La Camera,
premesso che:
il prezzo del caffè grezzo negli ultimi cinque anni è crollato dell'80 per cento, passando dai 550 dollari al quintale del 1997 agli attuali cento dollari, con costi di produzione superiori al costo di vendita;
la stessa sorte ha avuto il prezzo del cacao, il quale, dopo circa 15 anni nei quali il cacao grezzo ha aumentato il suo valore, nel 2000 ha toccato il suo record negativo ventennale e tale tendenza continua, creando notevoli problemi ai Paesi produttori e alle centinaia di migliaia di persone che vivono della coltivazione delle piante del cacao;
il caffè è la terza merce scambiata nel mondo dopo petrolio e acciaio, con una sua organizzazione, l'Organizzazione internazionale del caffè (Oic) ed una borsa internazionale;
questo crollo è dovuto ad un forte aumento della produzione, con l'aggiunta di un nuovo Paese produttore (il Vietnam), e ad un consumo dal basso tasso di crescita;
oggi il 40 per cento del mercato mondiale del caffè è nelle mani di quattro grandi multinazionali: la Procter & Gamble, la Philip Morris, la Kraft e la Nestlè;
questa grande concentrazione, secondo i dati della Banca mondiale, è una delle cause che ha fatto scendere il costo del chicco grezzo dell'80 per cento, lasciando nelle mani dei coltivatori solo il 7 per cento del prezzo finale di un etto di caffè lavorato;
la coltivazione del caffè è una risorsa fondamentale per numerosi Paesi, dall'America latina al sud-est asiatico, ed occupa oltre cinquanta milioni di lavoratori e milioni di imprese agricole, prevalentemente di piccole e medie dimensioni;
il totale della produzione mondiale, secondo i dati del 2001, è stata di 110 milioni di sacchi, 60 chili l'uno, con un consumo totale di 102 milioni di sacchi;
a seguito di questa crisi, le organizzazioni umanitarie prevedono che, solo nel centro America, circa un milione e mezzo saranno le persone ridotte alla fame;
negli ultimi anni il commercio equo e solidale si è rilevato uno dei modi più efficaci per promuovere lo sviluppo;
la Carta europea dei criteri del commercio equo e solidale recita: «Il commercio equo e solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l'ambiente, attraverso il commercio, l'educazione e l'azione politica. Il suo scopo è riequilibrare i rapporti con i Paesi economicamente meno sviluppati, migliorando l'accesso al mercato e le condizioni di vita dei produttori svantaggiati, attraverso una più equa distribuzione dei guadagni. Il commercio equo e solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: produttori, lavoratori, "Botteghe del mondo", importatori e consumatori. Il commercio equo e solidale:
a) promuove migliori condizioni di vita nei Paesi economicamente meno sviluppati, rimuovendo gli svantaggi sofferti dai produttori per facilitarne l'accesso al mercato;
b) tramite la vendita di prodotti, divulga informazioni sui meccanismi economici di sfruttamento, favorendo e stimolando nei consumatori la crescita di un atteggiamento alternativo al modello economico dominante e la ricerca di nuovi modelli di sviluppo;
c) organizza rapporti commerciali e di lavoro senza fini di lucro e nel rispetto e valorizzazione delle persone;
d) promuove i diritti umani, in particolare dei gruppi e delle categorie svantaggiate;
e) mira alla creazione di opportunità di lavoro a condizioni giuste, tanto nei Paesi economicamente svantaggiati come in quelli economicamente sviluppati;
f) favorisce l'incontro fra consumatori critici e produttori dei Paesi economicamente meno sviluppati;
g) sostiene l'autosviluppo economico e sociale;
h) stimola le istituzioni nazionali ed internazionali a compiere scelte economiche e commerciali a difesa dei piccoli produttori, della stabilità economica e della tutela ambientale;
i) promuove un uso equo e sostenibile delle risorse ambientali»;
nella carta italiana i criteri del commercio equo e solidale, sottoscritta dalla maggior parte delle Botteghe del mondo e degli importatori del commercio equo italiani, sono accolti questi stessi principi;
l'esperienza del commercio equo e solidale si è rilevato un importante strumento per favorire lo sviluppo dell'uomo e per promuovere regole internazionali in materia economica e commerciale ispirate a maggiore giustizia ed equità tra nord e sud del mondo;
