La seduta comincia alle 14.55.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che l'onorevole Giorgio Benvenuto è stato sostituito, per il gruppo Democratici di sinistra-l'Ulivo, dall'onorevole Marco Minniti, al quale do il benvenuto anche a nome della Commissione. Rinnovo, altresì, il benvenuto all'onorevole Fanfani nella sua doppia veste di segretario e nuovo componente della Commissione.
Comunico che la Commissione ha acquisito i seguenti atti segreti:
una lettera del signor Antonio Volpe, con allegata documentazione, acquisita agli atti in data 7 ottobre 2003;
una lettera del dottor Enrico Di Nicola, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bologna, acquisita agli atti in data 7 ottobre 2003, di trasmissione in copia della denuncia-querela presentata nei confronti dell'onorevole Piero Fassino dall'onorevole Silvio Berlusconi e nella quale si richiedono alla Commissione copie di atti ed informazioni;
una lettera del signor Gianfranco Drusiani, acquisita agli atti in data 7 ottobre 2003;
documentazione, contenuta in n. 1 CD rom, trasmessa, con lettera pervenuta in data 7 ottobre 2003, dal dottor Marcello Maddalena, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino; in tale lettera il procuratore Maddalena formula, inoltre, una richiesta di atti alla Commissione.
Comunico che la Commissione ha altresì acquisito i seguenti atti riservati:
i verbali sommari, redatti dalle autorità serbe, delle audizioni testimoniali svoltesi a Belgrado dal 26 settembre al 2 ottobre 2003 in esecuzione della rogatoria della Commissione, ed altri atti prodotti dall'autorità serba in occasione delle predette audizioni;
i resoconti stenografici delle audizioni di Borka Vukic, Boris Tadic, Radmila Andjelkovic, Marija Raseta-Vukosavljevic e Danko Djunic, svoltesi a Belgrado nei giorni 26, 29 e 30 settembre 2003 in esecuzione della rogatoria della Commissione.
Comunico che la Commissione ha altresì acquisito i seguenti atti liberi:
una lettera degli onorevoli Kessler, Lusetti e Russo Spena e del senatore Zancan, con allegato documento recante osservazioni, acquisita agli atti in data 3 ottobre 2003;
una dichiarazione della segreteria dell'onorevole Taormina, acquisita agli atti in data 8 ottobre 2003, redatta per incarico dell'onorevole Taormina ed inviata al presidente della Commissione;
un telegramma dell'avvocato Giorgio Nicoletti, difensore di Curio Pintus, acquisito agli atti in data 8 ottobre 2003, in cui il predetto avvocato comunica che il suo assistito, presa visione delle dichiarazioni rese da Domenico Mastropasqua, Luciano Serra e Donatella Dini, chiede di essere
nuovamente sentito dalla Commissione «per approfondire alcune questioni che il 16 settembre aveva ritenuto opportuno non riferire»;
una lettera del dottor Dario Razzi, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Perugia, acquisita agli atti in data 25 settembre 2003, nella quale il dottor Razzi informa che sta procedendo, a seguito di denuncia-querela presentata dalla dottoressa Barborini, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, ad indagini preliminari nei confronti di Marini Igor per il reato di calunnia e nei confronti di altri in relazione alla divulgazione e alla pubblicazione delle dichiarazioni rese dal Marini, e chiede di acquisire atti dalla Commissione;
una lettera del dottor Dario Razzi, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Perugia, indirizzata, oltre che a lui stesso, ai Presidenti della Camera e del Senato, acquisita agli atti in data 1o ottobre 2003, con la quale il dottor Razzi comunica - sempre in relazione al procedimento di cui alla precedente lettera - che il suo ufficio «ha necessità di ascoltare come persone informate sui fatti i consulenti ed il personale, parlamentare o esterno, addetti alla Commissione stessa».
Comunico che il Presidente della Camera, con lettera del 3 ottobre 2003, mi ha trasmesso la lettera da lui inviata, in pari data, al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Perugia. In tale lettera, il Presidente della Camera risponde alla richiesta di ascoltare come persone informate sui fatti, in relazione ad indagini in corso presso la procura di Perugia, i consulenti ed il personale, parlamentare o esterno, addetti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sull'affare Telekom-Serbia, richiamando l'articolo 62, comma 4, del Regolamento della Camera dei deputati e l'articolo 4 della legge n. 99 del 2002, istitutiva della Commissione. Al riguardo, il Presidente della Camera sottolinea come, ove vengano richieste dall'autorità giudiziaria informazioni su documenti e attività propri di un organo parlamentare, sulla scorta dei precedenti in materia «un corretto e leale rapporto tra i poteri dello Stato imponga di considerare interlocutore dell'autorità giudiziaria medesima l'organo parlamentare in quanto tale e non il personale addetto». Il Presidente della Camera ritiene che la Commissione «sarà certamente disponibile a valutare, in spirito di leale cooperazione istituzionale, le specifiche richieste che saranno formulate dall'autorità giudiziaria e, ove ne ravvisi i presupposti, a fornire ogni collaborazione nelle forme che riterrà opportune».
Prego la Commissione di prendere atto di tali comunicazioni.
CARLO TAORMINA. Desidero informare la Commissione che, oltre a quello citato dal presidente, ho fatto pervenire ieri sera alla Commissione un ulteriore fax in cui vi sono delle puntualizzazioni relative alle interferenze del signor Volpe nei miei confronti. In sostanza si dà atto di alcune telefonate pervenute al mio studio da parte del signor Antonio Volpe il quale ha chiesto di parlarmi.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. Avverto che, per una migliore organizzazione dei lavori, l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha concordato che la seduta odierna si concluda alle ore 18, con possibilità di sforare alle 18,30, e che gli interventi non possano eccedere il limite di dieci minuti.
La mia relazione potrà soffrire di qualche disordine in quanto è quasi a braccio, ma nello stesso tempo prescinde da ogni prolusione per andare subito al merito delle questioni sollevate, perché questa è considerata da me una seduta importante, per ragioni che non occorre illustrare.
Ho il dovere di precisare e provare con gli atti - non a braccio come può avvenire in una conferenza stampa o in un dibattito - quindi provare non difendermi: non lo dico per arroganza, lo dico perché a seguito delle osservazioni che da qui a poco vi offrirò per essere esaminate e giudicate, questo presidente - fallace come tutti gli uomini - sicuramente ha servito con lealtà le istituzioni, come la sua vita è stata impegnata in oltre trentun anni di mandato parlamentare.
Questa riunione potrebbe essere inutile se dovessero ricorrere tre condizioni negative: la riserva mentale di chi ascolta per non ascoltare; la ricerca di nuovi inneschi polemici e, da ultimo, la volontà distruttiva dei nostri lavori, in ordine ai quali sono convinto dell'esistenza di una volontà diversa da quella che potrebbe temersi, vale a dire la volontà di collaborare per organizzare meglio i lavori e per definire compiti e situazioni, non per sabotare il seguito degli stessi.
Procederò per voci, la prima delle quali - seguendo lo schema delle contestazioni - riguarda l'uso dei Servizi segreti. È stato detto che avrei tenuto per sette mesi nel cassetto una comunicazione proveniente dai Servizi con allegata documentazione. L'addebito è stato di una gravità devastante: la cosa che offende è che una volta chiarita - come vi dirò fra un istante - l'infondatezza dello stesso (cercherò di non usare i termini polemici), nessuno mai ha dato atto della lealtà di comportamento del presidente. Evaporata quella richiesta, cioè la messa in stato d'accusa di un presidente che ha tenuto per sette mesi nel cassetto quella comunicazione, fatto gravissimo se vero, si è ricorso di nuovo a Sciascia, prima li chiacchierano e poi dicono che sono chiacchierati! E la questione è stata accantonata da parte di chi l'ha mossa, non certamente per chi l'ha subìta.
Il comando della Guardia di finanza mi inoltra il 13 maggio un fascicolo contenente una serie di atti che attengono a Telekom-Serbia; ne do comunicazione il 14 maggio, non sette mesi dopo ma ventiquattro ore dopo! Non potevo farlo il 12 maggio perché ancora gli atti non erano arrivati...
Sentiamo un ufficiale dei Servizi, Manenti (circostanza insignificante), e intanto, a seguito di quella comunicazione che arriva a noi e alla procura di Torino (quindi, c'è il doppio controllo) l'11 giugno sentiamo Garau: una deludente prestazione nel senso che non offre elementi utili al fine di giudicare.
Avanziamo il 13 settembre una nuova richiesta che non è, come ha detto qualcuno, personale a questo o all'altro, è una nuova richiesta a Sismi, Sisde e Cesis: di più non potevamo fare. Da parte di uno dei tre organismi, e con una lettera a firma del prefetto Mori, viene inviato lo stesso cartaceo ricevuto prima e viene indicato un ufficiale informato dei fatti. L'ufficiale viene, ci dà una serie di notizie in tema di sovrafatturazione che portano sempre al Garau (da noi sentito) e ad altri soggetti tra cui Cristofoli, che erano risultati irreperibili. Quindi reiterazione della citazione di Garau, che dovevamo sentire oggi e che slitta al prossimo mercoledì.
Attenzione, il tema è la sovrafatturazione, non la caccia ai politici! La sovrafatturazione dimostra che non abbiamo mai cercato di impiccare qualcuno all'infamia, ma abbiamo sempre utilizzato questo strumento per acquisire più notizie possibili al fine di giungere ad un giudizio conclusivo. Se vi fosse stato un piano, come ho appreso (avrei mai sentito il bisogno di sapermi raggiunto, siccome coinvolgibile non coinvolto in un piano) questa indicazione si sarebbe risolta in una deviazione dal piano stesso, perché portava ad altre sponde che non sono più quelle dei politici, bensì dei medi o alti vertici di Telekom Serbia.
Altra domanda: è pista obliqua ricorrere allo Stato, perché ai Servizi io ho chiesto? Quando sappiamo che vengono usati per indagini di pari o maggiore importanza una serie di pentiti, sulla storia personale dei quali non dico una parola, noi, invece, ci rivolgiamo ai Servizi, vale a dire è Stato che chiede aiuto allo Stato. In questa occasione, voglio ricordare un episodio che riguarda il senatore Calvi. All'atto della seconda richiesta ci fu una divaricazione di opinioni tra il senatore Calvi e l'onorevole Taormina in ordine a tutti gli atti, o a quelli relativi, che avrebbero dovuto accompagnare l'inoltro. Mi sono schierato con la tesi del senatore Calvi e vi è stato un acceso, ma civile, contrasto con l'onorevole Taormina, il quale voleva l'acquisizione di tutto. È prevalsa la tesi degli atti relativi per evitare che vi fosse qui una messe di documenti inutili, che sarebbero gravitati sui tempi di esame della Commissione.
Sui Servizi non credo vi sia nulla da aggiungere, tranne che non mi venga richiesto dai colleghi.
I consulenti sono un capitolo che potrebbe apparire folcloristico se non fosse stato proposto in modo grave da parte di chi ha considerato i consulenti come Beati Paoli o pretoriani agli ordini del presidente, uomini senza volto, uomini che facevano volare i bigliettini, con barbe finte e occhiali scuri, senza sapere chi fossero.
C'è un uso legale dei consulenti? Sicuramente sì ed è introdotto dalla legislazione penale. Il nostro sistema ha sostanzialmente recepito il principio del libero esercizio dei poteri investigativi, perché viene usato lo stesso metodo per tutti i convocati. Oggetto della prova non è la domanda o il modo in cui la stessa è rivolta, essa potrebbe anche scaturire da suggerimenti di terzi o da intuizioni di chi interroga, essendovi quali unici limiti quello della continenza, il rispetto della legge ed il non nocumento alla genuinità della risposta, oltre a quelli fissati dall'articolo 194 del codice di procedura penale. Oggetto di prova è solo la deposizione della persona interrogata o audita - su questo si esercita il controllo -, sottoposta alla verifica e al contraddittorio di tutti i commissari, al punto che nessuno può impedire alla persona ascoltata di riferirsi anche a fonte che non intende rilevare, ponendosi solamente in questo caso una sanzione di inutilizzabilità della circostanza.
Nella prassi processuale, come tutti i magistrati, gli avvocati e i giornalisti sanno, non esiste un canovaccio di domande sottoposte all'attenzione delle altre parti, traendo esse esclusivamente origine dalle opzioni investigative dell'interrogante se non anche dai suggerimenti, nel caso dei pubblici ministeri, dei suoi collaboratori di polizia giudiziaria, non esistendo alcun obbligo normativo, giurisprudenziale o prassi che stabilisca un diverso contegno. Addirittura i pubblici ministeri sono legittimati a trarre circostanze utili al loro esame anche da atti di altro procedimento, mai messi a disposizione della difesa. Esperti di diritto e procedura penale conoscono la fondatezza di quanto sto riferendo.
Ma c'è anche un riscontro regolamentare costituito dall'articolo 22, il quale vuole che i collaboratori svolgano gli incarichi loro affidati conformandosi alle istruzioni del presidente e su sua autorizzazione assistano ai lavori della Commissione e riferiscano alla Commissione ogniqualvolta sia loro richiesto.
Quindi il ricorso alle fonti per conoscere di più a fini di verità è iniziativa libera. La contestazione, seguita da risposta, invece, è atto controllato. La notizia appresa non è l'istruttoria. Vi sono circostanze poi che vestono l'atto: ho chiesto notizia scritta - e ne abbiamo qui due casi - a un magistrato e poi al pool di tre, la mattina stessa in cui si è trattato di sentire i signori Paoletti e Marini, in data che può essere controllata dai computer e non è alterabile (il 14 gennaio per Paoletti e il 7 maggio per Marini). Nell'inscatolamento del computer si è nelle condizioni di controllare la fondatezza, ove si dubitasse della lealtà dei magistrati - io oserei
ribellarmi interiormente a questo, perché altro non posso fare - e la storicità delle date che io vi sto riferendo.
Un solo caso di uso improprio c'è stato in questa Commissione ad opera dei consulenti ed è stato nella controversa missione a Lugano, quando, all'insaputa di tutti, un commissario si è rivolto in via privata ad una consulente senza avvertire né il presidente né gli altri commissari di questo uso, tanto che ha portato quella consulente, per sua lealtà, dopo una dichiarazione alla stampa, a presentare le proprie dimissioni, perché si è sentita in quella vicenda usata. Nel colloquio che ha avuto col presidente - altro non posso aggiungere, perché sarebbe scorretto - ella ha detto che non si sentiva di continuare l'opera, poiché pensava che tutto fosse avvenuto alla luce del sole e altri avrebbero informato il presidente. Nessuno dei commissari mi ha chiesto mai, in quindici mesi, il perché di qualunque domanda, non perché avessi il dovere di rispondere, ma perché avevo almeno l'interesse a prenderne atto. A nessuno dei commissari ho chiesto mai il perché della domanda, per le stesse ragioni dell'assoluta autonomia delle fonti di approvvigionamento di notizie e della libertà di contestazioni che deve essere rivolta ai soggetti auditi. Nessuno dei signori commissari - questa non è una sfida, perché sarebbe iattanza, ma un invito a precisare il contrario, se c'è - si è mai rivolto ai consulenti senza ottenere collaborazione. Chiunque l'ha chiesta l'ha avuta, come era giusto che fosse, perché questa non è una squadra privata.
L'unica cosa di cui devo chiedere scusa è un uso giornalistico improprio di intelligence che serviva per sintesi giornalistica, ma che certamente è lontana dalla qualità e dal lavoro dei nostri consulenti.
Esaurito il secondo aspetto, passo alla collegialità. Si dice che questa Commissione ha avuto quasi un procedere monocratico. Chi nega la collegialità della Commissione nega se stesso. Io non ho usato né cloroformio né filtri magici per fare quello che «volevo» in questa Commissione. In quindici mesi ci sono stati tre soli rigetti ad istanze dell'opposizione e tutti e tre passati ai voti e non per decisione del presidente. Mi riferisco alla responsabilità degli amministratori, che ha visto contraria l'opposizione (uso per la prima volta questi termini, ma sono costretto a farlo); all'interrogatorio di Marini e alle domande sospese. Sul punto invito la lealtà, che non ha bisogno di essere ricordata, di un ineccepibile signore della politica qual è l'onorevole Ranieri, il quale era il primo iscritto a rivolgere domande a Marini e sa che in quella occasione (ho controllato gli atti, non sono ricordi affidati soltanto alla memoria) io ero per la tesi che i commissari dovessero proseguire. Ci furono un'interruzione e una riunione dell'ufficio di presidenza e prevalse, ai voti, la tesi che bisognava interrompere e poi riprendere le contestazioni una volta avuti in mano i documenti del signor Marini, che Marini assumeva di poter ritirare perché legittimato a farlo.
La terza operazione di voto è stata quando si è trattato del terzo interrogatorio di Marini, in cui l'opposizione non intese addivenire alla tesi che era importante e urgente andare a Torino, ritenendo che tutto dovesse essere rinviato alla ripresa dei lavori a settembre.
C'è stata una ripetuta gestione dei vicepresidenti in questa Commissione. Ricordo a Calvi e a Nan uno per tutti il tema fondamentale delle rogatorie assegnato a loro, studiato da loro, sviluppato da loro e consegnato da loro per le nostre decisioni. A questo punto, devo ricordare che ci sono state quindici note scritte e depositate dei nostri consulenti per materie che vanno dal monocratico all'informativo. Ci volevano altri strumenti? Potevano essere suggeriti al presidente altri strumenti per rendere ancora più coinvolgente la gestione della Commissione? Bastava dirlo. Non ho ricevuto mai - e ripeto mai - una proposta che servisse a modificare la conduzione dei nostri lavori, perché a quel punto sarei stato disponibile a parlarne e, se del caso, a ricevere i suggerimenti e a metterli all'opera.
Il ritardo dell'anonimo: si è detto nelle note contenenti le contestazioni che io avrei detto a Il foglio che l'anonimo era
arrivato il 5 dicembre. Non «avrei» detto, «ho» detto: non è la verità? L'anonimo arriva il 5 dicembre, solo che si sono dimenticati un piccolo passaggio: il problema non è quando arriva, ma quando mi viene consegnato. A me l'anonimo viene consegnato l'8 gennaio, quindi non c'è alcuna contraddizione; si tratta quasi di una confessione che avrei fatto «Avete visto! Finalmente il presidente è uscito allo scoperto: l'anonimo è arrivato il 5 dicembre». Il 5 dicembre è arrivato, ma evidentemente lo sapeva solo l'ufficio postale che lo aveva ricevuto; io so che a me è stato consegnato l'8 gennaio. Quale spiegazione? Mi basterebbe dire che non ho una spiegazione, perché non sono io il controllore della posta e degli eventuali disguidi. Una spiegazione razionale potrebbe essere il disguido natalizio e quindi il ritardo nella consegna, perché tutti noi ci siamo allontanati e siamo rientrati dopo le feste e se l'anonimo è arrivato dal 5 al 20 e non è stato consegnato, per quel disguido natalizio o per altra ragione che non so precisare, non è un tema che diventa incredibile: non dico che sia ordinario o accettabile, ma può anche succedere che ci sia un disguido, come accade ad ognuno di noi di ricevere una lettera dopo un certo apprezzabile tempo. D'altro canto era una lettera come un'altra, non era un espresso o qualcosa che invitasse alla consegna celere, per cui è possibile, dal punto di vista del disguido, trovare una spiegazione che non sia alla fine esaustiva, ma che possa significare, a questo punto, un modo di intendere il ritardo.
Ma c'è la prova logica risolutiva, che attiene a quattro momenti e coloro i quali si intendono di formazione della prova sono invitati a valutarla. Primo momento: la data dell'anonimo è certa e nitida, cioè inoccultabile; è un faro abbagliante: chiunque ha in mano l'anonimo sa che sulla data non si può discutere. Il secondo momento che viene consequenzialmente, tautologicamente provato è il ritardo non spiegabile, non essendoci una spiegazione oggettiva; si può giungere ad ipotesi, ma non di più. Ma se c'è un'operazione con il mestatore, o con i mestatori, il ritardo rende difficile la conclusione della stessa, perché agevola la scoperta, dando spazio a coloro i quali possono scoprire il ritardo e mandare in fumo l'operazione. Poi c'è il punto definitivo che salda il cerchio e cioè la reitera: chiedere a chi ha mandato l'anonimo di reiterarlo, per evitare il discorso sul disguido temporaneo.
A questo punto, devo chiedere alla logica serena - non a quella faziosa che mi rifiuto di pensare -: perché è necessario un ritardo abbagliante? Per scoprire la trama? Questo ritardo portava alla scoperta della trama, proprio perché non aveva una spiegazione. Era così evidente, che non tollerava certe spiegazioni. Quindi, se l'anonimo arriva pigramente in ritardo, ciò non può certamente portare a mestatori occulti, perché non trova spiegazioni.
Vi sono poi Zoran Persen e Tom Tomic: esaminato il cartaceo sin dai primi di ottobre del 2002, il suggerimento di un quotidiano, la Repubblica, mi colpisce in particolare - oltre alla messe di tutti gli altri, che vi risparmio -, mi riferisco all'articolo del 18 febbraio 2001 dal titolo «Le tangenti di Milosevic». Quel giornale dice che c'è sicuramente un giro di tangenti che attiene, da un lato, al dittatore e, dall'altro, a Telekom-Serbia. Chiedo ad uno dei consulenti della Commissione se sia in condizione di riferire sulla vicenda e se abbia qualche aggancio. Il dottor Longo allarga le braccia e mi dice che non è materia sua. Cerco di cogliere qualche informazione e mi si riferisce che ci può essere persona informata dei fatti che, se si trova nelle condizioni di trovare la pista giusta, può legittimamente, nel senso della ritualità dei passaggi, avere notizie che poi avrebbe riferito. Attendo e finalmente arriva Dimitrijevic (siamo al 4 dicembre) che introduce uno spaccato che a me sembra inquietante: porta alla pista serba. Apprendo successivamente dalla stampa che Dimitrijevic è un funzionario dei servizi serbi. A quel punto ricontatto chi mi aveva promesso informazioni e sollecito; mi si dà una risposta, che matura nel tempo, e cioè che ci sono i cosiddetti «sei» di Milosevic. Ovviamente mi impegno al riserbo, come è
corretto che sia, perché coloro i quali fanno questo mestiere sanno che sia i pubblici ministeri sia i difensori devono tutelare la fonte (il problema è il controllo delle dichiarazioni della fonte, non la notizia che arriva). I sei di Milosevic corrispondono ai nomi dei signori Persen, Tomic, Dimitrijevic, Maslovaric e di due donne di cui nei verbali che io contesto poi a Paoletti il 14 gennaio. Si dice: perché non il nome anagrafico di uno dei due? Le persone sono note per il nome in uso, e questo vale anche per Marini che li conosce con i nomi che circolano. Non c'è qualcosa che allarma perché è stato fatto quel tipo di nome. Se fossero nomi sbagliati avrebbe un senso, ma è stato abbreviato il vezzeggiativo noto a chi sta prendendo informazioni, a chi dà informazioni e a chi li conosce per altra ragione.
Si apprende che le banche frequentate dagli stessi sono quelle note; c'è un volume davanti a me, a disposizione di tutti noi, in cui nelle pagine 161, 219 i 284 è indicato il percorso di queste banche, alcune delle quali, secondo la notizia che apprendo, sono quelle a cui sono interessati i signori Persen e Tomic.
Si parla del riciclaggio di 50 miliardi. Se così è devo darvi conto dell'insospettabilità della data, perché l'Ansa del 9 gennaio dice che «la Commissione d'inchiesta interrogherà martedì prossimo un misterioso personaggio, chiamato in causa da uno scritto anonimo...». E poi, il 9 gennaio, alle 23.01 «sarebbe un noto avvocato romano» e il 10 gennaio «È Fabrizio Paoletti, l'avvocato civilista». Tuttavia, il seguente inciso da me riferito invita alla cautela: «potrebbe trattarsi di una boutade». Però, nello stesso tempo sostengo che, se la denuncia dovesse trovare riscontri - tacendo sempre che si tratti di Paoletti -, allora vi sarebbe una svolta nella pista delle presunte tangenti pagate per l'affare che portò all'acquisizione nel giugno del 1997 del 49 per cento di Telekom-Serbia. Perché? Perché del corrispettivo di circa 50 miliardi di vecchie lire, 36 miliardi sarebbero stati versati in altro conto corrente, cioè quelli della Nat-West, più 30 miliardi a Dimitrijevic e Vitali. Il totale di questi miliardi di vecchie lire evidentemente è lontano da ogni possibile sospetto per quella invece che dovrebbe essere poi la rivelazione del signor Marini.
Tuttavia, Paoletti ha confermato di conoscere tre persone, seppure per lavoro e solo marginalmente, Antonio Volpe, Curio Pintus e il faccendiere Flavio Carboni. Questi tre signori sono indicati da Paoletti e non sono sfiorati da indagini nostre.
Quello che invece l'avvocato ha tenuto a sottolineare dinanzi alla Commissione è che Igor Marini sarebbe l'autore del documento che il legale asserisce essere falso. Quindi entra in scena, proprio per le dichiarazioni dell'avvocato Paoletti, il protagonismo di Igor Marini in quelle indagini. Allora le date insospettabili del 9 e del 10 non diventano collegabili a rapporto alcuno con altre notizie che erano quelle correnti.
Poi c'è da considerare il regolamento che è non solo la mia «bussola», ma quella di tutti i presidenti: quello che il regolamento non mi vieta, se non illecito, sono nelle condizioni di attuarlo.
Ed eccoci a Marini, il nome più direttamente legato a Paoletti, l'oggetto dell'indagine con un contenzioso controllato dai consulenti.
MICHELE LAURIA. L'oggetto del desiderio!
PRESIDENTE. Questo è un problema suo. Io sono rimasto indifferente sin dal primo istante. Non è certamente Marini quello che accende i miei desideri; ci sono altre cose più importanti e nobili nella vita.
Quindi, un contenzioso controllato dai consulenti. Abbiamo le dichiarazioni del dottor Salvatore Sbrizzi del 14 gennaio che attengono proprio a Paoletti, nelle quali si parla di un riferimento a certo Igor Marini e della dottoressa Maria Bice Barborini, che se ne sta occupando, e viene consigliata l'eventuale audizione di Igor Marini perché utile alle nostre indagini.
Marini era, con altri 17, tra le persone indicate, legate a Paoletti a vario titolo; i
sei slavi appartengono ad altra fonte. Infatti si arriva al numero di 24, ma gli slavi sono fonte diversa da quella che ci viene dal nostro consulente interno. Marini è il ventesimo della lista dei nomi contestati. Paoletti dopo aver detto «Questo lo conosco; questo non lo conosco; questo l'ho visto a stento; Antonio Volpe è uno che mi voleva vendere un castello», nulla di rilevante per le nostre indagini, scatta al nome di Marini «È lui l'autore dell'anonimo» e punta il dito. Bastava? Io credo di sì, ma non ci siamo fermati, perché questa era un'altra Commissione per come la immaginavo io, sbagliando, s'intende. Siamo andati avanti: visto che è stato introdotto dalla nota del dottor Sbrizzi il nome della dottoressa Barborini, dovevamo avere il conforto e il controllo del magistrato per sapere in effetti come stessero le cose. È stata, quindi, convocata la dottoressa Barborini. Non riferisco i particolari dell'audizione perché segretata, comunque i colleghi l'hanno ascoltata e sono nelle condizioni di ricordare quello che ha detto la dottoressa Barborini. Quello che soprattutto impressionò fu il fatto che ella affermò - questa poi divenne notizia ufficiale - che il signor Marini aveva versato un titolo di 50 milioni di dollari, convertibile a suo dire e a dire del maresciallo Quaresima.
Preoccupati quindi per la presenza di Marini in queste indagini e dopo aver sentito la dottoressa Barborini, avevamo un solo dovere: si cominciava a vestire la posizione in direzione del riciclaggio, per cui dovevamo convocare il signor Marini.
