A)
B) C)
D) E) F) G) H)
I) L) S. 129-377-1319. - Senatori GUERZONI ed altri; BONATESTA; PEDRIZZI: «Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di guerra» (approvata, in un testo unificato, dalla VI Commissione permanente del Senato) (3094) (La Commissione ha elaborato un nuovo testo).
A tale proposta di legge sono abbinate le proposte di legge: DUCA ed altri: «Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di guerra» (806); INNOCENTI: «Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di guerra» (820); BURANI PROCACCINI: «Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di guerra indiretti» (1605); FIORI: «Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di guerra» (1960).
La Camera,
a riconoscere i bambini come soggetti portatori dei diritti specifici di cui in premessa, attraverso l'adozione di un'idonea iniziativa normativa;
La Camera,
ad assumere, anche in ambito internazionale e presso le sedi competenti, iniziative idonee per intensificare la prevenzione dagli atti terroristici e per accrescere l'effettiva protezione dei minori nelle situazioni nelle situazioni di conflitto armato, nella consapevolezza che, ove vi sia una guerra in atto o si sia verificata un'azione terroristica, i fanciulli sono inevitabilmente coinvolti dalle conseguenze di questi eventi;
La Camera,
ad assicurare un'attenta e puntuale applicazione della legge 9 luglio 1990, n. 185, al fine di impedire che la nostra produzione industriale-militare possa essere utilizzata in teatri di guerra dove i minori siano impiegati come combattenti;
La Camera,
in sede internazionale:
il 4 settembre del 2002 è stato il settimo anniversario della morte del giovane studente padovano Giacomo Turra, barbaramente assassinato in Colombia;
siamo ancora molto lontani dall'individuazione dei colpevoli e della verità;
intanto, la situazione politica colombiana si è ulteriormente complicata;
il Presidente neoeletto Uribe, tra le altre cose, ha annunciato i seguenti provvedimenti: la proclamazione dello stato d'emergenza, la limitazione dei poteri della Corte costituzionale, l'attribuzione di facoltà giuridiche all'esercito, l'eliminazione di organismi a difesa dei diritti umani, come la Defensoria del pueblo;
sarà molto difficile che il nuovo Presidente, considerato il suo legame con l'esercito, favorisca l'individuazione dei colpevoli, visto che in primo grado alcuni militari erano stati accusati dell'omicidio;
sono trascorsi due anni dal momento in cui la famiglia - tramite i suoi legali a Bogotà - ha presentato ricorso alla Suprema corte di cassazione contro le due scandalose sentenze di assoluzione dei poliziotti accusati dell'omicidio;
la Corte suprema non ha respinto il ricorso, ritenendolo formalmente corretto;
la Corte si è riservata di esaminarlo per valutarne i contenuti, decidere se accettarlo e, quindi, riaprire il processo oppure respingerlo;
è una fase questa estremamente delicata ed è importante che il Governo italiano, attraverso la nostra diplomazia, ribadisca alle autorità colombiane la ferma volontà di ottenere piena giustizia su questo caso, confermando con determinazione quell'impegno che il Parlamento italiano, con il consenso di tutte le forze politiche, ha più volte espresso in questi anni;
nel caso in cui la Corte suprema respinga il ricorso rimane la possibilità di rivolgersi alla Conferencia intramericana de los derechos humanos, che si è già dichiarata competente per esaminare il caso di Giacomo Turra, vista la presunta violazione dei diritti umani;
hanno chiesto giustizia per Giacomo Turra anche sei premi Nobel e l'Accademia dei lincei;
vi è stato un caso analogo a quello di Giacomo Turra, sempre in Colombia, che ha colpito un cittadino spagnolo, Inigo Eguiluz, che è stato ucciso insieme ad un sacerdote colombiano. Anche in quel caso era stato ipotizzato da parte delle autorità colombiane un incidente stradale. Nel gennaio del 2001 i poliziotti autori dell'omicidio volontario sono stati condannati a 29 anni di carcere;
la famiglia di Giacomo Turra, da sette anni, si batte con grande coraggio per ottenere finalmente giustizia, supportata dalla società civile che intorno a questo caso si è ampiamente pronunciata e mobilitata, sia a livello nazionale che internazionale, con numerose e significative prese di posizione -:
se il Governo sia a conoscenza del caso Turra e dell'andamento del processo tuttora in corso in Colombia;
quali siano le relazioni diplomatiche tra l'Italia e la Colombia, dopo l'elezione del Presidente Uribe;
se al Governo italiano abbia avuto occasione di sottoporre al nuovo Governo colombiano la «questione Turra»;
nel caso in cui questo non sia successo, quando il Governo preveda di affrontare la questione;
cosa il Governo intenda fare per consentire alla famiglia Turra di ottenere giustizia;
quali strumenti il Governo intenda adottare per sollecitare le istituzioni colombiane, affinché individuino e condannino alla giusta pena i responsabili dell'omicidio del giovane ragazzo padovano.
(3-01351)
(16 settembre 2002)
la Corte suprema colombiana ha confermato la sentenza con cui, a suo tempo, un tribunale militare aveva assolto i cinque poliziotti accusati di aver ucciso a Cartagena, nel settembre del 1995, lo studente padovano Giacomo Turra;
secondo la sentenza: «Nel dossier esaminato non esistono indizi probatori per condannare i cinque agenti e quindi si conferma l'assoluzione... Molto probabilmente Turra è deceduto a causa del consumo di droga e alcol e per i colpi che lui stesso si è inferto nel commissariato di polizia di Cartagena...»;
secondo la Corte non esisterebbero le prove che la morte di Giacomo sia stata causata dalle percosse degli agenti;
così, ci sono voluti sette anni per vedere negata la giustizia a Giacomo, ai suoi familiari, ai suoi amici;
a quanto risulta all'interrogante, l'ambasciata italiana in Colombia non ha avvertito i familiari di Giacomo della sentenza;
il Governo italiano non ha, in nessuna dichiarazione ufficiale, protestato contro le autorità colombiane per non aver individuato e condannato gli omicidi di un giovane ragazzo italiano, visto che - con ogni evidenza - di omicidio si tratta e non certo di morte a causa di colpi che lo stesso Turra si sarebbe inferto;
il Parlamento italiano, senza distinzione, ha chiesto più volte giustizia per Giacomo Turra -:
come giudichi il Governo la scandalosa sentenza della Corte suprema colombiana;
se il Governo non ritenga molto grave il fatto che l'ambasciata italiana in Colombia non abbia avvertito i familiari e se non ritenga doveroso esprimere tutto il proprio dissenso verso le autorità colombiane;
in che modo il Governo intenda tutelare i diritti umani di un cittadino italiano barbaramente ucciso fuori dal proprio Paese, dando così seguito alle sollecitazioni di decine di parlamentari italiani.
(3-02403)
(23 giugno 2003)
(ex 4-04560 del 21 novembre 2002)
nella notte tra il 7 e l'8 ottobre 2002, nella località palestinese di Khan Yunis, l'esercito dello Stato di Israele ha effettuato un'operazione militare, condotta, a quanto si apprende dagli organi di informazione, da quaranta mezzi corazzati israeliani, supportati da elicotteri e bulldozer, i quali hanno attaccato il quartiere di Amal, provocando 14 morti e 76 feriti tra la popolazione civile del quartiere e colpendo anche l'ospedale della zona;
tale azione è stata giustificata da Israele sostenendo che il quartiere di Amal è rifugio di terroristi di Hamas;
nella giornata del 7 ottobre 2002 è stato ucciso Raji Abu Lehila, capo dei reparti antisommossa dell'Autorità nazionale palestinese, ad opera di militanti di Hamas, e a tale omicidio sono seguiti numerosi scontri tra i militanti di Hamas e l'Autorità nazionale palestinese;
per ciò detto, e per le numerose e ripetute dichiarazioni del Presidente Arafat, l'Autorità nazionale palestinese e Hamas risultano essere irriducibilmente avversarie;
l'Unione europea, attraverso Xavier Solana, e l'Onu, attraverso il suo Segretario generale, hanno duramente condannato l'attacco israeliano alla popolazione civile palestinese di cui sopra -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
se il Governo non intenda condannare formalmente l'azione militare di cui sopra;
se il Governo non intenda agire in sede internazionale, affinché si vada oltre le generiche condanne che ogni volta piovono sullo Stato di Israele e sul suo Governo quando fatti del genere si ripetono, esigendo da quest'ultimo il rispetto delle risoluzioni del consiglio di sicurezza dell'Onu;
se il Governo non intenda rendersi protagonista, insieme ai partner dell'Unione europea, per la ripresa del processo di pace in Palestina, anche attraverso la proposta di invio di un contingente internazionale militare e civile con compiti di interposizione.
