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Seduta del 15/1/2003


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Audizione del vicepresidente dell'Associazione Imprese Servizi ambientali-FISE Assoambiente, Corrado Scapino, del presidente dell'Associazione aziende di frantumazione (AIRA), Giorgio Manunta, e del coordinatore del gruppo autodemolizione FISE, Anselmo Calò.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del vicepresidente dell'Associazione Imprese Servizi ambientali-FISE Assoambiente, Corrado Scapino, del presidente dell'Associazione aziende di frantumazione


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(AIRA), Giorgio Manunta, e del coordinatore del gruppo autodemolizione FISE, Anselmo Calò.
La Commissione intende verificare lo stato di attuazione delle normative vigenti, sia di carattere nazionale che regionale, in materia di gestione e smaltimento dei rifiuti.
La Commissione ha ritenuto opportuno procedere ad una serie di audizioni mirate ad approfondire l'attuale sistema della rottamazione di autoveicoli usati, anche in relazione all'attuazione della direttiva 2000/53 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai veicoli fuori uso.
L'audizione del vicepresidente dell'Associazione Imprese Servizi ambientali-FISE Assoambiente, dottor Corrado Scapino, potrebbe costituire un utile contributo al fine di acquisire dati ed elementi informativi, per quanto di competenza della FISE Assoambiente, sulle problematiche che afferiscono alla fase del cosiddetto fine vita degli autoveicoli usati.
Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, do la parola al vicepresidente dell'Associazione Imprese Servizi ambientali-FISE Assoambiente, dottor Corrado Scapino - il quale è accompagnato del coordinatore del gruppo autodemolizione FISE, Anselmo Calò, dal dirigente FISE Paolo Cesco, dal consigliere del gruppo autodemolizione FISE, Michele Cutolo e dal presidente dell'AIRA, Giorgio Manunta - riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione al termine del suo intervento.

CORRADO SCAPINO, Vicepresidente dell'Associazione Imprese Servizi ambientali-FISE Assoambiente. Ringrazio il presidente Russo per l'opportunità, che viene data alla nostra associazione, di esporre quali siano i nostri problemi in relazione all'argomento trattato.
Una breve premessa: FISE raccoglie al suo interno le aziende che compongono gran parte della filiera del recupero dell'auto. Abbiamo un gruppo di demolitori, quindi la prima fase del trattamento dell'auto a fine vita; abbiamo la presenza dell'AIRA (è qui come il dottor Manunta), che rappresenta i frantumatori, cioè la seconda fase di lavorazione della stessa auto; rappresentiamo tutto il mondo del riciclaggio, quindi plastica, vetro, gomme, che oltre a quello delle discariche riguarda un problema di carattere generale; quindi, sostanzialmente, sono presenti in FISE tutti gli attori che, in seguito all'emanazione della direttiva CEE, dovrebbero contribuire al raggiungimento degli obiettivi che, sostanzialmente, sono quelli di assicurare che una determinata percentuale dell'auto (prima l'85 per cento, poi una quota maggiore, ma non entro ora nei dettagli tecnici) possa essere riciclata o recuperata, secondo le varie condizioni.
Noi abbiamo affrontato questo tema già da oltre un anno. Obiettivo dell'Associazione era quello di arrivare a suggerire al Governo e al Parlamento l'emanazione di un provvedimento che consentisse il coinvolgimento di tutta la filiera al fine di garantire il risultato previsto. Bisogna tener presente - partiamo da un presupposto molto preciso - che se la Comunità europea ha dovuto emanare una direttiva per arrivare a percentuali di recupero e riciclaggio definite, sostanzialmente riproponendo per l'auto i temi dell'imballaggio e quindi delle direttive precedenti, ciò è stato necessario perché il mercato non è in grado di garantire questi recuperi.
Attualmente, su una tonnellata di auto si riesce a recuperare, sotto forma di metalli, ferrosi e non ferrosi, ed altro, non più del 75 per cento, il che significa che un quarto dell'auto (lasciando da parte i decimali) rimane fluff, termine con il quale si indica la parte che rimane dopo i vari trattamenti e che, attualmente, non è né riciclata come materiale, né recuperata dal punto di vista energetico.

PRESIDENTE. Quindi, attualmente, il fluff è più o meno...

