I Commissione - Resoconto di marted́ 11 maggio 2004


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SEDE REFERENTE

Martedì 11 maggio 2004. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono i sottosegretari di Stato per le riforme istituzionali e la devoluzione, Aldo Brancher, e per l'interno Alfredo Mantovano.

La seduta comincia alle 11.10

DL 80/04: Disposizioni in materia di enti locali.
C. 4962 Governo, approvato dal Senato.
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame.

Nuccio CARRARA (AN), relatore, fa presente che l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge differisce al 31 maggio 2004 il termine per la deliberazione del bilancio di previsione degli enti locali per il 2004, mentre i commi 2 e 3 prevedono che anche per l'esercizio finanziario 2004, nell'ipotesi di scioglimento dei consigli comunali degli enti locali dovuta alla mancata approvazione del bilancio di previsione nei termini stabiliti, si applichi la procedura introdotta dal decreto-legge n. 13/2002 che attribuisce al prefetto i poteri, prima spettanti al Comitato regionale di controllo, relativi alla nomina del commissario incaricato di predisporre lo schema del bilancio ovvero di provvedere all'approvazione del bilancio stesso. Tale procedura si applica anche in caso di mancata adozione dei provvedimenti volti al ripiano di debiti fuori bilancio o del disavanzo di amministrazione risultante dal rendiconto. Passa quindi ad illustrare l'articolo 2, ai sensi del quale si prevede che, in sede di prima applicazione delle norme del testo unico sugli enti locali concernenti lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali che non abbiano adottato gli strumenti urbanistici generali, si proceda allo scioglimento dei predetti organi in carica, che non adottino tali strumenti entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge. L'articolo 3 novella l'articolo 38 del medesimo testo unico al fine di definire con maggiore chiarezza le modalità di presentazione delle dimissioni da cariche elettive negli enti locali. Quanto all'articolo 4, con esso si autorizzano i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti che abbiano subito una riduzione di trasferimenti erariali di parte corrente nell'anno 2004 superiore al 10 per cento di quelli assegnati nell'anno precedente ad applicare, in deroga alla normativa vigente, l'avanzo di amministrazione presunto dell'esercizio finanziario 2003 in sede di predisposizione del bilancio di previsione per l'anno 2004. L'articolo 5, comma 01, comprende nuovamente, tra i soggetti che partecipano al capitale della società di gestione della casa da gioco di Campione d'Italia, la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Como e la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Lecco, mentre l'articolo 5, comma 1, nel sostituire il testo del comma 15 dell'articolo 31 della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003), precisa il regime di applicazione della normativa in materia di assunzione di mutui da parte degli enti locali in condizioni di dissesto finanziario, prevedendo, in particolare, che le disposizioni del Testo unico sull'ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267), che disciplinano l'assunzione di mutui per il risanamento da parte degli enti locali dissestati e prevedono l'impegno statale alla contribuzione sui relativi oneri di ammortamento, non trovino più applicazione


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nei confronti degli enti che abbiano dichiarato il dissesto dopo la data di entrata in vigore della legge 18 ottobre 2001, n. 3, di riforma del Titolo V della Costituzione. Anche con la disposizione di cui all'articolo 5, comma 2 interviene in materia di procedure di risanamento degli enti dissestati, prevedendo, attraverso una norma interpretativa, che rientrano nelle competenze dell'organo straordinario di liquidazione e sono inseriti nel piano di rilevazione della massa passiva tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatesi entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato, pur se accertati, anche con provvedimento giurisdizionale, successivamente a tale data. L'articolo 6, ai commi 1 e 2, detta disposizioni dirette a consentire, su richiesta, l'erogazione in unica soluzione di tutti i trasferimenti erariali correnti e della quota di compartecipazione al gettito dell'IRPEF spettanti per l'anno 2004 a favore degli enti locali i cui organi consiliari siano stati sciolti per fenomeni di infiltrazione mafiosa (comma 1) e degli enti locali delle regioni Molise e Puglia colpiti dagli eventi calamitosi dell'ottobre 2002 (comma 2). Il comma 1-bis definisce invece, attraverso una novella al Testo Unico enti locali, una procedura specifica per il risanamento finanziario dei comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti i cui organi consiliari siano stati disciolti per infiltrazione mafiosa, prevedendo, in particolare, la possibilità da parte del Ministero dell'Interno di anticipare in favore di tali enti un importo determinato entro un limite massimo non superiore a cinque annualità dei trasferimenti erariali correnti e della quota di compartecipazione al gettito dell'IRPEF, da recuperare negli esercizi successivi mediante compensazione sulle somme dovute dallo Stato all'ente interessato ed eventuale conguaglio. Il comma 2-bis dell'articolo 6, prevede che la fascia demaniale marittima compresa nel territorio del comune di Campomarino (Campobasso) sia delimitata, con effetti retroattivi, secondo la linea di demarcazione definita sulla base delle risultanze catastali. L'articolo 6-bis prevede, a decorrere dall'esercizio 2004, l'istituzione nello stato di previsione del Ministero dell'interno di un «fondo finalizzato ad attribuire contributi agli enti locali per eventi eccezionali e per situazioni contingenti che necessitano di interventi» (comma 1). Il fondo è finanziato per un importo pari a 258.000 euro per ciascuno degli anni del triennio 2004-2006. L'articolo 7 reca varie modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. In particolare, la lettera a) del comma 1 novella l'articolo 58 del testo unico, che concerne le ipotesi di esclusione dall'elettorato passivo, espungendo dal novero di esse la condanna definitiva per il reato di peculato d'uso, mentre la lettera a-bis) del comma 1 sostituisce il comma 3 dell'articolo 59 del testo unico, modificando la disciplina dei termini di efficacia della sospensione di diritto dalle cariche elettive di cui allo stesso articolo 59. Quanto alle lettere b-bis) e b-ter) del comma 1, queste, modificando rispettivamente gli articoli 61 e 64 del testo unico, intervengono sulla materia dell'ineleggibilità e delle incompatibilità per le cariche di sindaco, di presidente di provincia e di assessore, laddove, invece, con le disposizioni di cui alle lettere b-quater) e b-quinquies) del comma 1, nel novellare gli articoli 254 e 256 del testo unico, sono volte ad eliminare la facoltà di presentare ricorso al Ministero dell'interno contro i provvedimenti, adottati dal commissario straordinario di liquidazione di enti dissestati, di diniego di inserimento di taluni debiti presunti nel piano di rilevazione della massa passiva. Di conseguenza, il comma 1-bis dell'articolo 7 dispone l'estinzione dei ricorsi presentati al Ministero dell'interno che non sono stati ancora decisi alla data di entrata in vigore della presente legge. La lettera b) del comma 1, in materia di decadenza di diritto dalle cariche elettive, è stata soppressa nel corso dell'esame al Senato. L'articolo 7-bis sopprime la Commissione parlamentare prevista dalla legge 178/1976, avente il compito di esprimere il parere al Governo sulla destinazione dei fondi per la ricostruzione del Belice, e ne devolve le competenze


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alle Commissioni parlamentari competenti per materia, mentre l'articolo 7-ter specifica che il soggetto beneficiario del contributo di cui al n. 47 dell'Allegato A della legge 29 dicembre 2003, n. 376 non è il Comune di Varese, bensì la Provincia di Varese. L'articolo 7-quater reca invece una modifica all'articolo 2, comma 11 della legge n. 350/2003, volta a rendere permanente l'imposta comunale addizionale sui diritti d'imbarco dei passeggeri, istituita dalla legge finanziaria per il solo 2004. L'articolo 7-quinquies reca infine una norma di interpretazione autentica in materia di compensi per consegna di certificati elettorali, stabilendo che il compenso previsto dall'articolo 4, comma 1, della legge 202/1991 a titolo di rimborso spese per ogni notificazione di atti dell'amministrazione finanziaria, non va corrisposto per la consegna dei certificati o delle tessere elettorali. Con rifeirmento, invece, al al disegno di legge di conversione, fa presente che, nel corso dell'esame presso il Senato, all'articolo 1 è stato aggiunto il comma 2, volto a prorogare di un anno il termine per l'adozione dei decreti legislativi, previsti dalla legge 131/2003 (cosiddetta «legge La Loggia»), finalizzati alla ricognizione dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, nonché all'individuazione delle funzioni fondamentali essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane e per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento (articolo 2, comma 1).

Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, avverte che la discussione di carattere generale potrà proseguire nella seduta di martedì 18 maggio e fissa il termine per la presentazione degli emendamenti allo stesso martedì 18 maggio 2004, alle ore 18. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modificazione di articoli della Parte II della Costituzione. C. 72 cost. Zeller, C. 113 cost. Bielli, C. 260 cost. Spini, C. 376 cost. Buttiglione, C. 468 cost. Contento, C. 582 cost. Cola, C. 721 cost. Pisapia, C. 874 cost. Selva, C. 875 cost. Selva, C. 877 cost. Selva, C. 966 cost. Bianchi Clerici, C. 1162 cost. Peretti, C. 1218 cost. Volontè, C. 1287 cost. Pisapia, C. 1403 cost. Lusetti, C. 1415 cost. Zaccheo, C. 1608 cost. Mantini, C. 1617 cost. Soda, C. 1725 cost. Olivieri, C. 1805 cost. Costa, C. 1964 cost. Serena, C. 2027 cost. Pisicchio, C. 2116 cost. Bolognesi, C. 2123 cost. Paroli, C. 2168 cost. Buontempo, C. 2320 cost. Zeller, C. 2413 cost. Collè, C. 2568 cost. Vitali, C. 2909 cost. Maurandi, C. 2994 cost. Olivieri, C. 3058 cost. Boato, C. 3489 cost. Stucchi, C. 3523 cost. Cento, C. 3531 cost. Monaco, C. 3541 cost. Pacini, C. 3572 cost. Consiglio regionale della Puglia, C. 3573 cost. Consiglio regionale della Puglia, C. 3584 cost. Chiaromonte, C. 3639 cost. Cabras, C. 3684 cost. Mantini, C. 3707 cost. La Malfa, C. 3885 cost. Briguglio, C. 4023 cost. Franceschini, C. 4393 cost. Pisapia, C. 4451 cost. Costa, C. 4805 cost. Perrotta e C. 4862 cost. Governo, approvato in prima deliberazione dal Senato.
(Seguito esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame, rinviato, da ultimo, nella seduta del 6 maggio 2004.

Gianclaudio BRESSA (MARGH-U), nel ricordare l'affermazione di Piero Calamandrei a proposito del pericolo insito nella carenza delle coscienze, che è ancor maggiore di quello derivante dalla carenza delle leggi, nonché quanto scritto da Balladore Pallieri con riguardo all'accentuarsi del discredito per la legge ed ai pericolosi risvolti che tale sentimento può avere per uno Stato repubblicano, che, proprio nel rispetto della legge o della Costituzione trova il fondamento della propria unità e la base della vita ordinata, sottolinea l'aspetto più grave sotteso al testo di riforma della Costituzione oggi in discussione alla Camera. Questo, a suo avviso, consiste nel fatto che il Governo, e con esso, la maggioranza che lo sostiene, ha fatto della riforma della Costituzione una mera verifica politica. Questa banalizzazione della Costituzione, il baratto tra devolution e interesse nazionale, tra premierato assoluto e Senato «pseudofederale»,


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che nulla hanno a che fare con idee e forme del costituzionalismo moderno, costituiscono l'elemento di maggior gravità e di maggior preoccupazione del processo in atto. La volontà di procedere, comunque, a colpi di maggioranza, nella più corposa ipotesi di riforma della Costituzione, sembra particolarmente inquietante. La nostra Costituzione, che è stata e che è un «compromesso fantastico», espressione di quanto le forze politiche rappresentate nell'Assemblea Costituente hanno avuto in comune, tanto con riguardo al passato, quanto con riguardo all'avvenire, per tali connotati non è mai stata una Costituzione di maggioranza. Ne è una riprova il fatto che, nel maggio del 1947, non si assistette ad una rottura nella collaborazione in sede di redazione della Costituzione. Pertanto, perdere questo spirito costituente, significa, a suo avviso, erodere un principio ispiratore, lo spirito della nostra Carta fondamentale. Ricorda, in proposito, l'insegnamento di Peter Haberle a proposito del fatto che la Costituzione rappresenta lo specchio del patrimonio culturale di un popolo e fondamento delle sue speranze, invitando, per tanto, a costruire la Costituzione come se essa si basasse su un contratto di tutti con tutti, del sopportarsi l'un l'altro in una concezione contrattualista della Costituzione. Ritiene opportuno insistere su questi aspetti di cultura costituzionale atteso che avverte un clima di leggerezza nel mettere mano alla modifica della Costituzione e di sostanziale disinteresse della pubblica opinione rispetto a quanto sta avvenendo. Invitando a non liquidare la nostra Costituzione solo al fine di consentire al Governo ed alla sua maggioranza di ricompattarsi in periodo elettorale, richiama il timore espresso da Livio Paladin, in ordine al rischio che la crisi delle forze politiche che avevano originato il patto istituzionale, potesse comportare il pericolo di rimettere in discussione l'intero assetto istituzionale del paese e ricorda, in proposito, la chiave di lettura metodologica per intervenire sulla carta fondamentale, fornita dallo stesso autore. Ad avviso di quest'ultimo, nella parte II della Costituzione non mancano previsioni e proclamazioni, tuttora validissime, che vanno sottratte ad ogni revisione costituzionale. Il ché, si traduce nell'invito a distinguere analiticamente quanto debba essere ripensato a causa delle sue stesse origini da quanto si dimostra tuttora vivo e vitale. Alla luce di tali considerazioni, esprime pertanto l'auspicio che tale sforzo concettuale e politico venga fatto, muovendo da una riconsiderazione del testo prodotto dal Senato, relativamente ai parametri di coerenza, logicità e razionalità costituzionale. Al riguardo, esprime un giudizio politico immediato: il sistema delineato dal Senato non funziona e non sarà in grado di funzionare, atteso che, al fine di assecondare la logica dello scambio costituzionale, sono stati introdotti elementi disomogenei, mutuati da sistemi diversi, a fianco a meccanismi di nuove invenzioni. Il risultato è che il sistema delineato più che un nuovo meccanismo capace di funzionare, è una sorta di macchina da cartoni animati, che non ha, né può avere, riscontro possibile con la realtà. Le ragioni per le quali il sistema delineato dal Senato non è in grado di funzionare sono molteplici. A livello stilistico, il testo è caratterizzato da una tendenza a una scrittura costituzionale ipertrofica, con numerose formulazioni più adatte ad una legge ordinaria, probabilmente conseguenza della logica di scambio politico che permea l'intero progetto e che ha indotto a formulare accordi che fossero i più dettagliati possibile. Al di là dello stile l'elemento di maggiore funzionalità è rappresentato dal sistema di formazione delle leggi. Il testo approvato dal Senato realizza un condivisibile superamento del bicameralismo paretario, differenziando, tuttavia le funzioni legislative sulla base di una complessa tripartizione di fonti in leggi a prevalenza della Camera, a prevalenza del Senato e bicamerali. Questa tripartizione a livello di fonti è, a sua volta, collegata ad una ancor più intricata ripartizione delle competenze. Il sistema originato è macchinoso e destinato a sommare alla conflittualità esistente tra lo Stato e le regioni, una nuova, ma non meno complicata, conflittualità


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tra gli stessi rami del Parlamento. A questa proliferazione di fonti e competenze, si deve aggiungere che poco si è fatto per correggere alcuni problemi di fondo presenti nella riforma del titolo V, relativamente alla divisione di materie e alla separazione di competenze tra Stato e regioni, né si è tenuto conto della più recente giurisprudenza costituzionale che ha evidenziato l'incapacità di qualsiasi norma costituzionale di irrigidire i rapporti tra Stato e regioni entro un modello di separazione delle competenze. Né, vengono recepite le più recenti innovazioni della giurisprudenza costituzionale a proposito dell'interpretazione estensiva di taluni ambiti di competenza statale al fine di contenere le competenze residuali regionali: il risultato è che il progetto nasce dal vecchio. La staticità del riparto di competenze tra Stato e regioni, in assenza di alcuna clausola di flessibilità piccola è stato, per di più, trasfusa nella distribuzione delle funzioni legislative tra Camera e Senato, con soluzioni difficilmente comprensibili. Altra questione problematica è quella dell'interesse nazionale. Al di là della scarsa qualità tecnica della norma proposta, si rilevano una certa improvvisazione, la scelta per forme costituzionali incoerenti, complicate e inattuabili. Premesso che con la riforma del titolo V si è rivoluzionato il criterio di fondo dell'ordinamento dei rapporti tra Stato e regioni che, da enti disposti lungo una linea gerarchica sono assurti a enti pari ordinati, tenuti a collaborare nell'interesse della Repubblica, il testo approvato dal Senato indica invece una nuova sede in cui le esigenze unitarie possono e devono trovare la loro tutela, reintroducendo un nuovo fattore di accentramento e di contraddizione del sistema. Quello dell'interesse nazionale, certamente costituiva terreno di scambio politico all'interno della maggioranza, ma la sua reintroduzione meglio poteva avvenire intervenendo sull'attuale testo della Costituzione, estrapolandone i veri contenuti dello stesso interesse nazionale. Altrimenti, sarebbe stato quantomeno opportuno rifarsi a formulazioni collaudate e coerenti, come, ad esempio quella prevista dall'articolo 70 della Costituzione tedesca che attribuisce allo Stato il diritto a legiferare quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica. La strada percorsa, rende invece il Governo arbitro delle definizioni di interesse nazionale ed il Senato il suo esecutore, dando vita ad una sorta di comitato di controllo sull'attività delle regioni e non, invece, ad un luogo di espressione e armonizzazione delle istanze regionali e trasforma il Presidente delle Repubblica in mero nuncius delle decisioni del Governo. Quanto agli innumerevoli problemi meno evidenti, si può menzionare il comma 10 dell'articolo 42 che consente che il bilancio ed il rendiconto consuntivo, sino all'entrata in vigore delle leggi di attuazione dell'articolo 119, potranno essere approvati di fatto in Commissione con limitazione dei poteri dell'Assemblea alla mera approvazione finale con sole dichiarazioni di voto. Inoltre, la modifica dell'articolo 118, di fatto, aggiunge ad alcune materie di competenza esclusiva dello Stato talune materie di competenza concorrente senza invece introdurre una disciplina generale ed equilibrata del coordinamento e della leale cooperazione. Di difficile comprensione è poi la modifica recata all'articolo 120 che rinvia ad una legge rinforzata la disciplina dei principi per l'esercizio del potere sostitutivo. Chiarissima è invece la ratio della modifica apportata all'articolo 126 al fine rompere il principio del simul stabunt, simul cadent degli organi regionali che, se coordinata con il comma 12 dell'articolo 42 finisce con l'imporre, mediante una norma transitoria, questa scelta anche alla regioni che nel frattempo hanno approvato il proprio statuto dando piena applicazione alla regola del simul stabunt, simul cadent. Con riguardo all'improbabile funzionamento del sistema, si rende necessaria un'ultima osservazione concernente la forma di governo. L'articolo 88 e i successivi dedicati alla forma di governo, fanno riferimento ai «deputati appartenenti alla maggioranza» al fine di evitare cambi di maggioranza nel corso della legislatura. Se chiara è la ratio della


