Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi - Resoconto di mercoledì 26 ottobre 2005


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Mercoledì 26 ottobre 2005. - Presidenza del presidente GENTILONI SILVERI. - Intervengono il presidente della RAI, Claudio Petruccioli, i consiglieri di amministrazione Bianchi Clerici Giovanna Fausta Giuseppina, Curzi Alessandro, Malgieri Gennaro, Petroni Angelo Maria, Rizzo Nervo Antonino, Rognoni Carlo, Staderini Marco, Urbani Giuliano ed il direttore generale della RAI, dottor Alfredo Meocci.

La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

Il presidente, deputato GENTILONI SILVERI, avverte che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità della seduta sarà assicurata per mezzo della trasmissione con il sistema audiovisivo a circuito chiuso.
Avverte altresì che sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico.

Comunicazioni del Presidente.

Il presidente, deputato GENTILONI SILVERI, comunica che in data 25 ottobre 2005 il Presidente del Senato della Repubblica ha chiamato a far parte della Commissione il senatore Lucio Malan, in sostituzione del senatore Riccardo Minardo, dimissionario.
Il Presidente formula quindi, anche a nome della Commissione, i migliori auguri di buon lavoro al senatore Malan.

Audizione del Presidente, del Direttore generale e del Consiglio di Amministrazione della RAI.
(Svolgimento dell'audizione e rinvio).

Il presidente GENTILONI SILVERI formula, a nome della Commissione, i più vivi auguri di buon lavoro ai consiglieri di amministrazione, al Direttore generale e al presidente Petruccioli, cui dà la parola.

Il presidente della RAI, dottor Claudio PETRUCCIOLI, pronuncia la seguente relazione:
«Onorevoli deputati, onorevoli senatori, in questo primo incontro con voi nella nuova funzione di Presidente del Consiglio di amministrazione della Rai rendo innanzitutto omaggio - interpretando, ne sono certo, anche l'animo di tutti i consiglieri e


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del collega direttore generale dottor Alfredo Meocci - alla alta funzione di indirizzo e di vigilanza che voi esercitate in nome dell'intero Parlamento verso il servizio pubblico radiotelevisivo della cui amministrazione e gestione noi siamo incaricati. Senza questa vostra vigile e puntuale presenza, il nostro lavoro sarebbe meno facile e meno sicuri sarebbero i presidi a difesa del pluralismo e della libertà che devono caratterizzare il servizio pubblico radiotelevisivo. Per tutti, se mi consentite, aggiungo un cordialissimo e sincero saluto, con la emozione di chi torna per la prima volta in questa Aula in veste diversa da quella a lungo indossata.
A lei, presidente Gentiloni rivolgo le più vive congratulazioni per una elezione che ha riconosciuto e premiato la sua indiscutibile competenza e la sua equilibrata passione. Su di lei si è ritrovata un'ampia e varia convergenza. Vorrei osservare che non è la prima volta che questo avviene in decisioni importanti di questa Commissione: tanto che si può - forse - ormai parlare non solo di un costume consolidato ma di una convinzione conquistata. In un periodo in cui la vita politica e parlamentare non si segnala certo per la prevalenza di questo tipo di orientamenti e di pratiche, questo dato di fatto è evidentemente positivo; e, per chi al servizio pubblico dedica la propria attività, insieme rassicurante e impegnativo.
In questo primo incontro, e anche considerando la importante innovazione del question time, che fissa le nostre audizioni almeno ogni quindici giorni, cercherò di fornirvi alcuni elementi generali ai quali penso dobbiamo uniformare la nostra attività. Ho già usato in altre occasioni l'espressione - un po' roboante, lo riconosco - di «orizzonte 2016». Perché? Nel 2016 scadrà la concessione ventennale in base alla quale lo Stato affida lo svolgimento del servizio pubblico radiotelevisivo. Le modalità stesse della concessione saranno diverse dal passato. I soggetti che operano nel settore televisivo sono più di uno da quando il superamento del monopolio si è affermato nei fatti ed è stato sancito dalla legge e potrebbero aumentare rispetto al numero attuale. In via teorica, anche considerando le possibilità di mutamento del quadro legislativo da qui a quel momento, la concessione stessa potrebbe essere assegnata a quello - fra i diversi soggetti - che presentasse le migliori garanzie di affidabilità quanto alla realizzazione degli obiettivi che lo Stato indica per il servizio pubblico, e/o che risultasse meno oneroso per le finanze pubbliche. Ovvero, anche in considerazione delle rapidissime innovazioni tecnologiche che consentono e sollecitano una offerta sempre più ricca e differenziata, si potrebbe a quel momento ritenere possibile e conveniente, considerare separatamente i diversi obiettivi e metterli «all'asta» fra i diversi operatori. Almeno in via teorica, dunque, sarebbe possibile che, dopo la fine del monopolio televisivo finisse anche il «monopolio del servizio pubblico».

Ecco cosa significa «Orizzonte 2016». Significa che il mandato triennale assegnato dalla legge agli organi di amministrazione, di direzione e di gestione della Rai entrati in carica nel mese di agosto vogliamo utilizzarlo innanzitutto per mettere a punto le linee strategiche per arrivare al rinnovo della concessione nelle migliori condizioni sotto ogni punto di vista.
Da qui al 2016 ci sono dieci anni, tre mandati di Consiglio. Se la prima tranche, che compete al Consiglio testé entrato in carica, e che copre un terzo del tempo complessivo disponibile, venisse, per una ragione o per l'altra, dissipata, e al termine si dovesse constatare che la Rai si trova più o meno nella situazione di oggi, il tentativo e il proposito qui illustrati sarebbero largamente compromessi per non dire definitivamente vanificati.
Da molto tempo non ha luogo una riflessione strategica sull'assetto del settore radiotelevisivo in Italia e sulla collocazione, in esso del servizio pubblico. Non ha luogo in generale nella cultura e nella politica; non ha luogo fra gli addetti ai lavori e, in particolare all'interno della Rai, coinvolgendone ampiamente le energie