CORRADO SCAPINO, Vicepresidente dell'Associazione Imprese Servizi ambientali-FISE Assoambiente. Del 26-27 per cento: dipende in parte dal tipo di impianti, ma in generale è così. Tra l'altro il fluff rappresenta una delle emergenze nazionali


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dal punto di vista dei rifiuti; il fluff prodotto da autovetture che sono ancora in circolazione, se non modificate come previsto dalla legge, il più delle volte è un rifiuto pericoloso, difficile da smaltire perché mancano gli impianti ed ha dei costi molto alti.
Quindi, seguendo i dettami della direttiva, che si basa sui due principi fondamentali di tutta la legislazione ambientale europea - cioè quello che il «chi inquina paga» e quello della responsabilità condivisa - noi siamo partiti dal presupposto di creare con tutti gli attori della filiera, in primo luogo i costruttori, che sono chiamati dalla normativa europea ad essere i primi responsabili della raggiungimento degli obiettivi, un organismo che raggruppi tutti i componenti, allo scopo di superare le difficoltà attualmente esistenti e di fare in modo che i materiali attualmente non recuperati lo siano, raggiungendo, negli anni previsti dalla direttiva, gli obiettivi da questa indicati.
Dico questo anche perché, come accade in molti settori industriali del nostro paese, noi paghiamo anche una situazione di arretratezza, nel senso che avendo affrontato questi problemi in ritardo rispetto ad altri, ci troviamo in una situazione un po' particolare: da un lato, c'è una distribuzione territoriale molto limitata (le industrie che riciclano ferro, ovvero le acciaierie, sono quasi tutte al nord, per cui la presenza non è omogenea sul territorio nazionale e questo costituisce un problema); dall'altro, le aziende sono moltissime, cioè con una distribuzione capillare, ma non sempre adeguate a quanto viene, giustamente, richiesto dalla normativa per una trattamento adeguato dal punto di vista ambientale ed economico. Quindi, vedevamo questa nuova legge non soltanto come una legge alla quale fosse necessario adeguarsi, ma anche come una grande occasione per ristrutturare tutto il settore, puntando non all'esclusione di una o di un'altra azienda, ma tentando di impostare un quadro di riferimento legislativo e tecnico che desse indicazioni sulla materia da affrontare e sul comportamento da tenere per concorrere al risultato.
Ci sono stati convegni e riunioni, anche a livello ministeriale: dal nostro punto di vista, la situazione è rimasta un po' frenata anche per l'atteggiamento tenuto dai costruttori, che ci sembra non considerino nel modo giusto la direttiva e quindi cerchino di sminuire le proprie responsabilità, lasciando che la filiera dia le risposte. Voglio essere molto esplicito: la direttiva stabilisce che eventuali costi aggiuntivi che dovessero essere determinati (uso il condizionale) dal fatto che il mercato non è in grado di raggiungere gli obiettivi indicati sono a carico dei costruttori. Ciò non è possibile se non vi è un pieno coinvolgimento dei costruttori stessi e, in secondo luogo, se non vi è un grande sistema di controllo, perché è evidente che al di là del dibattito, delle discussioni e delle idee, per verificare se si stiano davvero raggiungendo gli obiettivi e se sia davvero necessario un intervento sul mercato, poiché alcuni prodotti non hanno mercato, questo non si può fare senza i costruttori.
Questo è un primo punto fondamentale. Vorrei che la Commissione tenesse presente che anche per le associazioni di categoria la situazione non è semplice, perché quando si parla di ristrutturazione significa che, in alcuni casi, qualcuno si troverà in difficoltà; ci sono, dunque, dei problemi, ma è evidente che se si vuole rispettare la norma, non vi è altra strada che quella della definizione di una normativa precisa e poi, soprattutto, di un riscontro puntuale. Lo dico in una battuta, sperando di non essere frainteso: la sensazione che abbiamo noi, e che ci preoccupa moltissimo (per questo siamo contenti di poterne parlare anche di fronte alla Commissione), è che, soprattutto da parte dei costruttori, vi sia la tendenza, da un lato, a rinviare il problema e soprattutto, dall'altro, a porsi nella condizione di essere loro a trattare direttamente con il resto della filiera e, tanto per capirci, a scaricare sul resto della filiera quelle responsabilità che, invece, la direttiva pone in capo a loro. Sono ancora più esplicito: se non c'è da parte dello Stato la garanzia che questo avvenga in un sistema davvero


