XIV LEGISLATURA

RELAZIONE - N. 47 - 147 - 156 - 195 - 406 - 562 - 639 - 676 - 762 - 1021 - 1775 - 1869 - 2042 - 2162 - 2465 - 2492-A




        Onorevoli Colleghi!

1. Ambito di intervento normativo e rapporto con la legislazione vigente.

        Il testo all'attenzione dell'Assemblea interessa una materia delicata che è stata oggetto nella scorsa legislatura di un confronto molto approfondito. La disciplina delle tecniche di riproduzione medicalmente assistita coinvolge aspetti fondanti la stessa natura umana ed i valori che la sostanziano al di là di ogni divisione di fede o di cultura. Le evidenti implicazioni etiche e culturali impongono al legislatore un approccio il più possibile rispettoso del pluralismo culturale al fine di stabilire delle regole condivise dal maggior numero di cittadini. Tuttavia, non è possibile rinunciare a fissare regole chiare saldamente ancorate a principi fondamentali quali il rispetto della natura umana e dei diritti dell'uomo.
        Negli ultimi anni la sterilità è aumentata a ritmi considerevoli e la scienza e la tecnologia hanno offerto nuove e ulteriori speranze e prospettive ponendo però rilevanti problemi sanitari, psicologici, etici e giuridici. Tali problemi sono stati già affrontati nella maggior parte dei Paesi del mondo che da tempo si sono dotati di una legislazione mentre, in Italia, continua ad esserci un vuoto legislativo che rende lecite tutte le tecniche conosciute.
        Le numerose iniziative legislative parlamentari - a partire dalla VII legislatura (1976/1979) - non hanno mai concluso il loro iter e i provvedimenti assunti dal Governo si limitano a disciplinare in via amministrativa limitati aspetti della materia. Una Circolare del Ministro della sanità del 1^ marzo 1985, anche sulla base dei risultati del lavoro della Commissione Santosuosso, disciplina limiti e condizioni di legittimità dei servizi di fecondazione artificiale nell'ambito del Servizio sanitario nazionale. Nella circolare si sottolinea che "la necessita di inquadrare la soluzione del problema nel sistema delle garanzie costituzionali poste a tutela dei diritti inviolabili dell'uomo (articolo 2), della funzione della famiglia (articolo 29), nonché della dignità e della salute della persona umana (artt. 3, 27 e 32), con particolare riguardo al prevalente diritto dei figli ed al dovere dei genitori (artt. 30 e 31), impone al legislatore ordinario l'obbligo di definire preventivamente e compiutamente: i soggetti legittimati all'accesso ai metodi ammissibili di fecondazione artificiale; le sedi e le modalità di accertamento dei presupposti igenico-sanitari e giuridici dell'accesso stesso, incluso il consenso informato di entrambi i coniugi; i requisiti delle strutture e la qualificazione dei sanitari abilitati alla pratica delle metodologie ammesse; l'esclusione delle tecniche di ingegneria genetica devianti al fine di superare gli ostacoli alla fecondazione naturale". Partendo da tale presupposto ed in attesa di un intervento del Parlamento, la Circolare si limita a dettare criteri alle strutture del Servizio sanitario nazionale al fine di "assicurare quelle prestazioni sanitarie, richieste da patologie della riproduzione, che risultino adottabili nel rispetto dei principi fondamentali del sistema giuridico costituito". Per quanto riguarda i soggetti legittimati a richiedere tali trattamenti, la circolare li individua nei coniugi non separati; è ammessa peraltro la sola fecondazione omologa (che utilizza cioè i gameti della coppia), è esclusa la fecondazione di ovociti in numero superiore a quello destinato all'immediato impianto in utero e non è ammessa la conservazione di embrioni a scopo di utilizzazione industriale, di ricerca o di impianto differito.
        La Circolare fornisce, quindi, una prima regolamentazione della materia - seppure con atto amministrativo - ma limitatamente alle strutture a gestione diretta o convenzionate con il Servizio sanitario nazionale: nulla è stabilito, o precluso, per i servizi privati.
        Una nuova Circolare del Ministro della sanità (del 27 aprile 1987, integrata da una successiva, del 10 aprile 1992) detta misure di prevenzione della trasmissione del virus HIV e di altri agenti patogeni attraverso il seme umano impiegato per fecondazione artificiale. La Circolare, considerata l'esistenza di centri che praticano la fecondazione eterologa, mira a fornire le basilari indicazioni di comportamento tendenti a garantire la salute sia della donna ricevente che del nascituro.
        Successivamente, il Ministro della sanità ha emanato due nuovi provvedimenti (Ordinanze del 5 marzo 1997) con le quali, con efficacia di novanta giorni:

