Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 867 del 26/2/2001
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(Discussione sulle linee generali - A.C. 5980)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
L'onorevole Soave, vicepresidente della Commissione Cultura, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore, onorevole Bracco.

SERGIO SOAVE, Vicepresidente della VII Commissione. Signor Presidente, colleghi, il progetto di legge in esame ha avuto un iter complesso e difficile: trasmesso dal Senato nel maggio 1999, il testo nella sua prima formulazione traeva origine da cinque proposte di legge, tutte d'iniziativa parlamentare e presentate da senatori dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, di Rinnovamento italiano, di Alleanza nazionale, misto-Verdi-l'Ulivo e misto-Rifondazione comunista-progressisti.
Le diverse proposte di legge erano state riunificate in un unico provvedimento


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ampiamente modificato nel corso dell'iter parlamentare. Esso prevedeva la trasformazione dell'attuale ruolo di ricercatore universitario in una terza fascia del ruolo dei professori universitari e ne modificava lo status, riconoscendo ai ricercatori l'elettorato attivo per tutte le cariche accademiche e la possibilità di far parte degli organi preposti all'organizzazione della didattica e della ricerca.
Destinatari del provvedimento - oltre ai ricercatori - erano anche le figure già equiparate ad essi dall'articolo 16 della legge n. 341 del 1990 (gli assistenti universitari del ruolo ad esaurimento ed i tecnici laureati con tre anni di attività didattica e scientifica di cui all'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980).
Altri aspetti del provvedimento erano l'estensione dell'elettorato passivo dei professori associati, una maggiore rappresentatività dei docenti nelle facoltà e nei senati accademici, e, infine, la validità degli statuti di quegli atenei che, sulla base di una innovativa interpretazione dell'autonomia statutaria e regolamentare delle università, avevano anticipato l'estensione dell'elettorato attivo e passivo ai ricercatori e ai professori associati.
L'obiettivo del disegno di legge era dunque duplice: dava soluzione all'annoso problema dello stato giuridico del ruolo dei ricercatori universitari, che si protrae dalla sua istituzione nel 1980, ed evitava l'annullamento degli statuti di molti atenei italiani inserendo una pericolosa ferita nell'autonomia universitaria. Si trattava di un provvedimento ponte in attesa della riforma organica della docenza universitaria, volto a registrare una situazione di fatto esistente nella vita universitaria del nostro paese. In effetti, con la legge n. 382 del 1980, ai ricercatori universitari erano stati attribuiti compiti didattici integrativi dei corsi di insegnamento ufficiali; in questa legge si faceva riferimento ad esercitazioni, collaborazione all'attività di ricerca degli studenti finalizzata alla stesura delle tesi, sperimentazione di nuove modalità di insegnamento. Restava cioè un'ambiguità di fondo: mentre si faceva di questa nuova figura qualcosa di diverso rispetto ai vecchi assistenti universitari, una figura più autonoma dal titolare della cattedra di appartenenza (infatti dipendente dalla facoltà) e se ne riconoscevano le funzioni di ricerca, non ne definivano però pienamente i compiti didattici, tant'è vero che la si teneva fuori dalla docenza universitaria.
Con la legge n. 341 del 1990 il divario tra professori e ricercatori viene ridotto e, pur non ammettendolo esplicitamente, questi ultimi si vengono di fatto caratterizzando come terza fascia docente. Ai ricercatori viene infatti riconosciuta la possibilità di partecipare a pieno titolo alle commissioni d'esame per i corsi di laurea, di diploma e di specializzazione; di essere relatori di tesi di laurea; di assumere l'incarico di corsi di insegnamento sia a titolo di supplenza che di affidamento. Intanto qualche anno prima, nel 1987, il trattamento economico della categoria era stato fissato nel 70 per cento del trattamento dei professori associati di pari anzianità, così come il trattamento di un professore associato è pari al 70 per cento di quello di professore ordinario di pari anzianità. Inoltre, ai ricercatori confermati veniva estesa la possibilità di opzione tra tempo pieno e tempo definito.
In sostanza, nel tempo si è venuta a creare una relazione sempre più stretta tra il ruolo dei ricercatori e quello dei docenti universitari, tanto da rendere pienamente condivisibile la trasformazione di questo ruolo da terza fascia docente di fatto in terza fascia docente di diritto, mantenendo inalterate sia le attribuzioni che la retribuzione. L'unica vera novità di questa trasformazione è nel diritto di partecipare attivamente alle decisioni riguardanti la vita didattica e scientifica delle facoltà e degli atenei, vita alla quale i ricercatori hanno sempre dato il loro decisivo contributo.
