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Seduta del 3/12/2003


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Audizione del Direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno, prefetto Alessandro Pansa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione comune delle frontiere e sul contrasto all'immigrazione clandestina in Europa, l'audizione del direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno, prefetto Alessandro Pansa. Sono altresì presenti il primo dirigente della Polizia di Stato, dottor Feliciano Maruzzo, ed il vice questore aggiunto, dottor Vincenzo Delicato.
Nel contrasto all'immigrazione clandestina si è costatato che hanno grande importanza gli accordi di riammissione con i paesi terzi e con le relative politiche di rimpatrio, tenendo conto della distinzione tra paesi di origine e paesi di transito dei flussi di immigrazione. Vorremo avere da lei, signor prefetto, un quadro su tale aspetto degli accordi, anche rispetto ai rilevanti flussi che hanno origine nei paesi costieri mediterranei, quali il Marocco, l'Egitto, la Tunisia, la Libia, Cipro e Malta.
Tra i paesi appena citati vi è Malta. Siamo particolarmente interessati a sapere se tale paese - che, fra l'altro, entrerà a breve nell'Unione europea - è collaborativo o meno e, in ogni caso, se vi sono, da parte del Ministero dell'interno, attività specifiche volte all'eventuale contrasto di organizzazioni criminali maltesi. Se appare evidente che dall'area geografica di Malta arriva - o passa - un flusso piuttosto consistente di immigrati, non ci è dato sapere, al momento, se vi siano organizzazioni criminali maltesi che l'organizzano.
Per quanto riguarda Tunisia, Libia e Marocco, ci interesserebbe sapere quali sono le modalità di rimpatrio degli immigrati illegali e se lei dispone anche, eventualmente, di dati quantitativi relativi alle espulsioni ed ai rimpatri effettivi.
In Italia abbiamo attentamente esaminato, mi sembra per volontà del prefetto De Gennaro, la possibilità di effettuare operazioni congiunte con altri paesi europei. Il prefetto De Gennaro mi pare sia stato il primo, assieme al suo collega tedesco, ad effettuare rimpatri di immigrati clandestini verso la Nigeria, utilizzando un volo che, facendo scalo in Italia, permetteva di avere una collaborazione, che - va da sé - non è solo politica, ma soprattutto economica.
Vorremmo sapere se, da tale punto di vista, vi sono novità, o, comunque, se lei disponga di qualche dato interessante.


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Rispetto alle specifiche attribuzioni della sua direzione, vorremmo avere qualche informazione sull'istituenda sala di coordinamento operativa e sui compiti che essa sarà chiamata a svolgere, in termini di ruolo e di struttura.
Da ultimo, riguardo alle iniziative intraprese dal Ministero dell'interno per coinvolgere i paesi dell'Unione europea nell'attività di controllo e contrasto dell'immigrazione via mare, chiedo quale siano i primi risultati ottenuti con il progetto Nettuno e le prospettive future.
Naturalmente, sarebbe utile se potesse concludere il suo intervento fornendoci anche stime relative al numero di clandestini presenti in Italia. Le saremmo grati, infine, se ci chiarisse una questione spesso sollevata dagli organi di stampa ma alla quale, al momento, non siamo stati in grado di fornire risposte soddisfacenti, circa cioè una eventuale quantificazione economica dello sforzo sostenuto dal nostro paese, che è certamente rilevante, tanto più se paragonato a quello assolutamente irrisorio sopportato attualmente dall'Europa. Mi pare, in tal senso, che sia piuttosto l'aspetto europeo del problema ad assumere reale rilevanza.
Le do pertanto la parola.

ALESSANDRO PANSA, Direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Signor presidente, essendo la documentazione in mio possesso piuttosto ampia, ritengo di poter essere in grado, consultandola, di fornire tutte le risposte richieste.
Per quanto riguarda gli accordi di riammissione, si tratta di uno degli strumenti fondamentali nella strategia globale per coinvolgere i paesi terzi, sia di origine sia di transito dei flussi migratori, nella lotta all'immigrazione clandestina. Non sarebbe vincente nessuna azione se non avessimo la possibilità di far rientrare nei paesi di origine o di transito, appunto, i clandestini giunti nel nostro paese. L'Italia, fino ad oggi, ha sottoscritto già 28 accordi di riammissione, di cui 24 con paesi extracomunitari; 15 di essi furono sottoscritti prima della nostra adesione a Schengen.
L'attività negoziale ha successivamente portato alla sottoscrizione degli ulteriori accordi di riammissione. Sono in atto negoziati per altri 19 accordi di questo tipo con diversi paesi, cinque dei quali attualmente bloccati essendo, nel frattempo, subentrata la competenza della Commissione europea: si tratta di quelli avviati con Cina, Pakistan, Russia, Turchia e Ucraina. Le trattative erano già in corso ma il Consiglio europeo ha dato mandato di stipulare i relativi accordi alla Commissione che li sta portando a termine, con efficacia, per tutti i paesi europei.
Oltre ai cinque Stati citati, la Commissione ha ottenuto mandato a condurre negoziati con ben sei paesi: Marocco, Sri Lanka, Hong Kong, Macao, Algeria e Albania. Con questi non incontriamo difficoltà perché già abbiamo stipulato accordi, o perché - come nel caso di Macao ed Hong Kong - non esiste un vero allarme immigrazione clandestina.
L'attività della Commissione europea, è già a buon punto. Con l'Albania le trattative sono quasi concluse, e questo è importante perché, con il riequilibrio degli strumenti all'interno di tutti i paesi europei, l'azione di contrasto produce un effetto esponenziale maggiore e la forza dissuasiva diventa ulteriormente accentuata. Per alcuni paesi, come il Pakistan, il Bangladesh, lo stesso Ghana e l'Egitto, con i quali ancora non abbiamo stipulato accordi di questo tipo, sono in corso delle procedure di contatto tra le polizie di frontiera, che ci consentono di effettuare le riammissioni anche in mancanza di trattati specifici.
Per quanto riguarda l'applicazione degli accordi vigenti, si sono avuti notevoli miglioramenti, nel senso che alcuni di essi, dopo aver subito un periodo di rodaggio con grosse difficoltà, incominciano a funzionare particolarmente bene. Lei citava il caso di Malta: ebbene, proprio in virtù dell'accordo stipulato con tale paese, sottoscritto nel dicembre 2001, a settembre di quest'anno, nell'ambito di un'azione di