            si impone ai centri pubblici o privati in cui si effettuano pratiche di procreazione medicalmente assistita di denunciarsi, comunicando i propri dati al Ministero della sanità e al competente assessorato regionale entro un termine fissato. In seguito l'ordinanza 4 giugno 1997 vieterà ai centri che non si sono denunciati entro il termine prescritto (in seguito procrastinato fino al gennaio 1998) di applicare le tecniche di procreazione medicalmente assistita;

            si vieta ogni forma di sperimentazione e di intervento finalizzati, anche indirettamente, alla donazione umana o animale; ogni forma di remunerazione per la cessione di gameti, embrioni o, comunque, di materiale genetico; ogni forma di intermediazione commercialmente finalizzata a tale cessione; nonché ogni forma di pubblicità relativa alla domanda o all'offerta.

        Successive ordinanze prorogano di volta in volta i divieti, "fermo restando l'obbligo a carico dei centri pubblici e privati ... di inviare le comunicazioni previste" dall'ordinanza del 5 marzo 1997. L'ordinanza 21 dicembre 2001 ha tuttavia prorogato (fino al 30 giugno 2002) il solo divieto di donazione umana, e non anche il divieto di donazione animale.
        L'ordinanza del 25 luglio 2001, infine, vieta (fino al 31 dicembre 2001) l'importazione e l'esportazione di gameti o embrioni umani.
        In tutti i citati atti il Governo ribadisce l'esigenza di provvedere alla introduzione di una disciplina in materia segnalando la presenza in Parlamento di proposte di legge in corso d'esame.
        Va segnalata la Direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. Tale direttiva ha lo scopo di garantire un quadro armonico a livello europeo sui diritti di privativa relativi alle invenzioni biotecnologiche e pone alcuni paletti disponendo che non sono tra l'altro brevettabili:

            i procedimenti di clonazione di esseri umani;

            i procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere umano;

            le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali.

        La procedura parlamentare di recepimento è tuttora in corso.
        Una delega al Governo per il recepimento della direttiva anzidetta è contenuta nel disegno di legge A.C. 2031-ter, frutto dello stralcio, deliberato dall'Assemblea della Camera il 12 febbraio 2002 dell'articolo 6 del disegno di legge A.C. 2031 (provvedimento collegato alla legge finanziaria, recante misure per favorire l'iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza).
        Sono stati invece recentemente ratificati, con legge n. 145/2001, la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo all'applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, ed il relativo Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168.
        La legge 145/2001 delega il Governo ad emanare - entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge - "uno o più decreti legislativi recanti ulteriori disposizioni occorrenti per l'adattamento dell'ordinamento giuridico italiano ai principi e alle norme della Convenzione e del Protocollo"; gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi per il parere alle competenti commissioni parlamentari.
        La Convenzione di Oviedo, nel delineare una sorta di costituzione europea in materia di bioetica, sancisce, tra l'altro, i seguenti principi:

            "l'essere umano" è portatore di un valore essenziale la "dignità umana" che gli Stati si impegnano a rispettare in tutte le applicazioni della medicina e della biologia;

            l'interesse e il benessere dell'essere umano debbono prevalere sull'interesse della società e della scienza.

        La Convenzione prevede inoltre diversi divieti tra i quali:

            l'utilizzo di test genetici predittivi (salvo che per finalità mediche);

            il ricorso alle tecniche di assistenza alla procreazione per determinare il sesso del nascituro (salvo che per evitare una malattia ereditaria grave legata al sesso);

            l'introduzione di una modificazione nel genoma dei discendenti;

            la produzione di embrioni umani al fine della ricerca; (qualora la legge ammetta la ricerca sugli embrioni in vitro questa deve assicurare un'adeguata tutela dell'embrione).

