Back Forward

Seduta del 2/12/2004


Pag. 77

Esame testimoniale di Ferdinando Salvati.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale di Ferdinando Salvati.
Colonnello Salvati, ci auguriamo che lei rialzi un po' le sorti dell'esercito, che stasera non è uscito nel migliore dei modi, per la verità.
Siccome il generale Vezzalini ci ha riferito che praticamente non sapeva niente, non era a conoscenza di niente, non era suo compito fare indagini, non aveva alcuna ragione di intervenire in quanto si trattava di cose che non avevano nulla a che spartire con l'intelligence, l'avverto subito, in modo che se si vuol mettere d'accordo con il generale Vezzalini, lo può fare subito, in questa sede. Il generale, infatti, ha rinviato tutto alle sue consapevolezze.

FERDINANDO SALVATI. Presidente, tutto quel che so ve lo dirò di sicuro.

PRESIDENTE. La Commissione le chiede veramente uno sforzo di memoria - nei limiti del possibile - e di contribuzione, per quanto consentito dalla verità dei fatti.
Innanzitutto, la Commissione si deve scusare con lei per averla - direi quasi - bistrattata. Però, le abbiamo fatto vivere le nostre ore, le nostre giornate, proprio perché lei si possa rendere conto che lavoriamo in condizioni proibitive. Oggi ci possiamo persino ritenere fortunati in quanto non si tiene la seduta pomeridiana della Camera dei deputati, per cui ci siamo potuti ritagliare una giornata; una giornata che ci saremmo potuti godere un po' meglio, con qualche risultato in più, ma che comunque ci stiamo in qualche modo godendo.
Insomma, la ringraziamo molto, le chiediamo scusa e le diciamo che la Commissione conta molto sulla sua collaborazione e sulle sue conoscenze, in quanto lei è stato tra i pochissimi, in quell'occasione, nella condizione di apprendere fatti e circostanze.
Prima di cominciare l'esame testimoniale, le dico che lei è ascoltato in questa sede - diversamente da come accade di norma nelle Commissioni parlamentari d'inchiesta, essendo noi governati da un regolamento di maggiore severità e maggior rigore - come testimone e quindi con l'obbligo di dire la verità e di rispondere a tutte le domande. Le sanzioni non gliele ricordo, perché un ufficiale della Repubblica non ha bisogno di farsele ricordare.

FERDINANDO SALVATI. Certamente.

PRESIDENTE. Detto questo, le chiedo di indicare le sue generalità, la sua attuale attività professionale e il suo domicilio.

FERDINANDO SALVATI. Sono il tenente colonnello Ferdinando Salvati e sono nato a Torino il 12 marzo 1957.
Presidente, per quanto riguarda le altre informazioni, le chiedo, per cortesia, se si possono segretare.

PRESIDENTE. Sta bene. Non essendovi obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

Dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.
(La Commissione procede in seduta segreta).

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Colonnello, siamo qui per parlare dell'assassinio dei nostri due connazionali Ilaria Alpi e Miran Hrovatin perpetrato, come lei ricorderà, il 20 marzo 1994. Innanzitutto, le chiedo di dirci, a quella data, dove si trovasse, per quali ragioni e con quali funzioni e quali sono state le modalità con le quali lei ha preso contatto, per la prima volta, con questa vicenda.

FERDINANDO SALVATI. All'epoca, mi trovavo assegnato al comando di Unosom 2, un comando multinazionale delle Nazioni Unite, con il grado di capitano. Il


Pag. 78

mio incarico era capo sezione target nella divisione U2. La divisione U2 era la divisione - le Nazioni Unite non usano il termine intelligence, bensì il termine «informazioni militari» - delle informazioni militari. Il capo sezione target - nella divisione delle informazioni militari - raccoglie informazioni, le analizza, le valuta allo scopo di individuare (nel caso in cui sia in corso un conflitto) gli obiettivi da colpire, obiettivi che possono essere infrastrutture o depositi di armi; per un lungo periodo di tempo, l'obiettivo è stato il generale Aidid in persona e tutta l'operazione tendeva alla sua cattura.

PRESIDENTE. Da quando si trovava a Mogadiscio?

FERDINANDO SALVATI. Sono arrivato a Mogadiscio il 17 luglio 1993.

PRESIDENTE. Fino a quando ci è rimasto?

FERDINANDO SALVATI. Fino al 18, anzi, fino al 20 luglio 1994.
Un compito aggiuntivo del capo sezione target - per le dimensioni ridotte dell'apparato informativo militare delle Nazioni Unite - era quello di gestire la rete di informatori locali che copriva Mogadiscio. Sostanzialmente lavoravamo su tre tipi di fonti: l'informatore locale, l'intercettazione(che non gestivo io; la gestivano i francesi ma ovviamente ci fornivano i risultati delle loro intercettazioni) e l'osservazione satellitare. Poi, c'era un'altra fonte, che era data da tutti i contingenti, i quali riversavano le loro informazioni sull'organizzazione informativa delle Nazioni Unite. Questo era il mio lavoro.

PRESIDENTE. Ecco, la questione delle fonti ci interessa in maniera particolare.
Questo rapporto (Mostra un documento) ha una storia travagliata, in quanto viene inviato il 1o aprile 1994 dallo stato maggiore al Sismi, con una lettera di accompagnamento del capo ufficio Ettore Granatiero. Nella lettera si dice che il rapporto è stato redatto dal colonnello Fulvio Vezzalini il quale, fino a qualche minuto fa, ne ha disperatamente escluso la paternità; inoltre, in merito a specifici passaggi, egli ha praticamente affermato che lo stesso rapporto sarebbe frutto di interpolazioni, nel senso che insieme a quelle che erano le sue notizie - riversate in un rapporto originale in inglese, da lui riconosciuto - sarebbero state aggiunte altre notizie, molto importanti.
A parte tutto questo - poi lei ci dirà se questo è vero oppure no - le risulta l'esistenza di questo rapporto, che nella lettera di accompagnamento è indicato come «rapporto redatto dal colonnello Fulvio Vezzalini»?

FERDINANDO SALVATI. Non lo conosco.

PRESIDENTE. Non ne conosce nemmeno l'esistenza?

FERDINANDO SALVATI. Non l'ho mai visto.

PRESIDENTE. Allora, non ne parliamo proprio, andiamo all'essenziale.

FERDINANDO SALVATI. Magari, se lo leggo le posso dire se lo conosco, se l'ho già visto, ma non credo.

PRESIDENTE. Ecco, glielo mostro.

FERDINANDO SALVATI. Giusto un'occhiata, così.

PRESIDENTE. Questo rapporto nasce dall'inglese. Le possiamo far vedere anche la versione in inglese, se si trova meglio (Mostra un documento).

FERDINANDO SALVATI. Vediamo un attimo. È probabilmente simile a quello che ho mandato io.

PRESIDENTE. Ecco, questo è il rapporto in inglese. Manca un pezzo, come anche nel vostro.


Pag. 79


FERDINANDO SALVATI. No, è lo stesso, ma c'è un post-it attaccato sopra. È intero.

PRESIDENTE. Il rapporto in italiano avrebbe dovuto essere la traduzione del rapporto scritto in origine in inglese. Questa traduzione, invece, è oggetto di contestazione da parte del generale Vezzalini perché, obiettivamente, rispetto ai contenuti dell'originale, vi sono dei passaggi in più. Noi, però, siamo partiti dalla lettera di accompagnamento, in cui si dichiara che lo stesso è stato redatto dal colonnello Vezzalini.

FERDINANDO SALVATI. Presidente, confermo che non lo conosco.

PRESIDENTE. Bene. Tutto ciò premesso, lei stava parlando di fonti e già ci ha dato delle notizie interessanti. Si parla di informazioni contenute nel rapporto come provenienti da quattro fonti somale di già provata affidabilità.

FERDINANDO SALVATI. Sì, è scritto very reliable sources.

PRESIDENTE. Le fonti, si legge, sono completamente concordanti. Intanto, le chiediamo se è in grado di indicarci tali fonti.

FERDINANDO SALVATI. No, non sono in grado.

PRESIDENTE. Perché?

FERDINANDO SALVATI. Non sono in grado di indicarle perché in Somalia - è un problema che affrontavamo continuamente - mancava completamente la possibilità di identificare in modo oggettivo una persona. Io ho lavorato con queste persone, con queste quattro fonti e con altre, partendo dal principio che i nomi che mi avevano detto (che erano composti da tre nomi) erano veri. Non avevo altra alternativa: non c'è anagrafe di riferimento, non ci sono documenti.

ELETTRA DEIANA. Ci può dire quei nomi?

FERDINANDO SALVATI. A dir la verità, non li so neanche. Era talmente irrilevante! Per quanto mi riguarda, uno di questi signori - ve lo posso dire - lo chiamavo «Nero», così. Sapete come funziona il sistema dei nomi in Somalia: il nome del padre, il nome del nonno, eccetera. È vero, è così, però non è scritto da nessuna parte. È successo alle Nazioni Unite di assumere la stessa persona due volte, perché ha dichiarato due nomi diversi. E quella persona prendeva due stipendi! Poi se ne sono accorti, comunque era molto difficile verificarlo.

PRESIDENTE. Erano somali?

FERDINANDO SALVATI. Sì, erano somali. Oltretutto, le persone con le quali avevano contatti rischiavano a lavorare con noi, per cui non era neanche pensabile, ad esempio, di fornire loro dei documenti di identità.

PRESIDENTE. E allora, come le risultava che fossero particolarmente attendibili?

FERDINANDO SALVATI. È una questione tecnica. Per valutare l'attendibilità di una fonte, si usa un sistema empirico: la fonte mi porta delle informazioni e io nel tempo verifico se queste aderiscono alla realtà oppure - come avviene per la maggior parte dei casi, in Somalia - sono di completa fantasia. In tal caso, ovviamente, quelle persone perdevano di credibilità e venivano classificate come fonti meno credibili.
Questo sistema, comunque, vale per tutta l'attività informativa militare. Il definire «attendibile» una fonte non nasce da una valutazione oggettiva su quella determinata informazione ma vuol dire solo: fino adesso, mi ha dato delle informazioni attendibili. Il nostro è un mestiere terribilmente empirico.


Pag. 80


PRESIDENTE. Nella relazione in oggetto, oltre che dell'attendibilità, si dà conto anche della concordanza delle quattro fonti.

FERDINANDO SALVATI. Sì, è un criterio per valutare un'informazione.

PRESIDENTE. Esatto, è la convergenza nel molteplice, come dicono i tecnici. Ebbene, come l'avevate sperimentata? Ci può indicare delle circostanze, degli accadimenti prima del 20 marzo?

FERDINANDO SALVATI. Certamente. Diciamo che il lavoro principale di chi fa informazioni militari è sapere cosa succederà domani; chiaramente, non come fa una chiromante, ma cercando di valutare le situazioni, i fatti, gli accadimenti di oggi per prevedere cosa succederà nel futuro, nel breve, nel medio ed anche nel lungo termine, di modo che il comandante possa prendere delle decisioni adeguate a quello che succederà. Il grande dubbio, insomma, è: cosa capiterà? Queste fonti, ogni qualvolta ci avevano dato informazioni in riferimento all'evolversi della situazione o alla dinamica dei clan - che è terribilmente complessa in Mogadiscio e che chiaramente influiva direttamente sulla sicurezza nostra e delle nostre forze -, avevano dato informazioni che si erano rivelate veritiere.

PRESIDENTE. Diciamo che questa è un'affermazione di massima; non dico generica, ma di massima. Qualche caso più specifico?

FERDINANDO SALVATI. Le dirò un caso specifico che mi viene in mente adesso. Un giorno - non mi chiedete la data perché veramente non la ricordo - abbiamo avuto notizia, da alcuni somali, che il contingente nigeriano aveva sparato dei colpi di mortaio su Mogadiscio. Ora, non è che le armi si possano utilizzare in libertà, ma si ricevono degli ordini, in particolare, quando si usano armi come quelle; anche se sono mortai da 81, hanno un considerevole effetto schegge! Ricordo che c'erano stati dei feriti ed erano stati chiesti i danni alle Nazioni Unite. Per me personalmente era una notizia così assurda, così inverosimile che ho pensato: sicuramente, questi colpi non sono arrivati dal contingente nigeriano. Molti, infatti, avevano i mortai a Mogadiscio e chiunque poteva sparare per cui pensai che non erano arrivati sicuramente dalle Nazioni Unite.

PRESIDENTE. Anche Marocchino aveva i mortai?

FERDINANDO SALVATI. Chiunque può averli a Mogadiscio. Poi, dirò una cosa riguardo all'armamento in Somalia, perché può essere di interesse della Commissione. Insomma, queste fonti - due delle persone comprese in questo gruppo - mi avevano assicurato che i colpi erano partiti dai nigeriani, che avevano sentito i colpi ed erano andati a verificare. Io li presi assolutamente sotto gamba, perché ero abituato a sentirmi dire bugie da tutti. Quindi, dissi: è una bella informazione, è una cosa «grassa», bella , interessante; i soldi li prendete lo stesso, però non ci credo.
Ci abbiamo creduto quando abbiamo recuperato i fondelli dei colpi di mortaio: corrispondevano a quelli dei nigeriani. Il che ha causato tutta una serie di ricadute per il contingente nigeriano e di provvedimenti presi dal comandante della missione. Insomma, era la tipica informazione folle, non credibile; invece, avevano detto la verità. Questa è una delle cose che danno peso alle fonti.

PRESIDENTE. Insomma, questo ed altri episodi l'avevano convinta. Lei trasmise questa sua convinzione al generale Vezzalini?

FERDINANDO SALVATI. Sì, l'ho scritto nel rapporto.

PRESIDENTE. Anche il generale Vezzalini, nella sua relazione - parlo adesso di quella in inglese, da lui riconosciuta come sua - le ha definite very reliable


Pag. 81

sources ma ci ha detto chiaramente di non essere stato in grado di fare tale accertamento.

FERDINANDO SALVATI. Questo è normale. Il generale Vezzalini, infatti...

PRESIDENTE. Era arrivato solo da venti giorni

FERDINANDO SALVATI. Fosse anche stato da un anno, questa è una cosa tipicamente militare: vi sono dei collaboratori che hanno delle specifiche competenze e la gestione delle informazioni e di questi informatori era una mia specifica competenza. Per la sicurezza di questi informatori, li gestivo io e basta.
Non voglio assumermi paternità altrui, però questo è un rapporto che è stato scritto nel mio ufficio ed è stato posto alla firma del superiore. Il superiore che lo firma fa un atto di fiducia nei confronti del dipendenti, come avviene in molti casi. D'altro canto, i dipendenti si trovano a scegliere per le vite di altre persone, nell'attività militare, ed è normale: se venisse verticizzato tutto, il meccanismo si incepperebbe.
Non so cosa vi abbia detto il generale Vezzalini, ma se vi ha detto che lo ha firmato senza conoscere i quattro, è sicuramente vero.

PRESIDENTE. Quando lei raccoglieva queste dichiarazioni, faceva una dichiarazione di servizio? Lasciava una traccia, agli atti, di aver parlato con tizio o caio?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Non scrivevate niente?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Nemmeno un'annotazione?

FERDINANDO SALVATI. No, le dichiarazioni venivano raccolte e quello che si produceva erano rapporti di questo tipo.

PRESIDENTE. Come venivano raccolte, oralmente?

FERDINANDO SALVATI. Di norma oralmente: se mentre parlavano avessimo cominciato a scrivere, sarebbe stata la fine! Le raccoglievamo oralmente, in una discussione molto rilassata, dopo di che, ritornando, se quelle dichiarazioni, confrontate con altre informazioni, avevano un interesse e un peso, le trasformavamo in rapporti. È ovvio che il nostro interesse principale - ciò forse può far apparire un po' superficiali o poco consistenti tali rapporti - era quello di individuare l'evolversi generale della situazione. Il nostro problema, a livello di informazioni militari, era la sicurezza di tutto il contingente schierato, quindi ogni fatto per noi era considerato un indicatore della minaccia sul contingente.

PRESIDENTE. Va bene, però vorrei contestualizzare il nostro esame e le sue risposte, possibilmente.

FERDINANDO SALVATI. Certo.

PRESIDENTE. Stiamo parlando di un'inchiesta nella quale si parte da un presupposto: coerente o non coerente che sia la vostra funzione di intelligence, il comandante dell'Unosom aveva dato al generale Vezzalini (e, tramite lui, alla gerarchia, ai subordinati e quindi anche a lei) l'incarico di fare indagini sull'uccisione dei due giornalisti italiani. Allora, l'intelligence è una cosa, ed è tutto quello che stiamo dicendo in questo momento; probabilmente, il modus operandi non può non partire da questo tipo di operazioni alle quali lei fa riferimento, ma qui siamo di fronte ad un fatto dotato di specificità.
Lei ha affermato che facevate delle discussioni, dei dibattiti e dei confronti che traducevate - quando del caso, ovvero quando risultava qualcosa di positivo - in un rapporto. Qui, però, la situazione è diversa, almeno a nostro giudizio. qui si trattava di svolgere proprio un'attività d'indagine o - mi faccia dire la parola giusta - investigativa! In generale, può


Pag. 82

porsi il caso di una fonte che lei voglia mantenere coperta; è suo diritto, per carità, anche se in questo caso potremmo distinguere, in quanto le funzioni di intelligence non sono funzioni di polizia giudiziaria. Dunque, potremmo distinguere sotto questo profilo ed anche dal punto di vista dell'applicabilità delle regole sulla tutela; tuttavia, non vogliamo entrare in questi particolari, anche perché ormai sarebbe troppo tardi, sono passati dieci anni.

