TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 386 di Lunedì 10 novembre 2003

MOZIONI SULLA CONCORRENZA SLEALE VERSO I PRODOTTI ITALIANI

La Camera,
premesso che:
il fenomeno della contraffazione si presenta come un insieme complesso di violazioni a leggi, norme e regolamenti, vincoli contrattuali, che regolano i diritti di proprietà intellettuale e di sfruttamento commerciale dei prodotti di ogni genere;
contraffazione ed importazioni parallele costituiscono un giro d'affari enorme ed in continuo sviluppo, che alimenta, spesso senza saperlo, un'industria criminale che sfrutta questo mercato per reinvestire nel traffico di droga e nello sfruttamento della prostituzione;
i danni prodotti dalla contraffazione sono molteplici: i nocumenti all'erario e alle aziende sono enormi, ma non sono solo le aziende a perderci: ogni anno 12 mila posti di lavoro scompaiono solo in Italia e 250 mila è la stima dei posti di lavoro persi negli ultimi 10 anni a livello mondiale, a causa della contraffazione, di cui 100 mila circa nella sola Unione europea;
si indebolisce ingiustamente la posizione di mercato dei legittimi produttori, si mette a rischio il settore della distribuzione autorizzata, si ingannano i consumatori e si abbassano gli standard di qualità, con un rischio notevole per la sicurezza, in quanto vengono immessi sul mercato articoli potenzialmente pericolosi;
i settori più colpiti sono quelli dell'abbigliamento e della pelletteria, ma anche quelli delle apparecchiature, della componentistica, degli elettrodomestici, dell'orologeria e così via;
è stato stimato che il giro d'affari di questo fenomeno si attesti oltre i 100 miliardi di dollari l'anno in tutto il mondo, pari al 5-6 per cento dell'intero commercio mondiale. Si passa dal 5 per cento dell'industria degli orologi, al 6 per cento dell'industria farmaceutica, al 10 per cento della profumeria, al 25 per cento dell'audiovideo e al 35 per cento del software;
oltre il 70 per cento circa della produzione mondiale di contraffazioni proviene dal Sud-Est asiatico, in testa la Cina, la Corea, la Thailandia e Taiwan. Il mancante 30 per cento circa dalla produzione mondiale di contraffazioni proviene dal bacino mediterraneo, dove il nostro Paese detiene il triste primato di paese leader: seguono la Spagna, la Turchia, il Marocco;
in Cina, soprattutto, il fenomeno è in crescita e sta provocando conseguenze imprevedibili; le imprese cinesi che fabbricano prodotti contraffatti si sono allargate e hanno iniziato ad esportare anche in Russia, Birmania, Vietnam e America;
il preoccupante fenomeno colpisce indistintamente le aziende titolari di grandi marchi come le piccole aziende, che trovano nel prodotto contraffatto un temibile concorrente, per non parlare del fatto che dietro al commercio di questi prodotti si nascondono reati gravi, come lo sfruttamento minorile, le vendite senza licenza, l'evasione fiscale;
spesso accade che le aziende italiane intraprendano azione di risarcimento del danno per la contraffazione subita, ma la stessa non ha esito alcuno o nel peggiore dei casi non è nemmeno possibile intraprendere un'azione legale, poiché per l'ordinamento cinese la società che per prima deposita il marchio ne è titolare;
un altro paradosso è rappresentato dal fatto che spesso le imprese italiane che vorrebbero registrare il proprio marchio si trovano nell'impossibilità di farlo, perché questo è già stato registrato in maniera abusiva ed illegale da soggetti cinesi, a volte gli stessi distributori locali;
altre volte la contraffazione consiste nell'apposizione da parte di imprese cinesi di false indicazioni di provenienza, nell'imitazione del prodotto o del suo imballo;
l'industria della contraffazione in Cina ha un giro d'affari di oltre 16 miliardi di dollari l'anno, che costa alle aziende occidentali decine e decine di miliardi di dollari di mancate vendite;
molte aziende si preoccupano, altresì, del calo di immagine dovuto all'immissione sul mercato di imitazioni di pessima qualità dei loro prodotti;
diverse fonti confermano che si tratta di un fenomeno in espansione, che è più incentrato sulla realizzazione e sulla vendita di beni di largo consumo;
l'enormità e la capillarità delle attività di contraffazione in Cina rendono vani anche gli sforzi più cospicui delle singole imprese: tutto ciò a causa dell'insufficiente legislazione cinese in tema di marchi e brevetti;
il Ministro dell'economia e delle finanze è intervenuto a difesa dei prodotti italiani ed europei, preoccupato del confronto di questi con la concorrenza sleale dei Paesi orientali, addirittura ipotizzando l'introduzione di dazi a difesa dei prodotti made in Italy;

