TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 316 di Giovedì 29 maggio 2003

MOZIONI SUL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

La Camera,
premesso che:
il prezzo del caffè grezzo negli ultimi cinque anni è crollato dell'80 per cento, passando dai 550 dollari al quintale del 1997 agli attuali cento dollari, con costi di produzione superiori al costo di vendita;
la stessa sorte ha avuto il prezzo del cacao, il quale, dopo circa 15 anni nei quali il cacao grezzo ha aumentato il suo valore, nel 2000 ha toccato il suo record negativo ventennale e tale tendenza continua, creando notevoli problemi ai Paesi produttori e alle centinaia di migliaia di persone che vivono della coltivazione delle piante del cacao;
il caffè è la terza merce scambiata nel mondo dopo petrolio e acciaio, con una sua organizzazione, l'Organizzazione internazionale del caffè (Oic) ed una borsa internazionale;
questo crollo è dovuto ad un forte aumento della produzione, con l'aggiunta di un nuovo Paese produttore (il Vietnam), e ad un consumo dal basso tasso di crescita;
oggi il 40 per cento del mercato mondiale del caffè è nelle mani di quattro grandi multinazionali: la Procter & Gamble, la Philip Morris, la Kraft e la Nestlè;
questa grande concentrazione, secondo i dati della Banca mondiale, è una delle cause che ha fatto scendere il costo del chicco grezzo dell'80 per cento, lasciando nelle mani dei coltivatori solo il 7 per cento del prezzo finale di un etto di caffè lavorato;
la coltivazione del caffè è una risorsa fondamentale per numerosi Paesi, dall'America latina al sud-est asiatico, ed occupa oltre cinquanta milioni di lavoratori e milioni di imprese agricole, prevalentemente di piccole e medie dimensioni;
il totale della produzione mondiale, secondo i dati del 2001, è stata di 110 milioni di sacchi, 60 chili l'uno, con un consumo totale di 102 milioni di sacchi;
a seguito di questa crisi, le organizzazioni umanitarie prevedono che, solo nel centro America, circa un milione e mezzo saranno le persone ridotte alla fame;
negli ultimi anni il commercio equo e solidale si è rilevato uno dei modi più efficaci per promuovere lo sviluppo;
la Carta europea dei criteri del commercio equo e solidale recita: «Il commercio equo e solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l'ambiente, attraverso il commercio, l'educazione e l'azione politica. Il suo scopo è riequilibrare i rapporti con i Paesi economicamente meno sviluppati, migliorando l'accesso al mercato e le condizioni di vita dei produttori svantaggiati, attraverso una più equa distribuzione dei guadagni. Il commercio equo e solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: produttori, lavoratori, «Botteghe del mondo», importatori e consumatori. Il commercio equo e solidale:
a) promuove migliori condizioni di vita nei Paesi economicamente meno sviluppati, rimuovendo gli svantaggi sofferti dai produttori per facilitarne l'accesso al mercato;
b) tramite la vendita di prodotti, divulga informazioni sui meccanismi economici di sfruttamento, favorendo e stimolando nei consumatori la crescita di un atteggiamento alternativo al modello economico dominante e la ricerca di nuovi modelli di sviluppo;
c) organizza rapporti commerciali e di lavoro senza fini di lucro e nel rispetto e valorizzazione delle persone;
d) promuove i diritti umani, in particolare dei gruppi e delle categorie svantaggiate;
e) mira alla creazione di opportunità di lavoro a condizioni giuste, tanto nei Paesi economicamente svantaggiati come in quelli economicamente sviluppati;
f) favorisce l'incontro fra consumatori critici e produttori dei Paesi economicamente meno sviluppati;
g) sostiene l'autosviluppo economico e sociale;
h) stimola le istituzioni nazionali ed internazionali a compiere scelte economiche e commerciali a difesa dei piccoli produttori, della stabilità economica e della tutela ambientale;
i) promuove un uso equo e sostenibile delle risorse ambientali«;
nella carta italiana i criteri del commercio equo e solidale, sottoscritta dalla maggior parte delle Botteghe del mondo e degli importatori del commercio equo italiani, sono accolti questi stessi principi;
l'esperienza del commercio equo e solidale si è rilevato un importante strumento per favorire lo sviluppo dell'uomo e per promuovere regole internazionali in materia economica e commerciale ispirate a maggiore giustizia ed equità tra nord e sud del mondo;
il principale obiettivo del commercio equo e solidale, a breve termine, è fornire maggiori opportunità ai piccoli produttori e ai lavoratori dei Paesi in via di sviluppo e, in tal modo, apportare un contributo alla promozione di uno sviluppo sociale ed economico durevole per le loro popolazioni;
a più lungo termine, il commercio equo e solidale mira a orientare il sistema commerciale internazionale in un senso più equo, istituendo un esempio ed esercitando pressioni su Governi, organizzazioni internazionali e imprese, affinché ne riconoscano e adottino le componenti principali;
il commercio equo e solidale opera in senso positivo sulla sensibilizzazione globale in merito alle relazioni nord-sud, soprattutto attraverso il rafforzamento della cooperazione da cittadino a cittadino;
il commercio equo e solidale garantisce ai produttori un rapporto continuativo ed un «prezzo equo», cioè che copre i costi di produzione, di esportazione, di importazione e di distribuzione ed anche le necessità primarie del produttore. Il «prezzo equo» in alcuni casi è determinato sulla base degli standard internazionalmente riconosciuti, come ad esempio il prezzo equo minimo per il caffè, che si basa su quei 120 dollari per 100 libre fissati come prezzo minimo negli accordi internazionali, in altri le organizzazioni del commercio equo e i produttori stabiliscono di comune accordo il «prezzo equo», sulla base del costo delle materie prime, del costo del lavoro locale, della retribuzione dignitosa e regolare contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Il «prezzo equo» viene mantenuto anche nei casi in cui crolli il prezzo, garantendo comunque al produttore, grazie all'eliminazione di tutte quelle intermediazioni speculative dalla filiera produttiva e distributiva, un sicuro guadagno;
in Europa sono nati diversi marchi di garanzia nazionali per la necessità di inserire i prodotti equo e solidali anche in canali distributivi tradizionali nazionali: il primo di essi, Max Havelaar, è stato fondato nel 1986 in Belgio, per poi diffondersi in Francia, Svizzera, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia; di seguito, sono nati TransFair International in Germania, Austria, Lussemburgo, Giappone, Stati Uniti, Canada e Italia; in Inghilterra il marchio di garanzia porta il nome di Fair Trade Foundation e in Irlanda di Irish Fair Trade Network;
in Italia, dopo la nascita del marchio di garanzia TransFair, gestito dall'associazione TransFair Italia, associazione senza scopo di lucro costituita da organizzazioni che operano nel campo della solidarietà, della cooperazione internazionale, dell'educazione allo sviluppo e aderente a FLO (Fair Trade Label Organization), nel 1994, per i prodotti del commercio equo e solidale, prima presenti in Italia solo nelle Botteghe del mondo (circa 200 punti vendita nel 1995) e in alcuni canali di piccolo dettaglio, è iniziata la diffusione in mercati più ampi e, in particolare, in alcune catene della grande distribuzione organizzata;
secondo i dati provenienti da varie agenzie di ricerca, i prodotti equi e solidali sono disponibili in circa il 35 per cento della distribuzione italiana;