FERDINANDO SALVATI. E poi, sono inidentificabili tecnicamente.

PRESIDENTE. Però, diversamente da quanto accade nelle situazioni normali di intelligence militare, qui abbiamo una particolarità che, secondo la nostra visione, avrebbe dovuto consigliare, come dire, di redigere delle relazioni di servizio del tipo: «la fonte anonima ha dichiarato una determinata cosa», in modo tale che potesse restare agli atti.
Quando parliamo delle quattro fonti di cui alla relazione Vezzalini, parliamo di quattro fonti rispetto alle quali è stata utilizzata la tecnica usuale d'intelligence, ovvero non furono fatte né annotazioni né relazioni di servizio?

FERDINANDO SALVATI. È stata fatta una relazione di servizio ed è quella che lei vede. Per noi, quella è stata un'operazione di intelligence normale.
Il fatto che sia stata ordinata una investigation aveva lo scopo di ottenere un rapporto del tipo di quello che ha poi prodotto il provost marshal, il poliziotto militare della missione (parlo di Nazioni Unite, non sto parlando del contingente italiano), un rapporto che tendeva ad esplicare la dinamica dei fatti, e basta.
Per quel che riguardava l'intelligence militare, il fare una investigation sul fatto aveva semplicemente lo scopo di considerare tale fatto un possibile indicatore di un cambio di situazione. A margine, posso dire che tecnicamente, a Mogadiscio, vi erano delle oggettive difficoltà a parlare con una persona - convocare una persona non era neanche pensabile - e comunque non era quel che ci era stato chiesto di fare. Quest'attività di raccolta di informazioni sul fatto specifico non era tesa, certamente neanche nelle intenzioni del comandante della missione, a scoprire chi l'avesse commesso. Non era questo il punto.
Il lavoro dell'intelligence militare era scoprire se quell'azione, quello specifico fatto avesse una ricaduta sulla sicurezza generale del contingente.

PRESIDENTE. Però, nella relazione di cui abbiamo parlato più volte, si prospettano le attività da svolgere. Ecco perché dico che la nostra materia è specifica. Si chiede una raccolta di dati più dettagliati a proposito dell'organizzatore e degli eventuali mandanti dell'attacco, l'identificazione dell'assalitore ferito, l'individuazione delle possibilità di arrestare l'assalitore ferito, e così via.

FERDINANDO SALVATI. Ma queste cose chi le ha scritte?

PRESIDENTE. Questa è la relazione Vezzalini.

FERDINANDO SALVATI. E allora chiedetelo a Vezzalini!

PRESIDENTE. Vezzalini ha detto di chiederlo a lei.

FERDINANDO SALVATI. Ma no, quella non l'ho mai avuta.

PRESIDENTE. No, il punto è un altro.

FERDINANDO SALVATI. Mi scusi, mi faccia capire, altrimenti mi confondo le idee. Io ho una relazione in inglese...

PRESIDENTE. Un attimo. Che siano state fatte indagini ben precise, che siano state fatte operazioni per capire come stessero le cose dal punto di vista della ricostruzione e dei possibili assalitori, non c'è dubbio.


Pag. 83


FERDINANDO SALVATI. Certo, l'ha fatta il provost marshal!

PRESIDENTE. Addirittura, avete raccolto notizie sul fatto che uno degli assalitori potesse essere stato ferito durante l'agguato

FERDINANDO SALVATI. Sì, ci è stato detto dai quattro.

PRESIDENTE. Appunto, è stata fatta un'operazione ulteriore. Tra l'altro, il generale Vezzalini, che viene sentito dalla DIGOS di Roma il 10 luglio 2000 - la circostanza è stata oggetto di analisi durante il precedente esame testimoniale, per cui possiamo correttamente utilizzarla in questa sede - sulle notizie riguardanti il punto 3 (cioè, come si svolge l'agguato e via dicendo)...

FERDINANDO SALVATI. Che comunque, abbiamo detto, è diverso dalla traduzione italiana.

PRESIDENTE. No, in questa parte è uguale. Vezzalini dichiara alla Digos: «Le notizie riguardanti, ad esempio. il punto 3 sono state da me raccolte nell'immediatezza del fatto». Poi, ci ha detto che questo è sbagliato, che non è vero che è stato lui, ma che è stato Salvati.

FERDINANDO SALVATI. Sì, è vero.

PRESIDENTE. Però, qui leggo «da me», ovvero dal generale Vezzalini. Il quale, poi, dichiara «sono state fornite da persone che erano nelle vicinanze del luogo ove si sono svolti i fatti e più precisamente vicino all'edificio dell'ex ambasciata d'Italia. Queste persone, tutte di nazionalità somala, tra cui un ex ufficiale che ha fatto l'accademia in Italia, sono venute nel mio ufficio ove mi hanno appunto riferito ciò che poi è stato riportato sulle veline».
Alla domanda della Commissione di farci conoscere chi siano state le persone sentite nel suo ufficio - di Vezzalini -, egli ha risposto che sono state sentite nel suo ufficio, ma non da lui, che non era nemmeno presente, bensì da lei, allora capitano Salvati, e che quindi i nomi di queste persone, laddove si potesse superare la questione della copertura della fonte, e comunque il nome dell'ex ufficiale che ha fatto l'accademia in Italia sono a sua conoscenza e, quindi, a lei ci saremmo dovuti rivolgere. Ci può spiegare come stanno le cose?

FERDINANDO SALVATI. Non sono in grado di sicuro di dirvi i nomi di queste persone. Non sapevo che ci fosse uno che ha fatto l'accademia in Italia e sinceramente ho dei dubbi su questo, perché non mi sembrava che nessuno parlasse l'italiano come chi ha fatto due anni di scuola in Italia. Se poi l'abbia fatta o lo abbia detto... non so se l'abbia detto al generale Vezzalini, può anche darsi. Questo è tutto. Cado dalle nuvole, è difficile per me. Se il generale Vezzalini riferisce cose che sono successe a me, può darsi che le riferisca in modo inesatto. Come ho detto, il rapporto che ha firmato il generale Vezzalini in inglese l'ho redatto io, non vi è nessun dubbio su questo; il rapporto che ha stilato in inglese il provost marshal l'ha redatto lui e siamo andati insieme, abbiamo rimesso le macchine perché vedevamo che la cosa era d'interesse e, quindi, lo potevamo fare. La valutazione intelligence sul fatto l'ho scritta io e credo vi sia pure la mia firma sotto, oltre a quella del colonnello Vezzalini.

PRESIDENTE. Questa in inglese?

FERDINANDO SALVATI. Sì. Dirvi che uno di questi informatori aveva fatto l'accademia in Italia ... sinceramente cado dalle nuvole. Direi che non mi risulta, credo sia un'inesattezza, un sentito dire. C'è anche da dire che in Somalia incontrare persone disposte a dare informazioni e che si autoqualificavano come ministri o generali era all'ordine del giorno. Oltre ad aver ricevuto una lettera indirizzata al Presidente degli Stati Uniti con la richiesta di portargliela, neanche io lo vedessi tutti i pomeriggi, ho parlato con tantissime


Pag. 84

persone che erano ministri, generali; che cosa ne so? Non c'è un sistema di controllo.
Per quanto riguarda i fatti, ci sono alcuni fatti oggettivi, su cui posso riferire: ad esempio, quando c'è stata la sparatoria io ero a sessanta metri di distanza e, quindi, ho sentito la sparatoria e ci sono stati fatti legati a questo. Posso fare valutazioni mie personali.

ELETTRA DEIANA. Queste quattro fonti attendibili che cosa le hanno detto sull'omicidio?

FERDINANDO SALVATI. Se non le spiace, lo rileggo così evito di dire inesattezze. Lo controllo dall'inglese; hanno detto: «Sei banditi hanno aspettato i giornalisti in un Land Rover blu parcheggiato davanti all'hotel Hamana», che era nella via dove poi c'è stato l'incidente, via Treves, vicino all'ex ambasciata italiana. «I due giornalisti hanno lasciato l'hotel scortati da una guardia somala, armata con un AK47», che è un fucile d'assalto, «la loro macchina era guidata da un altro somalo. I banditi hanno seguito la macchina dei giornalisti per circa cento metri, poi hanno fermato il veicolo chiudendogli la strada, all'incrocio tra via Treves e corso della Repubblica. La guardia del corpo somala ha reagito sparando, ha ucciso uno degli attaccanti, ne ha ferito un altro» ...

PRESIDENTE. Ecco dov'era la notizia dell'ucciso!

FERDINANDO SALVATI. «L'autista ha cercato di spostare la macchina facendo retromarcia»...

ELETTRA DEIANA. Quindi, queste sono notizie di fonti attendibili?

FERDINANDO SALVATI. Sono di questi quattro. Il combattimento è durato solo pochi minuti, questo ve lo posso dire io, perché ero a sessanta metri e l'ho sentito.

PRESIDENTE. Dopo ne parliamo. L'onorevole Bulgarelli vuole fare un intervento; prego.

MAURO BULGARELLI. Quindi, erano fonti attendibili che le davano notizie che lei aveva verificato, naturalmente, come ha detto. Ma quali erano le modalità di contatto delle fonti ogni qualvolta accadeva qualcosa sulla quale doveva investigare?

FERDINANDO SALVATI. Questo intanto era un problema tecnico. Sostanzialmente o venivano loro al compound delle Nazioni Unite oppure stabilivamo dei punti d'incontro in Mogadiscio, di volta in volta.

MAURO BULGARELLI. Come facevate a sentirli, a cercarli o a trovarli? Capisco la casualità, però...

FERDINANDO SALVATI. Chi rischiava di più in quella situazione erano questi signori che ci davano le informazioni.

ELETTRA DEIANA. Ma in questo caso come avvenne il contatto?

FERDINANDO SALVATI. In questo caso sono venuti al compound Unosom, se ricordo bene. Direi che si sono presentati al compound.

ELETTRA DEIANA. Sono venuti al compound Unosom?

FERDINANDO SALVATI. Sì.

MAURO BULGARELLI. Mi scusi, non è una contraddizione rispetto alla sicurezza delle fonti il fatto che loro venissero lì in modo da essere visibili anche per la gente?

FERDINANDO SALVATI. Potrebbe apparire così, ma il compound Unosom ...

MAURO BULGARELLI. È una domanda banale.


Pag. 85


FERDINANDO SALVATI. No, lo capisco, è normalissimo se uno non è stato lì. Il compound Unosom...

PRESIDENTE. Per caso vennero a nome di Scialoja?

FERDINANDO SALVATI. No. Il compound Unosom era molto grande e c'era un continuo movimento di personale somalo che entrava ed usciva. Quindi, era molto semplice farsi trovare all'ingresso o chiamare l'ufficio interno. Per noi era semplice, se gli davamo un appuntamento, farci trovare dove c'era tutta la coda e dire: «lui entra». Niente di difficile, niente di strano, perché mille persone andavano a dire «lui entra» al loro autista o «lei entra» alla signora che doveva fare le pulizie. C'era sempre una grossa folla di persone intorno al compound e all'interno del compound era normale vedere molte persone somale.

MAURO BULGARELLI. Non è che magari tra il personale somalo che lavorava al compound c'era qualcuno che poteva essere anche una possibile fonte?

FERDINANDO SALVATI. Anche questo.

MAURO BULGARELLI. Quindi, avete utilizzato anche del personale che era all'interno del compound?

FERDINANDO SALVATI. C'erano all'incirca duecento informatori in giro per Mogadiscio e, quindi, c'era personale che lavorava all'interno del compound.

ELETTRA DEIANA. Questi quattro signori quando si sono presentati da lei tutti e quattro?

PRESIDENTE. Rispetto all'uccisione.

ELETTRA DEIANA. Subito, il giorno dopo, una settimana, un mese?

FERDINANDO SALVATI. Direi il giorno dopo, orientativamente.

ELETTRA DEIANA. Ma tutti e quattro oppure alcuni dei quattro?

FERDINANDO SALVATI. No, i quattro, ma non insieme, non arrivavano in blocco. Non vorrei far diventare questi quattro dei personaggi specifici, c'era tanta gente.

ELETTRA DEIANA. Tra i tanti c'erano questi quattro. Quindi, lei ha avuto quattro testimonianze sul fatto, più o meno contemporanee?

FERDINANDO SALVATI. Sì.

ELETTRA DEIANA. E di persone che già precedentemente avevano dato prova di attendibilità? Questo ci vuol dire?

FERDINANDO SALVATI. Sì.

PRESIDENTE. L'onorevole Deiana vorrebbe dire: non è che per caso erano proprio gli assalitori che sono venuti a proporsi come confidenti?

FERDINANDO SALVATI. Può essere tutto. Noi stiamo parlando di un paese in cui tutto può essere.

ELETTRA DEIANA. Siccome il presidente ha esplicitato il mio pensiero, lei successivamente a questa testimonianza corale ha svolto indagini su quello che avessero fatto queste persone?

FERDINANDO SALVATI. Onorevole, detto così certamente appare strano: arrivano in quattro e tutti e quattro dicono la stessa cosa. Con la frammentarietà con cui normalmente venivano portate le informazioni, noi abbiamo ricevuto anche questa. Questa informazione è stata confermata da quattro fonti, che erano affidabili per noi perché in altre occasioni al riscontro dei fatti si erano rivelate tali.

PRESIDENTE. Di quale clan facevano parte?

FERDINANDO SALVATI. Direi che erano degli Awale e degli Abgal, ma non lo


Pag. 86

so, anche perché anche a questo proposito per noi stranieri qualsiasi dichiarazione è da accettarsi.

ELETTRA DEIANA. Nel corso delle altre indagini che avete svolto sulla vicenda lei ha mantenuto i rapporti con queste quattro fonti? Non li ha più visti oppure ha continuato a vederli?

FERDINANDO SALVATI. Si sono ancora fatti vedere per altre occasioni, certo. Io sono poi stato fino al 18 luglio.

ELETTRA DEIANA. Ed hanno continuato ad essere attendibili, a suo giudizio?

FERDINANDO SALVATI. Sì.

PRESIDENTE. C'era un certo Gelle, per caso, tra quelli?

FERDINANDO SALVATI. Sinceramente, i nomi di questi quattro ...

PRESIDENTE. Il nome Gelle non le dice niente?

FERDINANDO SALVATI. No. Aveva così poca rilevanza l'identificazione personale in quella situazione che non era una cosa di cui ci curavamo.

ELETTRA DEIANA. Capisco la scarsa importanza che potevano avere persone così ...

FERDINANDO SALVATI. No.

ELETTRA DEIANA. Per le informative di intelligence, nel senso che i fatti si verificavano poi e se andava bene andava bene. Ma in questo caso lei non si è posto il problema di avere degli elementi di reperibilità di queste persone?

FERDINANDO SALVATI. Non era neanche proponibile.

ELETTRA DEIANA. Erano stati testimoni di un assassinio.

FERDINANDO SALVATI. Non era neanche proponibile. C'è un'altra cosa che vorrei dire per spiegare bene come era la situazione: a me hanno sparato tre volte, mi hanno colpito tre volte e non sono morto. Questo faceva parte del lavoro. Il fatto che qualcuno morisse a Mogadiscio... a Mogadiscio morivano decine di persone tutti i giorni.

PRESIDENTE. Mi scusi, il generale Vezzalini le attribuisce un'azione che adesso le ripeto esattamente: «Quando io seppi della notizia, dopo averla riferita al generale Aboo, diedi ordine al capitano Salvati, che si trovava all'interno dell'ex ambasciata italiana, di andare sul posto e di recuperare i corpi e di portarli all'interno dell'ex ambasciata italiana» - poi ne parleremo - «Ciò feci sempre via radio e via radio il capitano Salvati mi riferì che egli per evitare di correre pericoli per la sua incolumità aveva mandato dei poliziotti somali a recuperare i corpi e che gli stessi poliziotti, dopo essersi portati sul posto, l'avevano informato che i corpi dei due giornalisti ...». Al di là dell'episodio, che poi ricostruiremo, se a lei hanno sparato tre volte - le hanno sparato o le hanno fatto un attentato, non so -, questa renitenza all'esecuzione dell'ordine è un po'...

FERDINANDO SALVATI. Onorevole, non sono sensibile e cerco di non esserlo. Io ho una decorazione al valor militare, una medaglia di bronzo al valor militare che ho preso in Somalia in combattimento, riportando tre ferite d'arma da fuoco in combattimento. Io non ho renitenza ad eseguire gli ordini - e con questo ho finito di dire le cose che mi dovevano offendere, perché capisco benissimo i dubbi -, la questione è che l'ordine tende all'assolvimento di un compito, cioè per prassi comune nella vita militare - negli eserciti occidentali si è sempre usato così - si dà l'ordine dicendo che cosa si vuole ottenere. Il modo di eseguire l'ordine è assolutamente lasciato al militare. Il militare non è un robot che esegue quello che io gli dico; al militare io non dico:


Pag. 87

«spara contro quell'obiettivo», ma dico - se parliamo di combattimento - «conquista quell'obiettivo». C'è un suo livello di competenza.
L'ordine del generale Vezzalini non era: «Vai personalmente a recuperare i corpi», ma era: «Recupera i corpi e trasportali al compound delle Nazioni Unite», quindi, come un buon comandante deve fare, con il minimo rischio per il suo personale... anche perché quando sono caduto in un'imboscata, e non è stata l'unica, eravamo in quindici, bene armati, ben equipaggiati e reattivi e ci hanno attaccato lo stesso, per cui uscire su semplice indicazione di una persona che entra e dice «Ci sono dei morti sul marciapiede», sarebbe stata una cosa da sconsiderati. Non si fa.

PRESIDENTE. La sconsideratezza è una cosa, mentre dire: «Io non ci vado perché ...

