. Ma non lo potremo fare, ministro Frattini, se siamo posti di fronte al fatto che c'è un giudizio politico totalmente dissonante con il clima politico che c'è in Europa, come quello che ci è stato proposto. Non lo potremmo fare.
Tra l'altro, lo considero poco opportuno anche dal punto di vista del Governo, che ha avuto la Presidenza fino a pochi mesi fa, quasi a voler alludere a proprie responsabilità nel fallimento del vertice del 12-13 dicembre. È come «darsi la zappa sui piedi», se posso dare un consiglio tecnico.
Credo che si debba cambiare atteggiamento. Se si cambia atteggiamento, naturalmente il Parlamento può discuterne.
PRESIDENTE. Onorevole Frigato, lei può approfittare anche di due minuti in più, vista l'assenza dell'onorevole Mattarella, che avrebbe dovuto essere presente; egli, tra l'altro, si scusa di non esserlo ed è ampiamente giustificato.
GABRIELE FRIGATO. Ringrazio anch'io il ministro per la sua disponibilità. Ricordo solo un aspetto per spiegarmi meglio su un argomento che affronteremo successivamente. Quando eravamo tutti all'università, più o meno nelle diverse fasi, finché non avevamo fissato la data dell'esame era un po' difficile studiare. Eravamo un po' più «baldanzosi». Quando, invece, fissavamo la data dell'esame, la scadenza diventava significativa e importante, quindi le ore di studio aumentavano con l'avvicinarsi della data.
Dico questo perché ha fatto bene il ministro a dire che c'è una questione di merito ed un'altra di metodo. Per quanto riguarda il metodo, però, è importante che a livello europeo si sia fissata comunemente la scadenza di giugno come tappa per verificare la possibilità dell'approvazione della prima Carta costituzionale europea. Mi sembra sì una questione di metodo, ma anche di grande significato politico.
Il contenuto è sicuramente importante, ma di fronte alla domanda e all'affermazione del ministro secondo la quale non saremo disponibili a compromessi al ribasso, chi di noi può dire che non siamo d'accordo? Tutti siamo d'accordo sul fatto che un compromesso deve essere al rialzo o, meglio, tutti siamo per le cosiddette sintesi virtuose. Sappiamo, però, che il cammino non è sempre di grande e particolare linearità. Qualcuno l'ha chiamato subottimale.
Però, ritengo che non ci sia la possibilità di mettere su carta un mandato. Qui c'è sicuramente una sensibilità politica che il Governo deve cogliere, sapendo che non è da ricercare nelle forze dell'opposizione un qualsivoglia freno rispetto all'obbiettivo di una migliore integrazione europea.
Mi consenta, ministro, di esprimerle una mia preoccupazione: quando lei ci dice che non saremo disponibili a compromessi al ribasso, va bene, ma c'è un'ombra su questa frase. Se unisco questa frase con altre più pesanti di qualche esponente del Governo rispetto all'Europa, ho la preoccupazione che questa frase possa prestarsi a qualche dubbia interpretazione o nascondere qualche difficoltà.
Non voglio fare il processo alle intenzioni, però, mi pare di cogliere comunemente in questo incontro, per le forze politiche che rappresentiamo nel Parlamento italiano, che abbiamo questa aspirazione e auspichiamo questa realtà.
Per quanto riguarda il gruppo della Margherita, non siamo al Governo e quindi la responsabilità di traduzione spetta a voi, al Governo che ha un mandato pieno e sta a voi «stanare» anche alcune affermazioni e mettere a tacere quelle poche o tante voci nel Governo italiano, a volte significative, che sui temi europei provocano qualche stonatura.
PRESIDENTE. Prima di darle la parola per la replica, signor ministro, mi permetto
di annunciarle un'iniziativa che ho personalmente promosso in Kosovo, ove una delegazione parlamentare della Commissione che presiedo - nell'ambito delle cosiddette «missioni a due» - si recherà in data 8 aprile, in seguito a quanto deliberato in sede di ufficio di presidenza.