Intanto, nel mese di gennaio, era avvenuto un fatto a cui non ho dato mai importanza perché non ho usato questa Commissione come vetrina personale: all'aeroporto di Catania è stata trovata ad un malavitoso una valigetta contenente una scheda col mio nome, la mia fotografia ed altre notizie relative alla mia vita; non si è capito perché queste notizie fossero accoppiate alla convocazione dell'avvocato Fabrizio Paoletti e provenissero da un ufficio del Senato (ovviamente all'insaputa del senatore). Un intreccio di cose che inquieterebbe; siccome però chi ha buona coscienza certamente non prende spavento, la questione viene affidata alla procura della Repubblica di Catania, che svolge le proprie indagini: non so a che punto sia arrivata.
L'incontro insieme con voi con Marini si svolge per la prima volta il pomeriggio del 7 maggio. È l'unica occasione in cui smetto il mio ruolo istituzionale per assumere quello umano, perché non sono venuto qui per macellare il mio nome. Vedete, come ciascuno nella vita posso ingoiare ingiustizie, ma esprimo una considerazione, e non rivolgo una maledizione: spero che ci sia un rimorso che per la vita accompagni chi ha osato pensare che io abbia avuto contatti, cioè intese, con Marini prima del 14 gennaio. Né l'interrogativo che si pone, assolutamente farisaico, attenua l'umiliante, feroce, cinica calunnia, quando è scritto nel documento: il presidente ha avuto contatti con il Marini prima del 14 gennaio 2003? Se fosse stato scritto in un romanzo dell'orrore, avrei detto: questo toglietelo perché non ci crederà nessuno; ebbene, è stato scritto.
Quindi, il 7 maggio c'è la dichiarazione di Marini e dal 7 maggio - attenzione - dei 20 soggetti auditi nessuno - dico nessuno: mi rivolgo soprattutto ai nuovi componenti della Commissione che non hanno assistito all'evolversi di queste vicende - segue le dichiarazioni di Marini. Se a questo punto Marini fosse il nostro mentore, il filone, l'Arianna del labirinto, lo avremmo seguito ed avremmo pedissequamente controllato, citandole, le persone indicate da Marini: nessuno, tranne un teste in divisa (sul quale ovviamente non c'è bisogno di spendere una parola), il maresciallo Quaresima, e solo a fini di attendibilità; 19 sono estranei al contesto.
Come se non bastasse, chi parla - e questa è sì una sfida, ma fatta senza iattanza, solo per amore di verità - dovrebbe indicare una sola occasione in cui io mi sia spinto ad essere fideiussore della attendibilità di Marini: una sola occasione. Ho detto che non siamo Marini-dipendenti, che Marini è uno dei filoni di indagine e non il principale, che Marini è
come un assegno presentato all'incasso: se provvisto di riscontri sarà sicuramente seguito nell'evoluzione dell'istruttoria, ma se questo non dovesse avvenire mi trovo nelle condizioni, assieme a voi, di non dar corso a quello che egli dice. Eccesso di prudenza? Non credo: sono le regole delle garanzie.
Allora, non essendo stato mai, in nessun senso ed in assoluto mai, il fideiussore mediatico di Marini, ho detto che l'attendibilità intrinseca non conta se non vi è quella estrinseca, i riscontri, proprio per spegnere accesi entusiasmi e pruriti di chi vuole le notizie del grand guignol a tutti i costi.
Regolarità del terzo interrogatorio: nessuno ha mai ha dato atto a questo presidente che avrebbe potuto usare anche il fatto di essere stato solo in quell'interrogatorio, il che vuol dire con la maggioranza; però, insieme con la maggioranza, c'erano i magistrati consulenti, un rappresentante delle minoranze linguistiche. Non faccio neanche per un istante riferimento alla mia lealtà, che nessuno deve osare mettere in dubbio, perché se facciamo un certo discorso dobbiamo allontanarci da ogni superbia e autoreferenzialità: in quell'occasione proprio il senatore Eufemi chiese al Marini se gli risultasse da voci correnti che c'era stato un possibile accostamento del Governo di allora con Telekom-Serbia. Sono stato nei confronti del senatore Eufemi - ed è il caso che gliene chieda scusa - piuttosto duro nel dire che le voci correnti non fanno parte delle acquisizioni probatorie, e la domanda avanzata venne respinta.
Dopo di che, che cosa è successo? Dopo i nostri interrogatori, Marini è stato trasferito all'autorità giudiziaria di Torino, nel cui imperio egli si trova. Nessuna interferenza, sebbene i poteri istituzionali potessero e possono tuttora - parlo in via di principio - consentirci di utilizzare gli stessi strumenti dell'autorità giudiziaria. Ma per un debito di lealtà istituzionale, nel momento in cui era in corso una attività dell'autorità giudiziaria di Torino, proprio perché sensibili tutti alla necessità di evitare confusioni di ruoli, ci siamo confinati, ci siamo autoregolamentati, evitando ogni iniziativa nei confronti di Marini. Insisto nel ricordare che nessuno dei 20 da lui indicati viene da noi sentito; quindi Marini resta affidato all'autorità giudiziaria che procede, per quelle dichiarazioni, a tutta una serie di atti che voi conoscete.
Passiamo quindi alla corte dei miracoli, che sarebbe quel plotone di soggetti non convincenti che vengono da noi non trascurati, ma respinti. Così Zagami, senatore Calvi: io la prego, quando parla di Zagami, di non attribuirsi un ruolo personale e protagonistico. Siamo stati insieme nel respingere le seduzioni di Zagami, e lei lo ricorderà; sono stato il primo a dire che Zagami viene guardato con diffidenza proprio da colui il quale per la prima volta ne parlò. Zagami è un soggetto che vuole un lasciapassare per uscire dal carcere e quindi rendersi uccel di bosco, come tutto lascia immaginare. Zagami ha presentato un documento pieno di errori, anche di grammatica e di ortografia, del Ministero dell'interno, ed in quell'occasione (ma il tempo passa e tutto cambia: non per me) abbiamo tutelato, senatore Calvi, l'onore di un collega parlamentare che veniva imbrattato dal signor Zagami. Abbiamo detto: la questione deve spegnersi subito perché non intendiamo, neanche per un solo istante, portare avanti quel nome, che non ripeto perché l'impianto audiovisivo è aperto.
Come Zagami, così Di Stefano, così Deiana, che manda due pacchi di documenti cui nessuno dà conto; così l'avvocato De Gori, che viene con altri nomi, che poi risulterebbero in odore di zolfo, cui nessuno dà conto; così il signor Volpe, il signor Romanazzi, il signor Garelli. Per Volpe - il senatore Consolo ricorderà - si verificò addirittura una confusione, perché si pensava che Volpe e «Fox» fossero la stessa persona, poiché «Fox» in inglese - come ci ricordava il senatore Consolo - significa appunto «volpe».
Questi signori, attenzione, che fanno parte - per quello che leggo dalla stampa - di situazioni oblique (non voglio aggiungere altro), Zagami, Di Stefano, Deiana,
Romanazzi, Volpe, Garelli, non li abbiamo mai scomodati, non abbiamo convocato nessuno, non abbiamo citato nessuno, non abbiamo mai sentito nessuno. Si dice che tra quei 18 nomi ci sono piduisti, massoni: e allora? Ci possono essere anche sterminatori di folle, ci possono essere stragisti, ma perché lo contestate a me? Quali seguiti? Questo è il problema. Il problema non è aver recepito quei nomi tra i tanti in modo inerte, ma se a quei nomi fosse seguita un'iniziativa qualunque della Commissione per introdurli e quindi legittimarli al depistaggio. Nessuno è convocato: è questa l'intesa sul piano? Ma come, ci danno quei nomi, c'è un piano: noi siamo «legittimati» a convocare quei nomi: nessuno li convoca. Ci sarà pure una ragione. La ragione è che non era questo il nostro filone, non andavamo a «fare le pulci» - espressione non elegante ma corrente - per sapere se tra quei nomi c'era qualcuno che ci poteva dare una «manina».
Attenzione: lo ripeto per i nuovi e per quelli che sono stati sempre qui presenti, che ringrazio ancora. Abbiamo audito 62 soggetti. Non è che qualcuno sia passato di qui per dire: che volete? Onorevole Minniti, lei che è stato presentato - ed a giusto titolo - come uno che si intende di queste cose, avendo noi 62 soggetti a disposizione, «infilare» qualcuno di questi era facile. Il contrabbando si può fare, perché nell'insieme dei materassi la bustina di cocaina può sempre esserci. Ebbene, di questi 62 nomi, 59 sono distinti e distanti da queste persone, due sono Paoletti e Marini, per ovvie ragioni, uno solo - Curio Pintus - non viene chiamato da noi per le indicazioni date da quei 18 nomi ma perché attratto dal processo di Lucca, e quindi chiamato solo per riscontrare le circostanze di Lucca.
Volpe sarebbe la centrale operativa: ma è possibile - me lo domando smarrito e non in modo polemico - una così violenta scomposizione della logica ordinaria? Il signor Volpe arriva nel mio studio a San Macuto il 31 luglio, di primo pomeriggio, accompagnato da un parlamentare di questa commissione, l'onorevole Alfredo Vito, e si trattiene due o tre minuti. Il signor Volpe porta con sé un pacco...
GIOVANNI RUSSO SPENA. Avrei voluto saperlo allora!
PRESIDENTE. Alla prima seduta utile lei l'ha saputo: se non c'era, non è un problema mio!
GIOVANNI RUSSO SPENA. Due giorni dopo!
PRESIDENTE. Immediatamente, da parte di tutti: insomma, questa interruzione non è pertinente, mi creda. Non voglio aggiungere altro...
GIOVANNI RUSSO SPENA. Nella prima seduta dopo il 31 luglio!
PRESIDENTE. Non c'è stata nessuna seduta: siamo partiti per le ferie. Che cosa sta dicendo? Voleva che lo dicessi a Torino? A chi? Al procuratore della Repubblica?
Non solo, c'è il seguito. Io non so chi sia questo signor Volpe. È un signore che porta un pacco di documenti; si offre di mostrarmene il contenuto. Io respingo la proposta e lo destino immediatamente alla segreteria della Commissione, dove egli consegna l'involucro e chiede ricevuta. Bastano i due o tre minuti della presenza del signor Volpe per stabilire la mia contiguità? Mi avrà infettato, non lo so; lo vedremo in seguito, come l'AIDS che nell'immediato non si vede. Certo, un fatto è storico: non ho dato al signor Volpe altro che lo spazio di un incontro fugace per consegnare dei documenti. Per me Volpe era uno sconosciuto qualsiasi, che non apparteneva certamente all'interesse della Commissione e alla conoscenza personale del presidente, perché se lo avessimo convocato ed avessimo appreso circostanze diverse, evidentemente la cosa sarebbe cambiata.
Il signor Volpe è una persona liberamente circolante, che accede a palazzo San Macuto presentando un documento,
come avviene per tutti coloro che non sono abilitati all'ingresso senza il documento stesso. Arriva da noi e a questo punto applico il regime di massima garanzia, la segretezza di quei documenti, e faccio un diniego alla stampa circa il loro arrivo. Sarebbe stato un favore fatto al signor Volpe quello di far sapere che erano arrivati documenti, per dire che il piano era già in atto...
GIOVANNI RUSSO SPENA. Diniego rispetto a che cosa, poiché non siamo ipocriti ma persone corrette? Il fatto che un commissario di maggioranza dichiara alla stampa che sono arrivati dei documenti...
PRESIDENTE. Sto parlando di me e rispondo di me: non sono il tutore del tempio o il custode. Il diniego alla stampa dell'arrivo di documenti funziona a tal punto che si doveva attuare il piano opposto: il presidente doveva far sapere, in modo fintamente ingenuo, come è stato detto da qualcuno, che erano arrivati i documenti.
I documenti vengono addirittura intestati alla disponibilità del signor Watten, convocato proprio per quel giorno. Non dimentico mai che il Corriere della sera mi ha impegnato ad una parola d'onore: ma lei è sicuro che Watten non abbia consegnato i documenti? Siccome ero sicuro, è stato facile dare la parola d'onore.
Sono documenti mai usati, onorevole Russo Spena, onorevoli colleghi, mai correlati ad alcuna domanda; mai - dico mai - all'ordine del giorno un solo punto su questa vicenda. Questi documenti hanno costituito solo un segreto del presidente fino a quando non li ha visti la Commissione come altri di seguito, e ricordo l'incidente del giorno di ritardo perché c'erano altri colleghi che evidentemente non erano messi nelle condizioni di poterli vedere. Questo è un piano o l'antitesi di un piano?
Alle conclusioni. Sia detto chiaro e forte: se si scoprissero e provassero manipolatori, noi, parti offese, saremmo pronti a richiedere la costituzione di parte civile perché ingiustamente coinvolti da chi, a nostra insaputa, ha tentato di usare - se questo dovesse essere provato - le istituzioni. Le conclusioni le affido ad una nobiltà di proposizione del senatore Righetti. Ho letto una sua dichiarazione all'ANSA e la utilizzo: riprendiamo la partita; rivediamo il modulo e se avete proposte migliorative, miglioriamolo con il dovere per tutti di rispettare tutti se il rispetto è meritato. Solo chi non fa non sbaglia. Abbiamo fatto tanto: puntiamo a finalizzarlo. Passione, competenza, onestà di intenti sono garanzie per evitare errori.
Sereno ed indenne dopo tante frecce è tornata la mia prima favola dell'infanzia, quella dell'asino che viene acquistato dal padre e dal figlio contadini e quando viene cavalcato da uno si rimprovera perché non lo cavalca l'altro, cavalcato da tutti e due si rimprovera perché si piega sotto quel peso e quando non viene cavalcato da nessuno si dice «perché l'avete comprato?». Insomma: l'incontentabilità a tutti i costi.
Ricordo - ed è la mia conclusione - che ogni tempesta lascia detriti. Liberiamo la strada per procedere con prudenza, operatività ed efficacia. Vi ringrazio (Applausi).
MICHELE LAURIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
MICHELE LAURIA. Signor presidente, le comunicazioni che lei ha reso alla Commissione costituiscono una svolta sotto il profilo della ricostruzione di alcuni fatti - non mi riferisco alla vicenda di Zagami, conclusa come lei ha ricordato - e della valutazione prudente della diversa posizione e del contributo di Marini in questa Commissione. Al di là di altre ricostruzioni che possono o meno convincere, credo che quella di oggi sia una svolta importante nei lavori di questa Commissione, che per quanto riguarda i gruppi dell'opposizione ritengo sia il caso
di valutare utilizzando una breve sospensione dei lavori. Ribadisco che è stato importante il taglio che lei ha dato e quanto lei ha detto intorno a questo personaggio, anche rivendicando la correttezza per quanto riguarda la gestione di alcune vicende che possono aver visto ambigue contiguità da cui la Commissione - dopo avere effettuato le opportune verifiche - deve prendere nettamente le distanze per evitare l'inquinamento degli organismi parlamentari.
PRESIDENTE. Non c'è nessuna difficoltà da parte mia ad accettare la sua richiesta.
GUIDO CALVI. Presidente, io non sono d'accordo; lei ha fatto una relazione e non vedo alcun bisogno di sospendere la seduta.
CARLO TAORMINA. Anche perché, presidente, vorremmo capire che cosa significa la «diversa posizione» rispetto a Marini: se l'onorevole Lauria potesse specificare ...
PRESIDENTE. Non le ho dato la parola, onorevole Taormina. C'è una richiesta da parte del senatore Lauria; visto che la richiesta non è stata appoggiata, si prosegue nella discussione.
MICHELE LAURIA. Comunque la ritiro, presidente.
MAURIZIO EUFEMI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
MAURIZIO EUFEMI. Presidente, credo che dopo la sua relazione così puntuale ed articolata vi sia una questione - oltre a quelle evidenziate dal senatore Lauria - che merita di essere esaminata proprio per quanto riguarda lo sviluppo dei nostri lavori. Lei ha toccato due questioni molto delicate, quella dei servizi e quella dei consulenti: proprio per dare maggiore libertà di espressione in questa Commissione, credo che i nostri lavori debbano proseguire senza la presenza dei consulenti e disattivando il circuito chiuso.
GIOVANNI KESSLER. Il presidente ha parlato di consulenti e di Servizi in presenza dei consulenti e con l'impianto audiovisivo attivo: come ha fatto il presidente, così possiamo fare noi.
GIAMPIERO CANTONI. Concordo sull'opportunità di una breve sospensione dei lavori, così come concordo sulla previsione di dieci minuti da dare ai colleghi dell'opposizione.
MICHELE LAURIA. Poiché alcuni esponenti della maggioranza non sono d'accordo sulla mia proposta, la ritiro.
GIAMPIERO CANTONI. Credo che la proposta del senatore Eufemi sia da sostenere.
GUIDO CALVI. La segretezza interviene nel momento in cui si fanno citazioni o riferimenti ad atti o situazioni coperte da segreto. Se qualcuno di noi si riferirà a tali circostanze, chiederà la segretazione della seduta. Il nostro è un dibattito aperto e libero e non credo vi sia necessità di coprirlo con il segreto.
Per quanto riguarda i consulenti e i Servizi, non stiamo parlando dell'uso dei Servizi dato che abbiamo semplicemente ricostruito, attraverso le date e i depositi, la storia di un atto che è pervenuto, spiegando come è giunto e come è stato utilizzato dalla Commissione. L'atto è segreto, la procedura no.
Non vi è nessuna ragione di allontanare i consulenti, perché non vi è nessun discorso che attenga alla loro onorabilità. Così come si espresso lei, presidente, possiamo farlo anche noi, quindi ritengo che la richiesta del collega Eufemi sia da rigettare perché eccessiva.
GIUSEPPE CONSOLO. Credo che la proposta del senatore Eufemi abbia un fondamento, ma non possiamo suddividerla in due parti: se ritenessimo di proseguire
senza la presenza dei consulenti, non si potrebbe rendere pubblica la seduta, perché in tal caso mancheremmo di rispetto ai consulenti medesimi che, grazie al cielo, fino ad oggi non solo non hanno demeritato, ma hanno portato un serio contributo per l'accertamento della verità.
Prego, quindi, il senatore Eufemi di ricercare una soluzione insieme ai colleghi, fermo restando che sono favorevole ad una breve sospensione dei lavori.
PRESIDENTE. Il senatore Lauria ha ritirato la proposta che lei può far propria.
GIUSEPPE CONSOLO. Ripeto di essere favorevole ad una breve sospensione dei lavori ed auspico che si pervenga ad una posizione unitaria dei capigruppo. Mi dispiace non essere d'accordo con lei, signor presidente, ma non ho mai parlato di capigruppo della maggioranza e dell'opposizione tant'è che spesso ho appoggiato la proposta del capogruppo di Forza Italia così come avevo appoggiato quella del capogruppo dei DS allorché si è ipotizzato di concludere i nostri lavori alle 18.
Faccio mia la proposta di sospendere brevemente la seduta ed invito i colleghi a valutarla positivamente.
PRESIDENTE. Sospendo brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 16, è ripresa alle 16.10.
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori.
Non concordo sulla richiesta di disattivare il circuito chiuso, perché sarebbe un atteggiamento leonino del presidente, il quale sarebbe l'unico a comunicare con l'esterno dopo aver negato ai colleghi tale diritto. Anche per cautela dico - non sono un astuto, non ho mai apprezzato Ulisse, avevo altri eroi di mio gradimento (Commenti del deputato Russo Spena) - che ciò potrebbe danneggiare la lealtà del dibattito dato che qualcuno potrebbe dichiarare di aver detto cose che in effetti non ha affermato, mancherebbe al controllo, altererebbe il dibattito e avvelenerebbe il tutto con altre frecce polemiche.
Dunque, l'impianto audiovisivo a circuito chiuso rimane attivo. Chiedo la vostra collaborazione per l'organizzazione del dibattito considerando che risultano iscritti a parlare i colleghi Bocchino, Kessler, Vito, Lauria, Eufemi, Russo Spena, Zancan, Righetti, Calderoli, Montalbano, Ziccone, Brutti, Taormina, Fanfani, Consolo, Ranieri, Calvi, Petrini, Minniti, Lusetti, Zanotti, Cantoni ed altri due. Ciò significa che con i tempi non ci siamo, che cosa proponete?
GIUSEPPE CONSOLO. La matematica non fa una piega, gli iscritti a parlare sono ventidue e se non accettiamo di parlare tre o quattro minuti a testa non riusciremo a concludere entro le 18 (fermo restando il prolungamento fino alle 18.30). Usciamo dall'equivoco adesso perché non è giusto che chi si è prenotato per primo o per ultimo abbia un trattamento diverso: o parliamo tre minuti ciascuno (me compreso) oppure riprendiamo alle 21.30 per concludere. Non credo ci siano altre proposte realistiche.
MARCO MINNITI. Considerata la rilevanza della seduta odierna, penso che la proposta più oggettiva e più utile sia quella di far intervenire innanzitutto i capigruppo e poi fare il punto della situazione. Di fronte ad una relazione impegnativa come la sua, signor presidente, dieci minuti di tempo sono pochi, ma rispetto l'accordo raggiunto in ufficio di presidenza. Ripeto, conclusi gli interventi dei capigruppo valuteremo se aggiornare i lavori ad un'altra seduta.
PRESIDENTE. Accolgo la sua proposta di fare intervenire innanzitutto i capigruppo e valutare successivamente come proseguire.
Non essendovi obiezioni rispetto a questa proposta, do la parola al primo dei capigruppo iscritto a parlare, che è l'onorevole Kessler.
GIOVANNI KESSLER. Presidente, ascoltandola oggi e anche seguendo le sue dichiarazioni dei giorni e delle settimane scorse sulla stampa e sui media, mi è venuto in mente John Belushi, Jack, dei Blues brothers, che, dovendo dare delle spiegazioni perché ha abbandonato la sua promessa sposa all'altare, comincia a dire che si è addormentato, gli è mancata la benzina della macchina, c'è stato il terremoto, c'è stata l'invasione delle cavallette; solo che quello era un film ed era divertente; qui stiamo parlando delle istituzioni e sono cose molto serie; il regista lì era un John Landis molto in forma e qui il regista ancora non sappiamo chi sia, tranne un outing, poi smentito, dell'onorevole Taormina.
Noi in realtà non siamo divertiti, siamo molto preoccupati, perché prima di tutto siamo convinti che ci sia stato un inquinamento esterno di questa Commissione. C'è stato un tentativo, riuscito, di inquinare i lavori di questa Commissione producendo una falsa pista, la pista Marini, allo scopo di colpire con la calunnia i leader politici del centro-sinistra. Ed è stato un tentativo riuscito da parte di una commissione esterna - la definirei così - formata da persone che non conosciamo ancora tutte, ma sicuramente da faccendieri, da personaggi equivoci, da pregiudicati, da persone vicine a servizi deviati, da persone esperte in falsificazione di atti. Un tentativo riuscito perché questa Commissione, per mesi, si è occupata o si è dovuta occupare del filone Marini e la politica italiana, proprio per quell'inquinamento su questa Commissione, si è dovuta occupare per mesi di un caso di calunnia.
Quello che ci preoccupa ancora di più è che questo tentativo di deviare le istituzioni per colpire dei leader politici ha, secondo noi, trovato una sponda all'interno della Commissione: qualcuno nella Commissione ha fatto da ponte tra la nostra Commissione e questa commissione esterna.
GIOVANNI KESSLER. Posso finire di parlare? Abbiamo lasciato parlare il presidente per 40 minuti tranquillamente e giustamente. Soddisferò anche le domande dell'onorevole Selva, se mi lascia finire.
GUSTAVO SELVA. Cercavo di aiutarla.
GIOVANNI KESSLER. La ringrazio, ma non ne ho bisogno.
La commissione esterna si è avvalsa della complicità, consapevole o inconsapevole, di qualcuno per riversare in questa Commissione veleni e calunnie distillati all'esterno. Non lo diciamo oggi; lo abbiamo già detto nel recente passato e per questo ci siamo rivolti, con la lettera che il presidente ha citato, al presidente stesso. Lo abbiamo fatto per avere chiarezza su questo punto, sul quale non può rimanere alcun dubbio, per fugare i dubbi sulle complicità e le strumentalizzazioni. Per questo abbiamo posto, con quella lettera e con l'allegato, delle domande precise su questioni e su circostanze assai precise. Le sue risposte, presidente, anche quelle di oggi, non esauriscono queste domande, anzi ci confermano nelle nostre convinzioni e nella nostra grave preoccupazione. Ovviamente mi riferisco alle domande che noi opposizione le abbiamo posto e non a quelle che la stampa le ha fatto, presidente, e a cui lei ha voluto giustamente dare una risposta. Non possiamo essere convinti da quello che lei ha detto oggi e nei giorni passati.
Le abbiamo chiesto come e quando abbia saputo di Paoletti e non glielo abbiamo chiesto per caso, ma lo abbiamo fatto ora, in questi giorni, perché è con Paoletti che inizia la pista Marini; l'inquinamento di questa Commissione, l'ingresso dei veleni esterni nascono con l'audizione di Paoletti. Noi, forse ingenuamente, fino a un paio di settimane fa, pensavamo che Paoletti nascesse con una lettera anonima che, come da lei ci era stato comunicato in
Commissione, era pervenuta - cito testualmente quello che lei ci disse - l'8 gennaio 2003. Lei ha confermato in successive interviste, a la Repubblica il 26 settembre, a Libero il 28 settembre, all'AGI il 4 ottobre, che fino a quel momento, cioè all'8, 9 gennaio, nessuno sapeva nulla di Paoletti in questa Commissione. E noi l'abbiamo sempre presa per buona, perché il presidente, non alla stampa, ma in Commissione così ci aveva detto.
Questo naturalmente valeva per noi ma non per lei perché poi ha fatto delle dichiarazioni completamente diverse, più dichiarazioni una diversa dall'altra, e oggi ne apprendiamo una ulteriore. Ha detto a Il foglio il 27 settembre - cito testualmente - «Quando arriva il primo anonimo, con oltre un mese di ritardo - e questa è la prova che non c'era una regia - convochiamo Fabrizio Paoletti». Ma come «con oltre un mese di ritardo», se è arrivato l'8?
PRESIDENTE. Un mese di ritardo dall'arrivo. Non faccia l'Accademia della crusca, la prego! Sono così ingenuo o stupido?
GIOVANNI KESSLER. Lei dice nell'intervista «Abbiamo voluto riflettere». Non dice «A prova della buona fede della Commissione che, appena arriva un anonimo che indica Paoletti, subito lo sente». Dice a Il foglio «Ci abbiamo riflettuto un mese». Lei ci ha riflettuto un mese, non noi, perché a noi in Commissione è stato detto - ed è un atto pubblico - che era pervenuta l'8 gennaio e noi, prima di quel giorno, non sapevamo, non solo della lettera, ma neanche dell'esistenza in vita di un certo avvocato Paoletti. Noi non abbiamo avuto neanche un secondo di tempo per riflettere perché il 9 abbiamo deciso tutti insieme di sentirlo; solo che lei lo sapeva già da un mese, come dice a Il foglio, e noi non lo sapevamo.
Ma non basta, presidente, perché lei già lo sapeva di Paoletti; anzi, veniamo poi a sapere dal consulente dottor Longo, e successivamente da lei da Belgrado (ce lo dice soltanto il 2 ottobre, per cui è una versione ad aggiustamenti successivi) che sapeva di Paoletti già da novembre. Quindi, da gennaio si è passati a dicembre e poi a novembre, quando lei avrebbe incaricato il dottor Longo di effettuare delle indagini per sapere chi fosse questo avvocato Paoletti e di fare degli accertamenti su di lui.
Lei ha tirato fuori la storia dei consulenti: noi siamo perfettamente d'accordo che il presidente usi i consulenti; sono qui apposta e ci mancherebbe altro che il presidente non li usasse! Il punto è che lei ha dato incarico a Longo di fare verifiche su Paoletti: allora lei già sapeva dell'esistenza di Paoletti e della pista Marini! Quando poi lei riceve la risposta, con un appunto scritto del consulente, se lo tiene e non ce lo comunica; quell'appunto scritto non è agli atti, né prima né dopo, per cui lei ha svolto indagini su Paoletti a novembre; non ce ne ha comunicato l'esito e non ci ha nemmeno detto di averle fatte e, quando è arrivato l'anonimo ci ha detto «È arrivato ieri; non ne so niente», mentre invece da più di un mese lei indagava su questo.