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garantito di controllo, è evidente che il rapporto di forza tra le centinaia di demolitori sparsi per l'Italia e la FIAT e gli altri costruttori è destinato a produrre una cosa molto semplice, cioè che i demolitori saranno costretti ad assumere impegni di garanzia di riciclaggio che già adesso non riescono a mantenere. Dopo di che, dovranno scaricarli sull'altra parte della filiera, costituita dai frantumatori e, in pratica, non cambierebbe niente, con l'unica differenza che i responsabili di tutto questo sarebbero coloro che, in realtà, hanno pochissimo potere di intervento, perché - torno a ripetere - l'auto è quella che è, esce con quelle caratteristiche. Se il costo del recupero dei paraurti, per fare un esempio banale, è superiore al costo di lavorazione, questo, evidentemente, non lo si può caricare ai demolitori e l'esperienza fatta anche in altri paesi europei lo sta a dimostrare.
Quello che noi come FISE-Assoambiente stiamo sostenendo in tutte le sedi - in convegni, oggi di fronte a questa Commissione bicamerale, in seguito in altre Commissioni parlamentari e via dicendo - è che denunceremo qualsiasi normativa che tenda a proporre una soluzione che tradisce la direttiva - scaricando di fatto la responsabilità su soggetti che non sono i massimi responsabili del problema - e soprattutto che quando, fra due, tre o quattro anni, il problema del fluff sarà ancora peggiore dell'attuale, si faranno i conti sul serio e questi non torneranno, nessuno dovrà venire a chiamare i demolitori o i frantumatori, perché questi non saranno nelle condizioni di poter far fronte. Lo dico non per fare il sindacalista dei nostri associati, ma semplicemente perché se la cosa fosse redditizia non avrebbero aspettato la direttiva europea, ma l'avrebbero fatto prima, perché nessun imprenditore butta via un'opportunità di lavoro e di guadagno.
Ma c'è un aspetto ancora peggiore - il dottor Manunta poi lo dirà meglio di me - e cioè che tutto questo finisce in un problema che si chiama fluff, quindi un problema che è già di difficile gestione; mentre noi avremmo bisogno intanto che il fluff diminuisse in termini quantitativi, il che, forse, già eliminerebbe buona parte dell'emergenza italiana, e poi che, attraverso un'operazione di bonifica e di lavorazione sull'auto, lo si rendesse non pericoloso. Questo eliminerebbe un grosso problema ed aprirebbe la possibilità a recuperi energetici oggi estremamente difficile e che sarebbero, invece, interessantissimi.
Come i colleghi mi stanno suggerendo, penso che se la Commissione vorrà compiere una riflessione sul sistema FARE della FIAT comprenderà ciò di cui ora stiamo parlando. Alcuni anni fa la FIAT con il sistema FARE riconosceva che si potevano raggiungere gli obiettivi di recupero, ma che alcuni di questi avevano dei costi, perché è evidente che se il mercato non c'è, almeno all'inizio bisogna crearlo. Credo che il FARE sia sparito dalla circolazione, non solo perché aveva esaurito il suo compito ma, probabilmente, anche perché ora ci si viene a dire che tutto questo si può fare a costo zero. Se la Commissione mettesse a confronto le dichiarazioni fatte solo alcuni anni fa dalla FIAT, credo proprio in questa sede (eravamo già presenti, anche se in altre vesti), con le dichiarazioni attuali, quanto noi affermiamo verrebbe alla luce. Peraltro, alcune esperienze europee hanno già dimostrato non solo che questo è possibile, ma che, man mano che i mercati si sono creati, il costo è sempre diminuito. Cito l'Olanda o anche altri paesi, nei quali si vede chiaramente che il mercato non è che non vi sia, ma va all'inizio potenziato: poi diventa un mercato normale.
Un'ultima considerazione sui controlli, solo per dire che si tratta di un settore in cui è difficile controllare se non si comincia dall'inizio, nel senso che nel momento in cui una macchina viene schiacciata e passa ad altro impianto, nessuno è in grado di andare a controllare se qualcuno vi abbia lasciato dentro qualcosa. Ugualmente difficile, in un impianto di frantumazione in cui non si trattino solo le auto, stabilire quante tonnellate corrispondano alle auto e quante ad altri prodotti, per cui si correrebbe anche il grande rischio di costringere le aziende a dichiarare il falso.