Il provvedimento si presentava come la naturale conclusione di una vicenda iniziata negli anni ottanta con l'approvazione della legge n. 28 e del decreto del Presidente della Repubblica. n. 382, mentre nelle università italiane è avviato un ampio


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processo di riforma con il completamento dell'autonomia universitaria e la nuova organizzazione degli studi che richiede nuove figure di docenti. Approvato dalla Commissione cultura della Camera con alcune modifiche rispetto al testo del Senato, il progetto di legge è stato licenziato per l'aula il 16 dicembre 1999 e in un primo momento sembrò ottenere la sede legislativa in Commissione, ma alcuni gruppi impedirono che l'iter si concludesse in quella sede.
Nel frattempo, il Governo aveva presentato un collegato ordinamentale alla finanziaria per il 2000 recante disposizioni in materia di stato giuridico dei professori universitari, al quale la proposta di legge in oggetto venne subito abbinata, ritenendo che fosse del tutto superfluo anticipare un provvedimento che si pensava allora di poter approvare rapidamente e di poter ricollocare in un sistema più organico della riforma dello stato giuridico.
Nei mesi successivi, la VII Commissione ha affrontato complessivamente il problema della riforma dello stato giuridico dei professori universitari, cercando con spirito costruttivo di elaborare un testo che fosse condiviso dai gruppi parlamentari, ma soprattutto dai diversi settori del mondo universitario. Il testo elaborato non era completamente soddisfacente: come accade quando le mediazioni sono complesse, ognuno aveva dovuto rinunciare a qualcosa. Tuttavia, il testo rappresentava un punto di equilibrio avanzato e sembrava dare risposte soddisfacenti alle nuove esigenze dell'università riformata. Anche questo testo, tuttavia, è incorso nella sorte del precedente, visto che è stato bloccato nel suo iter non tanto o, almeno, non soltanto per una dichiarata opposizione agli aspetti più qualificanti della riforma, ma - a parere del relatore - per l'intransigenza di alcuni gruppi nel difendere parte di quelle norme transitorie che avrebbero dovuto dare soluzione ai problemi aperti tra il personale universitario. Paradossalmente una buona riforma si è fermata, almeno ufficialmente, per l'opposizione a questione di dettaglio, che toccavano tuttavia gli interessi molto concreti di alcune categorie, seppure marginali.
Approssimandosi la fine della legislatura, in Commissione si è deciso di dare risposta ai problemi più urgenti, riprendendo il provvedimento sulla terza fascia - quello che era rimasto alla fine del 1999 con l'approvazione della legge finanziaria per il 2000 -, che è stato quindi disabbinato dal disegno di legge atto Camera n. 6562, ed è stato dato l'incarico al relatore di elaborare un nuovo testo che tenesse conto del dibattito sviluppatosi in Commissione e che fosse al contempo condiviso dal più ampio schieramento possibile dei gruppi di maggioranza e di opposizione.
Nell'elaborazione di questo testo si è voluto sgombrare il terreno dalle polemiche che avevano accompagnato la prima versione approvata dal Senato. Non si tratta più di una semplice trasformazione di ruolo, ma dell'istituzione della terza fascia docente nella quale è previsto che possano transitare, a domanda, i ricercatori universitari che abbiano svolto un'attività didattica e scientifica per almeno tre anni. Contestualmente, vengono abolite le valutazioni comparative per l'accesso al ruolo dei ricercatori che, di fatto, viene trasformato in un ruolo ad esaurimento. Oltre all'articolo 1, che riguarda il passaggio dei ricercatori universitari nella fascia docente, si è ritenuto importante aggiungere un articolo 2 che prevede la possibilità di stipulare contratti di ricerca e di avviamento all'insegnamento con i giovani dottori di ricerca, per assicurare un canale di accesso all'attività universitaria alle nuove generazioni che, diversamente, potrebbero correre il rischio di rimanerne escluse e di dover cercare altrove concrete possibilità per coltivare la propria vocazione e per sviluppare il proprio talento. Il nostro paese ha necessità urgente di una politica più attenta alla valorizzazione dei giovani studiosi e dei giovani ricercatori: con questo provvedimento si ritiene di poter dare una prima, forse ancora insufficiente, ma significativa risposta.


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Infine, l'articolo 3 contiene quella norma cosiddetta «salva statuti» richiesta da molti rettori italiani con l'estensione dell'elettorato attivo ai ricercatori ed ai professori di terza fascia.