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che in essa sono presenti, le persone che in essa lavorano, con diversi livelli di responsabilità.
L'ultima volta che una riflessione e una discussione di questo tipo prese corpo in Italia e si tradusse in iniziative di carattere legislativo e, insieme, in rilevanti modifiche e innovazioni nell'assetto della concessionaria del servizio pubblico, fu trent'anni fa. Allora, sulla base di trasformazioni nel costume e nella sensibilità diffusa, del maturare di cambiamenti negli orientamenti culturali e politici che coinvolgevano i più larghi strati dei cittadini, e per consapevole impulso della Corte Costituzionale si determinò una vera e propria svolta. Il significato è riassunto nella formula: «il servizio pubblico non deve più dipendere istituzionalmente dal Governo - come fino a quel momento era stata - bensì dal Parlamento». La legge 103 del 1975 tradusse in termini formali questo nuovo indirizzo.
In concomitanza con questo cambiamento del quadro normativo e istituzionale, l'azienda arricchì e completò il proprio assetto aggiungendo alla prima rete che fino alla seconda metà degli anni '60 coincideva con l'intera tv e alla seconda rete che operava già da quasi dieci anni, una terza rete.
Già allora, però, la riflessione strategica fu monca: si chiusero gli occhi sui fenomeni economici, sociali e culturali alla base della nascita della televisione commerciale che avrebbe determinato la fine di fatto del monopolio pubblico. All'inizio degli anni '90, poi, l'esplosione del sistema politico rese assolutamente obsoleto l'assetto del governo Rai; e tutto nell'azienda ha perso senso, forma, ordine.
È cominciata una lunga navigazione a vista; le vele, spesso, sono state ridotte; altrettanto spesso l'equipaggio, dagli ufficiali di più alto grado agli addetti alle macchine, si sono dati da fare con quello che avevano sotto mano; per mandare avanti la baracca o, quando se ne presentava l'occasione, per sistemarsi in modo un po' meno scomodo o un po' più comodo. Di rotta, neanche a parlarne; sul ponte di comando gli avvicendamenti erano così rapidi, la confusione degli ordini o il clamore di vere e proprie liti tanto frequenti da rendere ridicolo chiunque osasse formulare la domanda «ma dove stiamo andando, dove ci portano, dove dobbiamo andare?».
La situazione, dopo una dozzina d'anni, è ancora questa. La sola cosa che si può dire di certo è che se non c'è stato naufragio né ammutinamento la qualità dello scafo e la disposizione di chi lo frequenta sono, nell'insieme, più che buone; ed è ragionevole farci affidamento. Di qui, comunque, si deve partire; senza disperazione ma anche senza illusioni.
La nostra stella polare è l'espletamento del servizio pubblico: ce lo dice la legge e - se è consentito - ce lo dice con particolare efficacia e spessore di motivazioni il Protocollo di Amsterdam. Quel protocollo definisce una «civiltà» del settore televisivo nella quale si riconoscono tutti i Paesi dell'Unione. Ad alimentarla e presidiarla è contemplata una «significativa presenza» del servizio pubblico.
Il servizio pubblico, però, non è più una certezza e sempre meno lo sarà con il passare degli anni; è una ipotesi che abbiamo noi l'onere di dimostrare praticabile e conveniente. Dobbiamo pensare realizzare e potenziare la «significativa presenza» del servizio pubblico nel corso di grandi trasformazioni tecnologiche: il digitale - terrestre, satellitare e via cavo - che unifica gli alfabeti tecnologici e rende possibile la multimedialità, fa diventare ordinari e semplicissimi gli scambi fra le diverse piattaforme. E nel corso di grandi trasformazioni di mercato. In Italia si avvertiranno tutti i cambiamenti che avvengono anche altrove: nuovi prodotti e nuovi servizi che incorporano la multimedialità (e, nella prospettiva, la interattività). Il passaggio dall'analogico al digitale non si esaurisce - come, fin qui, lo si è prevalentemente vissuto da noi, per debolezze culturali e convenienze politiche - nella moltiplicazione delle frequenze, che non sono più un «bene raro». Passare dall'analogico al digitale è come, per chi fino a quel momento disponeva di tecniche che permettevano di edificare solo a piano


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terra, impadronirsi delle capacità per costruire edifici a più piani. Cosicché non solo i movimenti, ma il modo di pensare deve passare da due a tre dimensioni; e ad ogni passaggio da un piano all'altro il prodotto può e deve cambiare, la sua destinazione può rivolgersi a utenti e consumatori diversi; pur in presenza di una ideazione e di una produzione unificate. Una rivoluzione, dunque, nella concezione dei prodotti e nelle forme organizzative per idearli realizzarli, pubblicizzarli.
In Italia, poi, c'è un'impellente urgenza, molto più forte che in qualunque altro Paese della Unione: la necessità della liberalizzazione. Se non ci sarà liberalizzazione, non saranno possibili, o avverranno in modo periferico e frenato, le trasformazioni consentite dalla tecnologia, non se ne trarranno tutti i possibili vantaggi.
La liberalizzazione significa maggiore competizione, fra un numero di soggetti superiore a quelli oggi esistenti. La Rai come azienda (quindi prima ancora che come concessionaria del servizio pubblico) è messa alla frusta; anzi, se vuole avere un futuro come azienda deve mettersi alla frusta. In sintesi estrema, la Rai deve diventare integralmente una industria; diversa dalle altre industrie per la particolarità dei suoi prodotti, che sono culturali, di intrattenimento, informativi ecc. Ma, per tutto il resto, integralmente industria: con una precisa ricognizione e una valorizzazione dei propri assets, attuando tutte le sinergie consentite dalle nuove tecnologie e dalle convergenze multimediali, con una valorizzazione del patrimonio e una vera politica finanziaria che non c'è mai stata, con una produzione di materiali multimediali che può immettere sul mercato con qualità eccellente, e a costi più che concorrenziali. È un compito difficilissimo perché troppo tempo è andato sprecato. Ma ineludibile per la sopravvivenza dell'azienda Rai che sarebbe condannata ad un rapido declino, non impedito di per sé dall'esercizio della funzione di servizio pubblico.
Naturalmente, linee strategiche di questa portata comportano ulteriori scelte concrete di grande impegno. Dobbiamo porci domande che da troppo tempo non inquietano più il cervello dell'azienda: finito ormai da tempo il monopolio, da tempo condannata la lottizzazione e la spartizione che, per il futuro, si vuole completamente eliminare, hanno ancora senso le tre reti? La terza rete, ad esempio, non deve valorizzare molto al di là di quanto oggi faccia, anche con il poderoso aiuto delle nuove tecnologie la caratteristica unica fra tutte le altre reti esistenti, pubbliche e private, di differenziare territorialmente la propria offerta? Un solo esempio di pigrizia e di spreco aziendale (non mi riferisco certo alle persone coinvolte nella fattura dei programmi, ma a quello che dovrebbe essere il cervello ideatore): guardate la fascia dalle sei alle dodici del mattino; la programmazione delle tre reti, con qualche piccola variazione è, quanto alla tipologia, praticamente identica. Che senso ha? Si possono superare difetti del genere restando dentro le logiche di rete o non si devono individuare fasce orarie di programmazione?
Ho detto «quello che dovrebbeessere il cervello ideatore»: il condizionale è d'obbligo perché se dovessi rispondere alla domanda: nell'azienda questo cervello c'è e dove è non saprei cosa dire; o tacerei per non dire che un luogo dove si pensi complessivamente e a scadenza non immediata non c'è Anche qui, sia ben chiaro: tutti, o comunque tanti, lavorano e danno il meglio di sé, che è molto. Ma le strutture o sono obsolete o non ci sono. O, meglio, alcune ce ne sono e funzionano; bene al punto da offrire un possibile esempio da generalizzare, pur cum grano salis. Mi riferisco alla struttura addetta alla fiction. È una struttura di alcune decine di persone - settanta/ottanta - di lunga esperienza, con alta capacità professionale, con ricchi rapporti e legami di conoscenza dell'ambiente, in grado dunque non solo di svolgere compiti di valutazione e selezione, ma di interloquire efficacemente sia verso l'esterno dell'azienda, sia verso l'interno. Altre ce ne sono con caratteri simili. Ma l'attività prevalente dell'azienda non è certo strutturata su un modello del genere. Come possiamo, allora, occuparci seriamente