FERDINANDO SALVATI. Io non ho detto: «Io non ci vado». Tra l'altro, se devo dirla tutta, non ricordo di aver parlato per radio con il generale Vezzalini; credo che il generale Vezzalini fosse in sala operativa probabilmente e parlasse con l'operatore, ma una voce per radio non è così ben riconoscibile. Comunque, l'ordine è stato: «Recuperate i corpi e portateli qui». «Benissimo».

PRESIDENTE. Basta?

FERDINANDO SALVATI. Certo, come si dà normalmente un ordine, non è stato un caso strano. Quindi, dato che non mi pareva una buona idea uscire ...

PRESIDENTE. Va bene, poi lei l'ha eseguito così.

FERDINANDO SALVATI. Ho dato ordine ad un'altra persona che poteva muoversi con più sicurezza di noi.

PRESIDENTE. Le chiedo due cose, perché la correttezza è la prima regola del nostro operato. In primo luogo, lei ricorda di aver avuto in dotazione in quell'occasione un collegamento radio?

FERDINANDO SALVATI. Certo che avevo un collegamento radio.

PRESIDENTE. Aveva il collegamento radio anche con il generale Vezzalini?

FERDINANDO SALVATI. Non personalmente con il generale Vezzalini, con la sala operativa di Unosom.

PRESIDENTE. Quindi, è possibile che il generale Vezzalini le abbia parlato dalla sala operativa?

FERDINANDO SALVATI. Possibilissimo, e comunque sia, se anche non mi avesse parlato lui personalmente, il fatto che lui dicesse all'operatore: «Di a Salvati che ...

PRESIDENTE. Lei è in grado di ricordare se il generale Vezzalini le abbia dato personalmente quest'ordine o no?

FERDINANDO SALVATI. Personalmente, non lo so. Di sicuro io ho ricevuto l'ordine di recuperare i corpi.

PRESIDENTE. Il generale Vezzalini, invece, nonostante abbia dichiarato così, dice che lei non aveva il collegamento radio e che lui non aveva il collegamento radio.

FERDINANDO SALVATI. Dovete parlare con il generale Vezzalini. Essere in giro senza collegamento radio ...

PRESIDENTE. La seconda cosa: lei ricorda di aver mai dato al generale Vezzalini la risposta che per evitare di correre pericoli per la sua incolumità aveva mandato altri a recuperare i corpi dei due uccisi?

FERDINANDO SALVATI. No, non si è mai posta questa questione. Se vuole, descrivo tutta la dinamica del fatto.


Pag. 88


PRESIDENTE. Adesso ci arriviamo.

FERDINANDO SALVATI. Perché, presa a spizzichi e bocconi ...

PRESIDENTE. Tra le quattro fonti ricorda se ci fosse questa (Mostra una fotografia)?

FERDINANDO SALVATI. Direi proprio di no.

PRESIDENTE. Non ricorda o no?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Tra queste persone, quelle di colore ovviamente?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Si dà atto di aver mostrato al teste la foto segnaletica riguardante Ahmed Ali Rage, detto Gelle, e la foto che ritrae Ilaria Alpi e il giornalista Calvi vicino all'auto su cui compare la scritta Corriere della sera. Chiesto di riferire se tra le persone di colore e nella foto segnaletica predetta sia effigiata qualcuna delle persone presentatesi come le quattro fonti, egli risponde negativamente.
Scorra un attimo questo (Mostra un documento).

FERDINANDO SALVATI. Non riconosco nessuno.

PRESIDENTE. Mostrato al teste il volume, sezione rilievi tecnici, nucleo operativo carabinieri Roma, lettera A, ed esaminato tutto il materiale fotografico all'interno esistente, dichiara di non riconoscere nelle persone effigiate alcuno dei testimoni di cui finora si è detto.
Mostrato altresì al teste il volume contenente altro materiale fotografico che si segnala con la lettera B, dichiara di non riconoscere nessuna tra le persone effigiate come quelle corrispondenti alle fonti di cui si è detto.
Questa foto le dice niente?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Mostrata al teste foto con la scritta «Ali Mohamed Abdì», egli non riconosce nella persona effigiata alcuna delle fonti di cui si è detto.
Prego, onorevole Deiana.

ELETTRA DEIANA. Sempre su queste fonti, colonnello. Volevo capire meglio gli elementi di attendibilità. Innanzitutto, qualche elemento un po' più significativo sulle identità di questi personaggi. Sui nomi lei ci ha detto abbondantemente dei problemi anagrafici ed altro, ma chi erano? Erano dei ragazzi, dei vecchi, degli artigiani, dei nullafacenti, degli ex funzionari del regime di Siad Barre, insomma che tipi erano?

FERDINANDO SALVATI. Direi tendenzialmente dei nullafacenti, anche perché con i soldi che prendevano per dare informazioni a noi, che erano cifre che qua fanno ridere - parliamo mensilmente di cento o duecento dollari -, erano dei gran signori, loro e le loro famiglie. Quindi, tendenzialmente direi dei nullafacenti, non penso che queste persone svolgessero altre attività che bighellonare in giro, sinceramente.
L'età media potrebbe essere collocata nella fascia dei trenta, trentacinque anni al massimo.

ELETTRA DEIANA. Lei sapeva dove vivevano?

FERDINANDO SALVATI. No.

ELETTRA DEIANA. Si facevano vivi loro?

FERDINANDO SALVATI. Sì, si facevano vivi loro. Sono loro che ci hanno contattati.

ELETTRA DEIANA. La contattavano anche per gli altri fatti di cui lei ci ha detto?


Pag. 89


FERDINANDO SALVATI. La cosa che dovevamo fare, e che ci esponeva particolarmente a rischio, era quella di andare in giro e parlare, chiacchierare con le persone, prendere contatti con le persone. È una cosa molto semplice.

ELETTRA DEIANA. Ma in che lingua vi intendevate?

FERDINANDO SALVATI. In italiano e in inglese, si riusciva a comunicare con una certa tranquillità. Io ho qualche elemento di arabo, ma l'arabo serve a poco, giusto per fare impressione, perché i somali parlano somalo, non parlano arabo.

ELETTRA DEIANA. Successivamente alla vicenda di Ilaria Alpi lei è rimasto lì alcuni mesi?

FERDINANDO SALVATI. Sono rimasto fino al 18 luglio.

ELETTRA DEIANA. È in grado di dirci un altro episodio, un'altra vicenda rispetto alla quale le quattro fonti, o alcune di esse, hanno fornito elementi utili in base ai quali ha avuto conferma della loro attendibilità?

FERDINANDO SALVATI. Il tipo di informazioni che ci portavano, soprattutto dopo che il contingente si era ritirato, perciò quando la missione tendeva a chiudersi - tutti sapevamo che Unosom doveva andare via - erano sempre informazioni che a noi servivano per sviluppare il quadro futuro della situazione, cioè riuscire a dire a New York quando la situazione sarebbe degenerata, come sarebbe degenerata, se sarebbe degenerata. Quello che a noi interessava era conoscere ...

ELETTRA DEIANA. Questo in maniera generale.

FERDINANDO SALVATI. Erano indicazioni di carattere generale. Oramai la fase targeting, cioè la fase di ricerca di obiettivi, era terminata; quindi, sentirci dire «Stanno organizzandosi qui, stanno organizzandosi là, ci sono tensioni intraclan tra gli Aire e i Suliman», era il genere di cose che ci interessavano e che verificavamo.

ELETTRA DEIANA. Invece, relativamente all'episodio dell'agguato ai due giornalisti italiani, queste persone hanno detto se erano stati testimoni oculari oppure le riportavano voci?

FERDINANDO SALVATI. Riportavano. Non hanno dichiarato di essere stati testimoni oculari.

ELETTRA DEIANA. Quindi, le hanno riportato boatos?

FERDINANDO SALVATI. Non hanno dichiarato di essere testimoni.

ELETTRA DEIANA. Lei non ha chiesto se erano in grado di metterla in contatto con testimoni oculari?

FERDINANDO SALVATI. Una cosa del genere a Mogadiscio significava avere a disposizione immediatamente cento testimoni oculari, che volevano tutti duecento dollari. Immediatamente, erano tutti familiari.

ELETTRA DEIANA. Quindi, lei non ha approfondito la questione dei testimoni oculari?

FERDINANDO SALVATI. C'era molta attività, ma in sostanza il nostro tipo di approccio alla raccolta di informazioni era un po' quello del pescatore che mette una nassa nel fiume. Per la ricerca attiva, nel senso di andare a cercare una persona, avevamo degli oggettivi impedimenti a muoverci. Per noi voleva dire organizzare un'operazione militare, farci sparare addosso, praticamente ogni volta che uscivamo e andavamo in giro per Mogadiscio. Lo facevamo.

ELETTRA DEIANA. Quindi, questo racconto potrebbe essere anche solo il frutto di una fantasia?


Pag. 90


FERDINANDO SALVATI. Certamente.

ELETTRA DEIANA. Vorrei capire se avete cercato nell'immediato, dopo questa testimonianza, alcuni riscontri obiettivi, se avete trovato qualcosa che in qualche modo corrispondesse. Ad esempio, è andato a vedere com'era la macchina?

FERDINANDO SALVATI. Non sapevo neanche dov'era la macchina.

ELETTRA DEIANA. Come non sapeva neanche dov'era?

FERDINANDO SALVATI. Non sapevo neanche dov'era la macchina.

ELETTRA DEIANA. Ma se lei ha detto che stava a sessanta metri dal fatto.

FERDINANDO SALVATI. È quello che dicevo, sarebbe meglio che vi racconti tutta la storia.

PRESIDENTE. Questa persona le dice niente (Mostra una fotografia)?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Mostrata al teste la foto che compare su Panorama del 3 luglio 1997, alle pagine 53-52-51, nel dossier «Scandalo Somalia», il teste dichiara che non gli dice assolutamente nulla.
Quando sono successi questi fatti lei dove stava?

FERDINANDO SALVATI. Io stavo nel compound dell'ex ambasciata d'Italia. Poi vi lascio questo documento; solo perché non voglio confondermi ogni tanto darò un'occhiata ...

PRESIDENTE. A che distanza?

FERDINANDO SALVATI. A sessanta o settanta metri da dove c'è stata la sparatoria. Io stavo lì - il compound dell'ambasciata era diventato un centro della polizia somala, non era più l'ambasciata, il contingente ormai era imbarcato - ed ero lì proprio per parlare con del personale somalo, degli informatori somali. Era una zona tranquilla, loro erano della zona, mi avevano indicato quel punto e lì eravamo. Mentre stavamo svolgendo quest'attività ...

PRESIDENTE. Di che cosa doveva parlare con questi somali? Di questioni di intelligence?

FERDINANDO SALVATI. Sempre.

PRESIDENTE. A proposito di intelligence, lei intratteneva rapporti con qualcuno dell'hotel Hamana?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Che cos'era questo hotel Hamana?

FERDINANDO SALVATI. Un hotel.

PRESIDENTE. Solo un hotel? Non era altro che un hotel? Noi sappiamo che era sede privilegiata dai nostri giornalisti, che facevano stanza lì. Ma, al di là di questo, per parlare un po' fuori dai binari stretti, siamo rimasti sempre impressionati - su questo punto poi le chiederemo altre cose, perché anche in questo caso il generale Vezzalini ci ha deliziato con alcune particolarità - dal fatto che Ilaria Alpi sia entrata nell'hotel Hamana e soltanto quando ne è uscita sia stata uccisa, tenendo presente che non poteva andare a trovare il suo amico, il collega Remigio Benni, che era dell'ANSA ed aveva appunto la stanza all'hotel Hamana, perché sapeva già da prima che era partito. Pertanto, un tema sul quale noi soffermiamo molto la nostra attenzione è perché sia andata all'hotel Hamana, nonostante tutto questo, e perché l'abbiano fatta entrare nell'hotel Hamana e sia stata uccisa soltanto quando ne è uscita. Abbiamo nella testa questo tarlo di capire se e perché l'hotel Hamana possa avere un significato.
Le aggancio subito il tema, che lei ha già perfettamente capito, perché vi sono alcune dichiarazioni rilasciate dal generale Vezzalini, il quale, ad esempio, a proposito


Pag. 91

di questo problema dichiara: «Io so, per averlo appreso da informatori, che la macchina dei due giornalisti italiani era seguita sin dal momento in cui la Alpi aveva lasciato l'albergo Sahafi», dove risiedeva. Lei ha mai saputo niente di questa cosa?

FERDINANDO SALVATI. Mai, è un'informazione che non ho mai avuto.

PRESIDENTE. Quindi, questo fatto che Ilaria Alpi sia partita dall'hotel Sahafi seguita già dai suoi assalitori lo sente per la prima volta?

FERDINANDO SALVATI. Lo sento per la prima volta.

PRESIDENTE. Il generale Vezzalini ci dice: «Io so, per averlo appreso da informatori». Naturalmente noi gli abbiamo chiesto se avesse sentito lui gli informatori e lui ha risposto: «No, gli informatori li ha sentiti il capitano Salvati». Capitano Salvati, lei ha mai sentito informatori che le hanno detto una cosa di questo genere?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Quindi, lei non l'ha mai saputo?

FERDINANDO SALVATI. Non ho mai sentito una cosa del genere.

ELETTRA DEIANA. Il generale Vezzalini ha distinto le informative che ha saputo dall'ufficiale pakistano del check point.

PRESIDENTE. Lei ha mai parlato con militari pakistani di questa vicenda di Ilaria Alpi?

FERDINANDO SALVATI. Direi di no.

PRESIDENTE. Militari pakistani che abbiano fatto da informatori presso di voi?

FERDINANDO SALVATI. No. Sicuramente no. Io trattavo con informatori, trattavo direttamente con i somali. Le fonti informative dei contingenti - cosa possibile - arrivavano con i rapporti ...

PRESIDENTE. Colonnello, lei mi deve dire soltanto se ha mai ascoltato un informatore che le abbia detto che l'auto di Ilaria era stata seguita fin da quando uscì dall'albergo di partenza.

FERDINANDO SALVATI. Assolutamente no.

PRESIDENTE. Conosce questa circostanza soltanto adesso?

FERDINANDO SALVATI. Sì. Ho dei tentennamenti perché, dato che parliamo di questa cosa da dieci anni, mi chiedo se magari l'ho dimenticato e l'ho detto da qualche parte.

PRESIDENTE. Torniamo al nostro tarlo. Ha capito perché le ho fatto la domanda sull'hotel Hamana? Se lei, da intelligence, sia pure di tipo militare ma importante in quel momento, possa aver raccolto qualche notizia, qualche indiscrezione su quello che poteva farsi, se ci poteva essere qualche organizzazione che si riuniva per attività illecite o per attività di contrasto tra clan...

FERDINANDO SALVATI. No, per me l'hotel Hamana era un posto come un altro dove stavano i giornalisti.

PRESIDENTE. Andiamo avanti. Lei si trovava appunto a questa distanza?

FERDINANDO SALVATI. Io mi trovavo a questa distanza e ho sentito uno scambio di raffiche molto brevi, brevissimo. Due minuti, un minuto? Un minuto probabilmente. Erano molto vicine. In un primo momento ho pensato che avessero sparato non su di noi, perché non c'erano i colpi in arrivo, però verso il compound, magari contro dei poliziotti somali.


Pag. 92


Dopo poco è entrato del personale somalo nel compound, che ci ha detto che non era successo niente: «Non è successo niente, è stato un tentativo di rapina, ma sono scappati i rapinatori e hanno risposto al fuoco». Siamo intorno alle 15; dico intorno alle 15 perché allora non ho proprio guardato l'orologio.

PRESIDENTE. Lei quando ha sentito i colpi d'arma da fuoco li ha riconosciuti come tali?

FERDINANDO SALVATI. Certo.

PRESIDENTE. Certamente, con la sua esperienza. Ha sentito tutto.

FERDINANDO SALVATI. Siamo addestrati per farlo.

PRESIDENTE. Per carità, certamente. Quando ha sentito questi colpi d'arma da fuoco, che cosa ha fatto? Si è mosso, si è spostato da dove stava?

FERDINANDO SALVATI. Io ero con quattordici militari malesi delle forze speciali malesi e li ho fatti disporre in sicurezza. È una reazione automatica, in una situazione così non c'è bisogno di dare ordini perché tutti sanno cosa fare.

ELETTRA DEIANA. Stavano nel compound?

FERDINANDO SALVATI. Eravamo dentro il compound dell'ex ambasciata.

PRESIDENTE. E ci siete rimasti?

FERDINANDO SALVATI. Sì.

PRESIDENTE. Dica lei tutto quanto.

FERDINANDO SALVATI. Sono entrate queste persone e, dato che hanno visto che la tensione era immediatamente salita al massimo, ci hanno detto che non era successo nulla, che era stato un tentativo di rapina, c'era stato uno scambio di colpi d'arma di fuoco e i rapinatori erano fuggiti.
Pochissimo tempo dopo ...

PRESIDENTE. Minuti?

FERDINANDO SALVATI. Sì, minuti, è venuto del personale oppure l'ho mandato fuori io... Dopo poco ritorna del personale e mi dice: «Ci sono due italiani morti sul marciapiede». Due italiani morti non ci dovevano essere, perché il contingente italiano - non ho pensato neanche per un attimo a dei civili - era tutto imbarcato. Quindi, per me che vi fossero due italiani morti sul marciapiede era una bugia e poi vorrei vedere come si fa a sapere che i morti sono italiani o meno, se non sono in uniforme.
A questo punto ho chiamato la sala operativa di Unosom, ho detto loro in un po' meno tempo più o meno quello che ho detto a voi ed ho chiesto che cosa volevano che facessi. La sala operativa di Unosom m'ha detto di recuperare i corpi e a quel punto io ho detto al personale somalo di andare fuori e portarmi i corpi. Sono usciti - stiamo parlando sempre di minuti, è passato pochissimo tempo dalla sparatoria -, sono rientrati e mi hanno detto che i corpi erano già stati portati al porto.

