Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 796 del 23/10/2000
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(Discussione sulle linee generali - A.C. 168-D)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la I Commissioni (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Di Bisceglie, ha facoltà di svolgere la relazione.

ANTONIO DI BISCEGLIE, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci avviamo oggi all'ultimo passo che conclude, almeno per la sua fase parlamentare, un iter iniziato nel gennaio 1999 dopo che - è giusto ricordarlo - vi erano state alcune false partenze che immaginavano di procedere separatamente dalla modifica di qualche statuto. Vi è stato un lungo confronto ed un grande lavoro istruttorio: vi sono all'origine 24 proposte di iniziativa parlamentare e il testo che ne è scaturito ha richiesto 36 sedute delle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, 24 sedute delle due Assemblee e molte altre pronunce di Commissioni in sede consultiva; non parliamo poi delle riunioni dei comitati ristretti, degli incontri e delle audizioni con i rappresentanti di tutte le assemblee legislative e di tutti gli esecutivi delle regioni e delle province autonome, nonché degli incontri istruttori ed informali e di quant'altro ha dato vita al testo che è ora - per la terza volta - all'esame di questa Assemblea.
Signor Presidente, molti relatori finiscono per dubitare, in più di qualche occasione, della bontà di una decisione adottata o dell'opportunità di una scelta che escluda altre opzioni altrettanto apprezzabili: a me è successo più volte, sul testo al nostro esame, principalmente per la forza e la passione con le quali sono state avanzate opinioni contrarie al testo che si andava formando, sia in prima lettura, sia quando (in un incontro informale con la Commissione affari costituzionali del Senato) si valutavano i tempi necessari e le alternative ancora possibili. È lì che ho apprezzato, ancora una volta, il valore della garanzia insita nel sistema di revisione costituzionale definito dall'articolo 138 della Carta fondamentale; avrei avuto ancora molte occasioni per rivalutare quelle scelte e ancora molti confronti con opinioni contrarie; ora, però, l'Assemblea della Camera è chiamata ad esprimere il voto decisivo.
Senza il voto favorevole della maggioranza assoluta dei membri di questa Assemblea, il provvedimento cadrà definitivamente


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nel nulla. Tutto l'esame istruttorio ed i quattro voti di conferma fino ad ora espressi non hanno tuttavia rimosso - è giusto ricordarlo - talune opposizioni e non sono così presuntuoso da sperare di rimuoverle io adesso, in limine. Spero soltanto che, malgrado il permanere di dissensi, l'Assemblea faccia prevalere le ragioni positive di questa riforma, perché è di questo che le riflessioni imposte dal procedimento di approvazione delle leggi costituzionali mi hanno convinto: è una legge opportuna, equilibrata nelle scelte adottate e sicuramente necessaria. Non lo dico soltanto in riferimento al prossimo voto per il rinnovo dell'assemblea regionale siciliana; per questo aspetto è facile fare un'ulteriore profezia: senza l'approvazione di questo testo, anche il turno elettorale del 2003 nella Valle D'Aosta, nel Trentino-Alto Adige e nel Friuli-Venezia Giulia si svolgerebbero sotto l'egida degli attuali statuti speciali, qualunque sarà nella prossima legislatura la maggioranza di questo Parlamento. È ovvio, però, che una simile riforma statutaria non si approva solo perché vi è l'urgenza di votare con una diversa legge elettorale in Sicilia o, ancor meno, nel 2003 nelle altre tre regioni. Io credo che vada approvata soprattutto perché è una buona riforma ed è una riforma necessaria, positiva per le innovazioni che reca nell'assetto costituzionale delle regioni a statuto speciale e positiva perché non contiene, poi, tutte quelle scelte negative che le attribuiscono coloro che le sono contrari, e che abbiamo sentito anche nel recente dibattito presso l'altro ramo del Parlamento.
Quali siano le motivazioni, gli obiettivi, i contenuti di questa legge è ben noto a tutti in quest'aula: farò allora soltanto poche osservazioni, con l'intento di riflettere ancora una volta su alcuni dei punti più discussi, in primo luogo perché siano chiari i termini delle questioni in campo. Credo che molte delle obiezioni sul testo, pur se vestite di legittimità ed opportunità costituzionale, debbano essere valutate invece per quello che realmente sono: un contrasto politico sul merito delle scelte operate e sulla decisione di conservare il voto congiunto sul complesso delle modificazioni ai cinque statuti speciali. Inizio perciò da quest'ultimo aspetto, che è anche, in qualche misura, il più rilevante sul piano politico: la scelta di disciplinare contestualmente, in un'unica legge, la riforma dei cinque statuti speciali. Sgombriamo innanzitutto il campo dalla questione costituzionale: la scelta adottata è pienamente legittima, non solo perché già altre leggi costituzionali hanno modificato contestualmente tutti e cinque gli statuti speciali, ma in primo luogo perché non vi è in proposito alcuna possibile obiezione formale. Diverso è il merito, ed è giusto ripeterlo ancora. Se la Commissione affari costituzionali della Camera o successivamente quella del Senato avessero deciso di tenere distinte le proposte per ciascuna regione, ritengo che oggi non staremmo qui a discutere di nessuna approvazione, nemmeno di quella dello statuto siciliano: non dico, poi, di quando sarebbe stato vagamente possibile modificare lo statuto trentino, quello valdostano, quelli delle altre due regioni. Questo, certo, magari è quanto si sarebbero augurati coloro i quali sono contrari alla riforma o comunque non sono convinti di essa. Ritengo che sulle proposte di modifica dei singoli statuti i veti reciproci avrebbero aumentato le difficoltà e non avrebbero consentito di far convergere i consensi. Malgrado le obiezioni che restano su scelte o carenze della legge, nel voto favorevole è prevalsa la consapevolezza che i cittadini residenti nelle regioni a statuto speciale non possono essere privati del diritto di contare direttamente nella formazione dei loro governi. Quello che ha così profondamente modificato il ruolo delle regioni a statuto ordinario non penso possa essere negato alle regioni a statuto speciale, perché nella forma in cui lo stabilisce questa legge costituzionale non sarebbe adeguatamente «filtrato» dalle élite politiche locali. Sotto le critiche di noncuranza - qualcuno ha usato addirittura il termine «tradimento» - dell'autonomia, sembra che il più delle volte si nasconda una concezione separatista o proprietaria


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delle istituzioni e dei cittadini di una regione: il Parlamento nazionale, cioè, non dovrebbe regolare alcunché dell'ordinamento delle regioni a statuto speciale e, ancor meno, dei rapporti che intercorrono tra i cittadini e le istituzioni regionali.
Accentuo queste posizioni, ma credo che, in fondo, in alcune parti, ci sia proprio questo e credo di cogliere nel segno. Faccio fatica a riconoscere le ragioni della specialità nel fatto che non sorga alcuna obiezione se il Parlamento nazionale riconosce agli 8 milioni di cittadini residenti nella regione Lombardia la possibilità di eleggere direttamente il proprio governo, mentre quello stesso Parlamento sarebbe prevaricatore dell'autonomia qualora decidesse che quella stessa facoltà debba essere riconosciuta anche ai 400 mila abitanti della provincia autonoma di Trento o agli altri abitanti delle regioni a statuto speciale. Mi sembrano sottendere l'idea che questa legge incida su prerogative e poteri degli organi di governo locali, attuali e futuri, e non, invece, sui diritti e i poteri dei cittadini nella formazione di quegli organi.
Da questa impostazione credo nasca, come corollario, l'accentuazione, talvolta l'esasperazione, della natura pattizia degli statuti speciali. Non vi è dubbio che questa potrebbe essere la regola di un'eventuale confederazione di Stati o di regioni che, per alcuni aspetti, fanno riferimento ad un'entità centrale. Direi che, in questa visione, alle istituzioni centrali dell'Unione europea siano già state riconosciute molte prerogative, ma questa è la visione di un altro Stato, futuro o possibile che esso sia, anche auspicabile da alcuni, ma non l'attuale Repubblica italiana retta dalla Costituzione vigente. Che la legge costituzionale di modifica degli statuti ad autonomia speciale debba essere pattizia, non solo in senso sostanziale, ma anche in senso formale, appartiene ad una visione che non trova riscontro nell'attuale Costituzione. In proposito, non posso che riferirmi a quanto detto dal Presidente della Camera a proposito dell'ammissibilità di taluni emendamenti di questa natura in occasione dell'esame del provvedimento, una volta chiamato riforma federale dello Stato. Se la chiusura normativa dell'ordinamento, per quanto riguarda la modifica della Costituzione e delle leggi costituzionali, è il frutto dell'accordo formale e paritario di due parti, stiamo parlando di un altro Stato, di un'altra Repubblica che potrà sorgere in forza di un potere costituente, ma non certo per incidens dall'approvazione della legge che modifica gli attuali statuti speciali. Inoltre, se mi è consentito trattare un argomento un po' retorico, perché il patto deve stabilirsi tra il Parlamento e gli attuali governi di una regione speciale o provincia autonoma e non con la Lombardia, il Veneto, l'Emilia Romagna, la Campania e così via oppure con le altre collettività definite con la nostra attuale geografia amministrativa? Come dicevo, su questo punto la risposta è stata fornita, sinteticamente e con estrema chiarezza, proprio il 19 settembre scorso, in quest'aula, dal Presidente Violante nelle motivazioni di inammissibilità alle quali ho fatto riferimento: non credo si possa aggiungere altro. Non a caso, per la definizione della legge statutaria che introduce l'autonomia speciale - cosiddetta variabile -, anche per le regioni a statuto ordinario - semmai quella riforma sarà approvata - è stata prevista la legge ordinaria con procedura pattizia e rinforzata: può essere emanata soltanto su iniziativa della regione proponente e di intesa - per il testo definitivo - con essa. Al Parlamento nazionale resta però l'autonomia della legge costituzionale: vale a dire uno strumento sovraordinato che chiude l'ordinamento. Su questo punto, quindi, la legge che ci accingiamo ad approvare è sicuramente corretta.
Particolarmente criticate sono state anche le disposizioni identiche che si ritrovano nei cinque statuti. Si tratterebbe di un'assimilazione che snatura il senso stesso della specialità: posta così, mi sembra che la critica sia un artifizio. È vero che la legge contiene un certo numero di principi comuni o, meglio, identici per tutte le regioni a statuto speciale,


