Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 870 dell'1/3/2001
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CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MARIA CELESTE NARDINI SULL'ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 1563

MARIA CELESTE NARDINI. Nella memoria collettiva le foibe rappresentano una delle pagine più nere della storia della lotta di liberazione al confine orientale, poiché per più di cinquant'anni si sono avallate le tesi della destra fascista e nazionalista (sostenute da un'ampia pubblicistica propagandistica alla quale la sinistra non è mai stata in grado di rispondere in maniera decisa e chiarificatrice) ovvero che tra il 1943 ed il 1947 furono «uccise solo perché italiane» dai partigiani «slavocomunisti» «migliaia» di persone (le cifre spaziano dai 5 mila ai 20 mila morti, con un picco - da parte della sezione udinese di Azione giovani - di 300 mila).


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Nel più recente clima di revisionismo storico tendente a criminalizzare i partigiani e la resistenza nel suo insieme, la questione delle foibe è tornata ad avere un'eco nazionale, soprattutto grazie all'inchiesta portata avanti dal pubblico ministero romano Giuseppe Pititto, il quale (è notizia di pochi mesi fa) ha dovuto rifare tutta la richiesta di rinvio a giudizio per un vizio di forma (aveva completamente sbagliato di notificare gli avvisi di garanzia agli indagati). In questa inchiesta Pititto, il quale aveva dichiarato di avere scoperto «la verità sulle foibe», aveva chiesto l'incriminazione di tre partigiani (due fiumani ed un istriano) per «genocidio», mentre, a leggere la richiesta di rinvio a giudizio, si vedeva chiaramente che i primi due erano accusati di essere responsabili della morte di tre persone, mentre il terzo veniva accusato dell'uccisione di sette persone.
Ma cosa è successo effettivamente nella cosiddetta «Venezia Giulia» (che allora comprendeva le vecchie provincie di Trieste e Gorizia, buona parte delle quali appartiene ora alla Slovenia, l'Istria, Fiume e la Dalmazia, oggi croate), tra l'8 settembre 1943 e il maggio del 1945?
Dopo l'8 settembre i partigiani dell'esercito jugoslavo di liberazione (nel quale combattevano anche molti italiani, ma non solo perché diversi militari tedeschi avevano disertato per combattere con i partigiani dell'esercito iugoslavo) avevano preso il controllo di parte dell'Istria ed in quel frangente funzionarono dei tribunali popolari che procedettero all'arresto di gerarchi, segretari del Fascio, militari, poliziotti e via di seguito. Una parte di questi furono condannati a morte; vi furono anche, come sempre accade in queste occasioni, episodi di giustizia sommaria, vendette, abusi. Ma bisogna considerare cosa significarono vent'anni di fascismo per le popolazioni slovene e croate dei territori annessi all'Italia dopo la fine della prima guerra mondiale: cambiamento forzato dei cognomi «ridotti» (questa è la dizione ufficiale) in forma italiana, divieto di parlare la propria lingua in pubblico e persino in chiesa, chiusura di tutte le scuole slovene e croate, trasferimento degli insegnanti e degli impiegati pubblici di lingua slovena e croata nelle più remote parti dell'Italia, per non parlare, dopo l'inizio della guerra e l'occupazione di quella che fu denomina la «provincia di Lubiana», delle deportazioni di massa di civili (all'incirca 15 mila persone, soprattutto vecchi, donne e bambini, internati chi nell'isola di Rab-Arbe in Dalmazia, chi a Gonarz in Friuli), della distruzione di villaggi, dell'esecuzione di massa. Pulizia etnica, si direbbe oggi. Ma ritorniamo all'autunno del 1943.
Tra l'ottobre del 1943 e la primavera del 1944 furono recuperati, da una decina circa di foibe istriane, 200 corpi di persone uccise nel periodo di potere popolare. Per renderci conto delle proporzioni, valutiamo che, per riprendere il controllo della zona, nei primi giorni di ottobre del 1943, i nazifascisti massacrarono 13 mila persone (o quanto meno questa è la cifra che il comando germanico comunicò attraverso la stampa locale). L'aspetto più interessante di tutta la montatura creata intorno alla faccenda delle foibe sta forse in come sono stati usati i documenti ufficiali in funzione della propaganda di parte nazional-fascista. Infatti, la stessa pubblicistica di stampo nazionalista, i cui esponenti parlano di «migliaia di infoibati solo perché italiani», se analizzata attentamente, ci fornisce ben altri dati.
Per esempio, nel «Martirologio delle genti adriatiche» di Gianni Bartoli (democristiano, esule dall'Istria, che fu per molti anni sindacato di Trieste), troviamo un elenco di circa 4 mila nomi che comprendono sì persone che sono state infoibate, ma anche militari caduti sui vari fronti di guerra ed addirittura partigiani o resistenti deportati dai tedeschi nell'arco temporale che va dal 1942 al 1945.
Abbiamo poi Luigi Papo, già comandante in Istria della milizia repubblichina e stretto collaboratore di quel Italo Sauro, che da Venezia organizzava i servizi segreti della repubblica sociale italiana nei territori sotto controllo tedesco (la Venezia Giulia e parte del Friuli erano stati