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norma, la sua redazione è invece assolutamente inadeguata. Infatti, poiché il Primo Ministro è nominato dal Presidente della Repubblica, sulla base dei risultati elettorali, e non è votato dalla Camera, non esiste un atto formale cui ricondurre la delimitazione della maggioranza in Parlamento, la quale avverrebbe con esclusivo riferimento ad una fase preparlamentare. In conseguenza di ciò, il mandato sembrerebbe diventare imperativo, essendo preclusa ogni successiva dialettica nella sede più propriamente parlamentare. La norma proposta, proprio perché costituisce una grave deroga al principio del mandato imperativo sancito dall'articolo 67, peraltro riconfermato nella sostanza rappresenta un vulnus al principio della democrazia rappresentativa, e, come tale, ipoteticamente sanzionabile dalla Corte costituzionale, in quanto limite alla stessa legge di revisione. Terminata l'analisi di alcuni dei punti suscettibili di causare l'incapacità di funzionamento del sistema o, addirittura, il suo collasso, procede ad una serie di valutazioni di carattere politico, che conducono ad affermare che, in assenza di un cambiamento profondo del testo proposto, quest'ultimo è da considerare inemendabile, in quanto meritevole di essere rigettato nella sua totalità. Il giudizio negativo non nasce da una linea di conservazione dello status quo, bensì dal rilievo chela proposta di revisione è in evidente contrasto con le ragioni del costituzionalismo moderno, con la storia e la teoria delle costituzioni. L'essenza del costituzionalismo moderno è infatti quella di costituire un argine allo strapotere della politica, di sottoporre il potere a regole. Per converso, l'essenza del progetto di riforma consiste nella pretesa, eminentemente politica, di consolidare gli equilibri dell'attuale maggioranza, mediante forme e modelli che, assemblando nomi mutuati da varie costituzioni, conducono ad uno strapotere del Primo Ministro, liberato da limiti e controlli in una misura mai vista in altre costituzioni democratiche. Ne emerge un modello di Costituzione interamente «dalla parte del potere» e non dei cittadini, tale da tradire l'essenza stessa della democrazia che presuppone che il popolo disponga dell'esercizio della sovranità che si compone, non solo del diritto elettorale, bensì delle altre libertà che costituiscono i presupposti indispensabili per una cosciente ed illuminata elezione. La forma di governo propugnata, definita da un noto costituzionalista come «premierato assoluto» realizza una concentrazioni di poteri in una sola persona senza precedenti, tale da far degenerare la stessa forma di Stato democratico rappresentativo. Questo risultato è raggiunto ibridando istituti classici della forma di governo parlamentare, con norme mutuate da sistemi diversi e dando vita, così, ad un modello che va ben oltre il premierato inglese. Né, all'uopo, è opportuno rifarsi a rappresentanti del costituzionalismo britannico, quali Bagehot, che immaginavano una forma di governo in cui l'investitura parlamentare del Governo non assorgeva a semplice elemento del quadro complessivo, bensì a pilastro centrale dell'assetto istituzionale, funzione principale della Camera. Il testo approvato dal Senato va oltre il modello inglese che, correlato al bipartitismo presente nella composizione della Camera dei Comuni, prevede la responsabilità del premier nei confronti della sua maggioranza. D'altro lato, in paesi ove non è presente un sistema bipartitico analogo a quello anglosassone, al fine di rafforzare le prerogative dell'esecutivo, sono stati introdotti correttivi diversi al fine di razionalizzare la forma di governo parlamentare. Problematica è altresì la disposizione introdotta al secondo comma dell'articolo 94, che sanziona con lo scioglimento della Camera il voto non conforme di quest'ultima ad una proposta avanzata con priorità assoluta dal Governo, rendendo il Primo Ministro un dominus assoluto anche della funzione legislativa della Camera. Tale disposizione, che fa venir meno il principio cardine del costituzionalismo, la divisione dei poteri, finisce per consentire la creazione di un'assemblea legislativa, democraticamente eletta, ma deputata alla sola approvazione della volontà del Governo, in omaggio a sogni autoritari. Gli effetti della


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disposizione recata dal secondo comma dell'articolo 94, si spingono fino a condizionare la stessa attività del Senato, atteso che, nelle materie essenziali per l'attuazione del programma di governo, la volontà della Camera, anche nelle materie di legislazione concorrente, è in grado di vincolare la Camera alta. Il secondo comma dell'articolo 94 consentirebbe inoltre, spettando alla Camera di legiferare in via definitiva nelle materie attribuite alla potestà esclusiva dello Stato, al Governo di incidere pesantemente, utilizzando il ricatto dello scioglimento, sulla disciplina di attuazione di gran parte dei diritti previsti dalla prima parte della Costituzione. Quanto alla nuova configurazione del Senato, quest'ultimo, nonostante sia definito come federale, è in realtà un meccanismo complesso e pericoloso, gravato da compiti impropri, nell'illusoria tentazione di configurarlo come contropotere al Primo Ministro. La riforma in senso federale del Parlamento, trasformando il Senato in una seconda Camera rappresentativa delle autonomie territoriali, è scelta istituzionalmente indispensabile e giuridicamente fondata, in virtù dell'espressa previsione contenuta nell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Tuttavia, anche sotto questo aspetto, la riforma approvata dal Senato non appare conforme allo scopo, atteso che una Camera può dirsi federale, solo ove la sua rappresentanza sia espressione delle entità territoriali, e munita di poteri legislativi specificamente connessi alle esigenze di armonizzazione delle istanze territoriali con quelle dello Stato. Tale non è il nuovo Senato. Ove non si voglia istituire una Camera federale, sarebbe quanto meno opportuno rafforzare tutte le possibili sede istituzionali di cooperazione tra Stato e regioni, nonché quelle di coordinamento tra le regioni stesse, non soltanto a livello legislativo ma anche a quello amministrativo. Altra questione dirimente è rappresentata dalla devoluzione. Sul punto, il progetto di riforma modifica il quarto comma dell'articolo 117 in un duplice senso: tanto con riguardo alla natura della potestà legislativa residuale regionale, che definisce come esclusiva, che con riguardo alle materie sulle quali essa si esercita. Rilevato che l'articolo 117, quarto comma, sarebbe meritevole di talune correzioni, al fine di renderlo più agevolmente applicabile, il testo approvato dal Senato segue la strada inversa a quella che sarebbe stato auspicabile percorrere, lasciando, cioè, immutate le disposizioni più problematiche, ed introducendo, per converso, un ulteriore concetto, quello della esclusività delle competenze regionali che è, peraltro, negato dalla dottrina dominante. Quanto, poi, alle materie affidate in via esclusiva alla competenza legislativa regionale, si verifica una preoccupante incidenza in ambiti devoluti altresì alla competenza legislativa statale, con il rischio di dar vita a conflitti permanenti in materie delicatissime per la garanzia e la tutela dei diritti di cittadinanza. D'altro lato, tale disposizione è foriera del rischio che le regioni utilizzino i nuovi poteri per scardinare servizi universali, quali scuola, sanità, sicurezza pubblica, che sono la sostanza dei diritti di cittadinanza e la garanzia dei diritti di libertà ed eguaglianza. Altro elemento discutibile della riforma è il totale disinteresse manifestato con riguardo alla necessità di correggere il rapporto tra maggioranza ed opposizione, il cui sfaldamento è stato il più vistoso effetto della legge elettorale maggioritaria. In particolare non è stato introdotto uno statuto dell'opposizione né sono state previste maggioranze di garanzia, privando così i diritti fondamentali dei cittadini di uno statuto di garanzia. In proposito, non è accettabile che l'intera disciplina delle garanzie dell'opposizione sia rimessa ai regolamenti parlamentari, controllabili dalla maggioranza, né è accettabile che la maggioranza possa decidere di attribuire a se medesima i poteri dell'autorità giudiziaria nelle Commissioni parlamentari di inchiesta, né è parimenti accettabile che le minoranze parlamentari siano private della garanzia del ricorso preventivo ai tribunali costituzionali. In sintesi, non è più accettabile condizione di una minoranza, qualunque essa sia, impedita nel suo ruolo e nelle sue funzioni, da uno