        Il successivo Protocollo addizionale vieta la clonazione di esseri umani, ossia la creazione di un essere umano che abbia in comune con un altro (vivo o morto) l'insieme dei geni nucleari (è espressamente vietata ogni deroga alle disposizioni del Protocollo).
        Si segnala infine che alcune norme del codice di deontologia medica, approvato dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici nel 1998, impongono ai medici limiti e divieti nell'ambito sia delle applicazioni delle tecniche di fecondazione assistita sia delle sperimentazioni sul genoma e sull'embrione umano.


2. Istruttoria legislativa svolta.

        2.1 Audizioni informali.

        La Commissione in data 21 febbraio 2002 ha nominato un Comitato ristretto ai sensi dell'articolo 79, comma 9, del Regolamento. Tale Comitato ha svolto le audizioni informali del Prof. Carlo Flamigni e del Prof. Bruno Dalla Piccola, i quali hanno fornito al Comitato chiarimenti in ordine ad aspetti tecnico scientifici riguardanti il tema della procreazione medicalmente assistita.


        2.2 Pareri espressi dalle Commissioni.

        Tra le Commissioni competenti in sede consultiva (I, II rinforzato, V, VI rinforzato, VII, X, XI, CPQR), solo la I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso, in data 21 marzo 2002, il relativo parere di competenza. La I Commissione ha espresso parere favorevole con tre condizioni sul testo unificato adottato come testo base dalla Commissione, comprensivo degli emendamenti sino a quel momento approvati.
        La prima di esse invita la Commissione a riformulare il comma 1-bis dell'articolo 1 (attuale comma 2), in modo tale da garantire il rispetto del principio di eguaglianza stabilito dall'articolo 3 della Costituzione, dato che tale comma aggiuntivo potrebbe creare, a giudizio della I Commissione, una disparità di trattamento tra maternità assistita e maternità non assistita.
        Con la seconda condizione si invita la Commissione a riformulare l'articolo 10, comma 2, segnalando che la potestà regolamentare, ai sensi dell'articolo 117, comma 6, della Costituzione, nelle materie di potestà legislativa concorrente spetta alle Regioni.
        L'ultima condizione invita la Commissione a riformulare le disposizioni contenute nell'articolo 12, commi 1 e 2, tenendo conto dell'esigenza di rendere conformi le disposizioni stesse al principio di legalità e di determinatezza della fattispecie penale di cui all'articolo 25 della Costituzione ed a quello della proporzionalità tra le norme incriminatrici e relative sanzioni con riferimento ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza sanciti dall'articolo 3 della Costituzione.
        La Commissione, anche in relazione alla necessità di concludere i propri lavori in tempo per l'inizio della discussione in Assemblea, non ha ritenuto opportuno adeguare il testo alle condizioni sopra citate, considerato altresì che le stesse non indicano espressamente le modifiche da apportare al testo.
        Peraltro, considerata la rilevanza delle questioni poste dalla I Commissione, auspico che l'Assemblea presti la dovuta attenzione ai rilievi mossi nel suddetto parere, riservandomi di assumere, anche in sede di Comitato dei nove, le iniziative necessarie a tal fine.