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ma disposizioni e vincoli identici sono presenti e più estesi negli attuali statuti.
Questa legge conserva alla forma di governo regionale la natura parlamentare, disciplina direttamente alcuni poteri degli organi regionali e alcuni poteri del corpo elettorale. Queste parti degli statuti non sono derogabili: non lo sono oggi negli attuali statuti e non lo saranno negli statuti riformati. Allo stesso modo non sono derogabili la democraticità, l'eguaglianza, la segretezza, la personalità del voto, il numero e le funzioni degli organi della regione e molto altro. Il vincolo ad una forma di governo comunque parlamentare non consente, infatti, che, ad esempio, la Valle d'Aosta possa optare per la forma di governo cosiddetta direttoriale e mutuare alcuni aspetti della struttura costituzionale, per esempio, della Svizzera. Anche qui la domanda ha il medesimo oggetto: quand'è che le differenziazioni sono inconciliabili con l'ordinamento generale o sono inopportune per uno dei tanti valori dell'unitarietà? Molti costituzionalisti, ma credo anche molti parlamentari, rimproverano alla legge costituzionale n. 1 del 1999 di aver lasciato troppa autonomia alla legge elettorale e alla forma di governo di ciascuna regione a statuto ordinario. Per le regioni a statuto speciale la legge elettorale è soggetta soltanto ai limiti posti dalla Costituzione e i vincoli alla forma di Governo sono ancora più limitati.
Quei costituzionalisti ritengono che una simile autonomia sia eccessiva; ritengono che laddove veramente forme di Governo e sistemi elettorali dovessero differenziarsi sensibilmente questo rischierebbe di finire per disarticolare l'intero sistema politico-istituzionale.
La disciplina comune dunque non snatura di per sé la specialità. Prendiamo ad esempio le disposizioni relative ai referendum, questo mi dà l'occasione per una precisazione. Fatico a ritenere un segno dell'autonomia il fatto che non essendovi una prescrizione positiva nello statuto, i cittadini siciliani non abbiano potuto pronunciarsi per l'abrogazione delle leggi regionali e che solo al seguito dell'applicazione delle corrispondenti leggi statati si sono visti riconosciuti il diritto al referendum sugli atti amministrativi delle province e poi dei comuni.
Negli statuti riformati, in tutti e con una formula identica, il referendum sarà inserito come diritto dei cittadini; la legge regionale ne regolerà l'esercizio ma non l'estensione. Così è per molti aspetti della forma di Governo.
Si è voluto evitare, ad esempio, che quando i cittadini abbiano eletto direttamente il presidente, questi possa essere rimosso, sfiduciato e sostituito dal consiglio. Come quella per le ordinarie, questa legge lega il consiglio regionale alla permanenza in carica del presidente eletto direttamente dal corpo elettorale.
Considerazioni analoghe si possono fare per l'incompatibilità con la carica di parlamentare europeo o per altre norme comuni presenti in tutti gli statuti. Queste scelte possono essere ovviamente non condivise ma sono quelle già adottate dalla legge costituzionale n. 1 del 1999 per le regioni a statuto ordinario, qui con vincoli ancora minori. Non mi sembra che in questo entri in gioco la specialità se non solo per l'assunto che - quale che sia l'oggetto - la specialità richieda comunque «un di più» e un «diverso». Do per scontata, ovviamente, l'intesa sulla peculiarità della provincia autonoma di Bolzano.
Dunque a questo nucleo di obiezioni appartengono anche quelle rivolte all'esistenza delle norme transitorie. Non voglio qui ripercorrere tutte le questioni che esse hanno suscitato, non sul piano tecnico e anche meno della costituzionalità perché non penso proprio che vi siano tali questioni, nemmeno quelle invocate per il seggio ladino della provincia di Trento che semmai darebbe attuazione agli indirizzi formulati dalla Corte costituzionale, da ultimo nella sentenza n. 356 del 1998 in tema di rappresentanza garantita già stabilita in altri termini dall'articolo 62 dello statuto o se si vuole di rappresentanza preferenziale secondo i principi che si traggono dai primi tre commi dell'articolo 25 dello statuto.


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Non è in discussione, credo, la norma transitoria per la regione Sicilia, mi sembra che tutti o quasi la ritengono necessaria e utile. Per la provincia autonoma di Bolzano è giusto ricordare che non è mai stata prospettata nemmeno in ipotesi. Negli altri casi vorrei trovare una risposta convincente alla questione che abbiamo posto. Se questa legge costituzionale potrà entrare in vigore (raggiungendosi quindi su di essa, come auspico, la maggioranza assoluta di quest'Assemblea) intorno al 25 gennaio 2001, la regione Friuli Venezia Giulia avrà due anni e 5 mesi di tempo per decidere qualsiasi nuova formula di Governo e qualsiasi legge elettorale, anche per decidere di conservare tutto come oggi. Dovrà però sottoporre questa decisione, quale che essa sia, alla doppia votazione del consiglio regionale e al referendum popolare. Ancor più tempo, due anni e nove mesi, saranno disponibili per il consiglio della provincia autonoma di Trento, mentre il consiglio regionale della Sardegna avrà a disposizione tre anni e mezzo.
Dunque, sotto questo profilo, mi sembra che le regioni dispongano di un ampio margine per esercitare pienamente la propria autonomia: quasi il doppio del tempo che è stato necessario a condurre oggi in aula questo testo.
Tuttavia non voglio fingere di non conoscere la vera natura dell'obiezione che si cela sotto le tante avversioni alle norme transitorie. Tutti sappiamo che l'esistenza della norma transitoria in qualche modo spariglia le posizioni in campo; ci sono nelle regioni posizioni molto differenziate sugli obiettivi e gli esiti di queste riforme. Quanti sono favorevoli all'elezione diretta del presidente della regione e ad un sistema elettorale che decide in termini di alternativa tra coalizioni votate dagli elettori sono resi più forti dall'esistenza della norma transitoria.
Coloro che propenderebbero per la conservazione dell'attuale assetto, per l'elezione indiretta e per un Governo espressione di maggioranze che si determinano secondo le evoluzioni politiche in corso di legislatura sanno che, con ogni probabilità, questa diversa forma di Governo dovrà essere sottoposta ad un referendum popolare.
Continuo, comunque, a dubitare che questa sia una questione interna alla specialità. I cittadini residenti in quelle regioni hanno anch'essi il diritto di decidere direttamente in proposito e di superare il blocco che può essersi determinato nelle élite politiche del momento.
Del resto, con quella norma transitoria - la legge con la quale hanno votato i cittadini di tutte le altre regioni il 16 aprile di quest'anno - voteranno i cittadini italiani nel prossimo giugno. Non capisco perché la Sardegna o il Friuli, in caso di necessità, non potrebbero ricorrere a quella stessa legge. Non è un mistero che per la provincia autonoma di Trento è stata fatta un'altra scelta, perché la provincia ha avanzato una propria proposta accolta dall'Assemblea del Senato.
Non trovo perciò un punto della disciplina comune che sia diverso e peggiorativo rispetto a quanto stabilito per le regioni a statuto ordinario, o che sia diverso e peggiorativo rispetto a quanto stabiliscono oggi gli attuali statuti speciali.
Un'altra parte della disciplina cosiddetta comune è, invece, soltanto contestuale, nel senso che viene votata contestualmente in quest'unica legge, ma differisce per ciascuna regione e risponde a quelle peculiarità.
Direi, in primo luogo, tutto ciò che non è disciplinato. Ricordo, ad esempio, la ripetuta richiesta di stabilire nello statuto l'incompatibilità tra la carica di assessore e quella di deputato regionale della Sicilia. Tale incompatibilità potrebbe rivelarsi anche opportuna e capace di rompere un sistema politico che in ciò non ha espresso il meglio di sé; tuttavia, essa non risponde ad alcuna esigenza comune ed è, quindi, opportuno che la decisione sia lasciata a ciascuna regione.
Vengo, però, direttamente alle questioni...


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PRESIDENTE. Ha quaranta secondi soltanto onorevole relatore!

MARCO BOATO. Se potesse lasciare qualche minuto in più per completare il ragionamento!

PRESIDENTE. Il relatore ha venti minuti di tempo.

MARCO BOATO. Essendo una legge costituzionale...

PRESIDENTE. Sono sempre venti minuti!

ANTONIO DI BISCEGLIE, Relatore. Cercherò di procedere velocemente, Presidente.

MARCO BOATO. Forse è interesse del Parlamento che vi sia un esame compiuto!

PRESIDENTE. Lo potrà fare in sede di replica o nel prosieguo del dibattito, perché i tempi sono così contingentati.
Prego, onorevole Di Bisceglie.

ANTONIO DI BISCEGLIE, Relatore. Presidente, cercherò di sintetizzare.

PRESIDENTE. Prego, se è questione di qualche secondo in più, va bene, ma tenga conto che il suo tempo è già esaurito.