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strapotere della maggioranza che blinda sistematicamente il Parlamento. Sembra altresì grave l'esclusione, prevista al primo comma dell'articolo 117, dai vincoli costituzionali alla legislazione, sia statale che regionale, del rispetto degli obblighi internazionali, lasciando così, di fatto, la porta aperta a comportamenti omissivi e trasgressivi di obblighi legalmente e responsabilmente assunti verso gli altri Stati. Altra modifica non accettabile è quella recata all'articolo 138, che sembra preordinata a rendere definitiva la stessa revisione costituzionale in esame, se approvata. Introducendo un referendum obbligatorio sulle leggi di revisione, sostituendo il referendum oppositivo, che è strumento di tutela delle minoranze, con un referendum approvativo, che è strumento di prevaricazione della maggioranza, si produce infatti l'effetto di consolidare le «leggi dei più» come principi immodificabili e incondizionati. Con riguardo, infine, alle disposizioni presenti nelle norme transitorie, rileva come esse finiscano per celare gli aspetti più significativi della riforma costituzionale. In proposito, rileva come l'articolo 42, quarto comma, in difformità rispetto a quanto previsto per altri istituti introdotti dalla riforma, stabilisce la decorrenza immediata della modifica della composizione della Corte costituzionale, per il plausibile scopo di incrementare da subito la percentuale dei giudici di nomina politica.

Sesa AMICI (DS-U) nel salutare con favore l'atteggiamento assunto dalle forze dell'opposizione rispetto al provvedimento all'esame della Commissione, che denota una attenta analisi dello stesso ed una conseguente presa di posizione riguardo ai contenuti della riforma, fa presente che ove dovesse perpetuarsi alla Camera dei Deputati, in seno alla maggioranza, il medesimo clima di baratto politico che si è registrato al Senato, il testo deve considerarsi inemendabile, in quanto suscettibile esclusivamente di mero rigetto. Ove, invece, al predetto atteggiamento dovesse succedere una sostanziale collaborazione tra la maggioranza e l'opposizione sul profilo delle riforme costituzionali, il quadro dei rapporti ne risulterebbe radicalmente mutato. Rileva che l'approvazione del testo da parte del Senato è avvenuta in tempi eccessivamente ridotti tali da privare il dibattito di quei connotati che dovrebbero informare la cultura di una riforma costituzionale. Atteso che le disposizioni costituzionali sono volte a disciplinare i rapporti sociali ed economici di una società, oltre che l'assetto istituzionale dello Stato, è necessario privare ogni intervento sulle stesse di ogni connotato di precarietà. Inoltre, le costituzioni contemporanee, massima espressione della cultura giuridica occidentale e patrimonio degli Stati unitari, devono essere per necessità democratiche e pluraliste, nonché coerenti con l'evoluzione storica del paese di cui sono espressione. In particolare, il progetto di riforma della Costituzione approvata dal Senato non tiene conto delle predette evoluzioni e reca una disciplina del federalismo estranea al contesto storico e politico in cui esso è maturato. Ricorda, sul punto, le audizioni tenutesi presso la I Commissione agli inizi della legislatura, dalle quali è emerso che il federalismo può connotarsi come un fenomeno che unisce ovvero divide e che, per una compiuta valutazione del fenomeno così come esso si è manifestato in Italia, è necessario tener presente che, in proposito, si è verificato un incontro non soltanto tra elementi della cultura giuridica e della storia culturale del paese, ma anche con fattori politici. Una riforma in tema di federalismo in Italia deve infatti prendere le mosse dal rilievo che una esigenza in questo senso è nata dall'interferenza tra principi giuridici ordinamentali e sistema partitico. Il testo approvato dal Senato rappresenta invece, anche in tema di federalismo, una sostanziale involuzione e sembra caratterizzarsi per la sua inefficacia, essendo rivolto, più che a realizzare una compiuta riforma, a conseguire un vero e proprio baratto politico tra le forze della maggioranza. Il risultato è che si è dato vita ad un vero e proprio «mostro». Il cosiddetto Senato federale, preordinato a realizzare più compiute


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forme di autonomia delle regioni, non riesce nel suo scopo, mentre sembra perfettamente in grado di rappresentare un vero e proprio braccio armato capace di bloccare l'azione del Governo, ad evidente discapito del conseguimento di una maggiore governabilità del paese, che doveva essere uno degli obiettivi prioritari perseguiti dalla riforma medesima. Inoltre, l'attuale problematica della conflittualità tra Stato e regioni non sembra risolvibile mediante l'attribuzione di potestà esclusive a favore delle regioni, tanto più che il conferimento a queste ultime della competenza legislativa esclusiva in materia di polizia locale, pone una serie di problemi con riguardo alla garanzia della sicurezza complessiva dello Stato. D'altro lato, la riforma dovrebbe operare come strumento capace di porre fine alla fase di transizione che sta vivendo da un decennio il nostro paese. A tal fine, si sarebbe dovuto operare portando a compimento la riforma del sistema in senso maggioritario, intervenendo pertanto non solo su taluni meccanismi, ma, altresì, sulla diversa distribuzione di competenze tra organi e poteri dello Stato. Anche su questo punto, la proposta di riforma si rivela invece del tutto inadeguata, ancora una volta grazie, principalmente, al ruolo attribuito al Senato che è, ad un tempo, controllore degli atti delle regioni e organo titolare di poteri di veto rispetto agli atti della Camera dei Deputati. Se si considera che a tali insufficienze si aggiunge una disciplina in ordine all'elettorato passivo al Senato che sembra violare il principio di eguaglianza, si comprende perché il testo così come trasmesso dal Senato è palesemente inemendabile. Inoltre, l'idea che il Senato possa fungere da contrappeso rispetto alla Camera dei Deputati, è soluzione meramente apparente, atteso che esso rappresenta un vero e proprio contropotere capace di inibire l'esercizio delle funzioni dell'esecutivo e di quelle di cui è titolare l'altro ramo del Parlamento. Tali contraddizioni derivano principalmente dal fatto che la maggioranza ha pensato di riformare la Costituzione senza comprendere che una riforma presuppone coesione sia all'interno che all'esterno del proprio schieramento. Questo atteggiamento appare inoltre decisamente stridente con quello assunto dal Governo all'epoca dell'Assemblea costituente, in occasione della quale si verificò una separazione dei poteri tale da garantire democraticità e pluralismo.

