TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 255 di Mercoledì 29 gennaio 2003


MOZIONI SUL LAVORO MINORILE


La Camera,
premesso che:
la Convenzione n. 182 promossa dalla conferenza generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro, adottata a Ginevra il 17 giugno 1999 ed entrata in vigore il 19 novembre 2000, relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile, impegnava i Paesi firmatari ad un'azione rapida e complessiva per l'eliminazione del fenomeno, attribuendo allo stesso un carattere d'emergenza;
secondo il rapporto globale sul lavoro minorile, pubblicato il 6 maggio 2002 dall'Ufficio internazionale del lavoro, sono costretti al lavoro 246 milioni di ragazzi tra i cinque e i diciassette anni, di cui ben 179 milioni esposti alle forme peggiori e dannose per la loro salute fisica, mentale e morale;
circa 111 milioni di bambini sotto i quindici anni sono, infatti, costretti a lavori pericolosi ed oltre 8 milioni di bambini sono sottoposti in schiavitù (schiavitù per debiti) e ad altre forme di lavoro forzato, come l'arruolamento in vista della partecipazione a conflitti armati, la prostituzione, la pornografia e altre attività illecite;
il direttore generale dell'Ufficio internazionale del lavoro, Juan Somavia, ha dichiarato che «nonostante l'impegno dei Governi e dei loro interlocutori per combattere il lavoro minorile in tutto il mondo, il problema è ancora gigantesco» e che «i progressi compiuti sulla via dell'abolizione effettiva sono considerevoli ma la comunità internazionale non deve dar tregua ai suoi sforzi contro la propagazione di una forma di lavoro della quale sono vittime milioni di bambini in tutto il mondo»;
il 60 per cento del totale dei bambini costretti al lavoro è localizzato nell'area Asia-Pacifico, seguita dall'Africa subsahariana (23 per cento), dall'America latina e dai Caraibi (17,4 per cento), dal Medio Oriente e dall'Africa del Nord (6 per cento);
la tipologia di lavoro in cui questi bambini sono utilizzati riguarda essenzialmente il settore primario, con percentuali rilevanti nell'agricoltura commerciale (cacao, caffè, cotone ed altri), anche se la maggior parte dei bambini impiegati si trova in settori economici non ufficiali dove non vengono riconosciuti né tutelati;
tra le cause principali elencate nel rapporto figurano: la povertà, le crisi economiche e politiche, le discriminazioni etniche e religiose, le migrazioni, lo sfruttamento a carattere criminale, la mancanza di scuole, pratiche culturali tradizionali e la mancanza di protezione sociale, che spingono un numero sempre maggiore di bambini a forme di lavoro pericolose e molto spesso illegali;
il rapporto è stato discusso dagli organi dell'Organizzazione internazionale del lavoro alla 90a sessione della conferenza internazionale del lavoro il 12 giugno 2002 a Ginevra: in quella stessa sede è stata istituita dall'Organizzazione internazionale del lavoro la giornata internazionale contro il lavoro minorile;

impegna il Governo

ad adottare ogni utile iniziativa volta a favorire, da parte dei Paesi maggiormente colpiti da questo fenomeno, l'adozione di strumenti legislativi efficaci nel campo del divieto del lavoro minorile e la puntuale applicazione dei dettami contenuti nella succitata Convenzione n. 182 e nella raccomandazione sull'età minima per l'ammissione al lavoro del 1973;
a sollecitare nuovi programmi di cooperazione e di assistenza internazionali allo scopo di consentire la formazione scolastica obbligatoria fino ai 14-16 anni per contrastare il lavoro minorile e come opportunità di sviluppo. In particolare, in occasione dell'emanazione del decreto dei flussi migratori, a prevedere criteri di preferenza per i cittadini di nazioni con le quali siano stati stabiliti accordi che prevedano precisi impegni di realizzazione di programmi di scolarizzazione;
ad adottare iniziative normative volte a prevedere forme di aiuto economico alle famiglie, dando applicazione alla proposta «20:20» adottata dal vertice sociale di Copenaghen (marzo 1995), per la quale il 20 per cento dei fondi spesi dai Paesi sviluppati per la cooperazione dovrebbe essere destinato a progetti sociali, mentre i Paesi in via di sviluppo dovrebbero investire il 20 per cento del loro bilancio nella stessa direzione;
a tenere maggiormente in considerazione le altre iniziative proposte dalle organizzazioni sociali non governative italiane, da tempo impegnate nel trovare valide soluzioni al problema del lavoro minorile;
ad adottare iniziative normative volte:
a) a prevedere meccanismi di controllo e codici di condotta più rigidi nella fabbricazione dei prodotti italiani, specialmente nella catena del subappalto, e nella loro commercializzazione internazionale per creare marchi di garanzia sociale, obbligando le imprese alla trasparenza riguardo alle condizioni sociali ed ambientali della loro produzione;
b) ad imporre la certificazione del «timbro di garanzia sociale», sul rispetto dei diritti umani e sindacali, per i prodotti provenienti dai Paesi maggiormente soggetti al pericolo di utilizzo di manodopera infantile. Tale certificazione dovrebbe essere concessa soltanto dopo severi controlli attuati da società di certificazione con la collaborazione di organizzazioni locali, dell'Unicef e dell'Organizzazione internazionale del lavoro;
a favorire la creazione di programmi di riabilitazione dei bambini assoggettati a forme di schiavitù, prostituzione e lavori nocivi;
a verificare e a riferire in Parlamento sulla situazione attuale in Italia rispetto a tale fenomeno e a valutare l'opportunità di mettere in campo nuove iniziative, che, d'intesa con le parti sociali e le organizzazioni imprenditoriali, mirino a debellare sul nascere tale rischio.
(1-00080) «Volontè, Ciro Alfano, Emerenzio Barbieri, Dorina Bianchi, Brusco, Riccardo Conti, Cozzi, D'Agrò, D'Alia, Degennaro, De Laurentiis, Di Giandomenico, Filippo Maria Drago, Giuseppe Drago, Follini, Giuseppe Gianni, Grillo, Anna Maria Leone, Liotta, Lucchese, Maninetti, Mazzoni, Mereu, Mongiello, Montecuollo, Naro, Peretti, Ranieli, Romano, Rotondi, Tabacci, Tanzilli, Tucci».
(12 giugno 2002)

La Camera,
premesso che:
il 12 giugno 2002 si è celebrata la prima giornata mondiale contro il lavoro minorile promossa dall'Organizzazione internazionale del lavoro, che avrà d'ora in poi cadenza annuale;
l'ultimo rapporto dell'Organizzazione internazionale del lavoro «A future without child labour» segnala che dalle inchieste realizzate nei Paesi in via di sviluppo emergono dati allarmanti;
questo triste fenomeno coinvolge nel mondo, con modalità diverse, fino a 250 milioni di bambini in età compresa dai 5 ai 14 anni, di cui il 70 per cento lavora nei settori dell'agricoltura, della pesca e della caccia, l'8 per cento nella produzione manifatturiera e nel commercio, sia all'ingrosso che al dettaglio, il 7 per cento in lavori domestici, mentre il 4 per cento nei trasporti e nelle comunicazioni e, infine, il 3 per cento nel settore delle costruzioni e nell'industria estrattiva mineraria;
in particolare, si ricorre allo sfruttamento del lavoro minorile nella coltivazione e trasformazione del cacao, del caffè, del lattice, del cotone e del tè. Infatti, sulla base dei monitoraggi effettuati nei principali mercati mondiali, ovvero in Brasile, Kenya e Messico, lo sfruttamento di bambini al di sotto dei 15 anni è pari al 25-30 per cento del totale della manodopera;
anche i Paesi industrializzati non sono indenni da questa piaga e in Italia, nonostante il divieto previsto dalla legge n. 977 del 1967, in base ai dati Istat i ragazzi al di sotto dei 15 anni che svolgono attività lavorative corrispondenti ad una forma di sfruttamento sono circa 31.500, pari allo 0,66 per cento della popolazione giovanile compresa tra i 7 e i 14 anni: di questi 19.200 svolgono un lavoro non continuativo, mentre i restanti 12.300 bambini svolgono un lavoro continuativo, cioè per almeno due ore in una giornata e almeno una volta a settimana;
i bambini e i ragazzi che in Italia sono coinvolti a vario titolo in attività di aiuto alla famiglia sono circa 144 mila;
sono circa 83 mila gli adolescenti compresi nella fascia di età tra i 15 e i 18 anni che dichiarano di aver avuto qualche esperienza lavorativa prima dei 15 anni, di cui 37 mila nel Mezzogiorno, area dove questo fenomeno si lega in maniera simbiotica con la piaga del lavoro nero;
la XI Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati nel corso della XIII legislatura ha concluso un'indagine conoscitiva sul lavoro nero e sul lavoro minorile, nella quale si sottolineava la necessità di rimuovere le cause indirette (stato di povertà materiale e culturale delle famiglie, dispersione scolastica) dell'offerta di lavoro minorile e di incidere più fortemente sul fenomeno della domanda, da parte delle imprese, di questa grave forma di lavoro illegale;
allo sfruttamento del lavoro minorile si accompagnano forme di abuso ancora più gravi e intollerabili, quali condizioni di vera e propria schiavitù collegate alla mancata o non adeguata retribuzione, a condizioni subumane dei luoghi di lavoro, fino all'abuso e allo sfruttamento sessuale dei minori che lavorano;
il lavoro durante l'infanzia toglie ai bambini e alle bambine la possibilità di avere condizioni di vita consone alla loro età, nonché un'adeguata formazione scolastica e professionale e, di conseguenza, riduce, nei Paesi in cui è praticato, la possibilità di costruire, in prospettiva per il futuro, una classe dirigente e un corpo sociale a diffuso tasso di scolarizzazione e pienamente consapevole dei propri diritti;
è molto limitato il numero di aziende italiane, soprattutto produttrici di prodotti per l'infanzia, che ha sottoscritto protocolli con le rappresentanze sindacali per controllare che le aziende italiane ed estere, fornitrici di semilavorati, non impieghino minori nei loro processi produttivi;
iniziative del genere sono state prese da multinazionali straniere, attraverso codici di autoregolamentazione aziendale, anche sotto la pressione di iniziative popolari per l'affermazione dei diritti umani;
il nostro Paese deve essere impegnato con lo stesso sforzo sia sul fronte internazionale, sia nella completa eliminazione del lavoro minorile in Italia, secondo quanto previsto dalla legge 977 del 1967;
in Parlamento sono state presentate diverse proposte di legge che riprendono il lavoro svolto nel corso della precedente legislatura, concernenti «Disposizioni in materia di certificazione di conformità sociale delle imprese che non utilizzano lavoro minorile»;