ANTONIO DI BISCEGLIE, Relatore. Vengo direttamente alle questioni relative al Trentino-Alto Adige e alle province autonome. È sicuramente la più vistosa delle discipline differenti che adottiamo insieme alla riforma degli altri statuti speciali. Questa riforma contiene in realtà una forma di constatazione di quello che già era. Lo dico tenendo conto che il consiglio regionale è rimasto in qualche misura, come un nobile e importante organo politico che svolge faticosamente poche funzioni politiche. Con questa riforma, a mio avviso, si dà un quadro esatto e si definisce meglio una serie di competenze e di compiti, riconoscendo che l'ossatura fondamentale sta nelle province e facendo della regione un ente che è fondamentalmente espressione delle province.
Non avendo tempo, non posso aggiungere altre considerazioni che, magari, potrei consegnare perché siano pubblicate in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente senz'altro, onorevole Di Bisceglie.

ANTONIO DI BISCEGLIE, Relatore. Venendo alla conclusione di questo ragionamento, intendo ribadire che a me sembra che la proposta di legge al nostro esame sia equilibrata. Rivolgendomi a tutti i gruppi parlamentari, sottolineo che è stato svolto un buon lavoro e faccio un appello affinché possa essere approvata anche in questa sede a maggioranza assoluta per essere successivamente promulgata.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

DARIO FRANCESCHINI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Garra. Ne ha facoltà.

GIACOMO GARRA. Signor Presidente, colleghi, intervengo a nome dei deputati del gruppo di Forza Italia nella discussione sulle linee generali che precede la conclusione del lungo iter che riformerà gli statuti delle regioni ad autonomia differenziata.
Sul piano del metodo dei nostri lavori, abbiamo apprezzato il coinvolgimento delle regioni nella fase istruttoria. Com'è noto, la prima discussione in quest'aula risale al novembre 1999, allorché la Camera approvò un testo che è stato poi rivisitato dal Senato della Repubblica in ordine ai punti che illustrerò.


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Una prima modificazione, apportata in prima lettura dal Senato, attiene alla soppressione della lettera q) del comma 1 dell'articolo 3, relativo allo statuto speciale della Sardegna; una seconda modificazione, apportata sempre in prima lettura dal Senato, riguarda la soppressione della lettera p) del comma 1 dell'articolo 5, relativa allo statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia. Entrambe le disposizioni, soppresse come sopra detto, prevedevano che l'adozione delle norme statali attinenti alla misura della compartecipazione ai tributi erariali avvenisse non «sentita la regione», come previsto dal testo vigente, bensì «d'intesa con la regione». L'effetto degli emendamenti soppressivi approvati dal Senato è non eliminare la discrasia tra regioni speciali che fruiscono dell'intesa (Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige) e non condurre in porto il criterio federalista sotteso al testo che era stato approvato dalla Camera dei deputati.
Altre modificazioni introdotte dal Senato riguardano la garanzia della rappresentanza del gruppo linguistico ladino nella giunta regionale del Trentino-Alto Adige e la soppressione della disposizione che rendeva immediatamente applicabile ai consiglieri della provincia autonoma di Trento l'incompatibilità con la carica di parlamentare europeo.
Inoltre, è stato ulteriormente modificato il comma 3 dell'articolo 4; al riguardo, il Senato ha fatto propria una mozione approvata dal consiglio provinciale di Trento, adottando il sistema elettorale misto con doppio turno eventuale per il ballottaggio dei candidati alla presidenza della provincia e prevedendo un premio di maggioranza, dovendo la lista collegata al presidente eletto avere un numero di seggi non inferiore a 21 sui 34 da assegnare. Tra l'altro, non si comprende perché gli elettori del Trentino debbano disporre di due voti di preferenza anziché di uno solo, come avviene nelle altre elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali: francamente, non riusciamo a comprendere la ragione di questa deroga.
L'ultima modifica apportata dal Senato riguarda l'inserimento dell'articolo 7, volto a non pregiudicare che le elezioni per il rinnovo dell'assemblea regionale siciliana e per la prima elezione diretta del presidente della regione siciliana possano comunque avere luogo con la nuova disciplina elettorale e non con quella che trovò applicazione nelle elezioni regionali del giugno 1996, dalla quale sono scaturiti ribaltoni e controribaltoni. È noto, infatti, che il voto dei siciliani alle elezioni regionali del 1996 ha portato alla vittoria il Polo delle libertà. Ne sono scaturiti governi a conduzione dei presidenti Provenzano prima e Drago poi; se non che, con il passaggio dell'UDEUR al centrosinistra, la Sicilia ha avuto il suo grande ribaltone, con la formazione dei due governi guidati dal diessino Capodicasa. Successivamente, «indietro tutta»: c'è stato il controribaltone e molti parlamentari regionali dell'UDEUR, ma anche del Partito popolare e di Rinnovamento italiano, hanno voltato le spalle ai diessini e, nel luglio scorso, è sorto il governo Leanza, tuttora in carica.
Con l'elezione diretta del presidente della regione siciliana non vi saranno più né ribaltoni né controribaltoni (perché nemmeno questi ultimi mi piacciono), perché la sfiducia al Governo, come le dimissioni del presidente eletto, avrebbero, nel vigore del nuovo assetto costituzionale, come conseguenza lo scioglimento anticipato dell'assemblea regionale siciliana e nuove elezioni sia per l'assemblea regionale sia diretta, del presidente della regione.
La prima lettura della riforma si è - come è noto - conclusa con il voto della Camera del 19 luglio 2000, il cui risultato desidero ricordare: sui 454 presenti i votanti furono appena 306 e gli astenuti 148; sui 306 votanti i voti a favore sono stati 254 e contro 52. Colleghi deputati, alla votazione finale alla quale la Camera perverrà da qui a pochi giorni occorre che la partecipazione al voto, oltre che le presenze, siano di gran lunga maggiori che nel novembre del 1999; diversamente, sarà arduo che la votazione finale faccia raggiungere


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il quorum dei 316 voti a favore! Probabilmente, i deputati del Polo eletti in Sicilia daranno un voto favorevole e in dissenso rispetto alla linea dell'astensione portata avanti da Forza Italia, Lega nord Padania, CCD e CDU; ma questo potrebbe anche non bastare.
Colleghi, ripeto qui alcune valutazioni che motivarono l'astensione del gruppo di Forza Italia in sede di votazione finale conclusiva in prima lettura della riforma costituzionale al nostro esame. Il Senato ha voluto in prima lettura modificare gli articoli 3, 4 e 5, mentre ha lasciato invariati i testi degli articoli 1 e 2 che erano stati approvati da questa Camera nella seduta del 25 novembre 1999. In Commissione affari costituzionali, nel corso dei lavori del Comitato dei nove che precedettero il voto dell'Assemblea del 19 luglio 2000, avevamo reiteratamente ammonito la maggioranza per le sue disinvolte aperture alle pretese del collega Zeller e di altri esponenti delle minoranze linguistiche. Tuttavia, i pochi parlamentari vicini al collega Zeller sono preziosi per la sorte del Governo Amato ed allora la maggioranza ha preferito privilegiare la tesi del suddetto collega, di Detomas e degli altri, ma ha finito con il perdere i contatti e le intese con i gruppi parlamentari della Casa delle libertà, rendendo così impossibile l'approvazione della legge con il requisito dei due terzi, come è già avvenuto al Senato, dove è stata raggiunta solo la maggioranza assoluta, ma non il quorum dei due terzi. Oltretutto, vi era stato un richiamo del Presidente Ciampi che aveva ammonito che si dovessero fare le riforme costituzionali con i più ampi coinvolgimenti e non con il «contentino» ai pochi colleghi che - intendiamoci - sono ammirevoli per le loro battaglie. Questo va qui ribadito, perché è legittimo che sostengano e portino avanti le loro tesi, ma credo francamente che avrebbero potuto trovare nella maggioranza una più attenta ponderazione!
Alla Camera sarà problematico, se non rientreranno molte assenze (insisto su questo punto), raggiungere persino il quorum dei 316; ripeto comunque che dai deputati siciliani del Polo potrà venire a tale fine un voto favorevole, con un apporto che spero porti a superare la soglia dei 316 deputati. Giova ricordare che nel novembre 1999 i deputati del Polo delle libertà approvarono l'articolo 1 sullo statuto siciliano (al quale il Senato, per fortuna, non ha ritenuto di apportare alcuna modifica); analogamente avvenne per l'articolo 3 relativo allo statuto sardo, se non che, per le innovazioni mancate allo statuto della Valle d'Aosta, arriviamo all'assurdo di continuare ad avere una riforma costituzionale che si richiama al principio dell'elezione diretta del presidente delle regioni a statuto speciale, ma che in almeno quella regione deroga a quello che doveva essere un principio innovatore comune a tutte le regioni ad autonomia differenziata.
Vengo alla conclusione. Apporti positivi vengono in direzione della stabilità governativa da diverse disposizioni introdotte negli statuti speciali dalla legge costituzionale che ci accingiamo a licenziare. Certamente, maggiore stabilità verrà a regioni che nel passato anche recente hanno dato luogo a problemi, come la Sicilia, la Sardegna e il Friuli-Venezia Giulia.
Per i nuovi assetti nella Valle d'Aosta e nel Trentino-Alto Adige, come gruppo di Forza Italia non ce la sentiamo di dare la valutazione positiva data per la Sardegna, il Friuli-Venezia Giulia e soprattutto per la Sicilia. Da qui alla dichiarazione di voto finale del gruppo di Forza Italia non è probabile che si abbiano rilevanti mutamenti di valutazione.
Come deputato siciliano e a titolo personale esprimerò voto favorevole, anche se so bene che questa mia personale valutazione non ipoteca certo la scelta definitiva del gruppo di Forza Italia (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Migliori. Ne ha facoltà.