dai dati relativi all'anno 2000, tratti da «Fair Trade in Europe 2001», risulta che in Italia le Botteghe del mondo - organizzazioni no profit che vendono prodotti equi e solidali - sono 374, in Europa 2.740 in 18 Paesi. I supermarket che vendono prodotti del commercio equo e solidale sono 2.620 in Italia, 43.100 in 18 Paesi europei; gli importatori sono 7, con l'esclusione delle Botteghe che importano direttamente in Italia, 97 in 18 Paesi europei; i volontari sono 1.500 in Italia, 96.000 in 18 Paesi europei, con un fatturato stimato superiore ai 16.100.000 euro in Italia, 369.000.000 euro in Europa;
numerosi comuni italiani hanno emanato specifiche delibere per favorire l'uso di prodotti equi e garantiti nelle manifestazioni pubbliche;
le regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Veneto e Umbria hanno emanato apposite leggi regionali per la promozione e lo sviluppo del commercio equo e solidale;
il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione l'8 ottobre 1991 sul sostegno attivo ai piccoli coltivatori di caffè del terzo mondo, mediante una politica mirata di approvvigionamento e di introduzione di tale prodotto di provenienza del commercio equo e solidale nelle istituzioni comunitarie;
il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla promozione del commercio equo e solidale fra nord e sud, la n. A3-0373/93 del 19 gennaio 1994;
nel 1998 è stata approvata dal Parlamento europeo la risoluzione n. 198/98 sul commercio equo e solidale, nella quale, tra l'altro, si chiede alla Commissione europea:
«a) di fare in modo che il sostegno al commercio equo e solidale diventi elemento integrante della politica estera di cooperazione allo sviluppo e commerciale dell'Unione europea, compreso lo sviluppo di codici di condotta per le società multinazionali operanti nei Paesi in via di sviluppo e, in particolare, di garantire un adeguato coordinamento tra le direzioni e i servizi competenti, nonché di istituire le necessarie strutture amministrative per metterlo in pratica.
b) che la promozione del commercio equo e solidale sia inserita come strumento di sviluppo nella conclusione di un nuovo accordo con i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Acp)»;
la comunicazione della Commissione europea al Consiglio sul commercio equo e solidale del 1999 recita: «Va rilevato che, se il commercio equo e solidale può essere considerato come una forma di "commercio leale", di solito il termine viene utilizzato per designare pratiche commerciali non solo moralmente corrette, ma specificamente intese a rafforzare la posizione economica dei piccoli produttori, che, altrimenti, rischiano di trovarsi marginalizzati dai flussi di scambio convenzionali. Si parla più propriamente di "commercio leale" o di "pratiche commerciali moralmente corrette" in riferimento alle attività delle società multinazionali operanti nei Paesi in via di sviluppo (per esempio codici di condotta), intese a dimostrare le loro responsabilità etiche e sociali nei confronti dei dipendenti o dei soci»;
la citata comunicazione della Commissione al Consiglio del 1999 ha definito al punto due che la pratica del commercio equo e solidale favorisce particolarmente i piccoli produttori, soprattutto agricoltori e artigiani, i quali spesso vivono in regioni rurali periferiche e non producono in quantità sufficiente per esportare direttamente, cosicché dipendono da intermediari, sia per la vendita dei prodotti che per l'assunzione di credito. Alcuni di essi hanno cercato di ridurre tale dipendenza associandosi in cooperative e mettendo in comune risorse, attrezzature e competenze tecniche e, talvolta, anche servizi collettivi, come la sanità e l'istruzione;
le organizzazioni commerciali alternative possono dare una spinta decisiva allo sviluppo di queste cooperative, con il pagamento di un prezzo equo e con la prestazione di assistenza di vario tipo, dall'acquisto di un fax alla consulenza in materia di esportazioni;
tra le iniziative di questo genere possono rientrare il pagamento di anticipi ai produttori e l'instaurazione di rapporti contrattuali che offrano a questi ultimi una sicurezza a lungo termine. In questo modo viene garantita la stabilità dei redditi, facilitando la pianificazione e l'investimento, e i produttori possono esercitare un maggiore controllo sulla trasformazione e commercializzazione dei loro prodotti. Una parte del reddito può essere persino utilizzata per accrescere la capacità, per esempio in vista della costituzione di organizzazioni di produttori o per l'allestimento di strutture che permettano di aggiungere valore, come la trasformazione del caffè;
va sottolineato che i profitti ricavati dal commercio equo e solidale vanno a beneficio di un'intera comunità e non di singoli individui;
il concetto di commercio equo e solidale si applica principalmente agli scambi tra Paesi in via di sviluppo e Paesi economicamente avanzati. Esso non incide direttamente sui beni prodotti all'interno dell'Unione europea, dove le norme sociali ed ambientali sono già sancite dalla legge;
le azioni in materia di commercio equo e solidale sorgono per iniziativa di organizzazioni non governative private. Esse si basano su un sistema di incentivi, nel senso che poggiano sulla scelta dei consumatori e non cercano di manovrare il commercio o di erigere barriere per impedire l'accesso al mercato di taluni Paesi. Il consumatore ha così la possibilità di elevare il tenore di vita dei produttori nei Paesi in via di sviluppo, grazie ad un approccio sostenibile ed orientato verso il mercato;
la Commissione europea, nella comunicazione n. 366 del 2002, «Promoting an European framework for Corporate Social Responsibility», nel paragrafo 3.4, «Social and eco-labels», e nella comunicazione n. 416 del 2002, «Promoting Core Labour Standards and Improvingt Social Governance in the Context of Globalisation», paragrafo 5.3, «Private and voluntary schemes for the promotion of core labour standards: Social labelling and industry codes of conduct», sostiene la necessità di sistemi chiari di certificazione sociale e definisce, tuttavia, l'esperienza dei marchi di garanzia di commercio equo e solidale come una delle esperienze più avanzate di certificazione sociale;
i prodotti attualmente venduti nell'Unione europea, attraverso le varie iniziative di commercio equo e solidale, sono principalmente caffè, manufatti artigianali, tè, cioccolato, frutta secca, miele, zucchero, banane ed altri, tra i quali recano attualmente il marchio di garanzia di commercio equo e solidale: caffè, cacao, banane, zucchero, miele, tè, succhi, riso, fiori e palloni. Secondo le stime, il fatturato nell'Unione europea si aggirava intorno a 175 milioni di euro nel 1994 e tra i 200 e i 250 milioni di euro nel 1997;
di questo fatturato globale, il 60 per cento circa è costituito da prodotti alimentari, di cui il caffè rappresenta a sua volta la metà. Tuttavia, il caffè equo e solidale rappresenta appena il 2 per cento di tutto il caffè commercializzato nell'Unione europea;
nell'insieme, l'11 per cento della popolazione dell'Unione europea ha già acquistato prodotti equi e solidali, con ampie variazioni da un Paese all'altro, che vanno dal 3 per cento in Portogallo e Grecia al 49 per cento dei Paesi Bassi;
la libera imprenditoria, la produzione e la vendita del caffè sono minacciate dalla concentrazione in poche mani del controllo del mercato mondiale, che delocalizza la grande produzione verso aree nuove a più basso costo salariale e sociale, determinando bassissimi costi alla produzione, a cui, peraltro, non corrispondono poi investimenti di sviluppo o diminuzioni di prezzo al dettaglio. È un sistema di globalizzazione selvaggio, che, di fatto, nega qualsiasi libertà di mercato e di concorrenza leale, depredando il territorio e sfruttando le manodopere locali con forme di lavoro e di remunerazione spesso simili alla schiavitù;

