quale Presidente di turno dell'Unione europea a promuovere in sede europea l'adozione di misure che:
La Camera,
ad estendere le procedure del canale rosso (visita merci) previste dall'attuale sistema di controlli doganali ai beni tipici del made in Italy, promuovendo un'iniziativa di carattere europeo per ottenere un'adeguata comune attività di contrasto, che unifichi e migliori le diverse procedure utili a tutelare efficacemente i beni di qualità prodotti nel continente;
La Camera,
a promuovere nel contesto europeo una normazione atta a garantire che le merci circolanti nell'Unione europea siano state prodotte nel pieno rispetto dei diritti dei minori, previsti dalle convenzioni internazionali (come quella sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989), e, in generale, dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, sia per quanto riguarda la loro condizione retributiva che quella normativa, diritti che sono tutelati dalle convenzioni internazionali menzionate in premessa;
La Camera,
a sostenere in sede di Unione europea:
premesso che:
il fallimento della V conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio, che si è svolta a Cancun nel settembre 2003, è stato anche dovuto anche al crearsi di un nuovo fronte di Paesi guidati dalla Cina, che non accettano più le regole imposte dall'occidente, dalla Banca mondiale, dal Fondo monetario internazionale e dall'Unione europea;
sul problema Cina e sulle sue produzioni e la loro imbattibile competitività di prezzo sono già stati presi provvedimenti: infatti, dal 1o novembre 2003 è stato interrotto il regime di favore dell'Unione europea all'importazione di alcune produzione cinesi (fra queste gli occhiali), ripartendo con i dazi doganali anche per esse, iniziando gradualmente con l'1 per cento per arrivare a maggio del 2004 al 2,9 per cento;
la concorrenza sleale si verifica non soltanto a causa di politiche aggressive a livello di prezzi e del cosiddetto dumping, largamente utilizzato, ad esempio, per distruggere l'economia coreana anche da parte degli Usa e dell'Unione europea, i cui prodotti costano sei volte meno di quelli dei contadini locali (il suicidio a Cancun di Lee Kyang-hae, un contadino della Corea del Sud, ha rappresentato la protesta di tre milioni e mezzo di contadini coreani ridotti sul lastrico), ma anche con il protezionismo portato avanti dalla stessa Unione europea nel settore agricolo, largamente contestato dai Paesi del G77 e del G22, che, con la loro forte opposizione, vogliono dare la loro impronta alle regole del commercio internazionale ed imporre i cosiddetti «dossier di Singapore»;
si verificano, inoltre, il ricorso alle contraffazioni dei marchi, realizzabile, soprattutto, a causa di situazioni di vita e di lavoro in alcuni Paesi esportatori, che non rispettano né i diritti umani, né quelli sindacali, e lo sfruttamento dei bambini, spesso usati anche dalle multinazionali che in quei Paesi realizzano i loro manufatti;
il fenomeno della concorrenza sleale è reso possibile, inoltre, da parte di quelle nazioni, dove la produzione non soggiace a leggi e regole in difesa dell'ambiente e dove, quindi, i costi di produzione non sono gravati da ulteriori costi aggiuntivi;
da parte di alcuni Paesi emergenti il problema non può essere affrontato senza tenere conto delle storture dell'attuale modello di sviluppo globale, che concentra in poche multinazionali il controllo finanziario e produttivo di tutto il mondo;
il fenomeno va affrontato contestualmente alla questione del protezionismo agricolo dell'Unione europea, che impedisce la esportazioni verso l'Europa da parte dei Paesi del Sud del mondo ad economia prevalentemente agricola, come nel caso dell'India dove 700 milioni di persone vivono dell'agricoltura, contro uno scarso 2 per cento della popolazione europea;