Anche in questo caso, la richiesta di esame in Commissione in sede legislativa, avanzata dal relatore il 23 gennaio scorso, non è stata accolta da alcuni gruppi dell'opposizione. Di fatto, la posizione di coloro che si oppongono a qualsiasi modifica dell'ordinamento universitario si è combinata con quella di coloro che pretendono di ottenere il massimo vantaggio possibile dall'approvazione di una legge senza alcuna possibilità di mediazione.
Ciò può comportare la paralisi di qualsiasi decisione, mentre dall'Università, proprio ora che si sta avviando una fase nuova di profondi cambiamenti, viene la richiesta sia di chiudere positivamente la vicenda dei ricercatori, favorendo anche in questo modo un complessivo riordino della docenza universitaria, sia di salvaguardare quegli statuti che, dopo un serio e partecipato lavoro, corrono il rischio di essere annullati per la non rispondenza delle norme sull'elettorato attivo e passivo dei docenti a quelle previste vent'anni fa dal decreto del Presidente della Repubblica n. 382.
Per questi motivi, che ritengo ragionevoli e pressanti, raccomando ai colleghi l'approvazione del provvedimento di legge in esame.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUCIANO GUERZONI, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca scientifica e tecnologica. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palumbo. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE PALUMBO. Presidente, anche questo provvedimento, che, come ha detto il relatore, altro non è che uno stralcio delle proposte di legge nn. 5980 e 5495, è una parte di quel provvedimento generale che ha avuto un esame lungo e travagliato presso la VII Commissione della Camera, concernente lo stato giuridico dei professori universitari. Esame al quale tutti abbiamo partecipato attivamente, anche se non sono mancate alcune posizioni differenti tra di loro. In ogni caso complessivamente molti problemi erano stati risolti mentre alcuni necessitavano ancora di qualche chiarimento. Si apriva dunque una nuova strada, d'altronde necessaria, come è stato giustamente rilevato, perché il nuovo ordinamento didattico delle università con l'istituzione delle lauree brevi comporta sicuramente un impegno didattico molto più gravoso ed importante per tutti i docenti universitari. La riforma dello stato giuridico dei professori universitari è una riforma richiesta a gran voce da tutti.
Come ha rilevato il relatore, onorevole Soave, quel provvedimento si è arenato sulle norme transitorie, in particolare sull'articolo 12 che rappresenta uno scoglio importante per la soluzione ad alcune situazioni abbastanza gravi che possono essere sicuramente chiarite ma che tuttavia vanno discusse ampiamente.
Sempre con riferimento al provvedimento n. 6562 abbiamo sempre criticato il fatto che esso fosse collegato alla legge finanziaria. Fin dall'inizio il Polo della libertà (in particolare Forza Italia) ha detto che la sua approvazione sarebbe stata difficoltosa, ed è quanto alla fine è avvenuto.
Non farò la cronistoria perché questa è già stata fatta dal relatore, onorevole Soave. Siamo arrivati alla scadenza della legislatura e poiché i tempi sono quelli che sono il Governo ha cercato di salvare il salvabile di questo provvedimento. In pratica si è stralciata la parte concernente l'istituzione della terza fascia del ruolo dei professori universitari, aggiungendovi gli aspetti relativi all'attività didattica dei professori, all'assegno integrativo per l'attività didattica, ai contratti di ricerca e di avviamento all'insegnamento, nonché le norme finali sugli statuti.
Fin dall'inizio della discussione sul testo iniziale, stralciato dal provvedimento


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n. 6562, si vide che non si poteva andare avanti e che il provvedimento non poteva essere approvato così com'era stato proposto. Vennero quindi stralciati gli articoli 2 e 3 concernenti l'attività didattica e l'assegno integrativo per l'attività didattica. Questi due articoli prevedevano l'aumento delle ore di didattica da 300 a 500 per i professori a tempo pieno e a 350 ore per i professori e tempo definito. A tale incremento di attività di didattica frontale e di didattica generale corrispondeva un aumento stipendiale che, dopo varie trattative, fu inizialmente stabilito in otto milioni annui; in seguito, fu elevato a dieci milioni per i professori a tempo pieno e fissato a cinque milioni per i professori a tempo definito a partire dal 1o gennaio 2002. Questo aumento, a mio parere, è un'elemosina se rapportato all'aumento percentuale di attività didattica che i professori devono sostenere perché si passa dalle 300 alle 500 ore annue di didattica e dalle 60 ore di didattica frontale alle 120. Considerata poi l'impossibilità di attuare la normativa predisposta, a seguito di contestazioni e di pressioni che ognuno di noi ha ricevuto e dal momento che i conti non sono risultati alla fine quelli che il Governo sperava, furono dunque stralciati gli articoli 2 e 3 dal provvedimento iniziale e si concordò di definire nella terza fascia i contratti di ricerca e di avviamento all'insegnamento; è stata poi inserita la cosiddetta norma «salvastatuti» nell'ultimo comma dell'articolo 3.