impegna il Governo:

ad introdurre, a pieno titolo, il sostegno al commercio equo e solidale come elemento integrante della politica estera di cooperazione allo sviluppo e commerciale dell'Italia nei confronti dei Paesi in via di sviluppo;
ad incentivare i comportamenti etici dei singoli cittadini, delle famiglie e delle imprese, anche in occasione del prossimo disegno di legge finanziaria, attraverso una defiscalizzazione di una parte dei loro consumi eticamente indirizzati all'acquisto di prodotti della rete equo-solidale;
ad introdurre, a pieno titolo, il sostegno ai prodotti del commercio equo e solidale garantiti secondo gli standard delle organizzazioni esterne di certificazione del Fair Trade, come le organizzazioni associate in Fairtrade Labelling Organisations, ed inoltre a sostenere, allo stesso modo, i prodotti importati e commercializzati secondo i criteri stabiliti dalla carta italiana dei criteri del commercio equo e solidale immessi sul mercato italiano da importatori e Botteghe del mondo, che l'hanno sottoscritta;
a mettere in atto misure di sostegno fiscale in favore delle organizzazioni di commercio equo e solidale, al fine di far crescere, anche in Italia, come già presente nel resto d'Europa, questa importante esperienza;
a promuovere, attraverso apposite campagne informative televisive, radiofoniche e sulla carta stampata, le esperienze di commercio equo e solidale come strumento di lotta alla povertà, al fine di sensibilizzare i cittadini italiani;
a favorire la presenza nelle scuole di programmi di educazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale, contrasto alla povertà e lotta alla fame, per una maggiore conoscenza delle risorse naturali e per un loro uso consapevole.
(1-00110) «Fioroni, Lucà, Bindi, Bolognesi, Castagnetti, Violante, Boato, Giordano, Rizzo, Intini, Pecoraro Scanio, Abbondanzieri, Annunziata, Bandoli, Banti, Battaglia, Bettini, Giovanni Bianchi, Bimbi, Bottino, Bressa, Bulgarelli, Camo, Carra, Cento, Ciani, Maura Cossutta, Cusumano, Delbono, Detomas, Duilio, Fanfani, Franceschini, Frigato, Gentiloni Silveri, Giacco, Grillini, Iannuzzi, Labate, Ladu, Santino Adamo Loddo, Loiero, Lucidi, Maccanico, Mancini, Mantini, Mantovani, Marcora, Raffaella Mariani, Mattarella, Mazzuca Poggiolini, Meduri, Merlo, Monaco, Mosella, Olivieri, Parisi, Pistone, Realacci, Reduzzi, Rocchi, Rusconi, Ruzzante, Soro, Stradiotto, Tanoni, Valpiana, Villetti, Volpini, Zanella, Zanotti, Kessler, Pinotti, Cima, Bellini».
(25 settembre 2002)

