Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 775 del 21/9/2000
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Si riprende la discussione del testo unificato dei progetti di legge costituzionale n. 4462 ed abbinati (ore 11,20).

(Ripresa esame dell'articolo 5 - A.C. 4462)

PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame del provvedimento.
Avverto che è stato ritirato l'emendamento Orlando 5.142; sono pertanto decaduti i subemendamenti ad esso riferiti.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Teresio Delfino 5.182, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (
Vedi votazioni).
(Presenti 461
Votanti 455
Astenuti 6
Maggioranza 228
Hanno votato
210
Hanno votato
no 245).

Passiamo alla votazione del subemendamento 0.5.328.1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Anedda. Ne ha facoltà.

GIAN FRANCO ANEDDA. Signor Presidente, non intendo riaprire un'antica questione, di cui abbiamo discusso tante volte con contrastanti pareri ed anche decisioni, in ordine alla riserva obbligatoria per le quote delle donne nelle liste elettorali: è un problema che esiste, con un dibattito archiviato. Discuto soltanto la formulazione della nuova norma proposta dalla Commissione e richiamo l'attenzione dell'Assemblea sulla formulazione letterale: peraltro, anche se il dato è completamente irrilevante in questa sede, qualche dubbio mi è sorto in ordine all'ammissibilità dell'emendamento della Commissione, ma certamente non è il caso di riaprire il problema. L'emendamento 5.328 della Commissione aggiunge all'articolo 117, riferito alle regioni a statuto ordinario, e soltanto a queste, le seguenti parole: «e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive». I rilievi che pongo, e che spero l'Assemblea condivida, riguardano il riferimento all'articolo vigente della Costituzione secondo il quale la Repubblica rimuove ogni ostacolo alla piena parità. Allora, mi sono chiesto che cosa significhi promuovere la parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive. Anche in questo caso, l'interpretazione delle norme ci dice che, quando viene impiegato un indicativo, esso ha valore cogente, quindi con riferimento alla locuzione impiegata nella Costituzione la suddetta espressione, presente anche in altri articoli, va intesa come: «la Repubblica deve promuovere». Se questa è l'interpretazione generale delle norme di diritto, e in termini particolari della Costituzione, l'emendamento proposto dalla Commissione deve essere letto come segue: le regioni devono promuovere la parità di accesso tra le donne e gli uomini alle cariche elettive. Allora, forse con pragmatismo, mi sono chiesto come debbano farlo.

PRESIDENTE. Scusate, colleghi di Alleanza nazionale, sta parlando un collega del vostro gruppo.
Onorevole Menia, per cortesia si accomodi. Onorevole Menia, la richiamo all'ordine per la prima volta; la richiamo all'ordine per la seconda volta. Sta parlando il suo collega, non lo disturbi.
Prego, onorevole Anedda.


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GIAN FRANCO ANEDDA. Mi sono chiesto come la Repubblica debba promuovere tale parità; torna il tema delle gabbie elettorali, dei posti riservati per le regioni a statuto ordinario e non per le restanti, perché questo è il riferimento contenuto all'articolo 117. Quindi, la legittimità delle gabbie elettorali è coerente con il principio di uguaglianza generale che la Costituzione sancisce per tutti i cittadini in termini generali e in termini elettorali. Affermare che una percentuale, qualunque essa sia - perché questo è il significato dell'emendamento -, debba essere attribuita agli uni o agli altri significa che viene loro impedito di esercitare un diritto. Addirittura, la norma, così com'è e come deve essere intesa, significa che non potrebbe mai essere presentata alle elezioni regionali una lista di sole donne perché vi sarebbe una violazione del dettato che impone che l'accesso deve essere paritario. Tutto ciò a tacere delle difficoltà, perché la discussione non lo consente perché diventerebbe di basso livello...

PRESIDENTE. Onorevole Anedda, dovrebbe concludere.