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di trasmissioni culturali, o di una produzione rivolta agli adolescenti - uno dei segmenti più critici e impegnativi - o dell'indispensabile rinnovamento dell'idea stessa di sport in televisione se non predisponiamo strutture agili, elastiche, addette a questi o ad altri simili obiettivi? Le stesse strutture - tanto per fare un altro esempio - addette alle nuove tecnologie, non so con quanta lungimiranza incapsulate in società autonome, finiscono per essere a latere della attività quotidiana dell'azienda.
Non crediate che io inclini a unilateralità strutturaliste: decisivo, in un'azienda radiotelevisiva, e di servizio pubblico, è il prodotto, ciò che i cittadini vedono e ascoltano dallo schermo: il prodotto, la sua fruibilità, la sua qualità, il suo fascino, la sua credibilità. Per buoni prodotti sono necessari buoni autori, buoni artisti, buoni giornalisti, buoni tecnici. Ma il prodotto televisivo non nasce per partenogenesi; è per sua natura complesso, risultato di un numero grandissimo di fattori, piccoli e grandi, tutti ugualmente decisivi. Solo la loro migliore utilizzazione, la loro perfetta combinazione può creare il buon prodottodi un buon servizio pubblico. Perciò è necessaria una buona organizzazione, comprensibile, lineare, funzionale, flessibile e autoregolabile; soprattutto visibile per coloro che lavorano e ai loro occhi sufficientemente convincente.
È solo un rapido cenno quello che faccio qui. Presto questi temi, se non altro in forma di domande, saranno sottoposti alla riflessione dell'azienda e - anche - alla discussione pubblica che spero sia ampia e impegnata. Il servizio pubblico vive anche della attenzione che ad esso riservano le forze esterne: certamente quelle della politica ma, innanzitutto, quelle della cultura.
Si ripete, spesso come una litania, che la Rai è la più grande industria culturale d'Italia. Non so se sia del tutto esatto; certo si tratta di una realtà importante. Ma nessuna industria, tanto più se produce cultura, vive di cultura, può star su da sola: deve avere continui scambi, continue verifiche con l'esterno. Un servizio pubblico è conseguenza di un buon metabolismo complessivo, nel comparto specificamente addetto e nel rapporto di quel comparto con l'insieme dell'organismo. Ci ripromettiamo iniziative specifiche volte a questo fine, e avremo anche qui l'occasione per parlarne più diffusamente.
Colgo l'occasione per esprimere tutta la soddisfazione mia, del Direttore generale e - credo - dell'intero Consiglio per le dichiarazioni di esponenti politici contro ogni forma di lottizzazione. Questo auspicio, se vogliamo questa indicazione corrisponde pienamente al nostro sentire e alle nostre intenzioni. È evidente che le innovazioni strutturali e organizzative alle quali pensiamo e che - dopo adeguata verifica - metteremo in atto mirano alla valorizzazione delle competenze e delle professionalità, indipendentemente dalle appartenenze e dai riferimenti politici che non dovranno essere considerati ostacoli ma che non potranno neppure giustificare vantaggi. Perché è anche vero che alcune forme di organizzazione sono strutturalmente funzionali alla lottizzazione e altre no. Noi pensiamo ad una organizzazione non funzionale alla lottizzazione, come lo è - invece - quella attuale. La approfondita discussione in programma sulle modalità della informazione e dell'approfondimento politico ci darà sicuramente contributi nella identica direzione.
Questi sono i nostri doveri e i nostri propositi di azienda; questo è l'orizzonte entro il quale lo iscriviamo. Il riferimento al Protocollo di Amsterdam non impegna però solo noi; impegna anche il potere politico e legislativo, rispetto al quale noi ci collochiamo in rispettosa attesa. Possiamo, al più esprimere qualche opinione di carattere - per così dire -tecnico. La presenza del servizio pubblico nel settore si può, a nostro avviso, considerare significativa - parlo in generale per i Paesi dell'Unione - se si mantiene in un'area che sta fra un terzo e un quarto del totale. Al di sotto di un quarto è più che probabile che si metta in moto un rapido processo di ridimensionamento che potrebbe ridurre il servizio pubblico in posizione marginale. In questo caso il protocollo


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di Amsterdam non sarebbe più rispettato. Lo dico perché, a mio avviso, in alcuni Paesi dell'Unione questo rischio è tutt'altro che teorico.
Ma torniamo a noi. Le ipotesi proprietarie e finanziarie che circolano nel dibattito politico-giornalistico mi sembra siano tre:
a) vendere un pezzo della Rai. Una scelta del genere deve valutare con grande attenzione se le risorse di cui una Rai eventualmente ridimensionata restano sufficienti a sostenere un servizio pubblico significativo nel settore;
b) mantenere il doppio finanziamento di canone e pubblicità;
c) passare all'esclusivo finanziamento pubblico. Anche in questo caso va valutato attentamente se le risorse finanziarie disponibili sono adeguate a mantenere una presenza significativa.