La Camera,
premesso che:
il commercio equo e solidale si pone come approccio parallelo al commercio tradizionale e con lo scopo di promuovere la giustizia sociale economica e lo sviluppo sostenibile;
tale commercio si propone di garantire ai prodotti dei Paesi in via di sviluppo il «giusto guadagno» e condizioni di lavoro dignitose, attraverso il sostegno ai progetti di autosviluppo;
il commercio equo e solidale si inserisce nel più vasto ambito della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo (Pvs);
la crisi dei prodotti di base dei Paesi in via di sviluppo ha una molteplicità di ragioni;
si pone la necessità da un lato di promuovere il miglioramento della qualità dei prodotti, dall'altro di favorire, anche attraverso specifici progetti, la diversificazione produttiva per evitare la dipendenza delle loro economie da una monocultura predominante;
la crisi colpisce in misura maggiore le economie dei Paesi meno avanzati (Pma), un gruppo di 49 Stati particolarmente afflitti da difficili condizioni economiche;
il Governo italiano svolge un ruolo attivo nelle situazioni di emergenza economica che coinvolgono tali Paesi;
l'Italia partecipa attivamente anche con proprie risorse finanziarie alle varie iniziative e ai progetti in ambito internazionale Unctad, Omc, Itc, Fmi, organizzazioni settoriali dei prodotti di base ed altri, nonché ai progetti e alle politiche comunitarie aventi lo scopo di aiutare i Paesi in via di sviluppo a sviluppare la loro capacità ad integrarsi meglio nell'economia globale;
l'Italia, inoltre, sensibilizza il settore privato a partecipare alle iniziative per creare infrastrutture e imprese in loco, che possano creare lavoro ed aiutare le economie di questi Paesi ad una maggiore capacità produttiva e gestionale delle proprie risorse;
già nel 1998, il Parlamento europeo ha riconosciuto il commercio equo e solidale in termini politici ed economici, chiedendo l'elaborazione di criteri comuni, di un marchio unico e riconoscibile;
la recente legge delega per la riforma del sistema fiscale statale del 7 aprile 2003, n. 80, di iniziativa governativa, ha già previsto (articolo 5), sulla base dello standard comunitario, che la riforma dell'Iva sia, tra l'altro, ispirata ad «escludere dalla base imponibile dell'imposta del valore aggiunto e da ogni altra forma di imposizione a carico del soggetto passivo la quota del corrispettivo destinato dal consumatore finale a finalità etiche»;
condividendo gli sforzi che il Governo sta effettuando per l'attuazione della delega fiscale;

impegna il Governo:

a proseguire nella politica assunta, ispirata da finalità etiche.
(1-00211) «Raisi, Saglia, Mazzocchi, Arrighi, Airaghi, Gamba, Messa, Zaccheo, Garnero Santanché, Trantino, Gallo, Giorgio Conte, Strano».
(26 maggio 2003)

La Camera,
premesso che:
il commercio equo e solidale è un'attività che coinvolge più soggetti e si attua attraverso una rete mondiale complessa ed articolata;
i principali soggetti coinvolti nel commercio equo e solidale sono «Flo», l'ente di certificazione che rilascia il marchio di garanzia dei prodotti, la rete delle Botteghe del mondo e l'Ifat, l'associazione mondiale delle organizzazioni ATOs (Alternative trade organization), cioè le organizzazioni no profit, il cui lavoro consiste nel comprare prodotti (agricoli o artigianali) da piccoli produttori nelle economie più povere, pagando un prezzo che consente loro di condurre una vita dignitosa;
il commercio equo e solidale non si esaurisce nell'attività di scambio commerciale, ma contempla anche l'informazione al consumatore riguardo i produttori e i loro prodotti per mezzo di pamphlets illustrativi, che accompagnano i prodotti venduti, presentazioni con diapositive, manifestazioni, riviste, convegni e corsi di aggiornamento; inoltre, si offre anche assistenza ai produttori e addestramento professionale nello sviluppo del prodotto (o meglio del prodotto-progetto), migliorandone il marketing, nonché l'affidabilità, e facendo in modo che essi condividano la specializzazione e l'esperienza acquisite fra di loro;
nel nostro Paese esistono circa 270 botteghe di commercio equo e solidale, ma i prodotti sono venduti anche da negozi commerciali e supermercati (Coop, Esselunga);
nel nostro Paese il commercio equo e solidale è particolarmente diffuso nelle regioni settentrionali: la maggior parte degli acquisti viene fatta in Lombardia (30 per cento) e Veneto (15 per cento), ma significativi sono anche i volumi delle vendite di Trentino Alto Adige, Piemonte ed Emilia Romagna;
il commercio equo e solidale è uno strumento valido di sviluppo, perché sostiene e favorisce l'iniziativa locale nei Paesi più poveri, aiutandoli a conservare le proprie tradizioni economiche e sociali valorizzandole, eliminando alcune cause di disagio che spesso portano all'abbandono della propria terra;
il commercio equo e solidale fa leva sulla consapevolezza e la scelta critica del consumatore finale, che decide talvolta di pagare un prezzo maggiore per determinati prodotti, sia per la loro qualità che per il loro valore etico;
l'attuale Governo ha già assunto orientamenti a favore del consumo consapevole e dello sviluppo dei Paesi in ritardo, prevedendo, tra l'altro, nella legge delega per la riforma del sistema fiscale n. 80 del 2003 che la riforma dell'Iva sia, tra l'altro, ispirata ad «escludere dalla base imponibile (..) e da ogni altra forma di imposizione a carico del soggetto passivo la quota del corrispettivo destinato dal consumatore a finalità etiche»;

impegna il Governo:

a sviluppare strumenti di monitoraggio sull'attività di coloro che operano nell'ambito del commercio equo e solidale e nel rilascio del relativo marchio, al fine di offrire un'ulteriore garanzia al consumatore finale;
a studiare, in sede di conferenza Stato - regioni, metodi coordinati di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla natura e sui fini del commercio equo e solidale, come strumento di lotta alla povertà, e a promuovere un'armonizzazione nelle normative e nella pianificazione commerciale in materia di sostegno ed incentivazione alla diffusione del commercio equo e solidale;
a valutare l'opportunità di mettere a punto un aggiornamento della normativa in materia di cooperazione allo sviluppo, che comprenda anche il commercio equo e solidale.
(1-00213) «Cè, Dario Galli, Polledri, Martinelli».
(27 maggio 2003).