a) contrastino la concorrenza sleale verso i prodotti italiani ed europei, contemperando la realizzazione di tale obiettivo con quello di aiutare i Paesi poveri ad esportare i loro prodotti nel mondo industrializzato e con quello di raggiungere i millennium goals;
b) verifichino le condizioni di lavoro, segnalando all'attenzione dei Paesi membri multinazionali, marchi e Paesi, che impiegano bambini nella produzione, e quelli che non rispettino i diritti umani e quelli sindacali o sociali in vigore nel Paese stesso;
c) favoriscano partnership tra i Paesi europei con particolari problemi (come nel caso dell'Italia con il made in Italy) e i Paesi del G22, attraverso accordi bilaterali che affrontino e risolvano singolarmente le difficoltà dei rapporti commerciali, condizionando tali accordi al rispetto dei diritti umani, sociali, ambientali e sindacali (nel caso specifico della Cina, all'instaurazione della formula «un Paese, due sistemi», reclamata dal Dalai Lama per una vera autonomia del Tibet dalla Cina);
d) condizionino i rapporti commerciali bilaterali o multilaterali all'adozione di standard di qualità e conformità;
e) adottino in tali rapporti regole di rispetto ambientale, attraverso verifiche sul tasso di inquinamento e di distruzione delle risorse naturali conseguenti la produzione dei manufatti, poiché tali risorse sono patrimonio dell'umanità intera.
(1-00288) «Cima, Zanella, Boato, Bulgarelli, Cento, Lion, Pecoraro Scanio».
(10 novembre 2003)
premesso che:
nell'attuale congiuntura internazionale i prodotti del made in Italy attraversano una crisi che può indebolire sensibilmente la capacità competitiva dell'economia italiana, accentuandone il rischio di declino;
i settori produttivi del tessile, dell'abbigliamento e delle calzature, ma anche quelli del mobile, dell'agroalimentare e delle macchine utensili ed altri, rappresentano i punti di forza del sistema industriale italiano, sia per i livelli di occupazione, sia per il considerevole apporto positivo fornito alla bilancia dei pagamenti del nostro Paese;
rispetto a molti Paesi terzi le imprese italiane ed europee sono gravate da costi aggiuntivi connessi al differenziale del costo del lavoro, alla carenza altrove di controlli e di certificazioni sulla salubrità dei prodotti, alla mancanza di garanzie in ordine alla sostenibilità ambientale dei processi produttivi e di tutele sociali nei confronti dei lavoratori, in particolare delle fasce più deboli delle società locali, quali le donne ed i minori;
per ciò che concerne il settore del tessile e dell'abbigliamento la perdita di competitività delle imprese italiane ed europee è, inoltre, destinata ad acuirsi a partire dal 2005, quando verranno meno le regole introdotte dall'accordo multifibre, che disciplina i flussi di prodotti provenienti da Paesi in via di sviluppo e di nuova industrializzazione verso l'Europa;
a fronte del processo di apertura del mercato europeo consolidato negli anni passati, molti Paesi in via di sviluppo o di nuova industrializzazione, ma non solo, continuano a mantenere elevati dazi sulle importazioni e significative barriere non tariffarie, che rendono estremamente difficile per le imprese europee esportare in quei mercati: mentre l'importazione in Europa di un tessuto di lana, ad esempio, è assoggettata a un dazio del 9 per cento, uno stesso prodotto di fabbricazione europea sconta un dazio del 40 per cento per essere esportato in India e del 28,5 per cento circa per essere esportato negli Stati Uniti;
è necessario ricercare un equilibrio tra il processo di liberalizzazione del commercio mondiale e l'applicazione del rispetto di alcune regole fondamentali della politica di coesione economica e sociale dell'Unione europea, che pongano le imprese del nostro continente nelle condizioni di competere in condizioni di reciprocità;