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Potremmo anche scrivere alla CEE che abbiamo recuperato, ma, come si dice, le bugie hanno le gambe corte e, un anno dopo l'altro, il problema ricadrebbe sul nostro paese.
Con tutti i sacrifici che si dovranno fare, perché anche il nostro settore ha dei problemi e dovrà adeguarsi, perdere questa occasione sarebbe sicuramente una perdita per l'ambiente ma anche per lo stesso settore industriale. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio il vicepresidente Scapino e do la parola al dottor Manunta.

GIORGIO MANUNTA, Presidente dell'Associazione aziende di frantumazione (AIRA). Io rappresento l'AIRA, che è l'Associazione delle aziende di frantumazione. Una brevissima presentazione: la fase di frantumazione è effettuata da grandi impianti (in Italia ne operano circa 14) ai quali affluisce tutto il materiale che è stato raccolto e bonificato dai numerosissimi demolitori (penso valutabili in termini di migliaia). Per dare qualche cifra, posso dire che l'insieme di questi impianti tratta circa due milioni di tonnellate annue di materiali, producendo circa 1 milione 450 mila tonnellate di rottami metallici, ferrosi e non ferrosi, e 550 mila tonnellate delle cosiddetto fluff, cioè scarto attualmente destinato allo smaltimento.
Sottolineo il concetto di cui ha parlato anche Scapino: noi siamo in gravissimi problemi a prescindere dall'applicazione del decreto che dovrebbe dare attuazione alla direttiva europea.
Sintetizzo i gravissimi problemi, per essere incisivo ed andare alla sostanza. In primo luogo, la nostra attività consiste nel trattare del materiale che, teoricamente, a monte dei nostri impianti deve essere messo in sicurezza. Tale materiale viene lavorato nei nostri impianti e noi siamo responsabili teoricamente del fluff che ne deriva, senza alcuna possibilità di controllo; infatti, come accennava Scapino, il materiale arriva a noi già pressato, per cui se vi fosse all'interno qualcosa di irregolare, come rifiuti pericolosi, non sarebbe assolutamente rilevabile. Ci troviamo ad operare in un mercato estremamente distorto, perché tutto il sistema autorizzativo e di controllo regionale e, talvolta, provinciale è assolutamente difforme sul territorio, creando, conseguentemente, flussi che si vanno ad incentrare nelle zone meno presidiate, causando enormi problemi.
Problema principe, poi, è quello dello smaltimento. Il nostro materiale è considerato «figlio di nessuno». È un materiale che, sostanzialmente, dovrebbe essere equiparato al rifiuto urbano, non essendo rifiuto industriale - ovvero frutto di una lavorazione che può essere o non essere fatta in un certo posto - ma frutto, per il 90 per cento, della dismissione da parte delle famiglie; invece, viene considerato come un rifiuto di cui la pubblica amministrazione non deve interessarsi minimamente. Questo comporta difficoltà, concentrazione solo in alcune discariche, parametri qualitativi e di controllo differenti da una discarica all'altra; tutto ciò, in un settore sotto altri punti di vista estremamente pericoloso, porta alla concentrazione in alcune mani del cosiddetto business dei rifiuti, per il fatto che si approfitta di una legislazione carente o confusa.
Ultima considerazione da fare circa il fluff è che, nonostante in un certo senso la normativa europea imponga che sia destinato al recupero energetico anziché allo smaltimento, nonostante la legge sulle discariche recentemente entrata in vigore (ed anticipata da alcune leggi regionali) stabilisca che un rifiuto avente un potere calorifico come il nostro fluff non potrà più essere smaltito in discarica, attualmente non mi risulta che un solo chilo di fluff finisca negli inceneritori, cosa che bisognerebbe attivare al più presto. Come diceva Scapino, questa direttiva poteva essere una occasione per mettere in evidenza e risolvere questi problemi, invece, da quanto ho capito, la pubblica amministrazione sta predisponendo un decreto di recepimento fotocopia della direttiva europea, in certi punti abbastanza ridicolo. Infatti, se la direttiva europea dispone «i governi provvederanno a fare...», il decreto dice «provvederemo a fare...», sostanzialmente rinviando