INTERPELLANZE URGENTI

A)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere - premesso che:
in data 12 febbraio 2003, la IX Commissione (trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati ha approvato all'unanimità la risoluzione n. 7-00194, avente per oggetto «Tariffe postali agevolate per partiti ed organizzazioni sindacali», che impegna il Governo a ripristinare, con decorrenza 1o gennaio 2003, le tariffe agevolate per la spedizione postale delle comunicazioni di partiti ed organizzazioni sindacali, con le stesse modalità in vigore nel 2002;
ad oggi, non risultano iniziative del Governo per dare attuazione a quanto deciso dal Parlamento;
le spedizioni dei materiali politici da parte di partiti e organizzazioni sindacali risultano del tutto bloccate, come quelle di molte associazioni no profit, anch'esse escluse dalle agevolazioni;
questo comportamento discriminatorio sembra configurare una volontà dell'Esecutivo di ostacolare la libera circolazione dell'informazione nel Paese, cosa particolarmente grave anche in relazione alle scadenze elettorali previste a breve -:
sottolineando la grande urgenza di un'attivazione positiva di quanto deciso dal Parlamento, quando intenda adottare il provvedimento che ripristina, con decorrenza dal 1o gennaio 2003, le tariffe agevolate per la spedizione postale delle comunicazioni di partiti e organizzazioni sindacali.
(2-00741) «Panattoni, Duca, Di Gioia, Grignaffini, Battaglia, Bressa, Buffo, Cabras, Calzolaio, Carboni, Carli, Chianale, Mauro, Ciani, Cima, Crucianelli, Dameri, De Brasi, Di Serio D'Antona, Franceschini, Franci, Fumagalli, Gasperoni, Giacco, Giachetti, Grandi, Innocenti, Lumia, Lusetti, Raffaella Mariani, Melandri, Merlo, Minniti, Montecchi, Mussi, Olivieri, Ottone, Pennacchi, Petrella, Piglionica, Pinotti, Ranieri, Rava, Realacci, Rognoni, Rotundo, Rugghia, Russo Spena, Ruzzante, Soda, Tuccillo, Vianello, Vigni, Zanotti, Sandi».
(7 maggio 2003)

B)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, per sapere - premesso che:
negli ultimi giorni si è riproposto con intensa gravità il problema della gestione dei rifiuti nella regione Campania;
in relazione ai «roghi di immondizia» verificatisi a Napoli e provincia nelle ultime settimane, il Presidente della regione Campania, Antonio Bassolino, ha parlato chiaramente di episodi camorristici;
in un'analoga situazione di emergenza, veriticatasi nel primo trimestre 2001, la regione Emilia Romagna aveva contribuito a smaltire parte dei rifiuti campani, conferendo agli impianti di Forlì, Bologna e Modena, rispettivamente 10.000 tonnellate, 12.000 tonnellate e 20.000 tonnellate al giorno;
a supporto dello stato di emergenza, l'assessore regionale aveva allora ricordato che la regione Campania era in procinto di allestire nuovi impianti;
dal rapporto annuale gestione rifiuti 2002, a cura dell'osservatorio nazionale sui rifiuti (presso il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio), emerge che, in base al piano di smaltimento dei rifiuti elaborato dal commissario straordinario del Governo il 31 dicembre 1996, poi aggiornato in seguito all'emanazione del decreto legislativo n. 22 del 1997, si prevedeva: un obiettivo di raccolta differenziata del 35 per cento dei rifiuti urbani prodotti nella regione, la realizzazione di 7 impianti per la produzione del combustibile derivato dai rifiuti (Cdr), nonché la realizzazione di impianti di termodistruzione in 5 dei 6 ambiti territoriali ottimali di smaltimento (Atos) in cui è suddiviso il territorio regionale campano;
sempre in base al suddetto rapporto, si evidenzia come, a fronte di una produzione pressoché stabile di rifiuti, le discariche siano scese da 85 a 62, gli impianti per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti in funzione siano rimasti 4 (dal momento che i tre restanti impianti sarebbero in fase di ultimazione), mentre nessuna indicazione è fornita in relazione agli impianti di termodistruzione;
la raccolta differenziata ha avuto nelle province campane un andamento altalenante (tranne la provincia di Napoli, fissa all'1 per cento, con una media regionale dell'1,8 per cento all'anno, aggiornata al 2000);
le deficienze politico-amministrative mostrate dalle autorità locali nella gestione e risoluzione dell'emergenza rifiuti della regione Campania, per di più alimentate dalla protesta dei cittadini campani, non possono periodicamente gravare su altre regioni;
la pianificazione deve essere, per tutti, lo strumento principale per una gestione dei rifiuti che sia partecipata, consapevole e sempre più tendente alla diminuzione dei rifiuti, al fine di incrementarne il riciclo;
la situazione dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania continua ad essere grave e confusa -:
se il Governo sia a conoscenza dei motivi che non hanno consentito negli anni passati di affrontare in maniera definitiva il problema dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e se risulti al Governo che il reiterarsi delle situazioni di emergenza ed i relativi casi di cronaca siano collegati alla presenza delle attività e degli interessi della criminalità organizzata.
(2-00754) «Polledri, Bertolini, Bianchi Clerici, Bricolo, Di Teodoro, Didonè, Ercole, Fontanini, Fratta Pasini, Daniele Galli, Dario Galli, Galvagno, Garagnani, Gastaldi, Gibelli, Lainati, Leccisi, Lussana, Martinelli, Francesca Martini, Moretti, Pagliarini, Palma, Parolo, Rizzi, Rodeghiero, Guido Giuseppe Rossi, Sergio Rossi, Saponara, Scherini, Stucchi, Vascon, Alfredo Vito, Zanetta, Butti, Riccardo Conti, Cozzi, Foti, Gamba».
(13 maggio 2003)