Come Rai noi diremo la nostra se e quando ci verrà richiesta nelle sedi competenti. Il nostro compito attuale è, come ho detto, quello di avviare e sviluppare una forte iniziativa industriale, di progettare la trasformazione dell'azienda in una vera e propria industria. Siamo convinti che, raggiungendo obiettivi significativi su questa strada renderemo più facile qualunque scelta il potere politico e quello legislativo riterranno opportuno fare.
Termino trattando del governo dell'azienda Rai. Per quasi quarant'anni quel governo è stato sufficientemente efficace e stabile in quanto perfettamente corrispondente con il sistema politico proporzionale, a ruoli fissi; senza alternanza, cioè fra governo e opposizione. Almeno in parte funzionale a quel tipo di governo era il sistema della cosiddetta lottizzazione, verso il quale, con il trascorrere degli anni, crebbe la critica e l'insofferenza. Ma che, tuttavia, aveva una sua semplice linearità: il governo della Rai era una fotocopia del sistema politico nazionale. Inoltre, l'immutabilità, nella politica, dei ruoli di governo e opposizione, si traduceva in una stabilità interna che per una azienda, non è fattore di secondaria importanza.
All'inizio degli anni '90 ci fu il rivolgimento che sappiamo: il sistema politico vigente da quasi mezzo secolo andò in frantumi. E, visto che il governo della Rai, ne discendeva direttamente, cominciò la crisi. Non ne ripercorro qui le tappe per ragioni di tempo. Basti dire che sono state tentate tutte: i professori, i tecnici, gli uomini di cultura; i presidenti di garanzia, ecc. Ma non se ne è venuti a capo.
Nelle nuove condizioni, c'era - e c'è - un solo modo per rifondare in modo credibile il governo del servizio pubblico: tagliare il cordone ombelicale della dipendenza del servizio pubblico dalla politica; che non può essere limitato alla presenza o meno di politici nei consigli di amministrazione; riguarda il complessivo atteggiamento di una classe politica nei confronti del servizio pubblico radiotelevisivo. Esattamente quello che non è stato fatto, quello che va fatto. Se non si recide il cordone ombelicale e resta il maggioritario, anzi non il maggioritario ma l'alternanza, la dipendenza dalla politica riconduce inevitabilmente il servizio pubblico radiotelevisivo nell'ambito dello spoil system. Sarebbe, però, la liquidazione del servizio pubblico.
Questo Cda compreso il Presidente - parlo in termini istituzionali e generali non delle persone, che hanno tutte la massima stima mia e non solo mia - è la soluzione del problema del governo Rai? Tutt'altro, visto che siamo, della politica, emanazione e noi stessi della politica partecipi.
Ma il Cda attuale può avere senso e ruolo se viene vissuto come l'occasione per la politica di prendere coscienza piena delle proprie responsabilità e dei propri doveri. Se si capisce che non ci sono scorciatoie o astruserie. Vale per la politica fuori e vale per la politica, i politici che sono nel Cda. Paradossalmente - ma non tanto, se ci si pensa bene - una ricollocazione dell'azienda del servizio pubblico rispetto alla politica, non possono farla né tecnici né professori: devono prendersene la responsabilità i politici. Perché è, propriamente, una scelta politica. Questo consiglio, dunque proprio


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dalla sua qualificazione politica deve trarre l'obbligo a pensare, progettare, realizzare questa ricollocazione. E deve agevolare le iniziative del legislatore che andassero in questa direzione.
Ne parliamo nel Cda apertamente. In una di queste discussioni un consigliere, ha detto: «La possibilità che noi riusciamo a svolgere in modo positivo il nostro compito è in proporzione al margine di autonomia che ciascuno di noi è capace di conquistarsi rispetto al proprio retroterra politico». È così. Per i sette consiglieri designati in Commissione di vigilanza ciascuno con il voto del proprio «retroterra politico» pensare e agire così sarà manifestazione di grande consapevolezza e lungimiranza, una testimonianza di come la politica possa anche essere alta. Per un Presidente che porta il viatico dei due terzi dei componenti una Commissione bicamerale del Parlamento è un obbligo vincolante».