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pattugliamento congiunto che rientra nel progetto Nettuno di cui lei mi ha chiesto (e a proposito del quale darò delucidazioni nel prosieguo del mio intervento), è stata localizzata un'imbarcazione proveniente dalle acque maltesi. Si trattava di un transito da quelle acque di un'imbarcazione con 166 clandestini a bordo. Per motivi di sicurezza, abbiamo dovuto far approdare in territorio italiano quella imbarcazione, in ogni caso, dopo tre giorni i clandestini, rimessi su un aereo, sono stati tutti ricondotti a Malta, proprio in virtù dell'accordo di riammissione e a testimonianza della funzionalità del medesimo.
Negli ultimi tempi, abbiamo rivolto una particolare attenzione anche ai rapporti con le autorità consolari di questi paesi in Italia. Per informazione, si sono tenute riunioni congiunte fra i consoli tunisini e marocchini e i funzionari degli uffici immigrazione delle città interessate, al fine di rendere le procedure di riammissione - gestite attraverso i consolati soprattutto per l'espletamento delle operazioni di identificazione - più celeri, efficienti ed efficaci, superando una serie di difficoltà dovute a metodologie differenti, e a sistemi giuridici ed organizzativi diversi. Quindi, adesso, dopo un periodo di difficoltà il quadro si è disteso. Per esempio, con la Tunisia si è creato un sistema per i riconoscimenti ed il rilascio dei lasciapassare da parte delle autorità competenti per rimpatriare i loro cittadini rintracciati in Italia - ove erano approdati illegalmente - che si è rivelato molto efficace e veloce.
Ciò ha ulteriormente comportato un aumento del numero dei rimpatri, effettuati spesso con voli charter. Con alcuni paesi, come l'Egitto, siamo riusciti ad effettuare operazioni congiunte per operare rimpatri nello Sri Lanka. Vi è stato, infatti, un flusso molto forte di cingalesi arrivati in Italia attraverso il canale di Suez; per risolvere questo problema abbiamo coinvolto le autorità egiziane, fermando i clandestini nel Mar Rosso, riportandoli a terra e da lì, grazie al nostro intervento sulle autorità consolari e diplomatiche del paese di origine, a nostre spese - come ovvio, non potevamo pretendere che pagassero gli egiziani -, rimpatriandoli direttamente con conseguenze dissuasive enormi e anche con una riduzione non indifferente dei costi (considerato che un volo dall'Italia è molto meno oneroso di uno dall'Egitto verso lo Stato di provenienza dei clandestini). Quest'azione, con gli accordi di riammissione, ha una sua specifica evoluzione per quanto riguarda i paesi di cui lei, signor presidente, mi ha chiesto.
L'accordo di riammisione con il Marocco è del 1998; non è stato ancora ratificato dal Parlamento, ma è ugualmente utilizzato, anche se con limitazioni procedurali. In tali paesi vi è, infatti, una certa difficoltà all'assistenza a grandi rimpatri. Per cui, noi inviamo un numero limitato di extracomunitari alla volta.
Nel 2002, il numero dei rimpatri effettivi è stato di 6.153 cittadini marocchini. Quest'anno, fino al 16 novembre, sono stati 3.688 (si tratta di un dato provvisorio, quando disporrò di quello definitivo, potrò specificare meglio).
Quest'anno il numero effettivo dei rimpatri è inferiore rispetto al dato dell'anno scorso. Ciò è dovuto ad un decremento negli arrivi. Dall'Albania non arriva più nessuno; dalla Slovenia il numero è ridottissimo; il flusso che giunge dal Mediterraneo - più visibile - degli sbarchi è, in ogni caso, inferiore, rispetto allo scorso anno, di circa il 20 per cento. Inoltre, per quanto riguarda i cittadini extracomunitari clandestini rintracciati sul territorio nazionale, ve ne sono 705 mila in meno (sono quelli che abbiamo regolarizzato).
Pertanto, a fronte di tutti questi elementi, che determinano un bacino di clandestinità notevolmente inferiore a quello dello scorso anno, l'azione è stata, in percentuale, molto più ampia, anche se i valori assoluti sono inferiori.
Per quanto riguarda l'Egitto, il numero dei rimpatri effettuati lo scorso anno era di 667; quest'anno abbiamo già superato i 300. Alle ore due di oggi, è partito un volo charter, con a bordo 50 immigrati clandestini, in direzione dell'Egitto; un altro volo partirà domattina. Quindi, anche se con l'Egitto non vi è un accordo di riammissione


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(anzi, il relativo negoziato stenta a partire), da un punto di vista pratico, la nostra attività di collaborazione, nonostante alcune difficoltà sorte negli ultimi mesi, è ripartita in modo particolarmente efficiente. L'accordo di riammissione sarebbe un formalismo importante da raggiungere, ma noi, nella pratica, «sopravviviamo» comunque.
Con la Tunisia, l'accordo di riammissione fa capo ad uno scambio di note del 1998; è in vigore dal settembre del 1999. Le modalità di rimpatrio sono limitate: le autorità tunisine non consentono di utilizzare voli charter e non fanno superare, per ogni aereo, 20 o 30 persone da rimpatriare; devo comunque dire che i tunisini sono molto duttili e ci aiutano anche nelle procedure di identificazione.
Non è raro il caso che, per difficoltà d'identificazione, si rimpatri qualcuno che, successivamente, si scopre non essere cittadino tunisino e che deve essere rimandato indietro. Vi è, dunque, una disponibilità alla collaborazione da parte delle autorità tunisine. È evidente che si tratta di una disponibilità correlata anche ai nostri interventi di carattere diplomatico, politico e di sostegno finanziario.
Nel 2002 avevamo fisicamente rimpatriato 3.050 tunisini. Quest'anno ne abbiamo rimpatriati, al 16 novembre 2003, 1.717.
Il fenomeno di immigrazione clandestina di cittadini libici è quasi irrilevante. Sebbene abbiamo rimpatriato, quest'anno, 142 cittadini libici, va detto che 123 di loro sono stati respinti alla frontiera per problemi di visto. Ripeto, il fenomeno migratorio di cittadini libici è pressoché inesistente. Del vero problema con la Libia parlerò in seguito.
Anche il problema dei cittadini maltesi è del tutto irrilevante (nel corso del 2003, ne abbiamo rimpatriato uno solo). Malta si sta rapidamente adeguando - anche se con fatica, poiché è uno Stato grande pressappoco come una nostra città - alla sua nuova collocazione europea.
Il 9 settembre scorso, un'imbarcazione di clandestini egiziani, proveniente dalla Libia, ha chiesto soccorso in acque territoriali maltesi; i maltesi l'hanno soccorsa, ma hanno esclusivamente fornito agli imbarcati coperte, acqua, eccetera, senza interdire loro il viaggio. Nel momento in cui il pattugliamento congiunto è intervenuto, la nave è stata bloccata e nuovamente soccorsa (poiché era in avaria), ma i 166 cittadini egiziani a bordo sono stati riportati a Malta. In quanto facente ormai quasi parte dell'Unione europea, tale paese avrebbe dovuto avere un atteggiamento completamente diverso nella vicenda.
Ciò dimostra le sue difficoltà, ma, nello stesso tempo, anche la sua disponibilità ad attrezzarsi in merito. I maltesi partecipano con noi al pattugliamento congiunto in mare, nell'ambito dei programmi che stiamo realizzando (tra cui il programma Nettuno).
Lei, signor presidente, mi ha anche chiesto informazioni sulle organizzazioni criminali maltesi. Come sa, non ho competenza sull'attività di contrasto alla criminalità organizzata; seguo indirettamente le attività investigative che hanno riflesso sull'immigrazione. Vi è stata, soprattutto lo scorso anno, un'attività di supporto al traffico dei clandestini, con base a Malta (si è trattato non tanto di cittadini maltesi quanto di extracomunitari residenti nell'isola). Si sono svolte due indagini, molto importanti, condotte dalla questura di Ragusa, che hanno portato all'arresto di alcune persone (mi sembra sette), che vivevano tra Italia e Malta, organizzando detti traffici di clandestini. In tale circostanza, le autorità maltesi, attraverso i normali canali di cooperazione e di polizia, hanno collaborato. Nostri investigatori sono stati più volte a Malta per sviluppare tale attività investigativa. Le indagini, conclusesi lo scorso anno, hanno - come detto - avuto successo.
Malta è, in questo momento, quasi sempre un'area di transito. Difficilmente i clandestini fanno scalo sull'isola. Talvolta accade che le imbarcazioni sbaglino rotta, a causa delle condizioni atmosferiche, e ritengano che l'isola sia Lampedusa se non, addirittura, la Sicilia. Non si può, pertanto, affermare che Malta rivesta un ruolo strategico nel flusso migratorio. Purtroppo,