GIAN FRANCO ANEDDA. Signor Presidente, ho concluso. Dicevo, tutto ciò a tacere delle difficoltà alle quali si andrebbe incontro nella formazione delle liste e tutto ciò a tacere, anche, del contrasto che si verifica laddove il candidato non sia in una lista ma ve ne sia uno solo, il presidente della regione. È difficile pensare a come una persona possa essere divisa in termini paritari.
La proposta che noi abbiamo avanzato con il nostro subemendamento, che secondo noi fa salvo il principio, ma elimina quanto detto prima, è la seguente: «le regioni favoriscono l'accesso di uomini e donne». «Favoriscono l'accesso» significa che esse si adoperano affinché ciò accada, ma senza una imposizione che determini la divisione in due - perché parità significa questo - delle candidature, che provocherebbe lesioni o dell'una o dell'altra parte (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Fei, alla quale ricordo che a ha disposizione un minuto di tempo. Ne ha facoltà.

SANDRA FEI. Signor Presidente, pur condividendo buona parte delle argomentazioni svolte dal collega Anedda, in quanto donna vorrei aggiungere qualche obiezione, anche perché ho deciso di astenermi in questa votazione.
Ritengo che in questo caso si presenti l'eterno problema di questo Parlamento per quanto riguarda le donne, ossia che la maggior parte delle decisioni al riguardo vengono prese dalla maggioranza degli uomini che sono qui presenti. Se già è difficile il colloquio tra noi donne, tra donne e uomini rimane una specie di muro. Ritengo corretto quanto ha sostenuto il collega Anedda, ossia che parlare di parità nelle liste è bloccante in un senso e nell'altro; è una parità che blocca qualsiasi possibilità sia da parte maschile, sia da parte femminile. Ma ritengo anche che, utilizzando il verbo «favorire», si torni alla vecchia storia del ghetto e dello zoo.
Avrei preferito che si fosse detto che si promuovono le pari opportunità di accesso, nel senso delle opportunità precedenti, ad esempio, alla candidatura in una lista e che si favorisca quindi la cultura di coltivare opportunità per le donne di entrare a far parte della vita politica. La candidatura di per sé non aiuta a sottolineare il fatto che vi sono donne in gamba. Sappiamo che le donne in politica...

PRESIDENTE. Onorevole Fei, dovrebbe concludere.

SANDRA FEI. ...si impegnano in proporzione minore rispetto agli uomini, perché non vi è stata la cultura necessaria perché lo facessero. Quindi, contesto ambedue le proposte, compresa quella che prevede la parola «favorire», e per questa ragione - chiedo scusa ai miei colleghi - mi asterrò.


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.

ROSANNA MORONI. Signor Presidente, a dire il vero, non intendevo intervenire su questo tema, perché questo dibattito è stato affrontato molte volte in quest'aula e credo sinceramente che a questo punto più che di parlare si tratti di agire.
Intervengo però per fornire ai colleghi alcune brevissime precisazioni ed un'informazione: alle ultime elezioni regionali la percentuale femminile eletta nel nostro paese è arrivata all'8,3 per cento. Ciò significa che abbiamo perso in cinque anni il 5 per cento. L'Italia, da questo punto di vista, non solo è ultima in Europa, ma è in controtendenza, perché mentre, ad esempio, la Grecia, che è penultima, sta migliorando la situazione della presenza e della partecipazione femminili in ambito istituzionale, noi stiamo regredendo anche solo rispetto a pochi anni fa.
Siamo convinti che sia interesse vero della democrazia nel nostro paese, e non solo delle donne o degli uomini, che nelle istituzioni sia presente una parte non minoritaria della nostra società. Qualcuno ritiene avvilente ed offensivo che si cerchino soluzioni per legge al problema della scarsa rappresentanza femminile. Io giudico avvilente e offensivo per le donne, per gli uomini e per la nostra democrazia che la parte maggioritaria del paese stia fuori.
Comunque sia, noi abbiamo proposto questa formulazione, nel testo che stiamo esaminando oggi, anche per ristabilire un equilibrio che era saltato, poiché abbiamo introdotto il principio di equilibrio della rappresentanza dei sessi nelle leggi costituzionali relative agli statuti delle regioni ad autonomia speciale. Era impensabile che per le regioni a statuto ordinario non vi fosse una norma analoga. Quindi la Commissione si è limitata a riproporre, adeguandolo al testo delle leggi elettorali regionali, il frutto dell'elaborazione della Commissione nell'ambito della discussione relativa alla modifica dell'articolo 51.
La relatrice Mancina ha proposto - e questo è un testo condiviso da tutta la Commissione - la promozione della parità di accesso fra donne e uomini alle cariche elettive. Questo non significa voler precostituire un risultato, significa semplicemente, e doverosamente da parte di un'istituzione come la nostra, assicurare alle donne la stessa possibilità di accedere, non di vincere (Applausi dei deputati dei gruppi dei Comunisti e dei Popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Matranga. Ne ha facoltà.