(3-01460)
(9 ottobre 2002)
il Presidente degli Stati Uniti d'America ha dichiarato, in relazione alle nuove funzioni che, a suo giudizio, dovrà assumere la Nato, che «... per essere certi che l'alleanza resti un'organizzazione rilevante, il modo è di puntarne l'attenzione sulle reali minacce alla libertà, affrontare queste minacce e trovare il modo di lavorare insieme per raggiungere il nostro obiettivo: un mondo di pace (si veda la Repubblica di mercoledì 20 novembre 2002, alla pagina 13);
è evidente che ci troviamo di fronte ad una vera e propria modificazione dell'oggetto sociale dell'alleanza;
peraltro, appare altrettanto evidente il rischio di una sovrapposizione dei compiti della nuova Nato, prefigurata dal Presidente degli Stati Uniti, con i compiti e le funzioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, con il pericolo rappresentato dalla presenza di un'organizzazione di tipo militare che si muove al di fuori e, teoricamente, anche contro le risoluzioni dell'Onu;
questa eventualità può generare confusione giuridica e contribuisce allo svuotamento definitivo dell'Organizzazione delle Nazioni Unite -:
se non ritenga di dover esprimere con chiarezza il pensiero del Governo italiano sull'annunciata riforma dell'oggetto sociale della Nato e sulla potenziale conflittualità che una tale modificazione può creare con l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
(3-01608)
(20 novembre 2002)
approfittando della concentrazione dell'opinione pubblica mondiale sulle tragiche vicende belliche che sconvolgono la terra irachena, Fidel Castro si è nuovamente espresso in una performance tipicamente comunista, incarcerando ottanta attivisti per i diritti umani;
Elizardo Sanchez, uno dei leader dei dissidenti cubani, ha dichiarato: «Questa forma di repressione è la peggiore che si ricordi nella storia di Cuba, senza escludere l'era coloniale. Mai prima d'ora tanta gente è stata così severamente punita per dei crimini di pensiero. Sono veramente prigionieri di coscienza (si veda Il Secolo d'Italia di martedì 8 aprile 2003, alla pagina 11);
Governi ed associazioni del mondo intero hanno - inutilmente - elevato una forte protesta per questo ennesimo crimine del dittatore comunista cubano contro la libertà, giustificato con la risibile giustificazione secondo cui gli attivisti arrestati sarebbero »traditori« che cospirano con gli Stati Uniti d'America per rovesciare il Governo cubano;
appare francamente inammissibile che la comunità internazionale si »lavi la coscienza« limitandosi ad un'eterea protesta, che si aggiunge alle migliaia di proteste che costellano il quarantennio interminabile di feroce dittatura comunista di Fidel Castro -:
quali concrete iniziative di carattere diplomatico intenda assumere per favorire la liberazione degli attivisti arrestati a Cuba e per richiedere il ripristino delle più elementari libertà personali e collettive all'interno della comunità civile cubana.
(3-02183)
(9 aprile 2003)
la fucilazione, avvenuta a Cuba, di tre persone, in quanto presunti responsabili del sequestro di un traghetto, nulla aggiunge al carattere criminale del regime comunista, che da quarant'anni incarcera, tortura ed uccide i propri cittadini;
come in ogni Paese autenticamente comunista, la pretesa di esercitare il diritto di libertà di espressione è considerata un grave reato;
settantacinque dissidenti sono stati condannati - mentre l'attenzione dell'opinione pubblica era concentrata sugli eventi bellici in terra irachena - a pene detentive variabili da sei a ventotto anni;
in questi giorni persino il premio Nobel per la letteratura (e comunista convinto) Josè Samarago ha preso le distanze dalle iniziative criminali e liberticidi di Fidel Castro e dell'apparato poliziesco repressivo del regime;
l'indulgenza, di cui sembra godere Fidel Castro, non ha ragione d'essere ed anzi produce l'effetto di stimolare ulteriormente la pratica dell'assassinio e della carcerazione per tutti coloro che non sono (e non vogliono sentirsi) comunisti;
il mondo libero, che ha ritenuto di poter legittimamente utilizzare le forze armate per riportare la libertà in Iraq, si limita a formali, reiterate ed inutili proteste, nella piena consapevolezza della totale indifferenza del satrapo che regna sull'isola di Cuba;
la mancata adozione di adeguate misure contro i crimini comunisti a Cuba rischia di accentuare i meccanismi di stolta complicità che molti Paesi occidentali manifestano nei confronti del regime castrista -:
se non ritenga di assumere le più gravi iniziative diplomatiche nei rapporti bilaterali con lo Stato cubano, per evitare di appartenere al coro di silenziosa complicità che da troppi decenni tende a nobilitare di rivoluzione la pratica volgarmente comunista dell'omicidio e della carcerazione.
(3-02203)
(15 aprile 2003)
nell'ultimo periodo a Cuba si è registrata un'ulteriore stretta repressiva verso il dissenso politico e verso i tentativi di «fuga» dal Paese, fino all'episodio che ha portato alla fucilazione di tre cittadini cubani arrestati dalla guardia costiera mentre cercavano di raggiungere in battello la Florida;
tali pratiche, come ogni sistematica violazione dei diritti umani, civili, politici, sono inaccettabili e vanno condannate;
nel giudizio complessivo sul regime cubano occorre tenere conto di tutti gli aspetti della condizione politica, sociale e civile di Cuba, dunque anche dei notevoli risultati raggiunti nella riduzione delle diseguaglianze sociali e nel dare accesso a tutti all'istruzione e a servizi sanitari adeguati;
va condannato l'embargo cui da molti anni gli Stati Uniti sottopongono Cuba, per le sue gravi conseguenze sociali ed economiche sulla popolazione e anche perché finisce col restringere le possibilità di un avvio di transizione democratica;
va incoraggiato lo sforzo messo in atto da molti Paesi europei per accrescere i contatti e le relazioni economiche e culturali con Cuba;
recentemente membri del Governo, oltre che esponenti sia della maggioranza che dell'opposizione, si sono recati in visita a Cuba, incontrando responsabili politici di alto livello e concludendo accordi di cooperazione in campo economico e culturale -:
se i rappresentanti ufficiali del Governo italiano in visita a Cuba abbiano manifestato con chiarezza e forza al Governo cubano la condanna per le violazioni dei diritti umani, civili e politici e l'auspicio di una progressiva democratizzazione del regime cubano;
se e quali passi il Governo abbia compiuto o intenda compiere per rappresentare al Governo cubano il disagio e la preoccupazione dell'Italia per questo recente inasprimento delle misure di repressione.