il principale obiettivo del commercio equo e solidale, a breve termine, è fornire maggiori opportunità ai piccoli produttori e ai lavoratori dei Paesi in via di sviluppo e, in tal modo, apportare un contributo alla promozione di uno sviluppo sociale ed economico durevole per le loro popolazioni;
a più lungo termine, il commercio equo e solidale mira a orientare il sistema commerciale internazionale in un senso più equo, istituendo un esempio ed esercitando pressioni su Governi, organizzazioni internazionali e imprese, affinché ne riconoscano e adottino le componenti principali;
il commercio equo e solidale opera in senso positivo sulla sensibilizzazione globale in merito alle relazioni nord-sud, soprattutto attraverso il rafforzamento della cooperazione da cittadino a cittadino;
il commercio equo e solidale garantisce ai produttori un rapporto continuativo ed un «prezzo equo», cioè che copre i costi di produzione, di esportazione, di importazione e di distribuzione ed anche le necessità primarie del produttore. Il «prezzo equo» in alcuni casi è determinato sulla base degli standard internazionalmente riconosciuti, come ad esempio il prezzo equo minimo per il caffè, che si basa su quei 120 dollari per 100 libre fissati come prezzo minimo negli accordi internazionali, in altri le organizzazioni del commercio equo e i produttori stabiliscono di comune accordo il «prezzo equo», sulla base del costo delle materie prime, del costo del lavoro locale, della retribuzione dignitosa e regolare contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Il «prezzo equo» viene mantenuto anche nei casi in cui crolli il prezzo, garantendo comunque al produttore, grazie all'eliminazione di tutte quelle intermediazioni speculative dalla filiera produttiva e distributiva, un sicuro guadagno;
in Europa sono nati diversi marchi di garanzia nazionali per la necessità di inserire i prodotti equo e solidali anche in canali distributivi tradizionali nazionali: il primo di essi, Max Havelaar, è stato fondato nel 1986 in Belgio, per poi diffondersi in Francia, Svizzera, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia; di seguito, sono nati TransFair International in Germania, Austria, Lussemburgo, Giappone, Stati Uniti, Canada e Italia; in Inghilterra il marchio di garanzia porta il nome di Fair Trade Foundation e in Irlanda di Irish Fair Trade Network;
in Italia, dopo la nascita del marchio di garanzia TransFair, gestito dall'associazione TransFair Italia, associazione senza scopo di lucro costituita da organizzazioni che operano nel campo della solidarietà, della cooperazione internazionale, dell'educazione allo sviluppo e aderente a FLO (Fair Trade Label Organization), nel 1994, per i prodotti del commercio equo e solidale, prima presenti in Italia solo nelle Botteghe del mondo (circa 200 punti vendita nel 1995) e in alcuni canali di piccolo dettaglio, è iniziata la diffusione in mercati più ampi e, in particolare, in alcune catene della grande distribuzione organizzata;
secondo i dati provenienti da varie agenzie di ricerca, i prodotti equi e solidali sono disponibili in circa il 35 per cento della distribuzione italiana;
dai dati relativi all'anno 2000, tratti da «Fair Trade in Europe 2001», risulta che in Italia le Botteghe del mondo - organizzazioni no profit che vendono prodotti equi e solidali - sono 374, in Europa 2.740 in 18 Paesi. I supermarket che vendono prodotti del commercio equo e solidale sono 2.620 in Italia, 43.100 in 18 Paesi europei; gli importatori sono 7, con l'esclusione delle Botteghe che importano direttamente in Italia, 97 in 18 Paesi europei; i volontari sono 1.500 in Italia, 96.000 in 18 Paesi europei, con un fatturato stimato superiore ai 16.100.000 euro in Italia, 369.000.000 euro in Europa;
numerosi comuni italiani hanno emanato specifiche delibere per favorire l'uso di prodotti equi e garantiti nelle manifestazioni pubbliche;
le regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Veneto e Umbria hanno emanato apposite leggi regionali per la promozione e lo sviluppo del commercio equo e solidale;
il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione l'8 ottobre 1991 sul sostegno attivo ai piccoli coltivatori di caffè del terzo mondo, mediante una politica mirata di approvvigionamento e di introduzione di tale prodotto di provenienza del commercio equo e solidale nelle istituzioni comunitarie;