CRISTINA MATRANGA. Signor Presidente, secondo una recente ricerca promossa dalla Comunità europea sulla presenza femminile nei Parlamenti, l'Italia è al terzo posto, a pari merito con le Filippine e l'Eritrea.
È davvero strano, perché appare obsoleto, che oggi sia stato aperto un dibattito sulle presenze femminili nelle liste elettorali. Mi stupisce soprattutto il fatto che per anni sono state presentate liste elettorali prive di nomi femminili senza che si levassero voci né di uomini né di donne, mentre oggi, proprio quando ci accingiamo ad approvare un testo molto importante per il paese, continuano ad esserci lamentele.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mussolini, che ha due minuti. Ne ha facoltà.

ALESSANDRA MUSSOLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono contraria al subemendamento Anedda 0.5.328.1 perché qui non si tratta di favorire proprio nessuno per generosa concessione. La questione da affrontare è quella delle reali pari opportunità di accesso tra donne e uomini, mentre imporre per legge qualcosa che dovrebbe essere di diritto naturale è a volte umiliante. Noi dobbiamo continuare però a


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mantenere queste posizioni e questi risultati. Per esempio, il famoso emendamento «rosa» relativo alla quota del 5 per cento per promuovere attività atte a favorire l'ingresso attivo delle donne in politica, si è risolto in qualche convention (quando è stata fatta) o in qualche dibattito dei partiti sulle questioni delle pari opportunità. Poiché credo nelle regioni inserite in questa nuova forte autonomia, mi auguro che proprio dalle regioni possano nascere questa nuova cultura e questa nuova mentalità per sconfiggere definitivamente quelle vecchie, specialmente quando - in questo io sono drastica - sono gli uomini ad occuparsene. Sappiamo tutti come stanno le cose: a livello di quadri ci sono molte donne che lavorano, mentre a livello dirigenziale spariscono, come sono sparite quelle poche elette presidenti delle regioni e quelle presenti all'interno dei consigli comunali, soprattutto negli esecutivi. Questo è accaduto proprio perché sono venute meno le norme che garantiscono una presenza pari.
È per questo che dobbiamo continuare a garantire per legge la parità, ma facciamolo senza questi finti buonismi di favorire perché non si favorisce proprio niente quando manca la volontà.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nardini. Ne ha facoltà.

MARIA CELESTE NARDINI. Signor Presidente, voteremo a favore dell'emendamento della Commissione perché completa passaggi già avvenuti, ma sarà utile arrivare alla modifica dell'articolo 51 della Costituzione perché in quella sede potremo riflettere in maniera più ampia per far entrare in quest'aula non solo l'idea della promozione della parità d'accesso - che è il minimo indispensabile -, ma anche l'idea della differenza di genere.
Mi auguro allora che questa Assemblea sarà attenta: è da auspicare che il pensiero della differenza diventi anche il pensiero dei maschi e non solo delle donne (Applausi dei deputati del gruppo misto-Rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scoca. Ne ha facoltà.

MARETTA SCOCA. Signor Presidente, questa, purtroppo è una vexata quaestio che ha origini lontane, soprattutto di tipo culturale. Per la prima volta, cinquantadue anni fa, la nostra Costituzione ha stabilito in maniera univoca il principio della parità dei sessi all'articolo 3, comma 1 e all'articolo 51, comma 1, con riferimento all'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. Sta di fatto che da allora ad oggi, invece di andare avanti, si è tornati decisamente indietro e la tendenza, come diceva l'onorevole Moroni, è preoccupante.
Tenuto conto che più della metà della popolazione è di sesso femminile, mi pare che non si possa parlare di una democrazia compiuta se non sono rappresentati tutti i cittadini. La proposta emendativa della Commissione cerca di attuare le disposizioni contenute, in via di principio, nella nostra Costituzione e negli statuti speciali. Si tratta di affermare un principio. La Corte costituzionale, come tutti sappiamo, ha negato la possibilità di istituire quote e, dal punto di vista strettamente giuridico, la sua decisione, anche se non condivisibile, può essere accettata. In ogni caso, i mezzi attraverso i quali attuare tale obiettivo, possono essere i più vari. Ne abbiamo discusso lungamente in Commissione, quando si è parlato della riforma dell'articolo 51 della Costituzione: si è pensato, ad esempio, di dare più possibilità di accesso ai mezzi di comunicazione; i partiti hanno già riservato alcune quote ai movimenti femminili. Dunque, non vi è necessariamente ed esclusivamente lo strumento delle quote.
Signor Presidente, essendo già contenuto nella Costituzione e negli statuti speciali, ritengo che il principio della parità debba essere previsto anche negli statuti ordinari delle regioni, con l'augurio che questo diventi, non solo un problema delle donne, ma di tutti i cittadini italiani.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Napoli,