3. Illustrazione dell'articolato.

        La proposta si divide nei seguenti capi: principi generali (I); accesso alle tecniche (II); disposizioni concernenti la tutela del nascituro (III); regolamentazione delle strutture autorizzate all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (IV); sanzioni (V); misure a tutela dell'embrione (VI); disposizioni transitorie e finali (VII).
        Il capo I, sui principi generali, si compone di tre articoli. L'articolo 1 "finalità" specifica che la disciplina ha lo scopo di "favorire la soluzione" dei problemi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana consentendo il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
        Il comma 2 introduce il diritto a nascere del concepito. Il comma aggiuntivo è stato introdotto in Commissione a seguito della modifica della formulazione originaria secondo la quale la legge doveva tenere in debito conto i diritti di tutti i soggetti "ed in particolare del concepito".
        Si tratta, come si è avuto modo di esporre, di una disposizione di cui si chiede la riformulazione per motivi di costituzionalità. A tal proposito si osserva che la Corte costituzionale italiana ha riconosciuto il fondamento costituzionale dei diritti del concepito ed in particolare del diritto alla vita. Nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 27 del 1975 e 35 del 1997 si afferma tra l'altro che la tutela del concepito, la cui situazione giuridica si colloca sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, tra i diritti inviolabili dell'uomo riconosciuti e garantiti dall'articolo 2 della Costituzione integra il diritto alla vita, oggetto di specifica salvaguardia costituzionale. Tale riconoscimento, avvenuto esaminando ipotesi referendarie sulla legge 194, sembra tra l'altro escludere che si possa configurare una violazione del principio di uguaglianza. Tale principio, tra l'altro, impone di trattare situazioni uguali in modo uguale e situazioni diverse in modo diverso. Nel caso specifico l'embrione che si trova in provetta si trova evidentemente in una condizione molto diversa da quello che si trova nel grembo materno. Il primo è generato in una dimensione "pubblica", con l'intervento esterno di terzi e nell'ambito di procedure regolamentate, mentre il secondo si genera autonomamente per scelte personali ed è necessariamente "privato". Altre differenze riguardano la posizione della donna sulla quale molti colleghi hanno fatto leva per esprimere un giudizio fortemente negativo. Anche qui si osserva che colei che si rivolge al medico per richiedere un intervento procreativo si trova in una posizione nettamente distinta da chi ci si rivolge per richiedere un intervento abortivo. L'argomento comunque è molto delicato e, considerato che tale formulazione è stata introdotta dopo la cancellazione del principio del prevalente interesse del concepito, sarà possibile in questa sede considerare l'ipotesi di tornare alla formulazione originaria anche per evitare i detti rilievi di costituzionalità. In ogni caso non si potrà prescindere dal riconoscere al concepito tre diritti fondamentali: il diritto alla vita; il diritto alla famiglia, il diritto alla propria identità genetica ed affettiva. Quanto all'interrogativo se esista un diritto ad avere un figlio non sembra che nel nostro ordinamento vi sia una norma che riconosca tale diritto.
        Il secondo comma dell'articolo 1 evidenzia i presupposti per l'accesso alle tecniche, ovvero l'inefficacia dei metodi terapeutici. Tale prescrizione sottolinea il carattere non curativo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) che non può far configurare il diritto di accesso a tali tecniche come rientrante nel diritto individuale alla salute. E' infatti chiaro a tutti che le tecniche di PMA non sono una terapia e non possono essere nemmeno paragonate al trapianto di organi. La terapia cura la patologia mentre il trapianto sostituisce un organo malato con uno sano. In entrambi il paziente viene messo in condizione di recuperare tutte le funzioni. Nel caso delle tecniche di PMA i soggetti sterili restano tali e l'intervento riguarda non diritti o cure individuali ma un sostegno alla coppia e quindi a due soggetti interessando poi i diritti e la condizione di un terzo soggetto, il bambino. Per tali ragioni la proposta impone prima di tutto di fare un tentativo terapeutico indagando e tentando di curare il paziente, solo dopo, in subordine, si potrà intervenire superando tecnicamente l'ostacolo. Rispetto al diritto individuale alla salute occorre fare presente che le tecniche di PMA presentano noti e rilevanti rischi per la salute della donna, sottoposta a trattamenti invasivi con percentuali di successo che non superano il 10-25 per cento, e del bambino, basti pensare che il 50 per cento dei bambini nati necessitano di assistenza in terapia intensiva.