(3-02404)
(23 giugno 2003)
(ex 4-06103 del 16 aprile 2003)
corrono voci insistenti sull'ipotesi di un'alleanza tra Alitalia e Volare Group, con l'intento di istruire una compagnia low-cost;
le organizzazioni sindacali, almeno alcune, hanno espresso contrarietà e riserve verso tale ipotesi, sottolineando soprattutto che Volare Group è una società che non applica normative di lavoro, livelli salariali e intrattiene relazioni sindacali assolutamente inaccettabili al giorno d'oggi;
la creazione di un'aviolinea low-cost deve essere, comunque, discussa con le parti sociali nella sede opportuna, cioè il comitato di monitoraggio del piano industriale Alitalia, istituito con l'accordo di Palazzo Chigi del 9 aprile 2002 -:
se siano fondate le voci su questa ipotesi e, se confermate, perché l'Alitalia non abbia coinvolto le parti sociali, nel rispetto degli accordi vigenti e sottoscritti;
se condividano l'opinione che la creazione di una low-cost, in assenza di una normativa contrattuale nazionale e di regole certe a livello europeo, significherebbe, di fatto, autorizzare una selvaggia aggressione al costo del lavoro, con la rottura degli equilibri raggiunti e delle condizioni di lavoro vigenti e con gravi conseguenze nelle relazioni sindacali;
se, infine, il giusto obiettivo dell'Alitalia di recuperare quote di mercato non possa essere meglio conseguito attraverso il piano industriale e una politica delle alleanze, che escluda la costituzione di una nuova low-cost in seno all'Alitalia.
(3-01616)
(21 novembre 2002)
l'Ispesl, Istituto per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, assume un ruolo di primaria importanza nell'ambito di una seria politica del lavoro in un Paese che - è bene ricordarlo - registra il tristissimo primato di 1300 decessi all'anno per infortuni sul lavoro e di 750.000 infortuni;
le concause che danno vita a questo fenomeno sono numerose, ma, fra esse, va annoverata anche l'incredibile inefficacia dell'Ispesl medesimo, che offre un pessimo servizio all'utenza;
a fronte di richieste di collaudi, accompagnate dal relativo pagamento, l'Ispesl impiega anni per effettuare il collaudo medesimo, mettendo, dunque, gli imprenditori nelle condizioni di dover utilizzare impianti non collaudati, essendo inimmaginabile che apparecchiature ed attrezzature del costo di centinaia e centinaia di milioni di vecchie lire vengano tenute inattive in attesa di collaudo, che - come detto - a volte viene effettuato dopo 5-6 anni;
pare contraddittorio che l'istituto che presiede alla prevenzione ed alla sicurezza sul lavoro finisca per divenire esso stesso causa indiretta di infortuni sul lavoro per un'inefficienza che continua da lustri, senza che alcun Governo - e precipuamente quelli che per definizione avrebbero dovuto difendere gli interessi dei lavoratori - vi ponga mano -:
se, nell'ambito delle politiche finalizzate alla sicurezza sul lavoro ed alla prevenzione degli infortuni, non si ritenga indispensabile - ed anzi, propedeutico - riorganizzare l'Ispesl, affinché i collaudi, prepagati dagli utenti, vengano effettuati entro una tempistica dignitosa e non dopo anni, come ormai avviene da molti anni.
(3-00367)
(26 ottobre 2001)
mercoledì 16 ottobre 2002, nell'aula Morgagni del Policlinico di Padova, si è tenuta l'assemblea plenaria dell'Associazione medici specialisti della Comunità europea e specialisti in formazione;
l'assemblea ha evidenziato come il Governo non abbia reperito fondi per la stipula dei contratti di formazione lavoro, relativi ai medici specializzandi, previsti dal decreto legislativo n. 368 del 1999 e dalle direttive comunitarie, né fondi per adeguare l'importo dell'attuale borsa di studio, pari a circa 800 euro mensili, che attualmente è congelato fino al 2006;
poiché una normativa di questo Governo prevede il ritorno in Parlamento di tutte le leggi prive di copertura finanziaria, c'è il rischio che anche il decreto legislativo 368 del 1999 venga cancellato;
l'assemblea, quindi, ha approvato all'unanimità il piano di agitazione, che, iniziato il 21 ottobre 2002, durerà fino all'11 novembre 2002, quando scatterà l'astensione a tempo indeterminato da tutte le attività assistenziali;
solo a Padova sono 1.600 gli specializzandi che lavorano nelle cliniche universitarie e negli ospedali, in tutta Italia sono circa 25.000;
una loro astensione sarebbe disastrosa per il funzionamento degli ospedali e per la cura dei pazienti, visto che - nonostante le autorità accademiche e sanitarie abbiano sempre assicurato che l'attività del personale medico specializzando non potrà mai essere sostitutiva del medico strutturato - svolgono un ruolo indispensabile per il funzionamento dei reparti;
l'incidenza del ruolo degli specializzandi è decisivo non solo nelle cliniche e negli ospedali padovani, ma in tutto il Paese e la copertura delle risorse necessarie per i contratti di formazione lavoro è garanzia per la qualità della formazione post-laurea sul campo -:
se il Governo intenda adottare iniziative normative per venire incontro alle legittime e giuste richieste dell'Associazione medici specialisti della Comunità europea e specialisti in formazione e con quali strumenti intenda valorizzare il ruolo degli specializzandi, dai quali dipende gran parte del futuro della sanità italiana;
se il Governo intenda incentivare la formazione, la pratica clinica e la ricerca sul campo, che senza i necessari fondi rischiano di immiserire, con gravi conseguenze per il livello delle professionalità e, di conseguenza, per la qualità dell'assistenza.
(3-01516)
(24 ottobre 2002)
la regione Veneto ha elaborato le cosiddette «schede di riorganizzazione ospedaliera», che, di fatto, hanno cancellato una sperimentazione di centro ortopedico interregionale, a cui era deputato il nosocomio di Malcesine;
inoltre, è stato annullato un concorso di idee per riqualificare il citato centro ortopedico, benché vi fossero ben tre proposte provenienti, tra l'altro, anche da privati;
sono stati convocati i primari di ortopedia e riabilitazione dell'ospedale di Malcesine da parte della regione per informarli dei tempi per la smobilitazione di tutto il personale: il 30 giugno 2003 riduzione dei posti letto ospedalieri di riabilitazione (da 150 a 50), il 31 dicembre 2003 o al massimo 30 giugno 2004 chiusura di tutto l'ospedale;
l'associazione disabili motori, a mezzo del proprio vice presidente Adriano Piffer, ha denunciato da tempo la volontà della regione Veneto di chiudere l'ospedale, con la conseguente privazione dell'unico punto di riferimento nazionale di un centro d'alta specializzazione per i poliomielitici, malati che hanno patologie di ritorno legate all'età, ed in proiezione per tutti coloro che, purtroppo, ancora oggi contraggono quella malattia;
l'associazione disabili motori aveva anche presentato un progetto di rilancio dell'ospedale ed è disposta a costituire una fondazione ed a gestire il centro ortopedico (tra l'atro, sull'ospedale l'associazione vanta una eredità morale, essendo questi nato da un lascito indirizzato espressamente ai poliomielitici);
risulta che i problemi dell'ospedale di Malcesine non sono legati né alla produzione (riabilitazione e chirurgia lavorano al massimo ritmo possibili con liste d'attesa anche di 18 mesi), né all'utenza (persino dalla Germania sarebbero disponibili ad inviare pazienti), né di conti di bilancio (nel 2002 risultano utili per 2 milioni di euro);
la regione Veneto sostanzia la sua volontà di chiusura dell'ospedale di Malcesine con riferimento alla marginalità del medesimo rispetto al sistema sanitario veneto;
si ha la sensazione che la vera motivazione per la chiusura sia da individuarsi con riferimento alla appetibilità edilizia-turistica che rivestono i due edifici del centro ortopedico, immersi in uno splendido parco a balcone sul lago di Garda -:
se le prestazioni ortopediche di cui si è detto in premessa rientrino tra le prestazioni da erogare nei livelli essenziali di assistenza e, in caso affermativo, se la regione Veneto, dopo la chiusura del citato centro, sia in grado di soddisfarli.