RICCARDO MIGLIORI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi non possiamo che ribadire, come gruppo di Alleanza


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nazionale, come ha fatto adesso il collega Garra per il gruppo di Forza Italia, un giudizio che abbiamo già avuto occasione di esprimere nel corso della prima lettura di questa importante, significativa riforma costituzionale che riguarda le regioni a statuto speciale del nostro paese. Quindi, vi è una insoddisfazione motivata per quello che riguarda due statuti tra i cinque previsti nella proposta di riforma costituzionale, cioè quello della Valle d'Aosta e quello della regione Trentino-Alto Adige, e una condivisione sostanziale (e inerente anche alle finalità) per quanto riguarda gli statuti della Sicilia, della Sardegna e del Friuli-Venezia Giulia.
Mi preme sottolineare nuovamente con forza che questo giudizio, che può apparire ambiguo e contraddittorio, deriva dalla scelta che è stata fatta di unificare all'interno di uno stesso provvedimento cinque statuti che per storia, origini, trattati internazionali di riferimento, e anche per sistemi politici locali, rappresentano diversità essenziali e strutturali difficilmente riconducibili, come abbiamo fatto ovviamente per le regioni a statuto ordinario, ad unità di indirizzo sotto il profilo della forma di governo e del relativo sistema elettorale.
Per certi aspetti questa riforma costituzionale è dovuta. Il relatore ha ragione quando sostiene che i due rami del Parlamento non avrebbero potuto - dopo la modifica intervenuta per le regioni a statuto ordinario con l'elezione diretta dei presidenti delle regioni - che far decollare quello che è un ovvio e conseguente adempimento: estendere addirittura alle regioni a statuto speciale, dotate cioè di una intensità maggiore di competenze e poteri, quegli elementi di stabilità e di forte capacità decisionale dei cittadini, direttamente espressasi sui governi locali, che rendono ancor più forte il nostro sistema delle autonomie. Sarebbe stato contraddittorio, cioè, dotare le regioni a statuto ordinario di un bipolarismo certo, di una stabilità certa, di contenuti essenziali per far funzionare il processo di federalismo in atto, e non fare altrettanto per le regioni a statuto speciale.
La domanda che ci poniamo è se questo automatismo sia compiuto oppure no, se cioè vi sia coerenza tra quanto il Parlamento, a larga maggioranza, ha deciso per le regioni ordinarie e quanto stiamo per decidere per le regioni a statuto speciale. Voglio subito chiarire, per evitare strumentalizzazioni, che possono emergere in questa materia come in altre in periodo di campagna elettorale, che siamo fieri di aver dato un contributo essenziale allo sbocco presidenzialista e federalista delle istituzioni regionali del nostro paese. Se le regioni sono forti, e lo sono particolarmente dopo le elezioni di aprile, lo si deve al fatto che finalmente, senza più possibilità di infingimenti, i sistemi politici locali hanno visto inoculare all'interno dei propri statuti e delle proprie istituzioni dosi forti ed irreversibili di stabilità e di bipolarismo. È una conquista importante di questa legislatura, forse è la conquista costituzionale più importante della legislatura e, come destra, evidentemente attenta al senso ed al funzionamento dello Stato, siamo fieri di aver dato un contributo significativo in tale direzione.
Faccio questa premessa per evitare che qualcuno possa ritenere che uguale tensione ideale e politica non vi sia stata in questa vicenda da parte della mia forza politica: non è così, colleghi, e cercherò di dimostrarlo sinteticamente. Noi notiamo elementi di incoerenza e di contraddittorietà fra quello che abbiamo fatto per le regioni ordinarie e quello che stiamo facendo oggi: mi riferisco, in particolare, agli statuti della Valle d'Aosta e del Trentino-Alto Adige. Per quanto riguarda la Valle d'Aosta, vi è una smentita nei fatti alle affermazioni del relatore Di Bisceglie: egli ha appena sostenuto che, con questo provvedimento, diamo più forza ai cittadini per quanto riguarda la loro capacità diretta di formazione dei governi locali, ma per la Valle d'Aosta, questo non è vero. Lo dico con grande rispetto per un'autonomia storica del nostro paese, ma


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la Valle d'Aosta ha inteso rifiutare più volte, addirittura come una lesione alla sua autonomia, la norma transitoria che prevede l'elezione diretta eventuale del presidente della regione.
Sul punto, abbiamo una contraddizione anche letterale, poiché il titolo del provvedimento è «Disposizioni concernenti l'elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano», ma per la Valle d'Aosta non è prevista tale elezione diretta. Ritengo che, a tale riguardo, si possa eventualmente intervenire anche in sede di coordinamento, e sollecito in tal senso anche il Comitato dei nove, poiché occorre una specificazione relativa al punto, per non indurre equivoci nel cittadino qualunque lettore della Gazzetta Ufficiale. La Valle d'Aosta non modifica il proprio sistema elettorale: vi è un cedimento della maggioranza rispetto ad una pretesa immotivata dei colleghi dell'Union valdotaine, che tra l'altro sono scontenti anche di questo risultato, visto e considerato che pare si accingano nuovamente a non votare a favore sul punto. Oserei dire che la maggioranza, sotto questo profilo, si è spogliata di una tensione costituzionale che sarebbe stato importante avere come comune obiettivo e costume, per privilegiare bassa cucina aritmetica di carattere politico, riuscendo tra l'altro a scontentare sia l'opposizione sia il rappresentante dell'Union valdotaine, che sul punto ha preferito privilegiare l'inamovibilità di un sistema politico locale incentrato sulla sua forza politica, rispetto ad un afflato complessivo di tutte le regioni italiane.
L'allora presidente delle regioni italiane, oggi sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Chiti, autorevole esponente dei DS, rivolse un appello al presidente del consiglio regionale della Val d'Aosta del seguente tenore: cari amici valdostani, vivete in un paese che ha venti regioni; quale autorità avrà il vostro presidente quando si siederà accanto a diciannove presidenti di regione eletti direttamente dal popolo? Anche questo appello è stato inutile e oggi abbiamo un provvedimento di riforma costituzionale preoccupante, anche per le prospettive istituzionali della nostra regione. È preoccupante perché tende ad una logica di disarticolazione dell'ossatura unitaria elettorale del nostro paese. Colleghi, tra qualche anno le regioni a statuto ordinario avranno scritte nei loro nuovi statuti le forme essenziali del loro autogoverno: forma di governo e sistema elettorale. Dovremo lavorare come forze politiche responsabili del nostro paese affinché, come nei Länder tedeschi, le differenze di natura elettorale siano le minori possibili. Non diamo il buon esempio prevedendo un'«arlecchinata» istituzionale ed elettorale che parte dal rifiuto reiterato e irresponsabile di accettare per la Valle d'Aosta ciò che è valido per il resto del paese. Colleghi, non accetto la marginalizzazione di questo elemento di dissenso perché la Valle d'Aosta è una regione importante e significativa ed è un esempio, a tale riguardo, che può mietere vittime sotto il profilo dell'articolazione unitaria del sistema elettorale delle regioni nel nostro paese.
Alleanza nazionale, dunque, esprime una motivazione forte in termini di critica rispetto a tale aspetto ed è ancora più forte per quanto riguarda il nuovo statuto del Trentino-Alto Adige. Di fatto, assistiamo alla violazione o alla modifica evidente, e non surrettizia, del tradizionale assetto tripolare dell'autonomia del Trentino-Alto Adige, che si basava, e tuttora si basa, sui due consigli provinciali autonomi e sul consiglio regionale, che è sempre più spogliato di competenze, a tal punto che anche una delle ultime ad esso rimaste in materia elettorale viene eliminata a favore delle province. Nei fatti, colleghi, sono passate la logica e la politica che più volte, con forza, e con arroganza, la Südtiroler Volkspartei - in questa regione e in Alto Adige - ha posto nel dibattito politico: è passata la logica che vuole il consiglio regionale e il Trentino-Alto Adige unicamente come sede di confronto, di dibattito. Un luogo, quindi, per approvare gli ordini del giorno, nel quale esprimere auspici, non certo per


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decidere il governo delle questioni essenziali delle popolazioni del Trentino e dell'Alto Adige.
Tutto ciò è avvenuto anche in violazione dello spirito degli accordi De Gasperi-Gruber, che prevedevano il preventivo consenso delle autonomie delle comunità, soprattutto dell'Alto Adige. Si pongono problemi per il futuro dell'autonomia del Trentino e si va in controtendenza rispetto ad anni di dibattito sull'esigenza di dotare quell'area di sinergie attraverso l'euregio con il nord Tirolo, un'area forte interfrontaliera delle Alpi. Ciò che era istituzionalmente unito viene frantumato e non si comprende come si possa, frantumando, unificare ciò che viene diviso.
Il 26 luglio di quest'anno il consiglio della provincia autonoma di Trento ha approvato a maggioranza, con il voto dell'opposizione e di segmenti decisivi della maggioranza consiliare, un ordine del giorno nel quale si esprime la netta opposizione al progetto di modifica dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige, approvato in prima deliberazione dal Parlamento, e si invitano la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica a sospendere o, comunque, a non approvare il progetto, eventualmente stralciandolo dal contesto della riforma degli altri statuti speciali in attesa che le istituzioni autonome del Trentino-Alto Adige elaborino direttamente un nuovo testo di riforma elettorale ed una proposta organica di riforma statutaria da portare all'attenzione del Parlamento, chiedendo ai parlamentari delle forze politiche che hanno a cuore la tutela dell'autonomia della regione di assumere tutte le iniziative in grado di evitare l'approvazione del progetto, addirittura anche attivandosi, qualora fosse necessario, per rendere possibile l'applicazione, su richiesta parlamentare, del referendum sospensivo che l'articolo 138 della Costituzione prevede per i progetti di legge costituzionale che nella votazione finale non abbiano raggiunto la maggioranza dei due terzi dell'Assemblea.
So che alcuni colleghi dopo di me diranno che si tratta di una maggioranza episodica che si è realizzata in quel consesso istituzionale. Prendo atto sotto il profilo istituzionale che la maggioranza del consiglio della provincia autonoma di Trento, così come la maggioranza del consiglio della Valle d'Aosta, ha espresso il proprio «no» ad un determinato tipo di riforma. Colleghi, è incomprensibile che si sia ceduto rispetto ad un voto del consiglio regionale della Valle d'Aosta e non si sia preso in considerazione questo voto della maggioranza del consiglio della provincia di Trento.
Dico questo con preoccupazione, perché a questo documento istituzionale significativo fa da pendant un altro documento, a mio avviso altrettanto significativo, anche se di minor capacità e potenzialità istituzionali, firmato da molte delle opposizioni - se non tutte - del consiglio regionale del Trentino-Alto Adige: gruppi Il Centro-UPD, Forza Italia, Lega nord, Alleanza nazionale, PATT, gruppo misto, Unitalia e - aggiungo - Ladins, Union fur Südtirol, Freiheitlichen, per evitare che si sostenga che la posizione che la destra qui esprime è una posizione di retroguardia rispetto alla questione della convivenza etnica in Alto Adige. Si tratta, quindi, di gruppi di lingua italiana e di lingua tedesca, minoranza nel consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, che con forza si appellano al Parlamento affinché sia considerata sul serio l'esigenza di non passare alla seconda deliberazione per i motivi di frantumazione dei tradizionali elementi dell'autonomia del Trentino-Alto Adige che questo provvedimento...