        L'articolo 2, "Interventi contro la sterilità e l'infertilità", tende ad attivare una strategia di prevenzione e ricerca per ridurre l'incidenza dei casi di sterilità. Il comma 2 che prevede l'erogazione di servizi di consulenza ed informazione riguardo ai problemi di sterilità e di infertilità e sulle tecniche di procreazione medicalmente assistita è stato parzialmente riformulato rispetto al testo approvato nella scorsa legislatura tenendo conto delle competenze delle regioni dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.
        L'articolo 3, "Modifica alla legge 29 luglio 1975, n. 405", introduce una funzione ulteriore del servizio di assistenza alla famiglia ed alla maternità per orientare i soggetti sterili verso le procedure di adozione.
        Il capo II "Accesso alle tecniche" si apre con l'articolo 4, che ha la stessa rubrica del capo "Accesso alle tecniche". Si tratta di una delle disposizioni più importanti dell'impianto del testo in esame. Il comma 1 prevede l'obbligo di accertare e tentare di rimuovere le cause impeditive della procreazione ovvero la sterilità (incapacità a concepire) e l'infertilità (incapacità a portare a termine la gravidanza). Si prevede l'obbligo di documentare con atto medico la sussistenza dei requisiti richiesti. Il comma 2 introduce i seguenti principi di base di natura obbligatoria da seguire nell'applicazione delle tecniche: correlazione tra tecnica e diagnosi, gradualità per contenere l'invasività e consenso informato. Tali principi di base sono importanti per i rischi che tali tecniche comportano.
        Il comma 3 vieta le tecniche di tipo eterologo (tecniche che prevedono l'utilizzo di gameti di cui uno almeno proveniente da soggetto estraneo alla coppia).
        Tale divieto si spiega per l'esigenza di garantire al bambino determinati diritti anche di natura sociale e psicologica.
        Sul piano sanitario si ricorda che le percentuali di successo dell'eterologa sono inferiori rispetto all'omologa. Per il bambino occorre osservare che l'utilizzo di gameti (spermatozoi-ovociti) di donatori può poi provocare la frammentazione delle figure parentali con danni per il nascituro di natura psicosociale derivanti dall'allontanamento dai modelli di genitorialità socialmente consolidati. Si tratta di situazioni che possono compromettere l'identità stessa del soggetto. La mancanza di studi di lungo periodo impongono di adottare un approccio precauzionale su situazioni tanto delicate. Inoltre occorre rilevare che alcuni studi effettuati in Paesi dove l'accesso a tali tecniche è consentito e regolato, hanno evidenziato alcuni significativi rischi per il bambino. Emerge infatti che generalmente il bambino che nasce con queste tecniche non è a conoscenza del fatto e non mostra particolari problematiche sul piano psicologico ma solo quando la coppia non presenta problemi. Quando invece la coppia sviluppa conflittualità, che può portare anche ad una crisi e alla separazione, il bambino si trova esposto a gravissime conseguenze. In questi casi, infatti, si aprono scenari diversi ed inquietanti che si riflettono sui figli compromettendone la tranquillità. Questo dato deve essere valutato con attenzione anche perché se da una parte è vero che chi accede alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è fortemente motivato e desidera il bambino intensamente, dall'altra occorre ricordare che la coppia viene messa a dura prova nel percorso per ottenere una gravidanza. La percentuale di successi è bassa e comporta, oltre alle citate controindicazioni sanitarie, costi elevati sul piano economico e psicologico. Il carico degli insuccessi colpisce duramente entrambi i richiedenti. Sono queste le situazioni maggiormente a rischio per la stessa stabilità della coppia.
        L'articolo 5, "requisiti soggettivi", consente l'accesso alle tecniche alle "coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile". Tale disposizione evidenzia che la legge si rivolge solo alle coppie di sesso diverso in una fascia di età nella quale potrebbero procreare e che non sono previsti diritti individuali.