Antonio MACCANICO (MARGH-U) fa presente che svolgerà talune considerazioni propedeutiche, preliminari, di carattere generale, per avviare proficuamente la discussione su un disegno di legge costituzionale di 42 articoli, che riforma quasi interamente la seconda parte della Costituzione. Preliminarmente, fa presente che la consapevolezza della necessità di completare la riforma delle istituzioni, già avviata nelle scorse legislature, e, più in generale, dell'urgenza di chiudere un periodo di transizione del sistema politico che è ormai divenuto eccessivamente lungo, è condivisa tanto dalla maggioranza che dall'opposizione. L'invito rivolto dal professor Valerio Onida a liberarsi dal «mito» delle riforme istituzionali, ove il tessuto costituzionale su cui esse andrebbero ad incidere mantenga la propria vitalità, non sembra infatti condivisibile. Le revisioni costituzionali sono infatti necessarie ogni qualvolta si verifichino cambiamenti profondi della società, dell'assetto delle forze politiche e del contesto internazionale. Èdunque difficile pensare che il nostro paese potesse fronteggiare la crisi politica vissuta all'inizio degli anni '90, senza procedere ad una riforma costituzionale. Ribadito che la revisione costituzionale deve essere valutata come un fatto fisiologico e non come un fatto patologico, fa presente che essa si rivela tanto più necessaria ove un processo di revisione sia stato iniziato, ma non completato. Tuttavia, le riforme costituzionali dovrebbero intervenire sul testo della Carta fondamentale in modo puntuale, al fine di introdurre interventi commisurati agli obiettivi perseguiti, laddove il testo in esame si caratterizza invece per eccessi e ridondanze normative. Inoltre, atteso che si tratta di completare un'opera già iniziata,


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e non di avviare ex novo un processo di riforma, sarebbe opportuno procedere ad una valutazione critica, ad una riflessione su quanto è avvenuto, al fine di individuare le linee di tendenza che si sono già manifestate. L'azione di riforma, infine, non può essere configurata come astratta modellistica da tradurre in norme, in quanto richiede realismo e aderenza alla realtà politica e storica nella quale la riforma deve essere collocata. Per tali ragioni, una riflessione sul senso di quanto è avvenuto e sulle esperienze già vissute, sembra necessaria. I principali problemi che la crisi della prima Repubblica, e con essa del sistema dei partiti e di quello proporzionale, ha generato, sembrano essenzialmente tre: il consolidamento della democrazia dell'alternanza, e quindi il problema della forma di Governo; il completamento della riforma federale dello Stato o, se si vuole «l'assetto di un regionalismo forte»; l'adeguamento del nostro ordinamento all'evoluzione dell'Unione europea e alle nuove fasi del processo di integrazione e di allargamento. La questione principale e prioritaria affrontata nel processo di riforma è stata quella di conseguire la stabilità dei Governi nazionali, regionali, e locali. Questo obiettivo della stabilità è stato perseguito per vie diverse, per vie divergenti ai vari livelli di Governo. A livello statale nazionale, questo obiettivo si è tentato di raggiungerlo attraverso la via della riforma elettorale, dal proporzionale al maggioritario, sia pure al 75 per cento. Il movimento referendario è stato il propulsore di questo cambiamento. A livello regionale e locale si è seguita invece la via di un sistema semipresidenziale originale: elezione popolare diretta del capo dell'esecutivo, elezione con sistema proporzionale dei consigli regionali, provinciali, comunali; possibilità di sfiducia al Presidente eletto. Ciò significa che sul piano nazionale si è scelta una via che ha cercato di conseguire la stabilità di Governo senza abbandonare la forma di Governo parlamentare, operando sulla riforma elettorale proporzionale; mentre sul piano locale e regionale si è cambiata la forma di Governo, avvicinandola a quella presidenziale. È importante rimarcare questa sostanziale differenza se si vuole mantenere gli interventi di completamento della riforma secondo una linea di coerenza e non di contraddittorietà. La scelta fatta alla Costituente sulla forma di Governo parlamentare è stata confermata: il referendum popolare sulla legge elettorale significa anche questo. Se tutto ciò è vero, occorre allora aver presente un'altra ovvia verità, cioè che la forma di Governo della democrazia parlamentare ha tre pilastri fondamentali: la Costituzione, la legge elettorale, i regolamenti parlamentari. Il che significa che gli assetti normativi di questi tre pilastri tendono naturalmente ad interagire tra loro, nel senso che ogni cambiamento dell'una postula un cambiamento dell'altra e viceversa. Per il rendimento complessivo del sistema e per la sua coerenza è bene tenere presente questa ovvia verità. Sulla forma di Governo il disegno di legge prevede innovazioni normative che mirano sia a rafforzare la stabilità del Governo della Repubblica, che la posizione istituzionale del primo ministro. In un certo senso si ispira al premierato di modello britannico. Questa scelta è certamente in via generale in linea con l'obiettivo di perseguimento della stabilità di governo attraverso il sistema elettorale. Ciò che suscita perplessità è invece l'eccessiva, tra l'altro non necessaria al fine della stabilità, adozione di alcune misure di rafforzamento del primo ministro. Esse rischiano una patente fuoriuscita dal sistema di democrazia parlamentare, che presuppone la salvaguardia di alcune fondamentali prerogative del Parlamento. Stabilire che un voto di sfiducia al Governo comporta lo scioglimento automatico del Parlamento è una norma eccessiva. La legittimazione del Governo nasce infatti pur sempre dalla fiducia del Parlamento; non dalla elezione diretta da parte del popolo. Ricorda, sul punto, che in Italia i Governi di coalizione non sono mai caduti per una mozione di sfiducia, bensì per crisi extra parlamentari, ma pur essendo proprio questo il pericolo da eliminare, esso in realtà permane. Ricorda, nella passata legislatura, la proposta parlamentare


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ad iniziativa del deputato Mussi, ed invita a prenderla in considerazione. Al fine di rafforzare l'istituto di Governo, si potrebbero allora adottare misure diverse rispetto a quelle prescelte dal testo approvato dal Senato, quali, ad esempio, norme che prevedano e disciplinino i poteri regolamentari del Governo, affidandogli gli spazi non coperti da riserve di legge, ovvero norme che sanciscano il diritto del Governo a che i suoi disegni di legge abbiano una data certa per il voto. Queste misure sono accettabili, se si vuole consolidare il sistema dell'alternanza, il sistema bipolare, fondato su una legge elettorale maggioritaria, solo ove, contemporaneamente, si prevedano ben definiti contrappesi a favore dell'opposizione, quali, ad esempio, l'accesso diretto alla Corte Costituzionale, l'attivazione di inchieste parlamentari con un quorum adeguati, ricorso alla Corte Costituzionale sulle decisioni in materia di ineleggibilità e incompatibilità, previsione di quorum adeguati per le riforme regolamentari e per la elezione del Presidente della Camera. Atteso che la Costituzione del '48 presupponeva il sistema elettorale proporzionale, l'adozione del sistema elettorale maggioritario comporta una revisione dei quorum previsti in Costituzione, quale nucleo iniziale per la definizione di uno statuto dell'opposizione. In materia di forma di Governo, si registra quindi un grande squilibrio: ad un rafforzamento eccessivo della posizione del Primo Ministro, non corrisponde infatti un insieme di contrappesi adeguati. Quanto al sistema elettorale del Presidente della Repubblica, il testo approvato dal Senato non esclude la possibilità che il Presidente della Repubblica sia eletto dalla sola maggioranza di Governo, anche se la forte presenza di delegati delle autonomie la rende meno probabile. Ritiene pertanto opportuno, in proposito, richiamare la soluzione che fu avanzata dal professor Tosato all'Assemblea Costituente. Per quanto concerne la forma di Stato, le norme che delineano il Senato federale, la sua struttura e le sue competenze sono quelle che suscitano le riserve più profonde. Al di là del rilievo che a fronte dei due principali modelli di Senato federale, quello americano, e quello tedesco, ne viene introdotto un altro dai lineamenti assai confusi, la disciplina recata con riguardo alle competenze e, in particolare alle tipologie di leggi conosciute dall'ordinamento, non solo è quanto mai complessa e suscettibile di controversie interpretative illimitate, ma diminuisce l'efficienza complessiva del sistema, atteso che rende Governo e maggioranza ostaggi di una Assemblea, il Senato federale, anche con riguardo a parti rilevanti del programma di governo, su cui l'Esecutivo perde ogni potere di influenza. D'altro lato, alcune modifiche introdotte all'articolo 117, con riguardo all'attribuzione di competenze, possono ritenersi accettabili, altre sono invece fonte di gravi incertezze interpretative, come quelle che inseriscono le norme in tema di devoluzione. Si deve osservare, comunque, che l'impianto della riforma del titolo V, dopo tante polemiche, per la parte maggiore è stato conservato. Inaccettabile considera anche la riforma della Corte Costituzionale. A conclusione di queste prime sommarie osservazioni nella discussione generale, ritiene necessario esprimere un augurio. Ricordando infatti di essere stato testimone, come giovane funzionario, delle discussioni nell'Assemblea Costituente, non si illude che lo spirito costituente possa ricostituirsi oggi, ma auspica, tuttavia, che oggi, maggioranza ed opposizione, nel discutere in merito alla revisione della Costituzione, possano realizzare un minimo di distacco dalle contingenze politiche, dalle anomalie della nostra situazione nazionale, da quello che è stato definito il fattore B, da un certo spirito di rivalsa e di reciproco dispetto che spesso domina le forze parlamentari. Le norme costituzionali sono infatti volte a durare nel tempo, a dare certezze ordinamentali resistenti alle vicende alterne della politica, a dare un ancoraggio di solida democrazia al nostro futuro, per dare una base di certezza ai processi decisionali politici indispensabili per una politica di sviluppo. La maggioranza non può decidere nella illusione che sua posizione di vantaggio


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odierna si perpetui nel tempo all'infinito; l'opposizione non deve temere che rimarrà tale per tutto il futuro prevedibile, ma potrà essere investita di nuova responsabilità di governo. Spetta pertanto alla I Commissione, in fase referente, creare un clima di discussione più sereno e più produttivo, operare cioè una svolta rispetto a quanto è avvenuto in Senato. L'alternativa è facilmente immaginabile. Se ogni maggioranza pretende di farsi la propria Costituzione, non sarà mai possibile uscire dalla lunga fase di transizione nella quale il Paese è immerso e ciò, con grande danno per i cittadini.