(3-01736)
(17 dicembre 2002)
il ministero della salute ha deciso di istituire a Roma il centro di alta specializzazione per il trattamento e lo studio della talassemia;
l'articolo 48 della legge n. 3 del 2003, «Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione», stabilisce che il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nell'individuare la sede del centro dovrà «tener conto delle esperienze maturate sul territorio nazionale nella cura e nell'insegnamento riguardanti la talassemia»;
la talassemia è una malattia diffusa fra le popolazioni del Mediterraneo, per quanto riguarda l'Italia la sua diffusione riguarda la Sardegna e la Sicilia; in Sardegna l'incidenza della patologia vede la presenza di 1.300 malati e di 200.000 portatori;
l'aspetto della prevenzione nella diffusione della talassemia rappresenta un elemento essenziale dell'attività scientifica e sanitaria, perché può condurre ad un abbattimento significativo dell'incidenza della malattia sulla popolazione;
da questo punto di vista, l'ospedale microcitemico di Cagliari ha maturato una lunga e proficua esperienza nella cura e nella prevenzione della talassemia, con un effetto evidente e misurabile di abbattimento dell'incidenza della malattia sulla popolazione sarda;
l'istituzione del centro di alta specializzazione potrebbe rappresentare un'importante occasione per diffondere le esperienze maturate sul piano della ricerca, della cura e della prevenzione;
l'11 dicembre 2002, in occasione dell'approvazione della legge suddetta, il Governo accoglieva come raccomandazione un ordine del giorno (9/2122-bis-c/9 a prima firma dell'onorevole Maurandi), che impegnava il Governo a privilegiare, nell'individuazione del centro di alta specializzazione, «gli istituti che, oltre ad attività didattica e di ricerca, possano vantare un'adeguata esperienza relativamente all'analisi del fenomeno sul complesso della popolazione, alla prevenzione e alla cura della patologia, al raggiungimento di apprezzabili risultati nella ricerca per l'eliminazione definitiva della talassemia e nella riduzione dell'incidenza della malattia sulla popolazione oggetto di prevenzione e di cura» -:
quali siano le ragioni che hanno indotto il ministero della salute a istituire il centro a Roma e a trascurare del tutto l'ospedale microcitemico di Cagliari e l'esperienza da esso maturata sul piano dell'analisi del fenomeno, della prevenzione e della cura della patologia;
quali siano le ragioni che hanno indotto il Governo a disattendere l'impegno assunto con il Parlamento con l'accoglimento dell'ordine del giorno citato, che prefigurava un'adeguata considerazione dell'ospedale microcitemico di Cagliari;
se non ritenga che nella scelta operata abbiano pesato considerazioni e condizionamenti estranei a corrette considerazioni di carattere specificamente scientifico e sanitario.
(3-02150)
(2 aprile 2003)
sarebbe imminente la realizzazione del progetto internazionale di talassemia, che prevede l'istituzione, in Italia, di un centro di riferimento per tutti gli Stati, sia del bacino del Mediterraneo che del resto del mondo, nei quali è presente la talassemia. Oltre alle attività di ricerca, prevenzione, cura e assistenza, il centro dovrebbe ospitare una scuola per medici;
per le risorse finanziarie, il ministero degli affari esteri potrebbe mettere a disposizione circa 9 miliardi di vecchie lire, mentre altri 60 sarebbero dovuti essere individuati nella legge finanziaria per il 2002;
secondo indiscrezioni, la sede del centro sarebbe stata individuata nell'ospedale azienda di Pesaro;
l'unico centro italiano all'avanguardia in grado di ospitare un centro sulla talassemia è l'istituto regionale per le microcitemie di Cagliari;
la \S-talassemia è una malattia genetica complessa, per il cui trattamento occorrono molteplici interventi tra cui:
a) terapia trasfusionale tradizionale corretta associata a terapia chelante di ferro;
b) trapianto di midollo allogenico da parenti o fratelli HLA identici ed in via sperimentale da soggetti non correlati HLA identici;
c) diagnostica ematologica e molecolare pre o post natale; diagnostica preimpianto;
d) screening e consultazione genetica della coppia a rischio, cioè quella costituita da due portatori sani;
e) attività di ricerca nei seguenti settori:
1) sviluppo di nuovi chelanti del ferro attivi per via orale;
2) sviluppo di terapia genica, specie con l'uso di nuovi vettori virali (lentivirus);
3) riattivazione della produzione di Hb fetale, per ovviare alla mancanza di quella adulta tipica della \S-talassemia;
4) analisi dei fattori genetici attenuatori del quadro clinico;
5) miglioramento del trapianto di midollo allogenico;
6) sviluppo di tecniche di trapianto fetale;
un centro di riferimento per la cura e prevenzione della talassemia dovrebbe possedere la capacità per attuare tutti gli interventi menzionati e, inoltre, essere collocato in una regione italiana ad alta incidenza per la \S-talassemia, avere un riconoscimento internazionale per un'attività globale di intervento, come accennato, ed avere personale con un curriculum scientifico che assicuri tutte le prestazioni necessarie;
l'unico centro italiano ad avere le caratteristiche precedentemente esposte è l'istituto regionale per le microcitemie di Cagliari, che opera, tra l'altro, in un territorio - la Sardegna - che ha le percentuali più alte al mondo di diffusione della malattia;
il medesimo istituto, per l'attività svolta, il ruolo ricoperto e il prestigio internazionale conseguito, è stato nominato, già 15 anni fa, «Who Collaborative centre for community control of inherited hemoglobinopathies». Nessun altro centro italiano ha ricevuto uguale riconoscimento;
tra i risultati di rilievo conseguiti dall'istituto, vanno menzionati la considerevole riduzione del numero di nuovi nati affetti da \S-talassemia in Sardegna (da 1:2500 nati vivi a 1:4000), una sopravvivenza libera da malattia dopo trapianto di midollo allogenico del 90-95 per cento ed un'attività scientifica di alto livello pubblicata nelle migliori riviste internazionali;
altre strutture che potrebbero aspirare a ospitare il centro di riferimento per la talassemia sarebbero il reparto di ematologia di Pesaro e quello dell'ospedale «Cervello» a Palermo. Il centro di Pesaro si occuperebbe unicamente di trapianto di midollo, sia a livello clinico che di ricerca, ma non affronterebbe le tematiche della talassemia globalmente, come illustrato nella presente interrogazione. Mentre il centro di Palermo non effettuerebbe trapianto di midollo e la sua attività di ricerca sarebbe molto limitata -:
se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
se corrisponda al vero che il centro di riferimento per la talassemia potrebbe essere realizzato a Pesaro;
se, nella scelta della sede del centro di riferimento per la talassemia, si sia tenuto conto dell'attività svolta nei centri operanti sul territorio italiano e dell'incidenza della malattia regione per regione;
quali iniziative si intendano assumere affinché nella realizzazione del centro di riferimento per la talassemia venga valorizzata maggiormente l'esperienza maturata da alcuni centri italiani e vengano concentrate le risorse finanziarie e umane in quelle regioni dove è più diffusa la talassemia;
se non ritengano opportuno affidare a un comitato scientifico internazionale la scelta della struttura dove realizzare in Italia il centro di riferimento per la talassemia.