Sentiamo anche parlare di casella manomessa e quant'altro a proposito dell'arrivo di questo Paoletti in Commissione.
PRESIDENTE. Non ho mai detto «casella manomessa».
PRESIDENTE. Ho fatto un'ipotesi tra tante. Non mi faccia dire cose che lei solo spera di udire.
GIOVANNI KESSLER. L'ho letto sull'agenzia, presidente. Comunque avrà venti minuti di replica.
PRESIDENTE. In questo momento scade il suo tempo: la prego di concludere.
GIOVANNI KESSLER. Spero che qualche mio collega mi ceda il suo tempo.
PRESIDENTE. In questo modo, poi sarà difficile disciplinare il collega che non avrà più il tempo.
GIOVANNI KESSLER. Non posso concludere entro i dieci minuti.
PRESIDENTE. Abbiamo contratto un impegno. Se cominciamo così non ne usciamo più.
GIOVANNI KESSLER. Userò il tempo di qualche mio collega, presidente.
PRESIDENTE. Se uno dei suoi colleghi rinuncia a parlare, lo dica subito, perché poi non potrò togliere la parola a chi lei crede le abbia ceduto il tempo.
GIAMPIERO CANTONI. Rinuncio a due minuti del mio tempo.
PRESIDENTE. Il senatore Cantoni le cede due minuti: la prego di concludere. Anche il senatore Bonavita le cede il suo tempo.
GIOVANNI KESSLER. Allora dispongo di due minuti più dieci.
PRESIDENTE. Il senatore non ha dieci minuti, perché non è capogruppo.
GIOVANNI KESSLER. Non ha dieci minuti?
PRESIDENTE. Non avete detto questo?
PIERLUIGI PETRINI. Abbiamo detto che prima sarebbero intervenuti i capigruppo e poi gli altri.
GIUSEPPE CONSOLO. La proposta Minniti è stata approvata da tutti noi: dieci minuti per ogni capogruppo.
PRESIDENTE. Continui, onorevole Kessler, visto che sta usando il tempo del senatore Bonavita.
GIOVANNI KESSLER. Non possiamo credere, signor presidente, alle versioni contraddittorie diverse che lei ci dà su uno stesso fatto, versioni che poi finiscono - come vedremo con Marini - tutte con una telefonata anonima - di cui ha parlato anche Longo - ricevuta da lei provvidenzialmente solo il 2 ottobre, dalla quale arriva il nome di Paoletti.
Noi le contestiamo, presidente, di avercelo tenuto nascosto, di avere utilizzato presunte telefonate anonime per svolgere delle indagini che non sono mai state comunicate alla Commissione.
Le abbiamo chiesto come abbia saputo di Marini e non glielo abbiamo chiesto per caso: non ci interessava tanto sapere perché avesse fatto a Paoletti la domanda su Marini, quanto che cosa sapesse di Marini prima che arrivasse in questa Commissione.
GIOVANNI KESSLER. Non le credo, signor presidente.
PRESIDENTE. Ci sarà un giorno in cui si vergognerà di averlo detto. Più di questo che posso dirle!
GIOVANNI KESSLER. Signor presidente, non mi devo vergognare. Però vorrei continuare ed argomentare queste mie affermazioni, se posso.
Le abbiamo chiesto come abbia saputo di Marini, perché lei, signor presidente, fino a qualche settimana fa ha dichiarato che di Marini ha saputo dall'esame di Paoletti in aula. Poi, quando scopriamo che non è così, dice di averlo saputo da un'informazione verbale avuta dai consulenti alla vigilia dell'audizione; poi veniamo a sapere che lo ha saputo da Longo il 10 dicembre. Alla fine di novembre lei incarica Longo e il 10 dicembre Longo le riferisce di Marini. Allora lei già indagava su Marini! Ultima la provvidenziale telefonata anonima al presidente, a novembre, che parla di Marini e di Paoletti.
Non possiamo credere a queste versioni che continuamente cambiano, ogni volta sono smentite, e alla fine giungono alla telefonata anonima.
Il culmine è con Persen e Tomic: signor presidente, noi non le abbiamo chiesto solo come facesse a sapere i nomi, e comunque la spiegazione non può andare
bene perché prima ha detto che ne avevano parlato i consulenti, ma i consulenti non potevano averglielo detto con riferimento alle indagini in corso su Paoletti. Poi Longo nega di aver fatto quei nomi a L'Espresso e successivamente si corregge e dichiara «Sì, io feci questi nomi al presidente, perché era giunta una telefonata anonima in Commissione».
Oggi, signor presidente, lei ha evocato un suo informatore anonimo - sarebbe bene sapere chi sia - che le fa questi nomi come i sei di Milosevic. Cosa vuol dire, signor presidente?
E poi i sei di Milosevic: lei non ha fatto solo i nomi di Tom Tomic e Zoran Persen; lei si è dimostrato a conoscenza di una circostanza fondamentale il 14 gennaio, quando ha chiesto a Paoletti «Lei, signor Paoletti, nel settembre-ottobre del 2001, si trovava a Zurigo?». Avuta risposta positiva, ha aggiunto «Era con Tom Tomic e Zoran Persen?». Come faceva - e su questo non ha risposto - a sapere che Paoletti era a Zurigo nel settembre-ottobre del 2001 con Tom Tomic e Zoran Persen? Non è una circostanza da poco, perché proprio Marini il 19 maggio riferirà questa stessa esatta circostanza e dirà che quello era l'episodio iniziale del riciclaggio della tangente di Mortadella e di Ranocchio.
Allora lei, presidente, già il 14 gennaio sapeva che cosa Marini avrebbe detto, conosceva una circostanza che Marini porterà a fondamento della pista delle tangenti. Chi glielo aveva detto? Il suo misterioso informatore e telefonatore? Lei non ha risposto su questo.
Signor presidente, con le sue contraddittorie risposte o non risposte che si rifanno a misteriosi informatori ci conferma nell'opinione che lei, quando Paoletti arriva in Commissione, già da un mese - lo sappiamo per sua ammissione - indagava su Paoletti e Marini senza dircelo né prima né dopo, e già sapeva quale sarebbe stata la pista che poi sarebbe stata introdotta e che Paoletti - questa è la mia convinzione - è stato chiamato in questa Commissione per avere uno schermo per introdurre Marini, per introdurre i veleni in questa Commissione.
Vi è poi un altro episodio, signor presidente, quello del 31 luglio: anche qua, non le contestiamo di essersi «infettato» per avere visto Volpe due minuti. Per carità! Chiunque viene e deposita documenti, specie se accompagnato da un commissario, va ricevuto e si ricevono i documenti. Il problema è un altro: prima di tutto non era uno sconosciuto qualsiasi per lei, questo Volpe, come lei oggi ha insistito a dire; era tutt'altro che sconosciuto! Lei già il 14 gennaio chiese a Paoletti se conoscesse Volpe.
GIOVANNI KESSLER. Uno dei nomi indicati a lei dai consulenti come quella banda di malfattori e pregiudicati indagati a Napoli per i reati più diversi. Viene addirittura messo in guardia dal suo consulente sull'attendibilità di quella persona. Non era uno sconosciuto qualsiasi.
PRESIDENTE. E chi gli ha dato la patente di attendibile?
GIOVANNI KESSLER. Ma neanche di sconosciuto, signor presidente. Lei sapeva chi fosse, sapeva che era inattendibile e che cosa fa? Prende i documenti. Noi non diciamo che non dovesse prenderli o che dovesse rispedirlo a casa; le contestiamo una cosa ben diversa, prima di tutto che lei non ce ne ha dato notizia; ce ne ha dato notizia dopo la riunione dell'ufficio di presidenza. Quel giorno stesso - lei lo sa benissimo - ci fu una riunione dell'ufficio di presidenza durante la quale non ci informò dell'esistenza di quegli atti, che erano importanti perché - lo sappiamo tutti - in essi era contenuto il documento bancario con il nome «taroccato» di «Mortad», su uno e di «Ranoc» sull'altro.
E che cosa succede quel giorno, signor presidente? Questo è ciò che le contestiamo e su cui vorremmo una risposta che non abbiamo avuto oggi. Lei stravolge di sua iniziativa i lavori della Commissione e in tutta fretta strumentalizza la sua carica per andare a sentire Marini pochi giorni dopo. Che cosa è accaduto in quelle
ventiquattr'ore, visto che il giorno prima avevamo già deciso di non sentirlo fino ad ottobre? Noi glielo chiediamo insistentemente, il 31 luglio, e lei non solo non ci dice che sono arrivati i documenti ma, proprio perché sono arrivati quei documenti ...
PRESIDENTE. Ma se non erano arrivati!
GIOVANNI KESSLER. Sono arrivati il 31, signor presidente.
PRESIDENTE. Il 31 dopo la seduta. Lei sta dicendo una cosa non vera.
GIOVANNI KESSLER. Il 31 la decisione è stata presa alle otto di sera, presidente.
PRESIDENTE. Ma se lei non c'era! Che cosa sta dicendo? C'erano due sole persone!
GIOVANNI KESSLER. Io c'ero e mi ricordo.
GIOVANNI KESSLER. No, presidente, non ho ancora finito.
GIOVANNI KESSLER. D'accordo, in un minuto cercherò di concludere.
Perciò, signor presidente, le contestiamo anche il fatto che a Volpe sia stato dato ben altro che semplice credito: sulla base di quei documenti lei si è precipitato a portare la Commissione a sentire Marini. Per cui, non possiamo pensare che lei non fosse a conoscenza dei veleni che si stavano distillando fuori; riteniamo che lei, introducendo il Paoletti, facendogli delle domande, sapendo in anticipo che cosa avrebbe detto poi Marini e strumentalizzando i lavori della Commissione - mi riferisco al 31 luglio - abbia facilitato l'ingresso di questi documenti e della pista Marini in Commissione.
GIOVANNI KESSLER. L'altra persona, per rispondere...
PRESIDENTE. No, non risponda più: non siamo qui per un suo monologo. Lei ha parlato per i suoi 20 minuti, e sono trascorsi.
GIOVANNI KESSLER. Cito solo un nome: voglio dire che non riteniamo che lei sia l'unico membro di questa Commissione cui vada mossa questa contestazione; l'altro membro della Commissione, per motivi facilmente intuibili e che saranno spiegati dai miei colleghi - rinuncio a farlo io - è l'onorevole Vito.
GIUSEPPE CONSOLO. Presidente, cercherò di restare nei limiti di tempo stabiliti in modo civile e corretto, come abbiamo fatto sempre in questa Commissione, ed anche adesso dopo che l'onorevole Minniti, per la prima volta nostro collega in Commissione, ha dato un segno di signorilità disatteso dai colleghi del suo stesso schieramento politico (Commenti). Colleghi, non ho interrotto nessuno e pretendo - scusate l'espressione - lo stesso trattamento.
Credo, presidente, che lei si trovi in una situazione veramente singolare. Volevo iniziare il mio intervento dicendo che la sua « difesa » era assolutamente ultronea, per usare un termine caro a noi avvocati, perché lei non si doveva assolutamente difendere da nulla. Non ci possiamo difendere dalle voci malevole che sono al di fuori della Commissione, la quale ha sempre proceduto in modo corretto, all'unanimità, tranne le due volte che lei ha citato, in 15 mesi di lavoro. Ci sono stati 62 auditi; tutti - tranne Marini e Paoletti - totalmente estranei a questi fatti. Nessuno di noi commissari ha mai eccepito alcunché, non perché distratto, sui perché delle domande che lei poneva e nessuno si è mai neanche sognato di contestare quelle falsità che sono state dette: una fra tutti, i sette mesi in cui un fascicolo dei servizi sarebbe giaciuto prima di essere portato
all'attenzione dei commissari. Ugualmente false sono tutte le altre circostanze ventilate - questo sì è singolare - al di fuori della Commissione.
Non riesco comprendere, anche per un fatto di educazione che mi porto avanti fin dall'infanzia, come ci si possa permettere, in una Commissione parlamentare di usare l'espressione: «Noi le contestiamo». Qui non si contesta niente a nessuno; in base all'articolo 82 della nostra Costituzione è stata istituita una Commissione parlamentare che ha il compito di indagare sulle vicende relative all'acquisto da parte di STET e Telecom del 29 per cento di Telekom-Serbia e sugli atti presupposti, connessi e conseguenti all'acquisto, da chiunque compiuti. Questo ci dice la legge istitutiva e questo noi faremo.
Capisco il disagio dell'onorevole Kessler che inizia il suo intervento richiamando spettacoli cinematografici e dando - sempre per usare un termine che degrada la giustizia a spettacolo cinematografico - giudizi in anteprima su questa o su quella conduzione. Capisco il disagio perché nelle 61 audizioni e nelle prove documentali che abbiamo iniziato ad acquisire sta venendo fuori il fulcro centrale, politico della Commissione. L'onorevole Kessler qui è un politico, non un pubblico ministero che deve sostenere una fonte di accusa, una tesi accusatoria.
Il punto politico dei lavori di questa Commissione è il perché sia stato acquistato il 29 per cento di Telekom-Serbia con denaro...
ACCURSIO MONTALBANO. Non è vero, Consolo! Sono sei mesi che dite queste cose!
PRESIDENTE. Senatore Montalbano, la prego! (Vivi commenti - Proteste del senatore Montalbano).
GIUSEPPE CONSOLO. Appena si tocca il punto dolente...
MASSIMO BONAVITA. In Italia i giornali li leggiamo tutti (Vivi commenti)!
GIUSEPPE CONSOLO... Voi insorgete! Fin dall'inizio ho l'orgoglio di aver posto (ho ancora sette minuti e ve li ciberete fino in fondo, cari colleghi!) quello che è diventato il mio tormentone: perché, perché, perché (Vivi commenti)!
PRESIDENTE. Per favore, colleghi! Se a tutti coloro che intervengono nel dibattito si fanno interruzioni polemiche non si giova alla serietà dei nostri lavori.
GIUSEPPE CONSOLO. Qui si dimenticano gli accertamenti puntualmente eseguiti e da nessuno mai contestati - non voglio arrivare alla conclusione perché riguarderà la collegialità di questa Commissione, alla quale mi onoro di appartenere - sul valore di Telekom-Serbia. Lo so che diventate pazzi dalla rabbia, ma questo è, colleghi (Vivi commenti - Proteste)!
MASSIMO BONAVITA. Bel comizio!
GIUSEPPE CONSOLO. Strillate pure, ma le cifre sono quelle! Noi dobbiamo accertare - non ho sentito finora voci in dissenso - perché quella quota è stata pagata 900 miliardi di pubblico denaro; dobbiamo accertare se in seguito sia stata svenduta nel marzo-aprile 2003 a 300 miliardi, pagabili fino al 2008 senza interessi, ovvero se quei 300 miliardi erano un valore effettivo con una perdita di 600 miliardi per le casse pubbliche. Dico «pubbliche» perché non serve tirare fuori la favoletta della Spa, che era posseduta dallo Stato per il 61 per cento per cui, in ossequio alla sentenza della Corte costituzionale del dicembre 1993, gli amministratori dovevano ritenersi pubblici perché solo formalmente «vestiti» da amministratori privati.
Solo una cosa in questo momento mi dispiace, presidente, quella di essere del suo stesso partito, perché qualche imbecille potrebbe dire: è la difesa del collega di partito. Non è la difesa di nessuno: la mia è la difesa della verità, la difesa di un galantuomo dal quale tutti noi - mi riferisco
in particolare a chi siede nei banchi più lontani dal mio - nell'intimità dei nostri colloqui non abbiamo avuto altro che parole di elogio. Se qualche critica il presidente ha avuto ciò è dipeso dall'eccessivo rigore. Bene, ben venga un garantista in questo momento.
Colleghi, ci sono momenti in cui il germe, la voglia, il seme della verità prevalgono su tutto, sugli egoismi, sulla dialettica - sacra, per carità - della politica, perché questa anima le passioni di tutti noi: ma lo voglia di verità deve prevalere. Proprio per questa voglia di verità, vi prego di andare avanti. Accerteremo la verità, non quella che fa comodo a questo o a quello, ma la verità che ci impedisce di fare processi diversi e di perseguire obiettivi differenti se non quello di accertare perché sia stato acquistato il 29 per cento di Telekom-Serbia e sia stato pagato come è stato pagato: il resto è estraneo ai lavori di questa Commissione.
MICHELE LAURIA. Presidente, devo cogliere due aspetti di questa seduta, al di là di comprensibili nervosismi e polemiche comunque fisiologiche. In sostanza, stiamo parlando, con angolazioni diverse, di un grave tentativo di inquinamento dei lavori di un importante Commissione parlamentare. Nessuno può negare che attorno a questa Commissione si sono mossi faccendieri, pregiudicati, personaggi ambigui e sicuramente ci sono stati tentativi di depistaggio: uno di essi, fortunatamente, come ricordava il presidente, è stato sventato nei primi mesi di lavoro della Commissione: si tratta del famoso Zagami. Purtroppo vi è stato un altro tentativo di inquinamento durato per molti mesi e che indubbiamente è stato catapultato in questa sede attraverso forme anomale, poco ortodosse, come le lettere anonime. Non mi addentro nelle ricostruzioni: ho sempre parlato di «manine», di regìe occulte: a proposito della prima lettera anonima, partita da Fiumicino, poiché esistono telecamere nelle sale in cui si trovano le caselle postali, si potrebbe anche risalire attraverso i filmati a chi il 4 dicembre ha imbucato la prima lettera anonima. Ma, ripeto, non voglio soffermarmi su questi aspetti già abbastanza sviscerati.
Per quanto riguarda il capitolo Marini, per l'opposizione era già chiuso nelle sue prime pagine. Apprendo che con lettera pervenuta ieri sera - e non frequentando questa volta i corridoi della Commissione - il signor Volpe (altro personaggio chiacchieratissimo) prende le distanze da Marini. Ho gradito, a parte le ricostruzioni del presidente, che egli abbia rigettato e rigetti tuttora questi tentativi di inquinamento; allo stesso tempo, anche a Torino, a quanto si sa da notizie di stampa che ritengo siano attendibili, si sta avviando un ulteriore filone di indagini per risalire ad eventuali suggeritori.
Per noi il capitolo Marini quindi è chiuso. È sempre stato detto da parte nostra che si trattava di un personaggio inaffidabile, inattendibile. Non è chiuso però il problema di chi stia dietro Marini, né quello di come, ed in cambio di che cosa, si sia attuata questa vicenda. Sapere chi si è prestato come strumento di una vile e volgare aggressione ai massimi leader politici dell'opposizione, immettendo nel circuito democratico veleni che tendevano a squilibrare il confronto politico in una democrazia moderna, rappresenta una curiosità che purtroppo ci vogliamo togliere: è questione di giorni, e ce la toglieremo.
Stia tranquillo il senatore Consolo. Si apre l'altro capitolo, su cui ci confronteremo, quello delle valutazioni politiche e dei rapporti con la Serbia. Sento in giro che ci sono troppe mistificazioni e troppe rappresentazioni semplicistiche, come se alcuni personaggi in Italia si siano svegliati nel 1996 e abbiano dato credito a Milosevic. Avremo modo di aprire questo capitolo e vi preannunzio che anche esso prevede la demolizione di alcuni costruzione ambigue, mistificatorie e che non corrispondono alla realtà.
Questo era quello che volevo dire, signor presidente. Devo confessare che non mi convincono alcune sue ricostruzioni, di cui però riconosco la buona fede. Resta ferma l'anomalia delle lettere anonime che hanno messo in moto questa vicenda da basso impero. Il fatto però che molti
ambienti della maggioranza, serenamente e responsabilmente, vogliano escludere tentativi di inquinamento dei lavori della Commissione e prendano le distanze da alcuni passaggi, alcuni consumati in buona fede, mentre per altri spero che vi sia stata altrettanta buona fede, consente a tutti noi di ricondurre i nostri lavori nell'alveo del principio istitutivo della Commissione, che non doveva essere un randello politico ma uno strumento di chiarezza.
GIAMPIERO CANTONI. Sarò molto breve, signor presidente, anche perché voglio lasciare alcuni minuti all'onorevole Taormina e all'onorevole Vito, che sono stati tirati in ballo dall'onorevole Kessler e credo quindi abbiano il diritto e anche il dovere di replicare.
Non farò quindi accenni polemici, anche se ritengo che siano state dette cose molto gravi che fanno pensare ad inquinamenti; a mio avviso, invece, elementi quali date, telefonate, o altre situazioni rientrano in qualche modo nell'andamento fisiologico di una Commissione di inchiesta. È chiaro infatti che intorno ad una Commissione di inchiesta gravitano fattori di questo genere. Noi stiamo indagando su vari aspetti: l'acquisto del 29 per cento di Telekom-Serbia, la sua valutazione, la sostituzione repentina ed ingiustificata di Pascale ed Agnes con uomini come Tommasi di Vignano, vicini all'onorevole Micheli e quindi sodali dell'onorevole Prodi, un prezzo elevatissimo più volte richiesto verso l'aumento da parte di una società internazionale, un contratto discusso tra le varie ed eventuali, quindi contro il codice civile, in due o tre minuti; una modalità che come tecnico ritengo estremamente grave, consistente nell'aver acquistato una rete obsoleta e di valore molto basso senza avere effettuato neppure una due diligence. Questo è uno degli aspetti che implicano poca trasparenza e di cui è difficilmente sostenibile la correttezza.
Considerazioni analoghe valgono per la commissione pagata, che si ritiene elevatissima. Ricordo che l'ambasciatore Bascone inviò 14 telegrammi per sconsigliare l'affare, dando già allora un'indicazione politica chiara nel senso che esso avrebbe favorito un dittatore come Milosevic.
Questo è l'aspetto fondamentale del nostro compito. Nelle 62 audizioni che abbiamo svolto (lei ha fatto bene, presidente, a ricordarlo) nessuna ha riguardato i famosi nomi evocati come se vi fosse un inquinamento o un burattinaio.
Il gruppo di Forza Italia, presidente, le riconosce trasparenza, correttezza, capacità di conduzione dei lavori della Commissione con estremo rigore morale ed etico. A nome del mio gruppo, quindi, le rinnoviamo la nostra piena fiducia per il suo operato. Certo, quando si agisce in un ambiente fosco, paludoso come quello dell'affare Telekom-Serbia, che presenta i chiari segni di scarsa trasparenza e di malavitosità evidenziati in questa sede da parte di alcuni auditi, alcuni schizzi di fango possano volare, come è tradizione di Commissioni di inchiesta come questa, che sono a volte circondate da personaggi non certo trasparenti, da pregiudicati o faccendieri.
In questa Commissione si è parlato di tangenti e dobbiamo indagare su questo. Ho raccolto tutte le mie dichiarazioni e fin dal primo momento ho detto che Marini era un teste da valutare e la sua attendibilità, da parte mia e degli altri colleghi di Forza Italia, non è mai stata presa in considerazione. Ricordo che il direttore de la Repubblica, Ezio Mauro, ha fatto partire questo scandalo e ha portato in seguito avanti la teoria dell'inquinamento e del burattinaio; ebbene, pochi giorni fa, nella trasmissione Primo piano su RAI Tre, ha dichiarato: «Sono corse delle tangenti; il Governo non poteva non essere a conoscenza di questa iniziativa così carica di implicazioni internazionali».
Ricordo inoltre che STET e Telecom erano aziende possedute nella loro maggioranza dal Tesoro e quindi direttamente riconducibili ad una responsabilità politica del Governo. Non voglio tuttavia fare polemiche ma dire che le sue argomentazioni, presidente, mi hanno convinto. Riteniamo che la Commissione abbia agito, nell'ambito delle sue competenze, nel modo più corretto. Rigettiamo quindi le
falsità talvolta evocate e le confermiamo la nostra fiducia, presidente, ricordando che siamo eletti dal popolo e che il nostro vero dovere è quello di dare una risposta a tutti gli italiani su questo affare, che a mio avviso presenta gravissime situazioni di malavitosità.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor presidente, penso che questa seduta debba rappresentare la fine di un ciclo della vita di questa Commissione e l'apertura ineludibile e necessaria di un altro ciclo. Ogni continuismo sarebbe per l'esistenza di questa Commissione bicamerale una sorta di accanimento terapeutico. Quella di oggi è una seduta altamente politica, di cui non ci sfugge certamente l'importanza. Penso quindi si debba rispondere con una dichiarazione politica, per quanto breve, alla sua relazione, di natura molto politica.
Penso - e non è la prima volta che lo dico - che esista una sorta di «commissione parallela»: uso termini pesanti, ma voglio essere preciso. Non è in gioco un problema di onorabilità personale del presidente, che per quanto mi riguarda non è in discussione; peraltro, colgo con interesse, sperando di non sbagliarmi, alcuni accenti della sua relazione che mi pare prendano le distanze da un teste come Marini. Mi auguro che su questa linea si continui a discutere e a confrontarsi.
Credo però che il problema sia diverso e molto più grave e riguardi la funzione, l'utilizzo che è stato fatto della Commissione parlamentare. Lo sostengo fin da giugno, e a questo punto la misura è davvero colma ed occorre una svolta. Sono stato fra i pochi parlamentari - è inutile appuntarsi medaglie sul petto e poco elegante sottolineare che l'avevamo detto - ad aver votato contro l'istituzione di questa Commissione, anche se non erano attaccati leader del mio partito: il motivo è che a mio avviso in questa Commissione c'è un vizio d'origine, cioè che non poteva non diventare un verminaio, come mi sono permesso di sostenere durante un dibattito televisivo con l'avvocato Taormina, essendo scaturita da una torsione emergenzialista e da una volontà ricattatoria a mio avviso chiara da parte di forze della maggioranza e concepita e strutturata come una mazza ferrata calata sulla testa di alcuni importanti leader dell'Ulivo e dell'opposizione. Aggiungo - il collega Taormina mi ha aiutato a renderlo chiaro - che essa rappresentava una spada di Damocle sospesa sulla testa del Capo dello Stato; «calata» e «sospesa»: notate la differenza nell'uso dei verbi.
Questa è una grave mutilazione dell'ordinamento costituzionale e dello stesso regolamento parlamentare. Tutti abbiamo fatto parte di una Commissione bicamerale di inchiesta e sappiamo che si tratta del punto più alto della funzione ispettiva e di inchiesta di un parlamentare, di critica, di controllo di legalità. Un organismo del genere deve mantenere una sobrietà ed un equilibrio molto forti; ad esempio, è molto delicato il rapporto con la magistratura. Sono stato presidente di comitati della Commissione antimafia e so benissimo che quando vi sono inchieste in corso sia da parte di una Commissione con poteri inquirenti come la nostra sia della magistratura possono sorgere problemi. Invece in questa sede - spiace dirlo - si sono accumulati i peggiori detriti che restavano ai margini della democrazia progressiva di questo paese. Sono tornati piduisti, membri di apparati paralleli, affaristi politici.
Quello che è grave (questo è il punto, altrimenti avremmo avuto altri casi in altre Commissioni durante questi anni) è che questi soggetti sono diventati agenti attivi dei lavori della Commissione, una sorta di commissari aggiunti, nascosti, occulti. È da giugno che come opposizione denunciamo questo degrado, un malessere istituzionale, un disagio che in qualche modo crescevano: l'abbiamo fatto anche in occasione del dibattito sulla proroga della nostra attività. Siamo stati costretti, dopo ripetuti ed inutili confronti, ad approfondire - lo rivendico - la nostra comune capacità di controinchiesta. Questo non deve offendere nessuno, presidente: siamo stati costretti a ricorrere ai dossier citati dal collega Kessler. Abbiamo aumentato la nostra capacità di controinchiesta rispetto
a quello che la Commissione faceva ed è bene che ora si faccia il punto politico della situazione al ritorno da Belgrado. Stanno naufragando false prove e false testimonianze.
Credo che gli incauti giudici che avevano già emesso sentenze sui quotidiani e sulla stampa siano in qualche modo allo sbando. Per questo sono molto nervosi. I castelli di carta crollano al primo stormir di fronda, diceva il poeta, ma non ci fermeremo. In base all'articolo 1 della nostra legge istitutiva abbiamo ora il compito ed il dovere di indagare sull'identità di chi ha depistato e di chi depista. Si tratta di una attività pregiudiziale affinché i lavori della Commissione possano continuare con trasparenza e correttezza democratica.