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alla quale ricordo che ha due minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

ANGELA NAPOLI. Signor Presidente, intervengo a titolo personale per preannunciare il mio voto favorevole sui subemendamenti Anedda 0.5.328.1 e 0.5.328.2 ed il mio voto contrario sull'emendamento 5.328 della Commissione. Sono perfettamente consapevole, come tutti, della necessità di un maggior coinvolgimento della rappresentanza femminile nelle istituzioni, ma sono altrettanto consapevole che non è sufficiente stabilire per norma un accesso paritario alle candidature. I partiti (e in questo caso le regioni) non debbono candidare donne perché ciò è imposto per legge, ma debbono favorirle credendo effettivamente nel ruolo che la donna può svolgere anche in politica, in termini propositivi e con la sua presenza determinante nelle istituzioni. Quindi, non è sufficiente favorire le candidature delle donne, ma anche la loro elezione. So perfettamente che, particolarmente in alcune regioni, non è sufficiente stabilire la quota paritaria per l'accesso alle donne per ottenere il consenso elettorale e quindi l'elezione delle stesse. Allora, non inseriamo nella Costituzione norme - concludo, Presidente - che peraltro porrebbero le elezioni delle donne negli altri enti, quindi anche a livello parlamentare, in dissonanza con le norme attualmente vigenti della Costituzione italiana.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fontan. Ne ha facoltà.

ROLANDO FONTAN. Signor Presidente, oggi riprendiamo per l'ennesima volta in quest'aula il dibattito su questa problematica, che si è svolto più volte nel corso degli ultimi anni. Non ci è dubbio che il tema presenta aspetti di ordine giuridico rilevanti, nonché di ordine etico. Noi, proprio in uno spirito di massima libertà e di massimo rispetto per questo tipo di problemi, riconosciamo libertà di coscienza ai deputati del nostro gruppo, affinché ciascuno possa decidere come meglio crede, secondo il costume della Lega nord.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Veltri. Ne ha facoltà.

ELIO VELTRI. Signor Presidente, io sono convinto che la politica italiana e le istituzioni abbiano bisogno delle donne come dell'aria che respirano, però la politica delle quote non mi ha mai convinto: non credo che con le quote e per legge attribuiamo dignità e responsabilità alle donne. Il costume non si modifica in seguito all'approvazione di una legge: o i partiti e le organizzazioni capiscono questo problema, se ne fanno carico, favoriscono la presenza delle donne in politica e si impegnano anche a modificare i tempi di vita delle donne e dei cittadini in generale - il che vuol dire favorire la presenza delle donne -, oppure la politica delle quote può diventare umiliante. Questo è sempre stato il mio convincimento, non ho avuto motivo di cambiarlo, perciò non sono favorevole ad emendamenti che tendano ad introdurre quote preordinate per legge.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bosco. Ne ha facoltà.

RINALDO BOSCO. Signor Presidente, anch'io non riesco a capire questi emendamenti, che hanno già creato dei problemi. Ricordiamo quando si diceva che «di regola» le donne devono partecipare alle elezioni e non si capiva bene cosa significasse quell'espressione. Personalmente ritengo che simili emendamenti siano riduttivi della dignità della donna: allora, dovremmo cominciare a fare differenze anche tra colti ed ignoranti, tra i belli e i brutti, e così via! Io credo, invece, che tutti debbano essere liberi di partecipare, senza differenze e senza obblighi, a questo che è un grande impegno politico.