Interviene quindi il direttore generale della Rai, dottor Alfredo MEOCCI, il quale si sofferma in primo luogo sugli obiettivi dell'azienda, che sono quelli di continuare a vincere negli ascolti con trasmissioni che rispettino il pluralismo politico e culturale e promuovano la qualità in tutti i generi della comunicazione.
Tale strategia di sviluppo passa per l'innovazione tecnologica, in particolare attraverso il passaggio al digitale terrestre e per lo sviluppo dei centri di produzione delle sedi regionali, stile cui l'azienda dovrà essere in grado di fare fronte anche in presenza di una oggettiva inadeguatezza delle risorse disponibili.
Nel sottolineare ancora come tra gli obiettivi principali si debbano annoverare lo sviluppo e la diversificazione dell'offerta nel settore sportivo, una particolare cura alle trasmissioni per i minori, l'apertura al resto del mondo e in particolare alle aree emergenti e la rivitalizzazione dell'offerta radiofonica, il Direttore generale disegna un modello industriale basato sullo sviluppo delle reti tematiche, sulla sperimentazione dei servizi interattivi, sul rilancio della produzione di audiovisivi e format originali e sulla formazione di figure professionali ed artistiche.
Dopo essersi soffermato brevemente sulle conseguenze derivanti dalla sostanziale sospensione del progetto di privatizzazione, il dottor Meocci analizza le problematiche relative alle risorse, derivanti dalla diminuzione in termini reali del gettito del canone, fermo da due anni e comunque cresciuto nell'ultimo decennio meno dell'inflazione, e dalle oggettive difficoltà derivanti dai vincoli che la Rai incontra nella raccolta pubblicitaria.
A fronte di tale situazione la Rai deve affrontare una struttura complessa dei costi che vede una crescita esponenziale degli oneri per eventi sportivi che si somma al peso particolarmente elevato del capitale investito e alla fisiologica dinamica del personale con evidenti ricadute sulle risorse destinabili allo sviluppo del prodotto.
Il Direttore generale dà quindi conto dell'investimento di 7 milioni di euro approvato ieri dal Consiglio di amministrazione per il completamento nel primo trimestre del 2006 del passaggio al digitale terrestre nei capoluoghi di provincia della Sardegna e della Valle d'Aosta, e delle prospettive a breve termine dello sviluppo di tale tecnologia.
Nel rilevare come a causa delle sopradescritte diseconomie si prospetti per l'azienda un 2006 piuttosto difficile, con il rischio di una perdita tendenziale di oltre 80 milioni di euro, il dottor Meocci sottolinea la necessità di affrontare il problema in una dimensione temporale strategica attraverso la valorizzazione dello strumento della contabilità separata per rendere trasparente, oggettivo e certo il finanziamento pubblico da un lato, e per valorizzare dall'altro la competitività della Rai e i ricavi provenienti dal mercato.
Dopo aver fornito alla Commissione alcuni dati che testimoniano la prevalenza della Rai negli ascolti nel periodo autunnale, il direttore Meocci si sofferma sulle problematiche editoriali, osservando come il suo obiettivo sia quello di costruire una Rai libera ma anche autorevole con una


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forte immagine culturale che può essere conseguita solo maturando una capacità di giudizio, di discernimento e di scelta.

Si apre il dibattito.

Interviene sull'ordine dei lavori il deputato BUTTI, il quale osserva come la ricchezza stessa degli interventi del presidente Petruccioli e del direttore generale Meocci non consenta di chiudere oggi l'audizione.

Dopo un breve dibattito cui partecipano i deputati CAPARINI e LA RUSSA, il presidente GENTILONI SILVERI ritiene opportuno aprire comunque il dibattito, fissando domani in Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi una data di aggiornamento nella quale, dopo aver dato la parola a coloro che essendosi già iscritti non avranno potuto parlare oggi, potranno essere concesse anche alcune brevi integrazioni agli interventi già svolti.

Il deputato CROSETTO esprime in primo luogo il suo compiacimento per il fatto che la presenza di un vertice Rai nominato con le regole della legge Gasparri consente di liberare il campo del dibattito dal fantasma del presunto asservimento della Rai e dell'informazione; il fatto cioè che la Rai abbia oggi un Presidente espressione dell'opposizione ma al quale egli stesso come componente della maggioranza ha dato il suo convinto voto, appare la miglior garanzia per affermare che qualsiasi sua presa di distanza dall'operato dei vertici Rai non è espressione di un pregiudizio.
Egli osserva quindi come il problema fondamentale oggi in Rai sia quello di riaffermare le regole del pluralismo. Egli ritiene cioè che la Rai non possa ammettere, sotto la maschera della libertà editoriale o artistica, che sulle sue reti vadano in onda programmi nei quali non è garantita la libertà di tutti, cioè non può ammettere che, una volta concesso a un giornalista o a un conduttore, uno spazio Rai si trasformi in uno spazio privato.
Così, ad esempio, accanto a programmi di approfondimento come «Porta a porta» o «Primo piano» nei quali la dialettica delle opinioni è effettivamente garantita, ve ne sono altri come «Ballarò» in cui tale garanzia è solo formale, ed altri ancora come «Report» e «Parla con me» nei quali la garanzia stessa non è fornita neanche formalmente.
Il deputato Crosetto richiama poi il presidente Petruccioli alla necessità di interpretare pienamente il suo ruolo di rappresentante dell'intera azienda, il che significa che le eventuali difficoltà con questo o quel dirigente devono essere affrontate in primo luogo all'interno dell'azienda stessa, e non sulle agenzie di stampa.
Infine egli chiede di conoscere, oltre ai dati di ascolto della trasmissione «Rock Politik» anche quale sia stato l'indice di qualità e soddisfazione.

Il deputato LA RUSSA porge in primo luogo vivi auguri di buon lavoro al presidente Petruccioli, ai consiglieri di amministrazione e al Direttore generale osservando come per la prima volta da molti anni la Commissione possa confrontarsi con dei vertici Rai alla cui nomina ha direttamente contribuito, ciò che rappresenta sicuramente una garanzia di apertura al confronto e di collaborazione che dimostra l'infondatezza delle critiche rivolte alla legge di riordino del servizio radiotelevisivo.
Nell'esprimere particolare apprezzamento per il richiamo del dottor Meocci alla necessità di costruire una Rai libera e autorevole, il deputato La Russa rileva però che tali affermazioni devono trovare riscontro in comportamenti coerenti che testimonino l'indipendenza dell'azienda.
A tale proposito egli chiede quindi che cosa ci sia di vero nelle voci secondo cui non si intenda riportare in video la trasmissione «Alice» dopo la sospensione per il periodo coincidente con le previste puntate di «Rock Politik», e chiede altresì che il Presidente ed il Direttore generale facciano chiarezza sulla vicenda della sostituzione del capo redattore del TGR Lombardia, dottor Lomaglio.