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tale ruolo, per una questione geografica, lo sta svolgendo Lampedusa: è l'avamposto italiano più vicino alle coste nordafricane per quanto riguarda la Libia (lo stesso può dirsi per Pantelleria, rispetto alla Tunisia), come tale, è il primo attracco aggredito dai flussi migratori.
La nostra azione ci sta spingendo ad immaginare, assieme agli altri paesi europei, una linea di confine virtuale. Fermarsi alla linea di confine marittimo, cioè alle nostre acque territoriali, significa perdere la battaglia. In questo tratto si concentra il 90 per cento delle imbarcazioni di clandestini che, per legge internazionale, debbono essere semplicemente soccorsi, senza alternative. Alla luce di ciò, le ipotesi di intervento si riducono a due: la prima implica la prevenzione del problema attraverso un debito contrasto alle origini, da parte dei paesi di provenienza, al fine di impedire ai clandestini di salpare; la seconda, invece, consiste nell'avanzamento della nostra linea di confine ideale, così da raccogliere la nuova frontiera europea, compresi i paesi dell'allargamento, passando per Cipro, Creta, Malta e Lampedusa.
Questa linea di confine, protesa in avanti, non è più italiana ma europea. In tal senso, gli strumenti approvati nei giorni scorsi proprio a livello comunitario ci consentono di realizzare delle forme di contrasto efficace, che hanno un senso dal punto di vista tecnico, della navigazione, e giuridico, per quello che riguarda le regole del soccorso in mare, comunque prioritarie rispetto al resto.
Per quanto riguarda i rapporti intrattenuti dall'Italia con la Tunisia, la collaborazione è particolarmente efficace, e ha consentito di potenziare strumenti già adottati in passato tra i due paesi. Esiste, in particolare, un programma di visite in base a cui i nostri esperti di polizia di frontiera e quelli tunisini si recano a «visitare» gli uni le frontiere degli altri, così da potenziare i controlli, sviluppando una conoscenza comune dei rispettivi territori. Aggiungo che quest'anno è stato definito un ampio programma di addestramento della polizia tunisina in materia di controlli di frontiera, falso documentale, rilevazione di impronte digitali, specializzazione di polizia scientifica, identificazione ed esame di reperti genetici, compresi il DNA.
Si tratta, dunque, di una serie di corsi di alta qualificazione che, a partire da gennaio, svolgeremo per i poliziotti tunisini. Abbiamo già fissato un programma di assistenza al Governo tunisino, simile a quello 1998-2000, con il quale si è provveduto a rimettere in operatività tutti i mezzi forniti nel vecchio programma triennale appena citato. In base al precedente, sebbene si prevedesse la fornitura di mezzi (motovedette, autovetture e gruppi elettrogeni) non venivano contemplate la manutenzione e la riparazione degli stessi, per cui al loro deterioramento non seguiva la necessaria riparazione o sostituzione. Per cui, come primo intervento, abbiamo riattivato quanto già previsto nella vecchia programmazione, rendendo i mezzi nuovamente funzionanti; in più si è effettuata una previsione di fornitura - parlo di previsione perché, sebbene i contratti siano già stati stipulati, i tempi di consegna richiederanno comunque alcuni mesi - di mezzi ulteriori, questa volta includendo anche i contratti di manutenzione e di assistenza in loco per un ammontare pari a 6-7 milioni di euro soltanto per il 2003. Inoltre, questa attività si inquadra in una forma di cooperazione diretta anche al coinvolgimento delle autorità tunisine in Italia.
Stiamo cercando di avviare iniziative simili anche per la Libia, che subisce attualmente un flusso migratorio dai paesi subsahariani - del Corno d'Africa soprattutto - fortissimo.
Questo paese non ha grandi strumenti di contrasto e tale situazione è conseguenziale alla politica di apertura al mondo africano intrattenuto dalle autorità libiche. Al momento, però, tale politica volta all'assorbimento di una forza lavoro pari a circa un milione e mezzo di cittadini non libici, che vivono e lavorano in Libia, si scontra con la presenza di un altro fenomeno: ormai, infatti, sono decine di migliaia - se non centinaia - gli stranieri


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presenti in questo paese soltanto con lo scopo di transitarvi per raggiungere poi le coste europee. Si tratta di una realtà molto complessa capace di causare grossi problemi alla Libia, di ordine sia sanitario (per le malattie infettive aumentate in maniera esponenziale), sia pubblico e di sicurezza (molti di questi clandestini delinquono, e la Libia non era abituata ad avere un tipo di delinquenza di questo genere). Attualmente si colgono alcuni importanti risultati, grazie alla pressione avviata e ai rapporti intrattenuti soprattutto dal ministro dell'interno Pisanu - l'ultimo incontro tra il ministro italiano e quello libico risale a lunedì 1o dicembre -, proprio per concretizzare ulteriormente l'azione di contrasto ai trafficanti di clandestini e definire adeguati programmi di assistenza alle autorità libiche.
Come è noto, esiste un problema di fondo. L'ONU ha tolto l'embargo alla Libia, l'Unione europea ancora non l'ha fatto e la Libia dichiara di avere difficoltà a rifornirsi dei mezzi necessari per il contrasto all'immigrazione clandestina.

PRESIDENTE. Per quanto vi è dato sapere, i trafficanti che partono dalla Libia e trasportano molto spesso persone non libiche sono libici o di altri paesi?

