Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse - Lunedì 14 aprile 2003


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ALLEGATO

Documento sull'attuazione della direttiva 2000/53/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai veicoli fuori uso.

PROPOSTA DI DOCUMENTO

Premessa

Il «Quinto programma di azione comunitario a favore dell'ambiente e di uno sviluppo sostenibile» evidenzia la necessità di rivedere i sistemi di produzione e di sviluppo, al fine di garantire una più adeguata tutela dell'ecosistema e dell'ambiente.
L'orientamento comunitario relativo alla gestione dei rifiuti si basa su due strategie complementari: prevenire la produzione dei rifiuti operando sulla fase di realizzazione dei prodotti e potenziare il riciclaggio e il reimpiego dei rifiuti medesimi, favorendo a tal fine la presenza di mercati cui possano accedere beni derivanti dal recupero dei rifiuti prodotti dagli attuali sistemi di produzione.
In tale prospettiva, con la risoluzione del 14 novembre 1996, il Parlamento europeo ha sollecitato la Commissione europea a legiferare in materia di flussi di rifiuti e in particolare sui veicoli fuori uso, in conformità al principio di derivazione comunitaria, affermatosi anche in altri settori oggetto di disciplina sovranazionale, della responsabilità del produttore. La Commissione europea ha quindi ritenuto che a causa del notevole volume di tale tipo di rifiuti fosse necessaria una direttiva specifica; tale posizione venne peraltro condivisa dall'apposito gruppo di lavoro sui flussi di rifiuti dell'OCSE nella cui relazione del 1995 il trattamento dei veicoli fuori uso venne considerato prioritario nell'ambito dell'obiettivo generale di riduzione dei rifiuti.
La direttiva 2000/53/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di veicoli fuori uso persegue il conseguimento di specifici obiettivi tra cui, in via prioritaria, l'armonizzazione delle diverse discipline nazionali relative ai veicoli fuori uso, al fine di ridurre al minimo l'impatto di tali veicoli sull'ambiente ed assicurare il corretto funzionamento del mercato interno nella Unione europea, nonché la definizione di un omogeneo quadro giuridico comunitario volto al conseguimento di obiettivi comuni, basati sul principio di sussidiarietà e sul principio «chi inquina paga».
La prevenzione dei rifiuti è l'obiettivo prioritario della direttiva. A tale scopo essa stabilisce che i costruttori e i fornitori di materiali e di equipaggiamenti debbano ridurre l'uso di sostanze pericolose a livello di progettazione dei veicoli; progettare e fabbricare veicoli in modo che ne siano agevolati lo smontaggio, il reimpiego, il recupero e il riciclaggio; incrementare l'impiego di materiale riciclato per la costruzione dei veicoli stessi; provvedere affinché i componenti dei veicoli immessi sul mercato dopo il 1o luglio 2003 non contengano sostanze pericolose.
La direttiva prevede anche disposizioni relative alla raccolta di tutti i veicoli fuori uso. Gli Stati membri sono tenuti ad istituire sistemi per la raccolta dei veicoli fuori uso e dei loro componenti che costituiscono rifiuti e a verificare che tutti i veicoli siano consegnati ad impianti di trattamento autorizzati. Gli Stati membri sono altresì tenuti ad approntare adeguati sistemi di cancellazione del veicolo fuori


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uso dal registro automobilistico dietro consegna di un apposito certificato di rottamazione, che dovrà essere rilasciato al momento in cui il veicolo fuori uso è consegnato, gratuitamente, ad un impianto di trattamento. I costi per l'applicazione di tale misura debbono essere sostenuti dai produttori. La direttiva stabilisce inoltre che lo stoccaggio e il trattamento dei veicoli fuori uso sia soggetto a rigidi controlli. Prima del trattamento, gli stabilimenti o le imprese che eseguono le operazioni di trattamento devono procedere alle operazioni di smontaggio dei veicoli fuori uso e recuperare tutti i componenti nocivi per l'ambiente. Si deve ricorrere di preferenza al reimpiego e al riciclaggio dei componenti dei veicoli. Attualmente si ricicla già circa il 75 per cento dei veicoli fuori uso (le parti metalliche). L'obiettivo della direttiva è di portare la percentuale di reimpiego e recupero all'85 per cento del peso medio per veicolo entro il 2006 e al 95 per cento entro il 2015.