Il presidente della Commissione ed il vicepresidente, onorevole Ranieri, visiteranno, quindi, Belgrado, Pristina e Tirana. Nel comunicare ciò, colgo l'occasione per sottolineare, di fronte ai temi trattati, il costante impegno del Parlamento ad operare anche autonomamente piuttosto che limitarsi a criticare od approvare le iniziative governative. Il nostro intento infatti - per quanto possibile - è quello di intervenire anche in anticipo, avanzando qualche utile suggerimento rispetto alle questioni in esame.
Do la parola al ministro Frattini per la replica.
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Signor presidente, prendo nota di tutte le osservazioni formulate, rispetto alle quali cercherò di fornire i chiarimenti necessari, soffermandomi con maggiore attenzione sulla questione del negoziato costituzionale.
Sul mandato di cattura europeo, e più generalmente la serie di adempimenti normativi che il Consiglio europeo, in materia, si attende dagli Stati membri, abbiamo svolto accurate riflessioni, compresa la conduzione di studi comparativi utili ad una valutazione più attenta del problema. Si è dunque preso atto della necessità - da parte nostra e di altri cinque paesi - di rispettare il termine stabilito, fissato nel giugno 2004.
Su tutti gli altri aspetti non è stato riscontrato alcun ritardo da parte italiana nell'adeguamento del proprio ordinamento alle esigenze indicate dal Consiglio europeo.
Ribadisco però che per questo unico punto, su cui ancora si attende un intervento del nostro paese, ci siamo impegnati, unitamente agli altri cinque Stati, a rispettare le scadenze stabilite.
Non è stato affrontato, invece, in sede di Consiglio europeo, perlomeno non in dettaglio, il problema della Libia, né delle prospettive concrete di un coinvolgimento maggiore - che pure abbiamo riaffermato - delle Nazioni Unite in Iraq. In particolare, per quanto riguarda la Libia posso solo dire che l'Italia intrattiene una relazione bilaterale davvero speciale con questo paese. Come tutti sanno, infatti, siamo stati, insieme alla Gran Bretagna (che abbiamo addirittura anticipato), i primi ad aver stimolato costantemente la Libia ad adottare quelle scelte poi effettivamente assunte su questioni di grande rilievo: disponibilità a collaborare in materia di attività nucleare; lotta al terrorismo; valutazione seria delle scelte da compiere alla luce del processo di Barcellona.
Questo merito ci viene ovviamente riconosciuto dagli altri Stati e spero sia così anche all'interno del nostro paese. Continueremo, comunque, a lavorare con la Libia a livello bilaterale; saprete, del resto, che questo paese ci ha richiesto una sorta di assistenza tecnica tesa alla costituzione di commissioni congiunte italo-libiche, al fine di collaborare per il corretto e trasparente adempimento degli impegni assunti da quel paese rispetto ai siti nucleari e alla realizzazione di armi strategiche. L'Italia si è pure impegnata, a titolo nazionale, a concorrere alla conversione completa di una centrale (centrale di Rabta) - originariamente destinata alla produzione di materiale chimico non convenzionale - in stabilimento di produzione farmaceutico.
Quanto all'intervento delle Nazioni Unite in Iraq e alla vicenda irachena, si tratta di un problema su cui tutto il Consiglio europeo ha ribadito la volontà di adoperarsi con serietà: lo fa la Presidenza, e lo fa l'Italia nei suoi colloqui bilaterali. In proposito, informo gli onorevoli deputati e i senatori che mi recherò personalmente - nell'arco di due settimane - negli Stati Uniti; è compresa una tappa a New York, ovviamente, proprio nell'ambito dei richiamati rapporti bilaterali in cui l'Italia è costantemente impegnata. È attualmente in corso di approfondimento il dibattito
sul contenuto di una nuova risoluzione dell'ONU riferita alla fase di transizione politica che dovrà concludersi con l'indizione delle elezioni in Iraq (da tenersi indicativamente nel mese di gennaio 2005).
Vengo, quindi, ad un punto sollevato dal senatore Marino a cui dico, sin da adesso, che, se il Parlamento lo richiederà, sarò disponibile ad una approfondita discussione sulle prospettive della dimensione politica della NATO, prima del vertice di Istanbul; sarò disponibile anche perché ritengo utile avere il conforto e la valutazione parlamentare su questioni così rilevanti.