in vista della ripresa dei negoziati in seno al Wto per l'avanzamento del processo di liberalizzazione del commercio internazionale, particolare importanza riveste l'obiettivo di un livellamento dei dazi consolidati e l'ottenimento di impegni concreti per la rimozione delle barriere non tariffarie; è, inoltre, auspicabile in quella medesima sede l'adozione di misure precise e cogenti, finalizzate a limitare l'importazione di prodotti i cui processi di lavorazione siano stati effettuati senza il rispetto di standard minimi di tutela ambientale e del lavoro;
le recenti evoluzioni della tecnologia ed i processi di globalizzazione hanno portato ad una crescente diffusione dei fenomeni di contraffazione, talché si valuta che la quota di merce contraffatta nel commercio mondiale sia prossima al 9 per cento e che per oltre due terzi la merce contraffatta provenga dal Sud-Est asiatico;
per le caratteristiche della sua specializzazione produttiva e della configurazione del suo sistema imprenditoriale, l'economia italiana appare particolarmente vulnerabile: il made in Italy costituisce, infatti, uno dei comparti di principale interesse per l'industria del falso e, inoltre, la ridotta dimensione media delle imprese italiane rende complessa l'introduzione di misure anti-contraffazione;
gravi sono, inoltre, i danni procurati alla rete commerciale, soprattutto per quei settori che maggiormente hanno investito sulla qualificazione e che presentano alla propria clientela beni di consumo di qualità particolarmente esposti alla contraffazione;
appaiono inadeguate le azioni di contrasto di tale fenomeno: l'attuale sistema di controlli doganali canalizza, infatti, le merci in tre distinte modalità di controllo (canale rosso: visita merci; canale giallo: controllo documentale; canale verde: nessun controllo) in base alla «pericolosità» doganale delle merci e dei soggetti importatori ed esportatori, limitando il canale rosso a una casistica molto particolare e limitata;
l'azione di contrasto ai fenomeni di contraffazione non può prescindere da una nuova normativa che favorisca la tracciabilità e l'etichettatura dei prodotti, in un contesto che agevoli la costituzione di consorzi tra imprese, a tutela delle rispettive produzioni;
per valorizzare le produzioni realizzate nel territorio comunitario, nel rispetto di norme etiche, ambientali e di salute, è indispensabile avviare un'iniziativa politica europea per sostenere presso i consumatori finali lo sviluppo di una nuova sensibilità nell'acquisto dei prodotti, legata ad un'effettiva informazione sui fattori distintivi dei beni, dalla composizione al Paese di origine;
attualmente l'unico obbligo di informativa al consumatore sancito a livello europeo è la direttiva sull'etichettatura di composizione, mentre è necessario rendere obbligatoria un'etichetta che consenta la rintracciabilità del capo d'abbigliamento e di ogni altro prodotto finito commercializzato all'interno dell'Unione europea;
investire in ricerca industriale e sviluppo precompetitivo è fra i requisiti necessari affinché la concorrenza dei Paesi meno sviluppati non costringa l'industria nazionale ad abbandonare i settori sottoposti a maggiore competizione; la ricerca di nuovi prodotti, come nuove fibre, nuovi trattamenti e nuovi effetti, è alla base della differenziazione dell'offerta made in Italy da quella proveniente dai Paesi meno sviluppati e con costi di produzione sensibilmente più bassi;
vanno, quindi, sostenute tutte le iniziative per promuovere adeguatamente la ricerca e lo sviluppo, anche in settori maturi, affermando, ad esempio, il principio che le risorse impiegate dalle aziende tessili per l'ideazione e la prototipazione dei loro campionari siano assimilabili alle spese di ricerca e sviluppo;