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dopo l'8 settembre di fatto annessi al Reich tedesco sotto la denominazione di Adriatisches Küstenland). Papo è oggi uno dei maggiori esponenti del neoirredentismo ed è autore di un «Albo d'oro» in cui elenca più di 20 mila nomi di morti nel corso della seconda guerra mondiale (ma anche dopo) e facenti capo alla Venezia Giulia e Dalmazia. Ma, benché la copertina riporti lo spaccato di una foiba, non tutti i nomi elencati sono nomi di infoibati, anzi questi ne compongono la minima parte. Troviamo qui, infatti, elencati i caduti per fatti di guerra sui vari fronti, i morti nei lagher nazisti e sotto i bombardamenti, addirittura molti partigiani. Sempre lo stesso Papo ha recentemente pubblicato un libro «L'Istria e le sue foibe» dove riporta un documento (datato aprile 1945) nel quale il federale dell'Istria Bilucaglia dice di inviare al presidente del Comitato di liberazione nazionale (che a Trieste era di forte matrice antislava ed anticomunista) 500 pratiche relative ad altrettanti infoibati per i quali si prevedeva di dare dei risarcimenti alle famiglie. Cinquecento, dunque, comprese le persone uccise nel corso del conflitto.
Andiamo ora a vedere cosa accadde nella provincia di Trieste dopo il 1o maggio del 1945, quando la città rimase, per quaranta giorni, sotto l'amministrazione iugoslava.
Da verifiche e controlli incrociati tra gli archivi dello stato civile e di testi nazionalisti sopracitati, è risultato che il totale degli «scomparsi» da Trieste furono poco più di 500 (questa ricerca è stata pubblicata nel libro «Operazione foibe a Trieste» scritto dall'autrice di questo articolo e pubblicato dalla casa editrice Kappavu di Udine). Di questi 500 circa 200 erano militari e guardie di finanza che furono internati come prigionieri di guerra nei campi e morirono per cause varie (la gran parte per una epidemia di tifo). Un altro centinaio di questi furono portati a Lubiana, processati per collaborazionismo e condannati a morte. Molti di essi avevano fatto parte dell'ispettorato speciale di pubblica sicurezza, un corpo che era stato creato ancora nel 1942 per la repressione antislava ed antipartigiana (solo la Venezia Giulia e la Sicilia conobbero questo tipo di formazione). Questo corpo, noto come «banda Collotti» dal nome del loro capo, può essere paragonato per efferatezza alla famigerata «banda Koch» che operò a Roma, ma a differenza di questa aveva pure l'incarico di compiere vere e proprie azioni antiguerriglia nel circondario di Trieste.
Infine, una quarantina di persone furono recuperate da alcune foibe triestine, ma in questi casi si trattò (o almeno così venne accertato nel corso dei processi celebrati nel dopoguerra) per lo più di vendette personali.
Questi, in estrema sintesi, i fatti. Vediamo ora invece i due esempi di quella che si può forse definire la «mitologia delle foibe», i due simboli dei «crimini dei partigiani slavocomunisti», ovvero le due foibe di Basovizza e di Monrupino.
La foiba di Monrupino o di Opicina (l'abisso si trova a metà strada tra le due località e viene indicato ora con l'uno ora con l'altro nome) servì, nei primi giorni di maggio del 1945, da fossa comune per i morti della battaglia di Opicina, battaglia che durò per sei giorni e segnò la definitiva sconfitta dell'esercito nazista in zona. Per rendere l'idea della tragedia di questa battaglia si pensa che delle due parti in lotta perirono circa un migliaio di persone. Successivamente i corpi dei soldati tedeschi furono traslati e la voragine rimase vuota: così leggiamo in un testo di speleologia pubblicato a Trieste alcuni anni or sono, ma così appare anche in un rapporto ufficiale della polizia civile di Trieste ed inoltre in questo senso hanno testimoniato alcune persone che si sono calate nell'abisso prima che lo stesso venisse ricoperto con una lastra di pietra e dichiarato «monumento di interesse nazionale». Grottesca appare, quindi, l'iscrizione voluta sulla pietra di «giuliani e dalmati ai loro caduti», dato che quella fossa aveva accolto soprattutto militari dell'esercito germanico.
Poi c'è la foiba di Basovizza (questa è stata proprio dichiarata monumento nazionale),