Attuazione della direttiva

Per il perseguimento delle finalità indicate dalla direttiva 2000/53/CE la legge 1o marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001) ha stabilito che si dovesse provvedere con l'emanazione di un decreto legislativo di attuazione, in conformità ai principi comunitari della precauzione e dell'azione preventiva. Tale decreto legislativo deve essere teso ad individuare le misure idonee per prevenire e controllare la produzione dei rifiuti e a favorire il reimpiego ed il riciclaggio di materiali provenienti dai veicoli fuori uso, anche attraverso la progettazione e la produzione di veicoli nuovi.
Il testo dello schema di decreto legislativo di attuazione reca specifiche disposizioni volte in particolare a consentire, da parte del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministero delle Attività produttive, l'adozione delle idonee iniziative volte a consentire la diminuzione della produzione di rifiuti provenienti dai veicoli a fine vita, con particolare riguardo a quelli pericolosi da avviare allo smaltimento; il provvedimento intende regolamentare le autorizzazioni necessarie alla costituzione e all'esercizio degli impianti di trattamento, nonché le modalità di effettuazione del trattamento dei veicoli fuori uso; è teso altresì a fissare le percentuali di reimpiego e recupero dei veicoli a fine vita che gli operatori economici devono garantire, riferite alle suddette date del 1o gennaio 2006 e 1o gennaio 2015 previste dalla direttiva medesima. Il provvedimento di attuazione, in conformità ai dettami della suddetta direttiva, è teso a porre in essere adeguate misure finalizzate a garantire un elevato livello di tutela ambientale nell'esercizio delle attività di trattamento dei veicoli a fine vita, nonché iniziative volte allo sviluppo di mercati di sbocco per il riutilizzo di materiali riciclati. Le regioni sono chiamate a promuovere iniziative finalizzate al reimpiego, riciclaggio e recupero, anche energetico, dei veicoli a fine vita e dei relativi rifiuti e ad assicurare una adeguata presenza, nel territorio, di centri autorizzati. Viene quindi sancito il divieto di produzione e di immissione sul mercato di componenti con contenuto di piombo, mercurio, cadmio o cromo esavalente; sono previste apposite previsioni in ordine all'informazione che le case produttrici di veicoli e i produttori dei relativi componenti devono mettere a disposizione dei centri autorizzati, prevedendosi altresì l'adozione di sistemi di codifica dei materiali idonei ad essere recuperati o reimpiegati. Apposite prescrizioni contenute nello schema di decreto legislativo di attuazione regolano altresì la possibilità di attivare accordi e contratti di programma tra i Ministeri dell'Ambiente e delle Attività produttive e gli operatori economici per consentire l'attuazione delle disposizioni contenute nel decreto medesimo. Sono quindi stabilite specifiche sanzioni per i contravventori delle norme che regolano l'intero ciclo dei veicoli a fine vita. Gli allegati al suddetto schema di decreto legislativo costituiscono inoltre l'attuazione dell'articolo 46, comma 10, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.


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L'istruttoria della Commissione

La Commissione ha effettuato un'indagine su tali problematiche, svolgendo audizioni di soggetti istituzionali ed associazioni di categoria. Sono stati ascoltati in audizione i rappresentanti dell'Associazione nazionale demolitori autoveicoli (ADA), dell'Associazione imprese servizi ambientali (Fise Assoambiente), dell'Associazione aziende di frantumazione (AIRA), dell'Associazione industrie automobilistiche (ANFIA), della Unione nazionale distributori autoveicoli esteri (UNRAE), del Sindacato nazionale commercianti in rottami ferrosi (ASSOFERMET), dell'Automobile Club italiano (ACI), del Consorzio nazionale volontario riciclaggio gomma (ARGO), dell'Associazione nazionale riciclatori materie plastiche (ASSORIMAP), del Consorzio obbligatorio batterie al piombo esauste e rifiuti piombosi (COBAT) e del Consorzio obbligatorio per il recupero degli oli minerali usati (COOU). Sono stati altresì ascoltati dalla Commissione il direttore generale dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), i rappresentanti della Fiat Auto, nonché il Ministro dell'ambiente e tutela del territorio, onorevole Altero Matteoli, e il Sottosegretario per le attività produttive, onorevole Mario Valducci.