Alessandro MARAN (DS-U), premesse forti perplessità in ordine alle modalità con le quali la maggioranza sta affrontando una riforma costituzionale che è frutto di un dibattito che appare tutto interno ad essa, fa presente che il federalismo non può essere considerato alla stegua di un mero trasferimento di funzioni dal centro alla periferia, ma deve essere volto a dettare un nuovo rapporto tra lo Stato e i cittadini. A tale fine, sarebbe opportuno che il progetto di riforma costituzionale prevedesse una vera e propria Camera federale, nella quale sia effettivamente garantita la rappresentanza delle regioni e degli enti locali. Di tale carenza soffriva anche la riforma del titolo V varata nella precedente lesgislatura. È indubbio che un vero federalismo possa attuarsi solo con il diretto coinvolgimento degli enti terrioriali nelle scelte legislative nazionali, anche, e soprattutto, con riferimento alle decisioni in ordine alla distribuzione e alla programmazione delle risorse finanziarie. Un'Assemblea di tipo federale sarebbe necessaria anche per risolvere due questioni lasciate aperte dopo la riforma del titolo V della Costituzione: il coordinamento verticale tra Stato e governi territoriali nella determinazione delle politiche e il problema della risoluzione politica del conflitto distributivo tra territori. Occorre tuttavia rilevare che il Senato federale, così come delineato nella sua composizione dal progetto di legge costituzionale approvato dall'altro ramo del Parlamento, non si palesa come Assemblea realmente rappresentativa delle istanze territoriali. Ciò significa che, a fronte di una presa d'atto di un problema, la scelta per la quale si è optato è stata di così basso profilo da non condurre in alcun modo alla sua soluzione, attesa la debolezza del legame tra Senato federale e regioni ed enti locali. Non è sufficiente a tale proposito la previsione di una contestualità nelle elezioni del Senato e dei Consigli regionali, atteso che l'elezione dei senatori dovrebbe essere invece direttamente collegata a quella dei presidenti delle regioni, così da assicurare che i membri del Senato, fatta salava una quota garantita all'opposizione, siano effettivamente espressione della coalizione di maggioranza che governa la regione in cui sono stati eletti. Peraltro la stessa conferma della partecipazione di delegati regionali nel procedimento di elezione del Presidente della Repubblica non rappresenta altro che la presa d'atto di uno scollamento evidente tra senato e rappresentanza regionale. Del resto, in una Assemblea che viene qualificata come federale non dovrebbero più trovare spazio i senatori eletti nella ciorcoscrizione estero, laddove invece restano paradossalmente prive di rappresentanza le autonomie locali. Passando al profilo della funzionalità del procedimento legislativo previsto alla luce della novella apportata all'articolo 70 della Costituzione, ritiene che la rigida ripartizione delle competenze legislative tra le due Camere, fondata su una distinzione di materie mutuata dall'articolo 117, commi 2 e 3, della Costituzione stessa sia assolutamente incongrua e sicuramente suscettibile di creare elevati problemi di coordinamento tra i centri di produzione legisaltiva del nostro Paese. Vi è infatti un forte rischio che, pur in presenza di congegni istituzionali che rendono le decisioni delle due Camere strettamente interdipendenti tra loro, vi siano determinate materie, la sanità ad esempio, in relazione alle quali si potrebbe dare vita ad un intreccio contraddittorio e perverso di disposizioni legislative, di volta in volta dettate con leggi a prevalenza della Camera, con leggi


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a prevalenza del Senato, con leggi «bicamerali» di Camera e Senato e, infine, con leggi regionali, atteso che, nel caso di psecie, sio tratta di una materia che, ai sensi della cosiddetta «devolution», viene ricompresa nella competenza legisaltiva esclusiva regionale. Il rischio è evidente: il conflitto che è esploso tra Stato e Regioni di fronte alla Corte Costituzionale in materia di attuazione del titolo V potrebbe tradursi in conflitti di competenza legisaltiva tra le due Camere. Non può peraltro non essere considerata la difficoltà di condurre un'azione di governo efficace a fronte di un Senato che risulta sganciato dal circuito fiduciario e non può essere neppure minacciato di scioglimento, arma questa di cui il Primo Ministro dispone nei confronti della Camera dei deputati. Questa nuova prerogativa del Primo Ministro rischia comunque di modificare la forma di governo italiana, che esce dall'alveo del parlamentarismo senza tuttavia riuscire a trovare una collocazione in uno dei modelli alternativi attualmente vigenti in altri Paesi. A ciò contribuisce anche lo svilimento delle funzioni proprie del Presidente della Repubblica che perde qualsiasi voce in capitolo sia in materia di formazione del governo che di scioglimento della Camera.

Antonio SODA (DS-U) ritiene che l'errore commesso nella precedente legislatura di approvare la riforma del titolo V con i voti della sola maggioranza, ormai da molti riconosciuto, non possa giustificare l'attuale maggioranza a commetterne uno analogo, tanto più grave quanto più ampia è la riforma della Costituzione dettata dal provvedimento già approvato dal Senato. Quanto ai contenuti di tale articolato, ritiene in primo luogo un errore prevedere la riduzione del numero dei parlamentari che, di fatto, rappresenta un evidente cedimento alla cosiddetta «anti-politica», atteso che il rapporto tra eletti ed elettori nei sistemi istituzionali paragonabili a quello italiano non si discosta eccessivamente dalla proporzione 1 a 120.000, che è proprio del nostro Paese. Occorre prendere atto che il vero problema del sistema non è rappresentato dal numero dei parlamentari, bensì dall'incogruo e inefficiente funzionamento del Parlamento. Sul versante parlamentare, appunto, il progetto di legge in esame dà vita ad un Senato federale, ma tale Assemblea non si palesa affatto come sede nella quale un sistema istituzionale policentrico, per questo sottoposto a tensioni conseguenti alla parcellizzazione territoriale dei poteri, può trovare l'opportuna sintesi, in un rapporto fecondo e di leale collaborazione tra centro e periferia. La stessa elencazione dei requisiti previsti per godere dell'eleggibilità a senatore sta a dimostrare che l'aggettivo «federale» non si traduce in una vera caratterizzazione della Camera alta come rappresentativa di istanze regionali e, più in generale, territoriali. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla circostanza che l'elezione deve avvenire su base regionale, in modo contestuale, ancorché affievolito, rispetto a quella dei consigli regionali e, ancora più macroscopicamente, alla portata del requisito della residenza alla data dell'elezione. Si tratta, comè di tutta evidenza, di elementi che non sono tali da garantire, neppure indirettamente, un reale collegamento dell'eletto con le istanze territoriali o della maggioranza politica che guida la sua regione di riferimento. Se poi si passa ad analizzare il nuovo procedimento legislativo delineato ai sensi della novella apportata all'articolo 70 della Costituzione, non può non rilevarsi un'evidente complicazione del sistema delle fonti del diritto. Ciò è particolarmente criticabile, alla luce della più recente giusrisprudenza della Corte Costituzionale che, in numerose pronunce, ha denunciato l'insostenibilità di un sistema istituzionale fondato su una rigida ripartizione della competenza legislativa per materia. Già altri si sono soffermati sul possibile vincolo all'azione governativa che potrebbe derivare dal Senato federale, assemblea che decide in ultim istanza su aspetti rilevanti dell'indirizzo politico del Governo senza essere legata all'esecutivo dal rapporto fiduciario e libera dalla minaccia di scioglimento anticipato. Quanto alla questione della stabilità dell'esecutivo,


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premesse le reciproche connessioni tra sistema elettorale, forma di governo e sistema partitico e rilevato come un sistema elettorale maggioritario non sia indispensabile per favorire la creazione di un bipartitismo di fatto, come accadde nell'Italia della cosiddetta «Prima Repubblica», ritiene che la stabilità possa essere perseguita riducendo il potere diu ricatto che spesso possono esercitare, anche per esiti di tornate elettorali locali, le piccole formazioni politiche. A ciò contribuiscono sicuramente il meccanismo di finanziamento dei partiti e le disposizioni contenute nei regolamenti parlamentari. Fatte queste premesse di ordine generale, ritiene che per avere stabilità, e quindi evitare anche i cosiddetti «ribaltoni», si debbano assumere impegni chiari, in particolare sostenendo il principio simul stabunt, simul cadent, in virtù del quale il Primo Ministro e la sua maggioranza devono avere lo stesso destino, altrimenti occorre prendere atto che i parlamentari, in forza del disposto di cui all'articolo 67 della Costituzione, rappresentano la nazione senza alcun vincolo di mandato e possono pertanto agire di conseguenza quanto alla loro collocazione politica anche nell'ambito di una medesima legislatura. Conclusivamente, auspica che anche il centro sinistra sappia assumersi le sue responsabilità nel prosieguo dell'iter parlamentare di questa riforma. È opportuno, in particolare, sostenere l'instaurazione di un vero sistema federale e riconoscere che, in caso di dimissioni del Primo Ministro occorre rispettare sempre la volontà degli elettori, ai quali va riconosciuto il diritto di scegliersi, oltre che i propri rappresentanti, anche i propri governanti.