ALESSANDRO PANSA, Direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'Interno. Pochissimi sono i libici. La realtà è diversa e più articolata. Dal punto di vista delle organizzazioni di trafficanti non vi sono - se non marginalmente - coinvolgimenti di criminalità libica: si tratta, infatti, essenzialmente di organizzazioni dei paesi di origine degli immigrati oppure delle aree maghrebina, tunisina o marocchina. Quello che invece si sta verificando è che molti dei clandestini giunti in Libia non sono organizzati, cioè non hanno pagato un trafficante per condurli in quel paese per poi sbarcare in Italia. Si tratta di soggetti che arrivano in maniera drammatica - temo che il numero dei decessi imputabili alla traversata del deserto sia superiore a quello dovuto al viaggio in mare - in territorio libico, ove spesso sostano per brevi periodi al fine di mettere da parte la somma sufficiente per il viaggio successivo. Poi, con i soldi ottenuti si presentano ai pescatori libici convincendoli a farsi accompagnare. In questo fenomeno corruttivo dunque non esistono trafficanti o favoreggiatori, ma cittadini libici che normalmente svolgono attività correlate alla pesca e poi sporadicamente si dedicano anche a questo tipo di iniziative. Molti di questi viaggi vengono intrapresi con mezzi veramente di fortuna, assolutamente inadeguati (gommoni di 6 metri con 30 persone a bordo che riescono fortunosamente ad approdare a Lampedusa - mentre noi non riusciamo a condurli con un traghetto di linea ad Agrigento, perché bloccati dal maltempo -, o barche di 11 metri cariche di centocinquanta persone).
Quanto alle grosse organizzazioni criminali, si trovano soprattutto concentrate in Somalia e nel Sudan verso la Libia. Però, ripeto, aumenta significativamente il numero di clandestini che alle spalle sono privi di organizzazioni di questo tipo.
Venendo ai voli congiunti, il presidente ha citato una sperimentazione che abbiamo svolto insieme alla Germania. Da anni ricorriamo con successo a voli charter per rimpatriare i clandestini arrivati nel nostro paese.
Abbiamo fatto una prova, assieme ai tedeschi: in effetti, è stata un'esperienza molto positiva. Abbiamo trasportato una cinquantina di cittadini nigeriani, di cui una metà proveniva dalla Germania e l'altra dall'Italia.
Tale esperienza, arricchita da contatti e da approfondimenti analitici, ci ha permesso di capire che, in Germania, il sistema dei voli charter era concepito in modo totalmente diverso. L'approccio e la metodologia italiana erano totalmente diversi da quelli tedeschi e francesi. Non vi era, pertanto, un'omogeneità di comportamenti. Tale rilevazione è stata importante, poiché ha fatto nascere un'iniziativa, nell'ambito del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea. Nell'ultimo GAI (Consiglio dei ministri della Giustizia e


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degli Affari interni) a Bruxelles, presieduto dal ministro Pisanu, è stata adottata una decisione - il 6 novembre - relativa all'organizzazione di voli congiunti per l'allontanamento dal territorio di due o più Stati membri dei cittadini residenti destinatari di provvedimenti di allontanamento individuale.
Si tratta di un provvedimento nel quale sono definite analiticamente le procedure cui attenersi per l'organizzazione dei voli congiunti, in modo tale da incentivare l'iniziativa, rendendo il sistema organizzativo simile.
Per fare un esempio banale, i poliziotti tedeschi che accompagnavano i nigeriani erano armati, al contrario dei nostri. È una scelta tecnica di metodologia. Noi ci siamo trovati sempre benissimo, non è mai successo nulla; soprattutto non vi sono mai stati danni fisici, né agli uomini di scorta, né agli extracomunitari allontanati. Altri paesi hanno avuto problemi, anche con episodi di lesioni molto gravi (se non ricordo male, vi è stato anche un morto, qualche mese fa, in occasione di un rimpatri operato da un paese europeo).
La decisione del Consiglio dei ministri dell'Unione europea di cui si è detto, consentirà di organizzare in modo più efficace i voli congiunti. È chiaro che ciò rende le operazioni più semplici, per due ordini di motivi: quando si chiede ad un paese terzo di fare un volo congiunto, se invece di rivolgersi solo all'ambasciatore italiano per la notifica, essa è compiuta da due o tre ambasciatori europei, è evidente che vi è una maggiore disponibilità del paese terzo; inoltre vi è una riduzione dei costi, si dividono le spese e le responsabilità del trasporto.
Secondo me, l'importante esperienza con la Germania è stata fondamentale per individuare tale tipo di modulo operativo, con l'approvazione di una decisione molto efficace.
In merito alla sala di coordinamento, la legge Fini-Bossi ha modificato l'articolo 11 della normativa sull'immigrazione, attribuendo il coordinamento delle attività aeronavali degli enti e delle amministrazioni che svolgono attività in mare al ministro dell'interno. Il medesimo, con un decreto del 14 luglio di quest'anno, ha disposto che i compiti di acquisizione e di analisi delle informazioni connessi all'attività di vigilanza, prevenzione e contrasto all'immigrazione clandestina via mare ed il coordinamento delle direttive operative occorrenti per l'integrazione delle attività aeronavali degli enti e delle amministrazioni interessati, con tutte le attività d'informazione, debbono essere svolti dalla direzione centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere.
Immediatamente dopo la pubblicazione e la registrazione del decreto da parte della Corte dei conti, avvenuta ai primi di ottobre, è stata emanata una circolare sull'attività di vigilanza e prevenzione, che prevede l'istituzione di una sala di coordinamento operativo del contrasto dell'immigrazione clandestina via mare e di raccolta di tutte le informazioni inerenti ai flussi d'immigrazione clandestina.
È stato previsto un sistema di rete informatica nazionale (o sistema di comunicazione integrato) che fa capo alla sala operativa da parte di tutti gli enti che dispongono di informazioni riguardanti il contrasto in mare: quindi, non solo le unità navali operanti in mare, ma anche le rappresentanze diplomatiche, gli organi investigativi e quelli di sicurezza. Tutte le informazioni sono concentrate in tale sala operativa, che utilizzerà le informazioni, come prevede la normativa, per dare seguito alle attività di contrasto in mare, dando le direttive e le indicazioni, nel dettaglio, di tutte le attività che debbono essere svolte in mare.
Per creare un sistema operativo efficace, proprio in questi giorni - spero sarà varato in settimana - stiamo redigendo un protocollo operativo con la marina, la Guardia di finanza e la Guardia costiera, che sono i tre organismi che operano in mare, per integrare tale tipo d'attività con i piani regionali d'intervento in mare, nelle acque territoriali.
Il protocollo operativo, in effetti, non è altro che un modulo operativo che stiamo già sperimentando, da alcuni mesi, per la