Sapete che mi sono già espresso in favore del potenziamento della dimensione politica, come strumento di dialogo anche a proposito del progetto americano per il «grande Medioriente», rispetto al quale, pur segnalando l'importanza di aprire un confronto, richiamiamo sempre la necessità che questo sia fondato su un dialogo effettivo, una reale capacità di ascolto delle posizioni altrui, ed il perseguimento di posizioni condivise; ci opponiamo invece alla proposizione di ricette precostituite che non tengano conto di questi principi fondamentali.
Questo vale anche per il dialogo Euromediterraneo, in merito a cui osservo come, purtroppo, la preoccupante notizia dello slittamento - apparentemente a tempo indeterminato - del vertice della Lega araba rappresenti uno dei principali problemi attuali, con il quale ci stiamo confrontando. È, infatti, evidente come, nel momento in cui noi europei, noi membri della NATO, offriamo un terreno di confronto e dibattito aperto ai paesi arabi, chiediamo a costoro di esprimere una loro posizione. Certamente, il fallimento del vertice della Lega araba e il suo rinvio denotano quelle difficoltà evidenti che sono state indicate.
Come molti di voi sapranno, ho incontrato di recente il Segretario generale della Lega araba a cui ho esposto le nostre preoccupazioni, e ho apprezzato molto, nella sua risposta, la determinazione di trovare, su alcuni punti-quadro, un'intesa che permetta di esprimere la posizione della Lega araba, e - in prospettiva - dell'intero sistema dei paesi arabi, per porlo sul tavolo del confronto e del dialogo, il quale è possibile soltanto qualora sussistano due interlocutori. Se esistesse un solo interlocutore, anche molto ben intenzionato, ma dall'altra parte non si riscontrasse volontà o possibilità di contrapporre tesi, argomenti, proposte, il dialogo purtroppo stenterebbe ad avviarsi. Pertanto, incoraggiamo costantemente la Lega araba e paesi arabi moderati tutti a proseguire nel grande sforzo che alcuni di loro, in particolare, stanno compiendo per convincere tutti gli altri della necessità di stabilire un dialogo con il mondo occidentale e con l'Europa. Del resto, il confronto fra culture e religioni è stato uno dei punti chiave del dossier politico della Presidenza italiana, a cui siamo particolarmente affezionati.
Venendo alla Costituzione europea, il confronto di oggi mi permette di enucleare alcuni punti fermi. Concordo senz'altro sul fatto che gli eventi dell'11 marzo abbiano palesato la necessità di una forte accelerazione del processo di integrazione politica europea; mi domando, però - riservando al prossimo incontro con il Parlamento un dibattito in proposito - se proprio l'esigenza di fornire una risposta dopo quei fatti non costituisca una ragione per accettare ancor meno di quanto è accaduto nel mese di dicembre i compromessi al ribasso.
Dico, francamente, che mi preoccupano molto le frasi, in linguaggio politico puro, del tipo «compromessi subottimali». Che cosa significa «compromesso subottimale»? Di quanto è al di sotto dell'ottimale? Diversamente da quanto affermato dall'onorevole Zani, con il quale non sono affatto d'accordo, mi chiedo: che cosa vuol dire che non possiamo stabilire a che punto ci si debba fermare? Dobbiamo stabilirlo!
Non a caso, alcuni colleghi parlamentari, sia della maggioranza sia dell'opposizione, oggi hanno reso, con grande chiarezza, tre affermazioni che condivido: rimanere alla base del testo della Convenzione; cercare di compiere alcuni passi in
avanti; opporsi ai passi all'indietro. Queste sono tre linee guida chiarissime per il Governo. Tuttavia, nel momento in cui, dopo l'11 settembre 2001, dobbiamo affermare che l'Europa c'è e, anzi, vuole esserci, accettare un compromesso devastante, cioè al ribasso, significherebbe dare un segnale, a mio avviso, molto negativo. Paradossalmente, siamo costretti ad un negoziato ancora più severo sui principi. Certamente, io dico che l'Italia, di sua natura, a questo negoziato vuole partecipare e parteciperà. Come tutti sapete, infatti, la presidenza uscente, insieme alla presidenza in carica ed a quella rientrante, interagiscono secondo un meccanismo di consultazione - che, in alcuni casi, può definirsi formalmente troika mentre, in altri casi, tale non è - che impone, e non soltanto permette, all'Italia di essere parte attiva in questo negoziato. Il senatore Manzella ci invita e mi invita a parteciparvi. Ovviamente, io non lo trascurerò neanche per un attimo, di qui al 17 giugno prossimo.