impegna il Governo:

ad assumere iniziative idonee a fronteggiare la concorrenza sleale subita dai prodotti italiani da parte dei produttori cinesi, che invadono il nostro mercato con una crescente quantità di beni contraffatti, in spregio a qualsiasi normativa sui brevetti;
ad elaborare una concreta proposta normativa che possa rendere operativa l'ipotesi di istituire una politica di dazi già ventilata dal Ministro dell'economia e delle finanze.
(1-00181) «Gibelli, Jacini, Ercole, Francesca Martini, Guido Giuseppe Rossi, Parolo, Dario Galli, Pagliarini, Lussana, Sergio Rossi, Luciano Dussin, Fontanini, Bricolo, Bianchi Clerici, Ricciuti, Vascon, Didonè, Marinello, Rodeghiero, Guido Dussin, Rizzi, Polledri, Massidda, Cossa, Cuccu, Di Virgilio, Borriello, Romele, Scaltritti, Minoli Rota, Meroi, La Starza, Ghiglia, Misuraca, Zama, Viale, Scherini, Taborelli».
(27 marzo 2003).

La Camera,
premesso che:
con l'apertura del libero commercio mondiale, summit del Wto di Seattle, la concorrenza della Cina è divenuta una seria minaccia per i mercati del mondo, in particolare per quello europeo;
l'economia cinese è cresciuta a ritmi vertiginosi tra il 1996 e il 2002, la quota delle esportazioni mondiali di merci è salita dal 2,8 al 6,5 per cento, con un guadagno di 3,7 punti percentuali, mentre nello stesso periodo l'Italia è stata tra i Paesi più colpiti in Europa, con un calo dell'export dal 4,7 per cento al 3,9 per cento;
il problema della competizione impossibile con la Cina è da rintracciare in un'agguerrita e scorretta politica di dumping, una concorrenza legale ma asimmetrica, basata su delle condizioni interne qualitativamente e dimensionalmente non paragonabili a quelle italiane (le nostre imprese, a differenza di quelle cinesi, devono rispettare il decreto legislativo n. 626 del 1994 sulla sicurezza dell'ambiente di lavoro e costosissimi standard di qualità e conformità);
non è da trascurare il fatto che la Cina si avvale di una valuta sottovalutata, lo yuan, ancorata ad un cambio fisso, e di un mercato del lavoro che presenta una totale assenza di norme a tutela dei lavoratori: ciò consente alle imprese di avvalersi di ritmi di lavoro impressionanti, con un costo di manodopera in media pari ad un decimo rispetto a quello italiano, che si riflette in bassissimi costi di produzione;
il preoccupante fenomeno danneggia prodotti italiani, come il tessile-abbigliamento, mobili, casalinghi, piastrelle, componenti meccanici (mercati in cui le aziende nazionali negli ultimi tre decenni erano leader mondiali nella produzione) e ha determinato la chiusura di piccole e medie imprese e la perdita di migliaia di posti di lavoro;
la Cina a protezione di se stessa ha imposto, nel quadro del suo ingresso nel Wto, che le aziende straniere che vogliano esportare nel suo territorio debbano possedere dal 1o agosto 2003 la China compulsory certification, ovvero una certificazione piuttosto costosa e lunga da ottenere, che prevede una serie di rigorosi requisiti di sicurezza, compatibilità elettromagnetica e protezione ambientale;
le aziende cinesi stanno sottraendo quote di mercato a quelle italiane su tutti i mercati del mondo ed in assenza di regole, controlli e sanzioni sull'import: l'inondazione dei prodotti cinesi sta demolendo il made in Italy, con la conseguenza di un'invasione di prodotti sempre più fuori dalla norma e pericolosi per la salute umana;
nel 2002 l'export italiano verso la Cina è stato di 4 miliardi di euro, contro un import dalla stessa di 8,3 miliardi di euro, caratterizzato da un elevato numero di merci contraffate ed articoli di scarsa qualità, spesso pericolosi per il consumatore;
la crescita dell'import dalla Cina sta recando grave pregiudizio alle aziende legate all'innovazione di design e alla qualità, produttrici in settori come quelli delle valvole, rubinetti, lampade, cucine, divani e sedie;
l'istituendo comitato nazionale anti-contraffazione, di cui all'articolo 34 del disegno di legge recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria per il 2004), dovrebbe individuare misure di salvaguardia volte a contrastare l'ingresso di merci contraffatte, attraverso la previsione di un deposito cauzionale a carico degli importatori, restituibile in seguito al verificarsi della procedura di accertamento della corrispondenza della merce ai diritti di proprietà industriale ed intellettuale contemplati.