Fino alla settimana scorsa vi è stata un'ampia discussione riguardo alla terza fascia e sono stati approvati alcuni nostri emendamenti. Si è stabilito di inserire nel ruolo docente i laureati dopo una valutazione della loro attività scientifica e didattica, valutazione che, su mio suggerimento, non deve essere effettuata dai singoli atenei, ma in base a regole comuni; si è giunti, alla fine, ad un compromesso. Su questo punto, però - dobbiamo dire le cose come stanno -, abbiamo avuto problemi che non so se siano stati risolti dalla Commissione bilancio. Si è era, infatti, pensato di eliminare lo straordinariato perché, una volta acquisita tale condizione, non ci sarebbe stato bisogno di rinnovarla. Questa disposizione ha comportato oneri economici a carico dello Stato, mentre nel testo è detto che non vi sarebbero stati. Non so se questi problemi siano stati risolti dalla Commissione bilancio e se vi siano ancora perplessità riguardo agli eventuali conteggi per l'istituzione di questa nuova fascia. A scanso di equivoci, dichiaro che sono favorevolissimo a questa impostazione perché sono convinto che la parte portante della didattica universitaria è effettuata soprattutto dalla terza fascia, ma è necessario, come ho sempre detto, che l'istituzione della terza fascia sia effettuata attraverso una verifica perché non è giusto che i meritevoli - e sono la maggioranza - siano trattati come chi non lo è. Tale verifica sarà effettuata - speriamo nelle maniere giuste - dalle varie università.
Un altro punto importante è quello relativo ai contratti di ricerca e di avviamento che sono stati nuovamente disciplinati e trattati come contratti di formazione lavoro. Essi hanno durata triennale, rinnovabile di altri tre anni; anzi, siccome i contratti di formazione e lavoro possono essere stipulati soltanto fino all'età di 32 anni, in Commissione è stato approvato un emendamento affinché, per tali tipi di contratti di avviamento all'insegnamento e alla ricerca, l'età indicata venga elevata; effettivamente, per la carriera universitaria, prevedendosi tali contratti dopo la laurea ed il dottorato di ricerca, senza detto elevamento, la percentuale dei ricercatori che avrebbero potuto accedervi sarebbe stata irrisoria e, praticamente, i contratti stessi non sarebbero stati utilizzabili.
Infine, ricordo la norma «salva statuti» che, secondo la normativa vigente, estendendo l'elettorato passivo ai professori associati e riconoscendo l'elettorato attivo a tutti i ricercatori, cerca di salvare moltissimi statuti che tuttora, con le diverse disposizioni e le diverse sentenze di TAR, Consiglio di Stato, eccetera, riguardano aree (da Palermo a Roma, ad altre località) dove vi è una confusione caratteristica delle nostre università.


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Noi siamo stati sempre contrari alla sede legislativa su questa materia, lo dico tranquillamente. Siamo alla fine della legislatura (durerà ancora una o due settimane) e questo provvedimento è giunto all'esame dell'Assemblea; ammesso che venga approvato in tempo utile dalla Camera, esso dovrà essere esaminato dal Senato, dove sicuramente comincerà una nuova discussione e non so se entro la settimana prossima, che probabilmente dovrebbe essere l'ultima, potrà essere approvato. Eventualmente (è una cosa da verificare) si potrebbero stralciare alcune disposizioni anche perché, lo ribadisco, nell'ambito della docenza universitaria non tutti sono convinti della bontà di una norma che riguardi solamente i cosiddetti professori di terza fascia, i ricercatori. Tutti abbiamo ricevuto lettere e comunicazioni dalla conferenza dei rettori, dalle associazioni dei professori associati e dei professori ordinari: nei fatti, la paura è che, una volta approvato questo provvedimento, lo stato giuridico dei professori universitari - la norma più importante e pregnante relativamente al cambiamento dello stato giuridico e alla didattica futura, con l'aumento del numero delle ore e della retribuzione (uno dei fatti importanti) - venga tralasciato. Molti sono dell'idea, allora, di abbandonare l'istituzione della terza fascia (ormai è difficile che possa essere attuata) e di far approvare, al limite attraverso l'esame in Commissione in sede legislativa, soltanto l'ultimo articolo concernente la norma «salva statuti». Questa potrebbe essere una via di fuga per il travagliato iter del provvedimento in esame.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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