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Il deputato CAPARINI ritiene che i primi atti del nuovo vertice della Rai appaiano tutt'altro che soddisfacenti.
Egli ricorda infatti come con la delibera del 20 febbraio 2003 il Consiglio di amministrazione pro tempore decise il trasferimento di Rai Due a Milano, il potenziamento dei centri di produzione di Milano e di Torino, il riammodernamento del centro di produzione di Roma, l'attribuzione di un maggiore autonomia alla sede di Napoli per il rilancio della programmazione relativa al Mezzogiorno, attribuendo in tale ambito una specifica autonomia alla Sicilia e alla Sardegna.
Non solo in questi anni non è stato dato alcun seguito a tali decisioni, ma negli ultimi mesi Milano ha perso trasmissioni importanti e di successo come «La domenica sportiva speciale» , «Domenica sprint» e «Spazio motori», e in totale spregio alla prevista valorizzazione della sua vocazione di sede di programmi economici, ha visto spostare a Roma la rubrica «Non solo soldi», mentre ha perso la striscia quotidiana dedicata alle sue specificità culturali.
Nel richiedere poi che i vertici Rai facciano finalmente chiarezza sui tempi di realizzazione dei nuovi centri di produzione di Milano e Roma, quest'ultimo rallentato anche dalle pressioni di gruppi di interesse legati ai Democratici di Sinistra, il deputato Caparini chiede altresì che si faccia chiarezza altresì sulle persistenti illegalità nelle modalità di riscossione del canone.
A questo proposito egli ricorda che l'Ufficio di Presidenza della Commissione aveva ascoltato a luglio la testimonianza di un funzionario che aveva denunciato tali irregolarità al Comitato Etico della Rai e che, dopo aver ricevuto un encomio dal direttore generale Cattaneo, era poi stato sottoposto a crescenti vessazioni, che sono aumentate dopo la sua audizione da parte dell'Ufficio di Presidenza.
Nel contempo la Rai continua a rifiutarsi di fornire alla Commissione la documentazione relativa a tale vicenda, accampando pretesti inverosimili come l'assenza di una liberatoria da parte della Procura della Repubblica di Roma alla quale l'azienda aveva presentato un esposto-denuncia, quando lo stesso funzionario dalle cui segnalazioni aveva avuto inizio l'intera vicenda ha comunicato alla Commissione di aver ricevuto, per la parte che lo riguardava, l'autorizzazione dal magistrato inquirente appena ventiquattro ore dopo averla chiesta.

Il deputato MERLO nel concordare con il deputato Caparini sulla necessità di sviluppare e salvaguardare le realtà regionali come elemento qualificante del servizio pubblico, si riserva ad altra occasione di sollevare una serie di problemi irrisolti che riguardano il Piemonte.
Volendo invece rimanere al carattere generale di questa audizione, egli si sofferma in primo luogo sul problema delle regole che devono presiedere ai rapporti tra i vertici aziendali, problema che si è manifestato in tutta evidenza nella vicenda di «Rock Politik», dapprima con le polemiche sollevate dal Direttore di Rai Uno, e poi con la solidarietà manifestata da sette dirigenti in forme che sono apparse equivalenti ad una sorta di sconfessione del Direttore generale.
In particolare è apparso singolare il comportamento del dottor Gorla che ha solidarizzato con la protesta espressa dal dottor Del Noce dopo essere stato uno dei principali autori del contratto che assicurava la piena libertà artistica ad Adriano Celentano.
Egli chiede infine chiarimenti sulle strategie adottate per il passaggio al digitale terrestre, che certamente non potrà essere completato entro il 2006.

Il senatore NOVI nel prendere atto di quanto affermato sia dal Presidente che dal Direttore generale circa la necessità di promuovere il pluralismo all'interno dell'azienda, chiede agli auditi se a loro parere possa essere considerata pluralista la linea editoriale del TG3 o di Rai News 24; egli osserva come in tali testate continui a manifestarsi in pieno quella idea di «pluralismo esterno» che aveva caratterizzato l'informazione della Rai negli


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scorsi decenni, ispirato ad una logica di lottizzazione che trovava poi espressione, all'interno delle singole testate, nell'egemonia di un dato gruppo politico, egemonia intesa nel senso gramsciano di somma di consenso e coercizione, quest'ultima esercitata attraverso l'emarginazione dei soggetti non legati a cordate politiche, in particolare di sinistra.
Tale è stato ad esempio il caso dell'estromissione di Giovanni Masotti - ultimo del resto dopo tanti altri come ad esempio Oliviero Beha - estromissione oculatamente preparata dalle esternazioni del consigliere Curzi e del professor Prodi e giustificata con una debolezza degli ascolti che, in realtà, si era verificata solo nella fase di avvio del programma, non diversamente da quanto è avvenuto per altri programmi come «Ballarò», trasmissione che invece gode di ampie protezioni dal momento che le modalità di gestione del programma da parte di Floris - che realizza veri e propri agguati mediatici agli esponenti del centro destra - è funzionale agli interessi dell'opposizione.
Il senatore Novi rileva poi come il conformismo dell'informazione televisiva, anche di quella non apertamente schierata a sinistra, si rivela anche in episodi quali la disattenzione con cui è stata trattata una notizia come il commissariamento, per la prima volta nella storia, di una ASL campana per infiltrazioni camorristiche, e l'emarginazione di un giornalista di valore come Giovanni Bocco, allontanato dalla sede di Bruxelles.

Il deputato CARRA nel formulare gli auguri di buon lavoro al nuovo vertice della Rai esprime l'auspicio che si possano creare finalmente condizioni per un confronto ed un dialogo fra l'azienda ed il Parlamento ben più proficuo di quanto non sia avvenuto finora. È evidente che un reale cambiamento di clima all'interno dell'azienda passa in primo luogo per la ricucitura delle ferite rappresentata dall'allontanamento di tanti valenti professionisti, da Biagi in poi, e per una reale ottemperanza da parte della Rai alle sentenze che l'hanno vista soccombente nei confronti di giornalisti e dirigenti ingiustamente emarginati; si pensi al caso di Oliviero Beha al quale la Rai non sa offrire, come esecuzione della sua reintegrazione nelle precedenti funzioni disposta dal giudice del lavoro, che una striscia radiofonica di cinque minuti dopo mezzanotte.
Dopo aver osservato che dalla relazione del dottor Meocci emerge un quadro della gestione della Rai ben più preoccupante di quello che è stato descritto negli ultimi due anni, tale del resto da giustificare l'audizione della Sipra da più parti richiesta, il deputato Carra rileva come le considerazioni del dottor Meocci dimostrino la fondatezza dei dubbi a suo tempo da lui espressi circa la decisione del dottor Cattaneo di versare al Tesoro quali dividendi risorse che erano invece necessarie per investimenti strutturali, ivi compresi quelli derivanti dall'oneroso vincolo del passaggio al digitale terrestre.