        L'articolo 6, "consenso informato", è di estrema importanza per rendere consapevole la coppia delle conseguenze pregiudizievoli dovute alle elevate percentuali di insuccesso, alle conseguenze sanitarie, psicologiche, bioetiche e giuridiche di una scelta che inciderà sulla vita della coppia e del nascituro. L'informazione che il medico deve fornire deve essere completa ed analitica e riguarda anche la possibilità di ricorrere in via alternativa all'adozione dei minori o all'affido. E' prevista anche una completa informazione sui costi. Il comma 3 dell'articolo 6 riguarda le modalità di espressione del consenso informato per il quale è prevista la forma scritta. Considerata l'importanza dell'atto, che comporta conseguenze giuridiche sia per la coppia che per il nascituro (vedi articolo 8), si prevede un decreto dei Ministri della salute e della giustizia per la determinazione delle modalità di raccolta del consenso. Il consenso è raccolto dal medico responsabile della struttura autorizzata e deve essere espresso congiuntamente dalla coppia. Esso è valido dopo sette giorni dalla sua espressione per favorire un eventuale ripensamento. Tale volontà è poi sempre revocabile fino al momento della fecondazione dell'ovulo. L'articolo 6 si chiude con una disposizione in base alla quale il medico responsabile della struttura autorizzata può rifiutarsi di procedere per carenza dei requisiti richiesti dall'articolo 5 o per motivi medico-sanitari, ma deve fornire una motivazione scritta alla coppia richiedente sulle ragioni del rifiuto.
        L'articolo 7, "linee guida", attribuisce al Ministro della salute il potere di definire delle linee guida contenenti l'indicazione delle procedure e delle tecniche di PMA che si possono praticare. Tale esigenza risponde alla necessità di garantire che le tecniche siano sempre sicure soprattutto per il nascituro. La previsione di linee guida è certamente strumento di flessibilità della norma per supportare la rapida evoluzione delle tecniche ed è preferibile all'indicazione analitica nella legge, che altrimenti potrebbe diventare presto obsoleta. Le linee guida sono vincolanti per i centri e aggiornate ogni tre anni.
        Il capo III "disposizioni a tutela del nascituro" si apre con l'articolo 8, relativo allo stato giuridico del nato. Il nato è figlio legittimo o figlio riconosciuto della coppia che ha espresso il consenso informato. L'articolo 9, "divieto di disconoscimento della paternità e dell'anonimato della madre", tutela eventuali bambini nati con l'applicazione di tecniche eterologhe in violazione dell'articolo 4. Ferme restando le sanzioni per i sanitari ed i centri che hanno operato in violazione della legge, a questi bambini si garantisce la certezza di stato, precludendo l'azione di disconoscimento di paternità ai sensi dell'articolo 235 c.c., che presuppone la presunzione derivante dal rapporto di matrimonio, e l'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, regolato dall'articolo 263 c.c., che opera in caso di coppia non coniugata. In questo caso si deve provare il consenso alla PMA attraverso fatti concludenti del coniuge o del convivente. Il comma 2 dell'articolo 9 si applica a tutti coloro che hanno fatto ricorso alle tecniche di PMA precludendo il parto in anonimato ritenuto incoerente con le responsabilità che ci si è assunti.
        L'articolo 10, "strutture autorizzate" apre il capo VI dedicato alla regolamentazione delle strutture autorizzate all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Tale norma pone fine all'attuale situazione di totale anarchia dei centri che praticano le tecniche di PMA. In Italia operano oggi circa 380 centri in assenza di norme specifiche che garantiscano la qualità delle strutture e del personale. Tale numero si avvicina a quello degli Stati Uniti ed è superiore a quello del Regno Unito. Un decreto ministeriale stabilirà i requisiti tecnico-sanitari e i centri dovranno essere autorizzati e iscritti nell'apposito registro istituito dall'articolo 11. Poiché la disposizione presenta alcuni problemi di compatibilità con il nuovo assetto delle competenze in materia, come rilevato nel parere della Commissione Affari costituzionali, la sua riformulazione sarà presa in considerazione nel corso della discussione in Assemblea.
        L'articolo 11, "registro", prevede l'istituzione, con decreto ministeriale, di un registro nazionale delle strutture autorizzate all'applicazione delle tecniche di PMA presso l'Istituto superiore di sanità. L'iscrizione a tale registro è obbligatoria. Il registro raccoglie i dati dei centri, compresi quelli sui risultati conseguiti. Si potranno così avere informazioni complete anche sul numero dei soggetti nati in Italia con tali tecniche. Si evidenzia come la raccolta di tali dati e la loro diffusione sia di fondamentale importanza anche per le coppie che intendono accedere alle tecniche di PMA. Nei Paesi che hanno una disciplina in materia questi strumenti, che si sono andati perfezionando nel tempo, offrono una panoramica chiara delle percentuali di successo e dei rischi. L'esperienze statunitense ed inglese spingono a creare analoghi strumenti e a darne la massima diffusione.