C)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, per sapere - premesso che:
in data 31 ottobre 2001, è stata stipulata una transazione tra Stato e Montedison spa «a tacitazione della pretesa risarcitoria del danno ambientale ai sensi dell'articolo 18 della legge 349/1986»;
per raggiungere tale finalità, Montedison assumeva «irrevocabilmente, incondizionatamente e irrepetibilmente nei confronti dello Stato l'obbligo di mettere a disposizione...» 525 miliardi di vecchie lire, al fine di realizzare dieci interventi «sulla base della più precisa descrizione contenuta nelle allegate schede degli interventi a Venezia-Porto Marghera e nella relativa relazione illustrativa redatte dal magistrato alle acque-Consorzio Venezia Nuova concessionario»;
tali interventi permetterebbero di mettere in sicurezza aree pesantemente inquinate di Porto Marghera, impedendo lo sversamento nella laguna di Venezia di materie tossiche e nocive e permettendo, inoltre, la rimozione dal fondo dei canali di fanghi pesantemente inquinati;
tale somma è stata imputata al ministero dell'ambiente e della tutela del territorio attraverso la legge finanziaria per l'anno 2002;
la transazione prevede che: «è data facoltà all'amministrazione statale di imputare in tutto o in parte tale somma all'eventuale maggiore costo degli interventi in precedenza elencati» e che «la medesima somma potrà incrementarsi delle eventuali differenze tra gli importi massimi di ciascun intervento e i minimi costi effettivamente sostenuti per la loro esecuzione ovvero per la mancata esecuzione di alcuni degli interventi elencati dal presente articolo»;
la modalità di liquidazione della somma era così definita: «Montedison spa si obbliga ad accreditare di volta in volta...entro il termine improrogabile di 20 giorni dalla richiesta conseguente alla definitiva approvazione di ogni singolo progetto esecutivo relativo a ciascun intervento o anche solo ad ogni singolo stralcio di esso, tutto l'importo necessario al finanziamento dell'intervento cui si riferisca il progetto esecutivo approvato o il relativo stralcio, al fine di consentire al magistrato alle acque di Venezia di procedere all'affidamento delle opere in concessione o con gare d'appalto...»;
conseguentemente alla stipula di tale transazione, il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ritirarono la costituzione in parte civile nei confronti della Montedison al processo per i danni ambientali alla laguna di Venezia, nonché a danno nei confronti degli operai e dei cittadini di Marghera, causati dalle attività industriali del Petrolchimico -:
quali opere, tra le dieci indicate dall'accordo tra lo Stato e la Montedison, siano state progettate e/o eseguite fino ad ora;
conseguentemente, quali cifre la Montedison abbia provveduto a versare allo Stato in ottemperanza a quanto previsto dall'accordo in oggetto.
(2-00768) «Vianello, Agostini, Albonetti, Bandoli, Benvenuto, Bogi, Burlando, Carboni, Carli, Chianale, Crisci, Dameri, De Brasi, Di Serio D'Antona, Fluvi, Gambini, Giulietti, Leoni, Lucà, Lulli, Luongo, Magnolfi, Mariotti, Marone, Mazzarello, Nigra, Oliverio, Raffaldini, Sabattini, Susini, Zunino, Abbondanzieri, Cazzaro, Duca, Fumagalli, Giacco, Grandi, Grignaffini, Innocenti, Lumia, Martella, Panattoni, Piglionica, Rognoni, Rotundo, Ruzzante, Vigni, Zanotti».
(27 maggio 2003)

D)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
con nota n. 36443 del 7 marzo 2001 indirizzata al Ministro della giustizia, l'agenzia delle entrate - direzione centrale normativa e contenzioso - ha precisato che gli emolumenti corrisposti dallo Stato per l'attività esercitata dai consulenti, periti, custodi ed interpreti nominati dal pubblico ministero e dal giudice nei procedimenti penali deve essere inquadrata tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui alla lettera f) del comma 1 dell'articolo 47 del testo unico delle imposte sui redditi;
a seguito della citata nota, il ministero della giustizia diramava la circolare n. 7 del 14 novembre 2002, con la quale, in linea con quanto comunicato dal ministero dell'economia e finanze, si specificava che sui suddetti redditi gli uffici dovevano operare la relativa ritenuta Irpef, senza l'applicazione dell'Iva;
tale disposizione ha sollevato nella sua interpretazione ed applicazione notevoli dubbi e perplessità da parte delle amministrazioni interessate, suscitando le vibrate proteste delle categorie professionali coinvolte e bloccando di fatto, con gravi ed immaginabili conseguenze, le nomine e l'attività di liquidazione delle parcelle di tutti i consulenti professionisti, i quali, per legge, sono tenuti all'emissione della fattura ed al conseguente addebito dell'Iva;
la materia è oggetto di molteplici richieste di chiarimenti formulate all'amministrazione finanziaria da vari uffici giudiziari, vedasi per tutte quella della procura della Repubblica di Pistoia, dai diversi ordini professionali interessati, nonché argomento di autorevoli commenti critici apparsi su quotidiani specializzati (vedasi Italia Oggi del 13 marzo 2003 e Il Sole 24 ore dell'11 marzo 2003), in cui viene sottolineata, tra l'altro, «non solo l'inadeguatezza dell'interpretazione ministeriale, ma anche l'evidente inapplicabilità, atteso l'aperto contrasto con leggi vigenti e principi costituzionali» -:
se non ritenga di dover fornire con urgenza i necessari ed esaustivi chiarimenti del caso, da più parte sollecitati, al fine di una corretta applicazione della normativa in questione.
(2-00709) «Annunziata, Franceschini, Lusetti, Papini, Pinza, Fistarol, Micheli, Santagata, Acquarone, Banti, Gerardo Bianco, Bottino, Delbono, Fusillo, Letta, Bressa, Cardinale, De Mita, Santino Adamo Loddo, Tonino Loddo, Merlo, Morgando, Mosella, Maccanico, Pasetto, Piscitello, Ruggeri, Rusconi, Sinisi, Fanfani, Squeglia, Tanoni, Lettieri».
(8 aprile 2003)