impegna il Governo:

a dotarsi in tempi rapidi degli adeguati strumenti per la rilevazione quantitativa e qualitativa del fenomeno e ad intensificare l'attività di controllo sul territorio, fornendo annualmente alle competenti Commissioni parlamentari un rapporto sulla situazione del lavoro minorile in Italia;
a promuovere un sistema di certificazione di conformità sociale delle imprese che non utilizzano lavoro minorile;
a promuovere, anche ai sensi della legge n. 285 del 1997, sia a livello di Governo centrale, sia a livello di enti locali, progetti specificatamente mirati all'eliminazione del lavoro minorile nel nostro Paese e alla rimozione delle cause che determinano l'offerta di lavoro, destinando a tali progetti adeguate risorse;
a incentivare a livello nazionale le iniziative di accordo tra le parti sociali finalizzate al controllo e all'eliminazione, in Italia e nel mondo, del lavoro dei bambini nei processi produttivi e ad estendere la propria iniziativa in sede internazionale, a partire dall'Unione europea, affinché l'Europa si doti di una carta comune contro lo sfruttamento del lavoro minorile;
a sostenere presso l'Organizzazione internazionale del lavoro l'istituzione di un sistema di etichettatura con il relativo meccanismo d'ispezione internazionale.
(1-00081) «Castagnetti, Duilio, Delbono, De Franciscis, Enzo Bianco, Rusconi, Colasio, Fistarol, Carbonella, Camo, Carra, Cusumano, Giachetti, Fioroni, Bimbi, Bindi, Monaco, Pasetto, Fanfani, Papini, Luigi Pepe, Tonino Loddo, Realacci, Ruta, Burtone, Squeglia, Tuccillo, Mazzuca Poggiolini, Lettieri, Morgando, Mosella, Mattarella, Maccanico, Franceschini, Gentiloni Silveri, Banti, Vernetti, Mantini, Ladu, Iannuzzi, Molinari, Merlo, Frigato, Lusetti, Santino Adamo Loddo, Pistelli, Meduri, Reduzzi, Ruggeri, Acquarone, Villari, Boato, Bottino, Gerardo Bianco».
(12 giugno 2002)

La Camera,
premesso che:
lo sfruttamento del lavoro infantile per la sua entità e sistematicità rappresenta un dato strutturale dell'attuale economia globalizzata. A 250 milioni di bambini sono negati diritti fondamentali, come quelli all'istruzione, al gioco, alla casa ed alla salute. Molti di loro sono ridotti allo stato di schiavitù;
la Convenzione n. 182 dell'Organizzazione internazionale del lavoro del 17 giugno 1999 relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile è purtroppo ancora in buona parte inattuata e richiede un rinnovato impegno della comunità internazionale per far fronte all'aggravarsi della situazione;
anche nel nostro Paese il lavoro minorile non solo non è stato debellato, ma riemerge prepotentemente dove sono diffusi il lavoro nero, la disoccupazione, la cancellazione dei diritti acquisiti dai lavoratori adulti. Grave rimane il problema dell'abbandono dell'obbligo scolastico;

impegna il Governo

a destinare almeno il 50 per cento dei fondi per la cooperazione allo sviluppo ai programmi sociali (oggi il nostro Paese investe solo lo 0,3 per cento dei fondi della cooperazione per l'istruzione primaria);
a realizzare l'impegno di devolvere lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo alla cooperazione allo sviluppo entro il 2004;
a cancellare il debito estero dei Paesi poveri, impegnando i Paesi debitori a convertire il debito condonato in programmi sociali;
ad operare, all'interno delle istituzioni internazionali, perché vengano tenuti in considerazione i diritti delle popolazioni povere e siano cancellate le politiche del Fondo monetario internazionale responsabili delle catastrofi sociali nei Paesi dove sono state applicate;
a sostenere in ogni ambito internazionale l'adozione di sanzioni nei confronti delle imprese multinazionali e non che, anche attraverso contratti di appalto, utilizzano manodopera infantile;
a denunciare ogni trattato di libero commercio, firmato in sede Wto, che non preveda esplicitamente le suddette sanzioni;
a istituire organismi governativi per controllare il comportamento all'estero delle imprese italiane, affinché utilizzino sempre lavoratori adulti, a condizioni di retribuzione eque e nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali esistenti (libertà sindacale e diritto di negoziazione collettiva, divieto di discriminazioni, divieto di lavoro forzato, divieto di lavoro infantile);
a sostenere progetti di sviluppo nel Sud del mondo, realizzati dalle organizzazioni non governative e dai movimenti impegnati nella lotta allo sfruttamento del lavoro infantile;
a favorire il commercio equo e solidale e la diffusione dei marchi di qualità sociale dei prodotti;
a predisporre e favorire programmi di riabilitazione dei bambini assoggettati a forme di schiavitù, prostituzione e lavori nocivi;
ad incentivare il sistema preferenziale dell'Unione europea, prevedendo sgravi tariffari per le merci provenienti dai Paesi che si impegnano contro il lavoro infantile;
ad incrementare il sostegno economico al programma Ipec, appositamente promosso dall'Organizzazione internazionale del lavoro per combattere lo sfruttamento dei bambini;
ad adottare iniziative normative volte ad estendere in Italia controlli per individuare aziende o situazioni di economia informale che utilizzino il lavoro infantile e predisporre tutte le iniziative necessarie per tutelare i diritti dei bambini, a cominciare da quello all'istruzione.
(1-00132) «Mantovani, Giordano, Titti De Simone, Deiana, Alfonso Gianni, Mascia, Pisapia, Russo Spena, Valpiana, Vendola».
(2 dicembre 2002)