Donato BRUNO, presidente e relatore, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di protezione umanitaria e di diritto di asilo.
Testo unificato C. 1238 Pisapia, C. 1554 Trantino, C. 1738 Soda, C. 3847 Buffo, C. 3857 Pisapia e C. 3883 Piscitello.
(Seguito esame e rinvio).

Donato BRUNO, presidente, comunica che sul testo unificato in esame le Commissioni II (Giustizia) e III (Affari esteri) hanno espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni, le Commissioni VI (Finanze), XI (Lavoro) e XII (Affari sociali) hanno espresso parere favorevole con osservazioni e le Commissioni IV (Difesa), VII (Cultura), VIII (Ambiente) e XIV (Politiche dell'Unione europea). Avverte inoltre che sono stati presentati ulteriori emendamenti dal Governo e dal relatore (vedi allegato 1), facendo presente che, successivamente al loro esame, si provvederà a trasmettere l'eventuale nuova formulazione del testo unificato alla V Commissione (Bilancio), già convocata per l'espressione del parere di competenza. Precisa infine che, una volta pervenuto anche tale ultimo parere, la Commissione procederà alla votazione del mandato al relatore, atteso che l'inizio dell'esame del provvedimento in Assemblea è previsto a partire da lunedì 17 maggio. Chiede quindi al relatore ed al rappresentante del Governo di esprimere il parere sugli emendamenti presentati.

Antonio SODA (DS-U), relatore, raccomanda l'approvazione dei suoi emendamenti 5. 100, 7-ter. 100, 7-ter. 101, 8. 100, 8. 101, 11. 101, 13. 100, 13. 101, 13. 102, 13. 103 e 17. 100, volti ad introdurre disposizioni di mero coordinamento formale del testo. Esprime quindi parere favorevole sugli emendamenti del Governo 4. 100, 4. 101, 9. 100, 11. 100, 12. 100 e 15. 100.

Il Sottosegretario Alfredo MANTOVANO raccomanda l'approvazione degli emendamenti del Governo 4. 100, 4. 101, 9. 100, 11. 100, 12. 100 e 15. 100 ed esprime parere favorevole sugli emendamenti del relatore 5. 100, 7-ter. 100, 7-ter. 101, 8. 100, 8. 101, 11. 101, 13. 100, 13. 101, 13. 102, 13. 103 e 17. 100.

Gianclaudio BRESSA (MARGH-U), chiede chiarimenti al Governo in ordine alla finalità sottesa all'emendamento 15. 100 che pare configurarsi come una riduzione


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delle risorse disponibili per il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo.

Il Sottosegretario Alfredo MANTOVANO precisa che la soppressione della lettera c-bis) è stata prevista nel quadro di una valutazione complessiva in ordine alle disponibilità finanziarie di cui dotare il Fondo e non comporta una sottrazione di risorse.

Carlo LEONI (DS-U) manifesta perplessità in ordine all'effettiva incidenza sulla capienza del Fondo che conseguirebbe all'approvazione dell'emendamento del Governo 15. 100.

Antonio SODA (DS-U), relatore, ritiene che sarà l'articolo recante la copertura finanziaria del provvedimento a chiarire anche quale sarà la dotazione del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, essendo evidente che la soppressione di una fonte di alimentazione del fondo stesso dovrà essere necessariamente compensata dall'incremento delle altre fonti di cui alle lettere a), b) e c) dell'articolo 15, comma 1.

La Commissione approva, con distinte votazioni, gli emendamenti del Governo 4. 100 e 4. 101, gli emendamenti del relatore 5. 100, 7-ter. 100, 7-ter. 101, 8. 100 e 8. 101. Approva quindi l'emendamento del Governo 9. 100, l'emendamento del relatore 11. 101, gli emendamenti del Governo 11. 100 e 12. 100, nonché gli emendamenti del relatore 13. 100, 13. 101, 13. 102 e 13. 103. Approva infine l'emendamento del Governo 15. 100 e l'emendamento del relatore 17. 100.

Donato BRUNO, presidente, comunica che il testo unificato, come da ultimo riformulato a seguito dell'approvazione degli emendamenti, sarà trasmesso alla V Commissione (Bilancio) per l'espressione del parere di competenza.

Ordinamento della polizia locale.
C. 2 d'iniziativa popolare, C. 3 d'iniziativa popolare, C. 5 d'iniziativa popolare, C. 558 Molinari, C. 1288 Lusetti, C. 1292 Tidei, C. 2034 Ascierto, C. 2139 Buemi, C. 2169 Buontempo, C. 2431 Tucci, C. 2951 Marone, C. 3434 Ricciotti e C. 4893 Saia
(Seguito esame e rinvio - Abbinamento Pdl 2431, 2951, 3434 e 4893).

La Commissione riprende l'esame del provvedimento, rinviato il 10 luglio 2002.

Donato BRUNO, presidente, comunica che sono state assegnate alla I Commissione le proposte di legge C. 2431 primo firmatario il deputato Tucci, C. 2951 primo firmatario il deputato Marone, C. 3434 del deputato Ricciotti e C. 4893 del deputato Saia, recanti disposizioni sull'ordinamento della polizia locale. Poiché le suddette proposte di legge vertono sulla stessa materia delle proposte di legge già all'ordine del giorno, avverte che ne è stato disposto l'abbianmento, ai sensi dell'articolo 77, comma 1. Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di protezione umanitaria e di diritto di asilo.
Testo unificato C. 1238 Pisapia, C. 1554 Trantino, C. 1738 Soda, C. 3847 Buffo, C. 3857 Pisapia e C. 3883 Piscitello.
(Seguito esame e conclusione).

Donato BRUNO, presidente, avverte che sul testo unificato del provvedimento in titolo, come da ultimo modificato dalla Commissione, la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere favorevole con condizioni. Avverte inoltre che il relatore ha presentato l'emendamento 7-bis. 100 (vedi allegato 1).

Antonio SODA (DS-U), relatore, raccomanda l'approvazione del suo emendamento 7-bis. 100, volto a prevedere che la procedura semplificata per l'esame delle domande di asilo sia prevista anche per i richiedenti per i quali è previsto il cosidetto «trattenimento facoltativo», in ordine


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ai quali, ai sensi dell'attuale formulazione del comma 1 dell'articolo 7-bis, non è chiaro se debba applicarsi la procedura ordinaria o quella semplificata. Quanto alle condizioni recate nel parere della Commissione Bilancio, si dichiara favorevole al loro accoglimento, fatta salva quella in forza della quale si chiede alla Commissione di merito di quantificare gli ulteriori oneri che potrebbero scaturire dal provvedimento in esame, atteso che non ritiene sussistere oneri aggiuntivi rispetto a quelli già esplicitati.

Il Sottosegretario Alfredo MANTOVANO, manifesta perplessità in ordine ad alcune delle condizioni poste dalla Commissione Bilancio e si riserva di approfondirne i contenuti.

Donato BRUNO, presidente, attesa l'obbligo per la Commissione, entro la seduta odierna, di procedere alla votazione del mandato al relatore, ritiene che le condizioni poste dalla Commissione Bilancio, unitamente alle condizionio e alle osservazioni contenute nei pareri resi dalle altre Commissioni competenti in sede consultiva, potranno formare oggetto di approfondito esame nel corso delle riunioni del Comitato dei nove che sarà costituito con riferimento al provvedimento in esame.

La Commissione, con distinte votazioni, approva l'emendamento 7-bis. 100 del relatore e delibera di conferire il mandato al relatore di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame.

Donato BRUNO, presidente, si riserva di designare i componenti del Comitato dei nove sulla base delle indicazioni dei gruppi.

La seduta termina alle 14.15.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Martedì 11 maggio 2004 - Presidenza del presidente Pierantonio ZANETTIN.

La seduta comincia alle 14.20.

Decreto-legge 107/2004: Proroga del termine di validità delle certificazioni rilasciate dalle Società Organismi di attestazione (SOA) agli esecutori di lavori pubblici.
C. 4935/A Governo.
(Parere all'Assemblea).
(Esame emendamenti e conclusione - Parere).