È chiaramente emersa l'esistenza di una vera e propria organizzazione dedita alla costruzione di false prove e dossier per una campagna di criminalizzazione degli avversari politici; è su questo aspetto che chiedo si verifichi una discontinuità, una svolta. L'ufficio di presidenza della Commissione ha finora stroncato questo lavorio illegittimo ed illegale che avveniva fuori, dentro, sopra, sotto e accanto alla Commissione? Ha rappresentato un argine sufficiente oppure è stato travolto, coinvolto, usato? La mia cultura democratica e di costituzionalista mi insegna che quando un presidente di Commissione pronuncia parole come quelle del presidente Trantino in un'intervista a la Repubblica («Hanno forse usato la mia faccia») si tratta di un fatto grave: sono parole pesanti come pietre, che vanno discusse fino in fondo in Commissione.
Forse vi sono stati componenti della Commissione che talvolta hanno avuto atteggiamenti impropri, quando invece come parlamentari avrebbero dovuto avvertire il peso della loro responsabilità e quindi l'esigenza di compostezza propria di un inquirente in uno Stato di diritto che deve garantire persone innocenti fino a prova definitiva? Vi è forse chi ha confuso il ruolo di commissario con quello di consigliere fraudolento? Crediamo di aver dimostrato, insieme con altri colleghi, anche nei nostri ultimi dossier, che su alcuni punti fondamentali la gestione, da giugno in poi, è stata non equanime e non equilibrata.
Ciò è avvenuto con riferimento a capitoli importanti quali l'uso e la gestione delle informazioni, che rappresentano una base fondamentale dell'inchiesta, ed il non pieno disvelamento a tutti i commissari di fonti di conoscenza esterne alla Commissione. Oggi continuiamo a chiedere per il futuro da dove arrivino le indicazioni, da quali ambienti, perché non sia informata tutta la Commissione e come siano state utilizzate le informazioni. Se la Commissione è stata usata, sono d'accordo con il presidente Trantino, occorre che coloro che l'hanno usata vengano denunciati alla magistratura.
Propongo quindi di indagare su alcuni aspetti, anche su un anno-chiave come il 1994: ne parleremo nella prossima riunione dell'ufficio di presidenza. In definitiva, credo che chi con il suo ruolo di garanzia sovrintende al funzionamento costituzionalmente definito di questa Commissione bicamerale - parlo dei Presidenti della Camera e del Senato - dovrebbe essere investito del problema e aiutare l'ufficio di presidenza di questa Commissione affinché si attui una discontinuità, una svolta, e si possa esercitare il ruolo di garanzia reale e di trasparenza democratica.
MAURIZIO EUFEMI. Il gruppo dell'UDC si riconosce nella ricostruzione dei fatti e degli avvenimenti così come rappresentati dal presidente Trantino; una ricostruzione impeccabile, limpida, che fa chiarezza delle azioni di disinformazione portate avanti in questi giorni.
Credo che in questa Commissione siano presenti uomini con grande esperienza politica e speriamo che prevalga la saggezza, la non faziosità e che vi sia meno asprezza. Non abbiamo preso le distanze da Marini, come è stato detto, semplicemente perché non potete trovare una sola dichiarazione che da parte nostra ne enfatizzasse le posizioni. Né vi è stata strumentalizzazione su alcuno, eppure i materiali,
anche anonimi, erano abbondanti. Ma essi non sono stati utilizzati per fini di parte.
Credo che la vicenda de la Repubblica di questi giorni, puntigliosamente ricostruita dal presidente Trantino, ricordi il processo Lockheed, su cui sto leggendo un libro. A coloro che sono deboli di memoria ricordo che l'Unità pubblicò un titolo prima che si verificasse l'incontro della Commissione di inchiesta in trasferta negli Stati Uniti. Molte volte sono stati costruiti in passato castelli di carta; evitiamo che possano ripetersi situazioni simili.
Sono state fatte affermazioni gravi in ordine ad una presunta struttura-ombra che avrebbe avuto rapporti con criminali agenti dei servizi deviati. È un'affermazione che respingiamo perché ripropone la teoria tanto cara alla sinistra sui servizi deviati, che sono tali soltanto quando la sinistra stessa è all'opposizione e non al Governo. Mai una volta l'opposizione ha fatto obiezioni, nell'ambito dell'ufficio di presidenza o in Commissione, sulle audizioni o sull'uso dei consulenti; non vi è stata mai alcuna contestazione, né vi è stato un uso privato delle persone.
Ricordo che il documento prima citato sui servizi segreti fu visto per primo da un membro dell'opposizione: è agli atti e potete controllarlo. Abbiamo seguito una strada limpida, quella dell'accertamento della verità rispetto ad un'operazione che presentava anomalie. Ripetiamo: perché è stato acquistato quel 29 per cento? Perché non sono state osservate le modalità tecniche di accertamento come la due diligence? Perché è stata pagata la cifra spropositata di 64 miliardi ai mediatori, i cosiddetti facilitatori, una cifra che va ricostruita e di cui non si reperiscono le tracce perché nessuno riesce a fornire spiegazioni sul percorso che è stato seguito? Perché questi 64 miliardi sono stati pagati in base ad un contratto successivo alla prestazione? Perché, soprattutto, una azienda pubblica che ha evaso il fisco non ha fatto una operazione trasparente e ha dovuto trasferire queste somme verso paradisi fiscali anziché verso la sede legale della Telekom-Serbia?
Queste sono le domande che abbiamo posto. Vi è stato un uso democratico delle norme che governano la nostra Commissione e bene ha fatto il presidente a puntualizzare sia il rapporto con i servizi, un ruolo istituzionale, sia la funzione dei consulenti. Oggi è stata fatta chiarezza e ne prendiamo atto con soddisfazione.
GIAMPAOLO ZANCAN. A sentire la sua relazione, signor presidente, e gli interventi degli esponenti della maggioranza, sembra che non sia successo nulla. Invece è accaduto che, a partire dal 9 gennaio scorso e fino a pochi giorni fa - in cui era fissata l'audizione poi rinviata del signor Watten - si è dato corpo ad una calunnia nei confronti di alcuni dei più importanti esponenti dell'opposizione; si è dato corpo alla pubblicizzazione di questa calunnia; si è dato corpo ad un inquinamento dei lavori della Commissione che lasciano il terreno su cui deve operare la Commissione particolarmente inquinato, disastrato e di difficile utilizzazione per l'ordinato prosieguo dei lavori.
Passo ora alla dimostrazione della premessa, poiché si devono ricercare le responsabilità di ciò che è avvenuto. All'inizio di tutto questo, come sappiamo, vi è la registrazione dell'anonimo che interviene in data 8 e la sua pubblicizzazione alla Commissione in data 9; vi è una immediata e certa fuga di notizie, realizzata con un primo articolo su Il Giornale del 10 gennaio e una seconda fuga su Il Giornale dell'11 gennaio: la fuga è certa perché il quotidiano del giorno 11 pubblica anche l'incipit dell'anonimo, dato che inizia con le parole esatte dello stesso anonimo «purtroppo mi devo trincerare dietro l'anonimato...». A fronte di una fuga di notizie documentata lei, signor presidente, in base all'articolo 17 del nostro regolamento avrebbe avuto il preciso dovere di denunciare all'autorità giudiziaria.
Sappiamo in via oggettiva che questa fuga di notizie è servita alla raccolta dei calunniatori ed ha fatto da cassa di risonanza per i loro collegamenti, come attestano precisi atti processuali della Commissione che non cito per rispetto del
segreto, ma che indico nominativamente, ossia le deposizioni di Quaresima, di Marini e quelle acquisite con riferimento all'articolista de Il Giornale.
Lei conosce il contenuto della deposizione del giornalista che ha pubblicato quella fuga di notizie ed io (lo ripeto) non cito il modo in cui si è espresso il giornalista per rispetto al segreto, ma debbo dire - perché lo richiede la pubblicità - che il giornalista ha parlato non di fonti esterne al Parlamento, ma di fonti interne, per l'esattezza ha parlato di «solite fonti parlamentari».
Sappiamo anche che agli atti c'è un'agenda del giornalista, in cui sono contenuti i contatti intercorsi in quelle giornate, che in un momento non sospetto - l'audizione del maresciallo Quaresima - ho definito decisive per la verifica delle collusioni che tutti ci auguriamo vengano a galla.
Sull'agenda del giornalista ci sono i nominativi di tre commissari della maggioranza...
PRESIDENTE. Mi consenta un'interruzione usando la civiltà dei rapporti. Essendo io sovraesposto, le chiedo di precisare - e le do il consenso - se tra questi tre commissari c'è il presidente.
PRESIDENTE. C'è il presidente come cosa?
GIAMPAOLO ZANCAN. Come persona contattata. Nella giornata del 10 c'è un contatto con il signor presidente.
PRESIDENTE. Significa una telefonata come tante.
GIAMPAOLO ZANCAN. Presidente, lei ha fornito una spiegazione che a me serve: io le credo, ma ci sono tre nomi. Se i commissari leggeranno l'interrogatorio del giorno 30...
PRESIDENTE. Questo chiarisce ulteriormente, grazie. Continui la prego.
GIAMPAOLO ZANCAN. Negli atti arrivati da Torino - che questa mattina ho letto - c'è un interrogatorio del giorno 30: cito l'atto non il contenuto altrimenti violerei il segreto. In data 30 luglio il signor Marini dice: «a seguito della pubblicazione su Il Giornale appresi da una telefonata, non dico né di chi né da dove, che mi disse 'abbiamo fatto un colpo dal quale scaturiranno molti soldi'...».
PRESIDENTE. Scusi, è un giornalista che parla o è un esterno?
GIAMPAOLO ZANCAN. No, Marini parla di una telefonata ricevuta da un altro signore che gli dice se aveva visto Il Giornale, tant'è che il Marini stesso considera quella telefonata con altro personaggio che non nomina, come causale della sua telefonata a Quaresima.
A prova delle collusioni dei calunniatori c'è il fatto che tutti si muovono nelle giornate del 9 e 10 gennaio: una coincidenza cronologica impressionante che io, giunto per ultimo in Commissione, non posso non segnalare ritenendo la vostra buona fede sempre presunta. Ripeto, il giorno 9 si muovono tutti: si muove Marini che telefona a Quaresima; si muove il giornalista che contatta Marini e il suo avvocato; si crea in sostanza una certa collusione in cui nasce quella commissione esterna - della quale ha parlato il collega Russo Spena - che dovrebbe far aprire gli occhi sulla gravità del fatto. È una commissione esterna che si muove immediatamente con una tempistica ed una cronologia impressionanti ed inquina il terreno. Le fonti da cui ha attinto le notizie sono interne e non le conosciamo: ecco perché parlo di inquinamento del terreno.
Come è possibile essere costretti al segreto al punto da dover esaminare migliaia di pagine nell'archivio, incontrando le difficoltà che solo chi fa l'avvocato conosce, mentre un signore dice di avere una «solita fonte interna» che gli dà le notizie? Dobbiamo accettare una situazione del genere senza che il presidente, il quale è il primo garante del segreto, si faccia portavoce della denuncia all'autorità giudiziaria che l'articolo 17 impone?
Se si è verificata quella collusione - se volete entro nel dettaglio che è specifico, ma dovrei violare il segreto - e se questa arriva il 7 maggio... Non esprimo giudizi di merito sull'audizione di Marini, ma lei ha commesso un errore nella sua relazione, presidente, quando ha parlato di riscontri prima della verifica della verosimiglianza, posto che la Corte di cassazione ha stabilito che prima viene la verosimiglianza e poi eventualmente i riscontri (è la sentenza del 1992 che lei conosce).
Poiché quel verbale non è segretato e si può leggere su Internet, vi prego di farlo leggere ai vostri familiari, alle vostre mogli; chiedete alle persone esterne se è possibile che una Commissione d'inchiesta possa essere ingannata così. C'è una inverosomiglianza, e mi sono segnato i passaggi, visto che ora si fa macchina indietro, che bisogna accettare «come se niente fudesse», come diceva Manfredi? Ci sono tre persone calunniate nello spazio di sei mesi! Questa Commissione ha consentito la calunnia e noi dobbiamo accettare che un signore dica «ho tentato di riferire alla dottoressa Barborini questo ma non era pertinente con l'inchiesta da lei condotta». Pensiamo veramente che uno parli di tangenti da un miliardo e la dottoressa Barborini risponda che non è sua competenza? Ma per cortesia...! Un signore così va preso a calci nel sedere da qualsiasi Commissione ordinata sin dalla prima parola! È questa la colpa politica che muovo al signor presidente!
PRESIDENTE. Grazie. La parola al senatore Calderoli.
ROBERTO CALDEROLI. Utilizzerò poco tempo al fine di cederne un po' ai colleghi che mi seguiranno, riconoscendomi in quanto dichiarato dai capigruppo di maggioranza.
Ritengo che le cinque premesse alla sua relazione, in primis quella di ascoltare, siano state abbastanza disattese. Per quel che mi riguarda i chiarimenti e le informazioni date sono risultate estremamente utili a capire passaggi che forse non mi erano noti. Credo a lei, signor presidente, non a chi ha fatto contestazioni, perché non credo sia questa la sede idonea, e l'ha accusa di mentire. Crediamo al nostro presidente non perché sia di maggioranza, ma perché ha mostrato documenti capaci di circostanziare quanto diceva.
Temo anch'io un inquinamento dell'attività della Commissione, inquinamento non tanto finalizzato a riferire delle responsabilità a personaggi politici quanto a distogliere l'attenzione dalle responsabilità politiche di chi ha condotto l'acquisizione. Da parte nostra, credo si possa proseguire nei lavori e lei, signor presidente, godrà della nostra fiducia come è stato fino ad oggi.
PRESIDENTE. La ringrazio. La parola all'onorevole Bocchino.
ITALO BOCCHINO. Signor presidente, desidero ringraziarla per aver consentito questo chiarimento in seduta plenaria. Credo sia utile fare chiarezza nei rapporti fra maggioranza ed opposizione rispetto al lavoro fatto ed a quello che dobbiamo fare. Nei mesi passati abbiamo registrato una corsa ad iscriversi ai due partiti degli estremisti: quelli che pensavano che la Commissione dovesse occuparsi dell'ipotetica, grande spartizione a cui si è riferito Marini (rispetto alla quale, al momento, non c'è uno straccio di prova, di cui bisogna prendere atto), e gli altri estremisti che oggi si iscrivono al partito della grande trappola.
Se questa Commissione vuole onorare il proprio ruolo istituzionale, deve scrollarsi di dosso queste due tentazioni. Credo che si debba tornare alla correttezza dei rapporti. Sono un giovane parlamentare, ma sono rimasto sconvolto dal tono usato dal collega Kessler nei confronti del presidente Trantino. In questo Parlamento mai, dico mai, si è giunti al punto di venir meno al rispetto tra colleghi, alla correttezza anche nei toni. Forse è la deviazione professionale di chi arriva qui da pubblico ministero e ritiene di avere di fronte un imputato, di fare un interrogatorio, di stare in un'aula di tribunale. Ci si deve rendere conto che siamo in Parlamento!
L'onorevole Kessler non può puntare l'indice sul presidente Trantino dopo averci messo in difficoltà con il suo comportamento non istituzionale e nessuno di noi - tranne qualcuno ed io non condivido questi atteggiamenti - si è mai permesso di censure il comportamento di Kessler, proprio per il rispetto che deve esservi tra colleghi! Il comportamento più antistituzionale che c'è stato in questa Commissione è stato quello del collega Kessler: di questo ne siamo testimoni e coscienti! Ma nessuno ha speculato! Nessuno ha voluto speculare all'interno della Commissione.
Attenzione, lo scontro in Parlamento, come mi hanno insegnato, a volte serve per evitare uno scontro nel paese, ma non si può proseguire con lo scontro ad oltranza all'interno della nostra Commissione, né si deve calpestare il presidente in quanto tale e poi l'uomo Trantino perché la sua storia personale, professionale, parlamentare e politica ci insegna che non si può dubitare della sua correttezza istituzionale.
Sono un deputato napoletano e mai dubiterei della correttezza istituzionale di un collega come Umberto Ranieri perché, conoscendo la sua storia personale e parlamentare e vivendo nella stessa città in cui egli vive e opera politicamente, so che mai farebbe una cosa contro le istituzioni, come voi sapete che mai il presidente Trantino farebbe una cosa contro le istituzioni. Eppure avete fatto finta di dubitare per alzare ulteriormente il polverone.
Come si fa a chiedere al presidente perché ha posto quella domanda? Stiamo scherzando? Come si fa a chiedere al presidente da dove arrivano i consulenti?
GIOVANNI KESSLER. Da dove arrivano gli informatori anonimi?
ITALO BOCCHINO. Io non ti ho interrotto!
PRESIDENTE. Lei ha già parlato troppo, onorevole Kessler.
GIOVANNI KESSLER. Nessuno ha parlato troppo!
PRESIDENTE. Venti minuti non le sembra tanto?
GIOVANNI KESSLER. Tanto ma non troppo.
PRESIDENTE. Troppo era riferito al tempo, quindi stia buono e ascolti.
ITALO BOCCHINO. Non ho visto bandi di concorso per diventare consulenti della Commissione su Telekom-Serbia; sappiamo tutti come sono stati scelti i consulenti, ossia con le indicazioni dei commissari, dei gruppi, in base a curriculum, secondo le professionalità e ricordo anche che i consulenti sono stati nominati con l'unanimità dei gruppi presenti qui. Nessuno ha vinto un concorso e nessuno può tirarsi fuori di fronte alle scelte!
Quando si infangano i consulenti prima di tutto si è scorretti, perché loro non possono rispondere; a noi hanno insegnato che in Aula non si attaccano mai i funzionari perché non hanno la possibilità di rispondere. Inoltre si tratta di persone di altissimo livello professionale: anche in questo caso attingo dalla mia esperienza territoriale. Il vice questore Longo ha arrestato uno dei più pericolosi camorristi d'Europa, come è scritto negli atti della Commissione antimafia che ha sede in questo palazzo. Leggete cosa ha scritto l'Antimafia sul clan dei Casalesi e su Francesco Schiavone; controllate chi l'ha arrestato, chi si è spinto dentro un'officina con i propri uomini, mentre mancavano i meccanici, per collocare una spia satellitare sotto un'auto, chi ha seguito la moglie, chi ha scovato un bunker, chi ha portato al 41-bis uno dei più pericolosi criminali di questo paese e d'Europa! E noi lo infanghiamo e lo roviniamo? Non pensate a quando tornerà a svolgere il proprio lavoro per le istituzioni, per lo Stato, per la sicurezza dei cittadini? E questo vale anche per gli altri magistrati! Allora attenzione: ci può essere scontro e dialettica,
ma non colpiamo chi in futuro dovrà servire le istituzioni! Non indeboliamo nessuno. Pensiamo ai risultati ottenuti finora.
Per quanto mi riguarda Marini appartiene a Torino; se è un calunniatore ce lo dirà Torino, se ci sono concorrenti nella calunnia, Torino dovrà scoprire chi sono, rispettando la separazione dei ruoli tra la Commissione d'inchiesta parlamentare e le procure della Repubblica.
MARCO MINNITI. È venuto in questa Commissione, che c'entra la magistratura?
ITALO BOCCHINO. Abbiamo forse arrestato Marini? No. Alle dichiarazioni di Marini sono seguiti degli atti, abbiamo ascoltato il maresciallo dei carabinieri circa l'attendibilità, abbiamo ascoltato il magistrato rispetto l'attendibilità, dopo di che è stato arrestato. Dinanzi alla Commissione sono sfilati i manager, i quali hanno sostenuto di essere stati cacciati perché contrari all'operazione; abbiamo scoperto in che tempi tutto ciò è stato fatto; abbiamo scoperto come è stato chiesto all'advisor di alzare la valutazione, come è stata valutata la quota e come sia stata affidata la mediazione ad una società che produceva mangimi per cani, insomma abbiamo lavorato su questo filone. Cerchiamo di andare avanti, anche perché non è stata la Commissione a fare diventare Marini un eroe, sono stati i giornali. Ha sbagliato chi, all'interno della maggioranza, ha voluto fare da gran cassa alle dichiarazioni di Marini. Questo è stato sicuramente un errore, perché finché non c'è uno straccio di prova non ha alcun senso fare da gran cassa.
Però non portiamo il dibattito sulle colonne dei giornali: prima quello di chi vuole spiegare che Marini è un santo e poi quello di chi vuole spiegare che c'è la grande trappola con i servizi deviati e le solite storie che conosciamo. C'è una grande trappola? Chi può pensare che la Commissione sia correa, che lo siano tutti, un numero così alto di commissari, o il presidente con il suo senso istituzionale?
Allora io penso che, senza esaltare alcun risultato ottenuto o alcuna presunta verità o verità detta da qualcuno qua dentro, se vogliamo salvare non solo il lavoro di questa Commissione d'inchiesta, ma la Commissione d'inchiesta come istituzione parlamentare, tutti dobbiamo prendere l'occasione della relazione puntuale e pignola del presidente Trantino, con cui egli ha chiarito e ha provato che non c'è stata la grande trappola, per abbassare i toni, ripartire con il lavoro che abbiamo svolto fin qua, con le tante audizioni fatte, distinguendo le questioni politiche più di competenza della nostra Commissione da altre questioni che sono maggiormente di competenza della magistratura.
Se saremo in grado di fare questo, probabilmente riusciremo ad andare avanti e a servire l'obiettivo della legge istitutiva, altrimenti innanzitutto avremo offeso il galateo parlamentare, accusandoci l'un l'altro, e poi non avremo fatto un servizio di verità e di chiarezza al paese, dando soltanto un pasto all'esterno, a chi vuole un colpevole a tutti i costi, oppure a chi vuole una trama oscura che spesso fa comodo per nascondere la verità.
ACCURSIO MONTALBANO. Signor presidente, concludendo la sua comunicazione alla Commissione, ha espresso un auspicio citando un altro collega: «Riprendiamo la partita».
Nel corso del nostro dibattito, ho ascoltato con grande attenzione i colleghi della maggioranza e mi pare che i toni e il merito dei loro interventi siano tesi a riportare il ragionamento, il lavoro, il senso di questa Commissione verso lidi che sono diversi da quelli che la stessa Commissione ha frequentato ininterrottamente per sei-sette mesi. A me pare che ci sia un'incongruenza logica in tutto ciò. Chi qui oggi viene a dire «Parliamo del 29 per cento di Telekom-Serbia», chi qui oggi viene a dire: «Discutiamo dell'equità del prezzo, delle consulenze» deve necessariamente chiedersi cosa abbiamo fatto in questi ultimi mesi, nei quali ci si è fortemente crogiolati sulla pista Marini che non è la «pista Marini Igor, conte, consulente finanziario o altro», ma è la pista delle
tangenti, senza avvertire in tempo, con lungimiranza politica, con capacità di discernimento, dove essa potesse portare la Commissione. Questo è il punto politico.
Allora, sia detto chiaro e tondo che dalla pista Marini, dalla pista tangenti non si esce perché finisce tutto a «tarallucci e vino» e si riprendono le ragioni originarie che improntavano la costituzione della Commissione: da questa pista, che ha consentito che fossero infangati i nomi dei maggiori leader dell'opposizione in Italia, si esce se su queste questioni di merito si ritorna politicamente e consapevolmente indietro. Nessuno può dire qui e fuori di qui che abbiamo scherzato.
Le sue comunicazioni, onorevole presidente, lasciano aperti degli interrogativi che devono stare a cuore ad una Commissione che deve vedere chiaro cosa ci sia dietro e dentro la pista Marini. Abbiamo il diritto e il dovere di sapere cosa ci sia dietro e dentro. Non abbiamo il pregiudizievole intendimento di accusare il presidente, di richiamare lacune, inadempienze o quant'altro; non è questo il punto centrale, politico del nostro atteggiamento. Noi abbiamo l'esigenza di capire perché così agevolmente quella pista si sia affermata, perché così agevolmente abbia avuto udienza in questo palazzo, perché la cosiddetta «corte dei miracoli» che lei ha citato (Zagami, Di Stefano, Deiana, Degori, Volpe, Romanazzi, Garelli; mi stupisco che non abbia aggiunto anche Marini: avrebbe fatto un buon servizio...
PRESIDENTE. Perché questi non sono stati mai sentiti e Marini sì: non lo dimentichi.
ACCURSIO MONTALBANO. ...avrebbe fatto un buon servizio ai contenuti del nostro dibattito. Questa corte dei miracoli ha individuato nella Commissione lo strumento di una destabilizzazione politica e istituzionale. Di questo può non accorgersi il singolo commissario di questa o quella parte politica; può non accorgersi l'ultimo arrivato in Commissione; ma le chiedo perché non se ne debba accorgere un presidente come lei, considerato che la sua è stata salutata unanimemente, da tutte le parti politiche, come una presidenza di garanzia ed equilibrio. Questo è il disappunto che ha arrovellato l'animo di ciascuno di noi. Sono sei mesi che si parla di tangenti non anonime, di tangenti riferite ai maggiori leader dell'opposizione, quando non ancora alle più alte istituzioni dello Stato! Ecco il punto politico!
Noi abbiamo il diritto - lo chiedo formalmente - di sapere alcune cose in aggiunta rispetto alla sua comunicazione. Per esempio, lei ha detto che vi è stato un disguido: perché dovremmo contraddire le sue parole? Però questa Commissione deve sapere dove sia stato l'anonimo dal 5 dicembre 2002 all'8 gennaio 2003: chi lo ha aperto? Quando è stato aperto? A queste domande bisogna rispondere, perché è fondamentale ai fini della genesi delle sue verità in questa Commissione, laddove lei ha dichiarato in maniera aperta, esplicita e netta che questa Commissione, fino al 14 gennaio, data dell'interrogatorio di Paoletti, nulla sapeva di Paoletti e men che meno di Marini. Ma ora noi sappiamo, e lo deve sapere anche lei, che prima del 14 gennaio c'è stato un movimento, un viavai, una processione dal maresciallo Quaresima, ci sono stati un incontrarsi e scontrarsi, una circolazione di idee e di opinioni a cui non ha partecipato alcun esponente dell'opposizione, a cui non sono estranei commissari ed esponenti della maggioranza; in quei giorni e in quelle ore prendeva corpo in nuce la pista Marini, prendevano corpo l'anonimo, il riferimento allo IOR, gli articoli dei giornali. Ecco qual è il punto: perché l'opposizione in questa Commissione è stata tenuta all'oscuro di tutto quello che stava avvenendo? Ecco l'elemento di garanzia.
Ho seguito con sussiego, attenzione e ammirazione in alcune circostanze il modo in cui lei ha diretto e dirige la nostra Commissione - tra l'altro lei mi induce ad un naturale sentimento di simpatia - però qui ritengo che sia stata in qualche modo revocata in dubbio quell'alta funzione che lei deve avere e deve esercitare in funzione della mia garanzia e
non di quella del commissario della maggioranza. Intendo dire che lei deve garantire più me che il commissario della maggioranza: anche su questo bisogna fare chiarezza.
Lei ha esaurientemente risposto ad alcune polemiche insorte in questi giorni relativamente ad un documento del Sisde. Ebbene, presidente, perché non si chiede, come ci dovremmo chiedere tutti in questa Commissione, dove sia stato il documento dal 7 febbraio al 13 maggio? Non ho assolutamente motivo di non credere a quello che lei dice, anzi le dico formalmente ed ufficialmente che le credo. Ma lei, che è presidente di questa delicatissima Commissione bicamerale, non può non chiedersi dove sia stato, chi lo abbia letto, chi lo abbia avuto, per quale motivo non si sia ottemperato ad una naturale esigenza di celerità.