La Camera,
premesso che:
nella Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile del 17 giugno 1999, oltre al lavoro forzato, alle forme di schiavitù, alla prostituzione e alle altre attività illecite, viene considerato tra le forme peggiori di sfruttamento qualsiasi lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui viene svolto, rischia di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità di un minore;
il lavoro minorile che ha le conseguenze più gravi è, pertanto, qualsiasi lavoro che possa pregiudicare il normale sviluppo fisico e psicologico dei bambini e degli adolescenti;
tra questi, i lavori della durata di almeno due ore al giorno pericolosi o notturni o molto stancanti o per i quali si salta spesso la scuola, che non lasciano tempo per fare i compiti o per giocare e stare con gli amici;
l'Ufficio internazionale del lavoro, nel rapporto globale sul lavoro minorile del maggio 2002, ha reso noto che nel mondo 246 milioni di bambini ed adolescenti, tra i 5 e i 17 anni, sono costretti al lavoro;
tra questi, 179 milioni di bambini e ragazzi svolgono attività dannose per la salute fisica e mentale;
dallo stesso rapporto si rileva che 111 milioni di bambini, che hanno meno di quindici anni, sono costretti a svolgere lavori pericolosi, mentre 8 milioni di bambini subiscono varie forme di schiavitù, mediante il coinvolgimento in attività illecite, come la prostituzione, la pornografia, lo spaccio di droga, l'addestramento alla guerra per la partecipazione a conflitti armati;
gran parte di questi bambini ed adolescenti (il 60 per cento) vive nell'Asia-Pacifico; il 23 per cento nell'Africa sub-sahariana, il 17,4 per cento in America latina e nei Caraibi, il 6 per cento in Medio Oriente e Africa del nord;
i settori produttivi che utilizzano manodopera minorile sono, in prevalenza, l'agricoltura, la caccia e la pesca (attività che occupano il 70 per cento dei bambini «lavoratori»), la produzione manifatturiera e il commercio all'ingrosso e al dettaglio (l'8 per cento), i trasporti e le comunicazioni (4 per cento), l'industria estrattiva e mineraria e quella delle costruzioni (3 per cento); il 7 per cento è impegnato in lavori domestici;
i bambini e gli adolescenti sono costretti a lavori pericolosi e illegali, secondo il citato rapporto, a causa della povertà, di crisi di carattere economico e politico, di discriminazioni etniche e religiose, nonché a causa delle migrazioni e dello sfruttamento criminale; favoriscono il fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile la mancanza di scuole e di protezione sociale, nonché alcune pratiche culturali tradizionali;
anche in Italia, il fenomeno ha dimensioni allarmanti: secondo l'Istat, che ha presentato nel giugno 2002 un rapporto elaborato su impulso del ministero del lavoro e delle politiche sociali, i ragazzi con meno di 15 anni che svolgono attività lavorativa sono oltre 144.000, pari al 3,1 per cento dei bambini di quell'età (dati 2000);
considerando l'insieme delle attività, continuative e non continuative, il numero dei quindicenni «sfruttati» in Italia risulta di 31.500 unità, lo 0,66 per cento della popolazione giovanile tra i 7 e i 14 anni, con un'incidenza maggiore tra i quattordicenni (il 2,74 per cento);
tra questi, 12.300 minori svolgono un'attività che si può definire «continuativa» e 19.200 non continuativa;
lo sfruttamento minorile appare un fenomeno che interessa tutto il Paese, anche le zone più sviluppate, ed è connesso - nel Nord del Paese - con gli alti tassi di occupazione locale, mentre nel Mezzogiorno con gravi condizioni di disagio economico e sociale;
ben 83.000 adolescenti tra i 15 e i 18 anni d'età hanno avuto esperienze lavorative prima dei 15 anni; di questi, 37 mila vivono nel Mezzogiorno, dove lo sfruttamento minorile è strettamente connesso con il lavoro nero;
l'impegno dei minori nel mercato del lavoro è anche frequente nella popolazione con un basso tasso di scolarità: il 69,8 per cento degli occupati con meno di 19 anni ha la licenza media, il 7,8 per cento solo la licenza elementare; questo potrebbe rendere nel futuro più difficile l'inserimento professionale dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare molto presto;
i dati Istat che si riferiscono alle famiglie italiane potrebbero essere anche fortemente sottostimati, se si considera la popolazione minorile zingara e extracomunitaria presente sul territorio italiano non censita o non ricompresa nell'indagine;
la Convenzione n. 182 sulla proibizione delle forme peggiori di lavoro mininorile, promossa dalla conferenza generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro, entrata in vigore nel novembre del 2000, in considerazione di tale emergenza, impegna i Paesi firmatari ad un'azione coordinata e immediata per l'eliminazione del grave fenomeno;

impegna il Governo

ad incrementare le risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo, in particolare destinando tali risorse a progetti finalizzati ad un'istruzione gratuita e obbligatoria accessibile a tutti i bambini e le bambine;
ad aumentare, a livello bilaterale e multilaterale, il sostegno finanziario a progetti nel campo dell'educazione, adeguati alla realtà sociale di ogni Paese e accompagnati da azioni di sensibilizzazione e incentivi alle famiglie più povere;
a rafforzare l'impegno per garantire l'accesso ai servizi essenziali e alle risorse produttive come primo passo nella strategia di lotta alla povertà;
a cancellare il debito estero dei Paesi più poveri, impegnando i Paesi debitori a convertire il debito condonato in programmi sociali;
a favorire interventi alternativi, come il commercio equo e solidale, e a promuovere il collegamento diretto tra i produttori dei Paesi in via di sviluppo autorganizzati e i consumatori;
ad incentivare il sistema preferenziale dell'Unione europea, che prevede sgravi tariffari per le merci provenienti dai Paesi che si impegnano contro il lavoro infantile;
a farsi promotore dell'introduzione di una «clausola sociale», anche all'interno dell'Organizzazione mondiale per il commercio e negli accordi commerciali internazionali, che attesti che i prodotti non derivano né da lavoro minorile, né dallo sfruttamento del lavoro adulto;
ad adottare opportune iniziative per promuovere l'adozione in Europa di una carta comune contro lo sfruttamento del lavoro minorile;
a sollecitare l'Organizzazione internazionale del lavoro ai fini dell'istituzione di un sistema di etichettatura - che garantisca il non utilizzo di lavoro minorile - e l'adozione dei relativi sistemi d'ispezione internazionale;
a dotarsi di adeguati strumenti per il monitoraggio e la rilevazione quantitativa e qualitativa del fenomeno del lavoro minorile in Italia e a fornire ogni anno alle competenti commissioni parlamentari un rapporto sulla situazione del lavoro minorile nel Paese;
ad affrontare lo sfruttamento minorile in Italia con una molteplicità di strumenti, opportunamente integrati, per tener conto delle diverse cause che concorrono al lavoro minorile e delle diverse caratteristiche dei bambini e delle famiglie coinvolti;
a sviluppare le azioni di intervento e di controllo degli ispettori del lavoro relative a questo fenomeno;
ad adottare opportuni strumenti per la prevenzione del lavoro minorile e dello sfruttamento;
ad assicurare la riabilitazione e l'integrazione sociale delle bambine e dei bambini ridotti in schiavitù o sfruttati sul lavoro;
ad adottare iniziative normative volte ad introdurre ed applicare sanzioni severe nei confronti delle imprese italiane che ricorrano al lavoro minorile;
a ridurre le condizioni di disagio economico e sociale che costringono le famiglie più povere a impegnare i minori nel lavoro;
a promuovere, anche ai sensi della legge 28 agosto 1997, n. 285, sia a livello di Governo centrale sia da parte degli enti locali e territoriali, progetti specificatamente mirati all'eliminazione del lavoro minorile nel nostro Paese e alla rimozione delle cause che determinano l'offerta di lavoro, destinando a tali progetti adeguate risorse;
ad incentivare a livello nazionale le iniziative di accordo tra le parti sociali finalizzate al controllo e all'eliminazione, in Italia e nel mondo, del lavoro dei bambini nei processi produttivi;
a promuovere un sistema di certificazione di conformità sociale per le imprese italiane, che non utilizzano lavoro minorile.
(1-00133) «Violante, Capitelli, Cordoni, Agostini, Bogi, Calzolaio, Innocenti, Magnolfi, Montecchi, Nicola Rossi, Ruzzante, Giacco, Pisa, Bolognesi, Buffo, Diana, Gasperoni, Motta, Nigra, Sciacca, Trupia, Battaglia, Di Serio D'Antona, Labate, Lucà, Petrella, Turco, Zanotti, Carli, Chiaromonte, Giulietti, Grignaffini, Lolli, Martella, Sasso, Tocci, Sandi».
(2 dicembre 2002)

La Camera,
premesso che:
nonostante l'impegno profuso in sede internazionale, al fine di combattere in modo efficace il problema dello sfruttamento del lavoro minorile, e l'adozione, in quest'ambito, della Convenzione n. 182 dell'Organizzazione internazionale del lavoro e della Raccomandazione n. 190 sulla stessa materia, entrambe approvate a Ginevra il 17 maggio 1999 e autorizzate alla ratifica in Italia con legge 25 maggio 2000, n. 148, dati recenti confermano che il fenomeno continua a persistere, con particolare riguardo ad alcune regioni del mondo;
in particolare, le maggiori concentrazioni di sfruttamento di lavoro minorile si verificano in Asia, con una percentuale del 61 per cento, in Africa, dove il lavoro minorile arriva alla soglia del 32 per cento, ed in America Latina, dove si attesta al 7 per cento;
la Convenzione n. 182 dell' dell'Organizzazione internazionale del lavoro definisce, tra l'altro, le cosiddette «forme peggiori di lavoro minorile», individuandole in tutte le forme di schiavitù minorile, ivi compresi il lavoro forzato ed il reclutamento armato di minori, lo sfruttamento a fini pornografici e per altri fini illeciti - quali ad esempio il traffico di stupefacenti - e qualsiasi altro lavoro che metta a repentaglio la salute, la moralità o la sicurezza del minore;
l'indagine conoscitiva in materia di lavoro nero e minorile svolta dalla XI Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati nel corso della XIII legislatura ha evidenziato come questo fenomeno sia tutt'altro che sconfitto anche all'interno del nostro territorio nazionale, pur con diffusione diversa nelle realtà regionali, con una maggiore incidenza in alcune regioni meridionali, dove si collega a condizioni familiari di particolare degrado e indigenza ed al fenomeno del prematuro abbandono scolastico;
in base a quest'indagine, il lavoro minorile in Italia originerebbe soprattutto all'interno delle cosiddette micro-imprese, piccole attività artigianali o commerciali prevalentemente a conduzione familiare;
in Italia, inoltre, il fenomeno del lavoro minorile risulta essere particolarmente diffuso all'interno delle comunità di immigrati, dove risulta oltre modo difficile per gli organi competenti esercitare un controllo efficace ed acquisire dati certi, considerato anche l'alto tasso di clandestini all'interno delle suddette comunità;
un'importante problematica al riguardo è anche quella costituita dai cosiddetti «bambini ombra», termine con il quale si definiscono quei bambini giunti in Italia provenienti da Paesi nei quali non esiste un sistema di anagrafe obbligatoria e, quindi, in quanto privi di un nome e di una nazionalità certi, facili prede di sfruttamento a fini illeciti e, addirittura, crudeli, come il mercato degli organi;
in tutte le realtà nelle quali lo sfruttamento del lavoro minorile risulta essere più diffuso è stato riscontrato un evidente collegamento tra la povertà materiale dei cittadini, il tasso d'abbandono scolastico ed il lavoro minorile;
la frantumazione delle competenze in materia di tutela all'infanzia e, in particolare, di lotta allo sfruttamento del lavoro minorile rende difficoltosa sia l'acquisizione di dati certi sull'argomento, sia un incisivo ed efficace sistema di interventi;