dovrebbe essere corretta l'attuale impostazione dell'articolo 1 del decreto legge n. 269 del 2003, che, nel prevedere la defiscalizzazione delle spese per ricerca e sviluppo, non vi ammette quelle relative ai campionari innovativi;
a proporre in sede di Unione europea una base comune per i futuri negoziati relativi ai nuovi accordi sul commercio internazionale, attraverso:
a) la reciprocità e il livellamento dei dazi su un valore attorno al 15 per cento;
b) la definizione e l'adozione di misure tese a limitare l'importazione di prodotti tessili e dell'abbigliamento realizzati mediante processi produttivi che non garantiscono il rispetto di standard minimi di tutela dell'ambiente naturale e dei diritti dei lavoratori, in particolare per quanto riguarda il lavoro minorile;
c) l'adozione di misure tese a garantire il contenimento dei fenomeni di dumping economico e a contrastare le importazioni illegali di capi di abbigliamento provenienti da paesi extracomunitari e il fenomeno della contraffazione e delle frodi;
d) l'introduzione di una normativa specifica in materia di etichettatura, che consenta la tracciabilità dei prodotti commercializzati all'interno della Unione europea, favorendo un'informazione corretta del consumatore;
ad adottare iniziative normative volte ad introdurre misure fiscali di sostegno alla creazione di consorzi per incentivare gli investimenti nella ricerca applicata;
a rendere effettivamente operante il fondo per l'innovazione tecnologica (ex legge n. 46 del 1982), riguardo al finanziamento dei campionari e all'ideazione di nuove collezioni di prodotti, e a procedere celermente all'avvio del bando riservato alle piccole e medie imprese del settore moda, per il quale sussiste già uno stanziamento di 2 milioni di euro;
ad adottare iniziative normative volte ad estendere al settore tessile-abbigliamento le misure che prevedono un utilizzo più flessibile e razionale della Cassa integrazione guadagni.
(1-00289) «Violante, Castagnetti, Boato, Intini, Pisicchio, Rizzo, Bersani, Letta, Gambini, Lulli, Vernetti, Detomas, Ruzzante, Innocenti, Nicola Rossi, Agostini, Montecchi, Boccia, Loiero, Monaco, Lusetti, Ruggieri, Sandi, Magnolfi, Bimbi».
(10 novembre 2003)
premesso che:
da alcuni anni il nostro Paese è sempre più chiamato a confrontarsi con processi di globalizzazione dell'economia, che coinvolge imprese italiane, europee e multinazionali che operano sul nostro territorio. Da tempo assistiamo ad un processo che si sviluppa verso la riduzione continua della presenza industriale, a beneficio di una concezione commerciale nella quale il nostro territorio è sempre più configurabile come mercato di consumo, fermo restando, purtroppo, un basso potere d'acquisto delle classi lavoratrici;
tali fenomeni si configurano prevalentemente nel trasferimento di attività industriali e produttive in Paesi nei quali i costi produttivi sono ampiamente inferiori a quelli dei Paesi della Unione europea, dove, grazie a decenni di iniziativa politico-sindacale, si sono determinate le condizioni sociali e di lavoro di una civiltà più avanzata, nel rispetto dei diritti sociali, politici e del lavoro, salvo recenti tentativi di modificarli in peggio;
questi processi hanno subito una consistente accelerazione negli ultimi anni, spaziando in diverse direzioni geografiche, ma con un'unica ragione economica: ridurre i costi del lavoro;
che questa sia la ragione prevalente è motivato dal fatto incontestabile che le delocalizzazioni avvengono in luoghi in cui l'assenza di infrastrutture è evidente, in zone dove i trasporti sono inesistenti o fatiscenti, in zone dove la cultura del lavoro subordinato e la competenza professionale sono scarse e in molti casi inesistenti;