E)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
le istituzioni scolastiche non statali versano in una situazione di gravissimo disagio e precarietà, dovuta al fatto che dall'anno 2001 non percepiscono finanziamenti loro dovuti e regolarmente iscritti in bilancio;
in conseguenza di tale stato di cose, molte istituzioni scolastiche sono sull'orlo della chiusura e stanno per dismettere la loro attività;
risulterebbe che rimangono da assegnare alle scuole dell'infanzia circa settanta milioni di euro riferiti all'anno 2001, circa 400 milioni di euro relativi al 2002, mentre per l'anno 2003 l'importo da assegnare sarebbe di oltre 520 milioni di euro -:
quali provvedimenti urgenti e risolutori intenda adottare per rimuovere il gravissimo inconveniente che sta minacciando moltissimi istituti non statali.
(2-00767) «Volontè, Ranieli, Dorina Bianchi».
(27 maggio 2003)

F)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
la legge 23 dicembre 1998, n. 448, articolo 26, commi 8, 9 e 10, prevede che, in aggiunta al contingente di 500 unità di dirigenti scolastici e personale docente da assegnare all'amministrazione scolastica centrale e periferica per lo svolgimento di compiti connessi con l'attuazione dell'autonomia scolastica, due ulteriori contingenti di dirigenti scolastici e personale docente, compreso il personale educativo, nel limite massimo di cento unità ciascuno, possano essere rispettivamente assegnati:
a) agli enti e alle associazioni che svolgono attività di prevenzione del disagio psico-sociale, assistenza, cura, riabilitazione e reinserimento di tossicodipendenti;
b) alle associazioni professionali dei dirigenti scolastici e del personale docente, agli enti cooperativi da esse promossi, nonché agli enti e alle istituzioni che svolgono, per loro finalità istituzionale, impegni nel campo della formazione e della ricerca educativa e didattica -:
quale sia l'elenco dei suddetti dipendenti scolastici, assegnati per l'anno scolastico 2002-2003 ad enti, associazioni ed enti cooperativi sopra indicati, segnalando per ogni dipendente l'ente o l'associazione destinatarie;
se ci siano stati criteri di valutazione, per ogni ente o associazione, della rappresentatività e della presenza a livello nazionale (numero di sedi provinciali, di iniziative culturali, di seminari, di attività di comunicazione multimediale);
se le utilizzazioni siano state attribuite in base a tale valutazione o se si sia seguita una logica puramente distributiva.
(2-00757) «Violante, Carra, Bellillo, Villetti, Cento, Titti De Simone, Sasso, Capitelli, Grignaffini, Gentiloni Silveri, Maura Cossutta».
(15 maggio 2003)

G)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere - premesso che:
l'anno 2003 è stato dichiarato «Anno europeo del disabile»;
la qualità delle terapie riabilitative offerte dal Irs-ospedale di Malcesine (Verona) attira disabili, particolarmente a causa di polio, provenienti da tutte le regioni del Paese;
la regione Veneto ha disposto, entro il 30 giugno 2004, la chiusura dell'ospedale, nel quale esiste appunto un centro specializzato per il recupero dei poliomielitici, unico in Italia per il suo livello qualitativo, per la professionalità di eccellenza delle sue equipe e per la continuità dell'esperienza in tal senso;
tale struttura assolve, inoltre, ad una funzione essenziale di risposta alla domanda di cure in fase acuta, mediante pronto soccorso, servizi di fase diagnosi e cura ed ambulatoriali, per un territorio che non dispone di altre strutture ospedaliere;
trattasi di territorio interessato da intensa attività turistica e, pertanto, l'ospedale di Malcesine assolve alla funzione di rispondere al fabbisogno espresso dalla specificità del territorio, accanto alla funzione specializzata affermatasi nel tempo con l'impegno professionale di medici e tecnici specializzati in ortopedia e riabilitazione;
tra l'altro, tale ospedale rappresenta un esempio di efficienza e buona sanità, avendo nel tempo registrato un bilancio costantemente in attivo;
le persone in riabilitazione, assieme ai loro familiari, stanno protestando da tempo per la decisione della regione e, a partire dall'attività della «Associazione interregionale disabili motori», stanno raccogliendo le firme per presentare una petizione al Governo, non avendo avuto dalla regione nessuna assicurazione sulla continuità dell'esperienza;
nonostante le sollecitazioni a sostegno dei disabili, portate in consiglio regionale del Veneto dalle consigliere e dai consiglieri di centrosinistra, il governo regionale, per bocca dell'assessore alla sanità, prevede la ricollocazione della riabilitazione dei disabili in altro ospedale, ma senza garantire la specificità dell'intervento riabilitativo per i poliomielitici;
secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa, dietro la decisione della regione Veneto si celerebbe la volontà di destinare le strutture che attualmente ospitano il centro di riabilitazione ad un uso turistico;
una vicenda così descritta indica cattiva gestione del sistema sanitario pubblico, anche in violazione del principio costituzionale della salvaguardia della salute, che non può non realizzarsi attraverso le prestazioni più idonee a sostenere la qualità della vita delle persone -:
se ritenga che nella regione Veneto siano erogati, con particolare riferimento alle terapie riabilitative, i livelli essenziali di assistenza.
(2-00743) «Bimbi, Fistarol, Abbondanzieri, Bindi, Stradiotto, Burtone, De Franciscis, Realacci, Ruggeri, Delbono, Bressa, Soro, Cazzaro, Olivieri, Vianello, Trupia, Santagata, Papini, Lettieri, Rusconi, Fioroni, Giovanni Bianchi, Colasio, Zanella, Martella, Mattarella, Parisi, Molinari, Morgando, Monaco, Castagnetti, Fanfani».
(7 maggio 2003)