impegna il Governo

a prevedere un efficace sistema di monitoraggio sul fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile, se del caso a ciò deputando appositi osservatori provinciali presso le direzioni provinciali del lavoro o presso le prefetture, che siano dotati di poteri d'indagine e di accesso agli atti della pubblica amministrazione, all'interno di un più ampio sistema di collaborazione tra tutti i soggetti che possano venire in possesso di informazioni utili in materia e che, da un lato, informino l'autorità giudiziaria per la parte di sua competenza in base ai meccanismi sanzionatori vigenti, mentre, dall'altro, riferiscano al ministero del lavoro e delle politiche sociali, affinché siano approntate le necessarie misure concrete volte a contrastare il fenomeno, ed al Parlamento, al fine di varare gli opportuni provvedimenti legislativi;
ad adottare un'iniziativa normativa volta ad istituire un'authority per le problematiche sull'infanzia, che sia dotata di poteri di coordinamento, di impulso e d'istruzione nei confronti degli altri enti pubblici e che possa attivare le procedure volte a dare assistenza ed aiuto ai minori e alle famiglie in difficoltà, anche attraverso l'incentivazione nel quadro del piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, degli aiuti alle associazioni impegnate nella prevenzione e nella lotta allo sfruttamento dei minori;
ad adottare iniziative normative volte a prevedere un sistema di etichettatura dei prodotti nazionali ed esteri commercializzati sul nostro territorio nazionale, che verifichi ed attesti che per la loro fabbricazione non siano stati impiegati minori sfruttati, e ad assumere le necessarie iniziative volte ad impedire la circolazione e commercializzazione sul territorio nazionale di prodotti per la cui realizzazione sia accertato il contributo di minori in stato di sfruttamento;
a controllare, in sede internazionale, attraverso le nostre rappresentanze istituzionali ed attraverso le associazioni impegnate in programmi di aiuti all'estero, il rispetto, da parte dei Paesi stranieri, delle convenzioni internazionali in materia di sfruttamento del lavoro minorile e a non stipulare accordi bilaterali con quei Paesi che non le rispettino o che non adottino nel loro sistema normativo nazionale una legislazione adeguata in materia;
ad attivarsi in sede comunitaria per qualificare la lotta allo sfruttamento dei minori come un tema prioritario dell'azione dell'Unione europea.
(1-00134) «Buontempo, Castellani, Lisi, Mussolini, Cannella, Porcu, Airaghi, Ascierto, Giulio Conti, Tagliatatela».
(2 dicembre 2002)

La Camera,
premesso che:
il fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile è una piaga che rischia purtroppo di diventare un elemento fin troppo strutturale di parte del sistema produttivo e imprenditoriale internazionale;
oltre ad essere impiegati nel lavoro agricolo in un'economia familiare di sussistenza, centinaia di milioni di bambini sono soprattutto vittime del lavoro nero e dei subappalti nelle concerie, nelle cave, nelle miniere, nei laboratori tessili e dei giocattoli, nelle fornaci, nell'edilizia, nella selezione dei rifiuti;
l'Organizzazione internazionale del lavoro ha recentemente reso noto che nel mondo quasi 250 milioni di bambini sono costretti al lavoro: di questi, più dei due terzi svolgono delle attività dannose per la loro salute fisica e mentale;
una realtà che interessa drammaticamente i Paesi poveri del mondo, ma che coinvolge anche, seppure in forma decisamente più ridotta, molti dei Paesi ad economia più avanzata ;
anche nel nostro Paese il fenomeno del lavoro minorile, che rappresenta l'aspetto più degradato e degradante del lavoro sommerso, è consistente, soprattutto nel Mezzogiorno. La Cgil calcola che siano circa 400 mila i minorenni coinvolti;
l'iniqua distribuzione della ricchezza a livello mondiale e le situazioni socio-economiche e politiche dei Paesi del sud del mondo, che vivono tra l'altro gli effetti negativi della globalizzazione economica, rappresentano certamente il contesto di riferimento obbligato per intendere gli aspetti strutturali del fenomeno del lavoro minorile;
l'estrema complessità del fenomeno del lavoro minorile, comunque da combattere, impone una prima distinzione tra lavoro e sfruttamento del lavoro, perché lo sfruttamento è un reato contro l'umanità tutta, mentre certi tipi di esperienza lavorativa hanno un ruolo funzionale nel garantire la sopravvivenza fisica del bambino e della sua famiglia. Va ricordato che ci sono in America latina, in Africa e in Asia molti movimenti, costituiti dagli stessi bambini appoggiati da organizzazioni non governative, che stanno cercando strategie e soluzioni, tra questi il movimento internazionale dei Nats (Ninos adolescentes trabajadores - Bambini e adolescenti lavoratori): movimento che chiede che si distingua tra lavoro svolto in certe condizioni, degno, tutelato, con orari che consentano di studiare e giocare, e utilizzo di bambine e bambini in traffici illeciti, nella prostituzione, nelle forme di schiavitù, nel lavoro forzato;
la Convenzione del 1999, promossa dall'Organizzazione internazionale del lavoro, sulla proibizione delle peggiori forme di lavoro minorile, ossia su quei lavori che, per loro natura o per le circostanze in cui vengono svolti, compromettono la salute, la sicurezza o la moralità di un minore, impegna i Paesi firmatari ad agire per contrastare questo fenomeno;

impegna il Governo

a cancellare il debito estero dei Paesi poveri, impegnando gli stessi Paesi a convertire l'equivalente del debito condonato in programmi sociali;
ad agire, all'interno delle istituzioni internazionali, perché vengano tenuti in considerazione i diritti delle popolazioni povere e siano modificate le politiche del Fondo monetario internazionale, responsabili di danni sociali nei Paesi dove sono state applicate;
ad incentivare programmi sociali che sostengano progetti in favore dell'infanzia in difficoltà;
a prevedere, anche a livello comunitario, degli incentivi nei confronti di quei Paesi che si impegnano a combattere il fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile al loro interno;
ad assicurare progetti ed iniziative a livello internazionale che garantiscano condizioni di vita adeguare alle bambine, ai bambini e agli adolescenti lavoratori e recepiscano quanto espresso e richiesto dai loro movimenti;
a favorire quei progetti di sviluppo nel sud del mondo realizzati dalle organizzazioni non governative e dai movimenti impegnati in vario modo nella lotta allo sfruttamento del lavoro infantile;
a promuovere l'istituzione di una sorta di marchio etico internazionale, con il quale si possano distinguere quei beni e servizi prodotti senza utilizzo del lavoro minorile e nel rispetto delle normative ambientali;
a dotarsi di strumenti più efficaci e di maggiori risorse finanziarie per il controllo e la lotta al fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile in Italia.
(1-00146) «Boato, Zanella, Cima, Pecoraro Scanio, Bulgarelli, Cento, Lion».
(28 gennaio 2003)