(3-02405)
(23 giugno 2003)
(ex 4-01316 del 9 novembre 2001)
è diffusa nel nostro Paese la preoccupazione circa la possibile estensione della sindrome acuta respiratoria severa (Sars);
il Ministro interrogato, escludendo motivi di allarmismo sulla diffusione della malattia, ha invitato la popolazione a sospendere i viaggi nei Paesi a rischio di contagio;
risulta agli interroganti che numerose aziende continuino ad inviare, per motivi di lavoro, nei Paesi suddetti i propri dipendenti o collaboratori senza chiederne l'assenso -:
se non intenda adottare idonei provvedimenti per tutelare la salute dei lavoratori e impedire ogni pericolo di contagio del virus della Sars nel nostro Paese.
(3-02184)
(10 aprile 2003)
l'azienda sanitaria locale n. 3 del lagonegrese in Basilicata ha adottato, con deliberazione n. 141 del 17 gennaio 2003, un provvedimento monocratico del direttore generale, avente ad oggetto: «Misure per la riduzione dell'emigrazione sanitaria infraregionale»;
detta deliberazione ha lo scopo di ridurre quella che il direttore generale chiama «crescente emigrazione sanitaria, attraverso iniziative per il controllo globale del tasso di ospedalizzazione grezzo»;
a tale scopo viene introdotto un progetto incentivante per i medici di medicina generale, finalizzato proprio ad un controllo della mobilità ospedaliera infraregionale;
in particolare, il progetto prevede un'erogazione pari al 3 per cento della minore spesa sostenuta per un solo ricovero in ambito infraregionale che verrà evitato: ciò implica che per un qualsiasi Drg del valore di 2157,83 euro spetterà al medico una quota pari a 65,27 euro;
inoltre, pare di comprendere agli interroganti che la determinazione del direttore generale incide direttamente sulla sfera di un principio costituzionale del nostro Paese: il diritto alla salute, inteso anche come possibilità di scegliere il luogo ritenuto dall'ammalato più idoneo alle proprie cure senza nessun condizionamento e, soprattutto, senza nessuna barriera burocratica che possa inficiare il significato più profondo di questo diritto. Pagare una «percentuale» ad un medico di base, oltre che violare questo principio, ci sembra porsi sul confine morale della deontologia professionale degli stessi medici, ai quali viene offerto un incentivo che potrebbe finire per restringere le opportunità di cura nel solo ambito del territorio dell'azienda sanitaria locale di riferimento. Né va sottaciuto l'esplicito riferimento che il direttore generale fa, citiamo testualmente, «ad iniziative per il controllo globale del tasso di ospedalizzazione grezzo»;
non volendo giudicare la ruvidità di alcuni termini, che non si dimentichi vengono utilizzati in un contesto socio-sanitario come quello della cura degli ammalati presso gli ospedali pubblici, si deve, invece, sottolineare come l'offerta sanitaria tende, in questa circostanza, ad essere oltre misura burocratizzata e sottoposta ad un serrato e centralizzato controllo amministrativo;
gli interroganti ritengono che il diritto di scelta dei cittadini debba essere garantito e riconosciuto su tutto il territorio nazionale -:
se risulti al Ministro interrogato che altre aziende sanitarie locali del territorio nazionale abbiano adottato analoghi e, ad avviso degli interroganti, illiberali e coercitivi provvedimenti;
se non ritenga che sul principio contenuto nel predetto atto le organizzazioni di categoria dei medici di medicina generale del nostro Paese debbano essere ascoltate.
(3-02232)
(29 aprile 2003)
premesso che:
numerose sono sul nostro pianeta le aree di conflitto. A causa delle guerre, i bambini vengono trasferiti, privati di cibo e di un rifugio, sfruttati con la schiavitù, obbligati a prestazioni militari e sfruttati sessualmente. I bambini di tutto il mondo non hanno una voce o una posizione con la quale denunciare questi soprusi alle corti mondiali e alle arene politiche dei vari Governi. Essi non hanno uno «spazio giuridico» che permetta loro di denunciare queste ingiustizie. Ogni Paese all'interno dell'Unione europea dovrebbe sollevare la questione dei diritti inalienabili dei bambini ed agire affinché sia loro attribuito il potere di appellarsi alle corti internazionali;
nello stesso tempo, i bambini presenti nelle aree di conflitto non solo sono i primi a subire gli effetti devastanti di una guerra in atto, ma soprattutto rappresentano le vittime principali degli effetti collaterali che si manifestano in un Paese coinvolto. Per proteggere gli innocenti non si è mai provveduto ad istituire una zona franca dai bombardamenti o da interventi militari;
ciascun minorenne dovrebbe possedere il diritto innegabile ed il privilegio di cittadinanza all'interno delle corti internazionali;
a promuovere presso le Nazioni Unite una mozione da sottoporre all'esame dell'Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza per l'istituzione in ogni Paese di una zona franca;
a promuovere tale iniziativa presso l'Unione europea.
(1-00206)
«Giovanni Bianchi, Ruggeri, Rusconi, Delbono, Boccia, Reduzzi, Ruggieri, Realacci, Enzo Bianco, Vernetti, Marcora, Preda, Lucà, Bimbi, Camo, Carbonella, Colasio, Moretti, Cima, Nesi, Zanella, Buontempo, Fiori».
(15 maggio 2003)
premesso che:
diverse sono ancora oggi le aree di guerra e di insicurezza sul nostro pianeta, presenti prevalentemente in territori del nord-africa, sud-africa, medio orientali, asiatici;
gli atti terroristici rappresentano, al pari dei conflitti bellici, un evento tragico, soprattutto per i bambini e gli adolescenti;
numerosi atti internazionali sanciscono principi di protezione dei minori e di tutela dei loro diritti, in particolare: la Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, all'articolo 38, reca l'impegno a proteggere i minori in caso di conflitto armato ed il Protocollo opzionale sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati, approvato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel maggio 2000, prevede un innalzamento dell'età minima (già prevista dal diritto umanitario e dalla stessa Convenzione) per il reclutamento militare e la partecipazione ai conflitti armati;
la Commissione bicamerale per l'infanzia, il 25 ottobre 2001, ha approvato una risoluzione in materia di iniziative da adottarsi in favore dei bambini che si trovano nelle zone colpite da eventi bellici, in cui si impegna il Governo, fra l'altro: a promuovere i diritti dei bambini e degli adolescenti come aspetto fondamentale per il ristabilimento ed il conseguimento della pace, della sicurezza e la ricostruzione della coesione sociale; a prevedere iniziative idonee affinché nessuna misura restrittiva di carattere internazionale colpisca l'approvvigionamento di medicinali, acqua, cibo e vestiario per l'infanzia; a proporsi per assumere a livello internazionale un ruolo di promozione per gli aiuti umanitari nei confronti dei bambini nelle zone colpite da eventi bellici; ad assicurare la fornitura e l'installazione di adeguati ricoveri, ospedali da campo, aule scolastiche e quant'altro utile a mantenere un livello sociale dignitoso, favorendo ogni forma di socializzazione e di integrazione, anche ludica, dei bambini;
per assicurare che tutte le operazioni e le iniziative che attualmente sono svolte in favore dei fanciulli nei luoghi colpiti da azioni terroristiche, da conflitti bellici o resi insicuri per atti di destabilizzazione, è necessario un intervento appropriato e pertinente del nostro Paese, secondo i modi e le circostanze del caso;
a promuovere ed incentivare, anche in sede europea, in vista del prossimo semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, idonee iniziative volte a programmare ed attuare efficaci azioni umanitarie nelle zone di guerra, con particolare riferimento alla tutela dell'infanzia e dell'adolescenza, anche sostenendo l'attività di organizzazioni non governative;
a rafforzare le attività di controllo e di tutela che si rendono necessarie ad assicurare che i sostegni, i medicinali e le attrezzature inviati in aree in situazioni belliche o ad ogni modo con insufficiente sicurezza, quali quelle immediatamente postbelliche, siano consegnati integri e con efficienza, onde essere utilizzabili con effettiva efficacia;
ad intensificare le azioni di protezione e di messa in sicurezza degli aiuti umanitari, in particolare di quelli destinati all'infanzia, affinché giungano in modo tempestivo e completo ai reali destinatari e non siano sottoposti a sottrazioni o saccheggi, andando ad alimentare il mercato nero e le organizzazioni mafiose o criminali locali;
ad assumere idonee iniziative affinché nelle aree limitrofe alle scuole o ad altri luoghi di maggiore frequentazione da parte dei minori (ma, in generale, in tutte le aree frequentate dal pubblico) sia effettuata un'accurata bonifica dagli ordigni bellici inesplosi.