H)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere - premesso che:
il 28 marzo 2003 la Turchia, a seguito di una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, ha riaperto il processo a Leyla Zana, prima ed unica donna curda eletta al parlamento turco in rappresentanza della minoranza curda;
Leyla Zana è stata condannata a 15 anni di prigione con l'accusa di terrorismo e separatismo per aver pronunciato il giuramento alla Costituzione in lingua curda e per aver rivendicato nella propria lingua materna (la lingua di almeno 15 milioni di curdi, che, come lei, vivono nel territorio turco) «la convivenza pacifica di curdi e turchi in un contesto democratico»;
le accuse mosse a Leyla Zana e agli altri coimputati, anche loro ex parlamentari, relative a contatti e frequentazioni con una parte di elettorato collegata anche al Partito curdo dei lavoratori, appaiono inevitabilmente connaturate con la natura stessa dell'incarico istituzionale che dei parlamentari ricoprono, oltre ad apparire imprescindibili dall'attività politica e di rappresentanza della società civile che un parlamentare ha il diritto/dovere di assolvere;
assieme a lei, Hatip Dicle, Orhan Dogan, Selim Sadak, deputati del disciolto Partito democratico ed eletti anche in rappresentanza della minoranza kurda in Turchia, vedono ora riaprirsi la possibilità che il diritto primario di ognuno/a ad esprimere e rappresentare i propri convincimenti e le proprie convinzioni politiche, anche, e soprattutto, quando siano frutto dell'appartenenza a una minoranza politica, culturale, religiosa o etnica, sia giustamente considerato come diritto fondante di ogni democrazia che voglia ritenersi tale;
la Corte di Strasburgo ha condannato la Turchia e ingiunto di ripetere il processo a Leyla Zana e agli altri tre condannati per quattro violazioni principali: per aver trattenuto gli imputati in custodia cautelare per oltre 15 giorni, per lo scioglimento del Partito democratico, per non essere stati giudicati in modo equo, perché ci fu violazione dell'articolo 85, cioè del diritto alla difesa, escludendo dal processo ogni documentazione a difesa degli imputati costituita da ben 32 dossier;
il 7 marzo 2003, dopo la prima udienza del processo, imposto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, e a sei mesi di distanza dalle modifiche costituzionali che dovrebbero rendere la Turchia uno Stato di diritto, in considerazione del fatto che era stata avviata un'inchiesta di competenza del tribunale per la sicurezza dello Stato, sulla base dell'imputazione di «appoggio e assistenza a organizzazioni illegali», agenti di polizia dei dipartimenti di sicurezza e dell'antiterrorismo della direzione generale per la sicurezza dello Stato hanno fatto irruzione e perquisito la sede dell'associazione per i diritti umani Ihd di Ankara, il cui presidente è anche avvocato di Leyla Zana, portando via tutti i computer e i dischetti, nullificando totalmente il lavoro dell'associazione, oltre che schedando i nominativi delle persone che a tale associazione si erano rivolti;
il Parlamento europeo, in seguito a questo atto, ha ulteriormente sanzionato il comportamento della Turchia in merito alla questione dei diritti umani ed alla loro effettiva applicazione;
in questo clima di ritorsione sono iniziate le udienze del processo nei confronti di Leyla Zana, Hatip Dicle, Orhan Dogan, Selim Sadak, che, malgrado la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, fin dalle prime sedute sembra voler ripercorrere l'iter processuale per il quale la stessa corte aveva sanzionato la Turchia e fatto riaprire il processo;
è stata infatti respinta la richiesta dei difensori di poter interrogare i testimoni, come già era accaduto nel processo precedente, e negata la scarcerazione immediata degli imputati, che hanno già scontato 10 anni di carcere, venendo fin da subito meno al senso di quanto contenuto nella sentenza della Corte di Strasburgo e contraddicendo quanto le recenti riforme del codice penale turco hanno sancito, cancellando o, quantomeno, sostanzialmente modificando il contenuto delle figure di reato per le quali gli imputati erano stati condannati;
«la Turchia ora sta tentando di entrare nell'Unione europea e non deve rinunciare a questo obiettivo, l'Unione Europea, a sua volta, deve fare uno sforzo maggiore nel negoziato con la Turchia, in modo da aiutarla di più a crescere democraticamente e, in questo modo, a entrare in essa. Se la Turchia non entrerà nell'Unione europea la costruzione dell'Unione europea sarà mutilata di una parte importante. Inoltre, se la Turchia diverrà un Paese democratico attirerà verso la democrazia tutto il Medio Oriente» - sono queste le parole finali dell'intervento della pericolosa terrorista e separatista Leyla Zana alla riapertura del processo -:
quale sia il giudizio del Governo italiano su questa vicenda processuale, il cui carattere emblematico evidenzia la contraddittoria questione dell'ingresso della Turchia nell'Unione europea;
quali iniziative il Governo italiano abbia compiuto, o intenda compiere, per sollecitare il Governo di Ankara, affinché vengano rispettate e attuate le direttive della Corte europea dei diritti dell'uomo e siano restituiti a Leyla Zana, Hatip Dicle, Orhan Dogan, Selim Sadak quei pieni diritti di libertà e cittadinanza degni di una vera democrazia.
(2-00769) «Deiana, Giordano, Amici, Bellillo, Bolognesi, Bulgarelli, Cialente, Maura Cossutta, Alberta De Simone, Titti De Simone, Alfonso Gianni, Labate, Lolli, Mascia, Pisa, Pistone, Rocchi, Sasso, Sgobio, Vertone, Bandoli, Grandi, Grignaffini, Leoni, Pinotti, Russo Spena, Sabattini, Trupia, Zanotti, Vendola, Valpiana, Giacco, Panattoni, Realacci, Gasperoni».
(27 maggio 2003)