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, credo che in quest'aula si stia facendo grande confusione interpretando questo emendamento come introduttivo od applicativo delle quote. Tale non è. L'emendamento mira a ridurre un evidente deficit di democrazia (il 52 per cento di elettorato ha una rappresentanza in Parlamento dell'8,3 per cento) e rinvia la decisione sulle modalità di promozione ad altra legge.
Vorrei ricordare che, nel corso dell'esame della legge sul finanziamento dei partiti, ho presentato un emendamento in cui si chiedeva di impegnare il 5 per cento di tale finanziamento per l'incremento del numero di donne elette. Questo emendamento non fu approvato e la somma è rimasta indeterminata e generica. Si potrà arrivare ad un accordo su come fare promozione, ma chiedo a ciascuno di voi, eletto prevalentemente da donne, come potrà giustificare di aver voluto negare la promozione della parità di accesso alle cariche elettive tra uomini e donne, visto, tra l'altro, che ci troviamo in un Parlamento dove la rappresentanza femminile è meno del 9 per cento, nonostante il 52 per cento dell'elettorato sia femminile (Applausi del deputato Pace).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bianchi Clerici. Ne ha facoltà.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Signor Presidente, approfitto di questo intervento per chiedere di aggiustare il microfono della mia postazione, perché ormai sono settimane che non funziona.
Intervengo a titolo personale, per annunciare che voterò a favore dell'emendamento 5.328 della Commissione, in quanto ritengo che l'esperienza di questi anni ci abbia insegnato che la questione dell'accesso delle donne alle cariche elettive è di tipo culturale. Venendo meno alle mie convinzioni, in base alle quali chiunque ha il diritto di fare attività politica, culturale o sociale, indipendentemente dal fatto di essere uomo o donna, perché la sensibilità e l'attenzione nei confronti del sociale devono appartenere sia agli uomini che alle donne, e tenuto conto che ritengo che inserire in una legge costituzionale un comma di questo tipo sia una forzatura, mi sono ormai convinta, sulla base dell'esperienza quotidiana, che i partiti, i movimenti e le associazioni fanno ben poco per favorire l'accesso alle donne. Ritengo quindi necessario, in questo momento, forzare la mano e, lo ripeto, nonostante le mie riserve personali che mi fanno credere nell'assoluta uguaglianza tra uomini e donne e che l'intelligenza e la sensibilità in politica appartengano indifferentemente a uomini e donne, annuncio che voterò con convinzione a favore dell'emendamento 5.238 della Commissione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Francesca Izzo. Ne ha facoltà.

FRANCESCA IZZO. Signor Presidente, annuncio il voto favorevole sull'emendamento 5.328 della Commissione. Infatti, anche sulla base del dibattito appena svolto, lo ritengo importante perché determina un quadro costituzionale di rispetto reale della democrazia. In un paese in cui almeno la metà della popolazione non è rappresentata la democrazia è dimidiata. Questo emendamento consente anche alla nostra democrazia di essere pienamente rappresentativa di tutta la popolazione. Uomini e donne costituiscono una realtà che deve essere pienamente rappresentata.
L'emendamento non fissa quote, ma definisce un quadro costituzionale che può consentire quello che tutti noi ci auguriamo, vale a dire che i movimenti ed i partiti politici promuovano la partecipazione reale di uomini e donne alla vita pubblica del nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, credo che tutti noi avremmo preferito risparmiarci l'ennesimo dibattito su questa materia: il collega Anedda l'ha innescato ed è ovvio che tutti i gruppi chiedano di intervenire. Credo che l'emendamento della Commissione sia assolutamente condivisibile perché ristabilisce anche un equilibrio nel rapporto tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. Nella legge costituzionale sulle regioni a statuto speciale una norma di questo tipo l'abbiamo già inserita e tra un paio di mesi essa sarà norma di rango costituzionale. È giusto che questo emendamento sia approvato per le ragioni che sono state espresse in quest'aula moltissime volte.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Fongaro, al quale ricordo che ha disposizione due minuti di tempo. Ne ha facoltà.