Considerazioni della Commissione

Al fine di ottemperare agli obblighi posti dalla direttiva, in via prioritaria si rende indispensabile poter disporre di un efficace sistema di monitoraggio in relazione all'intero settore del ciclo dei rifiuti derivanti dalle attività di demolizione degli autoveicoli usati. Sotto il profilo dell'informazione concernente i veicoli a fine vita, l'Italia è tra gli Stati che, con il pubblico registro autonomobilistico, dispone di un valido sistema di registrazione dei veicoli capace di fornire dati molto attendibili anche in sede comunitaria. Il monitoraggio dei flussi di rifiuti derivanti dalla demolizione dei veicoli fuori uso rappresenta tuttavia allo stato attuale un profilo critico del sistema. Gli strumenti di monitoraggio disponibili, rappresentati in particolar modo dalle dichiarazioni del modello unico di dichiarazione ambientale, forniscono informazioni talvolta incomplete e di non agevole interpretazione. Disfunzioni si riscontrano anche in relazione all'acquisizione dei dati afferenti al numero di impianti di demolizione e frantumazione localizzati sul territorio nazionale, e ciò in ragione della notevole disomogeneità delle dichiarazioni presentate dai diversi soggetti dichiaranti, che non consentono una identificazione univoca. Lo strumento rappresentato dalle dichiarazioni MUD risulta infatti allo stato di non facile lettura in relazione alla specifica tipologia di rifiuti derivanti dalla demolizione di autoveicoli. La difformità di informazioni ricavabili dà luogo ad una indubbia incompletezza del quadro conoscitivo. Con l'inserimento di una scheda MUD dedicata unicamente alla gestione dei veicoli a fine vita, come si evince dal provvedimento di attuazione della direttiva in oggetto, diverrebbe più agevole non solo la lettura ma anche l'elaborazione dei dati, al fine di rendere possibile la più ampia conoscibilità dei dati inerenti tale tipologia di rifiuti.
Il decreto legislativo 22/97 reca disposizioni che disciplinano la normativa in oggetto; sarà pertanto necessario, in sede di recepimento della suddetta direttiva, procedere agli opportuni coordinamenti normativi con le previsioni già in vigore. In particolare, l'articolo 46 del decreto legislativo 22/97, al fine di assicurare la rottamazione ecologica dei veicoli a fine vita, prevede l'obbligo per il proprietario di un veicolo a motore che intenda procedere alla demolizione dello stesso, di consegnarlo ad un centro di raccolta autorizzato per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione. Tale previsione disciplina quindi le procedure di rottamazione e di cancellazione dal PRA dei veicoli iscritti, anticipando, sotto taluni profili, il contenuto della normativa comunitaria e prevedendo per le suddette operazioni