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gestione delle emergenze e delle azioni di contrasto e di coordinamento in mare.
Esso prevede alcune opere in più che, in questo momento, non si realizzano, poiché rientranti in una serie di installazioni che abbiamo commissionato: le informazioni preventive per quanto riguarda la dislocazione in mare ed il raggio di copertura della rete radar.
Tali informazioni saranno gestite a livello centralizzato nella sala operativa della direzione centrale, che è già stata commissionata: si è firmato il contratto per la sua realizzazione ed i lavori relativi sono iniziati il 1o dicembre di quest'anno. In quattro-sei mesi dovrebbe essere realizzata. La sala operativa centrale sarà collegata a tre sale operative, previste nell'ambito dei programmi per lo sviluppo del Mezzogiorno, collocate in Sicilia, in Calabria ed in Puglia, presso le già esistenti sale operative delle forze navali, con compiti di collegamento di tutte le unità navali delle singole zone.
In questo momento, stiamo procedendo con una metodologia ed una prassi standardizzate, che abbiamo maturato nel corso del tempo. Le stiamo formalizzando in un protocollo che sarà pronto a giorni. Disporremo, poi, di una strumentazione tecnica (credo che il tutto si realizzerà nella seconda metà del 2004) per gestire anche le tecnologie necessarie al sistema informativo, che deve consentire l'integrazione di informazioni di diversa natura (immagini radar, comunicazioni radio e telematiche e documenti scritti). Tale integrazione dovrebbe consentire una maggiore efficienza al sistema.
Il grande passo avanti è, comunque, il mutamento dell'approccio mentale.
Il decreto istitutivo di realizzazione del coordinamento è frutto di un lavoro svolto congiuntamente con i comandi generali della Guardia di finanza e delle Capitanerie di porto e con lo stato maggiore della marina. Quindi, sono state individuate le soluzioni migliori e soprattutto condivise.
E ciò garantisce il funzionamento del progetto poiché tutti i soggetti coinvolti operano perfettamente in accordo. Anche in questi giorni e per tutta l'estate il meccanismo ha funzionato perfettamente, sebbene necessiti di ulteriori sviluppi, considerato che non esiste allo stato una effettiva capacità di elaborazione dati, in difetto di supporti adeguati.
In ogni caso, questa esperienza ci ha consentito anche di progettare la nuova sala operativa centrale in maniera, a mio parere, particolarmente moderna e valida. Appena sarà realizzata, essa fornirà una marcia in più per agire. Tale forma di coordinamento risulta particolarmente importante anche in relazione ad un'altra iniziativa.
Lei, signor presidente, parlava del progetto Nettuno, misura a cui ci si riferisce con doppia accezione. Usiamo questa espressione per indicare innanzitutto tutto il programma di contrasto in mare, elaborato dal nostro paese, come iniziativa e del Ministero dell'interno e della Presidenza italiana. Il programma presenta un aspetto normativo ed uno pratico. Per quanto riguarda quest'ultimo, il Consiglio europeo aveva dato incarico alla Commissione di portare avanti uno studio di fattibilità sul contrasto in mare. La Commissione lo ha svolto (consiste nell'elaborato di una società appaltatrice di consulenza), e sulla base di questo - ma soprattutto della conoscenza comune dei vari paesi -, è stato redatto un programma di misure per il contrasto all'immigrazione clandestina, attraverso le frontiere marittime dell'Unione europea.
Il programma in data 28 novembre scorso è stata approvato dal Consiglio GAI. Il Consiglio dell'Unione europea ha appositamente provveduto, in apposito documento, a delineare dettagliatamente il programma per il contrasto, definendo per la prima volta una regola cui sono chiamati ad attenersi tutti i paesi europei (indipendentemente dal presentare o meno frontiere marittime o dall'affacciarsi sul Mediterraneo). Vi è un'ampia descrizione operativa in base a cui si definisce finalità primaria del programma il miglioramento delle attività di contrasto in mare attraverso due strumenti: il rafforzamento della cooperazione tra i paesi membri e il rafforzamento della cooperazione fra


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paesi membri e paesi terzi, allo scopo di realizzare operazioni congiunte e adottare misure che abbiano efficacia nei luoghi di origine o di transito.
Gli aspetti salienti del programma sono molteplici, ma essenzialmente si basano su tre iniziative. In primo luogo, vi sono i controlli da porto a porto, cioè tra Stati membri o Stati membri e paesi terzi cui si chiede di organizzare un controllo - appunto da porto a porto - di tutti i collegamenti marittimi ufficiali esistenti. In questo frangente esistono, infatti, grossi problemi e nel caso specifico dell'Italia si incontrano notevoli difficoltà nei rapporti con la Grecia, paese con cui stiamo realizzando uno di tali collegamenti per porre in essere controlli congiunti nei porti di partenza e di arrivo, ed evitare che vi siano trasportati clandestini.
Poi vi sono azioni operative in acque territoriali e in alto mare, con pattugliamento intercettazione e interdizione della nave congiunti ed infine - e qui sta il grosso valore aggiunto del programma - la gestione dei clandestini intercettati.
Fino ad oggi abbiamo spronato l'azione di contrasto in mare, fissato le regole per attivare le azioni e i pattugliamenti marittimi ma non abbiamo mai stabilito, una volta bloccata una nave colma di clandestini, che cosa fare: al momento siamo costretti sostanzialmente a condurla verso le nostre coste, facendola approdare sul territorio italiano. A livello comunitario, invece, sono ora state fissate delle regole che tendono, piuttosto, al rimpatrio dei soggetti clandestini e ciò avviene attraverso una serie di misure che prevedono l'impiego di attrezzature tecniche e sistemi operativi efficaci di rafforzamento della vigilanza, attraverso l'assistenza tecnica nei paesi terzi ed il pattugliamento congiunto effettuato da questi e dagli Stati membri.
Pattugliare insieme quella linea di confine virtuale cui precedentemente accennavo, anche con osservatori dei paesi terzi sulle nostre navi, consentirà di migliorare il quadro attuale. Se su una nave italiana, tedesca, inglese o su un aereo (il pattugliamento aereo inglese nel Mediterraneo concorre in modo decisivo alla segnalazione dei movimenti navali insieme con gli Atlantic della marina e gli ATR42 della Guardia di finanza) sarà presente anche un osservatore dei paesi terzi, che potrà controllare direttamente sul radar il luogo di partenza dell'imbarcazione, testimoniando la corretta provenienza del mezzo clandestino, una volta fermato, ai fini del rimpatrio dei passeggeri. Intercettazione e interdizione consentono di bloccare i clandestini e ricondurli nel porto di partenza, dove però non possiamo abbandonarli, lasciandone la responsabilità ai paesi del porto di partenza. In tal senso, aiutare questi ultimi a gestire gli immigrati, anche attraverso un lavoro di individuazione di responsabilità - ai fini dell'individuazione del comandante, del pilota dell'equipaggio - e dotarli degli strumenti utili per intervenire, realizzando le strutture adeguate allo scopo, diviene un'azione fondamentale. A questo scopo, un ruolo prioritario è riconosciuto a quelle che a livello comunitario sono definite accomodations facilities, ovvero strutture per l'accoglienza che non sono né i centri di accoglienza profughi né i campi di restrizione di altro genere.
Si tratta di strutture capaci di accogliere gli immigrati clandestini per dare il tempo alle autorità locali di identificarli e riportarli nei paesi di origine. Se il meccanismo funzionerà darà grandi risultati. Questo programma, chiamato anche programma Nettuno, porta lo stesso nome di alcune sperimentazioni operative del programma stesso. Il programma Nettuno è un progetto approvato dalla Common Unit - struttura comunitaria operativa per il contrasto dell'immigrazione clandestina - il 22 luglio del 2003, che prevede un'azione di pattugliamento congiunto di un'area di mare, il Mediterraneo centrale a partire da Malta e da Lampedusa, verso le coste meridionali.
Ad esso hanno partecipato i reparti aerei navali della Guardia di finanza di Palermo, organizzazioni di Francia, Germania, Olanda, Regno unito, Spagna, Malta e Cipro, con unità navali ed aeree di questi paesi, la marina militare italiana e