impegna il Governo:

a favorire l'introduzione di una normativa europea che preveda l'obbligatorietà dell'indicazione del Paese di provenienza per tutte le merci importate e più severi controlli doganali, con particolare riferimento ai marchi ingannevoli;
ad attivarsi affinché siano introdotte certificazioni obbligatorie per le aziende non europee che esportano verso l'Unione europea, con l'adozione di criteri selettivi sulla qualità dei prodotti e la previsione di una serie di requisiti rigorosi per le categorie che hanno più a che fare con la salute e la sicurezza del consumatore;
a chiedere all'Unione europea l'applicazione degli strumenti comunitari di salvaguardia verso la Cina, che prevedano l'adozione di dazi o di quote in caso di oggettivi e documentabili danni per l'industria europea;
ad assumere le opportune iniziative a livello internazionale per una più corretta valutazione della moneta cinese.
(1-00274) «Polledri, Cè, Bricolo, Dario Galli».
(14 ottobre 2003).

La Camera,
premesso che:
le difficoltà incontrate da tempo dal sistema produttivo italiano impongono l'adozione di politiche in grado di aumentarne la competitività internazionale;
tali politiche dovrebbero essere dirette a rinforzare i grandi pilastri industriali esistenti, favorire la crescita dimensionale e produttiva delle piccole e medie imprese e incentivare la ricerca di base e applicata in un quadro di collaborazione tra i diversi attori del sistema produttivo italiano e istituzionali;
un'attenzione particolare andrebbe rivolta al sistema delle piccole e medie imprese, in grado di generare ancora un saldo commerciale positivo con l'estero;
si registra, inoltre, una forte contrazione dei consumi e delle esportazioni, dovuta essenzialmente ad un sostanziale rafforzamento dell'euro e, soprattutto, alla debolezza del dollaro, che ha rincarato di un quarto circa la commercializzazione dei prodotti europei;
a questo si aggiunge un differenziale superiore dell'inflazione del nostro Paese rispetto alla media europea, ulteriore fattore di minore competitività del sistema Italia;
il forte sviluppo del mercato cinese sta minacciando il saldo delle bilance commerciali dei Paesi europei;
nel 2002 l'export italiano verso la Cina è stato di 4 miliardi di euro, a fronte di un import pari a 8,3 miliardi di euro;
tale sviluppo del mercato cinese è favorito anche da bassi costi del lavoro, poche protezioni sociali, uno scarso livello di standard ambientali e ragioni di cambio variabili;
a questa concorrenza legale ma asimmetrica, capace di creare turbative nei mercati internazionali, la Cina unisce un pesante sistema di contraffazione dei marchi;
secondo i dati dell'Oecd e della International chamber of commerce, «la contraffazione rappresenta tra il 5 ed il 7 per cento del commercio mondiale (circa 250 miliardi di euro all'anno) ed è già responsabile della perdita di 200 mila posti di lavoro in Europa» e «si sta espandendo dai prodotti della moda ad un'infinità di altri prodotti industriali, ivi inclusi quelli per la casa, con grave rischio per la salute dei consumatori», «colpisce la produzione industriale ed artistica europea», «minaccia gli investimenti e l'innovazione», «ha conseguenze potenzialmente disastrose per le piccole imprese»;
l'Italia è tra le nazioni più colpite sia dalla contraffazione che dalla concorrenza asimmetrica, specialmente in alcune categorie merceologiche, quali abbigliamento, rubinetteria e valvolame, lampade ed illuminotecnica, mobili e cucine, divani e sedie, casalinghi in metallo, ferramenta e pietre ornamentali lavorate;