Oltre a questo, dobbiamo chiederci - perché dobbiamo farlo solo sui giornali o nelle televisioni? - quale sia, in tutta la vicenda, il ruolo del nostro collega Vito. Lo dico guardandolo in faccia, lo dico con chiarezza. Ci sono domande a cui bisogna rispondere; ci sono domande, onorevole Vito, a cui bisogna rispondere: lei ha accompagnato qui o è uscito di qui il 31 luglio con il signor Volpe, già conosciuto da questa Commissione. Nessuno attacca i consulenti che hanno svolto un ruolo encomiabile, hanno lavorato per fornire alla Commissione indicazioni e approfondimenti. Ma proprio questo ci dice che la Commissione non poteva non conoscere Volpe, non sapere quale fosse il suo background e cosa ci fosse alle sue spalle. Volpe era stato arrestato, era conosciuto da funzionari e consulenti della Commissione non perché si fossero incontrati ad un party, ma perché era coinvolto in inchieste delicatissime della vita politica, istituzionale e democratica di questo paese.
Ebbene, io mi chiedo: perché Volpe viene a San Macuto, accompagnato dall'onorevole Vito? E perché l'onorevole Vito, prima del 7 febbraio, data di nascita ufficiale del dossier dei servizi, riesce a divinare, con le domande al dottor Miranda, le cose che ha detto antecedentemente a quella data?
Come può vedere, presidente, le nostre non sono posizioni pretestuose. Qui è stato chiesto l'arresto dei maggiori esponenti della vita politica italiana dell'opposizione. O la Commissione è uno strumento e il suo uso è strumentale... (Commenti del senatore Eufemi). Abbi pazienza, io sto parlando di questa Commissione, del merito delle cose dette in questa sede.
In questa Commissione è stato fatto tutto questo, compresi gli attestati di credibilità a Marini, signor presidente; non da parte sua, perché lei ha voluto verificare, ma Marini è stato definito da esponenti di questa Commissione «Pico della Mirandola», «un genio della memoria», «uno le cui rivelazioni sono sconvolgenti»: su tutto questo non si può mettere un punto e a capo come se niente fosse successo. Se gli amici e i colleghi della maggioranza ritengono che facilmente si possa avanzare in questa direzione con questo modo di procedere, si sbagliano di grosso!
PRESIDENTE. Ha chiamato in causa l'onorevole Vito, che la segue nell'ordine degli interventi.
ALFREDO VITO. Darò ampia soddisfazione all'onorevole Kessler e all'onorevole Montalbano che mi hanno rivolto cortesemente delle domande. Voglio però prima dichiarare di condividere pienamente la relazione che lei, presidente, ha fatto, nella quale mi riconosco, e che credo sia un'esatta, onesta e puntuale ricostruzione dei lavori che si sono svolti in questa Commissione.
Per quanto concerne le due questioni sulle quali, in sostanza, vengo richiamato dalle dichiarazioni dell'onorevole Kessler, apparse su la Repubblica sabato scorso, e dal cosiddetto scoop di la Repubblica sui servizi segreti e su Volpe, dico subito che non ho ricevuto alcuna confidenza da parte dei servizi segreti e che non è vera neppure la seconda ipotesi fatta dall'onorevole Kessler e cioè che io, in concorso con altri, abbia potuto essere la fonte
confidenziale dei servizi segreti. Questa è anzi un'affermazione particolarmente offensiva, perché mescola un confidente dei servizi segreti, attività che certamente non mi appartiene e non mi è mai appartenuta, con l'esercizio della mia funzione di commissario parlamentare. Quindi, è un'offesa al mio onore di parlamentare, che sono certo l'onorevole Kessler vorrà trovare il modo e il tempo di chiarire, al fine anche di evitare da parte mia ulteriori decisioni al riguardo.
Si è trattato invece semplicemente di un fatto di intelligenze investigative: essendo nelle vicende degli anni 1990, 1991 e 1992 incorse in reati di sovraffatturazione numerose aziende che lavoravano allora per la SIP, che hanno continuato a lavorare per la Telecom ed hanno lavorato anche in Serbia, ad un funzionario di Telecom, il dottor Miranda, che agli atti risultava essere persona particolarmente esperta delle vicende legate alla vendita di Telekom-Serbia e ai successivi lavori, io ho formulato alcune domande relative, appunto, ai lavori che erano stati fatti da aziende per la ristrutturazione della rete, per il miglioramento delle stazioni, eccetera. Se le mie domande erano precise ed erano corredate di indicazioni e di nominativi è perché non è difficile sapere, in sede Telecom - basta conoscere qualche funzionario -, chi fossero i dipendenti delle Telecom distaccati in Serbia nel momento in cui è scattata l'acquisizione della partecipazione. Si tratta quindi di una normalissima attività investigativa che forse sorprende commissari che sono molto presenti da qualche mese a questa parte nelle stanze di San Macuto, nell'archivio, e sono diventati particolarmente diligenti nel vedere gli atti del nostro lavoro, ma che per tantissimi mesi sono stati assenti.
Quanto alla vicenda del signor Volpe, tengo subito a dire che ho incontrato verso la fine del mese di luglio del 2003 questo signore, perché un amico, un consigliere provinciale, mi aveva chiesto un appuntamento al quale è venuto insieme con il signor Volpe, che si è presentato. Lì per lì, era una persona che non mi diceva niente, però poi mi ha ricordato di essere stato segretario dell'onorevole Vairo nel 1992-1993; l'onorevole Vairo allora era presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere, era mio amico di partito e sedeva nello scanno parlamentare a fianco a me. Io che sono un buon fisionomista, ho ricordato di averlo già visto, come ciascuno di noi vede i collaboratori di altri parlamentari: li vede ma non li frequenta, non li conosce; io mai avevo parlato prima con questo signore, neppure nel 1992-1993 e non lo avevo più rivisto da allora fino a quel giorno della fine del mese di luglio.
Nello scoop di la Repubblica sono state costruite varie ipotesi e si è detto che questo signore sia stato qui a San Macuto e abbia parlato con altre persone, ma io tutto questo non lo so e sfido chiunque a dimostrare che prima di quel giorno di fine luglio di quest'anno, in cui io l'ho incontrato in un appuntamento che mi era stato chiesto da un amico che me lo ha presentato, io abbia avuto una telefonata, un contatto, un incontro con questa persona.
Questa persona mi dice di aver avuto incarico - e mi mostra una lettera, una e-mail del signor Giovanni Romanazzi, una persona già agli atti e per questo da noi conosciuta - di consegnare un plico chiuso alla Commissione. Avendomi conosciuto tanto tempo fa, lo vuole consegnare a me. Gli risposi che la cosa non mi poteva riguardare, perché essendo un documento che poteva essere di interesse della Commissione, andava consegnato alla Commissione. E questo è stato fatto!
Qualcuno mi ha chiesto se ho avuto dei dubbi. Chiedo a ogni collega della Commissione: se un cittadino vi contatta sostenendo di avere documenti di interesse per la Commissione, che cosa fate? Rispondete che non li volete o gli dite di consegnarli alla Commissione?
GUIDO CALVI. Anche tu li hai dati a lui.
ALFREDO VITO. Calvi, vai cauto.
GUIDO CALVI. Ho letto gli atti.
ALFREDO VITO. Ti rinnovo l'invito ad essere cauto. Il Volpe ha consegnato i documenti a San Macuto, quindi nella circostanza era un messo notificatore; è venuto qui, si è verbalizzata la consegna degli atti con il segretario della Commissione e gli atti sono stati messi in archivio. Ho avuto modo di consultare quegli atti la mattina dopo per pochi minuti, solo al ritorno dalle vacanze li ho guardati e non li ho ritenuti significativi per le indagini, tant'è che non ho fatto nessuna richiesta di atti istruttori né ho chiesto di discuterli. I solerti colleghi del centrosinistra, che amano esaminare le mie domande, potranno verificare che dal 31 luglio ad oggi non ho posto alcuna domanda riguardante quegli atti! Non c'è stata alcuna pratica operatività all'interno della Commissione!
Qualcuno ha detto che ho avuto un contatto con una determinata persona; sono educato ad una vecchia cultura in base alla quale le persone perbene sono libere e circolano, i delinquenti stanno in galera. Se una persona perbene che è libera e circola tale non è, la responsabilità non è certo di chi la incontra saltuariamente o casualmente.
GUIDO CALVI. È un po' semplicistico.
ALFREDO VITO. Caro Calvi, chi come te fa l'avvocato - e nell'esercizio della professione incontra tante persone, alcune delle quali possono essere anche condannate - sa bene che si può essere avvicinati da soggetti non perbene. Per quanto mi riguarda, non ho avuto nessun rapporto con questo signore prima di quell'incontro e non ho operato affinché quegli atti a noi pervenuti potessero avere valore istruttorio.
GUIDO CALVI. Glieli hai dati o no questi atti?
ALFREDO VITO. Io non ho dato nulla.
GIOVANNI KESSLER. Sono passato in archivio, collega Vito!
ALFREDO VITO. Collega Kessler, stai confondendo cose diverse, stiamo parlando del dossier Romanazzi.
GUIDO CALVI. Nel secondo incontro sei stato tu a dare gli atti a Volpe?
ALFREDO VITO. Quello a cui ti riferisci, avvenuto nella piazza, è un non incontro, non siamo riusciti neppure ad incontrarci perché nel momento in cui...
GUIDO CALVI. Stava dando l'atto?
ALFREDO VITO. Non ha dato nessun atto né mi ha dato la mano, perché prima ancora che le persone si incontrassero è arrivata la Guardia di finanza, la quale... (Commenti dai banchi dei gruppi dei Democratici di Sinistra-l'Ulivo, della Margherita-DL-l'Ulivo, di Rifondzione comunista e Misto - Si ride).
PRESIDENTE. Non credo che ridere sia un commento gentile!
ALFREDO VITO. Il Volpe ha subìto un controllo dalla Guardia di finanza e il sottoscritto - che evidentemente non poteva subire alcun controllo - se ne è andato.
GUIDO CALVI. Perché la Guardia di finanza l'ha controllato?
ALFREDO VITO. Tu sai tutto, quindi sai anche questo.
PRESIDENTE. Insomma, l'onorevole Vito deve colloquiare con voi o può continuare il suo intervento? Abbiate la cortesia di farlo parlare.
ALFREDO VITO. Tengo a dire che il signor Volpe mi aveva chiamato nel mese di agosto per lamentarsi dei massacri che stava subendo dai giornali a seguito di un atto di collaborazione con la giustizia. Poiché cercava di accreditarsi come persona perbene, mi voleva informare di aver presentato querela nei confronti di tutti i giornali e voleva consegnarmi la copia
delle querele. Il 4 settembre mi ha telefonato: è il famoso incontro avvenuto quella sera.
PRESIDENTE. Credo che sia il documento che ha rimandato di nuovo qui.
ALFREDO VITO. Perfettamente. Quella sera non ci siamo potuti riscontrare ed ho saputo successivamente che nella borsa del Volpe, sequestrata dall'autorità giudiziaria, c'erano le copie delle denunce verso i giornali. La questione è chiara.
PRESIDENTE. Grazie. La parola al senatore Brutti.
PAOLO BRUTTI. Vorrei riportare la discussione su un fatto, perché, come si dice, i fatti hanno la testa dura.
Credo che si debba arrivare ad un chiarimento altrimenti alcuni elementi della sua introduzione, signor presidente, rischiano di essere messi seriamente in discussione. A seguito di qualche comunicazione probabilmente anonima, il 29 novembre 2002, lei incarica il dottor Longo di indagare sul Paoletti. Longo, che ha esperienza nel settore dell'antimafia, si rivolge tra tanti anche alla DIA di Roma, che gli apre gli archivi. In questi trova tutto quello che si riferisce al Paoletti e all'intreccio tra Paoletti e Marini, nonché alla razza di farabutti che costoro sono; poi le informazioni vengono riversate in un documento scritto che le consegna. Presidente, desidererei che l'appunto scritto venisse fatto conoscere alla Commissione, perché credo che in esso vi sia una massa di informazioni tali su Marini e Paoletti in grado di spiegarle quale sia il grado di credibilità di costoro. Siamo, credo, al 10 dicembre 2002. Lei non dice nulla di questo fatto alla Commissione; l'8 gennaio arriva l'anonimo famoso, c'è il periodo delle indagine 9-14 prima delle conclusioni comunicate dal dottor Sbrizzi e, a quel punto, lei conosce del procedimento Paoletti-Marini per estorsione seguito dalla Barborini.
Se le cose sono come le ho descritte, lei era totalmente al corrente - molto prima dell'arrivo dell'anonimo che si riferisce ai versamenti IOR (che lei dice di aver visto soltanto l'8 gennaio) - di questi signori. Sulla base dello scritto di Longo lei sa chi sono, ne conosce la fisionomia, sa che sono coinvolti in procedimenti gravissimi per il consumo e lo spaccio di stupefacenti. Le domando in tutta franchezza: come può essere accaduto che una persona della sua esperienza e levatura abbia accolto ed accettato le deposizioni di costoro, senza preventivamente privarle di ogni e qualsiasi significato, proprio perché provenienti da persone che lei conosceva essere dei malfattori? Delle due l'una, o lei è stato distratto in quella fase (ed è la tesi che va sostenendo) oppure era a conoscenza delle cose ma non si è accorto dell'esca contenuta nel boccone che gli veniva presentato e che era molto interessante, perché consentiva rapidamente di giungere ad una conclusione politica sull'affare Telekom Serbia, mettendo sul banco degli imputati i maggiori rappresentanti dell'opposizione. Insomma ha ingoiato il boccone insieme all'amo, tanto che ora siamo a questo punto.
Occorre dunque fare chiarezza sul punto. Se lei un mese prima dell'arrivo dell'anonimo conosceva esattamente la natura degli informatori e nonostante questo non ha preso alcuna precauzione, non depone forse a favore della sua intenzionalità nel condurre i lavori della Commissione verso l'esito noto? Se le cose stessero così, proprio perché dobbiamo proseguire a lavorare e portare questa Commissione verso un esito credibile agli occhi del paese, la inviterei a riflettere sulla possibilità di proseguire nel suo incarico.
PRESIDENTE. La ringrazio. La parola al senatore Ziccone.
GUIDO ZICCONE. Avendo sentito alcuni interventi dei colleghi, non ho rinunciato ad intervenire così come era nel mio intendimento.
Non raccolgo nessuna delle provocazioni riguardanti il tono, il modo, il contenuto e liquido immediatamente una questione: non è giusto che questa seduta si
trasformi in un processo, con accuse specifiche, al presidente ed a qualche membro della Commissione.
Sono convinto, lo affermo e continuerò ad affermarlo, che il presidente ha condotto i lavori di questa Commissione nel modo in cui spesso l'unanimità della Commissione ha voluto. Ripeterò, per qualche componente che è stato graziosamente rimproverato, una cosa che sotto certi aspetti è ancor più grave e significativa: rifiuto di prendere in considerazione una discussione in cui vengono contestati ad un collega comportamenti appresi da atti provenienti da un procedimento dinanzi ai magistrati di Torino che, fatta salva la lealtà dei giudici di Torino nei confronti della Commissione, avrebbe dovuto costringere i componenti della Commissione a non fare alcun riferimento ad atti che, secondo me, dovrebbero essere ancora coperti dal segreto istruttorio.
Dico questo, signor presidente, perché nessuno vuole, può e deve impedire ad un giudice dello Stato italiano - in questo caso ad un procuratore della Repubblica - di indagare in piena libertà e con tutti i mezzi previsti dalla legge su un fatto che sarebbe obiettivamente assai grave, cioè quello che una commissione parallela o qualche bandito o i servizi segreti deviati o qualcos'altro abbia tentato - riuscendo solo in parte - a deviare o far deviare questa Commissione dall'accertamento della verità.
Colleghi, dobbiamo capire se c'è stato un errore e chi l'ha commesso in questa Commissione; è grave sospettare la buona fede o la malafede, ma ancor più grave è non comprendere quando i torti - se ci sono - appartengono a chi presiede o devono essere riconosciuti apertamente da tutta la Commissione. Forse la memoria mi inganna, ma quando si è deciso di giungere comunque e ovunque alla verità sull'affare Telekom Serbia autorizzando - perché si è rimproverato al presidente di non aver comunicato immediatamente l'arrivo di un anonimo, ma il presidente ha chiarito le date - chi presiede o chiedendo o confortando il presidente a svolgere indagini o accertamenti relativi a possibili piste indicate da anonimi, la Commissione era consapevole oppure non lo era? Se lo ha fatto consapevolmente è impossibile che oggi non vi sia più spazio per parlare di comportamenti devianti; con grande serenità e lealtà bisogna dire quello che in verità qualcuno dell'opposizione ha sostenuto, che forse è opportuno stabilire insieme cosa dovrà fare la Commissione affinché non si corrano più alcuni pericoli che sembrano esistere. Questo è il solo atteggiamento che considero plausibile, tutto il resto è provocatorio e non voglio parlare di chi ha fatto affermazioni smentite da una relazione del presidente, il quale non ha detto ciò che pensa, ritiene o ha arguito, perché ha citato date, documenti e fatti dai quali risulta inequivocabilmente che si è comportato sempre con assoluta trasparenza e correttezza nei confronti della Commissione. Partiamo da questa premessa.
Una procura della Repubblica sta cercando di capire perché, come, per quali aspirazioni e con quali fondi siano stati o non siano stati pagati coloro i quali hanno tentato di trarre in inganno la Commissione sull'affare Telekom-Serbia. Anzi, invito tutti i colleghi a non occuparsi più della materia su cui giustamente, e forse più efficacemente, sta lavorando una procura della Repubblica d'Italia. Questo lo dico non solo per il rispetto generale e costante che ho nei confronti delle indagini, ma soprattutto perché esse - da quel che capisco dal riferimento di qualche collega - dovrebbero riguardare anche qualcuno che è nel Senato, che è nella Camera, che è consulente o non lo è. Ci sono situazioni nelle quali sarebbe bene che ognuno facesse il suo dovere in assoluta serenità e tranquillità.
Solo dopo avere detto che tutto in questa Commissione si è svolto così come doveva sul piano delle scelte collegiali e con comportamenti assolutamente irreprensibili del presidente, insieme riflettiamo su che cosa è opportuno fare - questo mi è sembrato abbia detto il collega Lauria - per evitare che in futuro si commettano altri errori e prima di parlare di errori, aspettiamo che essi abbiano
l'imprimatur di qualcuno che ha portato fino in fondo le indagini, perché di depistaggi la storia italiana e la storia dei processi in Italia è piena e capire in quale direzione e da chi vengano i depistaggi non è molto facile.
Con la sua consueta ma efficacissima sintesi il collega della Lega in trenta secondi ha detto una cosa che condivido al cento per cento: non vogliamo distrarci dall'indagine Telekom-Serbia. Io penso che nessuno abbia questo fine, riconosco a tutti la buona fede ed è per essa che mi trovo pronto oggi a riflettere su che cosa occorra fare per evitare che esperienze negative - se saranno accertate come tali - debbano ripetersi in futuro, non certo per delegittimare la Commissione o la sua presidenza che si sono comportati in modo irreprensibile.
Devo dire sul piano personale che conosco da molti anni il presidente Trantino e lo ringrazio per avere avuto l'umiltà, e il senso di rispetto nei confronti dell'intera Commissione, di presentare la relazione odierna. A chi ritiene, come spesso è avvenuto nella storia d'Italia, di costringere alcuni componenti della Commissione o il presidente a venire obiettivamente a rispondere a chi si è permesso di usare anche il verbo «contestare», dico che questo non è nessun progresso verso la strada dell'accertamento della verità.
Allora, con serenità, scegliamo insieme le strade per evitare che si arrivi a commettere errori e ci si allontani dalla verità su Telekom-Serbia. Tutto il resto mi trova decisamente contrario e fermo oppositore.
GIUSEPPE CONSOLO. Signor presidente, tra nove minuti scade il termine che all'unanimità ci siamo dati. Chiedo di decidere ora come proseguiremo e le domando, se mi permette, di rinunciare alla sua replica.
GIOVANNI KESSLER. Può dirci, signor presidente, chi ancora è iscritto a parlare?
PRESIDENTE. Prenderà la parola tra poco l'onorevole Fanfani e poi seguiranno l'onorevole Taromina, l'onorevole Ranieri, il senatore Calvi, il senatore Petrini, l'onorevole Minniti, l'onorevole Alfano, l'onorevole Lusetti, l'onorevole Zanotti e il senatore Bobbio. Probabilmente concluderemo i nostri lavori intorno alle 20.30.
MARCO MINNITI. Dobbiamo completare i nostri lavori entro il termine delle 18.30 che abbiamo deciso insieme. Personalmente, ritengo che sia interesse della Commissione giungere ad una conclusione della seduta, senza che essa si sfilacci. Da questo punto di vista, abbiamo due alternative, quella di tenere conto di ciò che si è deciso precedentemente e quindi sospendere la seduta alle 18.30 ed aggiornarla nei modi e nei tempi che si riterranno più opportuni; oppure quella di andare oltre quel termine, chiedendo di andare ad una stretta.
Io penso che, nel momento in cui si è deciso di concludere entro un certo termine, esso vada rispettato. Non ritengo che si possa avere un ordine del giorno a geometria variabile, anche perché ci siamo intrattenuti più volte su questo tema ed era noto fin dall'inizio, nel momento in cui abbiamo deciso che avremmo concluso i nostri lavori odierni alle 18.30, l'ordine degli iscritti. Era quindi evidente già allora che alcuni avrebbero parlato ed altri no.
Il problema che occorre risolvere è il seguente: se si ritiene che la discussione debba proseguire in un'altra seduta, questa Commissione può farlo tranquillamente; oppure, si interrompe alle 18.30 e si assumono tutti gli atti politici di competenza delle forze politico-parlamentari. Comunque è chiaro anche a lei, signor presidente, che il dibattito non si concluderà in ogni caso in questa tornata di discussione in Commissione.
PRESIDENTE. Poiché ho acceduto a tutto, ho anche il diritto di dire la mia: si prosegue fino alla conclusione. La storia si conclude oggi. Le valutazioni politiche si definiscono oggi. Ognuno può scegliere le iniziative che crede.
GIUSEPPE CONSOLO. La decisione era stata presa all'unanimità. Sospendiamo e riprendiamo alle 21.30.
PRESIDENTE. Vi sono delle controindicazioni.
PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Fanfani.
GIUSEPPE FANFANI. Non parlerò del tema trattato, ma ne introdurrò di nuovi che credo saranno di comune interesse.
Che questa Commissione sia stata oggetto di un inquinamento evidente è pacifico, perché è stato detto da tutti e non solo dalla minoranza. Il presidente - al di là del contenuto, ho apprezzato il tono delle sue dichiarazioni - nella chiusura del suo intervento ha usato delle parole che ho segnato «Se si scoprono o si provano manipolazioni, noi saremo parte offesa e saremo stati ingiustamente coinvolti». Parole ancora più decise ha detto il capogruppo di Forza Italia, senatore Cantoni, quando ha parlato di «gravissime prove, poca trasparenza e, a volte, grave malavitosità».
GIAMPIERO CANTONI. Parlavo di Telekom-Serbia.
GIUSEPPE FANFANI. L'ho apprezzato.
E ha parlato anche di gravissime lacunose situazioni di malavitosità. Ho apprezzato anche coloro - tra cui l'onorevole Bocchino - che hanno dato atto che non vi sono prove di tangenti in questo processo o che non sono state acquisite.
Alla fine però vi è un discorso di sintesi: vi è un gravissimo inquinamento indotto in questa Commissione, del quale lei stesso, presidente, nell'intervista a la Repubblica del 27, ha dato un cenno, scusandosi e giustificandosi personalmente, dicendo «Non dovete chiederlo a me. Se ho detto qualche cosa, sono stato tratto in inganno da altre persone»: il senso era questo.
PRESIDENTE. Per chiarezza storica, hanno messo un titolo che nulla aveva a che vedere con l'intervista; hanno detto che io avrei «prestato la faccia» e alla domanda «Lei può escludere o ammettere?», come ogni persona seria e razionale avrebbe fatto, ho risposto: «Chi di noi può dirlo?».
GIUSEPPE FANFANI. Non glielo rimprovero, anzi, gliene do atto e cito testualmente le sue parole: «In questo momento non posso escludere né confermare che scopro oggi cose di cui non ero al corrente. Questo richiederà da parte mia un approfondimento interno all'ufficio». È ovvio che questa Commissione è stata oggetto di un grosso inquinamento. Lei, presidente, ha il compito di mantenere e conservare la dignità di questa Commissione e la correttezza di questo consesso, che sono state violate, non so e non voglio dire da chi.
Poiché parto dal presupposto che ella sia nel giusto quando dice di essere stato oggetto di manipolazioni esterne, è ovvio che i manipolatori vadano scoperti e se sono qua dentro vadano espunti, perché non è possibile continuare a lavorare all'interno di un consesso che desume le sue funzioni dalla Costituzione e dalla legge e che opera, secondo l'articolo 82 della Costituzione e secondo la legge istitutiva e il regolamento, con gli stessi poteri e limiti dell'autorità giudiziaria, per la quale oggi siamo particolarissimi pubblici ufficiali, consesso nel quale è pacifico che vi sono elementi di altissimo inquinamento, perché ciascuno di noi può essere oggetto di una valutazione non corretta sul proprio operato.
GUSTAVO SELVA. Questa è una sua personalissima opinione.
GIUSEPPE FANFANI. Per lo stesso motivo per il quale il presidente, in questo momento, ritiene che la sua dignità debba essere salvaguardata, noi, essendo stati soverchiati da una serie di malfattori che sono venuti qui a vendere delle verità false e a inquinare il nostro lavoro, abbiamo il
dovere di salvaguardare la dignità di tutti quei politici che sono stati oggetto di cialtronesche accuse e dobbiamo riabilitarli di fronte all'opinione pubblica, anche perché attraverso la loro riabilitazione riabilitiamo il senso di questa Commissione, la sua dignità e il Parlamento.
Fin quando non avremo la possibilità di chiarire definitivamente quali sono i canali attraverso i quali questa Commissione è stata riempita di falsità e di cialtronerie, non avremo la possibilità di togliere nulla da questa Commissione. È inutile protestare contro questa verità assoluta.
C'è un problema primario da risolvere che è quello della legittimità della composizione di questa Commissione relativamente ad alcuni commissari. Come dicevo, noi desumiamo i nostri poteri dall'articolo 82 della Costituzione e operiamo con le prerogative ed il limiti dell'autorità giudiziaria. Oggi siamo di fronte a due persone, della cui onestà non dubito minimamente, che però si trovano coinvolte in una situazione spiacevolissima: l'onorevole Vito ha avuto la disgrazia di incappare in una persona sulla cui disdicevolezza ho sentito dire di tutto qua dentro, anche da coloro che ne prendono legittimamente le distanze. Qui il problema è molto serio: non si è mai visto un collegio giudiziario nel quale possa continuare a stare una persona che abbia avuto, per sua disgrazia, la ventura di incappare in una vicenda come questa. Non voglio dare colpe a nessuno, né distribuire patenti e parto dal presupposto che tutti qua dentro siamo dei galantuomini.
Vi è poi il problema dell'onorevole Taormina, al quale, tra l'altro, sono legato da stima. Il collega Taormina ha avuto l'imprudenza di fare una dichiarazione - che il signor presidente, nell'immediatezza, cercò di edulcorare - con la quale si autoaccusava di essere il «burattinaio». Parto dal presupposto che non sia assolutamente vero, ma non è possibile non prendere in considerazione e non valutare questo problema che è serio per la stessa legittimità con la quale dobbiamo operare.
Necessariamente non possiamo fare a meno di affrontare questi due problemi, per la dignità e la credibilità della Commissione; dobbiamo sentire Volpe e, se del caso, anche gli onorevoli Vito e Taormina sulle dichiarazioni che hanno fatto. Vedranno poi i signori consulenti e i giuristi che siedono in quest'aula se ciò sia compatibile con il proseguimento della funzione. Però, bisogna sentirli, anche perché mi dicono che nel plico arrivato da Torino ci siano delle dichiarazioni del signor Volpe che potrebbero imporre un confronto con l'onorevole Vito.
Queste sono posizioni che vanno chiarite, soprattutto perché io esigo che questa Commissione abbia la pienezza di poteri e di dignità che possono darle soltanto la chiarezza dei comportamenti reciproci e la mancanza di dubbi, che, se lasciati qui, servono alla stampa per montarci sopra quei teoremi che ognuno di noi conosce.