sul terreno della riduzione dei costi, la concorrenza internazionale, particolarmente del settore asiatico, è particolarmente forte;
il nostro Paese ha assistito in questi anni a fenomeni di:
a) deindustrializzazione graduale e progressiva di intere aree territoriali, in quanto il trasferimento di un'azienda, in molti casi, distrugge il patrimonio produttivo indotto, costituito da molte piccole e medie imprese, o costringe anche queste ultime al trasferimento;
b) cancellazione di molti posti di lavoro dipendente ed autonomo, che lascia centinaia di famiglie in difficoltà serie, non sussistendo alternative occupazionali;
c) commercializzazione dei prodotti sul mercato in modo distorto, penalizzando le imprese che operano nel rispetto della legalità e dei diritti sindacali esistenti nei paesi dell'Unione europea;
i processi di delocalizzazione o trasferimento sono un fenomeno che i Paesi più industrializzati hanno da tempo conosciuto e che rappresentano un aspetto quasi fisiologico, riguardando questi solo produzioni cosiddette mature o a basso contenuto professionale;
in questi ultimi tempi di flessibilità tecnologica le produzioni coinvolte da tali processi sono sempre più aumentate, coinvolgendo anche settori e attività a medio contenuto tecnologico e professionale. Vi sono, cioè, imprese che delocalizzano interi processi produttivi o parti di essi, i quali producono beni che successivamente rientrano nel nostro Paese come semilavorati da completare o componenti di prodotto da assemblare o prodotti finiti da vendere;
in molti casi imprese multinazionali hanno investito nel nostro Paese acquistando interi pacchetti azionari, attività produttive e commerciali non con lo scopo di continuare a produrre in Italia, bensì per impossessarsi del marchio frutto dell'ingegno del lavoro italiano e della sua quota di mercato conquistata nella cultura del consumatore, per poi trasferire la produzione in Paesi a più basso costo del lavoro;
tutto questo è, fino ad oggi, potuto avvenire in quanto non esiste una legislazione comune tra i Paesi più industrializzati, e soprattutto tra quelli dell'Unione europea, capace di affrontare tali fenomeni non nuovi sul piano della conoscenza, ma certamente più sconvolgenti in questi ultimi anni;
in data 16 febbraio 1999 è stata inviata al Presidente della Camera dei deputati una petizione popolare sottoscritta da 160 mila persone, con la quale si richiede che il Parlamento legiferi sull'istituzione di un'autorità garante della qualità sociale dei prodotti, al fine, tra l'altro, di obbligare le imprese a fornire complete informazioni sul ciclo produttivo e distributivo dei prodotti immessi sul mercato;
diverse sono le convenzioni internazionali concernenti il lavoro, riconosciute e sottoscritte da almeno centocinquanta Paesi, tra cui l'Italia, che le ha ratificate con importanti leggi, quali la legge n. 274 del 1934 sul lavoro forzato o obbligatorio, la legge n. 367 del 1958 sulla libertà sindacale e sull'organizzazione e negoziazione collettiva, la legge n. 741 del 1956 sulla parità retributiva tra uomo e donna, la legge n. 405 del 1963 sulla discriminazione in materia di impiego, la legge n. 447 del 1967 sull'abolizione del lavoro forzato, la legge n. 157 del 1981 sull'età minima per l'impiego e la legge n. 862 del 1984 sui rischi dovuti all'inquinamento dell'aria, ai rumori e alle vibrazioni sui luoghi di lavoro);
ad adottare iniziative normative volte all'istituzione, nel nostro Paese, di organismi di controllo e di sorveglianza, atti a certificare la conformità dei prodotti circolanti, sia di produzione nazionale che di importazione, alle caratteristiche di cui alle convenzioni internazionali elencate in premessa.
(1-00290) «Alfonso Gianni, Giordano, Russo Spena, Mascia».