il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla promozione del commercio equo e solidale fra nord e sud, la n. A3-0373/93 del 19 gennaio 1994;
nel 1998 è stata approvata dal Parlamento europeo la risoluzione n. 198/98 sul commercio equo e solidale, nella quale, tra l'altro, si chiede alla Commissione europea:
«a) di fare in modo che il sostegno al commercio equo e solidale diventi elemento integrante della politica estera di cooperazione allo sviluppo e commerciale dell'Unione europea, compreso lo sviluppo di codici di condotta per le società multinazionali operanti nei Paesi in via di sviluppo e, in particolare, di garantire un adeguato coordinamento tra le direzioni e i servizi competenti, nonché di istituire le necessarie strutture amministrative per metterlo in pratica.
b) che la promozione del commercio equo e solidale sia inserita come strumento di sviluppo nella conclusione di un nuovo accordo con i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Acp)»;
la comunicazione della Commissione europea al Consiglio sul commercio equo e solidale del 1999 recita: «Va rilevato che, se il commercio equo e solidale può essere considerato come una forma di "commercio leale", di solito il termine viene utilizzato per designare pratiche commerciali non solo moralmente corrette, ma specificamente intese a rafforzare la posizione economica dei piccoli produttori, che, altrimenti, rischiano di trovarsi marginalizzati dai flussi di scambio convenzionali. Si parla più propriamente di "commercio leale" o di "pratiche commerciali moralmente corrette" in riferimento alle attività delle società multinazionali operanti nei Paesi in via di sviluppo (per esempio codici di condotta), intese a dimostrare le loro responsabilità etiche e sociali nei confronti dei dipendenti o dei soci»;
la citata comunicazione della Commissione al Consiglio del 1999 ha definito al punto due che la pratica del commercio equo e solidale favorisce particolarmente i piccoli produttori, soprattutto agricoltori e artigiani, i quali spesso vivono in regioni rurali periferiche e non producono in quantità sufficiente per esportare direttamente, cosicché dipendono da intermediari, sia per la vendita dei prodotti che per l'assunzione di credito. Alcuni di essi hanno cercato di ridurre tale dipendenza associandosi in cooperative e mettendo in comune risorse, attrezzature e competenze tecniche e, talvolta, anche servizi collettivi, come la sanità e l'istruzione;
le organizzazioni commerciali alternative possono dare una spinta decisiva allo sviluppo di queste cooperative, con il pagamento di un prezzo equo e con la prestazione di assistenza di vario tipo, dall'acquisto di un fax alla consulenza in materia di esportazioni;
tra le iniziative di questo genere possono rientrare il pagamento di anticipi ai produttori e l'instaurazione di rapporti contrattuali che offrano a questi ultimi una sicurezza a lungo termine. In questo modo viene garantita la stabilità dei redditi, facilitando la pianificazione e l'investimento, e i produttori possono esercitare un maggiore controllo sulla trasformazione e commercializzazione dei loro prodotti. Una parte del reddito può essere persino utilizzata per accrescere la capacità, per esempio in vista della costituzione di organizzazioni di produttori o per l'allestimento di strutture che permettano di aggiungere valore, come la trasformazione del caffè;
va sottolineato che i profitti ricavati dal commercio equo e solidale vanno a beneficio di un'intera comunità e non di singoli individui;
il concetto di commercio equo e solidale si applica principalmente agli scambi tra Paesi in via di sviluppo e Paesi economicamente avanzati. Esso non incide direttamente sui beni prodotti all'interno dell'Unione europea, dove le norme sociali ed ambientali sono già sancite dalla legge;
le azioni in materia di commercio equo e solidale sorgono per iniziativa di organizzazioni non governative private. Esse si basano su un sistema di incentivi, nel senso che poggiano sulla scelta dei consumatori e non cercano di manovrare il commercio o di erigere barriere per impedire l'accesso al mercato di taluni Paesi. Il consumatore ha così la possibilità di elevare il tenore di vita dei produttori nei Paesi in via di sviluppo, grazie ad un approccio sostenibile ed orientato verso il mercato;