impegna il Governo:

quale Presidente di turno dell'Unione europea a promuovere l'adozione di misure a tutela delle produzioni europee ed italiane, con l'introduzione di un sistema obbligatorio di certificazioni per le aziende extracomunitarie che esportano verso l'Europa, e, in particolare, di una normativa che preveda l'obbligatorietà del «timbro di garanzia sociale», riguardante il rispetto dei diritti umani e sindacali per i prodotti, con marchio di fabbricazione locale o «di altra nazionalità», provenienti direttamente o indirettamente dai Paesi maggiormente soggetti a tali pericoli;
ad attivare ogni utile iniziativa in sede Wto che impegni la Cina all'eliminazione dell'asimmetria nelle condizioni di lavoro e ambientali, ponendole gradualmente in linea, qualitativamente e quantitativamente, con quelle degli altri competitori internazionali;
ad intraprendere eventuali azioni di contestazione dei comportamenti descritti ove gli accordi siglati in ambito Wto lo consentano
(1-00285) «D'Agrò, Volontè, Ciro Alfano, Emerenzio Barbieri, Dorina Bianchi, Riccardo Conti, Cozzi, D'Alia, Degennaro, De Laurentiis, Di Giandomenico, Filippo Maria Drago, Giuseppe Drago, Follini, Giuseppe Gianni, Grillo, Anna Maria Leone, Liotta, Lucchese, Maninetti, Mazzoni, Mereu, Mongiello, Naro, Peretti, Ranieli, Romano, Rotondi, Tabacci, Tanzilli, Tucci».
(6 novembre 2003).