MARCO BOATO. Collega Migliori, in quel caso non vale la maggioranza regionale?

RICCARDO MIGLIORI. Ho detto, caro Boato, che in questo caso siamo in presenza di un documento di minor potenzialità istituzionale, ma che, a mio avviso, è politicamente significativo. Non so se in cinquant'anni di storia dell'autonomia del Trentino e dell'Alto Adige vi sia mai stato un documento che vede insieme tutta la minoranza di lingua italiana e parte della


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minoranza di lingua tedesca per sostenere l'esigenza di una determinata modifica.

MARCO BOATO. Non tutta, manca il capogruppo di Forza Italia che non è d'accordo e manca il PATT che lì c'è ma che adesso ha cambiato posizione.

RICCARDO MIGLIORI. Manca il capogruppo di Forza Italia che in questo caso, collega Boato, pare essere minoranza all'interno del suo stesso gruppo.

MARCO BOATO. Ma è capogruppo!

RICCARDO MIGLIORI. Io leggo: capogruppo regionale Giovanni Cominotti, Giacomo Santini, Mauro Delladio e Antonino Lo Sciuto.

MARCO BOATO. Manca il capogruppo.

RICCARDO MIGLIORI. Il capogruppo in questo caso è minoranza all'interno del gruppo. Comunque ti ringrazio per la precisazione, che tuttavia non modifica la sostanza di ciò che volevo dire.

SANDRO SCHMID. Questa è la dimostrazione della instabilità che c'è.

PRESIDENTE. Onorevole Schmid, un'interruzione va bene, ma se diventa un dialogo è un po' eccessivo.

RICCARDO MIGLIORI. Presidente, abbiamo dialogato per mesi sulla vicenda e la conosciamo. I colleghi conoscono bene le ragioni, non solo nostre, di opposizione a questo aspetto del provvedimento di modifica costituzionale.
Colleghi, per quel che riguarda questo aspetto ci troviamo, quindi, di fronte ad un ulteriore cedimento politico.
È una scelta che viene fatta consapevolmente e i colleghi della maggioranza sappiano che la destra esprimerà un voto negativo sulla modifica dello statuto del Trentino-Alto Adige anche perché la SVP la utilizza con grande arroganza, così da mettere in discussione quanto è previsto dallo statuto della provincia di Bolzano a proposito del bilinguismo dei toponimi, a dimostrazione che tutto ciò viene interpretato come il tentativo di cambiare la sostanza degli accordi De Gasperi-Gruber sull'autonomia di quella provincia.
Avviandomi alla conclusione del mio intervento, voglio indicare gli elementi positivi contenuti nelle riforme degli statuti delle regioni Sicilia, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia. Per quanto riguarda la Sicilia, per la prima volta - è una particolarità significativa - vi è la previsione dell'elezione diretta del presidente della regione, cioè l'indicazione di una forma di governo propedeutica al lavoro di adempimento istituzionale a cui saranno chiamate le regioni a statuto ordinario. La modifica elettorale della regione Sicilia è una svolta storica nella politica locale, per non dire di portata nazionale. Come osservava in precedenza il collega Garra, anche questa legislatura regionale ha vissuto un tourbillon di instabilità politica, ha visto un forte tentativo di modificare il libero responso elettorale della regione (la più importante per numero di abitanti fra le regioni a statuto speciale). Riteniamo che questo aspetto, per il ruolo che l'isola ricopre all'interno del Mediterraneo e rispetto al nostro paese, sia essenziale nell'indicare i contenuti di stabilità per quel sistema elettorale al quale si ricorrerà nella primavera del 2001, quando si rinnoverà l'assemblea regionale siciliana.
Di eguale rilevanza è la modifica delle norme relative all'elezione diretta del presidente della regione Sardegna. In quell'isola si è recentemente votato per il rinnovo del consiglio regionale ma voglio ricordare che per oltre sei mesi vi è stata l'effettiva impossibilità di formare un governo regionale proprio a causa di una legge elettorale confusa e di tipo consociativo che ha determinato l'instabilità e la conseguente impossibilità di formare qualsivoglia tipo di giunta regionale.
Giudichiamo altrettanto significativa la riforma dello statuto della regione Friuli-Venezia Giulia. Anche qui un sistema politico potenzialmente frantumato trova in istituzioni costituzionali e statutarie


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punti di riferimento essenziali di stabilità che in una regione di frontiera e di specificità istituzionale geografica e culturale, come il Friuli-Venezia Giulia, sono elementi essenziali per svolgere in sede nazionale e all'interno dei nuovi confini dell'Unione europea un ruolo importante.
Mi fermo qui in attesa che dai colleghi della maggioranza giungano riflessioni e spunti che arricchiscano il nostro confronto parlamentare. Anch'io, come il collega Boato, credo nel confronto parlamentare perché è accaduto a volte anche in questa legislatura che proprio da questo - e anche dalle interruzioni, pur se a volte strumentali - sia derivata la modifica del voto già deciso durante l'esame in Commissione.
Siamo qui non per recitare una parte, ma per dirci reciprocamente alcune verità; alcune di esse possono essere scomode, ma siamo pronti con libertà di giudizio e con apertura mentale a modificare, se necessario, le impostazioni ed i comportamenti.
Spero che, da parte dei colleghi della maggioranza, giungano riflessioni e spunti come quelli che la destra e, più in generale, la Casa delle libertà, offrono al confronto. È importante una riflessione perché - come diceva il collega Gallo - la maggioranza non è in grado di condurre in porto una siffatta, significativa e strategica riforma costituzionale; altro che modifica della legge elettorale! La maggioranza non può farlo senza l'apporto dell'opposizione ed è giusto sia così, trattandosi di questioni che, per loro natura, non appartengono alla maggioranza o all'opposizione, ma alle grandi regole del gioco. Spero che si tenga conto anche di ciò, nel confronto parlamentare che si svilupperà in questi giorni sulla proposta di legge al nostro esame.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Schmid. Ne ha facoltà.

SANDRO SCHMID. Signor Presidente, colleghi, ringrazio subito, per il lavoro svolto con tanto impegno e con tenacia, il relatore Di Bisceglie, del quale condivido anche la relazione che ha illustrato poco fa. Con la discussione che stiamo svolgendo dopo 21 mesi dall'inizio del suo iter, siamo arrivati all'ultimo giro di boa della fondamentale legge di riforma costituzionale riguardante le regioni a statuto speciale, che fa seguito a quella già approvata per le regioni a statuto ordinario.
Se, come auspico fortemente, la Camera approverà definitivamente la riforma, si realizzerà un altro pilastro a sostegno del decentramento dei poteri verso quell'assetto federalistico di cui l'Italia ha bisogno. In particolare, sarà assegnato anche alle regioni speciali e alle province autonome il potere di scegliere quale forma di governo darsi e l'elezione diretta del proprio presidente, favorendo così una partecipazione più diretta ed efficace dei cittadini nel decidere quale programma (e schieramento che lo sostiene) debba governare e chi debba essere il leader che lo presiederà.
Vorrei ricordare che l'impostazione originaria del disegno di legge prevedeva, non a caso, un iter congiunto e parallelo tra la riforma delle regioni a statuto speciale e la riforma di quelle a statuto ordinario; ricordo, altresì, di aver personalmente sostenuto, nella Commissione affari costituzionali, il mantenimento di quell'intreccio per evitare il rischio ed il paradosso di una riforma fortemente innovativa, acquisita solo dalle regioni ordinarie, se l'iter del provvedimento per le regioni a statuto speciale si fosse arenato.
Con l'approvazione della proposta di riforma in esame, viene meno quella preoccupazione ed anche le regioni a statuto speciale si vedranno conferire più ampi poteri, decisivi per garantire governabilità e stabilità. A maggior ragione, è importante che la riforma in esame - pur rispettosa delle diverse specificità - mantenga il suo carattere unitario: stralciare singoli articoli (come ho sentito anche poc'anzi) e, dunque, stralciare questa o quella realtà regionale (come ho sentito proporre da alcuni anche in Senato) significherebbe inseguire meramente piccoli calcoli di opportunismo politico, che