Il deputato GIULIETTI osserva come gli interventi fin qui svolti siano apparsi come una sorta di sfiducia espressa da una parte del centro destra verso i nuovi vertici Rai, che pure sono stati espressi con il prevalente concorso della maggioranza.
Si tratta di un atteggiamento miope in un momento in cui è invece necessario costruire delle regole e un metodo di lavoro e di confronto valido per tutti, e che consenta di garantire i diritti di tutti, chiunque sia al Governo.
Egli ritiene infatti che sia giunto il momento di porre fine al monocolore informativo ed editoriale che ha caratterizzato la Rai in questi quattro anni, e che ha trovato espressione non solamente nell'epurazione di autori e giornalisti legati all'opposizione, ma nella pervicace ricerca di un conformismo editoriale che ha colpito prima di tutto giornalisti e artisti indipendenti o comunque lontani dalla sinistra come Oliviero Beha, come il dottor Chiodi e il dottor Gigotti, come Massimo Fini e come Paolo Martini, la cui trasmissione «Dodicesimo Round» è stata chiusa per insofferenza verso un'indipendenza editoriale che pure era messa in atto da


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redattori di testate come «il Foglio» o «il Giornale», mentre si è emarginato un dirigente di destra come Paolo Francia senza far seguire alcun serio approfondimento alle sue denunce e si sono consumate prevaricazioni come la nomina di un capo redattore a Milano fatta senza consultare il Direttore di testata.
Sono fatti che gettano luce sul basso punteggio in materia di libertà di informazione che l'Italia riceve da qualificati organismi internazionali e che prende le mosse da considerazioni di natura prettamente liberale, quali la concentrazione della proprietà e delle risorse nel settore dei media e il permanente conflitto di interessi del Presidente del Consiglio.
Il deputato Giulietti concorda quindi con le osservazioni del direttore generale Meocci circa la necessità di un grande rilancio strategico della Rai che deve ritornare a partecipare ad un sistema industriale, anche attraverso accordi con i privati come quello, purtroppo a suo tempo fallito per miopia politica che avrebbe consentito il rilancio di Rai Way.

Il deputato BUTTI nel sottolineare come per la prima volta due autorevoli esponenti dell'opposizione, ai quali peraltro egli ha dato il suo voto, guidino la Rai e la Commissione di vigilanza, concorda con quanto affermato dal direttore generale Meocci circa la necessità di restituire autorevolezza all'azienda, che però significa in primo luogo garantire il rispetto delle norme che ne regolano il funzionamento.
Se è vero ad esempio che il contratto stipulato tra la Rai e Adriano Celentano assicurava a quest'ultimo una piena autonomia artistica ed editoriale, è anche vero che il contratto stesso prevedeva che questa dovesse essere svolta nell'ambito delle norme che disciplinano l'attività della Rai, e fra queste, ad esempio, vi sono certamente la delibera sul pluralismo adottata da questa Commissione l'11 marzo 2003, che non avrebbe consentito la partecipazione ad duna trasmissione di intrattenimento di un esponente politico come Michele Santoro che resterà deputato europeo fino al 17 novembre, nonché il Codice Etico che prevede di dovere in qualsiasi trasmissione della Rai di dare equilibrato spazio a tutti i punti di vista contrapposti.
Sempre in riferimento alla trasmissione di Adriano Celentano, il deputato Butti si sofferma sulla classifica della libertà di espressione stilata dalla «Freedom House», citata in trasmissione dal conduttore, che classifica l'Italia al settantaduesimo posto. Poiché, a quanto gli risulta, nessun esponente di tale osservatorio si è mai recato in Italia egli ritiene che sarebbe giusto rendere noto su quali fonti si basi una classificazione così assurda e paradossale, che a suo parere deve essere contestata e smentita a tutela della verità e del buon nome non certo del Governo in carica ma del nostro Paese.
Il deputato Butti sottolinea poi come in realtà vi sia in Italia non un problema di libertà di espressione ma di rispetto della verità e del pluralismo. Si pensi ad esempio ad una trasmissione come «Report», certamente eccellente dal punto di vista della fattura giornalistica, ma che sviluppa le proprie tesi senza assicurare alcuna garanzia di contraddittorio.
Egli condivide quanto affermato dal presidente Petruccioli circa l'auspicabilità di una reale e definitiva eliminazione del cordone ombelicale che lega la Rai alla politica, e tuttavia ritiene che si tratti di una prospettiva utopistica, laddove solo si guardi all'attuale composizione del Consiglio di amministrazione.
Il deputato Butti ritiene che la migliore garanzia dell'indipendenza della Rai debba essere ricercata nella sua competitività, e a tale proposito egli chiede che la Commissione sia posta al più presto in grado di conoscere le strategie industriali che la Rai intende adottare, in particolare in vista del passaggio al digitale terrestre, e specialmente delle sinergie con altri soggetti che si intendono porre in essere per lo sviluppo di Rai Way, un asset importante dell'azienda di cui a suo parere molto opportunamente si è riusciti a bloccare la svendita alla Crown Castle.
Dopo essersi associato alle richieste del collega La Russa sul futuro della trasmissione


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«Alice» e sul caso della sostituzione del dottor Lomaglio, il deputato Butti si sofferma sul problema della valorizzazione delle tribune politiche disposte dalla Commissione, sia attraverso la loro collocazione in orari che garantiscano il raggiungimento di una platea ampia e differenziata, sia attraverso un'adeguata promozione dell'invito all'ascolto da parte della Rai.

Il presidente GENTILONI SILVERI propone di rinviare alla prossima seduta gli interventi successivi e di consentire ora agli auditi una prima breve replica.