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il problema, con una interpretazione asettica. Credo di capire che voglia essere così asettica e non regolare il sistema per seguire la tesi dei costruttori - tesi aprioristica e (chiedo scusa per la parola) abbastanza stupida - secondo la quale il mercato si autoalimenta, tutto va bene, il mercato provvede, eccetera. Senza tener conto che il mercato è una schifezza sotto tutti punti di vista anche attualmente.
Al contrario di Scapino, io penso che, al limite, salvo i primi tempi, con una regolamentazione ragionevole, razionale delle sistema, l'intero ciclo potrebbe addirittura costare meno, quindi potrebbe tradursi, alla lunga, in un risparmio economico, se c'è concorrenza. Ma la concorrenza deve essere fatta a parità di punti di partenza: se in un luogo un demolitore fra tutte le cose seriamente e l'altro bonifica le macchine in un prato, è chiaro che il primo avrà più costi e il mercato, invece, premierà il secondo. Tra l'altro, prendo spunto da questo esempio per osservare che, a volte, il demolitore che bonifica le macchine in un prato può essere una brevissima persona, che opera in questo modo semplicemente perché da circa trent'anni il comune non ha ancora stabilito se quella sia una area industriale o destinata a verde pubblico.
Credo che questo sia un punto focale, ma tutto il mondo dei rifiuti va ordinato. Occorrerebbe, a mio avviso, fare una deregulation ma farla rispettare: poche regole chiare e, soprattutto, uguali per tutti. Purtroppo, devo dire che mi sarei aspettato di vedere come protagonista, nelle consultazioni presso il ministero, la Conferenza delle regioni, perché il ministero può fare quello che vuole, ma poi il coordinamento va fatto a livello locale; invece, posso dire, ad esempio, che la regione Lombardia che si stesse predisponendo il decreto di recepimento della direttiva europea l'ha saputo da me sei mesi fa (mi dispiace fare queste critiche, piuttosto pesanti). Aggiungo che nelle consultazioni che ho avuto in qualità di rappresentante dell'AIRA ho riscontrato un atteggiamento di disinteresse, di mancanza di volontà ad approfondire il problema, nonostante fossero state presentate delle proposte abbastanza articolate realistiche.
Cito una di queste proposte, che sto faticosamente portando avanti. Visto che non provvede la pubblica amministrazione, mi sono avvicinato alla FISE-Assoambiente, che costituisce la parte più nobile dei demolitori, cioè quelli più seri, che condividono l'obiettivo di fare le cose in maniera regolare, per cercare di fare un accordo volontaristico, che però non può risolvere totalmente il problema. Noi abbiamo tutta la buona volontà, ma il problema è gravissimo e - sottolineo - è grave comunque, a prescindere dalla applicazione della direttiva europea. Se, poi, questa iniziativa legislativa fosse portata avanti senza risolvere il problema, toglierebbe qualunque speranza al settore. Sottolineo, infine, che tutte queste irregolarità e distorsioni possono anche essere la causa ed il terreno di coltura per qualcosa di criminale.
Chiedo scusa per lo sfogo, piuttosto acceso, e ringrazio per l'occasione che mi è stata offerta di poterlo esternare.

PRESIDENTE. Questa Commissione, come altre, immagino, la ascolta con grande piacere con grande attenzione.
Do ora la parola alla coordinatore del gruppo auto demolizione FISE.

ANSELMO CALÒ, Coordinatore del gruppo demolizione FISE. Cercando di concentrare al massimo le cose da dire, che sono tante, vorrei invitare la Commissione ad una riflessione. Perché è nata la direttiva europea n. 2000/53? Chi ha letto gli atti sa che il legislatore europeo si è posto il problema che, all'aumentare del costo di smaltimento dei veicoli, potrebbe verificarsi sul territorio europeo un abbandono dell'auto da parte di coloro che la possiedono per ultimi. Se, ad un certo punto, il cittadino di Amsterdam o di Berlino deve pagare 200 marchi per demolire la propria auto, finirà con l'abbandonarla, per cui avremo un cimitero di macchine abbandonate sul territorio.

PRESIDENTE. Questo a Berlino e ad Amsterdam?