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che in realtà non è una cavità naturale ma un pozzo artificiale, una vecchia miniera abbandonata. Fu per alcuni anni meta di suicidi (il pozzo è profondo 250 metri) ma nel costo della seconda guerra mondiale fu usata, da quanto ci ha riferito un testimone oculare, dai nazifascisti per gettarvi dentro i loro prigionieri.
Sui presunti infoibamenti a Basovizza si è scritto tantissimo (chi parla di quattrocento, chi di quattromila «infoibati») ma, dagli stessi documenti che sono stati pubblicati sulla stampa locale, risulta che testimoni oculari di queste uccisioni non ci furono, che già nell'estate del 1945 gli angloamericani (Trieste era allora sotto amministrazione militare alleata) operarono dei recuperi dal pozzo e, dopo aver tirato fuori circa una ventina di corpi, decisero di lasciar perdere perché non ce ne erano altri; che le «voci» di militari neozelandesi infoibati dai partigiani di Basovizza furono smentite dallo stesso Ministero della difesa neozelandese. Inoltre, nel 1954 una ditta fu incaricata di svuotare il pozzo dai residuati bellici che vi erano stati gettati dentro dagli angloamericani; se nel corso di queste operazioni si fossero rinvenuti dei cadaveri, si immagina che ne sarebbe stata data notizia. Infine, il pozzo fu utilizzato come discarica nel corso degli anni '50, quando sindaco di Trieste era lo stesso Gianni Bartoli, che aveva scritto tante pagine sulle tragedie delle foibe e dell'esodo dall'Istria; avrebbe permesso uno scempio del genere se fosse stato veramente convinto che lì giacevano dei resti umani?
Anche questa voragine fu poi chiusa con una lastra di pietra ed accanto ad essa si trova una pietra carsica che riporta lo spaccato del pozzo con l'indicazione dei livelli di ciò che vi sarebbe dentro («detriti della I guerra mondiale», «detriti vari», «salme di infoibati»). Ma la cosa strana è che la quantità di «metri cubi contenenti le salme degli infoibati» continua ad oscillare tra i 300 ed i 500: basta confrontare le foto scattate in epoche varie per rendersene conto.
In mezzo a tutte queste mistificazioni, sono poche le voci che si levano per cercare di ricondurre la «questione foibe» nelle sue reali proporzioni, cioè come un fatto di guerra, orribile finché si vuole ma effetto e non causa di altri orrori. Infatti, a tutt'oggi, il deputato di Alleanza nazionale Roberto Menia si ostina a dichiarare, nel corso della discussione della proposta di legge per la tutela della minoranza slovena, che «circa 20 mila italiani sono stati assassinati nelle foibe» e purtroppo il problema è talmente poco conosciuto che nessuno osa contraddirlo. Così della vicenda delle foibe come di quella di Porzus, come del Triangolo rosso, come di via Rasella si sono serviti i «pacificatori» che, per riabilitare i repubblichini di Salò, accusano i partigiani di avere pure loro commesso dei crimini di guerra.
Per capire con chi abbiamo a che fare, vediamo cosa ci dice, nero su bianco, Luigi Papo «... la storia quando serve alla propaganda può benignamente venire falsata».
Non è questo il nostro pensiero né la nostra concezione della storia. Lontani quindi da ogni desiderio di pacificazione, ma forti dell'idea che sia inaccettabile l'omologazione tra carnefici e vittime e contro ogni tentativo di offuscamento della memoria, di revisionismo della storia, non intendiamo partecipare a questo voto.

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