la Commissione europea, nella comunicazione n. 366 del 2002, «Promoting an European framework for Corporate Social Responsibility», nel paragrafo 3.4, «Social and eco-labels», e nella comunicazione n. 416 del 2002, «Promoting Core Labour Standards and Improvingt Social Governance in the Context of Globalisation», paragrafo 5.3, «Private and voluntary schemes for the promotion of core labour standards: Social labelling and industry codes of conduct», sostiene la necessità di sistemi chiari di certificazione sociale e definisce, tuttavia, l'esperienza dei marchi di garanzia di commercio equo e solidale come una delle esperienze più avanzate di certificazione sociale;
i prodotti attualmente venduti nell'Unione europea, attraverso le varie iniziative di commercio equo e solidale, sono principalmente caffè, manufatti artigianali, tè, cioccolato, frutta secca, miele, zucchero, banane ed altri, tra i quali recano attualmente il marchio di garanzia di commercio equo e solidale: caffè, cacao, banane, zucchero, miele, tè, succhi, riso, fiori e palloni. Secondo le stime, il fatturato nell'Unione europea si aggirava intorno a 175 milioni di euro nel 1994 e tra i 200 e i 250 milioni di euro nel 1997;
di questo fatturato globale, il 60 per cento circa è costituito da prodotti alimentari, di cui il caffè rappresenta a sua volta la metà. Tuttavia, il caffè equo e solidale rappresenta appena il 2 per cento di tutto il caffè commercializzato nell'Unione europea;
nell'insieme, l'11 per cento della popolazione dell'Unione europea ha già acquistato prodotti equi e solidali, con ampie variazioni da un Paese all'altro, che vanno dal 3 per cento in Portogallo e Grecia al 49 per cento dei Paesi Bassi;
la libera imprenditoria, la produzione e la vendita del caffè sono minacciate dalla concentrazione in poche mani del controllo del mercato mondiale, che delocalizza la grande produzione verso aree nuove a più basso costo salariale e sociale, determinando bassissimi costi alla produzione, a cui, peraltro, non corrispondono poi investimenti di sviluppo o diminuzioni di prezzo al dettaglio. È un sistema di globalizzazione selvaggio, che, di fatto, nega qualsiasi libertà di mercato e di concorrenza leale, depredando il territorio e sfruttando le manodopere locali con forme di lavoro e di remunerazione spesso simili alla schiavitù;
ad introdurre, a pieno titolo, il sostegno al commercio equo e solidale come elemento integrante della politica estera di cooperazione allo sviluppo e commerciale dell'Italia nei confronti dei Paesi in via di sviluppo;
ad incentivare i comportamenti etici dei singoli cittadini, delle famiglie e delle imprese, anche in occasione del prossimo disegno di legge finanziaria, attraverso una defiscalizzazione di una parte dei loro consumi eticamente indirizzati all'acquisto di prodotti della rete equo-solidale;
ad introdurre, a pieno titolo, il sostegno ai prodotti del commercio equo e solidale garantiti secondo gli standard delle organizzazioni esterne di certificazione del Fair Trade, come le organizzazioni associate in Fairtrade Labelling Organisations, ed inoltre a sostenere, allo stesso modo, i prodotti importati e commercializzati secondo i criteri stabiliti dalla carta italiana dei criteri del commercio equo e solidale immessi sul mercato italiano da importatori e Botteghe del mondo, che l'hanno sottoscritta;
a mettere in atto misure di sostegno fiscale in favore delle organizzazioni di commercio equo e solidale, al fine di far crescere, anche in Italia, come già presente nel resto d'Europa, questa importante esperienza;
a promuovere, attraverso apposite campagne informative televisive, radiofoniche e sulla carta stampata, le esperienze di commercio equo e solidale come strumento di lotta alla povertà, al fine di sensibilizzare i cittadini italiani;
a favorire la presenza nelle scuole di programmi di educazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale, contrasto alla povertà e lotta alla fame, per una maggiore conoscenza delle risorse naturali e per un loro uso consapevole.