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ANSELMO CALÒ, Coordinatore del gruppo demolizione FISE. Anche a Roma, presidente. Questo problema che il legislatore europeo si è posto, in Italia noi lo avevamo già: il problema dell'abbandono delle auto. Il rapporto dell'ACI (so che la Commissione ascolterà domani il presidente dell'ACI, per cui questo problema emergerà di sicuro, eventualmente su sollecitazione dei commissari) per il 2000, confermato dal rapporto 2001, evidenzia che in Italia vi è un 18 per cento di auto ritirate dalla circolazione che non vengono smaltite correttamente o vengono messe in aree non idonee: «me la porto a casa», questo è il concetto. Si pongono, allora, due riflessioni.
Se il legislatore europeo ha pensato che bisognasse creare un sistema in cui il costruttore avesse la responsabilità dello smaltimento dei veicoli da lui immessi sul mercato e si è posto il problema di evitare l'abbandono, vogliamo recepire questa direttiva in maniera da applicarla, o vogliamo recepirla solo per evitare che da Bruxelles venga fatta un'altra sanzione all'Italia per il mancato recepimento? Io - lo dico francamente - ho paura che si vada verso un recepimento, come ha detto Manunta, asettico, nel senso di predisporre un atto di recepimento al fine di evitare che Bruxelles possa applicare al nostro paese una sanzione. Invece, poiché il territorio è il nostro, credo che sarebbe necessario che la direttiva fosse applicata. Quindi, bisogna risolvere il problema di questo 18 per cento di autoveicoli ritirati dalla circolazione e che non vengono smaltiti correttamente all'interno degli impianti autorizzati: si tratta di quella famosa possibilità che lascia il codice della strada di fare una dichiarazione di ritiro su area privata del veicolo, quando sappiamo bene che, al contrario, questi veicoli finiscono nelle campagne oppure negli impianti non autorizzati. Questo era il primo problema.
Quanto al problema dei costi di smaltimento, il legislatore italiano, con il decreto Ronchi, ha previsto, all'articolo 46, quello che regola la demolizione dei veicoli, che da un'apposita norma (il DM n. 460 del Ministero dell'interno) fosse regolamentato il recupero delle auto abbandonate ed il loro convogliamento presso gli impianti autorizzati (in effetti, la domanda del presidente è legittima, perché so che nella sola città di Roma vengono rimossi annualmente 4 mila veicoli abbandonati, per cui il problema esiste ed è grave): questo avviene attualmente in tutto il territorio nazionale. Il legislatore ha anche previsto che fossero le giunte provinciali a stabilire i costi di questa attività.
Le giunte provinciali di tutta Italia hanno stabilito dei costi per effettuare lo smaltimento dei veicoli abbandonati. Il che significa che, secondo le istruttorie che sono state fatte, da Aosta a Trapani, è stato rilevato che esiste un costo per lo smaltimento dei veicoli. Quindi, gli unici a negare che questo costo esiste sono ormai i costruttori: guarda caso, coloro che dovrebbero pagare e che, pertanto, cercheranno di fare di tutto per non essere costretti a fare quello che il legislatore europeo ha previsto per loro.
Aggiungo che tutti e quattro i paesi che attualmente hanno già recepito la direttiva, cioè Olanda, Germania, Svezia Spagna, hanno, sia pure con sistemi diversi, previsto in maniera chiara ed inequivocabile che il costo dello smaltimento, ed anche del sistema che deve essere realizzato per assicurare l'intercettazione di tutti i veicoli, sia a carico del costruttore che ha immesso il veicolo sul mercato. Naturalmente, il problema è anche quello di trovare un sistema che garantisca lo smaltimento dei veicoli che appartengono ad un costruttore non più presente sul territorio; per cui stabilire che lo smaltimento spetta al costruttore che lo ha immesso quando, trascorsi dieci anni, può accadere che questo non esista più, significa affrontare il problema anche sotto un profilo, per così dire, di solidarietà dei costruttori.
In origine noi avevamo proposto - e personalmente rimango dello stesso avviso - che la soluzione tranquilla al problema fosse la creazione di un consorzio, ma ho dovuto rilevare come i consorzi non siano bene accetti da tutte le componenti. Rinunciando