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specifiche formalità, tra cui la presenza di due specifiche tipologie di certificazioni, tra loro complementari: una di carattere tecnico, quella rilasciata dal centro di raccolta autorizzato; l'altra emessa dal Pubblico Registro Automobilistico, di carattere amministrativo. Occorre tuttavia evidenziare, come emerso nel corso delle audizioni svolte, che in Italia esiste una non irrisoria percentuale di auto ritirate dalla circolazione che non vengono smaltite correttamente all'interno degli impianti autorizzati o vengono dislocate in aree non idonee; tale situazione trae origine da una previsione del codice della strada che consente il ritiro su area privata del veicolo. È possibile infatti recarsi al pubblico registro automobilistico e chiedere di procedere alla cancellazione del proprio veicolo, in modo da determinare l'impossibilità per lo stesso di circolare sul suolo pubblico, riservando la circolazione al suolo privato. Tale fenomeno, non certo marginale, è destinato a facilitare alcune esigenze legate all'uso delle vetture in aree chiuse alla circolazione (centri sportivi o campi agricoli) e presenta una incidenza che varia dal 14 per cento al 19 per cento dell'intero mercato delle rottamazioni. Risulta allora indifferibile predisporre opportune iniziative tese a scoraggiare tale diffusa pratica, introducendo appositi controlli che consentano la verifica circa l'effettiva esistenza dei mezzi, il ché potrebbe attuarsi predisponendo specifici meccanismi di segnalazione, entro scadenze temporali prestabilite, alle autorità competenti.
L'attuale sistema della demolizione degli autoveicoli usati, per rispondere ai criteri di efficienza e garantire la sostenibilità economica dell'intera filiera di gestione, necessita, in alcuni contesti territoriali, di una riorganizzazione complessiva. Il recepimento della direttiva con l'introduzione di rigide prescrizioni per gli impianti di messa in sicurezza e trattamento dei veicoli dovrebbe garantire una maggiore omogeneità a livello nazionale e facilitare il processo di razionalizzazione del sistema impiantistico anche mediante forme di aggregazione degli attuali impianti in strutture tecnologicamente più avanzate e in grado di fornire più solide garanzie del rispetto dei principi di tutela ambientale.
Nel quadro dell'attuazione della direttiva 2000/53, e in relazione agli elementi di valutazione emersi nel corso delle audizioni, appare opportuno dar vita ad una sorta di organo di autogoverno degli operatori economici del settore che sia abilitato a svolgere un ruolo di monitoraggio e di coordinamento dell'attività svolta dagli attori dell'intera filiera di imprese coinvolte nel settore della rottamazione degli autoveicoli usati, anche con l'obiettivo di incentivare la collaborazione con gli organismi istituzionali competenti. Occorre allora definire un percorso razionale e trasparente di procedure e di responsabilità che sappia coinvolgere tutti i soggetti interessati all'attività di gestione dei rifiuti, dai produttori agli operatori economici del settore (demolitori, riciclatori, frantumatori), i quali dovrebbero promuovere e potenziare moduli organizzativi flessibili ed efficienti, all'interno di un programma elaborato in collaborazione con le autorità preposte dalla legge alla regolamentazione del settore. Proprio nell'ambito di un processo di pianificazione oculata, svolta dagli organi pubblici competenti, potrebbe appunto rendersi opportuna, con funzione anche propositiva, l'istituzione di un organismo che possa far proprie e contemperare le diverse esigenze di tutti gli operatori del settore, e che sia posto in grado di prospettare ed applicare regole che abbiano efficacia nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, coordinandone e controllandone l'attività, e che sia teso altresì a promuovere e tutelare, nelle sedi competenti, gli interessi dell'intero settore. Risulta utile in tale prospettiva attivare forme associative vincolanti dei soggetti coinvolti che sappiano aggregare le molteplici realtà attualmente polverizzate sul territorio, e che costituirebbero senza dubbio strumenti idonei per contrastare e scoraggiare le forme di illegalità che insidiano l'intero settore. Si profila utile la costituzione di un gruppo di lavoro inter


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ministeriale con funzioni di controllo, che miri all'ottimizzazione dell'intero sistema, e svolga compiti di vigilanza in ordine al raggiungimento degli obiettivi posti dalla direttiva. La presenza di un organismo che sappia svolgere un'attività di controllo e di gestione costituirebbe altresì una sede formale deputata a promuovere e attivare iniziative volte a compensare i momenti sfavorevoli del mercato e a identificare eventuali elementi correttivi del sistema.
Occorre una compiuta regolamentazione della materia, tesa in particolare al perseguimento di una attuazione concreta, effettiva, dei principi che ispirano la direttiva 2000/53 e delle relative disposizioni al fine di responsabilizzare maggiormente i diversi soggetti della filiera tutelando non solo i consumatori ma gli stessi operatori del sistema.
Tra gli strumenti previsti dalla direttiva 2000/53, cui possono ricorrere lo Stato, le regioni e gli enti locali, al fine di raggiungere obiettivi di qualità ambientale, particolare rilievo assumono gli accordi di programma. Recenti indirizzi comunitari hanno inteso integrare la normativa ordinaria di protezione dell'ambiente di tipo prescrittivo con strategie di tipo partecipativo che implicano cooperazione tra la pubblica amministrazione e il settore privato. A livello comunitario si tende a sottolineare l'opportunità di estendere il ricorso agli accordi di programma nel settore dei rifiuti. La collaborazione e l'accordo tra il soggetto pubblico e il privato, gestore dei centri di smaltimento dei rifiuti, possono costituire modalità operative volte non solo alla tutela e alla salvaguardia della salute dell'uomo e dell'ambiente, ma anche al raggiungimento e alla realizzazione di una efficiente gestione delle attività connesse e consequenziali allo smaltimento dei rifiuti in generale, e, nella specie, delle attività di rottamazione dei veicoli giunti a fine vita. Forme negoziali che intercorrano tra i soggetti coinvolti devono peraltro essere dotate di efficacia vincolante nei confronti dei destinatari, affinché ne siano resi certi ed indifferibili i contenuti. Altrimenti sarebbe necessario prevedere, in sede di regolamentazione normativa, la presenza di specifiche clausole di salvaguardia, quali apposite prescrizioni normative che dispieghino la propria efficacia in caso di mancata adesione o non conformità alle condizioni negoziali prescelte. Tale meccanismo potrebbe efficacemente essere attivato anche in relazione ai profili inerenti la definizione e l'attribuzione degli oneri connessi all'attuazione della direttiva. Interessante risulta l'esperienza della Fiat Auto che aveva reso possibile la costituzione di un network di raccolta, trattamento e riciclaggio (il FARE, Fiat Auto Recycling), che ha dimostrato come si possa migliorare la percentuale di riciclaggio e recupero in una condizione di sostanziale autosostenimento per gli operatori della filiera stessa. Punto qualificante aggiuntivo della direttiva è la disciplina secondo cui i veicoli a fine vita vanno conferiti dall'ultimo proprietario ad un centro senza spese a carico dello stesso ultimo detentore o proprietario. La direttiva stabilisce che il costo aggiuntivo dello smaltimento sia a carico del costruttore che ha immesso il veicolo sul mercato. Anche a tal fine si evidenzia l'opportunità di creare un organismo indipendente che possa sovraintendere all'intero sistema del recupero dei veicoli ed eventualmente anche quantificare quali siano i costi dell'intero sistema. Tale organismo dovrebbe realizzare un'istruttoria sugli effettivi costi, e soprattutto verificare il raggiungimento degli obiettivi. Per quanto concerne lo specifico profilo della definizione dei suddetti costi potrebbe rendersi necessario un intervento per l'attuazione anche obbligatoria della direttiva, in attesa che sorga un meccanismo consensuale che operi in tal senso.
Una politica di regolamentazione che sia fondata sul solo controllo formale rischia tuttavia di rivelarsi insufficiente a sostenere le prospettive di crescita e rilancio di un settore particolarmente delicato non solo sotto il profilo della tutela ambientale ma anche dal punto di vista delle implicazioni economiche ad esso connesse. La mera prescrizione normativa e il successivo controllo formale difficilmente