Credo di poter chiedere a lei, signor presidente, e a questa Commissione di riabilitare le onorabilità offese qualunque esse siano, come primo passo, partendo tutti dal presupposto che vi sia stata una congerie di falsità che hanno inquinato il nostro lavoro.
Inoltre, chiedo di valutare l'opportunità di sentire, con i dovuti strumenti, gli onorevoli Vito e Taormina e il signor Volpe, al fine di chiarire definitivamente la situazione e restituire alla Commissione la dignità che io credo non abbia mai perso, ma che sicuramente, a livello di opinione pubblica, sta vacillando.
CARLO TAORMINA. Meno male che esiste una norma costituzionale che garantisce la libertà dei parlamentari, i quali, senza pregiudicare l'esercizio delle loro funzioni, hanno la possibilità di esprimere la loro opinione e di comportarsi come meglio credono. Io, rispetto alle infamanti accuse che provennero da quell'immondezzaio rappresentato dal dossier pubblicato da un quotidiano di rango nazionale, ritenni di non avere altro argomento se non quello della ridicolizzazione, attraverso un'autentica presa in giro. Le mie risposte sono state puntualmente
racchiuse nei comunicati dei giorni successivi; non ho da aggiungere altro a questo riguardo.
Se questa è la ragione per la quale si sente l'esigenza di fare passi indietro, troppi ne dovrebbero essere fatti da tanti altri nostri colleghi che invece fanno bene a combattere come fanno.
Detto questo, presidente, onorevoli colleghi, io faccio una considerazione, che è quella di ritenere, oggi come ieri, che, forse, certe giustificazioni o certe risposte che il dossier che poc'anzi ho ricordato ha, in maniera molto abile quanto scorretta, sollecitato non avrebbero dovuto essere date nello stesso quotidiano che aveva fatto quell'autentica provocazione dalla quale tutti sappiamo come abbia fatto, in seguito, marcia indietro, cambiando in tre o quattro giorni gli obiettivi ai quali riservava i suoi strali. E come credevo e credo che non si dovesse rispondere alle contestazioni che quel giornale faceva, credo oggi che non si sarebbe dovuta celebrare - per così dire - la riunione che stiamo vivendo, perché, lo dico con molta chiarezza, ci sono delle cose che a volte ci dividono, in quanto la divisione e la diversità delle opinioni è delle persone intelligenti, ma nei confronti dell'operato del presidente della nostra Commissione non c'era e non c'è da attrezzare difese o da dare delle risposte. Io ho notato una cosa: che in tutto questo dibattito non abbiamo mai parlato della sostanza delle cose; abbiamo parlato sempre e soltanto dei presunti intralci esterni, delle modalità con le quali è arrivato un documento, delle modalità con le quali sarebbe stato gestito; abbiamo parlato di tutto quello che è il contorno della verità dei fatti su cui ci si deve confrontare. Io non ho alcun interesse a conoscere quali siano le origini delle informazioni sulle quali si sono basate le attività di questa Commissione, a cominciare dalle iniziative del suo presidente, perché a me interessa che siano attività che abbiano come contenuto qualcosa di utile all'accertamento della verità e che si traducano in atti della Commissione.
Parliamoci chiaro, il settore nel quale ci siamo imbattuti attraverso questa Commissione è un settore fatto di delinquenti: delinquenti sono quelli che dovessero aver rapinato i soldi attraverso l'apparente compravendita Telekom-Serbia; delinquenti sono quelli che potrebbero avere occultato l'operazione della quale ci stiamo interessando. Mammole non ne circolano, da nessuna parte.
Allora, io vorrei soltanto ribadire la necessità di guardare alla sostanza delle cose, ai risultati ai quali siamo pervenuti. Vedete, mi piacerebbe poter dire tante cose ma faccio soltanto due osservazioni, perché il tempo è poco. Di questa Commissione non si è mai detto nulla per tanto tempo; da parte dell'opposizione mai nessuno ha alzato un dito, mai nessuno ha fatto una contestazione fino ad un certo momento. Ed il momento lo si individua con assoluta esattezza quando da parte della sinistra, da parte della opposizione ci si è accorti che la Commissione, attraverso le sue audizioni e la paziente opera del presidente, dei commissari e dei consulenti, ai quali va tutta la nostra considerazione (e insistere su questo sembra quasi una pedanteria, che potrebbe essere in qualche modo strumentalizzata), era pervenuta ad un risultato devastante. Perché possiamo discutere e discuteremo ancora del resto da accertare, ma non c'è ombra di dubbio che abbiamo dimostrato che Telekom-Serbia valeva zero lire, abbiamo dimostrato che Telekom-Serbia è stata acquistata... (Vivi commenti). Fatemi finire! È stata acquistata... (Vivi, reiterati commenti). Sono i risultati della Commissione!
PRESIDENTE. Per favore! Signori, per favore, attenetevi alle solite regole.
CARLO TAORMINA. Presidente, presidente... (Commenti). Presidente, debbono occultare la voce della verità di fronte alla stampa che sta sentendo! Capito? Questo è il discorso! (Commenti)
PRESIDENTE. Tra quelli che stanno protestando impropriamente, cioè in termini
non consentiti, ve ne sono alcuni che devono intervenire. Non sarebbe più logico, prendendo la parola, contrastare?
CARLO TAORMINA. Fino un certo punto, presidente, colleghi, tutto è andato bene a tutti, fino a quando, appunto, non si è dimostrato che l'operazione si è tradotta nel finanziamento di un boia che era già sotto processo presso il tribunale internazionale dell'Aja per la strage di Sebreniza: 8 mila morti dentro le fosse comuni erano già stati trovati... (Commenti).
GUSTAVO SELVA. Questo è un dato di fatto!
CARLO TAORMINA. Dico questo. È un dato di fatto (Vivi commenti).
Gli obiettivi dell'accertamento che noi dobbiamo compiere sono due, non è uno solo: c'è l'accertamento che riguarda questa attività in relazione al destinatario dell'apparente prezzo di acquisto; c'è l'azione relativa all'accertamento delle tangenti. Due sono i settori di intervento della nostra Commissione. Il primo settore è già soddisfatto: abbiamo ben accertato - e chi dice il contrario mentisce, contraddicendo la verità accertata in questo momento -... (Commenti). Sarà discutibile, ma gli atti dicono quello che dico io, non quello che dici tu!
PRESIDENTE. Per favore! Signori, telefonatevi se avete problemi personali!
CARLO TAORMINA. L'operazione di killeraggio, di sciacallaggio sulla Commissione e su alcuni suoi componenti è cominciata quando ancora Marini doveva venire davanti alla Commissione. Ancora questa mattina Fassino nella sua dichiarazione dice esattamente quello che dicevate a maggio di quest'anno, quando parla di persone che sono venute a dire cose palesemente false, così false che sono state tutte smontate, e quando dice che la Commissione sarebbe stata trasformata (cito testualmente) «in una clava con cui aggredire i leader dell'opposizione». Queste sono affermazioni che Fassino fa ancora oggi e che abbiamo iniziato a sentire da Lauria e dagli altri a maggio di quest'anno, quando Marini è comparso...
GIOVANNI KESSLER. Il 10 agosto...
CARLO TAORMINA. No, eccola qua: 3 ottobre. ...quando Marini è comparso sulla scena di questa vicenda. Lì è cominciata l'operazione Kessler, alla quale già si è fatto riferimento, cioè un'operazione di grave nocumento per la legittimazione di questa Commissione e su cui non voglio tornare, perché sappiamo tutti tutto quanto. Lì è cominciata l'operazione di attacco alla Commissione.
Devo dire soltanto altre due cose. La prima è la seguente: io sono fermamente convinto che Marini dica la verità; molti altri sono convinti che Marini non dica la verità; né io né gli altri siamo oggi ancora legittimati - tanto più che Marini non è stato incriminato per calunnia da parte di nessuno, per quello che mi risulta - a trarre conclusioni sulla posizione di Marini. Alla fine del percorso stabiliremo che cosa fare di queste dichiarazioni, ma ancora oggi, che si continua con questa goccia che vuole scavare la pietra, che si continua a dire che Marini è un personaggio inattendibile e inaffidabile, questa è un'affermazione che non ha possibilità di essere formulata, per l'elementare ragione che l'accertamento non si è completato. E dico un'altra cosa ancora...
PRESIDENTE. Onorevole Taormina, onorevole Taormina...
CARLO TAORMINA. Concludo subito (Commenti) Se mi fa concludere, mi fa una cortesia!
PRESIDENTE. Lasciatelo concludere!
CARLO TAORMINA. Presidente, questa Commissione deve fare varie cose. La prima è non eliminare dalla ricostruzione dei fatti nessun frammento che ne ha costituito la relativa dinamica. Voglio dire che noi non possiamo fare sconti a nessuno,
nel senso - tanto per è parlarci chiaro e con riferimento ad una polemica che è sorta nei giorni scorsi - che siccome il Ministero del tesoro era proprietario di maggioranza del pacchetto della società di telecomunicazioni, noi abbiamo il dovere, senza criminalizzare nessuno, senza attaccare ingiustificatamente nessuno, di valutare e di capire cosa sia accaduto anche dall'angolo visuale della partecipazione all'operazione da parte di quel ministero.
Dico, in ultimo, presidente, onorevoli colleghi - e qui il riferimento alla Costituzione deve essere assolutamente corretto - che ai cittadini italiani interessano due cose. Interessa sapere se è stato finanziato un boia ed interessa sapere se vi è stato il pagamento di tangenti, o, addirittura, se si è trattato della spartizione di un bottino. Entrambe queste circostanze di fatto non sono anche di pertinenza o solo di pertinenza della magistratura. Entrambe queste circostanze sono di pertinenza delle funzioni che questa Commissione deve esercitare. La magistratura farà il suo compito, andrà avanti con le sue tecniche e con le sue metodologie, accerterà tangenti o non tangenti; a noi, parallelamente, compete lo stesso compito, purché nessuno faccia sull'altro interferenze in conseguenza delle quali si possa determinare una non dico divaricazione, ma disarmonia nello svolgimento dei reciproci ruoli.
Non è vero che noi non possiamo fare accertamenti e che dovremo chiudere i lavori della Commissione in questo momento, dopo aver svolto tutte le indagini relative al finanziamento del boia. Noi dobbiamo far sapere ai cittadini italiani se, per quello che ci riguarda, è stato possibile accertare - può darsi pure che non ci riusciremo - che quei soldi sono stati rapinati dalle tasche degli italiani.
PRESIDENTE. La ringrazio. È iscritto a parlare l'onorevole Ranieri.
GIOVANNI KESSLER. Possiamo metterlo in coda?
PRESIDENTE. Sta bene. Uso nei confronti dell'onorevole Ranieri il rispetto che si deve ad ogni collega. Senatore Petrini, a lei la parola.
PIERLUIGI PETRINI. Presidente, ho ascoltato la sua accalorata, appassionata, a tratti anche orgogliosa difesa, so che lei non vuole definirla tale, ma tale comunque è apparsa. Debbo dire, conoscendola da diversi anni, che lei di solito riesce ad essere più efficace e più convincente. Non mi ha convinto l'uso reiterato degli argomenti paradossali cui lei ha fatto ricorso, del tipo «se avessi fatto parte di questo complotto, allora avrei agito diversamente e non ci troveremmo di fronte a queste incongruenze logiche o cronologiche», perché, presidente, il problema non è quello di dimostrare la sua buona fede; se questo fosse il problema, probabilmente lo potremmo risolvere molto facilmente e molto rapidamente.
Il problema è che quegli accadimenti, sicuramente inquinanti, sicuramente illogici, sicuramente inquietanti, vanno ad investire necessariamente la sua figura, non la sua persona, cui io rinnovo la mia stima, ma la sua figura istituzionale di presidente di una Commissione che porta inevitabilmente la responsabilità oggettiva di quello che è accaduto. Lei ha dato un taglio troppo personalistico, anche se capisco che è stata in qualche modo coinvolta la sua figura personale e questo l'ha sicuramente fuorviata; ma non è quello il problema e noi abbiamo il dovere di chiarire esattamente come e perché si siano svolti quegli accadimenti. Perché quegli accadimenti lasciano inevitabilmente e inesorabilmente aperta la porta al dubbio, al sospetto e anche all'illazione, a seconda della correttezza che ciascuno di noi usa nella sua analisi.
Però, signor presidente, io vado anche oltre. Le dirò che quand'anche riuscissimo a dare una compiuta spiegazione logica alle discrepanze che hanno rilevato i miei colleghi, non avremmo risolto il problema; perché il problema rimane comunque intatto, se è vero, come è vero, che questa Commissione è tragicamente deragliata nella sua funzione; se è vero, come è vero, che da questa Commissione sono usciti
ipotesi e dubbi infamanti nei confronti di rilevanti figure politiche dell'opposizione; se è vero, come è vero, che il Presidente della Commissione europea, Romano Prodi, è stato accusato di avere preso 100 milioni di euro di tangenti; se è vero, come è vero, che il segretario del maggior partito politico di opposizione è stato accusato di averne ricevuti 75 e l'ex ministro degli esteri di questo paese, ex Presidente del Consiglio, è stato accusato di averne ricevuti 50; se è vero, come è vero, che tutti, indistintamente, su palcoscenici più o meno grandi ci siamo dovuti misurare con questa ipotesi nel più assoluto disprezzo di quel segreto istruttorio cui pure saremmo tenuti; se è vero, come è vero, che questa Commissione è stata trascinata in una tragiconica missione in Svizzera; se è vero, come vero, che siamo rientrati precipitosamente dalle ferie per interrogare Marini, questo super testimone - perché tale allora veniva rappresentato -, il quale è stato, con spregio del ridicolo, paragonato alle tragiche figure di Pisciotta e di Calvi.
Se è vero che è successo tutto ciò, noi dobbiamo chiederci perché sia potuto accadere e pensare che questo possa essere un argomento superabile, un errore compiuto che va rimosso, sarebbe una tragica irresponsabilità, signor presidente. Noi dobbiamo chiederci perché ciò è potuto accadere. Perché è potuto accadere che una Commissione d'inchiesta parlamentare, una Commissione bicamerale, potesse essere parassitata da una concerto criminale quale è stato quello ordito dai vari Marini, Volpe e compagnia a briscola. Abbiamo la responsabilità di domandarci perché ciò sia accaduto e l'errore, la causa prima è molto remota, signor presidente: è nella natura di questa Commissione bicamerale, nella sua natura sostanzialmente tarata, genericamente tarata. Una Commissione bicamerale promossa da una maggioranza per indagare le azioni di governo di una minoranza. Una Commissione bicamerale promossa nel pregiudizio che vi fosse un reato penale da ravvisare... (Commenti del deputato Selva) Ciò che spetta alla magistratura, Selva, ciò che stava facendo la magistratura.
Una Commissione d'inchiesta, signor presidente, che anziché esaminare materie di interesse nazionale, come dovrebbe, secondo il dettato costituzionale, va ad esaminare responsabilità penali individuali, che sono il ruolo della magistratura. Perché è vero che le Commissioni di inchiesta hanno i poteri della magistratura, ma non ne hanno le finalità e questo è stato l'errore, signor presidente, che ha finito per travolgere tutti noi ma lei in primis, perché lei è il presidente e ne porta la responsabilità istituzionale.
Signor presidente, lei ha sbagliato, o meglio, lei è vittima di questa situazione, perché, purtroppo, la Commissione nasce con questa tara genetica. E, non rendendosi conto di questo, ha male interpretato il suo ruolo, credendo di dove essere il primo fra gli inquisitori, mentre avrebbe dovuto limitarsi ad una funzione di garanzia, astenendosi dall'indagine. Non sto dicendo una bestialità: i Presidenti di Camera e Senato non votano, anche se il regolamento non glielo vieta; i Presidenti di Camera e Senato non presentano emendamenti ai provvedimenti legislativi, anche se i regolamenti non glielo vietano; i Presidenti di Camera e Senato non presentano interrogazioni al Governo, anche se i regolamenti noi glielo vietano, perché i Presidenti di quelle Assemblee devono garantire la propria funzione e devono evitare che la propria funzione possa essere in qualche modo male interpretata, indipendentemente dalla loro buona fede, signor presidente. Questa io torno per l'ennesima volta a riconoscergliela; ma interpretando il ruolo come lei lo ha interpretato, in una situazione che era obiettivamente scivolosissima, ci siamo trovati in questa condizione. Oggi, se non fossimo in grado di fare un'analisi seria di ciò che è accaduto, saremmo doppiamente responsabili.
Rifletta, signor presidente: per sei mesi abbiamo inseguito le fanfaluche del signor Marini, per sei mesi ci siamo scervellati, ed io personalmente mi sono scervellato su improbabili documenti di garanzia bancaria, su buoni di ordini religiosi inesistenti, su rubini grossi come ciottoli di fiume; per
mesi abbiamo fatto tutto ciò e, se siamo usciti da quella melma, non è per la nostra capacità, ma soltanto perché la magistratura da un lato e gli organi di informazione dall'altro ci hanno dato - ahimè, questa è la triste verità - la possibilità di arrivare oggi a questa situazione di autocritica. Altrimenti saremmo ancora lì a dibattere se è vero il credito bancario dell'Indonesia o se esiste il rubino! Saremmo ancora a quel punto, perché è pazzesco pensare che un organo assembleare possa assolvere a questa funzione di indagine, è pazzesco, colleghi. Ed è assolutamente chiaro che siamo divisi in due fazioni, colpevolisti e innocentisti, è lampante ed è assolutamente chiaro che non possiamo arrivare ad una verità accettabile, ma soltanto ad una disputa politica che sarà sempre più barbara.
Presidente, le chiedo, proprio per la stima che ho per lei, per la sua anzianità parlamentare, per l'esperienza che ha, di riflettere, perché sarebbe davvero irresponsabile chiudere quanto è successo come se fosse un banale errore e pensare di poter continuare nella nostra azione come se nulla fosse accaduto.
MARCO MINNITI. Presidente, mi scuso con lei e con gli altri colleghi se inizio questo mio intervento trasmettendo un po' una sensazione che probabilmente deriva dal non aver partecipato ad altre sedute di questa Commissione. Tuttavia, la sensazione che ho avuto, da persona che ha seguito la Commissione in base agli atti, per quello che è apparso, per ciò che è stato trasmesso alla pubblica informazione e poi quello che ho ascoltato qui, è stata quella di trovarmi in una situazione che ha un carattere surreale, come se, ad un certo punto, qualcuno esterno a questa Commissione avesse minacciato l'autorevolezza e la forza della Commissione stessa raccontando di tangenti, di clamorose operazioni di corruzione, senza che qui si fosse prestato minimamente credito a tutto ciò che veniva detto.
Penso che noi dobbiamo ristabilire un principio, un principio elementare in politica, il principio della responsabilità. Sono rimasto abbastanza colpito dal fatto che alcuni colleghi abbiano criticato, censurato gli interventi di altri colleghi, che per esempio chiedevano conto al presidente se avesse detto in una circostanza o in un'altra la verità; come se questo, in una discussione parlamentare, rappresentasse una sorta di lesa maestà. Ma dove sta scritto? Abbiamo l'esempio recentissimo di una grande democrazia occidentale, il Regno Unito, che ha chiamato il Primo Ministro e il ministro della difesa chiedendo loro se erano vere le affermazioni che avevano fatto non su una questione particolare, ma sull'inizio di una guerra. E lì, esplicitamente, in Parlamento, ci sono stati dei parlamentari che hanno dubitato che quegli uomini di governo avessero detto la verità. Questo è un principio elementare di una democrazia rappresentativa: ognuno sa di poter chiedere la verifica e di poter essere verificato. Togliamoci dalla testa - lo dico con un atteggiamento di grande prudenza e anche di estrema umiltà - che ci siano persone che possano essere giudicate e altre che non possano esserlo.
Noi dobbiamo ricondurre la cosa al suo succo politico, che è il seguente. Abbiamo avuto per sei o otto mesi una campagna, che ha preso l'avvio con l'audizione di Igor Marini, e questi sono dati oggettivi, sul fatto che esistesse in Italia e che fosse stata scoperta la più grande operazione di corruzione del nostro paese, non dico nemmeno della storia repubblicana, perché quando si parla di tangenti da 200-400-700 miliardi siamo di fronte alla più grande operazione di corruzione.
Bene, oggi risulta con tutta evidenza, presidente, e vorrei che su questo lei fosse un pochino più chiaro (poi le dirò delle cose anche per quanto riguarda ciò che io personalmente mi sento di chiederle), che quella operazione di corruzione, la più grande operazione di corruzione, si è rivelata la più grande operazione di disinformazione, di inquinamento della storia repubblicana: si è capovolta esattamente nel suo rovescio. Si è trattato di un'operazione di inquinamento e di disinformazione che ha trovato in questa Commissione,
oggettivamente, il suo principale palcoscenico. È del tutto evidente, infatti, che dichiarazioni del tutto inventate come quelle di Igor Marini se vengono pronunziate in una Commissione parlamentare hanno un certo impatto, mentre ne hanno un altro se sono veicolo di comunicazione, anche perché chi fosse e chi sia Igor Marini alla pubblica opinione era abbastanza noto. Palcoscenico. Operazione a mio avviso, lo dico con grande consapevolezza, sicuramente non contrastata adeguatamente, a volte subita, altre volte favorita, favorita nel senso che spesso è capitato che personaggi loschi e inquietanti si accompagnassero o fossero accompagnati da commissari. E questa è una questione che ancora deve essere chiarita fino in fondo.
Presidente, il fatto che qui a un certo punto si sia potuto, tra virgolette, offrire una sponda ad un ragionamento che è del tutto infondato e che emerge anche ascoltando i commissari della maggioranza oggi come un ragionamento del tutto privo di sostanza mi avrebbe fatto ritenere che anche da parte sua vi fosse un ragionamento un po' più esplicito: e cioè, non è possibile che tutto ciò avvenga per iniziativa di quattro o cinque personaggi loschi, l'uno scollegato dall'altro. Troppi ex sono circolati o sono entrati nel novero delle persone da sentire o in qualche modo «da considerare» in questa Commissione. Non è possibile tutto ciò senza che ci sia un filo che tiene insieme questi personaggi, che consente di presentare un ragionamento compiuto. La vogliamo chiamare cabina di regia? Ma non c'è dubbio che c'è una mente che ha gestito tutto ciò. E il problema vero di questa Commissione - e ne va della dignità della Commissione perché, se mi è consentito, presidente, questo è il vero attentato alla sua credibilità, non è l'opposizione che attenta alla sua credibilità - è comprendere come sia stato possibile che vi sia stata questa cabina di regia.
Questa Commissione ha bisogno di capire come sono andate avanti queste cose, perché qui è in gioco una credibilità più di fondo, una credibilità del Parlamento, delle istituzioni, di quello che è ciascuno di noi.
Mi avvio rapidamente alla conclusione, perché a me interessa il punto politico. Hanno parlato molti colleghi e le cose che hanno detto io le condivido molto: noi ci troviamo di fronte ad una sequenza di atti che ha profondamente colpito questa Commissione. Non so, presidente, se questa Commissione è stata colpita al cuore da ciò che è avvenuto, ma molto dipende anche da ciò che lei farà d'ora in poi. Se è stata colpita al cuore, se è stata svuotata delle sue funzioni, o se invece c'è la possibilità di dire una cosa con grande chiarezza: che nel momento in cui l'opera di disinformazione è stata svelata, è giusto che questa Commissione si pronunci su di essa.
Ho ascoltato le parole prudenti dell'onorevole Bocchino. Mi fa piacere, anche se avrei preferito che queste parole di saggezza fossero pronunciate qualche mese fa. Le ho ascoltate. Rilevo, però un'evidente contraddizione, perché ogni tanto esce fuori l'anima. Ho sentito quanto ha detto il collega Taormina. Sinceramente, presidente, penso che lei debba intervenire su un punto molto delicato: non può essere consentito a nessuno di far trasparire il sospetto che questa Commissione possa o debba fare sconti ad alcuno, tanto meno a personalità istituzionali. Questo è qualcosa che non può accadere in questa Commissione, presidente. Se le posso pacatamente fare un piccolo rilievo, su quei temi e in quelle circostanze il presidente della Commissione interviene e fa sentire la sua parola anche in questa sede.
Il punto è questo, allora, il punto è che non mi convince quanto ha affermato l'onorevole Bocchino: noi dobbiamo aspettare la magistratura per sapere se Igor Marini è un millantatore o un calunniatore. Igor Marini è venuto in questa Commissione, presidente, e questa Commissione deve esprimere un giudizio su ciò che è accaduto. Non si può oggi, dopo sei mesi di campagna ad alzo zero, dire che aspettiamo sereni il giudizio della magistratura
perché, presidente, noi non siamo sereni, non siamo sereni come le persone oneste, e vorrei che ci fosse rispetto per la sua onestà come per la nostra, come le persone oneste che sono state chiamate e messe in discussione seriamente anche se non individualmente. Ma non è un problema individuale, è un problema che riguarda la credibilità e la moralità della coalizione di centro sinistra, dell'opposizione. Non si può aspettare passivamente, questa Commissione deve dire con grande chiarezza cosa pensa, deve dire che si traccia un rigo: si dica con chiarezza che la Commissione è stata oggetto di una campagna di disinformazione, che Igor Marini non è credibile, si chiuda una fase.
GUSTAVO SELVA. Questo lo dirà eventualmente la relazione.
MARCO MINNITI. Presidente Selva, sto svolgendo il mio intervento.
GUSTAVO SELVA. Le interruzioni si fanno anche nel Parlamento britannico...
MARCO MINNITI. La relazione sarà fra un anno, perché avete anche prorogato i termini della Commissione. C'è invece bisogno di tempestività politica. Io penso che questo sia il punto vero, e ho concluso, presidente: qualcuno, lei ha detto, forse ha usato la sua faccia. Io questo non lo so...
PRESIDENTE. Ho spiegato e torno a dire che quello è il titolo, e che io non ho detto questo. Ho detto che nessuno può escludere o ammettere che alle proprie spalle avvenga qualunque cosa. Lei sa, per essere uomo di buone letture, che: tra il cielo e la terra ci sono cose, Orazio, che la tua filosofia non conosce.
MARCO MINNITI. Perfetto. Prendo atto che lei non l'ha detto, presidente. Ma mi sono riferito...
MARCO MINNITI. Al titolo di giornale. Tuttavia il passaggio è molto delicato. Non sfugge a lei che oggi siamo di fronte a uno di quei tornanti importanti nella vita delle Commissioni. Lei concludendo ha detto: noi dobbiamo procedere con prudenza e operatività. Da maligno potrei aggiungere che forse era meglio farlo prima, tuttavia, caro presidente, non è possibile procedere con prudenza e operatività se non si fa chiarezza su quanto è accaduto. Non è possibile procedere con prudenza e operatività se non si segna la parola fine sulla più grande calunnia politica costruita a tavolino nel nostro paese. Questo glielo diciamo non per spirito di fazione, perché qui siamo politicamente accesi ma non ci sono fazioni. Glielo diciamo con la consapevolezza di chi ama la verità, dicendole con altrettanta chiarezza che, se questo non avverrà, nessuno può pensare di chiederci di procedere come se nulla fosse, perché questo non è possibile.
ANGELINO ALFANO. Presidente, alcune brevi considerazioni, la prima delle quali riguarda lei, nel senso che la sua persona, ma anche e soprattutto la sua storia personale, ha sempre evocato in me l'idea dello spartano: nessuna ricostruzione riuscirà a trasformarla in ateniese, presidente, né ai miei occhi né, credo, agli occhi di altri commissari. Nessuno scoop, nessuna ricostruzione ardita, così come nessuna acrobatica ricostruzione degli eventi convincerà me e tanti altri del contrario.
Questa Commissione ha lavorato, e secondo me ha lavorato seriamente. Probabilmente per trascinamento degli eventi di cronaca, vi è stato un elevato tasso di ingenerosità rispetto al lavoro svolto dalla Commissione in questo anno. Dico soprattutto ai colleghi che più recentemente sono entrati a farne parte che vi sono migliaia di pagine che entrano nel merito di questa vicenda. Sono migliaia di pagine che descrivono un contesto, che danno un profilo dell'operazione Telekom-Serbia, sono migliaia di pagine che consentono, ma soprattutto
consentiranno, l'espressione di un giudizio.