PRESIDENTE. Le hanno confermato che erano due italiani?

FERDINANDO SALVATI. Non hanno neanche più parlato di questo. A questo punto chiaramente informavo l'Unosom, chiamavo la sala operativa ...

PRESIDENTE. Dal compound in cui stavate voi si vedeva il posto in cui è avvenuta la sparatoria?

FERDINANDO SALVATI. Se uno fosse stato fuori dal compound, sì.

ELETTRA DEIANA. Per quanto riguarda la ricostruzione dei tempi, lei restringe tutto in pochi minuti. È sicuro che


Pag. 93

si tratti di pochi minuti e non di mezz'ora? Dal momento in cui sente i colpi ...

FERDINANDO SALVATI. Tra il momento della sparatoria e quando mi dicono che i corpi sono stati portati via?

ELETTRA DEIANA. E quando poi riceve dalla centrale operativa di Unosom l'ordine di andare a prendere i corpi.

FERDINANDO SALVATI. Da quando ci sono i colpi a quando arriva qualcuno a dirmi che ci sono degli italiani morti sul marciapiede - concedetemi l'imprecisione dopo dieci anni - direi che possono essere passati tre o quattro minuti. Forse con la tensione ne erano passati cinque e io pensavo che ne fossero passati solo tre, però direi in questo ordine di grandezza.

PRESIDENTE. Cinque minuti dai colpi?

FERDINANDO SALVATI. Dai colpi a quando la persona somala mi dice che ci sono due italiani morti sul marciapiede.

PRESIDENTE. Praticamente la seconda notizia.

FERDINANDO SALVATI. No, la prima.

ELETTRA DEIANA. No, la prima è che non era successo niente, si erano sparati.

FERDINANDO SALVATI. Sì, scusate. La prima era che non era successo niente, si erano sparati. La seconda... Perdonatemi: cinque minuti per la prima notizia, cinque o dieci minuti per la seconda notizia e la comunicazione a Unosom.

ELETTRA DEIANA. Quindi, non sono pochi minuti, sono forse venti minuti.

FERDINANDO SALVATI. Può essere dieci minuti... Per avere la tempistica esatta di tutto questo, comunque, c'è sicuramente... Io non mi preoccupavo di guardare l'orologio perché quando si parla con una sala operativa tutto quello che si comunica alla sala operativa viene registrato ad orario.

PRESIDENTE. Ma lei sa che, per quello che ci ha fatto sapere il generale Vezzalini, tutto questo materiale sarebbe stato portato all'ONU.

FERDINANDO SALVATI. Certo, noi lavoravamo per l'ONU.

PRESIDENTE. Credo non sia facile trovare questo materiale all'ONU.

FERDINANDO SALVATI. Voglio dire che, se mi considero attendibile per tutta una serie di cose, quando andiamo a parlare dei tre minuti, dei cinque minuti, non lo so.

PRESIDENTE. Comunque, pochi minuti.

ELETTRA DEIANA. Non pochi minuti, presidente, poco tempo.

PRESIDENTE. Ha raggruppato nei tre minuti, poi nei cinque minuti. Possiamo dire dieci minuti. Fino a quanto possiamo dire, con quale approssimazione?

FERDINANDO SALVATI. Direi che possiamo dare tranquillamente un quarto d'ora di approssimazione.

PRESIDENTE. Un quarto d'ora dallo sparo a quando?

FERDINANDO SALVATI. A quando mi dicono che ci sono i due italiani e ricevo l'ordine di recuperare i corpi. Possiamo metterla così per tenerci larghi come tempi.

PRESIDENTE. Quando siete andati a recuperare i corpi, i corpi non c'erano più?

FERDINANDO SALVATI. Quando mando qualcuno a recuperarli, mi dicono che i corpi sono già stati portati al porto.


Pag. 94


PRESIDENTE. Dal momento in cui lei riceve la notizia fino a quando manda qualcuno per recuperare i corpi quanto tempo passa? Non quando vanno e tornano, ma quando lei dà l'ordine. Dà subito l'ordine o no?

FERDINANDO SALVATI. No, perché chiamo Unosom, dico che mi hanno detto che ci sono due italiani morti sul marciapiede, Unosom mi risponde - il tempo di chiamata e risposta - di recuperare i corpi, glielo dico ...

PRESIDENTE. Lo dice a qualcuno che era lì con lei?

FERDINANDO SALVATI. Sì, lo dico a dei somali che erano lì, agli stessi che mi avevano detto che vi erano degli italiani morti.

PRESIDENTE. E quelli sono andati?

FERDINANDO SALVATI. Sono andati, sono ritornati e mi hanno detto che erano già stati portati al porto.

PRESIDENTE. Le hanno detto chi è stato a portarli via?

FERDINANDO SALVATI. No, mi hanno detto: «Sono già stati portati al porto».

ELETTRA DEIANA. Ma questi somali erano poliziotti?

FERDINANDO SALVATI. No, non erano vestiti da poliziotti.

ELETTRA DEIANA. Era personale che stava nel compound?

FERDINANDO SALVATI. Che entrava liberamente in questo compound. Comunque, la polizia somala in quel momento non era polizia come la intendiamo noi. In realtà era l'espressione di un clan.

ELETTRA DEIANA. Ma voi non eravate impegnati ad addestrare degli uomini, a fare i poliziotti?

FERDINANDO SALVATI. Io no, personalmente.

ELETTRA DEIANA. Non intendo lei, ma quelli del contingente italiano.

FERDINANDO SALVATI. Per quanto riguarda il contingente, so che c'era dell'attività. L'ONU aveva tutto un progetto, addirittura voleva ristrutturare le carceri.

ELETTRA DEIANA. Comunque, erano somali legati alla funzione di quel compound.

FERDINANDO SALVATI. O alla funzione di quel compound o dello stesso clan. Le dinamiche ed i legami interni sono complicati.

ELETTRA DEIANA. La domanda era per capire il rapporto gerarchico o di collaborazione esistente tra lei e quei somali. Le preciso la domanda: quei somali potevano rifiutarsi?

FERDINANDO SALVATI. Ma certamente! Una che forse può aiutare a dipingere la situazione che a Mogadiscio è che lì aveva ragione - non so adesso come sia, perché non mi sto interessando della situazione - chi in quel momento aveva la superiorità di fuoco, e basta. La legalità era solo quella. A noi, che eravamo quindici persone armate, nessuno avrebbe detto di no. Ci hanno detto: «Certo».

ELETTRA DEIANA. Ma lei perché non ha pensato di mandare i militari a recuperare i corpi?

FERDINANDO SALVATI. Per non esporli ad un pericolo. Io avevo avuto un'informazione da due persone che erano venute e che mi avevano detto che c'erano degli italiani morti sul marciapiede.


Pag. 95


ELETTRA DEIANA. Che considerazioni ha fatto?

FERDINANDO SALVATI. Le considerazioni che ho fatto sono state queste: in primo luogo, sono morti, quindi non c'è nessuna urgenza. Sono morti! Non posso fare nulla per aiutarli. In secondo luogo...

ELETTRA DEIANA. Lei sa bene che due persone che cadono per terra, colpite da arma da fuoco, possono non essere morte ma soltanto ferite.

FERDINANDO SALVATI. Mi hanno detto: «Sono morti» e io sto lavorando su quest'informazione.

ELETTRA DEIANA. I somali hanno un'idea approssimativa...

FERDINANDO SALVATI. I somali hanno un'idea della morte esattamente come l'abbiamo noi, perché la sperimentano come noi e forse di più, quotidianamente; quindi, hanno le idee molto chiare. Se dicono che uno è morto, è così. Io non so quante persone lei abbia visto, uccise da arma da fuoco. È facile riconoscere è se uno è morto o vivo, glielo dico per esperienza diretta.
Comunque, le considerazioni che ho fatto erano: sono morti; gli italiani non devono essere qua, perché sono andati via tutti, quindi...

ELETTRA DEIANA. Insomma, lei ha mandato i somali perché non correvano rischi.

FERDINANDO SALVATI. Non correvo rischi io, non esponevo i miei. Io avevo la responsabilità della situazione.

ELETTRA DEIANA. E i somali correvano meno rischi ad avventurarsi in quella zona?

FERDINANDO SALVATI. Sì, era zona loro. Erano loro che arrivavano dall'esterno e che mi hanno detto che c'erano degli italiani morti, quindi lo dovevano dimostrare.

PRESIDENTE. Su questa cartina (Mostra un documento), ci può dire dove stesse il check-point dei soldati pakistani?

FERDINANDO SALVATI. Il check-point del chilometro 4 dei pakistani o quale? Quello del chilometro 4? È qui.

PRESIDENTE. Allora, possiamo verbalizzare che, mostrata al teste la cartina con la scritta centrale «Mogadiscio» e chiestogli di indicare dove si trovasse il check-point dei soldati pakistani, lo ha indicato con il tondino rosso, così come risulta dal documento.
Allora, colonnello, dopo aver dato queste disposizioni, cosa fa?

FERDINANDO SALVATI. I corpi sono al porto. A questo punto, andiamo al porto noi, quindi usciamo.

PRESIDENTE. Perché siete andati al porto, avendo la consapevolezza - come lei un attimo fa ha confermato - che si trattava di due persone decedute (lei ha detto che questa era l'informazione sulla quale lavorava), e non vi siete preoccupati, invece, di andare sul posto in cui si era verificato l'agguato?

FERDINANDO SALVATI. Per una serie di motivi. Il primo motivo è che noi non...

PRESIDENTE. Questa è, diciamo così, un'omissione la cui consumazione ha pregiudicato moltissimo la possibilità di raccogliere elementi testimoniali e di prova generica.

FERDINANDO SALVATI. Sa qual è il punto? La prima questione è che noi non avevamo nulla da raccogliere - in termini di informazioni - da questo.

PRESIDENTE. E certo, se uno non ci va non raccoglie niente!


Pag. 96


FERDINANDO SALVATI. No, non c'era nulla che potesse interessarci, dal punto di vista delle informazioni militari. Cosa avrei mai potuto trovare, io, di interessante?

PRESIDENTE. Quando lei ha ricevuto la comunicazione, che cosa le è stato detto Vezzalini o da chi per lui?

FERDINANDO SALVATI. Recupera i corpi e portali qui, punto. Le Nazioni Unite me lo hanno detto. Non vorrei personalizzare, ma quella era la sala operativa delle Nazioni Unite!

PRESIDENTE. A quel punto, lei sapeva che c'erano due morti, che erano due italiani e che non c'era più niente da fare, visto che la morte è la morte.

FERDINANDO SALVATI. Mi scusi, non voglio interromperla ma voglio chiarire la mia posizione: avevo ricevuto l'informazione che c'erano due morti e che erano due italiani, ma non li avevo ancora visti e non ero certo di questo. Sono andato al porto perché volevo vedere che cosa era successo, volevo chiudere l'anello.
A me è stato detto: «ci sono due morti» e poi è stato detto: «Non ci sono più, li hanno portati al porto». Dato che dovevo uscire e dato che il porto mi era comunque di strada, sono ritornato. Il dubbio che ho avuto, uscendo dal compound, è che fosse un'esca per far cadere noi in un'imboscata: questa era la mia preoccupazione primaria. E devo dire che, se anche avessi saputo per certo che lì c'erano due morti, non avrei fatto indagini, né avevo la competenza tecnica per farlo. Cosa ci andavo a fare? Per curiosità?

PRESIDENTE. Quando ha saputo lei che avreste dovuto fare indagini? Quando ha saputo che il capo dell'Unosom aveva dato disposizioni affinché delle indagini?

FERDINANDO SALVATI. Io vorrei chiederle di non usare il termine «indagini».

PRESIDENTE. E va bene, ma se lo usa il suo capo, io che devo fare?

FERDINANDO SALVATI. A tradurre «investigation», purtroppo la traduzione viene così, però il significato che si dà a quella parola, come intelligence militare, è quello di raccogliere dei dati, non d'individuare il colpevole.

PRESIDENTE. E no, qui c'è scritto che avreste dovuto raccogliere dati, identificare l'assalitore, e così via.

FERDINANDO SALVATI. No, non è quello; guardiamo sempre il documento in inglese, per cortesia.

PRESIDENTE. Io sto leggendo le dichiarazioni che Vezzalini ha reso all'autorità giudiziaria.

FERDINANDO SALVATI. E allora deve chiederlo a lui!

PRESIDENTE. Vezzalini dice: «Venni incaricato dal generale Aboo di far condurre un'indagine sui fatti».

FERDINANDO SALVATI. Guardi, al di fuori di quello, il rapporto che ha soddisfatto il generale Aboo è il rapporto che abbiamo qui, firmato dal provost marshal. Questo è il livello di rapporto che era richiesto. Questo era il livello di rapporto su cui si lavorava. Ripeto, la nostra prospettiva era totalmente diversa.

PRESIDENTE. Ma se io vengo a sapere, ad esempio - lo abbiamo letto nell'ultima parte del punto 3 del rapporto scritto in inglese -, che di due assalitori uno era morto e l'altro ferito e che, presumibilmente, il ferito era ricoverato nell'ospedale di Mogadiscio, credo che questa sia una notizia che ha bisogno di essere coltivata e sviluppata. C'era la possibilità di arrivare ad identificare e a bloccare addirittura gli autori dell'assassinio!
Ebbene, questa prospettiva vi trovava totalmente insensibili? Stentiamo a credere che si possa essere in una condizione di


Pag. 97

totale inerzia, di totale omissione, di totale assenza rispetto ad una notizia del genere!

FERDINANDO SALVATI. Ma no, non è così!

PRESIDENTE. Venite a sapere che gli assalitori dei miei due connazionali potrebbero essere in ospedale: non riesco a capire come non si possa reagire, quanto meno informando chi avrebbe potuto fare qualche cosa, visto che, come voi dite, non eravate nella condizione istituzionale di compiere queste azioni!

FERDINANDO SALVATI. La questione è duplice. In primo luogo, non ho avuto l'informazione che loro fossero in ospedale.

PRESIDENTE. E no, qui risulta. Prego, legga pure.

FERDINANDO SALVATI. Qui c'è scritto che uno è stato ferito, non che è stato ricoverato.

PRESIDENTE. Ma no, l'abbiamo letto.

FERDINANDO SALVATI. Mi scusi, non è che non mi fido della sua versione, ma credo che chi ha tradotto il rapporto vi abbia messo del suo.

PRESIDENTE. Ecco, ho trovato il punto: gli assalitori erano sei, secondo le indicazioni convergenti dei quattro informatori, cinque awadle e un abgal. Il ferito è l'abgal. Al momento è ricoverato nell'ospedale Keysaney. L'organizzatore dell'attacco è habar, un abgal capo di una banda di delinquenti.

FERDINANDO SALVATI. Ma non l'ho scritto io, questo! Non è il rapporto che ho scritto io. Questo rapporto in italiano non l'ho scritto io.

PRESIDENTE. E in quello inglese, che c'è scritto alla fine?

FERDINANDO SALVATI. C'è scritto che la guardia del corpo somalo ha reagito immediatamente, sparando agli attaccanti, uccidendone uno e ferendone un altro.

PRESIDENTE. Ecco.

FERDINANDO SALVATI. Ma non c'è scritto dell'ospedale! Io non ho mai avuto questa informazione. Questo è il rapporto che abbiamo fatto alle Nazioni Unite. Io non so chi abbia aggiunto cose in quest'altro rapporto, ma comunque non sono fonti che avevo io.

PRESIDENTE. Questo è Unosom, però.

FERDINANDO SALVATI. No, non è Unosom, quello. Bisogna chiedere al generale Vezzalini. Questo rapporto l'ha fatto lui, non l'ho fatto io.

PRESIDENTE. Vezzalini, però, ci ha rinviati a lei.

FERDINANDO SALVATI. Con tutta la buona volontà, non è mio! Io l'ho mandati, i rapporti che ho fatto! Non avrei avuto nessuna ragione ad omettere questa informazione nel rapporto in inglese, per poi scriverla nel rapporto in italiano.

PRESIDENTE. Comunque, la notizia che abbiamo è che i due sarebbero stati feriti. Anzi, abbiamo sentito un giornalista che si è recato presso l'ospedale.

ELETTRA DEIANA. Presidente, dobbiamo verificare se sono uguali i due rapporti, i due testi.

PRESIDENTE. Sono diversi. Per la parte relativa all'uccisione di uno dei due aggressori e al ferimento dell'altro, il documento in inglese coincide con quello tradotto in italiano.

FERDINANDO SALVATI. Presidente, per circoscrivere meglio la nostra attività, devo dire che non avevamo più il contingente, perché era imbarcato. Ripeto, non avevo questa informazione sull'ospedale


Pag. 98

ma quand'anche l'avessi avuta, avrei dovuto passarla alle operazioni di Unosom e le operazioni di Unosom avrebbero deciso se mandare o non mandare il personale e con quale operazione militare mandarlo.
Muoversi a Mogadiscio, in quel momento, voleva dire muoversi con almeno quindici persone armate, che si spostavano con procedure tattiche. Non è che si poteva prendere la macchina e andare a cercare una persona in ospedale: non era possibile!
Lo dico perché credo che sia importante avere l'idea più chiara possibile di quale fosse la situazione della città in quel momento.