(1-00110) «Fioroni, Lucà, Bindi, Bolognesi, Castagnetti, Violante, Boato, Giordano, Rizzo, Intini, Pecoraro Scanio, Abbondanzieri, Annunziata, Bandoli, Banti, Battaglia, Bettini, Giovanni Bianchi, Bimbi, Bottino, Bressa, Bulgarelli, Camo, Carra, Cento, Ciani, Maura Cossutta, Cusumano, Delbono, Detomas, Duilio, Fanfani, Franceschini, Frigato, Gentiloni Silveri, Giacco, Grillini, Iannuzzi, Labate, Ladu, Santino Adamo Loddo, Loiero, Lucidi, Maccanico, Mancini, Mantini, Mantovani, Marcora, Raffaella Mariani, Mattarella, Mazzuca Poggiolini, Meduri, Merlo, Monaco, Mosella, Olivieri, Parisi, Pistone, Realacci, Reduzzi, Rocchi, Rusconi, Ruzzante, Soro, Stradiotto, Tanoni, Valpiana, Villetti, Volpini, Zanella, Zanotti, Kessler, Pinotti, Cima».
(25 settembre 2002).
La Camera,
premesso che:
il commercio equo e solidale si pone come approccio parallelo al commercio tradizionale e con lo scopo di promuovere la giustizia sociale economica e lo sviluppo sostenibile;
tale commercio si propone di garantire ai prodotti dei Paesi in via di sviluppo il «giusto guadagno» e condizioni di lavoro dignitose, attraverso il sostegno ai progetti di autosviluppo;
il commercio equo e solidale si inserisce nel più vasto ambito della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo (Pvs);
la crisi dei prodotti di base dei Paesi in via di sviluppo ha una molteplicità di ragioni;
si pone la necessità da un lato di promuovere il miglioramento della qualità dei prodotti, dall'altro di favorire, anche attraverso specifici progetti, la diversificazione produttiva per evitare la dipendenza delle loro economie da una monocultura predominante;
la crisi colpisce in misura maggiore le economie dei Paesi meno avanzati (Pma), un gruppo di 49 Stati particolarmente afflitti da difficili condizioni economiche;
il Governo italiano svolge un ruolo attivo nelle situazioni di emergenza economica che coinvolgono tali Paesi;
l'Italia partecipa attivamente anche con proprie risorse finanziarie alle varieiniziative e ai progetti in ambito internazionale Unctad, Omc, Itc, Fmi, organizzazioni settoriali dei prodotti di base ed altri, nonché ai progetti e alle politiche comunitarie aventi lo scopo di aiutare i Paesi in via di sviluppo a sviluppare la loro capacità ad integrarsi meglio nell'economia globale;
l'Italia, inoltre, sensibilizza il settore privato a partecipare alle iniziative per creare infrastrutture e imprese in loco, che possano creare lavoro ed aiutare le economie di questi Paesi ad una maggiore capacità produttiva e gestionale delle proprie risorse;
già nel 1998, il Parlamento europeo ha riconosciuto il commercio equo e solidale in termini politici ed economici, chiedendo l'elaborazione di criteri comuni, di un marchio unico e riconoscibile;
la recente legge delega per la riforma del sistema fiscale statale del 7 aprile 2003, n. 80, di iniziativa governativa, ha già previsto (articolo 5), sulla base dello standard comunitario, che la riforma dell'Iva sia, tra l'altro, ispirata ad «escludere dalla base imponibile dell'imposta del valore aggiunto e da ogni altra forma di imposizione a carico del soggetto passivo la quota del corrispettivo destinato dal consumatore finale a finalità etiche»;
condividendo gli sforzi che il Governo sta effettuando per l'attuazione della delega fiscale;
a proseguire nella politica assunta, ispirata da finalità etiche.