Dico francamente che, non essendomi mai iscritto al «Marini fan club», non ho alcuna difficoltà nel sottrarmi alle ipotesi e ai teoremi della trappola di Repubblica. Non ho questa difficoltà perché credo che noi abbiamo il dovere di svolgere un ragionamento in questa Commissione, il ragionamento che deve prendere le mosse dall'analisi di quanto è accaduto nella storia italiana degli ultimi vent'anni ma anche prima, storia che è stata spesso segnata, in alcuni passaggi, dall'evolversi e dal procedere di alcune Commissioni d'inchiesta. Vi sono state Commissioni d'inchiesta che si sono rivelate vere e proprie protagoniste di fallimenti, ve ne sono state altre che hanno ottenuto importantissimi risultati per la storia democratica del nostro paese; ve ne sono state altre ancora che hanno rappresentato l'anticamera e il basamento di processi penali. Ciascuna Commissione d'inchiesta ha avuto una sua storia, un suo percorso e un suo epilogo, e come tale poi è rimasta nella memoria civile di questo paese. Ho la speranza e mi piace credere che questa Commissione d'inchiesta non abbandoni l'unico percorso possibile, che è quello che le consentirà di rimanere nella storia positiva del paese.
Ho spesso sentito nel dibattito pomeridiano, presidente, un angosciato e spesso appassionato interrogarsi sulle domande che dobbiamo porci: dobbiamo chiederci, dobbiamo capire. Io resto dell'idea che noi dobbiamo chiederci ciò che ci ha indicato di chiederci la legge istitutiva: dobbiamo chiederci, cioè, cosa accadde quando fu acquistata Telekom-Serbia, ed è in riferimento a ciò che rimando alle migliaia di pagine che nel merito entrano su una vicenda italiana.
Dico questo perché tutte le analisi svolte sui fatti riconducono ad alcuni temi portanti, dalla valutazione delle partecipazioni di Telecom alla due diligence, dai consulenti agli avvisi ai governanti non da parte di privati cittadini, ma di ambasciatori della Repubblica, dai rapporti commerciali con la Serbia al contesto internazionale. Vi sono elementi per trarre giudizi e chi, come me, ama pensare che è preferibile che la storia del nostro paese sia connotata dalla presenza di governanti che non abbiano messo le mani nel fango, chi, come me, ama pensare tutto questo ritiene assolutamente più importante accertare se, come e perché governanti della Repubblica hanno dilapidato un pezzo del patrimonio pubblico; se, come e perché alcuni governanti della Repubblica hanno dato ossigeno a un dittatore boccheggiante; se, come e perché un Governo della Repubblica seppe, approvò, non approvò o non seppe, e se potevasi non sapere, in quelle circostanze. Tutto ciò è più importante che sapere se qualcuno ha preso i soldi o se qualche governante pubblico ha preso i soldi, cosa che può essere rilevante, ma che non costituisce il punto principale della nostra ricostruzione. Ecco perché occorre rimandare al senso e alla funzione di questa nostra Commissione, a proposito dei quali, presidente, io ho ravvisato un'eco singolare ed anomala di interesse da parte di Comitati parlamentari: se una cosa non può accadere è che vi siano interferenze di comitati che controllano i servizi, i quali servizi sono a loro volta preposti a scoprire cose segrete, non cose inesistenti, sui lavori della nostra Commissione.
Lo dico perché noi abbiamo sempre sostenuto questa posizione: il punto politico della vicenda - mi rivolgo al senatore Petrini - non è nella contrapposizione tra innocentisti e colpevolisti; ma tra coloro (ed io sono convinto che si tratti di tutti i commissari presenti) che hanno interesse e passione per la verità e coloro che questo interesse e questa passione non hanno. Noi siamo sulla traccia di una vicenda che può aprire uno spaccato della storia italiana; non recederemo da questa indagine ed io credo che se la volontà di tutti sarà quella di affermare la verità affermabile, quella verità che in sede processuale compete alla magistratura ed in sede parlamentare alla nostra Commissione, questa Commissione potrà andare avanti. Potrà andare avanti con la nobiltà che deriva non dalla funzione dei commissari
ma dal ruolo istituzionale che la legge istitutiva le ha conferito. Io sono sempre preoccupato quando la parola «oggettivo» viene declinata in avverbio, come poc'anzi ha fatto l'onorevole Minniti: è contrario alla mia formazione culturale, è estraneo al mio modo di vedere le cose della vita, prima ancora che le cose della vita politica, perché quando si comincia a ragionare per responsabilità e funzioni oggettive, probabilmente ci si trova all'anticamera dei processi politici. È un impianto ideologico che non ci appartiene ed è per questa ragione che noi «oggettivamente» non lo diciamo, ma diciamo con grande pacatezza che, come è accaduto tante volte nella storia, anche in questa circostanza nel corso della relazione conclusiva occorrerà distinguere il grano dal loglio, occorrerà togliere il troppo e il vano (per fare citazioni assolutamente ridondanti, ma che probabilmente rendono il senso del compito che ci aspetta), ma soprattutto occorrerà non perdere il filo del discorso.
Questo filo del discorso - per chi avesse la compiacenza di leggere i verbali della Commissione - non è mai stato perso; si è andati diritti su una traccia, su un solco, su un percorso che certamente non fu un organo di stampa di centro destra ad avviare. Allo stesso modo di come vi sono state campagne stampa o campagne giornalistiche aggressive in altre direzioni, alcuni hanno patito, altri non hanno patito, campagne aggressive in questa circostanza: compito della Commissione non è farsi trascinare dalla stampa o da oscuri figuri; gli oscuri figuri meritano il posto che hanno nella società civile, la Commissione di inchiesta deve arrivare alle proprie conclusioni. E siccome io sono convinto che vi sia stato uno strano corto circuito tra il percorso delle decisioni assunte all'unanimità dal presidente e dall'ufficio di presidenza della Commissione e una sorta di aggressione subita dal presidente e sono altresì convinto che da parte di quest'ultimo non vi è stata e non poteva esservi né circonvenzione di incapaci nei confronti degli altri commissari né il furto con destrezza della altrui buona fede, non rimane che concludere che la sinistra ha colto un occasione politica per rilanciare un tema che rischia di delegittimare questa Commissione. Poiché la Commissione non è un luogo politicamente neutro, io prendo atto di tutto ciò che accaduto e, nel momento in cui lo faccio, non getto certamente fango a sinistra.
Rilevo un dato, che poi rappresenta la conclusione di queste mie riflessioni: non vi può essere alcun poco elegante ordito o alcuna poco raffinata trama che possa far tacere la voce che emanerà quegli aspetti di verità che verranno dagli atti. Se noi non abbandoneremo la rotta che ci siamo dati, che è quella della ricerca della verità attraverso le carte, probabilmente a ciascuno, alla fine di questo percorso, sarà dato il giusto rilievo: i millantatori resteranno agli atti come millantatori; le persone serie resteranno agli atti come persone serie. Alla fine verrà fuori una relazione seria, che l'opinione pubblica potrà giudicare.
RENZO LUSETTI. Presidente, dal momento che tutti gli interventi, non solo quelli della maggioranza, iniziano rassicurandola, osservo che la seduta odierna non è un processo al presidente, né tanto meno un atto di accusa nei suoi confronti. Per sgomberare il campo da ogni dubbio sui rapporti personali, io le rinnovo il mio apprezzamento per la sua storia e per la sua persona.
Credo che la seduta odierna serva per chiarire un equivoco riguardo al fatto che siamo di fronte ad un grande problema politico ed a un nodo che va sciolto. Sono tra coloro che hanno chiesto di svolgere un dibattito politico sui lavori della Commissione...
RENZO LUSETTI. Per questo motivo chiedo che si prenda atto formalmente, in questa Commissione, senza fare ricorso alla magistratura - che farà la sua parte ed esaurirà il suo corso -, che il filone Igor Marini si è svuotato, si è esaurito dal punto di vista politico e giudiziario. Non
c'è una prova e non c'è un riscontro. D'altra parte, a detta di tutti, tranne dell'onorevole Taormina, che si è allontanato - e chiedo scusa a per averlo interrotto, ma proprio perché sapevo che sarebbe andato via cercavo di interloquire con lui...
PRESIDENTE. Lei ha anche queste virtù divinatorie!
RENZO LUSETTI. No, presidente, è stato il collega a dirmi che si sarebbe assentato. Dunque, dicevo che tranne l'onorevole Taormina, che ha già scritto la sua relazione finale da tempo, anzi da prima dell'inizio dei lavori della Commissione, mi pare che vi sia un orientamento comune di molti commissari: cito l'intervento del senatore Cantoni, che è capo del gruppo di Forza Italia, quindi persona che rappresenta tutto il gruppo, l'intervento pacato dell'onorevole Alfano, al quale privatamente muoverò qualche obiezione, l'intervento dell'onorevole Bocchino, a proposito del quale, pur senza entrare nel merito, concordo con il collega Minniti nel ritenere che se quelle stesse considerazioni fossero state fatte sei mesi fa avremmo guadagnato sei mesi di lavoro.
A questo punto, dopo che il filone Marini ci ha tenuti impegnati per mesi, con polemiche anche violente sui giornali (soprattutto durante l'estate), nelle quali tutti hanno fatto la loro parte, ai sensi dell'articolo 19, comma 2, del regolamento, in cui è previsto che ogni volta che la Commissione ritiene di dover riferire al Parlamento, il presidente predispone una proposta di relazione, ovvero incarica uno dei componenti di predisporla, io chiedo che si possa fare una sorta di relazione di medio termine, che chiuda, appunto, il filone Igor Marini ed in cui si dica che Marini è un teste inattendibile e inaffidabile, così come tanti colleghi della maggioranza hanno riconosciuto anche oggi. In mancanza di questo, chiedo agli uffici se sia almeno possibile predisporre una risoluzione, un ordine del giorno o un qualsiasi altro tipo di documento. Anzi, per me sarebbe sufficiente una dichiarazione del presidente che dica, a nome di tutta la Commissione, apertamente ed esplicitamente che cadono tutte le infamie e le calunnie dette contro Prodi, Fassino, Dini, Rutelli, Veltroni e Mastella che sono scaturite dagli interrogatori di Igor Marini. Non è possibile far dire per mesi e mesi ai giornale (qualcuno l'ha dichiarato anche esplicitamente, ma non voglio fare nomi) che vi sono state tangenti, quando oggi tutti abbiamo scoperto che Igor Marini è un teste inaffidabile, non va più ascoltato, non esiste; le cose che ha detto non esistono. Credo che queste siano condizioni che si devono porre per poter continuare a lavorare serenamente in questa Commissione.
L'altra cosa che vogliamo sapere, presidente, è se Igor Marini rappresenti un infortunio casuale oppure un complotto. Qualche dubbio sul complotto io lo nutro, né credo sia molto difficile andare ad individuare chi l'abbia ordito. Comunque, ciò che voglio capire è se vi sia da parte sua una sorta di presa d'atto di questa realtà.
In terzo luogo, ritengo che, dopo aver chiesto scusa a Prodi e da tutti gli altri, si debba compiere un atto di discontinuità nel prosieguo dei nostri lavori. Vorrei capire come proseguirà questa Commissione, quali siano gli altri filoni. L'onorevole Taormina, che è sempre meno pacato degli altri, molto più esplicito e franco, chiede «chi ha finanziato il boia?»: possiamo anche entrare su questo terreno; poi ci confronteremo e scopriremmo nel 1994 il ministro degli esteri Martino si è recato due volte da Milosevic. La tesi del senatore Lauria è che l'affare Telekom-Serbia abbia avuto inizio nel 1994, durante il Governo Berlusconi, e sappiamo tutti che il consulente di politica estera del Presidente del Consiglio, onorevole Gianni De Michelis, ex ministro degli esteri, è uno dei più grandi filo-serbi, come lei, presidente Selva, sa molto bene...
GUSTAVO SELVA. Non mi risulta che sia un consulente di...
RENZO LUSETTI. Siccome tutti hanno consulenti, mi consenta, presidente, questa
battuta! È bastato un intervento di Bobo Craxi in Parlamento - lei lo ricorda - quando venne approvata la legge istitutiva di questa Commissione. Solo per rispondere all'onorevole Taormina ed anche all'onorevole Alfano, il quale, comunque, si è espresso in maniera molto più garbata, voglio ricordare il rapporto con la Serbia o, da ultimo, il 24 aprile 1999, quando, mentre l'ONU accusava Milosevic di genocidio, l'onorevole Bossi, ministro del Governo Berlusconi, andava a stringere la mano al boia.
LUIGI BOBBIO. Ministro quando: allora o oggi?
RENZO LUSETTI. Ora ministro. Anzi, è quello che ricatta la maggioranza, come è a tutti noto.
LUIGI BOBBIO. Però non gli hanno dato mai soldi!
PRESIDENTE. La invito a concludere, perché ha esaurito il tempo a sua disposizione.
RENZO LUSETTI. Ha ragione, il tempo va rispettato. Come ultimissima cosa, presidente, le chiedo una maggiore collegialità nella gestione della Commissione, avendo delle perplessità sul modo in cui viene gestita: questo, ovviamente, è un giudizio politico, non personale. In apertura lei pone un gran numero di domande, poi parlano i colleghi Consolo, Taormina e via dicendo: alla fine, stremati, non si ha più la possibilità di fare neanche una domanda. Chiedo maggiore collegialità - è un'altra condizione che poniamo - nel gestire la Commissione ed anche nel rapporto con i consulenti. Voglio essere molto franco: visto che tutti parlando dei consulenti, io chiedo che ci sia un incontro a porte chiuse, cioè senza la presenza dei consulenti, sul modo in cui impostare e regolare collegialmente il nostro rapporto con loro.
PRESIDENTE. Penultimo intervento è quello dell'onorevole Zanotti.
KATIA ZANOTTI. Data l'ora ed essendo il mio il penultimo intervento, sintetizzerò al massimo, anche perché condivido molte delle considerazioni già svolte dai colleghi dell'opposizione. In particolare, concordo con l'onorevole Russo Spena nel ritenere che quello odierno sia un delicato passaggio politico, che segna il futuro di questa Commissione.
Resto sul piano della politica perché già altri hanno indicato abbondantemente ed in modo chiaro cosa sia accaduto in questi mesi. Mi rivolgo a lei, presidente, sapendo della sua avvedutezza e della sua capacità di analisi delle situazioni, osservando che non può non avere la consapevolezza che tutto ciò che è avvenuto ha delegittimato la nostra Commissione e la sua credibilità di presidente. Lei non può non avere la consapevolezza che quando la Commissione da lei presieduta diventa terreno di scorrazzamento di professionisti del depistaggio, di truffatori e faccendieri, di costruttori di gravi calunnie nei confronti di leader politici, si pone il problema urgentissimo di ristabilire trasparenza dei percorsi e rigore nelle modalità di lavoro e nella scelta degli interlocutori. Parlo di rigore, presidente, perché è un termine al quale lei è molto affezionato.
Mi chiedo se su quanto è avvenuto in Commissione potranno ancora tacere a lungo i Presidenti di Camera e Senato, Casini Pera, poiché concordo con chi diceva che esiste una problema di credibilità non solo di questa Commissione ma dello stesso Parlamento. Lei, presidente, che è un uomo con alto senso istituzionale, non può non avere la consapevolezza che dopo gli inquinamenti denunciati non solo da la Repubblica, ma nei giorni scorsi da Kessler e da altri colleghi lavorando sugli atti della Commissione, era suo dovere, a salvaguardia del ruolo della Commissione stessa e per rispetto dei suoi componenti, fare immediatamente chiarezza: subito, non tramite le interviste sui giornali, ma convocando la Commissione. Dico questo proprio perché lei è uomo di istituzioni e so bene quanto sia attento anche alla correttezza nei lavori istituzionali.
Anch'io, come gli altri, non voglio farla lunga. Penso che sia necessaria grande, autentica chiarezza: o oggi si segna una discontinuità, oppure si apre una problema sul futuro dei nostri lavori. E penso che fare chiarezza sia interesse soprattutto e innanzi tutto suo, presidente. Concordo con chi ha sottolineato che l'unica possibilità di discontinuità sta non nel passare oltre - lei ha già annunciato per la prossima settimana l'audizione di Garau ed io mi chiedo se sia possibile passare oltre -, me nell'esprimere un giudizio, anche alla luce della discussione che oggi si è svolta, su quanto accaduto. Credo che questo sia necessario e costituisca sul piano istituzionale la vera operazione di verità, forte e comprensibile anche per l'opinione pubblica, che con riferimento a questa Commissione ha in mente solo spioni, faccendieri e quant'altro.
Voglio concludere con un'unica considerazione rispetto alla discussione odierna e soprattutto rispetto a quanto affermato dai colleghi della maggioranza. Si propone oggi - non è esplicito, ma sta nelle pieghe della discussione - di accantonare Marini e tutto quello che è successo di grave e di tornare a parlare dell'ambiguità dell'operazione, dei suoi costi e, magari, anche del coinvolgimento e della complicità politica degli uomini del governo di allora a sostegno del regime di Milosevic. Ho frequentato i lavori di questa Commissione ed ho assistito a moltissime delle audizioni svolte: sono state tante. Devo anche dire - voi lo sapete, colleghi della maggioranza - che questa Commissione è nata forse sulla base di un teorema precostituito, quello di intravedere non solo le tangenti ma anche le complicità politiche. I colleghi della maggioranza dicono: l'opposizione non ha sollevato questioni durante i mesi in cui sono svolte le audizioni. Certo, stavamo facendo un lavoro di indagine serio e rigoroso, ma esso non confermava quel teorema precostituito.
Ora si può ricondurre alla natura propria e alle funzioni di questa Commissione il nostro lavoro, ed è utile farlo: continuiamo con le rogatorie, vediamo cosa succede. Tuttavia ciò è utile nella misura in cui questo vulnus molto pesante prodotto qui dentro e sul piano istituzionale venga recuperato dando un giudizio su quello che è successo.
LUIGI BOBBIO. Signor presidente, cercherò di essere molto breve ma devo puntualizzare alcune cose. Credo - mi permetta di dirlo - che lei oggi abbia rischiato di cadere in una trappola.
LUIGI BOBBIO. Era una trappola non solo per lei ma per l'intera Commissione. Concordo solo su una cosa con i colleghi dell'opposizione che oggi hanno preso la parola così numerosi: oggi abbiamo vissuto un momento importante, uno snodo politico nella vita e nell'attività della Commissione.
Non a caso ho parlato di una trappola in cui lei e l'intera Commissione hanno rischiato oggi di cadere perché di tanto si è cercato di fare oggetto il lavoro, l'attività, l'esistenza stessa di questa Commissione. Gli ultimi interventi, a mio giudizio, ci dimostrano questo disegno. Lei ha rischiato di cadere nella trappola perché - mi consenta di farle un sincero apprezzamento - lei è un vero galantuomo, oltre che un vero uomo delle istituzioni; tuttavia - mi perdoni - la sua puntuale, meticolosa relazione ha rischiato di fare il gioco di chi vuole la morte ora di questa Commissione, vale a dire i colleghi dell'opposizione qui dentro e tutta l'opposizione.
Già vedo i titoli sui giornali di domani, signor presidente: «La difesa di Trantino». Ma quale difesa? Diciamolo subito, chiaro e forte (e mi permetta di essere io a farlo, credo a nome di tutta la maggioranza): basta con questo tentativo, che non è di oggi ma viene da lontano e che oggi avrebbe voluto e pretende tuttora di trovare il suo momento di sintesi rispetto ad un disegno politico che - lo ammetto - è attento, astuto. Si tratta di una manovra che viene da lontano nel più perfetto stile - quale revanscismo! - dell'orchestra rossa.
Ora, signor presidente, vogliono mettere sotto tutela lei e l'attività della Commissione. Ma le suggestioni dell'opposizione - perché di questo stiamo parlando - nel merito e nel metodo, nel contenuto e nelle forme (parte nella quale l'opposizione non da oggi è maestra) non ci impressionano più e non impressionano neanche i cittadini italiani.
Potremmo dire che oggi questo tentativo di suggestione ha raggiunto un ulteriore momento di raffinatezza; secondo un vecchio stile poliziesco o di alcuni uffici della magistratura inquirente, oggi abbiamo assistito addirittura al vecchio, abusato gioco del bastone e della carota, del buono e del cattivo: da una parte l'opposizione che tira la sua sviolinata a noi, a lei, a tutti, su quanto siamo democratici, bravi, accondiscendenti, su quanto tutti abbiamo in odio Marini; dall'altra i duri e puri che hanno continuato - mi permettano alcuni colleghi questo riferimento generico ma non generalistico - a picchiare duro su di lei, sulla sua persona, sui suoi comportamenti come presidente, sull'atteggiamento dei membri di maggioranza della Commissione.
Tutto ciò, presidente, non è accettabile da parte nostra in modo supino o buonista. Forse rischio di guastare un po' il tono generale della nostra seduta di oggi, che è stato comunque modulato su linee di correttezza, che sono giuste in generale, ma in questo caso l'eccessiva correttezza dei membri della maggioranza può rischiare di fare ulteriormente il gioco, non sempre corretto, di alcuni membri dell'opposizione.
Non accetto che oggi una parte di quest'ultima - spero di interpretare anche il pensiero di altri colleghi della maggioranza - ci faccia la grazia di minimizzare, di fare concessioni alla sua buona fede, presidente (quale grande concessione: noi non abbiamo alcun bisogno di concedere nulla in modo grazioso), quasi dandole allo stesso tempo dello sventato per aver ignorato o non aver fatto attenzione a certi passaggi. Noi questo all'opposizione non lo consentiamo e non le concediamo di offrirci presunti o reali ramoscelli d'ulivo - per la verità assai strumentali - purché Marini venga definitivamente sepolto.
Alcuni al di fuori della Commissione hanno alimentato un sospetto. Consideriamo uno dei passaggi fondamentali di questa vicenda. Nessun membro dell'opposizione, prima di oggi - momento di sintesi nella manovra politica e strategica - ha puntato il dito in questa sede contro l'attività del presidente, la sua conduzione dei lavori, le iniziative della Commissione. Questa manovra è stata commissionata ad un ben noto giornale, organo ufficioso dell'opposizione, la Repubblica, il quale ha condotto la sua campagna in nome e per conto suo, ma al di fuori della Commissione. Oggi, in questa sede, l'opposizione è venuta a cercare il risultato di questa manovra esterna e si offre una composizione politica, con qualche bacchettata sulle dita del presidente e della maggioranza, forse sperando che la Commissione - anzi, c'è stato addirittura richiesto - con un semplice tratto di penna cancelli Marini dalla sua attività, da lunghi mesi di indagine, ne sopprima l'esistenza, «uccida» mediaticamente Marini eliminandolo dall'attività di questa Commissione.
GIOVANNI KESSLER. Non te l'abbiamo neanche offerta!
LUIGI BOBBIO. A noi non interessa né cancellare Marini ne sposarne le parole: noi, oggi come ieri (e come domani, se mi permettete un piccolo richiamo a slogan di altra natura) vogliamo cercare la verità. Se Marini è un'occasione per cercare la verità attraverso la sua conferma o la sua estinzione, vi diciamo che non ci interessiamo a Marini. Anzi: a titolo personale posso addirittura confermare che, non da oggi, nutro gravi e seri dubbi su Marini, ma questo va detto dalla Commissione, in esito ad un'attività di verifica che voi per primi dovreste chiedere sia fatta al più presto con forza, con chiarezza e se necessario con durezza.
Oggi non è vostro interesse chiedere che Marini sia «sepolto»; se foste in buona fede, sarebbe vostro interesse chiedere che Marini sia sviscerato fino in
fondo. Dobbiamo d'altronde richiamare un dato di fatto: questa è una Commissione politica, che nasce per indagare su una vicenda politico-economico-amministrativa. Il fatto storico, se è vero nel suo contenuto, è stato economicamente disastroso: questo è un dato di fatto che nessuno di voi può seriamente contestare. I numeri del rapporto di acquisto e di rivendita ci dicono in maniera inoppugnabile che nella sua storicità politico-economica l'episodio fu disastroso. Ad esso possono dare origine solo tre cause: questo è il cuore del lavoro della Commissione, non Marini, e non vi permetteremo di usare Marini per impedirci di farlo.
Dicevo che tre possono essere le cause, alternative o concorrenti, affinché si giunga ad un simile disastro politico-economico-amministrativo: un sostegno politico-economico a Milosevic da parte del Governo allora in carica; una spartizione economica; un'insipienza politica. Quale che sia la causa o le cause tra queste - o magari nessuna di esse - individuata dalla Commissione alla fine del proprio lavoro, si tratterà comunque di una vicenda storicamente e politicamente molto grave, che non possiamo sottacere e per arrivare al fondo della quale non possiamo concedervi di privarci di alcuno strumento, fosse anche il più inattendibile o inverosimile: bisogna verificarne l'inattendibilità e l'inverosimiglianza, ma il lavoro va fatto e ripeto che dovreste essere voi a chiederlo per primi.
Finché si viaggiava sui binari di una verifica puramente politico-economico-amministrativa questo metodo di lavoro andava bene anche a voi, perché pensavate di poterne uscire in qualche modo; quando la Commissione si è incentrata su Marini - vero o fasullo che sia - si è scatenata una bagarre che - permettetemi di dirlo - sa anche di panico. Entra in campo la Repubblica e succede il finimondo, senza che nessuno dei membri di maggioranza di questa Commissione abbia detto o dedotto una sola volta pubblicamente o privatamente di credere a Marini. Noi abbiamo sempre chiesto solo di poter lavorare sulle dichiarazioni di Marini, che però - e questo va detto - ha rappresentato e rappresenta, rispetto allo sfondo rappresentato dalla legge istitutiva della Commissione che vuole verificare la materia di cui ho parlato prima, un incidente di percorso, vero o fasullo che sia, ripeto.
Si è cercato di alimentare sospetti sul metodo. Ma veramente vogliamo far credere agli italiani che chiunque, vero o fasullo che sia, si permetta di alzarsi e dire una parola contro alcuni personaggi politici di questa Repubblica, quasi che fossero assistiti da una presunzione iuris et de iure assoluta di purezza, debba essere perciò solo schiacciato, calpestato ed infamato ab origine? Infamiamolo pure, ma quando avremo verificato che è infame non perché si permette di parlare di alcuni personaggi politici ma perché ha mentito, se l'ha fatto, su quei personaggi.
Si è cercato, cari colleghi dell'opposizione, di alimentare sospetti sul metodo e sulle condotte investigative, lanciando addirittura sospetti e - permettetemi di dirlo - fango su dei galantuomini, su persone insospettabili come il presidente o i consulenti che lavorano per questa Commissione. Mi dispiace: questo non è stato un metodo che vi abbia reso granché dal punto di vista pratico o politico. Come membro di questa Commissione non mi interessa - e molti di voi hanno seguito questo metodo - sapere in che modo determinati atti o spunti investigativi arrivino alla nostra attenzione: noi dobbiamo indagare solo sulla veridicità di queste asserzioni, atti o spunti. Anche membri dell'opposizione - ricordo le domande rivolte al teste Pintus - si sono avvalsi, nel fare quelle domande, di atti giudiziari relativi a processi penali che non erano agli atti di questa Commissione quando furono utilizzati.
Allora, cari colleghi, forse ritenete di aver raggiunto un risultato oggi, quello di bollare Marini di falsità, perché lo vedevate come un pericolo immediato, e di bollare l'intera Commissione di inattendibilità, perché la vedevate come l'obiettivo finale da raggiungere. La vostra manovra, cari colleghi, mi permetto di denunciarlo pubblicamente, è tesa a dimostrare o precostituire
una sorta di non credibilità e di inattendibilità dei lavori della Commissione quando essi raggiungeranno il loro esito.
Mi dispiace, cari colleghi, ma avete fallito nel momento in cui denunciamo all'opinione pubblica la vostra manovra e il vostro tentativo. Non è con le vostre ricostruzioni più o meno artificiose, più o meno verosimili o fasulle, che potrete indurre la Commissione ad abbassare il livello oggettivo di attenzione né la qualità dei suoi lavori. Voi paventate il disdoro per alcuni personaggi politici: se questo disdoro verrà, ciò sarà soltanto se alla fine dei lavori della Commissione alcuni fatti saranno stati obiettivamente accertati.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti e avverto che ora darò corso alla mia replica. Per rispetto verso di voi e verso me stesso risponderò soltanto ai commissari presenti: coloro i quali hanno legittimamente usato i loro argomenti e per loro scelta non sono presenti ora non possono certamente chiedermi perché non rispondo loro.