ELETTRA DEIANA. Era possibile disporre di quindici uomini che si muovessero con operazioni tattiche, come ci ha detto? Unosom, in quei giorni, aveva a disposizione tale strumentazione?

FERDINANDO SALVATI. Certo, ma aveva delle priorità. Anch'io avevo quindici persone a disposizione per muovermi, ma non ero io a decidere quando e come muovermi.

ELETTRA DEIANA. Chi decideva?

FERDINANDO SALVATI. C'erano delle direzioni che partivano dal comando, dalle operazioni di Unosom. Muoversi con quindici uomini voleva dire tenere in stand-by gli elicotteri in volo per il supporto di fuoco, nel caso si cadesse in una imboscata, tenere in stand-by circa cinquanta, sessanta persone con i veicoli blindati per recuperare i feriti in caso di combattimento, eccetera.

ELETTRA DEIANA. Per quale motivo?

FERDINANDO SALVATI. Perché era un'operazione. È tanta gente a muoversi e in una situazione così, quell'omicidio non aveva una priorità, per le Nazioni Unite men che meno. Era uno degli incidenti - tragici, terribili - che succedevano tutti i giorni.
Mi rendo perfettamente conto che, vedendo la cosa da qui, ci si chieda: «Ma come è possibile? C'erano due persone morte!». Però, eravamo in un posto dove tutti i giorni ne morivano decine di persone, non due: è questo il punto.

PRESIDENTE. Quindi, lei non ha mai saputo niente di questa circostanza.

FERDINANDO SALVATI. No, non mi è mai risultata.

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Bulgarelli.

MAURO BULGARELLI. Grazie, presidente.
Colonnello, come Unosom eravate informati che a Mogadiscio c'erano ancora Ilaria Alpi e Miran Hrovatin? Non avevate avuto comunicazioni al riguardo? Non era venuto qualcuno da voi per mandare un messaggio in Italia?

FERDINANDO SALVATI. Non da me. Unosom era un comando grosso e oltretutto la gestione dei giornalisti spettava al public information officer, non all'informazione militare. Se loro si erano registrati con il public information officer, si sapeva.

MAURO BULGARELLI. Degli italiani - parlo di militari, naturalmente - erano ancora presenti a Mogadiscio, se non sbaglio. Non mi riferisco soltanto a voi, che eravate dell'Unosom, ma ad altri: c'erano i carabinieri o, comunque, un nucleo di presenze.

FERDINANDO SALVATI. Sì, c'erano i carabinieri all'ambasciata, ma non dipendevano dalle Nazioni Unite.

MAURO BULGARELLI. Chi è che doveva svolgere le indagini nel senso pieno, rispetto alla morte di due italiani, in quel posto e in quel giorno? Chi doveva essere?

FERDINANDO SALVATI. Mi sta chiedendo un'opinione?


Pag. 99


MAURO BULGARELLI. No, non le chiedo un'opinione. glielo chiedo rispetto alle forze in campo. Per quanto riguarda voi dell'Unosom, posso capire quanto lei ha detto, ma chi è che avrebbe dovuto svolgere indagini?

FERDINANDO SALVATI. Il punto, per me, era sapere cosa dovevo fare io. Già avevo difficoltà a capire bene cosa dovevo fare io - lo dico scherzosamente, se mi consentite -, per cui non ho la minima idea di chi fosse incaricato a farlo, e se ci fosse qualcuno incaricato a farlo.

MAURO BULGARELLI. Anche se avesse funzionato la filiera al comando Unosom, chi è che sarebbe stato informato? Probabilmente, gli italiani rimasti sul posto.

FERDINANDO SALVATI. No. secondo me, con la mia esperienza, posso dire che il comando Unosom ha funzionato esattamente come doveva funzionare e come era stato progettato per funzionare: ha ricevuto la notizia dell'uccisione di personale non somalo (è sgradevole dirlo, ma aveva una rilevanza diversa; è sgradevole dirlo, ma è un dato di fatto. Siamo qui a discutere di due morti su migliaia di morti in un anno di operazioni in Somalia)...

MAURO BULGARELLI. Siamo abituati alle sgradevolezze, purtroppo.

FERDINANDO SALVATI. Comunque, due elementi diversi, due occidentali muoiono.
Il comando Unosom in termini tecnici valuta se questa è un'indicazione di un cambio di situazione e reputa che questo non sia un cambio di situazione. Dato che ci si rende conto che l'argomento è di interesse per una nazione partecipante (per un attimo non vedetemi come un ufficiale italiano), dato che le Nazioni Unite si rendono conto che c'è un interesse, a quel punto, l'U2, il provost marshal, l'ufficiale di polizia della missione viene mandato sul posto e gli si chiede di raccogliere informazioni per definire la dinamica del fatto. Lui fa il suo rapporto e il tutto viene mandato a New York. Il comando Unosom, dunque, ha funzionato come era stato progettato per funzionare.

MAURO BULGARELLI. Le faccio un altro esempio. Vi siete occupati per caso anche del maresciallo Li Causi?

FERDINANDO SALVATI. No.

MAURO BULGARELLI. Per niente?

FERDINANDO SALVATI. Per niente.

MAURO BULGARELLI. Lei lo conosceva?

FERDINANDO SALVATI. No, non lo conoscevo.

MAURO BULGARELLI. Il maresciallo Zamboni - l'altro italiano che lavorava con lei - che cosa stava facendo quel giorno, in quel momento? Era con lei al compound?

FERDINANDO SALVATI. Mi crede se le dico che non me lo ricordo? Comunque, basta telefonare a Zamboni, lui se ne ricorda di sicuro.

MAURO BULGARELLI. Certo, lo faremo senz'altro.

FERDINANDO SALVATI. Sinceramente, è una cosa che non ricordo. Mi sono detto: me lo chiederanno di sicuro. Però, non ricordo se dentro al compound, con me, Zamboni ci fosse oppure no; direi che non c'era, ma non ricordo.
Avrei potuto fare una telefonata a Zamboni, ma ho fatto il possibile per non leggere e non parlare di questa vicenda, in quanto non volevo confondermi le idee.

MAURO BULGARELLI. Un'ultima domanda. Qual era il ruolo di Zamboni?

FERDINANDO SALVATI. Zamboni era un sottufficiale addetto...


Pag. 100


MAURO BULGARELLI. Benissimo, ma di che cosa si occupava?

FERDINANDO SALVATI. Un lavoro di archivista, sostanzialmente.

MAURO BULGARELLI. La ringrazio.

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Deiana.

ELETTRA DEIANA. Grazie, presidente.
Colonnello, mi ha molto colpito la descrizione della movimentazione di truppe e di elicotteri per il passaggio da un punto all'altro del territorio. Per qualsiasi mossa, in città, ci doveva essere tale dispendio?

FERDINANDO SALVATI. Sì.

ELETTRA DEIANA. Lei come era arrivato al compound?

FERDINANDO SALVATI. In quel modo.

ELETTRA DEIANA. Ovvero, con gli elicotteri e con le truppe d'assalto?

FERDINANDO SALVATI. Sì. In un'occasione mi sono trovato senza copertura aerea - che avevo richiesto - e ho riportato a casa due morti e tre feriti, sono stato ferito tre volte e sono stato fatto prigioniero.

ELETTRA DEIANA. Questo contrasta, però, con alcune testimonianze che ci sono venute da giornalisti e da altre persone che abbiamo sentito, le quali ci hanno detto che, sì, vi erano dei rischi ma ci si poteva anche muovere.

FERDINANDO SALVATI. Ci sono persone che sono obiettivo e persone che non lo sono.

ELETTRA DEIANA. Voi eravate obiettivo?

FERDINANDO SALVATI. Certo. Noi avevamo un'uniforme, una bandiera e una macchina.

ELETTRA DEIANA. Quando siete usciti dal compound, perché siete andati al porto vecchio?

FERDINANDO SALVATI. Era di strada, il porto vecchio, e non comportava un aumento di rischio.

ELETTRA DEIANA. Praticamente stavate tornando al compound Unosom, esatto?

FERDINANDO SALVATI. Sì, tornavamo al compound, esatto, e dovevamo passarci comunque. Il porto vecchio oltre tutto era presidiato, quindi per noi ritornare oppure fermarci era...

ELETTRA DEIANA. Insomma, voi non avevate nessun obbligo verso quei due?

FERDINANDO SALVATI. No.

ELETTRA DEIANA. Lei in precedenza ha detto di essere sicuro che i due fossero morti perché i somali li avevano visti come tali. Ora, siccome i due non erano per strada ma sulla macchina - Ilaria Alpi, tra l'altro, non era ancora morta -, in realtà la situazione era assai meno identificabile di quanto probabilmente le abbiano riferito.
Prima, alludevo al diverso rapporto dei somali con la morte, nel senso che probabilmente noi godiamo di una cultura per cui si tenta di fare di tutto per salvare anche chi appare in condizioni disperate; probabilmente, i somali hanno un altro approccio a tale problematica.
Vengo alla domanda: se lei avesse saputo che i due italiani non erano morti bensì feriti, che cosa avrebbe potuto - o dovuto - fare, stando ai crismi?

FERDINANDO SALVATI. Vorrei tornare ad un passo prima. Quando c'è stata la sparatoria, se avessi saputo che erano coinvolti due civili italiani, avrei dovuto


Pag. 101

stare dov'ero. Avrei, invece - sto usando il «se» - fatto del mio meglio impiegando in modo abusivo, in un certo senso, dei militari malesi che dipendevano da me, per intervenire nella sparatoria e risolvere il problema. Tutto questo, se io lo avessi saputo, ma purtroppo non lo sapevo.
Io ho sentito dei colpi, poi ho sentito dire delle cose; ho avuto la certezza che ci fossero dei morti quando sono arrivato al porto vecchio. Questo era uno dei sistemi empirici di valutazione delle fonti. Io non avrei dovuto fare niente. Se fossi intervenuto - come, credetemi, avrei fatto se avessi saputo - l'ONU avrebbe avuto tutte le ragioni per dirmi che non mi ero attenuto agli ordini e che non c'era nessuna ragione di rischiare, anche se erano stati coinvolti due civili italiani che operavano indipendentemente, non sotto il cappello dell'ONU.

ELETTRA DEIANA. Potevano essere due civili di qualsiasi nazionalità.

FERDINANDO SALVATI. Sì, due persone che erano state coinvolte in una sparatoria.

PRESIDENTE. Comunque, un'indicazione contenuta nella relazione in esame porta a questa notizia: gli assalitori erano sei, il ferito è l'abgal e al momento è ricoverato all'ospedale di Mogadiscio.
Qui c'è, dunque, la notizia che uno degli assalitori, quello ferito, è stato ricoverato in ospedale. Questa è una notizia che voi avete...

FERDINANDO SALVATI. No, che io non ho avuto.

PRESIDENTE. Lei non l'ha avuta?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. E allora basta così, visto che lei non l'ha avuta.
Passiamo ad un'altra puntualizzazione. Il colonnello Vezzalini, nelle dichiarazioni rese il 28 aprile 1997 al pubblico ministero di Roma, tra le altre cose dice: «In esecuzione dell'esplicita richiesta che lei mi rivolge, le consegno i suddetti atti: lettera composta da un foglio, diretta a persona indicata come Sir, da identificare nella persona del generale comandante Aboo; lettera a mia firma; secondo rapporto composto da due fogli a firma tenente Mishra e del suo comandante Sied Rajan, portante data 26 marzo 1994, nonché due fogli costituenti fotocopie di sette fotografie scattate con la Polaroid e quindi irriproducibili. Gli originali di tali fotografie sono allegati all'originale di detto rapporto e si dovrebbero trovare depositati tra le carte relative alla missione in Somalia del 1994».
Poi, a domanda risponde: «Non so chi abbia scattato le dette fotografie. Sicuramente lo sa il capitano Salvati. Credo sia il tenente del Bangladesh, perché l'ufficio informazioni non disponeva di una Polaroid, almeno per quanto io ricordi».
È così?

FERDINANDO SALVATI. Sì, è il tenente del Bangladesh. Quando siamo andati lì, abbiamo risistemato le macchine. Lei ha il rapporto e le foto, no?

PRESIDENTE. Certamente. Un'altra domanda: lei ha conosciuto Ilaria Alpi?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Ha conosciuto Giancarlo Marocchino?

FERDINANDO SALVATI. Sì, l'ho conosciuto.

PRESIDENTE. Quando? Prima dell'omicidio di Ilaria Alpi?

FERDINANDO SALVATI. Sì, prima dell'omicidio di Ilaria Alpi, certo.

PRESIDENTE. In quali occasioni? Quali erano le ragioni di incontro o di frequentazione?

FERDINANDO SALVATI. Ho incontrato Marocchino - mi hanno detto che


Pag. 102

dava il supporto logistico al contingente, eccetera - all'ex ambasciata d'Italia, quando vi era il comando del contingente.

PRESIDENTE. Quanto tempo prima dell'accaduto?

FERDINANDO SALVATI. Direi qualche mese, non so.
Poi, c'è stato un altro episodio che mi ha portato a contatto del signor Marocchino. Ad un certo punto, il signor Marocchino è stato arrestato: era andato al compound di Unosom per presentare una gara d'appalto - credo per lavori di spostamento terra -, gli americani lo hanno arrestato e lo hanno fatto espellere dalla Somalia. È poi rientrato, tra l'altro con le scuse dello stesso che lo aveva espulso. In quell'occasione, io lo accompagnai all'aereo con una piccola scorta fatta dal mio ufficio intelligence.

PRESIDENTE. Per controllare che se ne andasse dalla Somalia?

FERDINANDO SALVATI. Sì, l'ho imbarcato sull'aereo in quanto era un italiano e quindi ce ne dovevamo occupare.

PRESIDENTE. Al di là delle scuse che gli furono fatte, quali erano le vostre notizie su Marocchino? Lei sa che vi sono parecchie correnti di pensiero su questa persona.

FERDINANDO SALVATI. Io ho cercato di non leggere, però si sente, per cui è difficile...

PRESIDENTE. Lasciamo stare quello che si sente, non ci interessa.
Per quel che riguarda il servizio di intelligence di cui lei faceva parte, e quindi con riferimento anche ai rapporti di Marocchino con ambienti militari, anche di carattere assolutamente normale e innanzitutto lecito, che notizie avevate raccolto?

FERDINANDO SALVATI. Marocchino non era, diciamo così, un oggetto di raccolta di informazioni specifiche; non era neanche stato valutato come una minaccia alle operazioni delle Nazioni Unite.
Per quello che so, Marocchino aveva una serie di macchine per il movimento terra e per il trasporto, tra le poche - forse le uniche - ancora efficienti in Somalia e quindi era sul mercato appunto per fornire questo genere di supporti, di servizi logistici.
Se mi è consentita un'illazione, che non dovrei fare qua, neanche - possiamo, magari, non verbalizzarla, anche se non è una cosa segreta...

PRESIDENTE. Di traffico di armi da parte di Marocchino, avete mai saputo, anche nei rapporti con il contingente italiano?

FERDINANDO SALVATI. No, non ho mai avuto informazioni di questo genere. Vorrei aggiungere un'informazione generale sulla Somalia...

PRESIDENTE. Di rifiuti tossici ha mai sentito parlare?

FERDINANDO SALVATI. No, di rifiuti tossici non ho mai sentito parlare, proprio.
Riguardo al traffico di armi, se parliamo di armi che entravano in Somalia, quindi acquistate dai somali, utilizzate dai somali, penso di non aver mai visto, un arsenale di armi obsolete, mal manutenzionate, vecchie e con poche munizioni - che è indice di pochi rifornimenti - come quello che c'era in quel paese. E dire che io mi sono passato tutti i teatri operativi in giro.

PRESIDENTE. Ovvero?

FERDINANDO SALVATI. La caratteristica tipica di chi ha un buon rifornimento logistico non è la disponibilità di armi - perché, se manutenzionate in modo adeguato durano anni - bensì la disponibilità di munizioni. Se in un conflitto a fuoco, recuperando armi e serbatoi abbandonati dall'avversario, si vede che hanno dei serbatoi con dentro dieci colpi - quando un serbatoio ne porta trenta, quando la dotazione


Pag. 103

di un militare di buon senso a Mogadiscio era di trecento colpi - vuol dire che non hanno rifornimento logistico. Vuol dire che nessuno gli vende...

PRESIDENTE. Lei è mai stato ospite di Marocchino?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Lo incontra, però, a porto vecchio, esatto?

FERDINANDO SALVATI. Lo incontro a porto vecchio, sì; è vero, era lì.

PRESIDENTE. Ci dica bene. Ci ha parlato, in quell'occasione? Che cosa le ha detto? Che cosa le ha raccontato? Marocchino era stato testimone - oculare non so - e comunque era stato lui a prendere i corpi. Lei ha ricostruito il fatto che fu lui a prendere i corpi?

FERDINANDO SALVATI. Questo lo ha detto lui. Ha detto: «Li ho portati io».

PRESIDENTE. E questa cosa non l'ha incuriosita? Non ha chiesto cosa fosse successo e come? Al di là dei compiti di polizia giudiziaria, di prevenzione o di repressione, al di là di tutto questo, come consapevolezza da cittadino, cosa ha chiesto?

FERDINANDO SALVATI. Presidente, dirle che non ho chiesto che cosa fosse capitato sarebbe una sciocchezza, perché sicuramente l'ho chiesto e sicuramente ho avuto delle risposte. E altrettanto sicuramente le cose coincidevano con quello che mi era già stato detto: «Hanno provato a rapinarli, hanno provato a prenderli, c'è stato uno scambio di fuoco, sono morti».

PRESIDENTE. Questo è quel che le ha detto Marocchino?