(1-00211) «Raisi, Saglia, Mazzocchi, Arrighi, Airaghi, Gamba, Messa, Zaccheo, Garnero Santanché, Trantino, Gallo, Giorgio Conte, Strano».
(26 maggio 2003).
La Camera,
premesso che:
il commercio equo e solidale è un'attività che coinvolge più soggetti e si attua attraverso una rete mondiale complessa ed articolata;
i principali soggetti coinvolti nel commercio equo e solidale sono «Flo», l'ente di certificazione che rilascia il marchio di garanzia dei prodotti, la rete delle Botteghe del mondo e l'Ifat, l'associazione mondiale delle organizzazioni ATOs (Alternative trade organization), cioè le organizzazioni no profit, il cui lavoro consiste nel comprare prodotti (agricoli o artigianali) da piccoli produttori nelle economie più povere, pagando un prezzo che consente loro di condurre una vita dignitosa;
il commercio equo e solidale non si esaurisce nell'attività di scambio commerciale, ma contempla anche l'informazione al consumatore riguardo i produttori e i loro prodotti per mezzo di pamphlets illustrativi, che accompagnano i prodotti venduti, presentazioni con diapositive, manifestazioni, riviste, convegni e corsi di aggiornamento; inoltre, si offre anche assistenza ai produttori e addestramento professionale nello sviluppo del prodotto (o meglio del prodotto-progetto), migliorandone il marketing, nonché l'affidabilità, e facendo in modo che essi condividano la specializzazione e l'esperienza acquisite fra di loro;
nel nostro Paese esistono circa 270 botteghe di commercio equo e solidale, ma i prodotti sono venduti anche da negozi commerciali e supermercati (Coop, Esselunga);
nel nostro Paese il commercio equo e solidale è particolarmente diffuso nelle regioni settentrionali: la maggior parte degli acquisti viene fatta in Lombardia (30 per cento) e Veneto (15 per cento), ma significativi sono anche i volumi delle vendite di Trentino Alto Adige, Piemonte ed Emilia Romagna;
il commercio equo e solidale è uno strumento valido di sviluppo, perché sostiene e favorisce l'iniziativa locale nei Paesi più poveri, aiutandoli a conservare le proprie tradizioni economiche e sociali valorizzandole, eliminando alcune cause di disagio che spesso portano all'abbandono della propria terra;
il commercio equo e solidale fa leva sulla consapevolezza e la scelta critica del consumatore finale, che decide talvolta di pagare un prezzo maggiore per determinati prodotti, sia per la loro qualità che per il loro valore etico;
l'attuale Governo ha già assunto orientamenti a favore del consumo consapevole e dello sviluppo dei Paesi in ritardo, prevedendo, tra l'altro, nella legge delega per la riforma del sistema fiscale n. 80 del 2003 che la riforma dell'Iva sia, tra l'altro, ispirata ad «escludere dalla base imponibile (..) e da ogni altra forma di imposizione a carico del soggetto passivo la quota del corrispettivo destinato dal consumatore a finalità etiche»;
a sviluppare strumenti di monitoraggio sull'attività di coloro che operano nell'ambito del commercio equo e solidale e nel rilascio del relativo marchio, al fine di offrire un'ulteriore garanzia al consumatore finale;
a studiare, in sede di conferenza Stato-regioni, metodi coordinati di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla natura e sui fini del commercio equo e solidale, come strumento di lotta alla povertà, e a promuovere un'armonizzazione nelle normative e nella pianificazione commerciale in materia di sostegno ed incentivazione alla diffusione del commercio equo e solidale;
a valutare l'opportunità di mettere a punto un aggiornamento della normativa in materia di cooperazione allo sviluppo, che comprenda anche il commercio equo e solidale.
(1-00213) «Cè, Dario Galli, Polledri, Martinelli».
(27 maggio 2003).