(1-00227)
«Burani Procaccini, Castellani, Anna Maria Leone, Carlucci, Antonio Leone, Francesca Martini, Buontempo».
(16 giugno 2003)
premesso che:
oltre mezzo milione di bambini sono reclutati - spesso con la forza o con altre forme coercitive - nelle forze armate governative e in gruppi armati in più di 87 Paesi. Almeno 300 mila ragazzi e ragazze - secondo la coalizione italiana «Stop all'uso dei bambini soldato!» - combattono attivamente in 41 Paesi;
l'impiego dei minori in attività, formazioni o strutture militari è una realtà che non riguarda soltanto i cosiddetti Paesi in via di sviluppo, ma, ad esempio, anche nazioni come il Regno Unito e gli Usa;
i Paesi industrializzati, dovendosi confrontare con la mancanza di personale, hanno incrementato, tra l'altro, gli sforzi per attrarre i giovani al reclutamento, mentre la vasta disponibilità di moderne armi leggere ha aggravato il problema dei bambini soldato, rendendo possibile anche ai bambini più piccoli di diventare killer efficienti in combattimento;
il supporto politico e militare internazionale per forze armate e gruppi armati che usano i bambini come combattenti, a volte legato allo sfruttamento di risorse naturali come diamanti o petrolio, ha in molti casi peggiorato i conflitti e il coinvolgimento dei minori. Quando anche pochi bambini sono coinvolti come soldati in un conflitto, tutti i ragazzi in quella particolare comunità sono guardati con sospetto;
non sono solo i bambini presenti nell'area del conflitto a essere a rischio: spesso vengono reclutati in altri Paesi, in comunità di rifugiati o in gruppi etnici sfollati; oppure sono vittime di tratta e vengono fatti passare illegalmente attraverso i confini. Bambini sono stati reclutati in Paesi europei o del Nord America da gruppi armati kosovari e curdi e, probabilmente, da gruppi coinvolti in conflitti che si svolgono altrove;
ai minori, attori consapevoli o forzati - se inquadrati in formazioni militari belligeranti - o comunque vittime dirette o indirette delle logiche di guerra, non sono, inoltre, riconosciuti la potestà di essere soggetti portatori di diritti specifici, né un peculiare diritto di cittadinanza nelle corti internazionali;
il Protocollo opzionale della Convenzione sui diritti dell'infanzia, sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, è stato adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 maggio 2000. Esso proibisce la partecipazione dei minori di diciotto anni alle ostilità e ogni forma di arruolamento forzato di minori. Chiede, comunque, agli Stati di aumentare l'età minima per l'arruolamento volontario. L'Italia ha ratificato tale protocollo con la legge 11 marzo 2002, n.46, ma non ha aumentato a 18 anni l'età minima per l'arruolamento volontario, nonostante il Parlamento italiano si sia pronunciato più volte in tal senso;
per quanto di sua competenza, ad attivarsi affinché tutti i Paesi membri dell'Unione europea e i Paesi terzi diano efficace attuazione al Protocollo opzionale;
ad adottare iniziative normative volte a prevedere un innalzamento dell'età per l'arruolamento volontario nelle forze armate, anche in coerenza con quanto già stabilito dalla legge 8 gennaio 2001, n. 2, che vieta la leva e il reclutamento obbligatorio dei minori di 18 anni di età;
a promuovere, nelle sedi proprie, a cominciare dall'Unione europea e dall'Onu, anche avvalendosi dell'opportunità offerta dal prossimo semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, un'azione volta a riconoscere specifiche forme di tutela giuridica per i minori - a qualunque titolo - vittime di conflitti o di crisi internazionali, nonché per assicurare che nessuna misura restrittiva di carattere internazionale possa tradursi in forme di restrizioni e sofferenza per i minori.
(1-00228)
«Violante, Ruzzante, Calzolaio, Capitelli, Bolognesi, Giacco, Pisa, Preda, Lucà, Spini».
(16 giugno 2003)
premesso che:
l'acqua è patrimonio dell'umanità, un bene comune e una risorsa naturale per tutti, fonte di vita insostituibile per l'ecosistema, un bene che appartiene a tutti gli abitanti della terra e deve contribuire alla solidarietà fra i cittadini, le comunità, le generazioni;
l'accesso all'acqua deve essere riconosciuto come un diritto fondamentale, inalienabile, individuale e collettivo. È compito della società stessa nel suo complesso garantire a tutti il diritto di accesso all'acqua, senza discriminazioni di razza, sesso, religione, reddito o classe sociale;
dal 1993 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha indicato nella giornata del 22 marzo di ogni anno la «Giornata mondiale dell'acqua», proprio per ricordare l'enorme valore che ha questa risorsa e come da essa dipenda la salute individuale e collettiva. In aggiunta e a conferma dell'importanza dell'argomento, le Nazioni Unite hanno adottato recentemente un'altra risoluzione, per la quale il 2003 è nominato «Anno internazionale dell'acqua»;
le conclusioni del Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile (Wssd) e dell'iniziativa del segretario generale delle Nazioni Unite in materia di acqua, energia, sanità, agricoltura e biodiversità (wehab) raccomandano il raggiungimento degli obiettivi precedentemente concordati a livello internazionale, compresi gli obiettivi di sviluppo del millennio (Mdg) delle Nazioni Unite, e il raggiungimento di una gestione integrata delle risorse idriche entro il 2005, così come previsto dal Vertice di Monterrey;
la salute individuale e collettiva dipendono dall'acqua e l'agricoltura, l'industria e la vita domestica sono profondamente legate ad essa: il suo carattere «insostituibile» significa che l'insieme di una comunità umana - ed ogni suo membro - deve avere il diritto di accesso all'acqua e, in particolare, all'acqua potabile, nella quantità e qualità necessarie indispensabili alla vita e alle attività economiche, poiché non ci può essere produzione di ricchezza senza l'accesso all'acqua;
nel mondo più di 1,4 miliardi di persone, ossia il 25 per cento della popolazione mondiale, non ha accesso all'acqua potabile e questo fatto è oggi sinonimo di lotta per la sopravvivenza;
secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, più di 200 milioni di bambini muoiono ogni anno a causa dell'insalubrità dell'acqua e la sua cattiva qualità provoca l'80 per cento delle malattie nei Paesi del sud del mondo;
a livello planetario l'acqua è sempre più una risorsa scarsa, inquinata, mal gestita, disomogeneamente distribuita e, inevitabilmente, fonte o oggetto di conflitti e tensioni, in molte parti del mondo;
l'allarmante situazione che la siccità e la conseguente desertificazione stanno creando in Africa e in altre zone del mondo porta gli abitanti di quelle terre inaridite ad abbandonare i propri territori in cerca di cibo e di acqua;
la gestione delle risorse idriche è di fondamentale importanza per garantire nei Paesi in via di sviluppo sufficienti produzioni agroalimentari ed adeguati volumi di acqua igienico-sanitaria per scongiurare le condizioni di povertà, senza compromettere gli equilibri idrici;
oggi il mercato mondiale dell'acqua è in mano a una struttura oligopolistica che ha investito notevolissimi capitali in questo settore e la Banca Mondiale finanzia gli accordi fra le grandi corporation dell'acqua e i Governi dei paesi in via di sviluppo, solo a condizione che le risorse idriche siano privatizzate;
più di cento città nel mondo hanno affidato i servizi di fornitura di acqua a compagnie private. Le grandi corporation dell'acqua hanno già creato loro organismi, come il Consiglio mondiale dell'acqua e la Global water partnership, che sono strutture private dove si discute la politica mondiale dell'acqua;