        L'articolo 12, "sanzioni", è fondamentale perché garantisce l'applicazione della legge e introduce numerosi divieti divenuti ormai improcrastinabili come dimostrano le recenti vicende di cronaca. Sono vietate la maternità surrogata, l'esportazione di gameti o di embrioni, il trasferimento di gameti o di embrioni dopo la morte di uno dei componenti della coppia, sono previste sanzioni per la violazione del divieto di eterologa, dell'obbligo di acquisire il consenso informato, per la violazione dei limiti soggettivi posti dall'articolo 5. Le diverse fattispecie previste sono punite con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da Euro 51.646 a Euro 154.937, nonché con l'interdizione per cinque anni dall'esercizio della professione. Al riguardo sussistono alcuni dubbi legati alla determinatezza delle fattispecie e alla graduazione delle sanzioni sollevati dalla Commissione Affari costituzionali che potranno essere risolti con una diversa formulazione in questa sede.
        Il comma 2 definisce la clonazione umana riproduttiva e la vieta, prevedendo la sanzione della reclusione da dieci a venti anni e la multa da Euro 51.646 a Euro 153.937, nonché l'interdizione perpetua dall'esercizio della professione.
        Il comma 3 specifica che per questi delitti non sono punibili l'uomo o la donna ai quali sono applicate le tecniche.
        Il comma 4 specifica la nullità di accordi presi in violazione dei commi 1 e 2.
        Il comma 5 prevede la sospensione temporanea di un anno dell'autorizzazione ai centri nei quali vengono praticate tecniche in violazione della legge. In caso di recidiva si procede con la revoca definitiva dell'autorizzazione.
        Il Capo VI "misure a tutela dell'embrione" si compone di un unico articolo, l'articolo 13, "sperimentazione sugli embrioni umani". La disposizione vieta qualsiasi forma di sperimentazione sull'embrione umano. Si consente la ricerca clinica per fini terapeutici o diagnostici volti alla tutela della salute e dello sviluppo dell'embrione stesso. Sono vietate: a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla presente legge; b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo; c) interventi di scissione precoce dell'embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca; d) la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o di chimere; e) la crioconservazione e la soppressione di embrioni.
        Il comma 4 specifica che la produzione di embrioni è consentita nei limiti strettamente necessari ad un unico impianto e per un numero non superiore a tre. Tutti gli embrioni prodotti devono essere trasferiti nell'utero per evitare la formazione di sovrannumerari.
        Il comma 5 vieta poi l'aborto selettivo in casi di gravidanze plurigemellari.
        Le disposizioni in questione danno quindi fondamento al diritto del concepito a nascere previsto dall'articolo 1.
        Quanto alle disposizioni finali e transitorie, contenute nel capo VII esse si aprono con l'articolo 14, "relazione al Parlamento". Si tratta di un indispensabile strumento per consentire al Parlamento di seguire l'evoluzione dell'accesso alle tecniche sulla base di dati finalmente completi raccolti dal registro succitato. Tali dati confluiscono in una relazione annuale al Parlamento predisposta dal Ministro della salute sullo stato di attuazione della legge.
        Data l'incidenza delle tecniche su valori fondamentali intimamente connessi a convinzioni morali che possono rispondere a diverse sensibilità, nell'articolo 15 si prevede l'obiezione di coscienza per il personale sanitario.
        L'articolo 16 riguarda le misure transitorie.
        I commi 3, 4, 5 e 6 cercano di porre rimedio alla presenza in Italia di qualche decina di migliaia di embrioni congelati sui quali non si hanno dati precisi. Si procede prima di tutto ad una ricognizione individuando quelli di cui sono noti i genitori. Si attivano poi speciali procedure per lo stato di abbandono di embrione e per l'adozione.
        L'articolo si chiude con il comma 7 che ha lo scopo di estendere le disposizioni a tutela del bambino nato con tecniche di PMA, previste dall'articolo 9, a tutti i bambini nati prima dell'entrata in vigore della legge che, in base a tale previsione, non potranno più essere disconosciuti.
        Come già osservato, il testo preso in esame rappresenta una mediazione difficilmente raggiunta nella precedente legislatura tra opposte sensibilità ed esigenze. Il confronto in Commissione ha riaperto il dibattito con toni molto accesi che rischiavano di rinviare la discussione senza peraltro apportare molto ad una istruttoria ormai completa, le cui esigenze essenziali erano già state enunciate dalla Commissione Santosuosso nel 1985.
        Poche sono quindi le modifiche ancora da introdurre e le principali riguardano il problema della riforma del titolo V della Costituzione. Le questioni tecniche ancora aperte sono comunque state analizzate e saranno oggetto di emendamenti già preannunciati.
4. Conclusioni.