FERDINANDO SALVATI. Questo era quello che tutti stavano dicendo, mettiamola così. Non me la sentirei proprio di dire che me lo ha detto lui. Il quadro che io ho ritrovato al porto vecchio confermava quello che mi era stato detto dai somali all'ambasciata.
Io ero andato con queste intenzioni: mi hanno detto una bugia o è vero? Per me, era vero; avevo trovato quello che mi aspettavo di trovare e che speravo di non trovare, ovviamente.

PRESIDENTE. Ha mai conosciuto il colonnello Ali Hiro Shermarke?

FERDINANDO SALVATI. Il nome non mi dice niente, proprio.

PRESIDENTE. Siamo in grado di poter avere qualche indicazione per raggiungere l'uomo che lei chiamava «Nero»?

FERDINANDO SALVATI. Non sono proprio in grado di aiutarvi. Come faccio?

PRESIDENTE. A proposito del numero degli assalitori e soprattutto delle appartenenze dal punto di vista dei clan, che cosa avete accertato con sufficiente approssimazione alla realtà?

FERDINANDO SALVATI. Sei assalitori. Per quanto riguarda l'appartenenza ai clan, un attimo di pazienza, lo devo leggere, altrimenti mi confondo di sicuro. Nel rapporto abbiamo riportato che si trattava di un abgal e di cinque awadle.

PRESIDENTE. Questa è la notizia che avete avuto?

FERDINANDO SALVATI. Sì.

PRESIDENTE. Qualche precisazione in più sulla possibilità che appartenessero a sottoclan o a famiglie più piccole?

FERDINANDO SALVATI. C'è un'altra cosa da dire sulla dinamica dei clan. Noi diciamo «abgal» e «habar gidir», ma queste sono due grandi famiglie. L'unica grande famiglia è quella dei somali. All'interno dei clan abgal e habar gidir ci sono ulteriori gruppi. In pratica, un clan si forma quando una persona ha una sessantina


Pag. 104

di discendenti maschi, più o meno, perché a quel punto comincia ad avere la possibilità di armarne dieci e avere un peso nella politica locale. Il clan si riconosce da questo.

PRESIDENTE. Avete fatto approfondimenti su questo punto?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Siete rimasti molto in superficie, allora.

FERDINANDO SALVATI. Sì, anche perché è una cosa infinita.

PRESIDENTE.Le risulta l'indicazione dell'organizzatore dell'attacco nella persona di un certo Habar, un appartenente al clan degli abgal?

FERDINANDO SALVATI. No, mi dispiace.

PRESIDENTE. Parliamo di alcuni rapporti che sarebbero stati fatti da Unosom negli ultimi mesi precedenti i fatti dei quali ci stiamo interessando; tre rapporti, da parte di Unosom, rispetto ad azioni anti italiane che sarebbero state ispirate da americani. Le risulta questa circostanza?
Il generale Vezzalini ci ha detto che, in effetti, questo tema era stato trattato in incontri anche tra più di voi, negli uffici di Unosom. Lei ha notizia di questo aspetto dell'informativa?

FERDINANDO SALVATI. Ovvero, che siano stati fatti tre rapporti aventi per oggetto delle azioni anti italiane?

PRESIDENTE. Sì, basati su fonti confidenziali, negli ultimi mesi.
Qui c'è scritto: «Negli ultimi mesi, tre rapporti precedenti al fatto indicavano la possibilità di azioni anti italiane ispirate da americani». In questa notizia il generale Vezzalini si è riconosciuto. Lei ci si riconosce o no?

FERDINANDO SALVATI. Che ci siano state voci su questo, che siano arrivati input di questo tipo, posso dire di sì; che siano stati fatti rapporti ...

PRESIDENTE. Tre rapporti.

FERDINANDO SALVATI. Ho dei dubbi, ma non posso dirle di no. Il tipo di informazioni che ricevevamo molte volte era fumoso e molte volte andava a toccare intrighi internazionali, cose alcune volte abbastanza realistiche, altre volte di totale fantasia: carri armati dissotterrati, cose molto strane.

PRESIDENTE. Se fosse accaduto, anche questi sono atti che troveremmo presso l'ONU?

FERDINANDO SALVATI. Sicuro, tutto quello che è stato prodotto dall'U2 deve stare a New York, perché quando si chiude una missione tutti gli atti vengono portati lì. Su questo poi si può confermare tutto.

PRESIDENTE. Vi sono indicazioni - è un altro passaggio - che fanno prevedere un analogo tentativo, rispetto a quello perpetrato nei confronti di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, di rapimento ai danni di un italiano, che abita ad Uruà vicino al garage di Duale.

FERDINANDO SALVATI. Mai sentito. Noi abbiamo dato una valutazione generale sul fatto che questo tipo di azioni contro obiettivi facili, in generale, quelli che venivano definiti in inglese soft target, avevano tutta la possibilità di verificarsi ancora.

PRESIDENTE. Ancora a proposito di Marocchino, sempre il documento di cui si tratta fa riferimento a fonti che avrebbero indicato una complicità con gli assalitori di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin del capo delle guardie di Giancarlo Marocchino. Mai saputo nemmeno questo?


Pag. 105


FERDINANDO SALVATI. Mai saputo. Vedo delle informazioni molto dettagliate, che io non ho mai...

PRESIDENTE. Voi avevate un fascicolo che riguardava Marocchino oppure non era per niente preso in considerazione?

FERDINANDO SALVATI. No, non era preso in considerazione. Tra l'altro, come indicazioni operative - parlo sempre di Unosom, insisto su questo, io ero in un comando multinazionale - non abbiamo mai avuto... Questo comando di Unosom non era il colonnello Vezzalini e il capitano Salvati; ad esempio, io dividevo l'ufficio con un ufficiale indiano, c'erano un sottufficiale neozelandese, un australiano, un americano.

PRESIDENTE. Non ho capito. Questo documento, che viene fuori dallo stato maggiore dell'esercito - secondo reparto, primo ufficio -, che viene trasmesso al Sismi in data 1o aprile 1994, con l'indicazione che si tratta di un rapporto redatto dal colonnello Fulvio Vezzalini, voi non lo conoscete, Unosom non lo conosce, non lo conosce nessuno. Ma che cos'è?

FERDINANDO SALVATI. Sarei contentissimo di poter dare un aiuto, ma ...

PRESIDENTE. Siamo veramente al paradossale, perché francamente è un atto pubblico che dal punto di vista dei contenuti o è frutto di qualche follia di qualcuno oppure potrebbe essere passato per certi canali che ne abbiano escluso altri. Le fonti sottolineano come questa notizia, cioè che il capo delle guardie dell'abitazione di Marocchino possa essere complice degli assalitori, possa essere completamente infondata; consigliano però prudenza negli eventuali contatti a proposito di questo incidente con il signor Marocchino.

FERDINANDO SALVATI. Dal punto di vista professionale, se io avessi scritto una cosa così, mi vergognerei per tutta la vita. Riporto una notizia, poi dico che non è attendibile e poi dico di stare attenti lo stesso? L'attività dell'intelligence è fumosa nella raccolta delle informazioni, perché purtroppo è così, ma non nelle valutazioni; uno deve avere la faccia di dire quello che è.

PRESIDENTE. Ci possono essere anche altri tipi di interpretazioni e cioè quella di dire che c'è la notizia e che poi la notizia deve essere distrutta. Ha capito qual è il discorso?

FERDINANDO SALVATI. Non l'avrebbero scritta.

PRESIDENTE. Non è così.

ELETTRA DEIANA. Ci sono anche azioni di depistaggio.

PRESIDENTE. Esatto, perché si può partire dal presupposto che l'indicazione di Giancarlo Marocchino, nei termini in cui se ne parla in questo documento, non poteva essere occultata perché comunque sarebbe emersa da un'altra parte e, quindi, insieme a quella notizia - siamo tutti bravi, tutti cresciuti e purtroppo con i capelli bianchi - si fa presente, come giustamente lei osserva quasi irridendo a questo documento, come questa notizia si debba distruggere, che possa essere infondata, ma al tempo stesso però si mette sull'avviso.

FERDINANDO SALVATI. Non voglio entrare in un documento che non ho redatto io.

PRESIDENTE. Non le sto parlando del documento, le sto parlando delle notizie. Questo è un documento che riguarda voi.

FERDINANDO SALVATI. No, ho detto che non voglio fare commenti ...

PRESIDENTE. Qui si dice che l'ha fatto Vezzalini. Come membri della Commissione parlamentare d'inchiesta, prendiamo atto di questo documento, d'ordine del capo ufficio Ettore Granatiero: «Si trasmette


Pag. 106

l'unito appunto redatto dal colonnello Fulvio Vezzalini, capo ufficio informazioni Unosom, relativo alla morte dei due giornalisti italiani». Lei capisce che vogliamo ...

FERDINANDO SALVATI. Ma io lo capisco.

PRESIDENTE. Il documento continua: «Secondo le fonti le due vittime sono state uccise da un solo proiettile che, entrato nel fianco dell'uomo, ne ha attraversato il torace e in uscita ha colpito la donna in corrispondenza del cervelletto. Ad un esame superficiale i corpi presentano ferite che possono ...». Questa notizia le appartiene?

FERDINANDO SALVATI. Sì, è una delle quattro fonti.

PRESIDENTE. Ad esempio, c'è stata poi una puntualizzazione che ha fatto il colonnello Vezzalini, che le vorrei rappresentare, a proposito del fatto che le modalità attraverso le quali fu uccisa Ilaria Alpi sarebbero da ricondurre ad un colpo d'arma da fuoco sparato da un'arma calibro 9 corta e che il colpo sarebbe partito dall'interno della macchina e addirittura si fa riferimento ad una provenienza di questo colpo d'arma da fuoco dall'autista della stessa Ilaria.

FERDINANDO SALVATI. Io non ho avuto nessuna informazione del genere. Ciò che ho saputo, se vogliamo parlare dell'aspetto dei colpi, è il fatto che fosse lo stesso colpo.

PRESIDENTE. E questo risulta.

FERDINANDO SALVATI. È stato riportato così.

PRESIDENTE. Naturalmente non avete fatto nessun riscontro su questo punto?

FERDINANDO SALVATI. Non avevamo neanche ...

PRESIDENTE. Avete soltanto preso atto.

FERDINANDO SALVATI. I corpi erano sulla nave. Ci sarà stata poi un'autopsia che avrà confermato. Addirittura quello che era stato detto ...

PRESIDENTE. C'è una relazione di servizio dell'allora tenente dei carabinieri Stefano Orsini: «Alcune voci raccolte a Mogadiscio nei giorni successivi all'omicidio, secondo le quali non sarebbe stato un colpo di fucile automatico kalashnikov calibro 7,62 ...»
Come erano i colpi che lei sentì?

FERDINANDO SALVATI. Di kalashnikov.

PRESIDENTE. «(...) ad uccidere la Alpi, come riferito subito da alcuni somali, ma un colpo di pistola calibro 9 corto» - che poteva essere ugualmente stato sparato nonostante siano stati utilizzati i kalashnikov, ci poteva essere una convergenza di una pluralità di provenienze dei colpi - «come poi sembra essere emerso in sede d'autopsia. Tale colpo sarebbe stato esploso a bruciapelo o dall'autista somalo dell'autovettura a bordo della quale i due italiani si trovavano o da un altro somalo comunque appartenente alla loro scorta». Questa notizia le è mai pervenuta?

FERDINANDO SALVATI. Per le informazioni che ho avuto, l'uomo di scorta era armato di kalashnikov, cosa verosimile perché è l'arma che si doveva portare dietro un uomo di scorta, ed ha risposto al fuoco uccidendo un assalitore e ferendone un altro.

PRESIDENTE. Il rapporto è del 26 marzo.

FERDINANDO SALVATI. Tra l'altro questo corrisponde ai colpi che ho sentito, c'è stato uno scambio rapido. Anzi, ho detto una cosa inesatta, perché ho detto


Pag. 107

«rispondendo al fuoco», mentre lui in realtà non ha risposto al fuoco, ha aperto il fuoco.

PRESIDENTE. Chi ha aperto il fuoco?

FERDINANDO SALVATI. L'uomo di scorta. La macchina ha tagliato la strada all'autovettura della dottoressa Alpi e l'uomo di scorta è uscito dalla macchina ed ha aperto il fuoco.

PRESIDENTE. L'uomo di scorta della Alpi?

FERDINANDO SALVATI. Sì. Ha aperto il fuoco contro gli assalitori, i quali hanno risposto al fuoco.

PRESIDENTE. Lei come ha percepito la successione dei colpi?

FERDINANDO SALVATI. Non so dire chi stava sparando.

PRESIDENTE. No, la successione dei colpi.

FERDINANDO SALVATI. Erano raffiche veloci, brevi, uno scambio molto rapido di colpi.

PRESIDENTE. Conosce questo rapporto?

FERDINANDO SALVATI. Lo conosco di sicuro perché c'è la mia firma di lato. Sì, lo avevo già letto.

PRESIDENTE. No, questo lei lo ha letto alla Digos.

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Lo aveva già letto prima? Da chi è firmato questo documento?

FERDINANDO SALVATI. Il documento non è firmato, c'è la mia firma di lato.

PRESIDENTE. Credo che questo sia della questura.

FERDINANDO SALVATI. Sì, mi avevano sentito.

PRESIDENTE. Mostrato al teste il rapporto «Aggiornamento al 26 marzo 1994 del precedente rapporto con oggetto l'incidente nei pressi dell'ex ambasciata, 20 marzo 1994» e chiestogli se sia a conoscenza della sua esistenza, risponde ...

FERDINANDO SALVATI. Sì, lo avevo già visto.

PRESIDENTE. «Secondo la fonte presto sarà possibile conoscere anche dove si trovano esattamente tre dei sei banditi. Sono stati identificati come Hassan Yare, Abdullhai Dere e Dahair Ilka Asse (Habar Gedir Air)». Lei conosce questo documento perché l'avete fatto insieme a Vezzalini o l'ha fatto solo lei o l'ha fatto solo Vezzalini? Mettetevi d'accordo. Lo conosce perché l'avete fatto allora oppure perché lei l'ha visto qualche anno dopo in qualche altra e diversa occasione?
Glielo leggo: «Secondo la fonte presto sarà possibile (...). C'è un piano finalizzato a condurre rapimenti di personale occidentale in Mogadiscio allo scopo di alzare il livello di tensione. Al momento l'operazione è stata fermata a causa del tentativo di rapimento conclusosi con la morte dei due giornalisti. Per ciò che concerne quanto riportato al punto 1, l'identificazione dei banditi è da considerarsi probabilmente corretta. A proposito del punto 2, si hanno altre indicazioni che supportano la teoria di un piano generale di aumento della tensione. Si hanno continui rapporti, evidentemente di pura fantasia, che indicano un diffuso sentimento di odio verso gli occidentali e, in particolare, gli italiani tra la popolazione somala. Questi rapporti provengono invariabilmente da informatori che ora operano per quest'ufficio, ma che sono noti per essere legati ai Servizi di controinformazione statunitensi. L'agenzia informativa statunitense di supporto Unosom enfatizza nei suoi rapporti ogni piccolo, usuale episodio di violenza a Mogadiscio descrivendo come battaglie isolati e spesso irrilevanti incidenti. I media


Pag. 108

statunitensi riportano notizie di un totale deterioramento della situazione in Somalia dopo la partenza del contingente USA. Questo atteggiamento dei media americani ha raggiunto proporzioni tali che l'ambasciatore Kujat stesso, rappresentante del Segretario generale della Nazioni Unite in Somalia, si è riproposto, in sede di rapporto giornaliero dello staff, di fare del suo meglio per correggere questo atteggiamento. I compiti precedentemente affidati alle fonti sono rimasti invariati. Si continua inoltre ad analizzare i dati in possesso di quest'ufficio allo scopo di appurare la veridicità della teoria espressa al punto 2».
Che cos'è questo? Lo conoscete? Non lo conoscete? Lo avete fatto? Non lo avete fatto? È una trappola? È una «patacca»? che cos'è?

FERDINANDO SALVATI. No. Io posso avere dei cali di memoria dovuti al tempo, ma quando rivedo il documento ... Quello che è scritto qui, se non l'ho scritto io fisicamente, sicuramente ...

PRESIDENTE. Benissimo.

FERDINANDO SALVATI. Una questione sola ...

PRESIDENTE. Andiamo con ordine. Le vorrei far osservare che questo documento dimostra l'esatto inverso di quello che ha detto Vezzalini per tre ore e di alcune cose che lei ha detto durante questa deposizione, perché, come vede, c'è un seguito logico rispetto alla conclusione del precedente rapporto: azioni, raccolta di dati più dettagliati a proposito dell'organizzazione e degli eventuali mandanti dell'attacco, identificazione dell'assalitore ferito, individuazione della possibilità di arrestare l'assalitore ferito.
Se voi ci dite in continuazione che il problema non vi riguardava perché si trattava di intelligence e dovevate fermarvi appena si sentiva odore di approfondimento, non è vero! Non è vero, perché questo documento dice non soltanto che stavate lavorando, meritoriamente, per individuare le persone che potevano essere gli assalitori, e via dicendo, ma che vi riservavate l'approfondimento!

FERDINANDO SALVATI. Spiego tutto.

PRESIDENTE. Lei ci deve dire, non ci deve spiegare! Lei ci deve dire la verità!

FERDINANDO SALVATI. Io dico la verità.

PRESIDENTE. Sempre, e anche questa volta.

FERDINANDO SALVATI. Ci mancherebbe!

PRESIDENTE. Perché tutti quanti detestano questo documento? Perché lo allontanano?

FERDINANDO SALVATI. Non l'ho scritto io.