Devo ringraziare il senatore Bobbio per un accento critico che mi ha rivolto, perché me lo merito. Nessuno deve dire che ho usato una difesa o chiesto tutela: senatore Bobbio, se sono stato infelice nell'espressione devo chiedere scusa. Il mio è stato un orgoglioso fatturato del nostro continuo lavoro, svolto sempre - lo ribadisco marcatamente - con il consenso generalizzato, perché qui non c'erano incapaci né gente ottusa. Si trattava di una Commissione che seguiva, controllava e che mai, mai, mai ha potuto opporre un solo argomento per fermare il presidente, per chiedere ulteriori notizie o spiegazioni.
All'onorevole Kessler - il solo che non seguirò nei suoi argomenti - devo dire che quello che pensa (è solo una constatazione: avevo il dubbio ma la mia civiltà nei rapporti mi allontanava dallo stesso) è veleno svaporato: troppo odio ideologico e non ricerca di verità nei suoi argomenti. La sua inimicizia non è verso di me - perché io i nemici me li scelgo, anche se non ne ho - ma verso le regole dei comportamenti.
GIOVANNI KESSLER. Ha finito con me?
PRESIDENTE. Sì: è tutto quello che dovevo dirle.
L'onorevole Russo Spena non c'è. Come argomento di cornice dico soltanto che sono tornati i piduisti, l'affarismo politico, gli agenti attivi, e che ci sarebbe stata una controinchiesta alla nostra. Io aspetto di conoscere, per potermi difendere, chi sono costoro, quale agibilità hanno avuto, quale ingresso hanno potuto consentirsi in questa Commissione, chi abbia aperto le porte, chi li abbia spinti dentro, chi abbia avuto nei loro confronti non accoglienza ma debolezza o esitazione. Siccome la mia invocazione non è stata accolta, essa - senatore Bobbio - diventa sfida: voglio sapere in quale momento (un solo momento: e se voi riuscite a dimostrarmelo mi sentirò io, a questo punto, di dover trarre conclusioni diverse) c'è stato un malaffare che abbia potuto attecchire in questa Commissione e che sia stato consentito, tollerato o subìto oppure di cui il presidente non si sia accorto che avvenisse.
Il senatore Zancan non è presente.
Senatore Montalbano, io ho molto apprezzato - non lo dico per ricambiare la cortesia, perché questo non è momento di buone maniere ma di argomenti seri: esposti con buone maniere, ma di argomenti seri - quello che lei ha detto. Quella che io ho definito corte dei miracoli, posso assicurarle sulla mia parola d'onore (tra noi siciliani questo termine ha un senso più marcato) che è stata tenuta lontana perché non avrebbe avuto possibilità di accesso; non perché io me sia accorto e l'abbia tenuta lontana, ma perché in questa Commissione non c'è stata un'occasione in cui qualcuna delle persone che noi abbiamo indicato abbia avuto la possibilità, per un solo momento, per errore, per omonimia, di attraversare quest'emiciclo, di presentarsi alla mia destra -
perché qui siedono gli auditi - e di proferire una sola parola.
Non voglio «localizzare» il mio intervento; uso un'espressione che è siciliana per modo di dire: nessuno di costoro ha avuto «confidenza» di stare vicino a noi. Tra noi e loro ci sono stati, nei fatti, la morale, la metafisica, la scelta oculata, il rispetto delle regole e soprattutto quello delle persone per bene quali voi siete.
Chi ha aperto l'anonimo, dice lei, e dove è stato aperto? Come glielo posso dire? È chiaro che è stato aperto in Commissione, perché l'anonimo è arrivato qui. Chi l'ha aperto? È arrivato sul mio tavolo e quindi la mia segretaria avrà aperto l'anonimo e me l'ha sottoposto, non perché quella busta fosse il contenitore di un anonimo ma perché così si fa con la posta ordinaria. Nessuno allora l'ha aperto prima: è stato aperto nella segreteria del presidente e perciò non esistono misteri in questo senso.
Fino al 14 Paoletti veniva indicato come uno che sapeva tutto, e questo gliel'ho detto in più occasioni. Quando abbiamo ricevuto quelle segnalazioni anonime - sei in tutto - e si è parlato di Paoletti intorno al 29-30 novembre si è detto: attenzione all'avvocato Fabrizio Paoletti, è uno che sa tutto. Questo abbiamo appreso. E fu qui che il dottor Longo, dopo avere individuato o aver pensato di individuare chi fosse questo Fabrizio Paoletti andò dal maresciallo Quaresima, per chiedere (perché era sovrintendente di zona e quindi per competenza direi territoriale) se avesse qualche notizia su questo signore. Lì sono apparse le notizie, perché c'era un contenzioso aperto, perché nell'ambito dello stesso era stato arrestato su denuncia di un «certo» Marini; poi le indagini successive hanno portato a quei diciotto nomi. Il più «sfocato» di tutti, nel senso che era il più lontano dalle possibili attenzioni se non ci fosse stato questo episodio, poteva essere Marini; questo perché ad una nostra richiesta il Marini appariva come incensurato. Si è appreso dopo che aveva emesso qualche assegno a vuoto, ma chi conosce queste cose sa che l'assegno a vuoto rappresenta, a causa della depenalizzazione, un reato minore.
Quindi, nel caso di specie, ci siamo trovati nelle condizioni di avere davanti a noi una lista di persone, dove Marini era richiamato per le notizie apprese sul contenzioso con Paoletti; essendoci, in questo contenzioso, odore di soldi e di tangenti, Marini non poteva non essere evocato, ma tra i diciotto era in uno degli ultimi posti. Quando Longo mi dice «questo nome mi evoca qualcosa» è perché intercettazioni telefoniche nel processo principale portavano Paoletti in contatto con quella gente. Ma quella gente non ha mai varcato la soglia di San Macuto... (Commenti). Non sto replicando per me, sto replicando per un dovere nei confronti dei colleghi. A chi chiedeva l'igiene rispondo che l'igiene era stata assicurata con una cortina così protettiva da apparire una quarantena per chi avesse voluto usare questa Commissione per fini non propri.
Dove è stato dal 7 febbraio al 13 maggio? Dico in spirito di cordialità (altro termine non intendo usare, perché non mi è consentito usarlo) che il 7 di febbraio, attenzione, è una data che non deve indurre in errore, perché è la data in cui la Guardia di finanza attiva le indagini. Le indagini vengono definite non so quando, né mi interessa fare questo percorso, perché non faccio il commissario di inchiesta dei comportamenti della Guardia di finanza. L'unica cosa che devo dire alla Commissione e di cui sono tenuto a dare conto e ragione è che arriva il 13 maggio e il 14 vi viene comunicato; altro non mi interessa. Che volete che io debba sapere, del resto? Addirittura si disse che era stato mandato alla Presidenza del Consiglio e che Palazzo Chigi l'aveva trattenuto... si disse anche questo...! Svaporata anche questa notizia, alla fine non conta più: abbiamo scherzato, via, le cose che ci siamo dette (da parte dei giornali e con dichiarazioni soprattutto di quelli che non hanno mai frequentato la Commissione, nel senso che ne sono esterni) tamquam non essent, e quindi il discorso si è chiuso...
Chi era Volpe? Senatore Montalbano, e chi gli ha dato conto? Lei può dimostrare che Volpe oggi è il primo tra i delinquenti d'Italia, ma io non so chi sia Volpe, non mi interessa. Chi gli ha dato mai conto? Che importanza aveva per me sapere chi era Volpe?
Al senatore Brutti devo dire che quando lui dice che Longo va alla DIA di Roma è nel vero, va alla DIA di Roma e mi offre spunti di indagine e mi certifica ulteriormente la notizia che lui aveva saputo prima dal maresciallo Quaresima sull'intreccio tra Paoletti e Marini; si parlava di estorsione e nient'altro, quali politici? Quello che mi dice Longo, in un foglietto di un notes che aveva, l'ho travasato in un mio appunto, né avevo il dovere di informare nessuno, perché, sia detto chiaro, il mio non è un atteggiamento superbo. Io non so quale sia la sua attività professionale, ma dal tono attrezzato che lei ha usato desumo che è un uomo di cultura; ma non so se lei sia versato nel diritto. Se questo fosse, le devo dire che lei sa quanto me che per la vicenda che ci occupa io non ho il dovere di dare contezza della fonte o della notizia, così come non l'avete voi, nel momento in cui vi studiate le carte e contestate le circostanze che ritenete opportune alle persone che vengono in quest'aula. L'unico limite che io pongo riguarda le domande inammissibili, e qui sono stato più severo con i colleghi della maggioranza che con quelli dell'opposizione, e mi pare che l'onorevole Vito sia una vittima di questa vicenda.
Quindi, nel momento in cui io attingo da qualunque fonte, nell'interesse della verità, il problema serio si pone quando mi si risponde su quella circostanza. A quel punto, l'argomento si veste, diventa apprezzabile, perché io posso anche fare determinate domande; come ho fatto per Marini, al quale ho chiesto in bluff (lo dichiaro perché l'ho detto pubblicamente) se avesse avuto mai attività con i servizi tedeschi e lui poteva dire di sì, e questo è uno degli elementi che allora fece considerare Marini col crisma dell'attendibilità intrinseca (cosa diversa e lontana da quella estrinseca) perché poteva anche dire che aveva avuto contatti con i servizi segreti tedeschi. Chi l'avrebbe mai saputo? Io non avevo alcuna fonte, l'ho detto proprio per saggiarne l'attendibilità, perché nessuno mai è stato da me acriticamente accolto: Marini mi rispose che non aveva mai conosciuto i servizi segreti tedeschi e questo gli giovò qualche decimale, per dire «possiamo procedere sulle versioni che ci sta dando questo signore», ma, lo sottolineo, tutte da verificare.
Quando ho necessità, senatore Brutti, di ricorrere all'argomento vestito, cioè quando la domanda comincia a prendere consistenza, non è più il nome, perché al nome si unisce una circostanza; allora chiedo al dottor Sbrizzi di farmi un appunto scritto, che egli versa il 14 gennaio. È qui a vostra disposizione e vi ho detto che lo si può controllare, ma io credo che la lealtà dei nostri consulenti...
PAOLO BRUTTI. Lui ha dichiarato il 15 alla stampa.
PRESIDENTE. No, è un errore della stampa, perché è il 14, e il documento è qui. Non è il 15, il 15 è a cose fatte, a che serviva più? Quindi, è stato un errore della stampa.
PAOLO BRUTTI. Sono due i documenti del dottor Longo, che contengono la sua procedura di chi è Marini...
PRESIDENTE. No, no, senatore Brutti, non chi è Marini: contengono i nomi di tutta questa bella compagnia.
PAOLO BRUTTI. Secondo me c'è anche scritto... questo è il punto di contestazione.
PRESIDENTE. No, no, e glielo dico subito. Ho detto che non ho il dovere di documentare queste cose: non ho dato importanza e, come tante altre fonti che mi vengono, io le distruggo. Quando mi arriva una notizia, la cosa importante (e
questo non è un rammendo) è quando si porta qui, davanti a voi: voi dovete giudicare la risposta, perché se quella risposta sia stata significativa, avete il dovere, assieme a me, di indagare, e avviene alla cosiddetta luce del sole.
La deposizione di costoro doveva essere privata di ogni valore, lei ha sostenuto. Senatore Brutti, questo è un paese dove si danno ergastoli a grappoli con i pentiti, che sono avanzi di galera, che sono uomini che hanno commesso 100-120 omicidi. Assieme a mio figlio, in un importante processo di Palermo, abbiamo chiesto a uno di costoro: quanti omicidi ha commesso? La risposta è stata: saranno 80, saranno 100, saranno 120. E noi gli dobbiamo dare diritto di ascolto, perché il sistema, purtroppo, non consente l'accertamento preventivo di ciò che si dichiara. Quindi, una volta che queste persone sono convocate qui, mi chiedo: chi sono queste persone? Ecco il punto. Le deposizioni di costoro, ma di chi? Marini è un incensurato, come le ho detto, Marini può dire che anche il Papa partecipò a una rapina, io raccolgo la circostanza insieme a voi, verifichiamo, dopo di che traiamo le nostre convinzioni. Quindi, in una situazione del genere, il signor Marini nulla ci dice, perché se lei afferma che le deposizioni di costoro dovevano essere private di ogni valore, le rispondo che, una volta che raccolgo queste deposizioni, le deposizioni devono essere filtrate, avviate a verifica e dopo se ne parla.
Immagini, in questa operazione, un Marini il quale, invece di dire le cose che ha dichiarato, avesse detto cose opposte, nei confronti del centro destra. Lei pensa che gli avremmo messo il tampone in bocca? Le avremmo raccolte per sapere poi se queste cose avevano un minimo di attendibilità. Attendibilità che ci è stata sottratta per la verifica - e sottratta non è un termine che equivale a «scippata», ma è un termine che alla fine segue un percorso - da parte della magistratura di Torino. Se la magistratura di Torino si trova nelle condizioni di avere elementi utili e seri, faccia l'uso che crede di fare di Marini secondo legge; nel momento in cui questo avviene a Torino, noi vi prestiamo ossequio, perché non siamo qui per essere il contraltare della magistratura di Torino.
L'onorevole Fanfani non c'è.
Senatore Petrini, lei ha usato tre passaggi. Se le mie informazioni sono valide, so che lei è un medico, un medico importante, ma non un uomo di diritto, ma questo non vuol dire che non possa intendersi di cose di diritto. Però i passaggi che io le sto fornendo sono tre, e sono devastanti dal punto di vista della cultura giuridica, non per le cose che ha detto lei. Lei ha parlato di dubbio, di sospetto e di illazione. Il senatore Zancan, un costituzionalista come l'onorevole Russo Spena (cito l'opposizione, ometto la maggioranza) si permetteranno, su mio invito, di spiegare che per noi dubbio, sospetto e illazione sono acqua fresca, sono meno di nulla, perché non si lavora nei dubbi, né nei sospetti, né nelle illazioni. Pensi che si è avuta una riforma per cui persino le prove insufficienti non possono più essere dichiarate come tali, perché o si prova o non si prova.
Perché ciò sia accaduto e non avete detto che Torino procede in questa direzione, perché non si è detto che Torino sta utilizzando proprio questi argomenti per cercare di verificare Marini, che allo stato dell'arte, fino a questo momento, non ci è stato svalutato come calunniatore...? Con questo non intendo dire che Marini abbia detto la verità, evitiamo confusioni e conclusioni errate; voglio soltanto dire che sul piano dell'attendibilità di Marini sono ancora in corso verifiche. Per sei mesi, lei ha detto, le fanfaluche di Marini sono state qui tenute presenti, hanno tenuto banco. Non è così, senatore Petrini, perché le fanfaluche di Marini non hanno avuto l'onore di un riscontro, e non perché ci è mancato o ce lo siamo dimenticati, o perché si è verificato infondato, bensì perché non lo abbiamo cercato: se Marini ci è sottratto ed è in mano alla magistratura di Torino, è Torino che deve indagare su questo campo, non certamente riservato a noi, e per questo ci siamo preclusi (ma nessuno ci ha detto grazie, e forse ha
ragione il collega Bobbio: il concedere troppo a volte fa credere deboli), ci siamo fermati, dicendo: a questo punto sia la magistratura di Torino a cercare la soluzione di questa vicenda.
Allora, se qui si dice che ci sono i colpevolisti contro gli innocentisti, io non escludo che questo possa verificarsi, come tutte le cose del mondo; però ammetta con me, per il tempo che mi ha frequentato (ma quelli che mi hanno frequentato di più lo sanno), che ho cercato di essere arbitro. Che vuol dire arbitro? Che è la bocca della verità, che è mandato da nostro Signore? No, è un arbitro che sbaglia come tutti gli arbitri, ma che non prende parte, con una maglia o con l'altra, alla contesa in campo, e questo glielo posso garantire.
L'onorevole Minniti non c'è.
Onorevole Lusetti, mi ha sorpreso, e le dico subito perché. In genere l'onorevole Lusetti offre spunti interessanti e a volte, per la fretta dei suoi impegni, non li approfondisce. Non dico che sia un superficiale, attenzione: non li approfondisce nel senso che si accontenta del flash. Sa perché le dico questo? Perché l'ho studiata: lei sa che deve a questo presidente garantista la sua difesa in sede di Giunta delle elezioni quando veniva mollato anche da quelli che dovevano essere del suo partito. Lo ricorderà spesso. Quindi, in quella occasione non mi sono sottratto ai miei doveri, perché lei, prima di essere il deputato Lusetti, era il portatore di un diritto. Ma nel caso di specie devo darle atto, e se lei si è adombrato le dico che era soltanto un atteggiamento amichevole: se lei si è quindi contrariato per la prima parte del discorso, ritorni ad essere soddisfatto perché le cose che ha detto sono serie e importanti.
L'articolo 19 del regolamento interno prevede la proposta di una relazione intermedia, quella che lei ha evocato; la relazione intermedia può essere possibile se l'ufficio di presidenza ne valuta l'opportunità e quindi la Commissione plenaria l'approva. Non ho mai avallato Marini, onorevole Lusetti, quindi non posso assumere atteggiamenti di smentita a quanto non ho ammesso. Se avessi detto che Marini è credibile, che Marini mi ha convinto, avrei il dovere morale oggi di dire: bene, a questo punto devi dire quali sono le tue conclusioni. Se io ho ricordato le cose che ho ricordato, e lei era presente (non siamo Marini-dipendenti, Marini è un assegno presentato all'incasso, attenzione con Marini, siate cauti con Marini), non avendo nulla dato a Marini, nulla posso togliere a Marini di ciò che non gli ho dato.
Se si prova il complotto, onorevole Lusetti, brinderemo assieme, per il buon nome della Commissione, lei, io, e tutti quelli che si riconoscono nel buon nome della Commissione. Chi ha finanziato il boia? Vede, io qui dissento da molte proposizioni, perché questa è valutazione politica preclusa alla nostra Commissione. Queste ammissioni - e torno al collega Bobbio - non saranno mai premiate, ma io devo essere l'arbitro e se c'è chi mi fischia o mi insulta dalla curva sud continuo ad essere l'arbitro, checché ne pensi chi è superficiale o chi è in malafede. Allora, siccome la politica estera ci è preclusa e su questo si è accesa una battaglia, e l'onorevole Bocchino lo sa, perché fu assieme all'onorevole Selva, entrambi qui presenti e protagonisti di quella battaglia, ebbene io non posso né ora né nella relazione, che seguirà quando Dio vorrà, ammettere che ci sia stata questa indagine, che ci debba cioè essere questa indagine sul tema della politica estera, perché la politica estera non deve far parte delle nostre valutazioni. Come sfondo morale si può dire tutto, come sfondo morale si può dire che alla fine, indirettamente, Milosevic ricevette la bombola di ossigeno di cui parlarono i giornali di allora, ma questo è soltanto lo sfondo morale, e non è il giudizio politico, non è la valutazione politica.
Lei dice poi di chiedere scusa a Veltroni, a Mastella, a Rutelli. Lei ha fatto una specie di corporazione degli offesi. Ma chiedano scusa a Torino, perché noi non abbiamo mai avuto, da parte di Marini, accuse su Mastella, su Veltroni o su Rutelli. Immagini lei se l'avesse detto a noi
quando siamo andati a Torino! L'ha detto in fase successiva e non a noi, che nulla sappiamo di queste dichiarazioni per cui i tre interessati, legittimamente, devono fare i conti con l'autorità giudiziaria, nel senso che devono attendersi risposte da quest'ultima, che sta indagando.
La collegialità. È un tema serio il suo.
RENZO LUSETTI. E gli altri tre, Prodi, Fassino e Dini?
PRESIDENTE. Si stanno utilizzando le circostanze di Marini. Perché lo chiede a me? Non sono io che ho aperto un procedimento su Prodi, Fassino e Dini. Nel momento in cui Prodi, Fassino e Dini, come lei diceva a squarciagola durante l'estate, devono essere sentiti, abbiamo il dovere e il diritto di sentirli, e a quel punto forniranno tutte le ragioni, e sarà questa la platea ideale per smontare tutto ciò che è stato detto contro di loro, se ciò deve avvenire.
La collegialità. Mi indichi un metodo. Io sono da sempre per la collegialità. Forse sì, un diverso dosaggio potrebbe esserci negli interventi, perché succede, e non per colpa mia, che coloro che hanno la parola per primi consumino i tempi e poi si resta al palo. Questa è una questione che insieme, con buon senso, possiamo discutere ridefinendo i paletti: non sono norme scritte nel bronzo, sono tutte norme passibili di rivisitazione. Così come l'incontro a porte chiuse: nulla esclude che noi lo possiamo fare, e lo possiamo fare nel momento in cui ci incontriamo e discutiamo del tema che lei ha indicato.
All'onorevole Zanotti dico che il rigore nella modalità di lavoro deve essere anche controllato dal vostro sindacato. La critica che voi potete portare o, nello stesso tempo, l'alt che potete imporre al presidente o a qualunque commissario dipende da voi: siete nelle condizioni non di chiedere da dove viene questa domanda, perché per legge non lo potete fare, né io lo posso fare nei vostri confronti, ma di attrezzarvi a fare domande avversative, di diverso significato, di diversa portata, utilizzando tutte le forme di approvvigionamento delle notizie che intendete avere.
Infine, il giudizio che lei chiedeva è il dibattito: non tornare sugli stessi temi significa questo. Garau deve riguardare tutti noi, perché Garau è il soggetto centrale, secondo notizie dei servizi, delle cosiddette sovrafatturazioni. E questa è una pista che interessa tutti noi, perché se dovessimo dire che la sovrafatturazione non c'entra, che se l'affare fu un bene o un male non ci interessa, che noi non possiamo indagare sulla politica estera con Milosevic, che Marini non lo dobbiamo comunque considerare, allora siamo qui per che cosa? Per farci delle partite a briscola? Non credo. Quindi, tutti gli spunti indagativi devono essere svolti nel senso di accertare ciò che è stato fatto finora per vedere se Garau, questa volta sotto giuramento, potrà ancora insistere nelle cose che ha detto e che alcuni di voi ricorderanno, quando si è persino indignato con il presidente, usando un tono risentito perché il presidente si permetteva di dirgli «come vuole che possiamo crederle?», visto che contestavamo ciò che i poteri dello Stato, non la corte dei miracoli, ci avevano indicato.
Per concludere, torno al senatore Zancan. La denuncia per fuga di notizie su Repubblica di magistrati di Torino è stata da questa Commissione portata avanti. E quando è accaduto che altre fughe di notizie apparissero su un giornale antitetico dal punto di vista politico, vale a dire su Libero, ho dato incarico marcatamente a un consulente, vale a dire un magistrato, indicatomi, e accolto per il suo curriculum di tutto rispetto, dalla sinistra, perché mi proponesse uno studio per valutare la cosa, perché il caso era diverso. Su Repubblica, infatti, c'era una fuga di notizie su un documento, vale a dire su una lettera proveniente dalla procura della Repubblica e che era passata per più mani; su questo, invece, c'era il sospetto che qualcuno della Commissione avesse fornito l'interrogatorio. Quindi ho inoltrato la denuncia. Ecco perché, senatore Zancan, se lei continua
ad essere quello che ho conosciuto (ma ognuno di noi può cambiare e ha il diritto di farlo)...
GIAMPAOLO ZANCAN. Non sono cambiato, presidente.
PRESIDENTE. Bene, questo mi conforta. Se lei non è cambiato sa, essendo garantista quanto me (se questo non è diventato un termine offensivo), che nel momento in cui c'era questa evenienza ho scritto ai Presidenti della Camera e del Senato, i quali mi hanno detto che nel caso di specie proprio le conclusioni a cui era pervenuto quel magistrato dovevano essere adottate, e noi abbiamo proposto denuncia contro Libero. Ma non Libero come giornale, ma come tramite; cioè denuncia contro chi ne aveva alimentato le notizie, e non contro i giornalisti che fanno il loro mestiere.
E a proposito di giornalisti che fanno il loro mestiere, mi sarei atteso un argomento in più da parte sua. Nell'agenda di Totò Riina può esserci scritto «avvocato Zancan», perché Riina pensa di telefonarle per essere difeso: mi dica che conducenza può avere se un giornalista, che ha sete di notizie, scrive nella sua agenda di telefonare al presidente: il problema non è se sia scritto nell'agenda, ma se, raggiunto il presidente, abbia avuto da quest'ultimo le notizie. Perché ognuno di noi, in queste cose, è con l'anima al vento, e ognuno di noi può essere trafitto da un appunto il più generico possibile che diventa serio nel momento in cui è confortato da una notizia che appare riferibile al presidente come «fuga». La posso rassicurare, lei credo mi conosca: la posso rassicurare che non ho niente a che vedere con l'intenzione del giornalista, il che vuol dire che avrà telefonato come hanno telefonato decine e decine di giornalisti per sentirsi dire - era una cosa molto ovvia - «che volete che io vi riferisca se era una seduta pubblica?». Che dovevo riferire al giornalista? Io avevo già fatto una dichiarazione sull'ANSA, senatore Zancan, l'ho letto, sia il 9 sia il 10, tacendo il nome del signor Paoletti; avevo detto che si cercava un circuito di 50 miliardi, e non per politici, ma per cosiddette... il termine usato fu «operazioni di riciclaggio».
Ho concluso. Devo soltanto ringraziare la maggioranza e l'opposizione. Mi consentirete di non ricorrere alle citazioni per i riconoscimenti personali: credo che abbia detto nulla che non sia rispondente come specchio dei fatti. La mia integrità non è stata sfiorata da alcuno; questa sì è una nota non di superbia, ma di rispetto a chi mi ha preceduto e mi segue nella vita, perché la mia integrità mi è lasciata da mio padre e prestata da mio figlio, e quindi è un continuum. A casa nostra è una continuazione di quello che a casa di ognuno di voi sicuramente è. Dico solo che è il risultato umano più alto che viene conseguito in una sera in cui i veleni sono sicuramente inferiori alle cose possibili sul piano dei visti operativi che sono stati indicati. È alla fine un balsamo contro tante frecce avvelenate. Ecco perché ho creduto di servire le istituzioni. Da questo dibattito, credo senza essere autoreferenziato, penso di uscire a testa alta. Confermo di riconoscermi nella società degli onesti in cui si riconoscono coloro che la servono.
Ringrazio infine l'onorevole Alfano. È l'unica citazione, ma lo ringrazio per un dato anagrafico che mi consola, perché mi ha ricordato il mio indirizzo: io abito a Sparta, tra i professionisti del dovere, e non ad Atene, tra i furbi risultatisti, tra quelli che vogliono a tutti i costi conseguire vantaggi e lucrare soprattutto rendite di posizione. Per questo vi chiedo di assecondarmi in questo sforzo perché questa sia la casa di tutti e non l'ambito dove si possono svolgere trame che la sporcherebbero senza rimedio. Grazie.
Do infine lettura di due documenti che sono pervenuti:
«Alla Commissione d'inchiesta Telekom-Serbia. I sottoscritti capigruppo, udita la relazione del presidente, la approvano. Firmato: Giampiero Cantoni, Giuseppe Consolo, Maurizio Eufemi, Roberto Calderoli».
«La Commissione, udita l'ampia e documentata relazione del presidente Trantino:
respinge le insinuazioni diffuse dagli organi di stampa e riecheggiate in Commissione circa un suo presunto coinvolgimento nella "Grande trappola" come "mazza da usare contro esponenti del centro sinistra"; riconferma la piena fiducia nell'operato dell'onorevole Trantino che ha guidato i lavori con alto senso di responsabilità istituzionale e lo impegna a proseguire il suo compito definito dalla legge istitutiva della Commissione». Seguono 14 firme.
RENZO LUSETTI. Non li pone in votazione?
PRESIDENTE. No, non si possono votare. La seduta è tolta.
La seduta termina alle 20.30.