La Camera,
premesso che:
Paesi emergenti dove l'economia è in costante crescita, come ad esempio Russia, India o Cina, costituiscono un mercato di notevole interesse per lo sviluppo delle esportazioni e degli investimenti delle nostre imprese, non solo per i vantaggi relativi al minor costo dei fattori produttivi, ma anche perché il made in Italy, già molto richiesto e apprezzato, può sviluppare le proprie potenzialità di ulteriore affermazione;
il sistema economico italiano, formato per la maggior parte da micro o piccole imprese, necessita di un idoneo sostegno del Governo per poter consolidare un valido raccordo con tali grandi e lontani mercati, cogliendone le migliori opportunità;
l'obiettivo della progressiva apertura dei mercati internazionali, coerente con le linee di politica commerciale indicate dal Parlamento al Governo (da ultimo con la risoluzione n. 6-00053, approvata dalla Camera dei deputati l'11 marzo 2003), che l'Italia condivide con i partner dell'Unione europea e dell'Organizzazione mondiale del commercio, necessita parallelamente di una chiara definizione di regole a difesa della concorrenza leale e della proprietà intellettuale;
la crescente concorrenza di Paesi con economie emergenti, basate su bassi costi di produzione e su normative sociali e ambientali meno vincolanti di quelle europee, che talvolta possono avvantaggiarsi su monete eccessivamente sottovalutate e su un sistema di aiuti di Stato distorsivi della concorrenza, riduce la competitività delle nostre imprese, creando in ultima analisi le condizioni per una progressiva perdita di quote del commercio mondiale detenute dal nostro Paese;
la scadenza dell'accordo tessile abbigliamento dell'Uruguay round, che disciplina, fino al 31 dicembre 2004, i flussi di prodotti tessili provenienti dai Paesi in via di sviluppo e di nuova industrializzazione verso l'Europa, unitamente alle riduzioni dei dazi già introdotte unilateralmente dall'Unione europea, sia nell'ambito del sistema delle preferenze generalizzate che dell'iniziativa «everything but arms», renderà l'Europa l'area più permeabile alle importazioni dei prodotti tessili e dell'abbigliamento a livello mondiale;
l'Italia e l'Unione europea credono nella politica multilaterale con l'obiettivo di garantire un mercato sempre più aperto, ma rispettoso delle regole;
l'Unione europea può adottare, qualora ne ricorrano i requisiti, misure di protezione (dazi o quote) per difendere il mercato comunitario da importazioni massicce sulla base delle disposizioni dell'Organizzazione mondiale del commercio sulle salvaguardie (erga omnes) e sulla base del «meccanismo di salvaguardia speciale» (Tpssm), previsto nel trattato di accessione della Cina all'Organizzazione mondiale del commercio;
l'Unione europea può, altresì, adottare misure antidumping sulla base dell'accordo antidumping dell'Organizzazione mondiale del commercio quando le aziende di un Paese terzo vendono in Europa un certo prodotto ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato nel mercato interno di Paesi terzi;
le imprese europee sono gravate da costi aggiuntivi connessi al rispetto di standard decisamente elevati in materia di tutela del lavoro e dell'ambiente, se paragonati a quelli in uso per le imprese dei Paesi ad economie emergenti;
le tematiche della dimensione sociale e della tutela dei diritti fondamentali del lavoro, costantemente ribaditi dal Consiglio affari generali e relazioni esterne dell'Unione europea, non solo rientrano nelle priorità europee con riferimento al negoziato dell'Organizzazione mondiale del commercio, ma ad esse ci si richiama per poter applicare in modo differenziato il sistema di preferenze generalizzate. Il problema non è solo tutelare le imprese europee rispetto ai concorrenti esteri, ma affermare i principi di civiltà che costituiscono ormai un patrimonio comune in Europa, all'interno di una piattaforma che orienti il dialogo multilaterale verso la garanzia di reciproco vantaggio negli scambi - seppure nella logica del trattamento speciale e differenziato - nel quadro di una liberalizzazione e regolamentazione del commercio internazionale;
l'Unione europea, nell'ambito del sistema di preferenze generalizzate, applica agevolazioni daziarie a molti prodotti provenienti da importanti Paesi in via di sviluppo, quali, ad esempio, India, Thailandia, Pakistan, Indonesia, Malesia, Brasile, Cina, Vietnam, Filippine;
per quanto riguarda possibili azioni in sede di Organizzazione mondiale del commercio, per rivalutare le divise ad oggi sottovalutate dei Paesi ad economie emergenti, gli accordi commerciali multilaterali non prevedono disposizioni specifiche in materia valutaria, se si eccettua un riferimento nell'articolo XV (exchange arrangements) dell'accordo Gatt, in cui, tuttavia, le parti sono chiamate a cooperare con il Fondo monetario internazionale;
il costituendo comitato nazionale anti-contraffazione - previsto dal disegno di legge finanziaria per il 2004 - dovrebbe essere dotato degli strumenti e delle risorse necessari per monitorare i casi di violazione della proprietà intellettuale e di concorrenza sleale (dumping e sovvenzioni), in modo da offrire alle imprese assistenza continua, volta a contrastare tali fenomeni con gli strumenti previsti dalle norme comunitarie;