risulta necessario escludere la fornitura di acqua dal negoziato per il commercio nel campo dei servizi, dal momento che l'acqua deve essere considerata un diritto e non può essere sottoposta alle leggi di mercato;
dal 16 al 23 marzo 2003 si è svolto a Kyoto il terzo forum mondiale dell'acqua, il cui esito è stato per alcuni aspetti deludente per la sua genericità e per i pochi impegni realmente concreti, a cominciare da quello che era uno degli obiettivi dichiarati alla vigilia del forum: il reperimento delle risorse finanziarie indispensabili per raggiungere gli obiettivi fissati dal vertice di Johannesburg, circa 180 miliardi di dollari l'anno, più del doppio di quelli attualmente spesi nel mondo. Il forum ha comunque deliberato una dichiarazione ministeriale conclusiva sottoscritta da oltre 100 Paesi, in cui si ribadisce, insieme ad una serie di impegni e di priorità, che l'acqua «è una forza guida per lo sviluppo sostenibile, compresa l'integrità ambientale e lo sradicamento della povertà e della fame»;
il 21 e 22 marzo 2003 si è svolto a Firenze il primo forum alternativo mondiale dell'acqua, che ha visto la partecipazione di oltre 550 delegati di circa 60 Paesi, che hanno chiesto alle istituzioni di sottoscrivere un accordo internazionale per garantire l'accesso all'acqua potabile a tutti i cittadini del mondo entro la fine del 2003 e che l'acqua diventi uno dei punti principali della nuova agenda della politica internazionale;
durante il forum a Firenze, il «Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionale» (Cipsi), che rappresenta la federazione di 20 organizzazioni non governative italiane, ha lanciato il progetto «Acqua per tutti in Africa», con l'obiettivo di portare acqua potabile nei villaggi di 7 Paesi africani fra i più poveri del continente;
diversi sono stati gli atti di indirizzo votati e approvati dal nostro Parlamento sull'accesso all'acqua, tra i quali va ricordata la mozione approvata il 20 giugno 2002, e ultima in ordine di tempo, la risoluzione in commissione esteri della Camera e approvata l'11 febbraio 2003, che - tra le altre cose - impegnava il Governo a sostenere la necessità dell'esclusione della fornitura di acqua dal negoziato per il commercio nel campo dei servizi (Gats), in quanto diritto universale che non può essere sottoposto alle leggi di mercato; a promuovere iniziative volte a favorire l'utilizzo comune, equo e sostenibile, dell'acqua dei bacini fluviali e idrici transnazionali che occupano territori di più Stati; ad avere un ruolo più attivo e costruttivo e a promuovere partenariati per la distribuzione e sanitarizzazione dell'acqua, coinvolgendo enti locali e organizzazioni non governative; a contribuire alle trattative internazionali sul commercio, sui cambiamenti climatici, sulla biodiversità, affermando l'acqua come patrimonio vitale comune a tutta l'umanità e il diritto al suo accesso;
il nostro è un Paese ricco di acqua: questa ricchezza è, però, fortemente compromessa da un uso dissennato della risorsa stessa, caratterizzato da prelievi eccessivi e non programmati, da sprechi e dall'inquinamento di origine diversa (urbana, agricola, industriale), che spesso si sommano tra di loro;
in diverse aree del nostro Paese il diritto di accesso all'acqua potabile è drammaticamente ancora troppo limitato, sia sotto l'aspetto qualitativo che quantitativo;
oltre la metà degli acquedotti italiani è in pessime condizioni e circa il 35 per cento della popolazione italiana (il 70 per cento nel Mezzogiorno) ha un servizio insufficiente di distribuzione;
in numerosi comuni, soprattutto del Meridione, perdura una situazione di perenne emergenza idrica, a cui sempre più spesso si accompagna un criminale e fiorente mercato illecito di acqua, che viene venduta ai privati dai cosiddetti «autobottisti»;
già il Parlamento italiano ha approvato indirizzi e impegni unitari sull'acqua, in particolare la mozione del 20 giugno 2002 per l'accesso universale all'acqua e per la lotta contro la crisi idrica del Mezzogiorno;
il servizio idrico integrato (l'insieme dei servizi di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad uso civile, di fognatura e di depurazione delle acque reflue), sistema individuato dal legislatore nella legge 36 del 1994 per migliorare l'efficienza del servizio pubblico di fornitura idrica, non è operativo nelle regioni a più alto rischio di emergenza idrica (Puglia, Sicilia, Sardegna);
la ristrutturazione, manutenzione straordinaria e potenziamento delle opere dei grandi complessi irrigui nazionali riveste importanza strategica nella difesa dell'assetto idrologico del territorio italiano e nell'incremento delle risorse idriche disponibili;
è indispensabile un'azione costante e mirata per risolvere definitivamente il problema dell'approvvigionamento delle risorse idriche, attraverso azioni di completamento degli impianti, ammodernamento delle reti idriche e dei sistemi di irrigazione e ottimizzazione dell'uso di tali risorse;
le azioni quotidiane connesse con i problemi dell'acqua sono fondamentali ed è necessario a tal fine sensibilizzare tutti ad un suo uso più razionale, nella consapevolezza che essa rappresenta sempre di più un bene scarso e prezioso;
la tutela delle risorse idriche deve quindi passare anche attraverso la realizzazione di politiche di riduzione dei consumi, la preservazione della risorsa, l'informazione, la comunicazione e l'educazione;
a contrastare la privatizzazione delle risorse idriche e a favorire un mercato mondiale dell'acqua con caratteristiche più aperte, in cui anche il nostro Paese possa avere un ruolo importante;
ad adoperarsi in tutte le sedi competenti per promuovere una corretta e austera gestione delle risorse idriche sul pianeta, affinché ogni uomo e ogni donna possa utilizzarle per i bisogni essenziali;
ad intensificare gli sforzi profusi finora per una gestione delle risorse idriche corretta, democratica ed efficiente, garantendo una buona governance, ponendo maggiormente l'accento su approcci basati sulle comunità familiari e rionali e impegnandosi ai fini di un'equa condivisione dei benefici e della debita considerazione dei più poveri e delle specificità di genere. È fondamentale, sul lungo periodo, rafforzare le capacità d'azione di popoli ed istituzioni tramite la fornitura di assistenza, sia tecnica che di altro tipo, da parte della comunità internazionale;
a riconoscere che la cooperazione tra Stati rivieraschi, in materia di corsi d'acqua trasfrontalieri e/o di confine, contribuisce ad una gestione sostenibile delle risorse idriche ed alla produzione di vantaggi reciproci e ad invitare detti Stati a promuovere tale cooperazione;
ad adoperarsi affinché all'interno delle risorse dei fondi strutturali comunitari venga riconosciuta priorità ai progetti immediatamente eseguibili per opere di completamento ed ammodernamento dei sistemi idrici;
ad adoperarsi a livello europeo e internazionale per l'introduzione di una imposta sul consumo dell'acqua per finanziare progetti e interventi in ambito internazionale finalizzati a garantire a tutti l'accesso all'acqua, come potrebbe essere, per esempio, un canone a carico dei titolari di concessione di acque minerali commisurato al quantitativo annuo di acqua estratta, da destinare, per almeno il 50 per cento, ad un fondo di cooperazione allo sviluppo in materia di risorse idriche, al fine della raccolta di fondi, adottando strategie di recupero dei costi adeguate alle condizioni climatiche, ambientali, sociali e locali e contraddistinte dall'applicazione del principio «chi inquina paga», che non dovrà, però, creare barriere all'accesso dei poveri all'acqua e ai servizi sanitari;