Tuttavia, qui si tocca un punto fondamentale e non è stato toccato da molti. Infatti, il documento CIG 60 della presidenza - come io stesso ho affermato, per primo - aveva ridotto le sue ambizioni perché era un documento pronto per la stretta finale. A quel documento, già indebolito, noi aggiungiamo alcuni elementi, proprio sul cuore della Costituzione, che costituiva la parte che non era stata risolta. Il cuore della Costituzione - lo dico, ancora una volta, all'onorevole Zani che, nel frattempo, si è allontanato - non è disquisire sulle questioni delle cooperazioni rafforzate, perché queste ultime le avevamo concordate, con un buon testo; non è neppure costituito dalla scelta di attribuire un commissario ad ogni singolo Stato membro, perché questo lo avevamo già deciso, salvo affermare che, dal 2014, la Commissione sarà ridotta nel numero dei suoi componenti. Il cuore del problema è nella disponibilità degli Stati nazionali a cedere parte del potere nazionale in favore dell'Europa. Quindi, consiste nella decisione relativa a quante materie saranno soggette a deliberazione unanime, a quante saranno soggette a decisione a maggioranza qualificata e al modo in cui calcolare la votazione. Questo è il cuore del problema.
Alcuni colleghi dell'opposizione hanno sottolineato la necessità che l'Italia non resti isolata. Tuttavia, se sul cuore del problema il compromesso proposto rappresentasse un passo indietro e non alcuni passi in avanti, cioè il superamento dell'impianto della convenzione, e se evitare l'isolamento significasse accettare, il Governo accetterà se avrà un mandato del Parlamento in tal senso. Però, accetterà - chiamiamolo con il suo vero nome - un compromesso che mortifica la prospettiva di un'Europa capace di decidere. È questo che vogliamo? L'Italia non intende rimanere isolata, certamente, e negozierà con tutte le sue forze affinché questo non accada. Questo non è affatto scetticismo ma serietà e franchezza sulle questioni. Io ho il dovere di chiedere al Parlamento: ove mai si andasse verso quella soluzione al ribasso, sul cuore della Costituzione, il Parlamento che cosa chiederebbe di fare al Governo?
Il senatore Manzella non mi ha risposto ma ha affermato: guai se l'Italia rimanesse sola, contro gli altri 24 Stati membri. Bene, cercheremo di evitare che questo accada e lavoreremo affinché non accada. Ma se dovesse accadere, prima di adottare quella decisione, in sede di Consiglio europeo, io ascolterò il Parlamento e chiederò un mandato per accettare una Costituzione che, nel suo cuore, ha la impossibilità di funzionamento. È questa la risposta che avremo dato al terrorismo? Credo che sarebbe una risposta - questa sì - sbagliata. Per dovere di franchezza, ritenevo di doverlo sottolineare.
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Frattini.
Vi avevo annunciato una sorpresa e non so se siate curiosi di conoscerla. È una cosa seria che non si presta alle battute. Ho avuto la disponibilità, ed ho assunto personalmente la responsabilità, di invitare più volte il ministro Frattini in queste Commissioni e il ministro, con una tempestività
esemplare, ha sempre risposto positivamente. D'ora in avanti, adotterò un altro criterio. Non credo che noi possiamo disturbare il ministro Frattini per ritrovarci presenti, al massimo, in 30 commissari, rispetto ai 151 che dovremmo essere, cioè il numero complessivo dei componenti delle quattro Commissioni. Dico questo molto seriamente perché accade non soltanto per le quattro Commissioni riunite, ma anche nelle due Commissioni riunite ed nella sola Commissione che ho l'onore di presiedere. Chiederò al ministro Frattini - anzi, come vorrebbe l'onorevole Mantovani, che non è presente, ordinerò al ministro Frattini - di presentarsi soltanto qualora ci sia un quorum di firme, da parte di coloro che hanno richiesto l'audizione, che sia almeno pari a un quarto dei componenti della Commissione. Devo dirvi la verità: non mi sento più di assumere la responsabilità di trovarmi in audizione, nella Commissione affari esteri della Camera dei deputati, che ho l'onore di presiedere, alla presenza di soli 4 deputati - quando la stessa Commissione è composta di 45 deputati - ad ascoltare il ministro degli esteri che, in tempi rapidi, si è presentato. Voi depositerete le vostre firme. Non importa l'appartenenza al gruppo; anche se si trattasse di deputati del medesimo gruppo andrebbe bene lo stesso. Solo quando sarà raggiunto il numero di firme necessario, convocherò il ministro Frattini. Abbiamo approfittato davvero troppo della sua benevolenza. Questa è la sorpresa e, vi assicuro, vi terrò fede.