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potrebbero attivare di per sé un solido rilancio del settore; solo una lungimirante politica di programmazione potrebbe infatti rendere possibile tale risultato.
Prioritaria dovrebbe essere la creazione dei presupposti e delle condizioni, anche di mercato, che consentano l'evoluzione dell'attuale situazione italiana verso un sistema che assicuri il funzionamento efficiente e razionale dell'intera filiera della raccolta, del recupero e del riciclaggio dei materiali e la sostenibilità economica delle stesse attività. In sede di attuazione della direttiva dovrebbe essere in particolar modo incentivata una progettazione che renda più facile ed economico, alla fine del ciclo di vita, il riutilizzo e il riciclaggio dei materiali impiegati nella produzione dei veicoli e la modernizzazione dell'intera filiera industriale del riciclaggio. In tale ottica potrebbe apparire utile estendere l'ambito di applicazione della disciplina di attuazione della direttiva anche ai motoveicoli, ai ciclomotori, ai mezzi pesanti, nonché ai natanti e agli aereomobili.
Per quanto riguarda la fase preventiva il costruttore, sin dalla progettazione del veicolo, deve essere consapevole della necessità di rendere più facile ed economico, alla fine del ciclo di vita, il riutilizzo e il riciclaggio dei materiali impiegati, in modo da ridurre al minimo il loro invio in discarica. Fondamentale si configura l'adozione di misure volte al sostegno dello sviluppo tecnologico degli operatori economici di recupero e riciclaggio; la creazione dei «mercati di sbocco» per favorire il reimpiego dei materiali recuperati, in via prioritaria quelli «non metallici»; l'aggregazione volontaria di operatori che integrino le funzioni operative della filiera di trattamento dei veicoli fuori uso. Tra le forme di incentivazione potrebbe configurarsi anche l'ipotesi di meccanismi di defiscalizzazione dei mercati di sbocco. Si dovrebbero in tal senso porre le condizioni per ampliare i mercati per i materiali recuperabili e riciclabili, tra cui il vetro, le gomme, le plastiche. È quindi necessario sviluppare le tecnologie esistenti per valorizzare i materiali di risulta, incentivare i mercati che possono utilizzarli e garantire a tali mercati di far fronte ai volumi di materiale di recupero che potrebbero essere messi a disposizione. Risulta necessario in tale ottica estendere l'ambito di applicazione di recenti previsioni normative che prevedono per enti e società a prevalente capitale pubblico di acquistare almeno il 30 per cento di manufatti e beni realizzati con materiale riciclato. Con appositi strumenti normativi si potrebbero altresì promuovere talune nuove applicazioni come, per esempio, l'utilizzazione dei residui della gomma per la produzione di asfalti modificati analogamente a quanto avviene negli Stati Uniti o in altri Stati europei. Sarebbe opportuno verificare anche l'ipotesi di qualificare le materie ottenute dal trattamento del pneumatico, ossia la polvere e i granuli di gomma, come materie prime anziché come rifiuto, secondo quanto stabilito dall'attuale normativa.
Una delle emergenze maggiori dal punto di vista dei rifiuti è rappresentata dal fluff, la componente non ferrosa che deriva dalla frantumazione degli autoveicoli, che costituisce la parte residuale del trattamento e che, attualmente, non viene riciclata come materiale, né recuperata dal punto di vista ambientale. Il fluff trova attualmente come unica destinazione la discarica. Dal 1o gennaio 2007, secondo i dettami posti dalla direttiva 1999/31 sulle discariche dei rifiuti, non si potranno più conferire in discarica i rifiuti con potere calorifero maggiore di 13 mila kilojoule per chilogrammo; il fluff, secondo recenti studi, oscilla entro un range che va da 17 mila a 19 mila kilojoule per chilogrammo, il ché ne imporrà la destinazione a forme di smaltimento diverse dalla discarica. La realizzazione di impianti di incenerimento con recupero energetico può rappresentare un elemento importante, soprattutto per il fluff, che si configura come un potenziale combustibile oggi destinato alla discarica in quanto non esistono impianti per la sua utilizzazione. Risulta allora opportuna l'attivazione di una adeguata politica di recupero energetico dei materiali che non possono essere riciclati.