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a questa idea di partenza, abbiamo avanzato in sede confindustriale una proposta di accordo, su principi netti, con i costruttori. Esiste dunque una proposta confindustriale, sottoscritta sia da FISE-Assoambiente, anche con la parteciapazione di AIRA, cioè della filiera intera, sia dai costruttori, che prevede non il consorzio ma la creazione di un istituto indipendente che possa sovraintendere all'intero sistema del recupero dei veicoli ed eventualmente anche quantificare quali siano i costi perché questo sistema possa andare avanti. Noi abbiamo sottoscritto questo accordo in maniera onesta e in perfetta buona fede, non vorremmo che la nostra sottoscrizione venisse usata da parte della controparte costruttori per dire: sta bene, però ora è scritto che non bisogna fare il consorzio, per il resto vedremo.
Secondo me, un atto di recepimento serio della direttiva non può prescindere dal riaffermare il principio che il costo di smaltimento dei veicoli spetta all'industria. Poi, a verificare quali siano gli effettivi costi potranno essere delle istituzioni private, a partecipazione pubblica o anche interamente pubbliche: così come hanno fatto le istruttorie 104 province d'Italia, potrà farle il ministero o qualsiasi altro organismo che sia a ciò deputato.
La mia preoccupazione - non solo mia, poiché anche chi mi ha preceduto l'ha manifestata, ma io voglio insistere su questo punto - è che se non vi saranno controlli, tutto resterà com'è. Se non avremo un istituto, qualsiasi esso sia, di qualsiasi emanazione, che controlli il reale raggiungimento dell'obiettivo previsto dalla direttiva, tale raggiungimento non vi sarà. Ed è sicuro che se non vi è bisogno di raggiungere l'obiettivo non vi sarà costo, perché il problema è questo: poniamo il caso che una macchina pesi una tonnellata, cioè mille chili; il 75 per cento della macchina è fatto da rottami metallici, che, come ha detto il dottor Manunta, vengono già recuperati per intero, per cui partiamo da un 75 per cento di peso già oggi recuperato.
Per inciso, dirò che oggi per smaltire una macchina c'è una spesa che mediamente, sulla penisola, è di 50 mila lire, cioè di 25 euro e ciò recuperando, come ho detto, solo 75 per cento. La direttiva ci dice che entro una certa data dovremo recuperare l'85 per cento: questo 10 per cento in più, cioè 100 chili, perché è di questo che parliamo, si traduce in 100 chili di materiali che verranno immessi sul mercato del riciclo e quindi diminuiranno il carico di discarica (cioè si tratta di 100 chili che verranno sottratti al problema del fluff, come si diceva prima). Ma questi 100 chili che bisogna togliere dalla macchina prima che essa venga compatta e frantumata sono, naturalmente, i più costosi (tutti gli studiosi di economia sanno che l'ultima dose è quella più difficile). Allora, se già oggi le province italiane hanno riconosciuto un costo di smaltimento, senza che noi interveniamo per togliere gli ultimi 100 chili previsti dalla direttiva, quando andremo ad intervenire per recuperare questi 100 chili, vogliamo ammettere che, in linea di principio, tale operazione avrà un costo? Io chiedo che la Commissione questo verifichi con le associazioni degli industriali, cioè se vi è da parte loro disponibilità a riconoscere il principio, stabilito dalla norma europea, che qualunque costo vi sia, questo spetta a loro; il principio che vi sia un organismo autonomo, indipendente, di emanazione ministeriale, qualsiasi esso sia, che faccia un'istruttoria sugli effettivi costi e, soprattutto, che lo stesso organismo possa verificare il raggiungimento degli obiettivi, affinché non si verifichi che qualcuno incassa i soldi previsti per lo smaltimento ma non raggiunge gli obiettivi.
A questo proposito, mi riallaccio al sistema adottato dall'Olanda per il recepimento della direttiva, che prevede che i costi di smaltimento vengano riconosciuti al demolitore non a macchina demolita, ma a quantità di materiale recuperato dalla macchina demolita. L'obiettivo, infatti, è quello di recuperare il materiale e di diminuire il carico di rifiuti.


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PRESIDENTE. Do la parola i colleghi che intendano rivolgere quesiti ai nostri ospiti.