GIORGIO LA MALFA. Signor presidente, chiedo scusa a lei ed ai colleghi. Vorrei fare una brevissima dichiarazione sul merito della questione. Stavo presiedendo le Commissioni VI e X, insieme al collega Tabacci, riunite in sede referente per l'esame di un provvedimento in materia di interventi per la tutela del risparmio. Perciò, non ho potuto ascoltare il ministro Frattini. Tuttavia, conoscendo il tema, se i colleghi me lo consentono, al termine dell'audizione vorrei esprimere la mia opinione sul punto.
GIORGIO LA MALFA. Sono d'accordo con la procedura indicata dal ministro Frattini, e cioè che prima della decisione finale e della apposizione della firma, da parte dell'Italia, vi debba essere una consultazione con il Parlamento e quest'ultimo debba impegnare il Governo ad agire in un senso o nell'altro. Su questo sono d'accordo.
Nel merito della questione, tuttavia, suggerirei al Governo italiano, ove si profili una soluzione, anche scadente, proposta dagli altri 24 Stati membri, di accettarla, con tutte le riserve del caso. Il mio giudizio nasce dalla considerazione che la bozza di Costituzione originariamente esaminata nei consigli di Bruxelles, ed in altre sedi, è modesta e rimane modesta, certamente. Tuttavia, sarebbe molto grave se l'Italia apparisse come un paese che, non essendo riuscito ad ottenere la firma di una modesta bozza di Costituzione nel corso del proprio semestre di presidenza, rifiutasse la firma della bozza soltanto perché nel corso di un semestre di presidenza altrui. Ritengo che quella Costituzione, nella versione redatta dalla Convenzione, fosse insufficiente rispetto all'esigenza cui accennava il ministro e tale ritengo che sarà anche l'accordo che verrà raggiunto, ammesso che vi sarà. Il mio suggerimento al Governo è di non prendere una posizione di punta, come quella che assunsero Spagna e Polonia, sottraendosi al confronto. Naturalmente, sono d'accordo sul fatto che, nei suoi atti, il ministro debba essere assistito dal Parlamento.
VALDO SPINI. Intervengo sulle dichiarazioni del presidente. Naturalmente, il presidente è libero di assumere le posizioni regolamentari che crede. Una cosa, però, vorrei sottolineare: auspico che queste dichiarazioni non sminuiscano la qualità del dibattito che si è svolto e che mi sembra sia stato un dibattito utile. Per quanto ci riguarda, come opposizione, ma credo che questo valga per tutti, noi siamo sempre disponibili a ripetere un tale confronto,
perché riteniamo che abbia costituito un avanzamento del dibattito politico su questi temi, all'interno del nostro Parlamento.
PRESIDENTE. Trovo che oggi abbiamo raggiunto un numero record di interventi, ma teniamo conto che i componenti delle quattro Commissioni sono 151. Credo perciò che non abbiamo offerto, diciamo la verità, la possibilità a tutti di parlare. Non è una questione regolamentare, onorevole Spini, e la devo elogiare, perché lei è sempre presente; mi trovo a fare delle affermazioni critiche a persone che invece meritano un elogio, ma lo dico per la sostanza delle cose. Applicherò «eticamente» il regolamento, perché i funzionari mi dicono «questo per regolamento non si può fare», ma il regolamento sta anzitutto nella nostra coscienza, secondo me.
MARCELLO PACINI. Presidente, una preghiera: non punisca gli uomini di buona volontà!
PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione del ministro Frattini.
La seduta termina alle 16,20.