ELETTRA DEIANA. E nessuno lo riconosce.

PRESIDENTE. Nessuno lo riconosce. Non è di Vezzalini, non è suo.

FERDINANDO SALVATI. Quel documento è firmato da un ufficiale e trasmesso da un altro ufficiale. Dovete chiedere a loro e non a me che non l'ho né firmato né trasmesso. Sto dicendo che conosco questo documento, che non è firmato da me, e vi spiego come mai c'è scritto quello che c'è scritto. Io non ho nessuna ragione di dirvi bugie. Ero in Somalia perché mi pagavate voi, voi italiani.

PRESIDENTE. Lei fino a questo momento si è sforzato di dirci che quel documento - la «patacca», diciamo così, secondo voi - non lo riconosce. Le ricordo quando è stato sentito dalla Digos il 22 agosto del 2000: «Si dà atto che l'ufficio mostra al teste due documenti formati entrambi da due fogli così descritti: incidente nei pressi dell'ex ambasciata, 20


Pag. 109

marzo» - ed è il documento «patacca», secondo le ricostruzioni che si vorrebbero fare nelle audizioni di questa giornata - «e incidente 20 marzo 1994, aggiornamento al 26. In merito Salvati Ferdinando dichiara: Riconosco queste note, sono scaturite da informazioni che avevo ricevuto. Voglio precisare che io mi occupavo, per i miei compiti militari, dell'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non a fini di polizia per ricercare i colpevoli» - e non è vero, perché qui ci sono questi nomi - «ma per capire se questo delitto potesse essere un segnale di pericolo e minaccia per il contingente ONU. Feci un rapporto per le Nazioni Unite (...)».

FERDINANDO SALVATI. Intanto vorrei sottolineare che questo documento continuo a non ricordarlo. Dico che non lo ricordo, perché se là l'ho riconosciuto vuol dire che quando mi hanno interrogato, a cinque anni di distanza, l'ho riconosciuto.

PRESIDENTE. Quale?

FERDINANDO SALVATI. Se questo documento che mi è stato presentato dalla Digos ...

PRESIDENTE. Parla del primo o del secondo?

FERDINANDO SALVATI. Il primo e il secondo.

PRESIDENTE. Questo è il secondo e questo è il primo, che lei ha firmato. Le hanno fatto pure firmare, l'ha riconosciuto.

FERDINANDO SALVATI. Se io l'ho riconosciuto allora, dato che non sono un pazzo sconsiderato e vengo qua a dire le cose inverse, vuol dire che semplicemente ricordo meno bene di come ricordavo allora. Se mi aveste fatto leggere la mia deposizione prima, che c'è, è lì e non ho da disconoscerla, avrei detto che confermavo, anzi avrei dovuto iniziare così: confermo qualsiasi cosa abbia già detto o abbia già firmato in altra occasione. Mi scuso se la mia memoria, a distanza di dieci anni, ha avuto degli aggiustamenti, purtroppo è umano. Quindi, confermo tutto ciò che ho già detto e state tranquilli che non vi dirò mai che non è vero.

PRESIDENTE. Stia tranquillo che noi non ci saremmo accontentati.

FERDINANDO SALVATI. Ma io voglio dirvi che la penso così. Dopo aver detto che lo confermo, mi spiego e mi spiace di avervi fatto perdere tempo prima; se me lo aveste fatto leggere lo avrei detto subito. Perché c'è questa differenza tra il rapporto in inglese con poche informazioni e quello in italiano così pieno di dettagli? Perché queste non sono informazioni verificate, arrivano da fonti attendibili, ma non sono stati fatti incroci perché partendo dal principio che in Italia qualcuno era interessato sicuramente al fatto, in quanto si trattava di due connazionali, noi abbiamo buttato dentro tutto quello che avevamo. Qui dentro io non ho scritto quello di cui sono convinto. Di ciò che è scritto in questo rapporto io sono convinto, non dico al punto di potermi sostituire alle fonti, però ho una buona ragione per crederci, mentre nell'altro ho inserito tutto quello che mi è stato detto pensando che altri organi preposti alle indagini - io non ero preposto alle indagini - approfondissero e ne traessero qualcosa di utile.
Perché io avevo informazioni dettagliate che non corrispondono al fatto di valutare genericamente la minaccia? Perché, come ho detto, io non facevo l'investigatore, io facevo la nassa, recuperavo delle informazioni. Quando qualcuno veniva da me e mi diceva: «noi sappiamo chi sono», e mi diceva dei nomi, che tra l'altro hanno il valore dei nomi somali, in un'ottica di intelligence militare, per le Nazioni Unite avrei dovuto dire: «sono sciocchezze e le butto via». Dato che sapevo benissimo che la morte di due connazionali era una cosa importante, una cosa grave, che aveva dell'interesse per il paese, ovviamente ho passato tutte le informazioni grezze. Le informazioni grezze in intelligence non si scrivono normalmente, si analizzano, ma


Pag. 110

non volevo essere io a filtrare cose che potevano servire ad altri. Questa è la spiegazione. Per quanto riguarda la conferma, confermo tutto.

PRESIDENTE. Intanto cominciamo con il dire che tutto quello che ci siamo detti fino a questo momento a proposito delle contestazioni che lei ha fatto rispetto a tutta una serie di punti - gli americani che facevano le azioni contro gli italiani, l'italiano che stava per essere attinto anch'egli da un'iniziativa analoga a quella di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Marocchino che poteva avere tra le sue guardie il capo che poteva essere stato coinvolto - sono tutte cose che vi sono risultate.

FERDINANDO SALVATI. Sono tutte cose che ho sentito dire, che mi sono state dette.

PRESIDENTE. C'è il piccolo particolare che la premessa di questo documento è: «Le informazioni contenute nel presente rapporto provengono da quattro fonti somale di già provata affidabilità. Le fonti sono completamente concordanti».
Poi viene fuori questo secondo documento, nel quale, ripeto, è totalmente smentita la filosofia del vostro lavoro per il caso specifico. Quindi, abbiamo acclarato che lei si può sforzare quanto vuole - scusi la mia brutalità - nel dire che questo è un documento nel quale ci sono tutte queste cose perché le avete ritenute non proprio riscontrate ...

FERDINANDO SALVATI. Le abbiamo ritenute utili per chi stava investigando.

PRESIDENTE. ... mentre queste sono riscontrate. Questa è una tesi della quale prendiamo atto.

FERDINANDO SALVATI. Ci sarà chi ha fatto indagini su questo.

PRESIDENTE. Ci confronteremo poi in Commissione. Ma io le voglio chiedere una cosa: dal documento che fino a questo momento lei aveva disconosciuto mancano delle notizie ...

FERDINANDO SALVATI. Che avevo riconosciuto comunque in un confronto della Digos.

PRESIDENTE. Ha disconosciuto dimenticando ...

FERDINANDO SALVATI. Mi consenta, presidente. A distanza di quanti anni da quando l'ho visto alla Digos? Diciamolo: quattro anni.

PRESIDENTE. Quattro anni non sono tanti per un uomo di intelligence. Mancano delle notizie: ad esempio, mancano le notizie sugli americani.

FERDINANDO SALVATI. Quali?

PRESIDENTE. Adesso glielo dico. Mi faccia fare questa piccola osservazione, che forse può essere anche importante. Si dice: «Motivazioni: un Awadle che abita a Mogadiscio sud, non meglio identificato, era stato incaricato» - adesso parliamo di una cosa riconosciuta - «circa un mese fa da un americano di organizzare rapimenti di civili italiani in Mogadiscio. Per questo servizio il citato Awadle pare sia stato pagato quattromila dollari USA. Questa persona pare che abbia, a sua volta, incaricato Abar di condurre l'azione. A detta della fonte, quindi, il movente non è né il furto né l'omicidio, bensì il rapimento». Poi vi è la seconda cosa: «Negli ultimi mesi tre rapporti precedenti al fatto indicavano la possibilità di azioni anti-italiane ispirate da americani».
Queste azioni riferite agli americani sono quelle che mancano nel rapporto in inglese, tra le altre. Per caso mancano perché bisognava occultare questo dato? Il percorso informativo che voi avevate era uno o vi erano più percorsi informativi? Voi informavate soltanto Unosom o informavate anche qualcun altro?


Pag. 111


FERDINANDO SALVATI. La prova che informavamo anche qualcun altro sono questi due rapporti.

PRESIDENTE. Informavate il SIOS. Quindi, è evidente che c'era un rapporto nel quale la questione americana doveva essere eliminata, o sbaglio?

FERDINANDO SALVATI. Sì, certo. Questa è una regola delle Nazioni Unite. Se sono dentro un comando delle Nazioni Unite non posso scrivere una cosa del genere, perché questo implica un coinvolgimento della nazione fatto dal capitano Salvati, cioè il capitano Salvati fa succedere un incidente internazionale al posto del ministro degli esteri italiano e non mi sembra che debba succedere.

ELETTRA DEIANA. Quindi, lo mandate solo alle autorità italiane?

FERDINANDO SALVATI. Certo, una cosa del genere la dici agli italiani, anche perché - ritorno al punto di prima ...

PRESIDENTE. Ecco perché Vezzalini rifiuta il documento.

FERDINANDO SALVATI. La dimostrazione della totale buona fede è che questi documenti sono stati scritti e quando li ho visti, un po' meno rincitrullito di adesso, li ho riconosciuti subito. C'è la mia firma dappertutto.

PRESIDENTE. Colonnello, lei ci ha dato un contributo che altri non ci hanno voluto dare.

FERDINANDO SALVATI. Sono qui per questo. Il mio lavoro è dare contributi.

PRESIDENTE. Nel documento di aggiornamento al 26 marzo si parla di una fonte: «Secondo la fonte presto sarà possibile conoscere anche dove si trovano esattamente». Perché una fonte, mentre qui invece le fonti sono quattro? È sempre la stessa fonte?

FERDINANDO SALVATI. No, questa è un'altra fonte ed è una fonte. Questo sta proprio a dimostrare che le notizie ... Tecnicamente «notizia» vuol dire una cosa sentita dire.

PRESIDENTE. Ci dice la fonte?

FERDINANDO SALVATI. Non la conosco. Qui ci sono dei nomi e questi nomi possono essere veri oppure di fantasia, non c'è un'anagrafe, non c'è la possibilità di identificare le persone. Se io potessi, vi direi l'indirizzo e il numero di telefono, ma non è possibile. Non li conoscevo; queste persone arrivavano, avevamo il contatto e mi dicevano: «ci rivediamo a ...», e ci rivedevamo. Se non ci rivedevamo, magari passava del tempo e li rivedevo dopo, perché venivano a cercarmi al compound.

ELETTRA DEIANA. C'era un registro su cui lei annotava a chi dava i soldi e quando glieli dava?

FERDINANDO SALVATI. Funzionava così: io andavo all'inizio del mese, ritiravo del denaro alla cassa dell'Unosom, in scellini somali, quindi mi portavo via una «saccata» di scellini somali, dopodiché li distribuivo come desideravo. Per mio scrupolo e per lasciare le consegne al mio successore, che è stato neozelandese, mi sono fatto un registrino in cui ho messo dei nomi puramente fittizi - cioè ho scritto: Mohamed, Awadle - giusto per avere una contabilità, sapere quanti soldi avevo in cassa e quanti ne avevo dati fuori. È una cosa che ho fatto di mia iniziativa.

ELETTRA DEIANA. Una cosa è non essere sicuro dell'identità di una persona, un'altra cosa è che la persona non le abbia dato mai un nome, un nome di riconoscimento rispetto al quale lei poteva dire, ad esempio: Mohamed Abu, cento scellini.

FERDINANDO SALVATI. I nomi me li hanno dati. Io non mi sono mai preoccupato di scriverli nel registro, che avevo fatto di mia iniziativa - potevo non farlo


Pag. 112

- solo per correttezza nei confronti del collega che prendeva il lavoro dopo di me, al quale volevo dire che c'erano duemila dollari in cassa - le cifre non erano colossali - perché ne avevo spesi millecinquecento in quel modo. Quindi, ho messo una serie di nomi di riferimento giusto per scaricare questa contabilità di cassa.

ELETTRA DEIANA. Anche questo registrino sarà ...

FERDINANDO SALVATI. Questo non credo sia neanche alle Nazioni Unite. Può darsi che il neozelandese abbia deciso di distribuire i soldi in modo differente, le cifre erano piccole.

PRESIDENTE. Adesso che lei ha riconosciuto il documento, perché adesso è suo, vorrei tornare sul fatto dell'assalitore ferito che viene ricoverato nell'ospedale di Mogadiscio. Perché questa pista non è stata coltivata?

FERDINANDO SALVATI. Noi non avevamo un'autonomia di movimento. Per me andare all'ospedale di Mogadiscio voleva dire avere un'autorizzazione dalle operazioni delle Nazioni Unite.

PRESIDENTE. Ma all'ospedale entra chiunque! Poteva entrare pure lei. Qual è il problema?

FERDINANDO SALVATI. Secondo lei, per andare all'ospedale di Mogadiscio io prendevo una macchina, ci salivamo sopra in due e andavamo lì?

PRESIDENTE. Perché no? Qual è il problema?

FERDINANDO SALVATI. Sta scherzando?

PRESIDENTE. Spieghi perché.

FERDINANDO SALVATI. Come ho detto, per muoversi a Mogadiscio in quella situazione occorreva muoversi con un'unità militare. Io già mi sarei dovuto muovere assieme ai malesi.

ELETTRA DEIANA. Anche per ragioni attinenti ai motivi per cui lei dice che indagava, cioè sapere quali erano le dinamiche relative alla sicurezza dei militari lì, era importante appurare effettivamente l'attendibilità delle fonti sulle cose che le erano state raccontate. La questione dei feriti e dell'ospedale sarebbe stata un'utile, anzi l'unica verifica ...

FERDINANDO SALVATI. Era una fonte.

ELETTRA DEIANA. Ma sarebbe stato un riscontro poderoso.

PRESIDENTE. Vorrei aggiungere all'interlocuzione dell'onorevole Deiana, che stasera è stata particolarmente di ausilio, che il documento che lei ha riconosciuto chiude così: «Identificazione dell'assalitore ferito».

FERDINANDO SALVATI. Come si concretava una cosa del genere?

ELETTRA DEIANA. Io le contesto una cosa, perché lei ha detto che tutta la sua attività era finalizzata alla sicurezza dei militari e la sicurezza dei militari ha un prezzo. Io capisco che lei non voleva far alzare gli elicotteri per fare un'azione d'investigazione sulla morte dei due italiani ...

FERDINANDO SALVATI. Non me lo avrebbero fatto fare.

ELETTRA DEIANA. Però si poteva svolgere un'azione di movimentazione militare per appurare degli elementi di conoscenza relativi alla sicurezza. Come ci ha spiegato, lei voleva sapere se quell'omicidio rientrasse in una normale vicenda di banditismo locale o di avversione congiunturale nei confronti di due occidentali oppure preludesse a dinamiche più pericolose. Se la movimentazione dei militari


Pag. 113

per la prima ipotesi non poteva essere attivata, per la seconda ipotesi invece sì, perché verificare quel ferito e, quindi, appurare se la fonte avesse detto la verità, diventava un elemento essenziale per la difesa.

FERDINANDO SALVATI. È essenziale e dirompente adesso, ma noi ricevevamo informazioni e notizie a centinaia. Se a Mogadiscio avessi detto: «Sono interessato a sapere ...

ELETTRA DEIANA. No, perché lei avrebbe avuto una conferma straordinaria sulle sue fonti!

FERDINANDO SALVATI. Ma ne avevo duecento. Ma lei immagina, se ogni volta ...

PRESIDENTE. Va bene, non c'è stata...

FERDINANDO SALVATI. Non riesco proprio a...

PRESIDENTE. Come non riesce?

FERDINANDO SALVATI. Non riesco a capire, anche perché non mi lasciate terminare.

PRESIDENTE. Sa perché non la lasciamo terminare? Perché le evitiamo di dire cose non credibili.

FERDINANDO SALVATI. Grazie del patrocinio gratuito!

PRESIDENTE. Sono documentato, perché qui si parla di raccolta di dati più dettagliati a proposito dell'organizzazione e di eventuali mandanti dell'attacco.

FERDINANDO SALVATI. Ed io le sto spiegando come si concretava questo.

PRESIDENTE. Secondo: identificazione dell'assalitore. Terzo: individuazione della possibilità di arrestare l'assalitore ferito.

FERDINANDO SALVATI. Le sto dicendo che questo è stato scritto quando una fonte, non reputata attendibile, altrimenti sarebbe tra le fonti attendibili e ci sarebbe scritto che è una fonte attendibile ...

PRESIDENTE. No, qui è scritto: le informazioni contenute nel presente rapporto provengono da quattro fonti di già provata affidabilità. Le fonti sono completamente concordanti.

FERDINANDO SALVATI. Tranne in quel caso, in cui ho scritto «una fonte». Se scrivo «una fonte», è evidente che non è concordante.

PRESIDENTE. No, «una fonte» è dopo, nell'altro rapporto.

FERDINANDO SALVATI. Posso leggerlo?

PRESIDENTE. No, non glielo faccio leggere, perché lo abbiamo già letto. «Secondo la fonte»: questa è un'altra cosa e il discorso è chiuso. Questa è la fonte, dove sono riportati i nomi. Qui parliamo delle quattro fonti convergenti, concordanti.

FERDINANDO SALVATI. Che ci dicono che è nell'ospedale.

PRESIDENTE. Ci dicono che è nell'ospedale e, in relazione alle azioni da fare, c'è scritto: raccolta di dati più dettagliati, identificazione dell'assalitore, arresto.