Giulio SCHMIDT (FI), relatore, fa presente che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 non presentano profili problematici in ordine alla ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni di cui all'articolo 117 della Costituzione. Formula quindi la seguente proposta di parere:
«sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1».
Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Disposizioni in materia di sospensione condizionale della pena e di termini per la riabilitazione del condannato.
C. 4398/A sen. Calvi, approvata dalla II Commissione permanente del Senato.
(Parere all'Assemblea).
(Esame emendamenti e conclusione - Parere)

Pierantonio ZANETTIN (FI), presidente e relatore, fa presente che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 non presentano profili problematici in ordine alla ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni di cui all'articolo 117 della Costituzione. Formula quindi la seguente proposta di parere:


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«sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1».

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Modifiche alla legge n. 210/92 sull'indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie.
Emendamenti C. 1145 Migliori.
(Parere alla XII Commissione).
(Esame emendamenti e conclusione - Parere favorevole).

Patrizia PAOLETTI TANGHERONI (FI), relatore, illustra il contenuto dell'emendamento 1. 3 Battaglia e dell'articolo aggiuntivo 2. 01 Battaglia, approvati in linea di principio dalla XII Commissione, nell'ambito dell'esame in sede legisaltiva della proposta di legge in titolo. Atteso che le predette proposte emendative non presentano profili problematici per gli aspretti di competenza della I Commissione, propone di esprimere parere favorevole.

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore (vedi allegato 2).

La seduta termina alle 14.25.

INDAGINE CONOSCITIVA

Martedì 11 maggio 2004 - Presidenza del presidente Donato BRUNO

La seduta comincia alle 14.25.

Indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti la modifica della parte II della Costituzione.
(Deliberazione).

Donato BRUNO, presidente, propone, sulla base di quanto convenuto in sede di Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti di gruppo, nella riunione del 6 maggio scorso, ed essendo stata acquisita l'intesa del Presidente della Camera dei deputati, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, di deliberare lo svolgimento di una indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti la modifica della parte seconda della Costituzione, che avrà luogo, a norma dell'articolo 79, comma 5, del regolamento, nell'ambito dell'esame del progetto di legge costituzionale C. 4862, approvato in prima deliberazione dal Senato, e delle abbinate proposte di legge costituzionale. Fa presente che nel corso dell'indagine conoscitiva, che dovrebbe concludersi entro la fine del mese di maggio, la Commissione intende procedere alle audizioni di docenti universitari ed esperti in materie pubblicistiche indicate nel seguente programma:

Prof. Paolo ARMAROLI - Ordinario di diritto pubblico comparato - Facoltà di Scienze politiche - Università di Genova;

Prof. Tommaso FROSINI - Straordinario di diritto pubblico comparato - Dipartimento di Scienze giuridiche - Università di Sassari;

Prof. Paolo FALZEA - Associato di diritto pubblico - Facoltà di Giurisprudenza - Università di Catanzaro;

Prof. Pietro CIARLO - Ordinario di diritto costituzionale - Facoltà di giurisprudenza - Università di Cagliari;

Prof. Sergio FABBRINI - Ordinario di scienza politica - Facoltà di Sociologia - Università di Trento;

Prof. Salvatore VASSALLO - Associato di scienza politica - Facoltà di Scienze politiche II - Università di Bologna;

Prof. Giovanni GUZZETTA - Straordinario di diritto pubblico - Facoltà di Sociologia - Università di Trento;


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Prof. Carlo FUSARO - Straordinario di diritto pubblico comparato - Facoltà di Scienze Politiche - Università di Firenze;

Prof. Luca ANTONINI - Straordinario di diritto costituzionale - Facoltà di giurisprudenza - Università di Padova;

Prof. Nicolò ZANON - Ordinario di diritto costituzionale - Università di Milano;

Prof. Beniamino CARAVITA di TORITTO - Ordinario di diritto pubblico - Facoltà di Scienze politiche - Università «La Sapienza» di Roma;

Prof. Achille CHIAPPETTI - Ordinario di diritto pubblico - Facoltà di Scienze politiche - Università «La Sapienza» di Roma;

Prof. Vincenzo LIPPOLIS - Straordinario di diritto pubblico comparato - Università di Napoli;

Prof. Aldo LOIODICE - Ordinario di diritto costituzionale - Facoltà di Giurisprudenza - Università di Bari;

Prof. Giulio SALERNO - Straordinario di istituzioni di diritto pubblico - Facoltà di economia - Università di Macerata;

Prof.ssa Maria Elisa D'AMICO - Ordinario di diritto costituzionale - Facoltà di giurisprudenza - Università dell'Insubria;

Prof. Marco CAMMELLI - Ordinario di diritto amministrativo - Facoltà di giurisprudenza - Università di Bologna;

Prof. Giandomenico FALCON - Ordinario di diritto amministrativo - Facoltà di giurisprudenza - Università di Trento;

Prof. Augusto BARBERA - Ordinario di diritto costituzionale - Facoltà di Giurisprudenza - Università di Bologna;

Prof. Stefano CECCANTI - Straordinario di diritto pubblico comparato - Facoltà di Scienze Politiche - Università «La Sapienza» di Roma;

Prof. Umberto ALLEGRETTI - Ordinario di diritto pubblico - Università di Firenze;

Prof. Giuseppe Ugo RESCIGNO - Ordinario di diritto pubblico - Facoltà di giurisprudenza - Università «La Sapienza» di Roma;

Prof. Giovanni CONSO - Presidente emerito della Corte Costituzionale;

Prof. Vincenzo CERULLI IRELLI - Ordinario di diritto amministrativo - Facoltà di Giurisprudenza - Università «La Sapienza» di Roma;

Prof. Marco OLIVETTI - Straordinario di diritto costituzionale - Facoltà di Giurisprudenza - Universita' di Foggia;

Prof. Franco PIZZETTI - Ordinario di diritto costituzionale - Facoltà di giurisprudenza - Università di Torino;

Prof. Paolo CARROZZA - Ordinario di diritto costituzionale - Facoltà di Giurisprudenza - Università di Pisa;

Prof.ssa Luisa TORCHIA - Ordinario di diritto amministrativo - Facoltà di scienze politiche - Università di Urbino «Carlo Bo»;

Prof.ssa Lorenza CARLASSARE - Ordinario di diritto costituzionale - Facoltà di giurisprudenza - Università di Padova;

Prof. Andrea GIORGIS - Straordinario di istituzioni di diritto pubblico - Facoltà di giurisprudenza - Università del Piemonte orientale;

Prof. Cesare PINELLI - Ordinario di istituzioni di diritto pubblico - Facoltà di scienze politiche - Università di Macerata;


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Prof. Gian Candido DE MARTIN TOPRANIN - Ordinario di istituzioni di diritto pubblico - Facoltà di scienze politiche - Università Luiss di Roma;

Prof. Leopoldo ELIA - Presidente emerito della Corte Costituzionale;

Prof. Antonio La PERGOLA - Presidente emerito della Corte Costituzionale;

Prof. Giovanni BOGNETTI - Ordinario di diritto Costituzionale - Facoltà di giurisprudenza - Università Carlo Cattaneo (LIUC);

Prof. Gaetano QUAGLIARELLO - Ordinario di storia contenporanea Facoltà di scienze politiche - Università LUISS di Roma;

Prof. Giovanni PITRUZZELLA - Ordinario di diritto Costituzionale - Facoltà di giurisprudenza - Università di Palermo.

La Commissione approva.

La seduta termina alle 14.30.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Martedì 11 maggio 2004.

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 14.30 alle 15.

AVVERTENZA

I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE REFERENTE

Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interesse.
C. 1707-D Governo, approvato dalla Camera, modificato dal Senato, nuovamente modificato dalla Camera e nuovamente modificato dal Senato.

Ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e segreto di Stato.
C. 123 Bielli, C. 203 Cima, C. 1694 Ramponi, C. 1699 Mattarella, C. 1947 Trantino, C. 2021 Pisapia, 2064 Ascierto, C. 2435 Bielli, C. 2726 Siniscalchi, C. 3951 Governo, approvato dal Senato e C. 4656 Bricolo.

COMITATO RISTRETTO

Riconoscimento del diritto di voto ai cittadini stranieri.
C. 1464 cost. Turco, C. 1616 cost. Soda, C. 2374 cost. Pisapia, C. 2540 cost. Bulgarelli, C. 4326 cost. Diliberto, C. 4397 cost. Anedda, C. 4406 cost. Fioroni e C. 4510 cost. Assemblea regionale siciliana.

COMITATO RISTRETTO

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza.
C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'alia, C. 4678 Realacci e C. 4722 Sinisi.

COMITATO RISTRETTO

Modifica dell'articolo 48 della Costituzione in materia di cittadinanza.
C. 4786 cost. Bressa.

COMITATO RISTRETTO

Libertà religiosa e culti ammessi.
C. 2531 Governo, C. 1576 Spini e C. 1902 Molinari.