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La mancanza di un quadro omogeneo a livello nazionale determina disfunzioni anche in relazione alle forme di selezione e di qualificazione delle aziende operanti nel settore. Le limitate dimensioni degli operatori del settore rendono opportuna la attivazione di una gamma di incentivi affinchè i piccoli operatori si consorzino per consentire il perseguimento degli obiettivi di maggiore efficienza ed economicità dell'intera filiera. Il complessivo processo della rottamazione e del recupero implica attività che potrebbero presentare elementi di criticità per l'ambiente e per la salute umana e quindi particolare attenzione occorre porre sulla messa in sicurezza dei componenti e sulla verifica periodica della loro eventuale pericolosità. Va segnalata al riguardo una specifica carenza normativa, cui si dovrà quanto prima porre rimedio: i centri per la rottamazione e gli autodemolitori sono solo occasionalmente previsti negli strumenti di programmazione territoriale. Allo stato si registra la mancata adozione o il mancato rispetto di piani regionali e l'assenza di un'adeguata pianificazione degli interventi. In sede di attuazione della direttiva si dovrebbe quindi imporre agli enti locali di assicurare una adeguata e razionale presenza di centri autorizzati sul proprio territorio, oltre a verificarne il corretto funzionamento. Occorre inoltre pretendere e promuovere un sempre più elevato livello di qualificazione professionale dei suddetti centri, che in taluni casi già attualmente costituiscono una importante occasione di lavoro ed un significativo esempio della cultura del recupero. Un importante passo che va compiuto in tale direzione consiste allora nel rendere l'attuale sistema autorizzatorio e di controllo il più omogeneo possibile nell'intero territorio dello Stato, evitando difformità di trattamento e conseguenti possibili distorsioni del mercato, anche al fine di precludere il possibile insorgere di abusi ed illiceità.
In relazione al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla direttiva si richiede necessariamente una attenta e puntuale individuazione degli obblighi, e delle connesse sanzioni, cui saranno tenuti, per la propria competenza, i diversi attori coinvolti nel nuovo sistema della rottamazione contemplato dalla direttiva 2000/53, il cui recepimento potrà costituire occasione per porre in essere un'attuazione effettiva, e non meramente formale, dei principi cui si ispira la normativa comunitaria di tutela e salvaguardia dell'ambiente.
L'attuazione della direttiva in oggetto potrebbe rappresentare allora un'opportunità per compiere un salto di qualità effettivo nel recupero di materiale ed energia nei processi di produzione dei beni, e per realizzare altresì un moderno e compiuto sistema integrato di gestione del ciclo dei rifiuti derivanti dalla rottamazione degli autoveicoli usati, più compatibile con le ragioni dell'ambiente.