FERDINANDO SALVATI. Sto dicendo che queste sono azioni future che noi ci proponiamo. Quando si scrive «azioni» vuol dire che ci si propone di fare questo. La prima cosa da fare ...

PRESIDENTE. Io le sto chiedendo del futuro. Perché non è andato all'ospedale per arrestarlo?

FERDINANDO SALVATI. Le sto spiegando. Non so se ci sia un terzo rapporto


Pag. 114

che ho scritto, che ho visto e che ho già confermato. Se ce l'ha, me lo faccia vedere.

PRESIDENTE. Non c'è.

FERDINANDO SALVATI. Molto probabilmente è successo che riparlando, avendo altre informazioni, ci hanno detto che non era lui, che non c'era, anche perché se noi fossimo andati all'ospedale ed avessimo trovato uno, dieci, quindici feriti, come avremmo potuto dire: sei stato tu? Dovevamo prenderne uno a caso che era ferito?

PRESIDENTE. Se dobbiamo ipotizzare il terzo rapporto, lo possiamo anche ipotizzare.

FERDINANDO SALVATI. Evidentemente non c'è stato un seguito nell'attività.

PRESIDENTE. Dica a qualcuno di prepararlo e poi ce lo portate. Le voglio soltanto rammentare che un giornalista, cioè una persona che non ha determinati doveri, Giovanni Maria Bellu, che lei sicuramente non conosce... Lo conosce?

FERDINANDO SALVATI. No, non mi dice nulla.

PRESIDENTE. Un'offesa più grave ad un giornalista non potrebbe essere fatta... Questo giornalista si è recato all'ospedale ed ha scoperto che accanto a due nominativi di persone che erano state ricoverate il giorno dell'omicidio di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin c'era stata la sbianchettatura dei nominativi. «Perché avevo avuto una serie di segnalazioni da parte di somali che sostenevano di avere subito violenze da parte di italiani in certe date ed in quelle date di essere andati a Keysaney per farsi curare e, quindi, vedendo nei registri avrei potuto verificare, e notai, per quello che può valere, che nella pagina del 20 marzo rispetto ad altre pagine, che presentavano qua e là delle cancellature, c'erano due feriti d'arma da fuoco il cui nome era stato cancellato con il bianchetto e poi riscritto sopra». Hanno cambiato il nome.

FERDINANDO SALVATI. Perché lo dice a me?

PRESIDENTE. Lo dico a lei perché se ci foste andati li avreste presi.

ELETTRA DEIANA. A chi lo deve dire?

FERDINANDO SALVATI. Lo deve dire a chi era incaricato di svolgere indagini su questo caso. Noi sicuramente no.

PRESIDENTE. Lei.

FERDINANDO SALVATI. Da chi?

PRESIDENTE. Da Unosom, dal suo comandante.

FERDINANDO SALVATI. No, perché Unosom, come le ho detto, ha ricevuto un rapporto dal provost marshal, che era perfettamente soddisfacente.

PRESIDENTE. Un'altra domanda. Lei ha parlato di intercettazioni gestite dai francesi e di rilievi satellitari. In relazione al 20 marzo 1994, è a conoscenza dell'esistenza di intercettazioni o di rilievi satellitari?

FERDINANDO SALVATI. No.

PRESIDENTE. Non lo sa?

FERDINANDO SALVATI. No, non ho visto nulla del genere. Quando parliamo di intercettazioni, stiamo parlando di intercettazioni di traffico radio.

ELETTRA DEIANA. Lei ha parlato di osservazione satellitare, esatto?

FERDINANDO SALVATI. Sì.

ELETTRA DEIANA. Che significa?


Pag. 115


FERDINANDO SALVATI. Che ci sono foto satellitari delle aree. Un modo di verificare una fonte, quando questa ti dice, ad esempio, che sono stati disseppelliti tre carri armati, consiste nel fare un'osservazione satellitare: è evidente che se tre carri armati sono stati disseppelliti, è ancora visibile il movimento della terra, e così via.

PRESIDENTE. Le osservazioni sono giornaliere?

FERDINANDO SALVATI. Erano richieste che facevamo tramite il comando Unosom.

PRESIDENTE. Ventiquattr'ore su ventiquattro?

FERDINANDO SALVATI. No, la richiesta deve essere circostanziata in termini di tempo e di luogo.

PRESIDENTE. Intendevo chiederle se l'osservazione ha luogo ventiquattr'ore su ventiquattro.

FERDINANDO SALVATI. Il satellite, certo, è in orbita ventiquattr'ore su ventiquattro; poi, osserva l'area su richiesta di intervento.

PRESIDENTE. Anche se quel giorno partiva il contingente italiano, le osservazioni satellitari si potevano fare ugualmente?

FERDINANDO SALVATI. Non era il contingente a svolgere tale attività.

PRESIDENTE. Lo so, ma siccome vi erano le partenze, immagino che le osservazioni potessero non esserci comunque.

FERDINANDO SALVATI. Bisognerebbe chiederlo, non so. Noi non l'abbiamo di sicuro richiesta; non abbiamo richiesto un'osservazione sul movimento del contingente.

PRESIDENTE. Chi è che faceva le osservazioni, gli americani?

FERDINANDO SALVATI. Sì, gli americani, quando ci fornivano fotografie satellitari di obiettivi.

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Deiana.

ELETTRA DEIANA. Grazie, presidente.
Colonnello, lei è stato ascoltato dal dottor De Gasperis il 19 settembre 1994. Nel corso della testimonianza, ha detto di essersi recato sul luogo il giorno successivo al delitto. Per fare che cosa?

FERDINANDO SALVATI. Onorevole, le devo fare una domanda: nella testimonianza ho specificato delle circostanze? Ditemelo, che in tal caso le confermo subito, così evito di fare la figura dello smemorato. Sicuramente, quel che ho detto in quell'occasione è quel che ho fatto.

ELETTRA DEIANA. Lei ha detto che sul luogo non vi erano né persone né mezzi che fossero stati coinvolti nello scontro a fuoco e ha precisato che vi erano tracce di vetri infranti, segni di pneumatici e di sangue.
Perché lei è andato lì, visto che non aveva specifici interessi di indagine?

FERDINANDO SALVATI. Perché era stato richiesto da Unosom - e qui c'è il rapporto - di raccogliere dati sulla dinamica dell'incidente. È evidente, ripeto, che Unosom...

ELETTRA DEIANA. Però, la dinamica dell'incidente ha poco a che fare con l'obiettivo di sicurezza militare.

FERDINANDO SALVATI. Allora, ritorniamo di nuovo alle Nazioni Unite...

ELETTRA DEIANA. E no, lei mi deve spiegare!

FERDINANDO SALVATI. Bisognerebbe chiederlo al comandante della missione, che ha dato l'ordine, e non a me che l'ho eseguito!


Pag. 116


ELETTRA DEIANA. Ma siccome lei ci ha detto che...

FERDINANDO SALVATI. Se vuole una spiegazione gliela do volentieri, ma se mi mette in condizione ...

ELETTRA DEIANA. Scusi, colonnello, lei ci ha spiegato con ossessiva reiterazione il carattere del suo lavoro, dopodiché rileviamo che ci sono degli elementi difformi.

FERDINANDO SALVATI. Come ho detto prima, noi stavamo in un comando multinazionale, specificatamente un comando delle Nazioni Unite dove, così come non bisogna offendere le sensibilità nazionali, bisogna anche dare spazio a quel che i rappresentanti nazionali ritengono almeno un po' interessante.
Poiché era chiaro che all'Italia la cosa preoccupava, il comandante Aboo Saman - comunque, è a lui che bisogna chiederlo; io sto facendo un'illazione su quello che gli è passato per la testa - ha detto: «Andate e portatemi informazioni sulla dinamica dell'incidente». Allora, sono state disposte le auto e sono state fatte le foto. Era evidente che la cosa premesse agli italiani: ritengo che questo sia stato il motivo che ha portato il generale malese a dare quell'ordine. Non sono io che ho deciso di andarci.

ELETTRA DEIANA. Ho capito, mi è chiaro.

FERDINANDO SALVATI. Non ne ho né il merito né l'eventuale colpa.

ELETTRA DEIANA. Insomma, la specificità della vostra missione si mescolava con l'interesse politico di non scontentare gli italiani.

FERDINANDO SALVATI. È normale, no?

ELETTRA DEIANA. Certo, lo trovo del tutto legittimo.

FERDINANDO SALVATI. Si lavora con dieci nazionalità diverse ed è evidente che ci vuole un minimo di sensibilità.

ELETTRA DEIANA. Certo, ma siccome la nostra ipotesi è che - in ragione della natura obliqua e multiforme che una missione del genere acquista in un paese straniero - sul versante delle indagini e dell'assunzione di responsabilità rispetto alla vicenda dei due italiani sia stato fatto poco, mi va benissimo che il comandante malese abbia dato quell'ordine.

FERDINANDO SALVATI. Troppo o poco ma senza input, tra l'altro, della magistratura.

ELETTRA DEIANA. Sì, ma questo è un altro capitolo.
Nell'udienza del 1999 per il procedimento a carico di Hashi Omar Hassan, lei ha dichiarato che la dinamica dell'agguato le fu raccontata da possibili testimoni oculari civili, i quali affermavano di aver assistito al fatto. È così?

FERDINANDO SALVATI. Sì, è vero. Quando siamo andati a sistemare le macchine, eccetera, quelli del posto erano ovviamente tutti disponibili a dire che c'erano...

ELETTRA DEIANA. Però lei, prima, ha detto che si era trattato solo di ricostruire la dinamica dell'agguato, non di persone che erano state presenti.

FERDINANDO SALVATI. Sì, la dinamica dell'agguato mi è stata illustrata - mi pare di aver detto così - da possibili testimoni oculari. Quando siamo andati lì e abbiamo iniziato questo teatrino, mettendo le macchine, eccetera, i locali si sono avvicinati, hanno parlato con noi e ci hanno detto: «Io ho visto, è capitato questo, è capitato quello», e così via.

ELETTRA DEIANA. Anche in questo caso lei non ha potuto assumere le identità di quei signori?


Pag. 117


FERDINANDO SALVATI. Il problema dell'identità in Somalia è tuttora tale. Se prendete un qualsiasi esperto della situazione somala, vi dirà la stessa cosa!

ELETTRA DEIANA. Credo che anche in Afghanistan, dove è stata uccisa la giornalista Maria Grazia Cutuli, vi siano dei problemi del genere, eppure si sono trovati dei testimoni; e sulla base delle loro testimonianze è stato possibile risalire ai fatti.

FERDINANDO SALVATI. Dall'inizio dell'anno ad ora ci sono stati 164 omicidi a Napoli e non sappiamo chi li ha commessi: succede, no?

ELETTRA DEIANA. Ma che c'entra?

FERDINANDO SALVATI. Capisco che in alcuni casi vi siano dei riscontri e in altri non vi siano, ma...

ELETTRA DEIANA. Ma quei signori si erano offerti spontaneamente di testimoniare.

FERDINANDO SALVATI. Onorevole, se ne offrono spontaneamente quanti ne vuole! Testimoniare vuol dire denaro, vuol dire la possibilità di venire in Italia. Tutti sono possibili testimoni. Se andiamo a Mogadiscio adesso, ne portiamo su cinquecento, così. Non sto facendo lo spiritoso, sto dicendo qual è la situazione.

ELETTRA DEIANA. Va bene, andiamo avanti.
Lei ha detto, in precedenza, di aver visto Giancarlo Marocchino al porto vecchio, esatto?

FERDINANDO SALVATI. Sì.

ELETTRA DEIANA. Invece, sempre in questa sua deposizione, dice di non aver visto Giancarlo Marocchino e di non averlo incontrato dopo l'agguato.

FERDINANDO SALVATI. Onorevole, può darsi che l'abbia visto e può darsi che non l'abbia visto. Non ha una gran rilevanza...

ELETTRA DEIANA. Come, non ha rilevanza?

FERDINANDO SALVATI. ... e comunque, se voi mi fate leggere gli atti che ho fatto, ve li confermo. Se voi pretendete, dopo dieci anni, che io mi ricordi, non è possibile! Le ho detto che possiamo contattare Zamboni con una telefonata e chiedergli se c'era oppure no, ma io sinceramente non mi ricordo se lui era con me o no.

PRESIDENTE. Non se lo ricorda?

FERDINANDO SALVATI. Non me lo ricordo! La mia vita non è stata segnata da questo incidente, anche per il semplice fatto che a distanza di tre mesi hanno provato ad ammazzare me. Ovviamente, questo è uno dei tanti episodi della mia vita! Ho avuto una vita travagliata e ho avuto contatto con episodi di violenza, non è che tutti i miei ricordi girino attorno a questo episodio; è probabile, quindi, che io sia inesatto.

ELETTRA DEIANA. D'accordo, questo lo posso capire, però lei sa benissimo...

FERDINANDO SALVATI. A questo punto, non so più quale sia la differenza...

ELETTRA DEIANA. Scusi, colonnello, mi faccia parlare. Lei sa benissimo che in Italia, immediatamente dopo la vicenda, si è sviluppata una grande tensione ed una grande attenzione. Essendo lei un protagonista (o comunque un attore di un certo rilievo), quel che lei dice avrebbe una ragionevolezza se vi fosse stato il blackout in Italia. Ma poiché lei è convissuto con il crescere in Italia di una grande attenzione, non mi spiego la situazione.

FERDINANDO SALVATI. Questo è quello che crea problemi...


Pag. 118


ELETTRA DEIANA. Crea anche meccanismi di memoria.

FERDINANDO SALVATI. Appunto, dove si sovrappongono situazioni che ho vissuto con situazioni che ho sentito raccontare. Come ho detto, ho cercato in tutti i modi di non leggere libri, vedere film o seguire gli speciali, perché so che la memoria tende a confondersi. Quante cose, allora, non ho considerato importanti! Se all'epoca ho incontrato il signor Marocchino al porto non l'ho considerato un fatto rilevante. Il signor Marocchino era uno che faceva il trasportatore; ha portato i corpi. Se era ancora lì o se era andato via non mi pareva che fosse interessante. Zamboni era con me oppure no? Ripeto, non era una cosa interessante per me.

ELETTRA DEIANA. Ma lei ha mai memorizzato, ha mai saputo, ha mai indagato, insomma ha mai assunto che Marocchino era colui che era arrivato sul posto, aveva raccolto i corpi dal pick-up e li aveva portati sull'altro mezzo?

FERDINANDO SALVATI. Ho difficoltà a discernere tra quello che ho sentito dire e quello che ho vissuto. Questo l'ho sentito dire da dieci anni. Vi chiedo di andare a vedere se c'è una mia deposizione precedente. Se all'epoca - parlo di otto anni fa - ho detto: «Sì, l'ho saputo», adesso lo confermo. A questo punto, direi: certo che sapevo che Marocchino li ha portati al porto, ma quante volte l'ho sentito dire in un telegiornale o l'ho letto sul giornale! Come faccio adesso a ricordare un particolare come questo? Bastava interrogarmi dieci anni fa, quando è successo il fatto. Se la magistratura non avesse aspettato che io mi presentassi...

ELETTRA DEIANA. Questo è giusto.

FERDINANDO SALVATI. Voglio far presente che con spirito di collaborazione ho chiamato il magistrato, il dottor Andrea De Gasperis e gli ho detto: «Dottore, io ero lì». Potevo anche non dir nulla, nessuno sarebbe mai arrivato al fatto che ero lì, voglio vedere! Basta vedere la confusione che c'era.

ELETTRA DEIANA. Tra le sue fonti ci potrebbe essere un poliziotto somalo di nome Ali Hiro Shermarke?

FERDINANDO SALVATI. No, non mi dice nulla.

ELETTRA DEIANA. Lei ha avuto mai notizia di un documento firmato da Shermarke, che giunge ad Unosom, nel dicembre 1994, in cui si fa una ricostruzione dell'agguato che coinvolge in qualche modo Marocchino?

FERDINANDO SALVATI. In questo momento, non ricordo di aver visto un documento del genere. Se ho detto, in precedenza che l'ho visto, ve lo confermo. Adesso, però, non me lo ricordo.
Ripeto, avrei gradito leggere gli atti prima e avere delle richieste puntuali sugli atti stessi, perché la memoria può tradirmi; tuttavia, rispetto a quello che ho detto o scritto alla DIGOS, non posso essere così sciocco da venire qui, quattro anni dopo, e non dirlo, pensando che sia sparito: è ovvio che l'ho detto!

ELETTRA DEIANA. Un'ultima domanda. Chi le diede l'ordine di accompagnare Marocchino quando dovette andarsene dalla Somalia?

FERDINANDO SALVATI. Operazioni di Unosom. Il comando operativo di Unosom, cioè la divisione U3 (tre è il numero delle operazioni) ha pianificato lo spostamento di questa persona dal centro di detenzione di Unosom al velivolo che lo avrebbe portato in Italia. Un team dell'U2 è stato incaricato di accompagnare questa persona.

ELETTRA DEIANA. E in questo team c'era lei.


Pag. 119


FERDINANDO SALVATI. C'ero anch'io, sì.

ELETTRA DEIANA. Chi era l'ufficiale che aveva dato questa disposizione?

FERDINANDO SALVATI. Le Operazioni di Unosom e, in ultima analisi, il generale Aboo Saman, perché tutti gli ordini, in ultima analisi, arrivano dal comandante. Conta il criterio che vi ho detto in precedenza.

ELETTRA DEIANA. La ringrazio, ho concluso le mie domande.

PRESIDENTE. Sta bene, concludiamo qui. Ringrazio il colonnello Salvati, i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa la seduta.

La seduta termina alle 0,20 di venerdì 3 dicembre 2004.

Back Forward