La Camera,
premesso che:
lo sfruttamento del lavoro minorile è cosa esecrabile, così come sottolineato anche dall'Organizzazione internazionale del lavoro nella giornata dedicata a questo problema nel giugno del 2002: giornata che sarà ripetuta nel corso degli anni a venire;
il lavoro minorile può, infatti, comportare gravi conseguenze sullo sviluppo del minore, sia sul piano fisico che su quello psicologico;
assai spesso lo sfruttamento del minore si esplica nel corso della giornata per un numero di ore tale da impedire qualsiasi attività ludica e cognitiva, il che preclude, di fatto, al minore la propria crescita sia come persona che come cittadino;
secondo i dati dell'Organizzazione internazionale del lavoro, vi sono 246 milioni di bambini nel mondo, di età compresa tra i cinque ed i diciassette anni, obbligati a lavorare e, di questi, quasi la metà è utilizzata in lavori dannosi per la salute fisica e mentale;
sempre secondo i dati dell'Organizzazione internazionale del lavoro, otto milioni di bambini subiscono varie forme di schiavitù in quanto avviati alla prostituzione, alla pornografia, allo spaccio di droga e, comunque, ad attività criminose;
la gran maggioranza di questi bambini vive in Paesi in via di sviluppo e, comunque, nelle zone più oberate dal debito estero nei confronti dei Paesi più industrializzati;
in Italia esistono ragazzini, nell'ordine di alcune decina di migliaia, che lavorano assai spesso per volontà della loro stessa famiglia;
nell'indagine conoscitiva svolta nella XIII legislatura nella Commissione XI lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, l'impiego dei minori italiani nel lavoro è parso derivare da povertà materiale e culturale delle famiglie, il che è valutabile da un primo immediato sintomo costituito dall'abbandono e, quindi, dalla dispersione scolastica;

impegna il Governo

ad esercitare una forte azione internazionale tendente ad ottenere la cancellazione del debito estero nei Paesi in via di sviluppo interessati dal fenomeno del lavoro minorile;
a promuovere l'applicazione di adeguate forme di certificazione per le imprese italiane operanti all'estero, che attestino il non coinvolgimento dei minori nella lavorazione dei propri prodotti;
a promuovere l'istituzione a livello di Organizzazione mondiale per il commercio di una clausola di «attestazione sociale» che certifichi i prodotti non derivati da sfruttamento di lavoro minorile;
a promuovere, nell'ambito della cooperazione internazionale, progetti adeguati a determinare l'affrancamento del più alto numero di famiglie dai bisogni materiali ed il contemporaneo avvio di soggetti scolastici;
a dotare le scuola italiane di equipe psico-pedagogiche che possano individuare immediatamente forme di disagio del minore, coinvolgendo la scuola, la famiglia ed i servizi sociali, al fine di evitare la dispersione scolastica;
a implementare il numero e ad elevare la qualità degli addetti ai servizi sociali pubblici, con l'impegno di adeguare risorse finanziarie, così da monitorare in modo efficace il territorio nazionale, prevenendo forme di sfruttamento del lavoro minorile;
a promuovere, a livello locale, con il coinvolgimento del privato sociale e delle organizzazioni di volontariato, progetti adeguati ad incidere sulle forme di povertà materiale e culturale delle famiglie, al fine di eliminare forme di lavoro minorile nel nostro Paese.
(1-00147) «Pisicchio, Mazzuca, Mastella, Cusumano, Luigi Pepe, Ostillio, Potenza, Boato».
(28 gennaio 2003)



INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA


PISICCHIO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
ad oltre due mesi dall'entrata in vigore della cosiddetta legge «Bossi-Fini», che si prefiggeva l'obiettivo di regolarizzare la posizione dei lavoratori extracomunitari, attraverso la presentazione, d'intesa con i datori di lavoro, del cosiddetto «kit per l'emersione», ben 679 mila domande sono state presentate alle prefetture di tutt'Italia;
a fronte dell'ingente mole di domande presentate si riscontrerebbero, a tutt'oggi, solo poche centinaia di convocazioni per la regolarizzazione (su 315.000 pratiche affluite presso gli uffici del Governo delle prime dieci città italiane, solo 2.231 sarebbero state concluse);
in particolare, nelle maggiori città meridionali, come Napoli e Bari, la situazione si presenterebbe particolarmente critica: a Napoli solo 200 pratiche sarebbero state evase a fronte delle 34 mila presentate e a Bari solo 37 su 6900;
l'origine di questa clamorosa inadempienza da parte degli organi preposti all'esecuzione delle disposizioni di legge sarebbe, oltre alla farraginosità del meccanismo legislativo, il fallimento del sistema elettronico di lettura delle domande, che non appare adeguato a fornire risposte attendibili;
stando alle stesse affermazioni dei funzionari delle prefetture, la lista di attesa accumulata sarebbe tale da lasciar prefigurare tempi di attesa lunghissimi, addirittura decennali, se non saranno adottate misure tempestive ed interventi adeguati;
in questa situazione gli extracomunitari, che, in buona fede e con civismo più alto di quello che sta dimostrando la macchina burocratica ministeriale, hanno presentato domanda il 12 novembre 2002 con l'intento di regolarizzare la propria posizione, rischiano oggi di venire collocati in una condizione di pericoloso «limbo» giuridico, in qualche modo resi prigionieri dalla cosiddetta legge «Bossi-Fini», privati persino dei diritti di circolazione - poiché se uscissero per qualche urgente ragione dal nostro Paese non potrebbero più farvi rientro - e, in qualche caso, alla mercè assoluta di persone prive di scrupolo umanitario;
va considerato, infine, che secondo calcoli attendibili, le poste italiane avrebbero introitato con le pratiche per la regolarizzazione ben 350 milioni di euro, una cifra che, dunque, avrebbe potuto consentire l'adozione di tecnologie meno scadenti per lo smaltimento delle domande di regolarizzazione -:
quali urgenti provvedimenti intenda adottare per porre fine a tale incresciosa e paradossale situazione, in cui i tentativi di regolarizzazione della propria posizione lavorativa da parte dei lavoratori extracomunitari, ai sensi della cosiddetta legge «Bossi-Fini», si ritorcono contro gli stessi richiedenti.
(3-01855)
(28 gennaio 2003)

BOCCIA. - Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. - Per sapere - premesso che:
il Governo nella XIII legislatura ha sempre rispettato l'articolo 135-bis del Regolamento della Camera dei deputati e hanno risposto alle interrogazioni a risposta immediata in assemblea, secondo quanto previsto, il Presidente o il Vicepresidente del Consiglio dei ministri;
lo strumento dell'interrogazione a risposta immediata in assemblea offre ai cittadini la possibilità di conoscere, per il tramite dei propri rappresentanti alla Camera dei deputati, l'attività del Governo ed allo stesso Governo offre l'occasione di fornire ai cittadini utili informazioni;
nella presente legislatura il Presidente ed il Vicepresidente del Consiglio dei ministri non partecipano alle sedute di interrogazioni a risposta immediata in assemblea -:
quali motivi siano alla base della decisione del Governo di non far rispondere alle interrogazioni a risposta immediata in assemblea il Presidente o il Vicepresidente del Consiglio dei ministri e quali iniziative intenda assumere affinché si ponga fine alla negativa situazione.
(3-01856)
(28 gennaio 2003)

BENVENUTO, INNOCENTI, RUZZANTE, CENNAMO, COLUCCINI, DE BRASI, FLUVI, GALEAZZI, GRANDI, NANNICINI, NICOLA ROSSI e TOLOTTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nel corso della settimana dal 20 al 26 gennaio 2003 sono stati pubblicati su alcuni tra i maggiori quotidiani a diffusione nazionale messaggi pubblicitari del ministero dell'economia e delle finanze con i quali si ponevano in rilievo gli effetti di riduzione del carico fiscale che sarebbero stati determinati dalla legge finanziaria per il 2003;
i suddetti messaggi, pubblicati presumibilmente a pagamento, occupavano un'intera pagina dei quotidiani in questione;
il primo modulo della riforma fiscale, introdotto dall'articolo 2 della legge n. 289 del 2002, infatti, appare suscettibile di arrecare beneficio soltanto ad alcune categorie di contribuenti, mentre per la gran parte dei titolari di redditi medi risulta sensibilmente peggiorativo rispetto al trattamento tributario che sarebbe stato ad essi applicabile nel periodo di imposta 2003 in base alle previgenti disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi, introdotte dalla legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria per il 2001);
in particolare, la cosiddetta «clausola di salvaguardia», prevista dal comma 3 del citato articolo 2 della legge n. 289 del 2002, la quale consente ai contribuenti di applicare il regime vigente alla data del 31 dicembre 2002 per il calcolo dell'imposta dovuta, qualora esso risulti più favorevole di quello derivante dal medesimo articolo 2, è stata intesa dalla circolare dell'agenzia delle entrate n. 2/E del 15 gennaio 2003 nel senso che il contribuente può avvalersi dal regime relativo al periodo di imposta 2002 e non di quello, nettamente più favorevole, previsto per il 2003 dalla formulazione previgente del testo unico delle imposte sui redditi;
il bilancio di previsione 2003, di cui alla legge n. 290 del 2002, inoltre, reca all'unità previsionale relativa alla restituzione e ai rimborsi di imposta uno stanziamento di 25,6 miliardi di euro, con una riduzione pari a circa 3,6 miliardi di euro rispetto alle previsioni assestate per il 2002;
tale consistente riduzione appare suscettibile di determinate ulteriori ritardi nel pagamento dei rimborsi di imposta Irpef e Irpeg arretrati, pari a circa 14 miliardi di euro, in evidente contrasto con l'impegno del Governo di procedere ai rimborsi arretrati relativi all'Irpef entro il 2005;
per tali ragioni, il contenuto dei messaggi pubblicati non sembra fornire un'esatta rappresentazione dell'impatto della legge n. 289 del 2002 sulla generalità dei contribuenti -:
quali importi siano stati pagati dal ministero dell'economia e delle finanze per la pubblicazione dei suddetti messaggi pubblicitari e quali iniziative intenda adottare per garantire l'integrale e tempestivo pagamento dei rimborsi di imposta arretrati.
(3-01857)
(28 gennaio 2003)