a sostenere i programmi di lotta alla siccità e alla desertificazione, facendosi promotore di interventi a questo finalizzati, e a rafforzare la cooperazione economica;
a promuovere maggiormente la ricerca scientifica finalizzata alle previsioni ed al monitoraggio del ciclo delle acque planetario, compresi gli effetti dei cambiamenti climatici, ed alla messa a punto di sistemi informativi, che consentano la condivisione di tali dati a livello mondiale;
a prendere iniziative concrete di cooperazione con quei Paesi dove maggiore è il problema dello stato di degrado e di inquinamento degli acquiferi;
a fornire assistenza ai Paesi in via di sviluppo, nonché alle nazioni in transizione, offrendo loro gli strumenti ed il supporto necessari, coinvolgendo a tal fine donatori privati e organizzazioni della società civile;
a riavviare, tramite i propri rappresentanti presso la Banca mondiale, un nuovo processo di consultazione con la società civile, in relazione ad una nuova politica della Banca mondiale in materia di risorse idriche, secondo il principio dell'acqua come bene dell'umanità e dell'accesso all'acqua come diritto fondamentale, inalienabile, individuale e collettivo;
ad adoperarsi, insieme agli altri Paesi più sviluppati, per il reperimento delle risorse finanziarie indispensabili per raggiungere gli obiettivi per l'acqua del pianeta fissati dal vertice di Johannesburg del 2002, ossia circa 180 miliardi di dollari l'anno, più del doppio di quelli attualmente spesi nel mondo;
ad adoperarsi fattivamente per l'attuazione della dichiarazione ministeriale conclusiva del terzo forum mondiale dell'acqua di Kyoto e a farsi promotore della richiesta emersa a Firenze in occasione del primo forum alternativo mondiale dell'acqua per sottoscrivere un accordo internazionale, al fine garantire l'accesso all'acqua potabile a tutti i cittadini del mondo entro la fine del 2003;
a livello nazionale:
ad adottare iniziative volte a stanziare risorse aggiuntive rispetto a quelle già assegnate dall'articolo 141 della legge finanziaria n. 388 del 2000, per la realizzazione delle opere necessarie al recupero di risorse idriche, rafforzando così l'azione della ristrutturazione del patrimonio idrico nazionale anche per l'anno 2004 e successivi anni, mobilitando tutte le fonti possibili di finanziamento, pubbliche o private, nazionali ed internazionali, da utilizzare nella maniera più efficiente ed efficace, garantendo comunque il controllo pubblico ed il quadro normativo necessari alla salvaguardia del diritto di tutti i cittadini, con particolare attenzione ai più poveri;
a dare piena applicazione alla legge Galli, anche attraverso il rafforzamento del comitato di vigilanza in raccordo con le regioni e a potenziare sistemi di rilevamento e monitoraggio delle prestazioni, condivisione di strategie innovative, buone prassi, informazione, conoscenza ed esperienza, nonché la messa a punto di indicatori nazionali, in modo da creare un ambiente che agevoli gli investimenti individuando le priorità nelle problematiche concernenti le risorse idriche e fare in modo che si riflettano nei nostri piani nazionali di sviluppo e nelle strategie di sviluppo sostenibile, nonché nei documenti strategici di riduzione della povertà (Prsp);
ad adottare iniziative volte a sostenere e potenziare gli strumenti conoscitivi e di controllo in capo alle regioni e alle province, per la verifica delle condizioni delle risorse idriche di ciascun bacino, attraverso il coordinamento dei servizi regionali per la difesa del suolo, degli usi idrici e dei servizi agricoli;
a promuovere iniziative volte, attraverso il coinvolgimento degli enti locali, alla produzione di progetti, esperienze e idee progettuali relative all'educazione all'uso sostenibile dell'acqua ed al risparmio idrico e a predisporre semplici, ma non per questo meno importanti, interventi finalizzati al risparmio delle risorse idriche, quale potrebbe essere, per esempio, la modifica delle fontanelle e degli erogatori a flusso continuo di acqua potabile presenti nella maggior parte dei comuni italiani, dotandole di un comando manuale dell'erogazione;
ad attuare un piano per incentivare e sviluppare l'uso differenziato e il risparmio dell'acqua potabile e non potabile, soprattutto in ambito domestico, attraverso, per esempio, il riutilizzo per usi non potabili delle cosiddette «acque grigie», ossia quelle acque che vengono dal lavandino, dal risciacquo delle stoviglie, dal lavaggio dei panni e dal bagno-doccia;
ad adoperarsi per lo sviluppo e l'impiego di risorse idriche non convenzionali, promuovendo tecnologie innovative ed ecologiche, quali la desalinizzazione dell'acqua marina, il riciclaggio dell'acqua ed il recupero delle acque superficiali;
ad incoraggiare gli investimenti innovativi e strategici, la ricerca e lo sviluppo, finalizzati al graduale miglioramento della gestione dell'acqua in agricoltura, tramite mezzi quali la gestione in funzione della domanda, che implica, altresì, la gestione partecipativa dell'irrigazione, l'introduzione di colture che non necessitino di molta acqua e resistenti alla siccità, la creazione di riserve d'acqua e la diffusione di buone prassi agricole;
poiché la pesca nelle acque interne costituisce un'importante fonte d'approvvigionamento alimentare, a rivolgere particolare attenzione alla produzione ittica d'acqua dolce, intensificando gli sforzi volti al miglioramento della qualità e della quantità d'acqua dei fiumi ed alla tutela o al ripristino delle zone d'allevamento, garantendo a tal fine un approvvigionamento idrico sostenibile di buona qualità, proteggendo e utilizzando in maniera sostenibile gli ecosistemi, che naturalmente catturano, filtrano, immagazzinano e rilasciano acqua, quali fiumi, zone umide, foreste e terreni;
considerando il rapido deterioramento dei bacini imbriferi e delle foreste, a concentrare gli sforzi nella lotta alla deforestazione, alla desertificazione ed al degrado dei terreni, tramite programmi di rimboschimento, di gestione sostenibile delle foreste, di ripristino dei territori e delle zone umide degradati e di conservazione della biodiversità;
ad adottare iniziative volte a destinare risorse adeguate per assicurare il recupero di risorse idriche disponibili in aree di crisi del territorio nazionale, per il completamento di impianti e l'ammodernamento delle reti, l'incremento di efficienza della distribuzione e risanamento delle gestioni, il completamento di opere e di interconnessioni;
ad avviare una campagna capillare di sensibilizzazione al fine di contribuire a formare una maggiore consapevolezza e responsabilità di fronte al problema acqua e al suo risparmio, nella consapevolezza che buona parte dei consumi e usi idrici sono determinati dalla sommatoria dei consumi individuali, diretti e indiretti, e quindi dalle scelte di vita e di consumo di ciascuno di noi.
(1-00159)
(Ulteriore nuova formulazione) «Cima, Vernetti, Boato, Carbonella, Camo, Rocchi, Bottino, Villari, Lettieri, Loiero, Annunziata, Squeglia, Mantini, Cento, Lion, Zanella, Bulgarelli, Pecoraro Scanio, Ceremigna, Albertini, Grotto, Luigi Pepe, Mazzuca Poggiolini, Pisapia, Rodeghiero, Schmidt, Costa, Milanese, Jannone, Cicala, Sgarbi, Mazzoni, Emerenzio Barbieri, Grillo, Battaglia, Bolognesi, Sandi, Giacco, Bellini, Angioni, Tidei, Fioroni, Calzolaio, Folena, Vianello, Ruggieri».
(12 febbraio 2003)