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mortificano non solo quelle realtà territoriali, ma il respiro nazionale e la valenza complessiva delle riforma.
È ben evidente che sciagurate ipotesi del genere causerebbero un ulteriore prolungamento dell'iter che, in una fase di fine legislatura come quella che stiamo vivendo, finirebbe per bloccare e pregiudicare la riforma stessa per tutte le regioni a statuto speciale, con grave danno per tutti, specialmente per chi - come la regione Sicilia - aspetta con ansia la riforma per darsi entro la prossima primavera una legge elettorale che assicuri governabilità e stabilità.
Come deputato trentino, mi corre l'obbligo di parlare più approfonditamente - come ho già fatto in occasione dei precedenti dibattiti in aula - sull'articolo 4 della proposta di legge, ovvero, sulla riforma riguardante lo statuto dell'autonomia speciale della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, sul quale si è concentrato non poco del dibattito come abbiamo sentito dire poc'anzi. Credo che, con il voto che esprimeremo mercoledì, con l'approvazione di questa riforma, siano battute definitivamente le posizioni di quelle forze che all'interno della stessa opposizione di questo Parlamento e di quelle regionali puntavano al puro mantenimento dello status quo; cioè all'immobilismo politico e istituzionale, condannando così la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol a mantenere un istituto regionale come puro simulacro del passato e al tempo stesso continuando a condannare l'autonomia del Trentino ad una frantumazione politica tale da causare, ormai da troppi anni, maggioranze troppo deboli, e quindi ingovernabilità ed instabilità che minano le potenzialità dello sviluppo e delle riforme di cui il Trentino ha bisogno per competere con le nuove sfide del 2000.
Vorrei trattare, sia pur brevemente, le questioni maggiormente significative e controverse. Dico subito che, con buona pace di chi strumentalmente dall'interno dell'opposizione dice il contrario, lo statuto della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol (lo dico anche al collega Migliori, che se ne è andato) rimane unico, così come viene solennemente ribadito nel dettato costituzionale il vincolo tripolare della sua autonomia speciale: una regione, due province. Aver rovesciato il rapporto tra la regione e le due province autonome affermando che la regione è costituita da due province (così come del resto era già stato votato in sede di bicamerale) rafforza sicuramente il potere delle province autonome rispetto alla regione, ma come giustamente aveva replicato al Senato il ministro Maccanico «si tratta di una giuridicizzazione di una situazione che, di fatto, si è evoluta in questa direzione».
È già stato ricordato più volte che, per effetto del secondo statuto di autonomia, quello del 1972, la regione è stata progressivamente svuotata delle proprie competenze, che sono state trasferite alle due province. Io ed il gruppo che in questo momento rappresento rimaniamo sempre contrari alla cancellazione della regione ed alla formazione di due province-regioni autonome, separate fra di loro, una posizione invece sostenuta dalle formazioni sudtirolesi più estreme di destra, che puntano alla separazione dall'Italia, ma anche una posizione che era stata sostenuta fin nel dibattito nella bicamerale da parte della Südtiroler Volkspartei.
Proprio per questo, ora è di grande importanza politica che la Südtiroler Volkspartei abbia poi imboccato con decisione e convinzione la strada non della cancellazione, ma della riforma della regione, che può essere rivitalizzata davvero, da simulacro residuale degli antichi poteri che le erano stati affidati nel 1948, a motore di una nuova collaborazione fra mondo sudtirolese e altoatesino con quello trentino. Ricordo che l'onorevole Zeller l'aveva definita «la più importante riforma delle autonomie speciali», per realizzare una nuova collaborazione sui tanti punti qualificanti per lo sviluppo, all'altezza delle competizioni europee e mondiali del 2000, da affrontare anche in una moderna visione transfrontaliera assieme con il Tirolo, ma anche con province affini e dolomitiche come Belluno e


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verso una grande regione europea ponte tra il mondo tedesco e quello italiano.
Questa riforma non compie in proposito alcuna invasione di campo nell'autonomia regionale. Il compito di scrivere la pagina importante del nuovo statuto in relazione alle nuove competenze e ai nuovi rapporti fra la regione e le due province riguarda unicamente l'ambito dell'autonomia regionale. È auspicabile che decolli al più presto quel coinvolgimento, il più unitario possibile, delle forze non solo politiche regionali, ma anche culturali, sociali ed economiche, per dare corpo a quello che ho definito il nuovo motore della collaborazione regionale sui tanti temi e interessi comuni, come esempio di convivenza positiva fra popolazioni di lingua diversa, ma con tante radici, storia e tradizioni alpine comuni. È proprio delle istituzioni autonomistiche dare sostanza e completamento alla riforma che stiamo approvando.
Un altro punto controverso riguarda la norma transitoria. Voglio ricordare che, per quanto riguarda la provincia di Bolzano, rimane confermato il sistema elettorale proporzionale a salvaguardia di tutte le minoranze. Per il Trentino, così come per la Sicilia, la Sardegna, il Friuli-Venezia Giulia, è stata introdotta una norma transitoria: in particolare per il Trentino, come modificato a suo tempo al Senato, il modello elettorale individuato è quello per l'elezione diretta dei sindaci. Da parte di forze dell'opposizione locali ci si oppone a questa norma perché si dice sia lesiva dell'autonomia: è una grande bugia che intende solo nascondere il tentativo di non cambiare nulla. Del resto, ci sono posizioni diverse dentro l'opposizione, come quella che è emersa dentro Forza Italia. Leggo il titolo a sei colonne sul giornale Alto Adige dell'8 ottobre: «Forza Italia si spacca sulla nuova regione: per il coordinatore provinciale la norma transitoria è la fine dell'autonomia, per il capogruppo è invece un mezzo per ottenere una nuova legge elettorale». Consegno al collega Garra il testo dell'articolo per una sua riflessione. Io sono d'accordo con quest'ultimo esponente di Forza Italia.
Il presidente della giunta provinciale del Trentino, ancora l'altro giorno, ha invitato l'opposizione a misurarsi per realizzare una nuova legge elettorale (la legislatura, per la cronaca, non termina domani mattina, ma nel 2003).
Questo è l'invito e l'appello che sottoscrivo e se, come spero, l'autonomia provinciale sarà in grado di varare la legge elettorale per dare governabilità e stabilità ai suoi governi, la norma transitoria perderà, come giusto, la sua efficacia. L'importante è quindi che la riforma si faccia davvero e non si pratichi di fatto quell'immobilismo che segnerebbe, questo sì, la morte dell'autonomia anziché il suo rilancio.
Inoltre, voglio ricordare che la riforma elettorale in Trentino è stata sostenuta per anni dall'insieme delle forze economiche e sociali ed era stata rivendicata con una proposta di legge regionale che aveva riscosso larghissimo consenso, ma che è stata bocciata dalla Corte costituzionale proprio perché mancavano i nuovi poteri che ora questa legge vuole colmare, assegnandoli all'autonomia provinciale.
Concludo, signor Presidente, ricordando anche che nell'articolo 4 sono contenuti aspetti molto importanti per quanto riguarda la tutela delle minoranze - questione che verrà trattata più a lungo dall'onorevole Detomas - ed in particolare per i ladini trentini, cui per la prima volta viene garantito un seggio in consiglio provinciale, e per le comunità germanofone mochene e cimbre, che ho scoperto nel dibattito poco conosciute dai colleghi di quest'aula: per questo rinnovo l'invito ai colleghi di visitarle per conoscere la loro lingua, la loro cultura e le loro tradizioni, mantenute per secoli in un ambiente alpino sicuramente indimenticabile.
Sulla base di queste riflessioni, esprimo il parere convintamente favorevole anche a nome del mio gruppo (Applausi).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, sottosegretario Franceschini, ottimo relatore Di Bisceglie, colleghi deputati, anche se il dibattito, come sempre avviene in questi casi, si svolge in un'aula in cui vi è poca partecipazione (sono sicuro che l'aula sarà piena per esprimere un voto a larghissima maggioranza positivo, mercoledì prossimo), ritengo che ci troviamo di fronte ad una data storica per le cinque autonomie speciali della Repubblica italiana: vale a dire per la Sicilia, per la Sardegna, per la Valle d'Aosta, per il Friuli-Venezia Giulia e, in modo del tutto particolare - come è emerso molto chiaramente da questo dibattito - per il Trentino-Alto Adige/Südtirol.
Dopo la traumatica conclusione dell'iter della bicamerale, avvenuta il 2 giugno 1998, in quest'aula, per bocca di Silvio Berlusconi - quando fu rovesciato quel tavolo e fu impedito al Parlamento di riformare l'intera seconda parte della Costituzione -, questo stesso Parlamento, la maggioranza, anche grazie ad un fecondo dialogo con i colleghi dell'opposizione, hanno trovato la capacità di riprendere il disegno riformatore. Concludendo l'iter nel novembre 1999, abbiamo riformato dapprima gli articoli 121, 122, 123 e 126 del titolo V della seconda parte della Costituzione riguardanti le regioni a statuto ordinario, introducendo l'elezione diretta dei presidenti, la possibilità in seguito di cambiare anche la forma di governo e la legge elettorale, la piena autonomia statutaria delle regioni a statuto ordinario, le norme antiribaltone (che io per primo volli in quest'aula quando si tentava di introdurle con una inefficace legge ordinaria), la norma transitoria che ha permesso a tutte e quindici le regioni a statuto ordinario di votare con il nuovo modello istituzionale già nella primavera di quest'anno.
Dopo aver avviato e completato la riforma costituzionale che ho ricordato, abbiamo iniziato o ripreso, come ha giustamente detto il collega Di Bisceglie, il cammino della riforma dei cinque statuti delle regioni a statuto speciale, che sono, in forza dell'articolo 116 della Costituzione leggi costituzionali. L'abbiamo fatto a partire dal gennaio 1999 con un iter assai lungo, complesso ed elaborato, ma complessivamente anche rapido, se dovessimo pensare a ciò che purtroppo non sono state capaci di fare nel loro ambito autonomistico le cinque regioni a statuto speciale! Un iter rapido se andiamo a vedere - l'onorevole Garra l'ha poc'anzi ricordato ed io convengo con lui - ciò che è accaduto in Sicilia, in Sardegna e, nella scorsa legislatura, anche in Friuli; se andiamo a vedere - collega Garra, lei sa che io dialogo sempre con lei e mi dispiace che il collega Migliori non sia presente - cosa stanno facendo le opposizioni in questi giorni in Trentino-Alto Adige. Escono dall'aula per impedire che si elegga la giunta regionale! È necessaria la maggioranza assoluta, ma anche la presenza dei due terzi dei presenti, ed è sufficiente che uno esca dall'aula per far mancare il quorum dei due terzi. Escono dall'aula per impedire che vengano eletti gli organi istituzionali della regione!
Se andiamo a vedere come in concreto i poteri autonomistici sono stati esercitati da quasi tutte le regioni a statuto speciale, dobbiamo allora esprimere un giudizio fortemente positivo sul lavoro che questo Parlamento ha saputo fare in materia. Ripeto, c'è stata una forte volontà del centrosinistra, una positiva collaborazione con la Südtiroler Volkspartei, che ha dovuto rinunciare a posizioni oltranziste ed abolizioniste della regione, da cui era partito, ma c'è stato anche un fecondo dialogo con le forze dell'opposizione, le quali esprimono autonomamente i loro giudizi critici sui punti che ritengono di criticare. Credo che i colleghi dell'opposizione siano testimoni che in Commissione e in aula, sia alla Camera sia al Senato, abbiamo dialogato positivamente con tutti salvo con chi, al Senato - non è mai avvenuto alla Camera - ha tentato semplicemente di fare ostruzionismo per impedire qualsiasi riforma.