CÈ, GUIDO GIUSEPPE ROSSI, DARIO GALLI, BRICOLO, ERCOLE, BALLAMAN, BIANCHI CLERICI, CAPARINI, DIDONÈ, GUIDO DUSSIN, LUCIANO DUSSIN, FONTANINI, GIBELLI, GIANCARLO GIORGETTI, LUSSANA, MARTINELLI, FRANCESCA MARTINI, PAROLO, PAGLIARINI, POLLEDRI, RIZZI, SERGIO ROSSI, STUCCHI e VASCON. - Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. - Per sapere - premesso che:
è stato lanciato l'allarme dal Governo circa l'esistenza di una violenza politica diffusa, capace di manifestarsi in una miriade di attentati e di gesti dimostrativi di bassa intensità;
le operazioni di polizia in Italia e nel resto d'Europa, condotte nei confronti di immigrati islamici, sospettati di organizzare azioni terroristiche hanno riportato molti successi;
vi è il reale pericolo che, nel caso dello scoppio di un conflitto armato in Iraq, possa esserci una recrudescenza delle azioni terroristiche tramite una saldatura operativa tra gruppi islamici e organizzazioni eversive nazionali di stampo brigatistico;
vi è un crescente numero di centri islamici in fase di progettazione sul territorio nazionale, come nei casi di Colle Val d'Elsa (provincia di Siena) e di Carmagnola (provincia di Torino), progetto quest'ultimo da oltre 15 miliardi di vecchie lire, relativo alla costruzione di una non ben definita «città di Allah»;
è risultato che in altri Paesi la costruzione di moschee e centri islamici sia stata finanziata da organizzazioni islamiche eversive -:
quali misure di prevenzione il Governo intenda adottare per vigilare ed eventualmente impedire la costruzione di quei centri islamici capaci di alimentare ulteriormente le problematiche di sicurezza e di ordine pubblico evidenziate in questi giorni.
(3-01858)
(28 gennaio 2003)

ANTONIO LEONE, ARACU e GIANFRANCO CONTE. - Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. - Per sapere - premesso che:
le eccezionali precipitazioni che hanno duramente colpito una vasta area del versante adriatico della penisola, ricompresa in tre diverse regioni (Puglia, Molise ed Abruzzi), hanno arrecato pesanti disagi alle popolazioni e gravi danni alle infrastrutture pubbliche ed ai beni dei privati cittadini;
le frane, gli smottamenti e, soprattutto, i vasti allagamenti hanno arrecato danni molto rilevanti alle attività agricole, industriali, commerciali ed artigianali, oltre che alle abitazioni civili, ponendo in grave crisi territori vasti e popolosi -:
quali misure siano state adottate per fronteggiare l'emergenza nelle regioni citate e quali ulteriori interventi si intendano porre in essere per riparare le infrastrutture pubbliche, risarcire adeguatamente i danni ai privati cittadini e per consentire una rapida ripresa dell'attività di tutti i settori produttivi messi in grave crisi dagli eventi alluvionali predetti.
(3-01859)
(28 gennaio 2003)

ALFONSO GIANNI. - Al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
sono state avviate le procedure per la messa in mobilita per tutte le lavoratrici e i lavoratori della Marzotto di Manerbio, in provincia di Brescia: l'intenzione della società è di chiudere definitivamente il sito produttivo;
questo comporterebbe un'ulteriore perdita per il nostro Paese nel campo della produzione tessile;
sull'area su cui sorge lo stabilimento di Manerbio si profila il pericolo di speculazioni;
una recente riunione tenutasi presso il ministero delle attività produttive in data 9 gennaio 2003, di cui la stampa ha dato notizia, alla quale però erano assenti le organizzazioni sindacali, non ha prodotto cambiamenti di atteggiamento dell'azienda e il termine per la procedura di cui sopra è fissato per il 7 febbraio 2003 -:
cosa il Governo intenda fare per salvaguardare la continuità della produzione e dell'occupazione e se non ritenga necessaria e urgente l'apertura di un tavolo nazionale, con la presenza dell'azienda e delle organizzazioni sindacali nazionali e locali, al fine di ridiscutere il piano industriale per evitare soluzioni traumatiche e negative in un settore già provato da diverse crisi.
(3-01860)
(28 gennaio 2003)

TANZILLI. - Al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
la provincia di Frosinone sta vivendo una forte crisi economica ed occupazionale cui si è aggiunta la crisi che ha investito la Fiat e, conseguentemente, lo stabilimento di Cassino;
non meno importante, quanto a impatto occupazionale, risulta essere la situazione in cui versa la «Nuova Cisa s.r.l.», opificio cartotecnico, la cui ristrutturazione aziendale, iniziata negli anni compresi tra il 1987 e il 1993, finanziata dallo Stato attraverso l'Isveimer prima e l'AgenSud in seguito, non ha prodotto gli effetti sperati;
l'opificio in questione sembra che sia in procinto di chiudere la propria attività, con il pericolo concreto per le maestranze di perdere il posto di lavoro -:
se siano stati effettuati controlli volti a verificare che il finanziamento pubblico concesso all'azienda in questione sia stato effettivamente utilizzato per la ristrutturazione aziendale.
(3-01861)
(28 gennaio 2003)

LA RUSSA, AIRAGHI, ALBONI, AMORUSO, ANEDDA, ARMANI, ARRIGHI, ASCIERTO, BELLOTTI, BENEDETTI VALENTINI, BOCCHINO, BORNACIN, BRIGUGLIO, BUONTEMPO, BUTTI, CANNELLA, CANELLI, CARDIELLO, CARRARA, CARUSO, CASTELLANI, CATANOSO, CIRIELLI, COLA, GIORGIO CONTE, GIULIO CONTI, CORONELLA, CRISTALDI, DELMASTRO DELLE VEDOVE, FASANO, FATUZZO, FIORI, FOTI, FRAGALÀ, FRANZ, GALLO, GAMBA, GERACI, GHIGLIA, ALBERTO GIORGETTI, GIRONDA VERALDI, LA GRUA, LA STARZA, LAMORTE, LANDI DI CHIAVENNA, LANDOLFI, LEO, LISI, LO PRESTI, LOSURDO, MACERATINI, MAGGI, MALGIERI, GIANNI MANCUSO, LUIGI MARTINI, MAZZOCCHI, MENIA, MEROI, MESSA, MIGLIORI, MUSSOLINI, ANGELA NAPOLI, NESPOLI, ONNIS, PAOLONE, PATARINO, ANTONIO PEPE, PEZZELLA, PORCU, RAISI, RAMPONI, RICCIO, RONCHI, ROSITANI, SAGLIA, SAIA, GARNERO SANTANCHÈ, SCALIA, SELVA, SERENA, STRANO, TAGLIALATELA, TRANTINO, VILLANI MIGLIETTA, ZACCHEO e ZACCHERA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
i casi di meningite nei mesi di novembre e dicembre 2002 in alcuni comuni della Lombardia hanno creato notevole allarme tra la popolazione di tutto il Paese;
per la meningite, fortunatamente divenuta ormai rara, non è più previsto il vaccino obbligatorio a carico del servizio sanitario nazionale e sono, quindi, pochissime le persone vaccinate contro questo grave male;
a seguito dei casi riscontrati in Lombardia, sul territorio regionale è stata predisposta una campagna di diecimila vaccinazioni, rispetto alla quale la regione sopporterà le spese per il prodotto immunizzante, mentre la somministrazione del vaccino sarà effettuata a spese dei cittadini che ne facciano richiesta -:
quali notizie il Ministro interrogato sia in grado di fornire sull'effettiva consistenza o assenza di un pericolo di epidemia e sull'eventuale estensione in altre regioni di casi quali quelli verificatisi in Lombardia, se e quali provvedimenti intenda assumere, di concerto con le regioni, al fine di prevenire la diffusione della malattia e se non ritenga opportuno disporre una campagna d'informazione e sensibilizzazione in ambito nazionale, al fine di rendere possibile la tempestiva individuazione di eventuali ulteriori casi di malattia e il tempestivo intervento delle strutture mediche preposte.
(3-01862)
(28 gennaio 2003)



INTERPELLANZA ED INTERROGAZIONI

A) Interrogazioni

CAPITELLI, RUZZANTE e QUARTIANI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella città di Pavia, domenica 13 ottobre 2002, è accaduto un grave episodio di intimidazione e violenza nei confronti dei giovani del centro culturale «Il Barattolo», perpetrato da un gruppo organizzato di persone che si richiamano all'ideologia nazista;
minacce e intimidazioni non sono un fatto nuovo, tanto che tra i giovani di Pavia serpeggia un clima di paura;
i personaggi che hanno agito domenica 13 ottobre 2002 sono ben noti alle forze di polizia -:
quali misure intenda adottare per la prevenzione di simili gravi fatti e se non ritenga di dover procedere allo scioglimento di gruppi pericolosi, che si rifanno ad un'ideologia incentrata sull'intolleranza, sulla discriminazione e sull'azione violenta, in aperto contrasto con i principi della Costituzione italiana e le disposizioni della cosiddetta «legge Mancino».
(3-01490)
(16 ottobre 2002)