        Onorevoli colleghi ci troviamo in questa materia in una situazione di emergenza legislativa determinata dal numero di centri che operano, in assenza di regole precise, e dal numero di nati con tali tecniche in un contesto normativo dove nulla è vietato e quindi tutto è consentito. E' possibile che coppie o singoli richiedano l'accesso a tutte le tecniche con il solo presidio del codice deontologico dei medici che detta poche disposizioni per le situazioni più estreme.
        Tutte le stime sono approssimative in quanto non ci sono dati precisi per controllare dimensioni e implicazioni del fenomeno. I centri che praticano tali tecniche, in assenza di obblighi precisi, non forniscono al registro istituito presso l'Istituto superiore di sanità le informazioni necessarie per monitorare la situazione. Non si ha un'idea di quanti cicli arrivino a non fine e di quanti siano i bambini che nascono con tecniche di riproduzione assistita.
        L'opinione pubblica è scossa dalla cronaca quotidiana che presenta un'ampia casistica, talvolta con nomi e cognomi. Bambini nati con tecniche post-mortem, uteri in prestito o in affitto con il relativo risvegliarsi dell'istinto naturale della maternità nella donna portatrice dell'embrione, degli scambi di seme paterno con conseguenti impreviste malattie genetiche, delle mamme nonne, delle decine di migliaia di embrioni umani congelati che sono a rischio e che non si sa che fine faranno, sui quali è persino lecito effettuare le più aberranti sperimentazioni in quanto in assenza di una legge sono considerati al pari di semplici oggetti.
        I risultati di questa situazione sono gravi e le conseguenze pregiudizievoli per il bambino sono di ordine non solo sanitario ma anche giuridico. Per fare un esempio in Italia, dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975, l'unico bambino al quale non vengono garantiti i più elementari diritti sociali è il bambino nato con tecniche di riproduzione assistita. Lo testimoniano diversi casi giudiziari di disconoscimento di paternità da parte di uomini che avevano acconsentito all'inseminazione della moglie con seme di donatore. Si può ricordare che il primo caso giudiziario di disconoscimento di paternità da parte di un soggetto che aveva consensualmente accettato di procedere ad una inseminazione artificiale della moglie risale addirittura al 30 aprile del 1956, quando il tribunale di Roma si pronunciò riconoscendo al richiedente il diritto di disconoscere il minore per "impotentia generandi" (e quindi per violazione del dovere di fedeltà coniugale).
        E' chiaro allora come sia compromesso il diritto alla famiglia vista come centro di cure e fonte di sicurezza morale, come base necessaria per lo sviluppo della personalità del fanciullo rispetto all'identità genetica del bambino.
        Per queste ragioni il Parlamento si deve assumere la responsabilità di una scelta in questa materia. Certamente è difficile e si tratta di una grossa responsabilità ma questo non può giustificare il rinvio sine die dell'approvazione di una legge in materia. Per queste ragioni auspichiamo un'approvazione del testo nei tempi programmati per fornire risposte concrete al Paese.
        I lavori in Commissione hanno riproposto i temi principali che dimostrano le diverse sensibilità su tematiche di fondo che occorre valutare attentamente ma che non devono, come purtroppo è già accaduto fino ad oggi, precludere l'approvazione della legge.

Dorina BIANCHI,
Relatore per la maggioranza.




Frontespizio Testo articoli Pareri