(10 novembre 2003)
premesso che:
Paesi emergenti dove l'economia è in costante crescita, come ad esempio Russia, India o Cina, costituiscono un mercato di notevole interesse per lo sviluppo delle esportazioni e degli investimenti delle nostre imprese, non solo per i vantaggi relativi al minor costo dei fattori produttivi, ma anche perché il made in Italy, già molto richiesto e apprezzato, può sviluppare le proprie potenzialità di ulteriore affermazione;
il sistema economico italiano, formato per la maggior parte da micro o piccole imprese, necessita di un idoneo sostegno del Governo per poter consolidare un valido raccordo con tali grandi e lontani mercati, cogliendone le migliori opportunità;
l'obiettivo della progressiva apertura dei mercati internazionali, coerente con le linee di politica commerciale indicate dal Parlamento al Governo (da ultimo con la risoluzione n. 600053, approvata dalla Camera dei deputati l'11 marzo 2003), che l'Italia condivide con i partner dell'Unione europea e dell'Organizzazione mondiale del commercio, necessita parallelamente di una chiara definizione di regole a difesa della concorrenza leale e della proprietà intellettuale;
la crescente concorrenza di Paesi con economie emergenti, basate su bassi costi di produzione e su normative sociali e ambientali meno vincolanti di quelle europee, che talvolta possono avvantaggiarsi su monete eccessivamente sottovalutate e su un sistema di aiuti di Stato distorsivi della concorrenza, riduce la competitività delle nostre imprese, creando in ultima analisi le condizioni per una progressiva perdita di quote del commercio mondiale detenute dal nostro Paese;
la scadenza dell'accordo tessile abbigliamento dell'Uruguay round, che disciplina, fino al 31 dicembre 2004, i flussi di prodotti tessili provenienti dai Paesi in via di sviluppo e di nuova industrializzazione verso l'Europa, unitamente alle riduzioni dei dazi già introdotte unilateralmente dall'Unione europea, sia nell'ambito del sistema delle preferenze generalizzate che dell'iniziativa «everything but arms», renderà l'Europa l'area più permeabile alle importazioni dei prodotti tessili e dell'abbigliamento a livello mondiale;
l'Italia e l'Unione europea credono nella politica multilaterale con l'obiettivo di garantire un mercato sempre più aperto, ma rispettoso delle regole;
l'Unione europea può adottare, qualora ne ricorrano i requisiti, misure di protezione (dazi o quote) per difendere il mercato comunitario da importazioni massicce sulla base delle disposizioni dell'Organizzazione mondiale del commercio sulle salvaguardie (erga omnes) e sulla base del «meccanismo di salvaguardia speciale» (Tpssm), previsto nel trattato di accessione della Cina all'Organizzazione mondiale del commercio;
l'Unione europea può, altresì, adottare misure antidumping sulla base dell'accordo antidumping dell'Organizzazione mondiale del commercio quando le aziende di un Paese terzo vendono in Europa un certo prodotto ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato nel mercato interno di Paesi terzi;
le imprese europee sono gravate da costi aggiuntivi connessi al rispetto di standard decisamente elevati in materia di tutela del lavoro e dell'ambiente, se paragonati a quelli in uso per le imprese dei Paesi ad economie emergenti;
le tematiche della dimensione sociale e della tutela dei diritti fondamentali del lavoro, costantemente ribaditi dal Consiglio affari generali e relazioni esterne dell'Unione europea, non solo rientrano nelle priorità europee con riferimento al negoziato dell'Organizzazione mondiale del commercio, ma ad esse ci si richiama per poter applicare in modo differenziato il sistema di preferenze generalizzate. Il problema non è solo tutelare le imprese europee rispetto ai concorrenti esteri, ma affermare i principi di civiltà che costituiscono ormai un patrimonio comune in Europa, all'interno di una piattaforma che orienti il dialogo multilaterale verso la garanzia di reciproco vantaggio negli scambi - seppure nella logica del trattamento speciale e differenziato - nel quadro di una liberalizzazione e regolamentazione del commercio internazionale;