LOREDANA DE PETRIS. Concordo su molte delle questioni che sono state poste e credo che ognuno di noi abbia potuto verificare, anche in sede di approvazione della legge comunitaria 2001, come vi fosse una forte indisponibilità ad indicare delle condizioni di recepimento della direttiva. Io, come anche altri parlamentari, ho presentato emendamenti tendenti proprio a far sì che non accadesse, come avvenuto per altre direttive soprattutto in campo ambientale, che la direttiva fosse formalmente recepita, senza che gli obiettivi da questa indicati venissero raggiunti.
Certo, nessuno deve affezionarsi a degli strumenti e sposarli per sempre, tuttavia, devo dire con molta franchezza che mi lascia alquanto perplessa l'idea che il rapporto con i costruttori, quindi il sancire formalmente e concretamente che spetti soprattutto a loro sostenere i costi, possa realizzarsi solamente attraverso un accordo di programma, per quanto stretto. Naturalmente obiettivo di questa Commissione è anche verificare quali strumenti, ampiamente condivisi, possano essere efficaci, poiché ciò che tutti abbiamo a cuore è, ad ogni livello (dalle localizzazioni alla normativa, ai raggiri quale questo delle 18 per cento delle autovetture su area privata), quello di raggiungere gli obiettivi posti dalla direttiva; questo perché, ad oggi, quello del fluff è uno dei problemi più grandi. Sono molte le regioni commissariate per risolvere il problema dei rifiuti e noi, evidentemente, dobbiamo far sì che i problemi non si aggravino ma siano, al contrario, risolti.
Consegno a voi questa mia perplessità, ma aggiungo che, personalmente, insisterei nel cercare di trovare una soluzione - senza parlare di consorzio, visto che questo piace a pochi - che sia però uno strumento cogente, tale da far sì che, effettivamente, i costruttori condividano le responsabilità con la filiera. A questo si aggiunge il problema del controllo, per cui è necessario che vi sia un ente che, alla fine, eviti che si commettano truffe o non siano mantenuti impegni, con il risultato che a pagare siano gli anelli più deboli della filiera, compreso il cittadino, il quale, poi, paga anche i costi generali dal punto di vista ambientale. Basta, infatti, fare un giro per città come Roma per rendersi conto che dalla furberia dell'abbandono dei veicoli affermando che vengono ritirati in area privata discende un costo che grava su tutti i cittadini; anche se per la rimozione e l'obbligo allo smaltimento corretto di queste auto, forse, potrebbero essere emesse più ordinanze sindacali, così come la normativa consente.

PRESIDENTE. Il tempo a disposizione sarebbe esaurito, ma do nuovamente la parola al vicepresidente Scapino per una breve replica.

CORRADO SCAPINO, Vicepresidente dell'Associazione Imprese Servizi ambientali-FISE Assoambiente. Mi dispiace dovere sintetizzare in un minuto qualcosa che avrebbe bisogno di assai più tempo per essere illustrato. Comunque, il timore è proprio che accada quello che si è già verificato per una principio giusto contenuto nel decreto legislativo Ronchi, cioè affermare che il produttore non è più responsabile se qualcun altro si assume quella responsabilità. Ciò noi non vorremmo che accadesse, perché in questo caso ci sarebbe un problema aggiuntivo: l'obbligo a recuperare non è garantito economicamente, quindi si costringerebbero categorie intere ad essere fuorilegge.
Questo è il punto fondamentale. La legge dice che ci sono i costruttori; noi siamo per il consorzio, ma poiché i costruttori non ci stanno non possiamo farlo da soli. Per essere molto espliciti, ciò che non vogliamo è che tra qualche anno le responsabilità che erano in capo ai costruttori vadano ad altri.
Per concludere, consegno al presidente della Commissione i lavori che abbiamo fatto, tra i quali figura tutta una serie di dati, che, ovviamente, per brevità di tempo non abbiamo illustrato, ed anche l'accordo fatto in Confindustria, a dimostrazione che


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abbiamo anche cercato di tornare indietro su alcune nostre posizioni nella convinzione di raggiungere l'obiettivo. Però, non può che essere un soggetto forte, che coinvolga tutti o terzo, a giudicare se questo avvenga o meno, altrimenti il più debole è destinato a diventare «fuorilegge» pur avendo, in quelle condizioni, ben poche responsabilità. La ringrazio, presidente.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato alla nostra audizione, che è stata sicuramente utile e ci consentirà di fare ulteriori considerazioni ed approfondimenti di certo proficui per la valutazione completa del fenomeno.
Dichiaro conclusa l'audizione.

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