MASCIA e ALFONSO GIANNI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi mesi Pavia è stata teatro di gravi episodi che hanno visto protagonisti gruppi naziskin;
il 13 ottobre 2002, una quarantina di naziskin ha assediato per due ore il centro sociale «Il Barattolo», dando vita a un picchetto contro la serata antifascista programmata in via dei Mille, con tanto di bandiere con croci celtiche e saluti romani;
stando alla cronaca riportata dal quotidiano La Provincia pavese (15 ottobre 2002), in quelle due ore si sono vissuti momenti di fortissima tensione. Nell'articolo si legge, tra l'altro: «Sono le tre del pomeriggio: il Barattolo è pieno di giovani (tra cui molte ragazze), che partecipano al laboratorio teatrale con un attore del Living Theatre, che ne uscirà poi sconcertato. Mentre dentro si fanno le prove, fuori arriva un folto gruppo di naziskin. Inconfondibili. Si parano davanti al cancello del «Il Barattolo». Alcuni di loro bloccano l'uscita, arrotolando la catena tra le sbarre e chiudendo il lucchetto. Stendono sul cancello lo striscione nero inneggiante Ramelli (giovane di destra rimasto vittima negli anni '70), impedendo sia l'entrata, che l'uscita dal «Il Barattolo»;
dopo l'arrivo delle forze dell'ordine il cancello viene finalmente aperto, ma la loro presenza non basta ad impedire che un giovane del centro sociale subisca l'aggressione di un naziskin;
durante la festa cittadina di Liberazione del 2002 rappresentanti del Partito della rifondazione comunista locale hanno sporto formale denuncia contro ignoti che si sono introdotti nell'area della festa, disegnando sulla pedana da ballo una croce celtica;
in seguito alla denuncia le forze dell'ordine hanno pattugliato sistematicamente lo spazio riservato alla festa di Liberazione;
la sede del Partito della rifondazione comunista di Stradella e il circolo del Partito della rifondazione comunista di Pavia hanno più volte subito danneggiamenti -:
quali iniziative a tutela dell'ordine pubblico intenda adottare per impedire il ripetersi di questi gravi episodi, di cui sono protagonisti gruppi di estrema destra ispirati all'ideologia neonazista, che agiscono in aperto contrasto con la Costituzione e con la cosiddetta «legge Mancino»;
in particolare, ove fosse verificato dalla magistratura che tali gruppi si ispirano a ideologie fondate sull'intolleranza e sulla violenza, se non intenda procedere al loro scioglimento.
(3-01558)
(5 novembre 2002)

B) Interpellanza

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dell'interno e delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
all'ingresso del paese di Casirate d'Adda, in provincia di Bergamo, è stato esposto un cartello stradale che fa divieto di passaggio e, quindi, di sosta ai nomadi con roulotte;
rispetto a siffatta iniziativa assunta dal comune vengono segnalate lagnanze, in forme alquanto civili, tra le quali quella di un'associazione rom di Pisa (Acer) in rappresentanza di una comunità di nomadi, che, con una lettera aperta di protesta inviata per conoscenza anche a istituzioni italiane, gruppi politici, associazioni di volontariato e cittadini, si è rivolta al sindaco di Casirate d'Adda domandando la rimozione del divieto in oggetto;
un divieto che limiti la circolazione a persone per il solo fatto della loro appartenenza ad un determinato popolo assume carattere di estrema gravità sotto il profilo dei diritti civili e umani garantiti dal nostro ordinamento costituzionale -:
se la vicenda esposta possa configurare gli estremi per la rimozione del sindaco ai sensi dell'articolo 142 del testo unico degli enti locali.
(2-00408) «Duilio, Annunziata, Reduzzi, Castagnetti, Monaco, Boccia, Pasetto, Giachetti».
(2 luglio 2002)

C) Interrogazione

DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la prima sezione del Consiglio di Stato, con il parere 17 ottobre 2001, n. 885, ha pronunciato il seguente parere: «A seguito dell'intervenuta abrogazione - disposta dall'articolo 274 del testo unico 18 agosto 2000, n. 267 - dell'articolo 106 del vecchio testo unico 3 marzo 1934, n. 183 (il quale si poneva come norma primaria autorizzatrice del potere degli enti locali di irrogare sanzioni amministrative per la violazione di regolamenti, stabilendo che, quando la legge non disponga altrimenti, le contravvenzioni alle disposizioni dei regolamenti comunali sono punite con la sanzione amministrativa fino a lire 1.000.000), deve ritenersi che sia venuto meno il potere sanzionatorio in capo alle amministrazioni locali, in un contesto ordinamentale in cui, da un lato l'articolo 23 della Costituzione riserva alle legge ogni imposizione di prestazioni personali e patrimoniali, dall'altro l'articolo 1 della legge quadro 24 novembre 1981, n. 689 (modifiche al sistema penale), ribadisce, in coerenza con il dettato costituzionale, il principio di legalità e di riserva legislativa, alla stregua del quale »nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione»;
l'articolo 106 del testo unico 3 marzo 1934, n. 383, svolgeva una funzione ineliminabile in un ordinamento come il nostro, strettamente informato al principio di riserva legislativa nell'ambito sanzionatorio, e la sua abrogazione ha effettivamente determinato un vuoto normativo, che va quanto più possibile tempestivamente colmato in sede normativa primaria, per due ragioni:
a) la prima, ovviamente, attiene alla necessità di non lasciare sguarnite di sanzione le violazioni delle norme regolamentari degli enti locali, che non siano altrimenti assistite da altre disposizioni legislative;
b) la seconda, del tutto opposta, attiene al pericolo che - in estrema ipotesi - le suddette violazioni si trovino ad essere «ri-penalizzate» in relazione al disposto dell'articolo 650 del codice penale, il quale, come è noto, sanziona penalmente l'inosservanza dei provvedimenti legalmente dati dall'autorità;
una volta infatti venuta meno la previsione della sanzione amministrativa, non potrebbe escludersi a priori l'operatività dell'articolo 650 del codice penale (non a caso ritenuto norma di estrema chiusura), il che risulta del tutto contraddittorio con le linee di depenalizzazione, che informano l'attuale sistema sanzionatorio, e conferma l'assoluta esigenza dell'intervento del legislatore;
con il citato parere, il Consiglio di Stato ha clamorosamente bocciato l'interpretazione relativa al permanere della potestà sanzionatoria degli enti locali, formulata dal ministero dell'interno con la propria risoluzione del 7 marzo 2001;
la risoluzione del 7 marzo 2001 del ministero dell'interno si palesava ictu oculi insostenibile e tentava, con forzature giuridiche, di assolvere il Governo dall'errore commesso con l'abrogazione dell'articolo 106 del regio decreto 383 del 1934, a cui si sarebbe potuto porre riparo con un decreto-legge che eliminasse il vuoto normativo;
dopo un anno la situazione è rimasta purtroppo immutata, mentre, nel frattempo, sulla base dell'errato orientamento espresso dal ministero dell'interno, molti enti locali hanno modificato statuti e regolamenti, introducendo disposizioni sulle sanzioni amministrative, che, alla luce del parere della prima sezione del Consiglio di Stato, sono da considerarsi del tutto illegittime;
il parere del Consiglio di Stato non ha ricevuto l'adeguata pubblicità che avrebbe meritato, anche perché attestava l'inadeguatezza dell'interpretazione fornita dal ministero dell'interno del precedente Governo;
la situazione deve essere affrontata con determinazione ed urgenza dal Governo, tenendo conto della «assoluta esigenza dell'intervento del legislatore», affermata dalla prima sezione del Consiglio di Stato -:
se non ritenga di dovere urgentemente intervenire, con lo strumento del decreto-legge, per eliminare il vuoto normativo generato dall'abrogazione dell'articolo 106 del testo unico 3 marzo 1934, n. 383, operata con il testo unico 18 agosto 2000, n. 267, vuoto che pone molti enti locali, fuorviati dall'interpretazione fornita con la risoluzione del 7 marzo 2001, in condizioni di evidentissima illegittimità.
(3-00966)
(14 maggio 2002)