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le capitanerie di porto. Tale azione si è svolta a partire dal 9 settembre sino al 24 settembre. Nel corso di questa attività, nonostante vi sia stato un periodo iniziale di condizioni meteomarine particolarmente avverse, sono state bloccate 11 imbarcazioni dirette per la maggior parte a Lampedusa, Pantelleria e Marettimo, con 815 clandestini, prevalentemente nordafricani.
Tre di tali intercettazioni hanno riguardato: una, 166 egiziani (quelli transitati per Malta e che abbiamo riportato in quell'isola); un'altra, 233 cittadini, quasi tutti egiziani, che sono stati, prima fatti scendere a terra in Italia e poi quasi tutti rimpatriati nel paese di origine; e l'ultima una nave soccorsa in mare con 166 clandestini, quasi tutti richiedenti asilo. Un certo numero di scafisti - credo tre o quattro, di nazionalità tunisina - sono stati arrestati e si è avuto un test particolarmente efficace del sistema di coordinamento.
Il programma Nettuno prevede che tale tipo d'operazione sarà svolta (credo a gennaio: i tempi dipendono dalle condizioni atmosferiche, dai tempi di trasferimento delle unità navali ed aeree) nel Mediterraneo orientale, con base a Cipro.
Per quanto riguarda i dati sui clandestini, nel 2003 (i dati si riferiscono al 31 ottobre) sono stati rintracciati, sul territorio italiano 87.873 clandestini. Di loro, circa il 61 per cento è stato fisicamente riportato nel paese d'origine (53.410). Come affermavo in precedenza, il dato va considerato, rispetto a quello degli anni precedenti, particolarmente positivo. Nel 2002 i cittadini extracomunitari rintracciati sono stati 127.517 e ne abbiamo rimpatriati il 57 per cento. Pertanto, il valore assoluto è maggiore, ma la percentuale minore. Nel 2001, gli extracomunitari rintracciati sono stati 113.000 e ne abbiamo rimpatriati poco più del 57 per cento.
Il dato del 2003, dunque, è - a mio avviso - estremamente positivo, anche perché, nel frattempo, sono stati regolarizzati circa 700 mila cittadini extracomunitari. Siamo riusciti ad interrompere alcuni flussi terrestri ed il flusso dall'Albania. Il numero degli arrivi è ridotto, e la proporzione tra soggetti rintracciati e rimpatriati è molto elevata.
Per quanto riguarda i voli charter, quest'anno ne abbiamo effettuati già 25, riportando in patria 1.901 cittadini extracomunitari. Per queste operazioni abbiamo impiegato 1.219 uomini di scorta. Vi è, pertanto, un rapporto tra scorta e persona scortata di 1,7. Potrebbe sembrare un rapporto strano, ma vi sono alcuni, come i rumeni, che non sono scortati (ci limitiamo ad imbarcarli sugli aerei della compagnia di bandiera rumena). Per altri, particolarmente tranquilli, come pakistani e cittadini del Bangladesh, la scorta a bordo dell'aereo è esigua; per altri, essa può arrivare ad uno a due o, addirittura a tre. La media della spesa dei voli charter è di 1.700 euro per ogni rimpatriato.
Per quanto riguarda le spese, dispongo di costi che non riguardano, però, le altre forze di polizia, di cui non abbiamo i dati: (le Capitanerie di porto e la marina militare). Non sono in grado nemmeno di dire quanto si spende per i centri di permanenza...

PRESIDENTE. Allora, ritiro la domanda; altrimenti rischiamo di avere un dato che non può essere paragonato...

ALESSANDRO PANSA, Direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Quest'anno, per l'attuazione degli accordi di collaborazione internazionale, si sono spesi 19 milioni di euro; per le tecnologie, abbiamo speso 10,5 milioni di euro.
Le spese di rimpatrio dei cittadini rintracciati in posizione irregolare (comprensive dei costi per la somministrazione dei pasti e del trasporto ai centri di accoglienza) sono state pari a 16.479.659 euro. È un dato piuttosto confortante, considerati anche i risultati ottenuti.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che desiderano intervenire.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Ringrazio il prefetto per la sua come di consueto puntuale esposizione e per la documentata illustrazione.


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Provengo da un convegno, tenutosi stamattina al CNEL, in cui si è parlato dell'aspetto confinante con il problema della sicurezza, pur senza attenere ad esso: le politiche di integrazione, le quote, eccetera. A fronte di alcuni interventi puramente tecnici, ve ne sono stati altri - faccio questa breve premessa al fine di chiarire che la domanda che sto per porle non nasce da mie valutazioni critiche, ma da posizioni assunte oggi da alcuni esponenti delle forze sociali che hanno criticato, anche dal punto di vista della corretta registrazione, alcune iniziative - che sostengono che la regolarizzazione possa avere solo un effetto tampone.
Il provvedimento, che regolarizza 650-680 mila persone, a fronte delle 703 mila domande, se non troverà una risposta con altre iniziative (che potrebbero essere: una migliore allocazione dal punto di vista della soluzione logistica-ambientale, casa ed assistenza sanitaria), può dare origine a nuovi fenomeni di presenza irregolare di clandestini. Un esponente di un sindacato avrebbe già quantificato, oggi, una presenza di irregolari, post-regolarizzazione, di circa 400 mila unità.
Fermo restando che si tratta di un dato da verificare (non chiedo di farlo a lei, in quanto, probabilmente, non dispone di tali dati), effettivamente, per le mie personali conoscenze, esiste un fenomeno di nuova criminalità e microcriminalità che si innesta sul processo di regolarizzazione. Mi spiego meglio: sappiamo che sono rilasciati anche permessi di soggiorno per il reperimento temporaneo di un nuovo posto di lavoro (il permesso di soggiorno di durata semestrale).
Quello che sta avvenendo, purtroppo, per responsabilità di alcune organizzazioni microcriminali (prevalentemente extracomunitarie), è un fenomeno per cui, nell'arco dei sei mesi di permesso provvisorio, un datore di lavoro assume temporaneamente un soggetto extracomunitario - a fronte del pagamento di una somma variabile (tra i 1.500 e i 2.500 euro per ogni singola persona), consentendogli, quindi, di ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno - che finisce per non aver più scadenza semestrale in ragione del contratto di lavoro intercorso, per poi licenziarlo successivamente. Questa prassi prosegue, dando luogo ad una speculazione post regolarizzazione, tale da aggravare il fenomeno dell'irregolarità e della clandestinità, a fronte di un mercimonio sulla pelle degli immigrati.
Ne è al corrente il prefetto Pansa? Ritiene che il Comitato Schengen possa suggerire al Parlamento ed al Governo iniziative da adottare dinanzi a tale situazione?
Si è poi parlato di quote privilegiate, che io ritengo rappresentino uno strumento molto importante. Durante il convegno cui precedentemente facevo cenno è però emersa un'obiezione, secondo cui le quote privilegiate, mentre favoriscono i paesi beneficiari, potrebbero creare una reazione del tutto opposta tra quelli esclusi da tale misura, incentivando addirittura il fenomeno dei flussi di immigrazione clandestina. Vorrei sapere se è vera questa obiezione sollevata oggi al CNEL, e se lei ci può fornire dati in merito.
Dobbiamo, infine - io ritengo si debba - continuare a perseguire il rapporto degli accordi bilaterali di rimpatrio, in uno con la valorizzazione delle quote privilegiate?
Da ultimo, svolgo una breve considerazione. Lei ha citato il processo di allargamento dell'Unione europea; non so quale potrà essere l'atteggiamento del nostro Governo rispetto al recepimento o meno del periodo transitorio nei confronti dei nuovi dieci paesi che dal 1o maggio 2004 faranno parte dell'Unione; resta il fatto che, ad oggi, incontriamo alcuni problemi, particolarmente con la comunità rumena. Per quanto la Romania sia ancora un paese extracomunitario agli immigrati originari di questo paese, di fatto, consentiamo di entrare in Italia senza regolare visto di soggiorno legato ad un contratto di lavoro, e ciò sta creando nel nord Italia (mi riferisco in particolare al caso dell'hinterland milanese) gravi problemi di presenza di clandestini dediti spesso alla microcriminalità, o comunque di soggetti in grado di entrare in Italia -