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Su questa riforma dei cinque statuti speciali stiamo arrivando al voto conclusivo in tempo utile perché sia applicata il prossimo anno nella regione siciliana, in forza di quella norma transitoria che il collega Migliori - ed anche Garra l'ha ricordato - definisce «fatto storico». Non si capisce perché ciò debba essere un fatto storico per la Sicilia e non lo debba essere anche per la Sardegna, per il Friuli- Venezia Giulia e per la provincia autonoma di Trento, che non hanno identiche ma analoghe norme transitorie.
Perché questo fatto dovrebbe essere «storico» per la Sicilia, in cui si suppone - spero che così non sia - che debba vincere il Polo delle libertà, mentre non lo sarebbe in altre realtà autonomistiche non identiche del tutto, ma analoghe?
Con riferimento alle regioni a statuto speciale, ripeto, c'è una specialissima peculiarità della riforma che riguarda il Trentino-Alto Adige/Südtirol, perché ha una storia molto più lunga e più complessa (per altri aspetti è altrettanto lunga e complessa anche la storia della regione Sicilia, che non sto qui a ripercorrere).
Per quanto riguarda il Trentino-Alto Adige/Südtirol, si parte dall'accordo De Gasperi-Gruber del 1946, accordo sempre osteggiato dalle forze di destra. È la prima volta in quest'occasione che in Parlamento le forze di destra si richiamano all'accordo De Gasperi-Gruber per cercare di impedire la continuazione del processo riformatore. Si è arrivati nel 1948 al primo statuto di autonomia, applicato in modo sbagliato. Ciò ha provocato una reazione molto dura e radicale in Südtirol da parte dello SVP ed ha portato al «Los von Trient» del 1958 e ai drammatici avvenimenti successivi.
L'Italia fu deferita all'ONU nel 1961 per violazione della tutela delle minoranze e vi fu una vicenda terroristica durata per quasi due decenni. Tuttavia, sul piano nazionale e internazionale, vi sono stati aspetti positivi: il pacchetto del 1969; il nuovo statuto di autonomia votata con legge costituzionale in quest'aula nel 1971 ed entrato in vigore con il testo unico del 1972; il varo di una nuova serie di norme di attuazione organiche (non tutte perfette, alcune discutibili: penso, ad esempio, alla norma del censimento, che non condivisi e che continuo a non condividere) e di leggi ordinarie di attuazione. Nel 1992 l'Austria ha finalmente concesso al Parlamento dello Stato italiano la quietanza liberatoria definendo conclusa sul piano internazionale la questione sudtirolese, anche se non è stata conclusa, anzi ha ripreso vigore, la nuova stagione dell'autonomia.
Come ho già ricordato, la bicamerale e questa Assemblea nel 1997 e nel 1998 hanno confermato le cinque autonomie speciali, precisando che la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle province autonome di Trento e di Bolzano - e questo è il caposaldo della riforma che stiamo varando anche oggi - e ha introdotto il concetto di federalismo differenziato.
Poche settimane fa abbiamo varato l'approvazione delle parti restanti del titolo V della Costituzione in materia di cosiddetto federalismo, aumentando le competenze delle regioni e valorizzando l'intero sistema delle autonomie. Oggi, varando questa riforma che riguarda i cinque statuti speciali e, in particolare, quella che riguarda l'autonomia speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol abbiamo stabilito alcuni capisaldi che stanno per diventare legge costituzionale: l'unicità dello statuto di autonomia, la permanenza della regione di fronte a chi l'avrebbe voluta sopprimere e delle due province autonome nell'ambito di un unico assetto tripolare, ma anche il rovesciamento dei rapporti tra provincia e regione che corrisponde ad un dato storico, istituzionale, di competenza, di bilancio finanziario, di percezione da parte dei cittadini del Trentino e dell'Alto Adige/Südtirol che è perfettamente coerente con il voto che demmo in quest'aula all'inizio dell'aprile 1998 in sede di bicamerale.
Stiamo valorizzando le competenze autonomistiche in materia di forma di governo e di modalità di elezione diretta del Presidente. Debbo dire al collega Migliori che ciò vale anche per la Valle d'Aosta;


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non c'è la norma transitoria, ma convengo sulla critica che è stata fatta. Dialogo positivamente con i colleghi dell'opposizione; qualora il consiglio regionale della Valle d'Aosta volesse introdurre l'elezione diretta, vi sarebbe certamente la possibilità di farlo.
Vi è un rafforzamento dell'autonomia in materia elettorale perché, salvo che per Bolzano, non c'è più il vincolo proporzionale e vi è - tema di cui nessuno parla - la valorizzazione degli istituti di democrazia diretta - ne ha parlato l'onorevole Di Bisceglie nella relazione - con l'introduzione dei referendum non solo abrogativi, ma anche propositivi e consultivi. Per il Trentino-Alto Adige/Südtirol vi è la tutela delle minoranze linguistiche in generale, di quella ladina, che riguarda il Trentino e il sudtirolo - dove era già tutelata -, e di quelle mochena e cimbra di cui si è già parlato poc'anzi e di cui parlerà bene il collega Detomas; vi è la norma transitoria anche per il Trentino come per la Sicilia, la Sardegna e il Friuli-Venezia Giulia, ma con un modello elettorale originale per il Trentino - come è stato ricordato dal relatore - che introduce il doppio turno eventuale come per l'elezione diretta dei sindaci.
Con la pietra miliare che stiamo ponendo, si apre, dunque, la strada anche per il lavoro della prossima legislatura verso il terzo statuto di autonomia perché, messi questi capisaldi straordinari, dovremo arrivare ad una ridefinizione dei compiti della regione che già oggi possono essere anticipati dall'accordo regionale in sede politica e che dovranno essere definiti anche in sede statutaria ed istituzionale con un'ulteriore riforma da attuarsi al collegio istituzionale. Tali compiti sono relativi alla regione come sede politica e istituzionale per i rapporti di coordinamento e di cooperazione tra le due province autonome nelle materie di rilevanza sovraprovinciale e nell'ambito dell'unico ecosistema alpino.
Il Parlamento, dunque, in questi giorni completa positivamente il proprio compito previsto dall'articolo 116 della Costituzione; gli statuti speciali si approvano con legge costituzionale e così si modificano in forza delle procedure previste dall'articolo 138 della Costituzione. Concludo, Presidente, con un'ultima riflessione, che non vuole essere polemica ma che esprime preoccupazione. Quando la legge costituzionale entrerà in vigore (bisognerà aspettare tre mesi perché non vi è stata la maggioranza dei due terzi), spetterà ai rappresentanti regionali e provinciali (per Trento e Bolzano) delle autonomie speciali dimostrare la capacità non più di impedire e bloccare qualunque riforma - anche i documenti che sono stati letti chiedono di impedire, bloccare, non fare, stralciare, abrogare, sopprimere (non vi è una sola proposta in positivo) -, ma di sapere pienamente esercitare (chi lo saprà fare) le nuove competenze autonomistiche, di saper tramutare i poteri, le competenze, le risorse autonomistiche (che sono enormi) in condizioni effettive per una rinnovata capacità di autogoverno.
Parafrasando il Vangelo, concludo Presidente, non chi dice «autonomia, autonomia» entrerà non dico nel Regno dei cieli, ma neppure nel regno del federalismo; chi lo sa difendere, valorizzare e potenziare e chi, al tempo stesso, lo sa attuare e sa dimostrare le proprie capacità di autogoverno autonomistico entrerà nel regno effettivo del federalismo compiuto, rispetto al quale, in un quadro nazionale ed europeo, questo provvedimento di riforma costituisce veramente un fatto storico, una pietra miliare, della quale ringrazio tutti i colleghi, della maggioranza e dell'opposizione, che hanno positivamente lavorato in Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei Popolari e democratici-l'Ulivo e misto-Minoranze linguistiche).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Detomas. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE DETOMAS. Signor Presidente, rappresentante del Governo, sottosegretario Franceschini, colleghi, relatore, credo che davvero oggi, come è stato sottolineato più volte, siamo alla vigilia di