D) Interrogazione

D'AGRÒ. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in vigenza della legge n. 142 del 1990 la formazione delle unioni era riservata ai comuni di minore dimensione demografica, ossia con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, e prevedeva alla fine l'obbligo di fusione degli stessi;
il nuovo testo unico sulle autonomie locali ha eliminato, con l'articolo 32, entrambi i vincoli ed ha portato alla costituzione di unioni di comuni di medie e grandi dimensioni, con il risultato di avere le cosiddette «unioni di carta», il cui scopo è quello di ottenere consistenti contributi dallo Stato e dalle regioni;
in particolare, il decreto ministeriale 1o settembre 2000, n. 318, che stabilisce i criteri di ripartizione dei contributi statali destinati alle unioni dei comuni, privilegiando il criterio dell'entità demografica, ha di fatto snaturato i principi che avevano ispirato il legislatore a favorire la nascita dei comuni di piccole dimensioni;
inoltre, secondo la normativa vigente, le comunità montane sono unioni di comuni e, pertanto, partecipano anch'esse ai contributi, erogati con criterio demografico, previsti dal decreto ministeriale n. 318 del 2000, depauperando ulteriormente il fondo nazionale a favore delle unioni;
il continuo prosciugamento di risorse a favore delle «unioni di carta» pone in gravi difficoltà i piccoli comuni, che avevano trovato nell'istituto delle unioni uno strumento importante per assicurare nell'attuale contingenza risorse necessarie per garantire i servizi essenziali ai propri cittadini, nella prospettiva di una vera e propria fusione -:
se non sia opportuno il ritorno all'originaria concezione dell'istituto delle unioni, privilegiando aggregazioni tra piccoli comuni per la gestione associata dei servizi e l'ammodernamento e la razionalizzazione delle realtà locali, in uniformità ai parametri europei;
se intenda promuovere una modifica del decreto ministeriale n. 318 del 1o settembre 2000, introducendo nuovi criteri per l'erogazione dei contributi che non privilegino l'entità demografica, che finora ha favorito il nascere esplosivo e indiscriminato di unioni di comuni di medie e grandi dimensioni, disattendendo l'obiettivo della razionale fusione di piccoli comuni.
(3-01410)
(25 settembre 2002)

E) Interrogazione

BLASI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
tra domenica 17 e lunedì 18 marzo 2002, una manovra sbagliata, o forse un incidente, all'interno del centro olii di Viggiano, nell'area della Val d'Agri in Basilicata, interessata ad un massimo sfruttamento di idrocarburi, ha causato la fuoriuscita di un rilevante quantitativo di greggio;
il greggio si è riversato nelle condotte di scarico che portano al depuratore gestito dal consorzio di bonifica dell'alta Val d'Agri;
a causa delle piogge insistenti di quei giorni, il depuratore non è riuscito a smaltire completamente il flusso di acque reflue, ha traboccato e, pertanto, una consistente quantità di petrolio è fuoriuscita dall'impianto di depurazione ed è finita nei canali di scolo, che portano al fiume Agri (si fa presente che il fiume Agri è vicinissimo al centro olii, circa 200 metri in linea d'aria);
il petrolio greggio è affluito anche in una vasca di raccolta del consorzio di bonifica utilizzata, generalmente, per usi irrigui in agricoltura -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quando si sia verificato l'incidente, da cosa sia stata provocata la fuoriuscita del greggio dagli impianti del centro olii, quale sia il quantitativo di greggio che è fuoriuscito e se il greggio abbia raggiunto il fiume Agri e, quindi, il bacino del Pertusillo;
se esista un piano di prevenzione o di intervento immediato in grado di far fronte tempestivamente ad un'emergenza di questo tipo, o magari ancora più grave, oppure se si sia completamente in balia dell'Eni;
quale ruolo abbiano svolto in tale disastrosa circostanza le autorità comunali, provinciali e regionali preposte alla vigilanza del territorio;
quali iniziative si intendano porre in essere, vista l'inerzia della regione Basilicata, affinché si ponga rimedio a quello che, ad avviso dell'interrogante, è uno strapotere dell'Eni, che, nella fattispecie, è controllato e controllore nello stesso tempo, in ordine al monitoraggio ambientale, alla sicurezza ed alla salvaguardia del territorio, il tutto nel contesto di quanto già richiesto con l'interpellanza n. 2-00077 del 14 novembre 2001 presentata al Senato della Repubblica dal senatore Ponzo.
(3-00829)
(21 marzo 2002)

F) Interrogazioni

LOSURDO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
a seguito della straordinaria ondata di piena registrata dal fiume Po nell'anno 2000, il magistrato per il Po aveva provveduto per motivi di sicurezza a tagliare l'argine nella golena di Torriana di Serravalle Po, che è compreso nel territorio di Pieve di Coriano;
la corrente del fiume Po in piena ha sgretolato progressivamente l'argine in questione;
ad oggi, non risulta si sia ancora provveduto ad eseguire le necessarie opere di ripristino dell'argine golenale;
la popolazione di Serravalle Po, in occasione delle piene invernali e primaverili, è annualmente costretta a vivere in situazioni di emergenza e pericolo, che ne condizionano le modalità di vita anche sotto l'aspetto psicologico -:
quali iniziative intenda intraprendere per definire al più presto le strategie di intervento e per concretizzare i lavori di potenziamento dell'argine golenale posto a difesa delle abitazioni, al fine di rassicurare la popolazione e di garantirne l'incolumità.
(3-01586)
(18 novembre 2002)

LOSURDO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
a seguito della straordinaria ondata di piena registrata dal fiume Po nell'anno 2000, alcuni argini maestri, quello compreso tra i comuni di Carbonara Po e Borgofranco sul Po, nonché quello tra i comuni di Pieve di Coriano e Quingentole, sono risultati insufficienti alla protezione dell'abitato, in quanto risultano superati e necessitano di lavori di potenziamento;
fu inviato nel dicembre 2000 un documento congiunto di tutti i sindaci dei comuni del Destra Secchia nel quale si chiedeva alle autorità competenti interventi urgenti, soprattutto con riferimento al rialzo ed al rafforzamento dell'argine maestro nei tratti mancanti -:
quali iniziative intenda intraprendere presso gli enti interessati per definire al più presto le strategie di intervento e per concretizzare i lavori di potenziamento degli argini sopra citati posti alla difesa delle abitazioni, al fine di rassicurare le popolazioni e di garantirne l'incolumità.
(3-01587)
(18 novembre 2002)

G) Interrogazione

SGOBIO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
al centro di tre popolari quartieri della città di Bari è in stato di totale abbandono l'area dell'ex cementificio Fibronit;
la stessa area risulta gravemente inquinata, poiché nel sottosuolo vi sono tonnellate di materiale contenente amianto, scaricate e sotterrate dalla stessa Fibronit negli anni che vanno dal 1935 al 1985;
la società Fibronit non ha mai provveduto alla messa in sicurezza d'emergenza, come previsto dal decreto ministeriale n. 471 del 1999, articolo 4, comma 1, nonostante l'obbligo derivante ai sensi dell'articolo 3, comma 1, dello stesso decreto;
nel mese di luglio 2002, il quadro dell'inquinamento si è ulteriormente aggravato per la scoperta da parte del nucleo operativo territorio e ambiente della provincia di Bari, di sotterranei e vasche di raccolte di fanghi altamente inquinanti;
la stessa area è stata posta sotto sequestro sia nel 1995, per acquisirne la prova del suo stato di discarica non autorizzata, sia nel gennaio 2002, dopo alcuni lavori di messa in sicurezza che il sostituto procuratore ha ritenuto essere insufficienti;
l'area dell'ex Fibronit è stata inserita, come unica partecipazione di parte privata, nel programma di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio (Prusst) riguardante la città di Bari, dove si prevede come riqualificazione sostenibile una lottizzazione edilizia e un sottopasso;
il 28 novembre 2002 si è tenuta una conferenza dei servizi per valutare l'esame del progetto di bonifica, redatto dalla città di Bari, e l'esame del piano di caratterizzazione presentato dalla Fibronit, nonché il modo più sicuro degli interventi di bonifica da effettuare per contenere o eliminare i gravi rischi presenti per la salute pubblica;
il 9 novembre 2002 il quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno ha riportato la notizia che, nell'incontro preliminare alla conferenza dei servizi suddetta, il neo direttore generale dell'area gestione rifiuti e bonifiche del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ha dichiarato, prima di qualsiasi valutazione tecnica ambientale, che «sull'area Fibronit deve effettuarsi una bonifica per rimozione» -:
se sia a conoscenza di qualche procedura finalizzata alla realizzazione di interventi di messa in sicurezza d'emergenza sul sito inquinato Fibronit, nei modi dettagliatamente descritti dalla legge;
se sia a conoscenza del fatto che alti dirigenti del mistero dell'ambiente e della tutela del territorio si sono espressi a favore della soluzione di bonifica per asportazione del sito Fibronit, prima ancora della convocazione della conferenza dei servizi, unico organismo tecnico deputato alla valutazione dei progetti di bonifica, dei relativi costi e dei conseguenti rischi per la salute;
quali iniziative intenda adottare dopo le dichiarazioni del neo direttore generale dell'area gestioni e rifiuti del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, che, come ripreso da alcuni organi di stampa, si è dichiarato favorevole alla soluzione di bonifica per asporto sull'area inquinata di amianto (soluzione respinta dalla collettività barese per l'elevatissimo rischio ambientale, ma fortemente desiderata dai proprietari dei suoli che consentirebbe loro di edificare su di un sito contaminato d'amianto);
se, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge n. 426 del 1998, abbia disposto o intenda disporre l'esatta perimetrazione del sito inquinato dell'ex Fibronit, peraltro già inserito nei siti di interesse nazionale del «Programma di bonifica e ripristino ambientale».
(3-01619)
(21 novembre 2002)