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attraverso le maglie larghe di un atteggiamento di solidarietà verso questo paese - in forma anomala.

PIETRO TIDEI. Vorrei sapere realisticamente a quanto ammonta oggi la presenza di clandestini extracomunitari in Italia e porre una domanda apparentemente superficiale ma che intendo comunque rivolgere, parlando in rappresentanza di una parte politica diversa da quella di maggioranza. Secondo lei, la cosiddetta legge Bossi-Fini, onestamente, ha sino ad oggi concretamente contribuito a frenare il fenomeno dell'immigrazione clandestina? Cosa consiglierebbe, dopo questa prima sperimentazione, come eventuale modifica o ad integrazione della medesima normativa?

PRESIDENTE. Per concludere, prefetto Pansa, non le chiedo certamente un giudizio politico sul semestre di presidenza italiana ma, riguardo alla sua specifica attività, le domando se in questo periodo lei ha colto qualcosa che potrà essere di particolare peso per l'Italia e l'Europa rispetto al tema immigrazione.

ALESSANDRO PANSA, Direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'Interno. Mi permetto una brevissima premessa per chiarire le specifiche competenze che mi sono riconosciute e da cui sono escluse le questioni strettamente attinenti all'integrazione, come anche coinvolgimenti diretti nelle azioni di contrasto alla criminalità organizzata.
Essenzialmente gestisco problematiche attinenti all'immigrazione clandestina. Per quanto riguarda le domande dell'onorevole Landi di Chiavenna, particolarmente con riferimento alle stime possibili del fenomeno di irregolari, cogliendo anche l'occasione per replicare alle questioni sollevate dall'onorevole Tidei, non abbiamo elementi sufficienti per rispondere in modo esaustivo e chiarificatore. Non so se la stima cui si è fatto riferimento nel corso del convegno tenutosi questa mattina, pari a 400.000 unità, sia un valore corretto e attendibile o meno; ritengo, onestamente, che sia un dato in realtà esagerato, considerando il fatto che la grande massa di irregolari in Italia è riuscita a regolarizzarsi nel frattempo, ottenendo la possibilità di allargare la sua condizione attraverso i ricongiungimenti familiari (posto che il vero motore propulsivo dell'immigrazione clandestina è la presenza di un familiare cui il nucleo di provenienza intende ricongiungersi, la possibilità di ricongiungimenti regolari e legali dovrebbe significativamente ridurre il fenomeno).
Occorre in ogni caso osservare che una disciplina quale quella in vigore, mentre da un lato fornisce un quadro di riferimento giuridico generale al problema dell'immigrazione, dall'altro introduce e legittima anche un regime temporaneo e speciale per gli irregolari, ammettendo un canale particolare non solo per la procedura di regolarizzazione ma anche per il primo rinnovo. Cioè, chi si è regolarizzato in fase di primo rinnovo deve rispettare delle norme transitorie, previste dall'articolo 33 della legge n.189, che sono molto più rigorose della normativa generale che tutti gli altri immigrati sono chiamati ad osservare.
Si è dato luogo, dunque, ad un problema di confronto tra questa realtà e l'attuale mercato del lavoro, soprattutto costituito da contratti a tempo determinato, di durata inferiore ad un anno. Tutti vengono oggi assunti per sei mesi, licenziati e poi riassunti nuovamente per sei mesi. La flessibilità del mercato del lavoro ha determinato questo meccanismo, a cui anche gli extracomunitari sono assoggettati. L'extracomunitario regolarizzato, per rinnovare la propria regolarizzazione, invece, ha bisogno di un contratto di lavoro annuale che è più difficile stipulare rispetto agli altri. Il rischio è quello di fare della massa dei regolarizzati una massa di disoccupati o sottoccupati rispetto alla legge, ostacolando il rinnovo del permesso di soggiorno.
L'altro pericolo è che durante il periodo di regolarizzazione una serie di soggetti abbiano ottenuto un permesso di soggiorno semestrale non per la regolarizzazione


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ma in attesa del contratto di lavoro, in ragione di situazioni particolari nel frattempo occorse (perché il datore di lavoro era morto, o aveva licenziato il lavoratore immigrato, oppure è insorto un contenzioso tra il secondo ed il primo che non aveva voluto regolarizzare il dipendente). Per queste categorie di persone sono stati rilasciati come dicevo, permessi di soggiorno semestrali, che difficilmente saranno rinnovati a tutti i soggetti richiedenti.
Non dispongo dei dati relativi alla regolarizzazione, ma credo che il numero non sia enorme: ritengo che i permessi di soggiorno semestrali rilasciati nell'ambito della regolarizzazione siano alcune migliaia (forse 5 o 6 mila).
Lei, onorevole Landi di Chiavenna, mi chiedeva se vi è un substrato criminale. Sono state condotte - soprattutto a Milano, ma anche in altre città italiane - indagini che hanno scoperto come si sono creati, all'interno delle comunità nazionali presenti in Italia, meccanismi di aiuto al singolo concittadino che non sia in condizione di regolarizzarsi (non avendo un datore di lavoro). Tale meccanismo, interno, di «mutua assistenza» ha anche configurato una struttura di sfruttamento di carattere criminale, che si serve del lavoratore bisognoso di aiuto per la regolarizzazione o per mantenere la sua posizione di regolare.
Alcune indagini hanno individuato organizzazioni che producevano falsi documenti, prendevano metà o addirittura più del guadagno dell'extracomunitario, retribuendolo con la regolarizzazione e non con il denaro. Ne sono state individuate diverse.
Al riguardo, è in atto anche un'azione di monitoraggio, condotta dal Ministero del lavoro, attraverso gli ispettorati. Tale fenomeno (che è difficile caratterizzare da un punto di vista criminale, con la raccolta di prove atte ad integrare fattispecie previste dal codice penale) si può, più facilmente, aggredire attraverso gli strumenti della normativa sul lavoro.
Altre indagini hanno svelato l'esistenza di gruppi criminali organizzati - anche se non di grandi dimensioni - che, soprattutto nelle grandi città con agglomerati non facilmente controllabili, hanno innescato il meccanismo che lei, onorevole Landi di Chiavenna, citava. Onestamente, non sono in grado di dirle qual è la dimensione.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Signor prefetto, le posso chiedere un'integrazione di risposta? Un extracomunitario ottiene un permesso provvisorio per sei mesi, per le ragioni che lei ha correttamente illustrato, e, attraverso uno pseudodatore di lavoro, riesce ad ottenere, nel periodo dei sei mesi, un nuovo permesso per un lavoro a tempo determinato. Vi è un meccanismo perverso nell'operazione: il datore di lavoro assume l'extracomunitario, sapendo che lo licenzierà quando avrà ottenuto il permesso regolare.
Nelle maglie della legge n. 189 del 2002, si riesce ad individuare un meccanismo per estirpare tale rischio di speculazione, che vanifica gli effetti limitativi che abbiamo voluto introdurre con la legge stessa?