l'Unione europea, nell'ambito del sistema di preferenze generalizzate, applica agevolazioni daziarie a molti prodotti provenienti da importanti Paesi in via di sviluppo, quali, ad esempio, India, Thailandia, Pakistan, Indonesia, Malesia, Brasile, Cina, Vietnam, Filippine;
per quanto riguarda possibili azioni in sede di Organizzazione mondiale del commercio, per rivalutare le divise ad oggi sottovalutate dei Paesi ad economie emergenti, gli accordi commerciali multilaterali non prevedono disposizioni specifiche in materia valutaria, se si eccettua un riferimento nell'articolo XV (exchange arrangements) dell'accordo Gatt, in cui, tuttavia, le parti sono chiamate a cooperare con il Fondo monetario internazionale;
è necessario istituire un comitato nazionale anticontraffazione dotto degli strumenti e delle risorse necessari per monitorare i casi di violazione della proprietà intellettuale e di concorrenza sleale (dumping e sovvenzioni), offrendo alle imprese assistenza continua, e per individuare misure di salvaguardia volte a contrastare l'ingresso di merci contraffatte;
a) l'obiettivo della reciprocità e dell'armonizzazione delle tariffe nell'ambito delle regole dell'Organizzazione mondiale del commercio;
b) l'adozione di misure, previste dalla normativa dell'Organizzazione mondiale del commercio e dell'Unione europea, tese a proteggere imprese nazionali di settori in crisi a seguito di importazioni provenienti da Paesi terzi, quando ne sussistano le condizioni;
c) una revisione del sistema delle preferenze generalizzate, che possa graduare il livello di agevolazioni in funzione del grado di sviluppo dei Paesi, dell'effettiva concorrenzialità dei singoli prodotti e del rispetto di standard sociali e ambientali;
d) l'istituzione dell'obbligo di stampigliatura del Paese d'origine per le merci commercializzate nel mercato interno europeo, proseguendo così nella linea già inaugurata in occasione della riunione informale dei Ministri del commercio dell'Unione europea, tenutasi a Palermo il 6 luglio 2003, a tutela della libertà di scelta dei consumatori e per contrastare più efficacemente i fenomeni di importazioni illegali e di contraffazione;
e) l'introduzione di certificazioni obbligatorie per i prodotti commercializzati nell'Unione europea, con l'adozione di criteri selettivi sulla qualità degli stessi e la previsione di una serie di requisiti rigorosi per le categorie che hanno più a che fare con la salute e la sicurezza del consumatore;
ad adoperarsi per una rigorosa applicazione del regolamento comunitario n. 1383 del 2003, emanato il 22 luglio 2003, che prevede la possibilità di distruggere o di escludere dai circuiti commerciali merci di importazione che violano i diritti di proprietà intellettuale, vietandone, altresì, l'ingresso nel territorio doganale, l'immissione in libera pratica, la riesportazione e il collocamento in depositi o zone franche;
a supportare gli enti locali nell'azione di lotta alla contraffazione ed alle pratiche di violazione della proprietà intellettuale, prevedendo forme di azione congiunta e specifici strumenti normativi in tal senso;
ad attivare ogni utile iniziativa in sede Wto, attraverso un raccordo nell'azione di quest'ultima con l'Organizzazione internazionale del lavoro, che impegni i Paesi meno rispettosi degli standard sociali ed ambientali all'eliminazione delle asimmetrie esistenti, ponendoli gradualmente in linea, qualitativamente e quantitativamente, con gli altri competitori internazionali;
ad operare efficacemente per la tutela, il sostegno e la promozione del made in Italy, anche mediante l'istituzione sia di un apposito marchio a tutela delle merci italiane, che di uffici di consulenza per la tutela del marchio medesimo, costituiti presso l'Istituto nazionale per il commercio estero o le sedi diplomatiche, per avviare l'assistenza legale alle imprese danneggiate da pratiche sleali;
a verificare, in sede di Unione europea, la possibilità di adottare - nei settori di particolare sensibilità alla concorrenza internazionale, quali, ad esempio, il tessile, l'abbigliamento e le calzature - una regolamentazione in materia di etichettatura e tracciabilità dei prodotti, che ne renda evidente l'origine e la filiera del processo produttivo e possa accertarne adeguati requisiti di qualità.
(1-00296) «Cè, Anedda, Maninetti, Antonio Leone, Gibelli, Polledri, Raisi, D'Agrò Saglia».
(27 novembre 2003)