impegna il Governo:

a sostenere in sede di Unione europea:
a) la riduzione e l'armonizzazione delle tariffe nell'ambito delle regole dell'Organizzazione mondiale del commercio;
b) l'adozione di misure, previste dalla normativa dell'Organizzazione mondiale del commercio e dell'Unione europea, tese a proteggere imprese nazionali danneggiate da straordinari incrementi di importazioni provenienti da Paesi terzi, quando ne sussistano le condizioni;
c) una revisione del sistema delle preferenze generalizzate, che possa graduare il livello di agevolazioni in funzione del grado di sviluppo dei Paesi e dell'effettiva concorrenzialità dei singoli prodotti;
d) l'istituzione dell'obbligo di stampigliatura del Paese d'origine per le merci commercializzate nel mercato interno europeo, proseguendo così nella linea già inaugurata in occasione della riunione informale dei Ministri del commercio dell'Unione europea, tenutasi a Palermo il 6-7 luglio 2003, a tutela della libertà di scelta dei consumatori e per contrastare più efficacemente i fenomeni di importazioni illegali e di contraffazione;
ad adoperarsi per una rigorosa applicazione del regolamento comunitario n. 1383 del 2003, emanato il 22 luglio 2003, che prevede la possibilità di distruggere o di escludere dai circuiti commerciali merci di importazione che violano i diritti di proprietà intellettuale, vietandone, altresì, l'ingresso nel territorio doganale, l'immissione in libera pratica, la riesportazione e il collocamento in depositi o zone franche;
ad operare efficacemente per la tutela, il sostegno e la promozione del made in Italy, anche mediante l'istituzione sia di un apposito marchio a tutela delle merci italiane, che di uffici di consulenza per la tutela del marchio medesimo, costituiti presso l'Istituto nazionale per il commercio estero o le sedi diplomatiche, per avviare l'assistenza legale alle imprese danneggiate da pratiche sleali;
a verificare, in sede di Unione europea, la possibilità di adottare - nei settori di particolare sensibilità alla concorrenza internazionale, quali, ad esempio, il tessile, l'abbigliamento e le calzature - una regolamentazione in materia di etichettatura e tracciabilità dei prodotti, che ne renda evidente l'origine e la filiera del processo produttivo e possa accertarne adeguati requisiti di qualità.
(1-00286) «Anedda, Airaghi, Alboni, Amoruso, Armani, Arrighi, Ascierto, Bellotti, Benedetti Valentini, Bocchino, Bornacin, Briguglio, Buontempo, Butti, Canelli, Cannella, Cardiello, Carrara, Caruso, Castellani, Catanoso, Cirielli, Cola, Giorgio Conte, Giulio Conti, Coronella, Cristaldi, Delmastro delle Vedove, Fasano, Fatuzzo, Fiori, Foti, Fragalà, Franz, Gallo, Gamba, Geraci, Ghiglia, Alberto Giorgetti, Gironda Veraldi, La Grua, La Russa, La Starza, Lamorte, Landi di Chiavenna, Landolfi, Leo, Lisi, Lo Presti, Losurdo, Maceratini, Maggi, Malgieri, Gianni Mancuso, Luigi Martini, Mazzocchi, Menia, Meroi, Messa, Migliori, Mussolini, Angela Napoli, Nespoli, Onnis, Paolone, Patarino, Antonio Pepe, Pezzella, Porcu, Raisi, Ramponi, Riccio, Ronchi, Rositani, Saglia, Saia, Garnero Santanchè, Scalia, Selva, Serena, Strano, Taglialatela, Trantino, Villani Miglietta, Zaccheo e Zacchera».
(6 novembre 2003).