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un voto storico per la nostra Repubblica. Si tratta di un voto importante - è stato rilevato da più parti - perché dà l'opportunità alle regioni a statuto speciale di giungere ad una parificazione sostanziale rispetto alle regioni a statuto ordinario, dotate di poteri maggiori in materia elettorale e di forma di governo e che hanno avuto la possibilità di eleggere direttamente il loro presidente. Evidentemente, ciò deve essere riconosciuto anche alle regioni a statuto speciale; per tale ragione si tratta di un traguardo storico e, come ha affermato il collega Migliori, di un atto dovuto. Per questi motivi, ci accingiamo a votare a favore di questo provvedimento e ad approvarlo - spero - con la più ampia maggioranza possibile.
Desidero entrare nel merito delle polemiche maggiori, dei motivi più forti di contrasto, relativi, essenzialmente, alle due regioni alpine, la Valle d'Aosta e il Trentino-Alto Adige. In particolare, desidero affrontare alcuni aspetti della polemica e sottolineare alcune questioni in merito alle posizioni emerse in questi ultimi tempi in seno al consiglio regionale del Trentino-Alto Adige e al consiglio provinciale di Trento, ove alcune forze politiche, come ha ricordato a più riprese il collega Boato, hanno cercato in qualche modo di frenare l'attività riformatrice del Parlamento. La sensazione - l'ho già affermato in altre occasioni intervenendo in quest'aula - di trovarsi di fronte a polemiche strumentali è forte. Quando si sostiene che con questa riforma si cancellerebbe la regione, si dice qualcosa che non sta né in cielo né in terra; si tratta di un'analisi che manca di una conoscenza basilare delle caratteristiche dello statuto di autonomia del 1972. Si è detto a più riprese che lo statuto di autonomia prevedeva, sostanzialmente, una regione debole e due province forti. Questo era l'aspetto tripolare dell'autonomia: due poli forti ed una regione che faceva da cappello, con una cornice istituzionale molto debole.
La strumentalità di queste posizioni si evidenzia quando mi si viene a dire che la regione perderebbe una potestà normativa e legislativa come quella elettorale. Ricordo che fino ad ora quella potestà legislativa è stata sempre esercitata in maniera diversa a seconda della provincia; pertanto, in capo alla regione vi era certamente una potestà legislativa, ma di fatto veniva esercitata separatamente a seconda della provincia: mi riferisco, ad esempio, alla legge di cui ha parlato l'onorevole Schmid che è stata annullata dalla Corte costituzionale perché lesiva del diritto dei ladini ad avere una rappresentanza diretta. In quella legge elettorale i sistemi che venivano ipotizzati di elezione del consiglio regionale erano due sistemi completamente diversi, con due soglie di sbarramento diverse e con criteri alla base della norma assolutamente diversi.
Ecco che allora si registra un minimo di incoerenza e di strumentalità nelle posizioni espresse da parte del consiglio provinciale e regionale della provincia e della regione Trentino-Alto Adige.

MARCO BOATO. Da parte di alcuni presenti nel consiglio provinciale.

GIUSEPPE DETOMAS. Naturalmente!
Anche su questo aspetto, vorrei sottolineare una contraddizione.
Il collega Migliori ha citato una delibera del consiglio provinciale che faceva riferimento ad una presa di posizione del consiglio provinciale: lo ha detto anche lui, rappresentava una maggioranza sporadica e...

MARCO BOATO. Occasionale!

GIUSEPPE DETOMAS. ...occasionale. In quel caso però quel consiglio provinciale stava difendendo la regione e lui stesso stava togliendo alla regione competenze che erano di quest'ultima.
Qual è allora la coerenza in questo atteggiamento, per cui difendiamo la regione, strappando competenze - seppure in via informale e in via politica - alla regioni? Anche da questo punto di vista vi è da sottolineare l'incoerenza e la strumentalità di tali posizioni; è stato detto ed io ne sono profondamente convinto: si


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tratta sostanzialmente di una difesa di singole rendite di posizioni politiche che però di politico e di nobile hanno ben poco perché fanno riferimento a principi alti, che in realtà si coniugano poi con motivazioni delle più futili e delle meno nobili possibili!
Detto questo, vorrei - essendo stato invitato dai colleghi - soffermarmi su quella «piccola» riforma contenuta all'interno dell'articolo 4: è tale perché riguarda una piccola parte della regione Trentino-Alto Adige e della provincia di Trento, ma anche di Bolzano. Mi riferisco a quella parte che è stata trasfusa in questo provvedimento da un emendamento, a firma dei colleghi della maggioranza e del sottoscritto, che ha assorbito all'interno di questo provvedimento un disegno di legge già approvato da questa Camera e che giaceva al Senato: mi riferisco al provvedimento sulla tutela delle minoranze della regione Trentino-Alto Adige, che riguarda - voglio iniziare dalle più piccole - la comunità cimbra, la comunità mochena, la comunità ladina della provincia di Trento e quella della provincia di Bolzano.
Cosa significa per i mocheni e per i cimbri essere citati nello statuto? Significa una sorta di riscatto! Erano due minoranze sostanzialmente disconosciute in un ordinamento che aveva la propria ispirazione più profonda - cioè, lo statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige - appunto nella tutela delle minoranze linguistiche. Ebbene, all'interno di questo quadro, queste due minoranze (che sono forse le più piccole e le più bisognose di tutela) non venivano neppure considerate! Questa è stata un'occasione importante per rilanciare le ragioni stesse dell'autonomia della regione, ma anche della provincia di Trento. Il fatto di essere considerate, di avere un regime di tutela, di costringere e obbligare la provincia ad assumere quelle norme e quelle misure per tutelare tali minoranze, a nostro avviso è un segno di grandissima civiltà di questo Parlamento e l'attribuzione di una grande responsabilità alla provincia di Trento.
Vengo ai ladini della provincia di Trento che erano e sono una comunità tutelata con una serie di norme di attuazione, ma che dal punto di vista normativo costituzionale avevano una grande lacuna che faceva sì che la stessa minoranza all'interno della stessa regione avesse due trattamenti giuridici completamente diversi, tanto da far parlare di ladini di serie A e di serie B. Vi sono anche quelli di serie C, nella provincia di Belluno, di cui varrebbe la pena di parlare, ma evidentemente questa non è la sede. Questa legge dà la possibilità di arrivare ad un regime giuridico di tutela e di parificazione sostanziale dei diritti di questa minoranza. Anche questo è un segno di grandissima civiltà.
Voglio inoltre sottolineare l'importanza per una minoranza linguistica di essere rappresentata nelle istituzioni, di poter dire la sua all'interno di una comunità più grande, di poter contribuire allo sviluppo complessivo di questa comunità.
In questo caso, credo che i ladini siano pronti a dare il loro contributo per lo sviluppo e la crescita della comunità provinciale e regionale della regione Trentino-Alto Adige.
Vengo a un'altra questione: la questione dei ladini della provincia di Bolzano.
In quella lettera citata prima dall'onorevole Migliori, si faceva riferimento anche ad un gruppo politico che è il gruppo dei ladins che sostanzialmente si batteva contro l'approvazione di questa legge. Ebbene, in questa legge vi sono delle norme per i ladini della provincia di Bolzano che sono importantissime per cercare di dare la stessa dignità dei gruppi italiano e tedesco a quel gruppo minoritario. Infatti, con questa legge, si toglie quell'odiosa discriminazione che impediva ad una persona, che, per il solo fatto di essersi dichiarata ladina, si vedeva preclusa la possibilità di diventare presidente del consiglio o membro dell'ufficio di presidenza. Ciò avveniva - lo ripeto - per il solo fatto di essersi dichiarato ladino. Il fatto che questa norma sia stata


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cancellata e che al ladino sia ora concesso anche di ricoprire un incarico di vertice di quel tipo, rappresenta un altro elemento di civiltà assolutamente dovuto. Parimenti, per i ladini della provincia di Bolzano, viene eliminato quel vincolo del sistema proporzionale per la composizione della giunta. Finora, purtroppo, per la consistenza numerica del gruppo ladino nella provincia di Bolzano, un ladino non poteva essere parte della giunta provinciale. In questo caso, abbiamo dato al gruppo ladino la possibilità di essere rappresentato nella giunta provinciale e di rappresentare la comunità ladina anche nell'esecutivo della provincia.
Francamente mi riesce difficile capire la ragione per cui un rappresentante politico dei ladini - mi riferisco al capogruppo della lista Ladins - possa essere contrario a questa norma. Per questo credo che noi abbiamo ragione: abbiamo fatto delle norme di buonsenso che erano e che sono da considerare atti dovuti. Ringrazio il Parlamento se vorrà approvare questa legge perché per la mia piccolissima comunità quella sarà una giornata storica rappresentando l'esito di una battaglia durata cinquant'anni. Cinquant'anni di storia del nostro movimento ladino e della nostra gente che orgogliosa e fiera ha difeso la sua ladinità da sempre contro tutte le avversità linguistiche e culturali, contro le assimilazioni e l'erosione e che quindi ripone in questa legge una grande speranza.
Ringrazio i colleghi per il grande lavoro che hanno svolto e anche il relatore per l'ottimo lavoro compiuto. Mi auguro che questa legge possa essere approvata rappresentando una opportunità per questa piccola comunità, ma anche per tutta la comunità della nostra Repubblica (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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