Il presidente della Rai, Claudio PETRUCCIOLI, nel riservarsi di replicare sulle questioni di carattere più generale alla conclusione dell'audizione, si sofferma su alcune delle questioni più puntuali sollevate dagli interventi.
In primo luogo per quanto riguarda le osservazioni del deputato Crosetto egli fa presente di non aver affidato alle agenzie di stampa osservazioni critiche sulle prese di posizione di taluni dirigenti che sono stati invece formulati nel Consiglio di amministrazione di ieri.
Per quanto riguarda poi le questioni da lui sollevate circa la mancanza di pluralismo della trasmissione «Report», che ha comunque carattere di inchiesta giornalistica, egli fa presente che terrà conto di tutte le segnalazioni, sottoponendo le puntate che gli verranno indicate eventualmente anche alla visione e al vaglio del Consiglio di amministrazione. Naturalmente ciò non implica un obbligo a tener conto acriticamente di ogni denuncia: per esempio ultimamente gli era stata segnalata una puntata di «Ballarò» a proposito della quale venivano lamentate eccessive interruzioni al ministro Tremonti che, dall'attenta visione della registrazione, non risultavano essere tali.
Per quanto riguarda poi talune questioni sollevate dal deputato Caparini, egli si sofferma sullo stato di realizzazione dei centri di produzione facendo presente che a Roma sono ormai ben avviati i contatti con le amministrazioni locali, mentre per quanto riguarda Milano non è stata ancora raggiunta una decisione sulla scelta dell'area, dato che ve ne sono almeno tre che si presentano per diversi aspetti particolarmente indicate.
Per quanto riguarda poi le osservazioni del senatore Novi sulla questione del pluralismo, il presidente Petruccioli fa presente che la definizione di tale obiettivo, a lungo discussa anche da questa Commissione, deve essere intesa sotto due profili, che sono indubbiamente complementari: da un lato infatti per conseguire il pluralismo deve essere assicurata una completezza dell'informazione e della conoscenza delle diverse tesi che si confrontano su un determinato problema. Dall'altro però vi è anche un pluralismo inteso come il diritto dei diversi giornalisti ed operatori del servizio pubblico di esprimere - sempre nel rispetto della completezza dell'informazione - i propri differenti ed anche riconoscibili punti di vista. Certamente questo aspetto del pluraslimo è quello più difficile da realizzare, perché richiede una grande professionalità e tuttavia deve essere un obiettivo primario dell'azienda.
In ogni caso questa dirigenza aziendale rifiuta totalmente qualsiasi idea di emarginazione dovuta a ragioni ideologiche o politiche, e, per quanto riguarda gli esempi fatti dal senatore Novi egli fa presente che Oliviero Beha - il cui caso è stato a lungo discusso in Commissione, anche con un'audizione dell'interessato da parte dell'Ufficio di Presidenza - non è stato colpito da alcuna interdizione di tipo politico, ma ha avuto un problema di incompatibilità con i direttori Maffei e Socillo, che rifiutano di collaborare con lui nelle loro testate, per cui si sta ora studiando una sua idonea collocazione; quanto al dottor Masotti, anche lì non vi è stata alcuna emarginazione di carattere politico, al contrario il Consiglio di amministrazione aveva già deciso, nonostante i cattivi risultati di «Punto e a capo» in termini di audience, di confermare il programma del giovedì sera per il dottor Masotti il quale poi però ha rilasciato delle dichiarazioni che hanno indotto l'intero Consiglio di


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amministrazione all'unanimità di chiedere al Direttore generale di sollevarlo da tale incarico.
Il dottor Masotti comunque non è oggi inattivo, ma svolge un incarico di tipo giornalistico.
Dopo aver dato conto delle norme del contratto stipulato dalla Rai con la società Ballandi per «Rock Politik» che si riferiscono alla libertà editoriale di Adriano Celentano, il presidente Petruccioli ritiene che l'accordo non determini un venir meno del ruolo e delle responsabilità del Direttore di rete; egli poi assicura al deputato Butti che la Rai potrà adeguatamente approfondire la questione delle fonti della classifica della «Freedom House» per quanto, sulla base degli elementi a sua conoscenza, egli ritiene che i criteri con i quali è stata redatta tale classifica sono in sostanza quelli indicati nel suo intervento dal deputato Giulietti.

Il direttore generale della Rai, Alfredo MEOCCI, risponde in primo luogo alla questione sollevata dal deputato Caparini relativa al trasferimento di diverse trasmissioni a Milano, che si è reso necessario per far fronte ad alcune richieste urgenti che non potevano essere soddisfatte dalla sede nel suo attuale dimensionamento.
Egli concorda tuttavia sulla necessità di un intervento strategico per valorizzare Milano quale sede privilegiata dell'economia e dello sport.
Dopo aver fornito alcune informazioni circa lo stato della realizzazione del progetto per il nuovo centro di produzione di Roma, il dottor Meocci svolge alcune considerazioni sulla trasmissione «Rock Politik», osservando come il relativo contratto sia stato stipulato non da lui, in quanto la concessione dell'assunta libertà editoriale era la condizione perché la Rai recuperasse una collaborazione con Celentano che veniva in quel momento presentata come di grande valore strategico, una previsione del resto confermata dagli ascolti.
Per quanto riguarda il programma della dottoressa La Rosa, egli fa presente come quest'ultima avesse dato la sua disponibilità, su richiesta del Consiglio di amministrazione, dopo che era venuta meno la prevista conduzione da parte di Giovanni Masotti. Il Consiglio di amministrazione ha dato atto alla dottoressa La Rosa di aver fatto fronte ad una richiesta effettuata con pochissimo preavviso; la dottoressa La Rosa stessa ha chiesto un periodo di pausa per correggere e migliorare alcuni problemi della trasmissione, che le è stato concesso in coincidenza di «Rock Politik». Resta comunque il fatto, tuttora irrisolto, che fino ad oggi non si è trovato il modo di far decollare efficacemente la trasmissione di approfondimento giornalistico collocata su Rai Due nella prima serata di giovedì.
Per quanto riguarda la vicenda relativa al redattore capo Lomaglio, egli fa presente che questi è stato sostituito su iniziativa della dottoressa Buttiglione, e in esito a prolungate difficoltà con la redazione di Milano e con la direttrice stessa e che lui porterà comunque la questione all'esame del Consiglio di amministrazione.
Dopo aver fatto presente al senatore Novi che lo spostamento di Giovanni Bocco da Bruxelles è avvenuto nel quadro di una valorizzazione e promozione della professionalità del giornalista, come si avrà modo di riscontrare dall'incarico che gli sarà a breve assegnato, il Direttore generale conclude affermando che non è stata allo stato assunta alcuna decisione circa accordi commerciali fra Rai Way ed altre società.

Il presidente GENTILONI SILVERI ringrazia il presidente Petruccioli, il direttore generale Meocci e dichiara chiusa l'audizione.

La seduta termina alle 17.20.