ALESSANDRO PANSA, Direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. La legge prevede un meccanismo di tale tipo. Al rinnovo del permesso di soggiorno, è necessario che l'extracomunitario abbia un contratto di lavoro e sia in regola con il pagamento della contribuzione INPS.
Domani ci riuniamo con il sottosegretario Mantovano e con alcuni rappresentanti sindacali di categoria, per affrontare alcune difficoltà emerse (tra le quali, anche quella, per alcuni extracomunitari, di continuare il processo di regolarizzazione, con il rischio di finire nelle maglie di circuiti criminali) e per verificare se, sfruttando le opportunità già offerte dalla legge, si possano creare gli strumenti di controllo adatti. Proporremo anche iniziative in merito alla legge Fini-Bossi.
Il Ministero dell'interno è stato l'unico, in sede comunitaria, a pronunciarsi contro l'opportunità di revocare l'obbligo del visto ai cittadini rumeni, ma il processo è


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andato tanto avanti che l'obbligo del visto è stato tolto. L'obbligo del visto riguarda, comunque, solo il permesso di soggiorno fino a 90 giorni.
Quando è stata fatta la scelta - lo dico con grande chiarezza e sincerità, pur sapendo di non incontrare il favore di tutti - di operare una regolarizzazione (direi «tombale»), sarebbe stato necessario creare, contestualmente, un sistema di ingressi regolari nel nostro paese. Non lo si è fatto e, dal giorno successivo all'inizio della regolarizzazione, si sono chiuse le porte. Chiuse le porte, tuttavia, gli extracomunitari hanno continuato ad arrivare, clandestinamente.

PRESIDENTE. Signor prefetto, però gli ingressi regolari sono previsti: le quote per l'anno in corso vi sono comunque. È vero che si tratta di quote ridotte, rispetto agli anni precedenti, ma ci si aspettava un'extra-quota gigantesca, quale il contingente dei 705 mila regolarizzati.
Dunque, gli ingressi regolari sono continuati, ma è chiaro che non si potevano mantenere gli stessi numeri precedenti, poiché bisognava tenere conto proprio delle 705 mila persone in precedenza clandestine. È necessario fare una fotografia rispetto alla situazione che partirà il 1 gennaio del prossimo anno.

ALESSANDRO PANSA, Direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. La legge Bossi-Fini ha creato un meccanismo di contrasto con un gran valore deterrente e con un miglioramento, non indifferente, di alcune soluzioni al sistema dei respingimenti.
Vi sono, tuttavia, alcune problematiche procedurali che, a mio parere, non sono particolarmente complicate: potrebbero essere risolte in sede interpretativa. Trattandosi, però, di un'interpretazione che a livello nazionale è divenuta molto variegata, probabilmente, richiede un intervento normativo. Ad esempio: in caso di espulsione cui l'extracomunitario non ottempera, con il conseguente arresto, è necessario un nuovo procedimento di espulsione o basta un nuovo ordine?
Credo lo abbia detto anche il prefetto D'Ascenzo: abbiamo bisogno di un enorme numero di posti nei centri di permanenza. Disponiamo delle risorse economiche e dei progetti per tali centri, ma nessuno ci permette di metterli in atto.
Attualmente, abbiamo portato a più di 1.700 i posti nei centri di permanenza (da 1.200). Considerando i lavori di manutenzione, si hanno 1.350-1.400 posti disponibili.
Sono pochissimi. Avremmo bisogno, infatti, di un numero almeno tre volte superiore, per rendere molto più efficace il sistema previsto dalla legge in vigore, la quale pur riconosce la possibilità di implementare la nostra azione (si pensi solo agli accordi di riammissione e a tutte le altre misure previste). In ogni caso, permangono ancora considerevoli fattori ostativi, allorché si consideri solo la nostra attuale impossibilità di collocare gli immigrati, in mancanza di una loro identificazione, considerato che le autorità competenti, ovvero quelle consolari, non ci inviano in tempi ragionevoli i relativi documenti. Questa è la carenza principale.
Quanto al programma della presidenza italiana, varato all'inizio del nostro incarico, in gennaio, dal ministro dell'interno, si è ottemperato agli impegni previsti. Abbiamo ottenuto, a mio parere, un grandissimo successo, forse insperato, perché sono state introdotte quasi tutte le normative comunitarie previste, con l'unica delle due direttive in materia di asilo, non arrivate a compimento per una difficoltà politica precedente e per il fatto che proseguire l'iter a tutti i costi avrebbe implicato approvare norme presumibilmente incompatibili addirittura con la Convenzione di Ginevra perché troppo restrittive.
Per il resto, è stato portato a compimento il programma che ritengo si sostanzi in tre misure a mio parere particolarmente importanti: l'adozione di un regolamento per la rete degli ufficiali di collegamento all'estero ai fini della lotta all'immigrazione clandestina (per consentire alle polizie europee di operare congiuntamente con una rete unica nei paesi


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di transito e di origine dell'immigrazione); la realizzazione di un programma per il contrasto in mare; infine l'approvazione, nell'ultima riunione del Consiglio, delle linee di principio attraverso cui costruire l'Agenzia europea per il contrasto all'immigrazione, così rispondendo ad un'idea tutta italiana il cui merito dobbiamo riconoscere in capo al Ministero dell'interno.
Ricordo che nel maggio 2001 abbiamo presentato uno studio di fattibilità per la polizia europea di frontiera ove si rilevava l'esigenza di creare una serie di centri competenti per affrontare le problematiche principali ed una struttura di coordinamento centrale di riferimento.
Siamo così arrivati al panorama attuale. Sono stati creati centri per il contrasto all'immigrazione clandestina, attraverso gli aeroporti (Italia) il mare (Grecia e Spagna) le frontiere terrestri (Berlino); si è dato vita a strutture per la formazione congiunta (in Austria), per l'analisi del rischio (ad Helsinki) e per le tecnologie (a Dover). Abbiamo creato una rete di coordinamento di queste iniziative e adesso, con l'Agenzia, si darà vita ad una struttura comunitaria capace di assumere il coordinamento delle iniziative in essere che non potranno dunque essere slegate da un processo comune.

PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto del suo intervento, i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,35.

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