CARLO FONGARO. Mi pare che dopo aver perequato le risorse in questo paese, adesso si voglia anche perequare la presenza delle donne in politica.
La ragione per cui in politica vi sono così poche donne è facile da spiegare e basta guardare la realtà. L'impegno politico, sia quando si è all'inizio sia nel prosieguo dell'attività, è un impegno a cui ci si dedica al di fuori dell'orario di lavoro. È evidente che le donne, per loro libera scelta e vocazione - cosa che tra l'altro fa loro anche onore - preferiscono, una volta terminati gli impegni di lavoro, dedicarsi alla famiglia. È questo il motivo per cui le donne non si dedicano alla politica

MAURA COSSUTTA. Ma piantala!

CARLO FONGARO. Penso che per fortuna non ci sarà mai una politica delle quote che possa modificare questa loro libera scelta.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento Anedda 0.5.328.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (
Vedi votazioni).
(Presenti 431
Votanti 416
Astenuti 15
Maggioranza 209
Hanno votato
144
Hanno votato
no 272).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 5.328 della Commissione, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

GIACOMO GARRA. Presidente!

PRESIDENTE. Onorevole Garra, non possiamo ogni volta revocare la votazione!

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (
Vedi votazioni).
(Presenti 438
Votanti 420
Astenuti 18
Maggioranza 211
Hanno votato
404
Hanno votato
no 16).

GIACOMO GARRA. Presidente, avevo chiesto di parlare!

PRESIDENTE. Onorevole Garra, non protesti! Parli adesso! Poteva chiederla prima la parola!

GIACOMO GARRA. Ma l'avevo chiesta!

PRESIDENTE. Parli pure, onorevole Garra.


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GIACOMO GARRA. Presidente, avrei voluto fare la seguente dichiarazione di voto sull'emendamento 5.328 della Commissione. Avremmo preferito che il testo dell'emendamento della Commissione fosse stato modificato dal subemendamento Anedda 0.5.328.1, ma l'Assemblea lo ha respinto. Ciò tuttavia non ci ha impedito di votare a favore dell'emendamento presentato dalla Commissione.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Garra.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Nardini 5.111, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (
Vedi votazioni).
(Presenti 434
Votanti 430
Astenuti 4
Maggioranza 216
Hanno votato
195
Hanno votato
no 235).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fontan 5.297, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 450
Votanti 444
Astenuti 6
Maggioranza 223
Hanno votato
197
Hanno votato
no 247).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento Teresio Delfino 0.5.329.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 446
Votanti 441
Astenuti 5
Maggioranza 221
Hanno votato
201
Hanno votato
no 240).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 5.329 della Commissione, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 443
Votanti 411
Astenuti 32
Maggioranza 206
Hanno votato
237
Hanno votato
no 174).

Avverto che sono stati ritirati gli emendamenti Zeller 5.148, 5.124, 5.149 e Moroni 5.137. Sono preclusi gli emendamenti Fontan 5.292 e 5.293.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Borghezio 5.93, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 468
Votanti 464
Astenuti 4
Maggioranza 233
Hanno votato
197
Hanno votato
no 267).


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Passiamo alla votazione dell'articolo 5.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Presidente, a conclusione dell'esame di questo importante articolo avverto il bisogno e forse anche il dovere, per le responsabilità che ho avuto in passato, di fare una breve dichiarazione di voto.
Credo che si sia raggiunto un risultato di rilevanza importante. Dal 1978, con i decreti delegati, all'interno delle regioni è sorto il problema e si è discusso dell'inversione dell'articolo 117. Con Bassanini, Barbera e D'Onofrio, negli anni ottanta, più volte è emersa quest'esigenza.
Ricordo che a Milano, all'inizio degli anni novanta, come regioni, organizzammo un convegno su «Federalismo o regionalismo». Ricordo l'impegno, in questi anni, di ministri come Urbani, Martinazzoli, Bassanini e il risultato positivo di un lungo cammino che ha visto impegnato il regionalismo e il movimento delle autonomie. Vi è un risultato possibile, sicuramente armonico, che si muove nei limiti, nelle volontà e nei principi dei pesi e dei contrappesi che animano la nostra Costituzione, un giusto equilibrio istituzionale nella ridistribuzione efficace di funzioni e compiti tra i diversi ordinamenti dello Stato nell'ambito dei principi del pluralismo e del solidarismo, della sussidiarietà e della solidarietà. È, dunque, un grande risultato, l'alba di una Repubblica finalmente delle autonomie.
Desidero anche per questo rivolgere un apprezzamento ai relatori, alla Commissione e manifestare il mio apprezzamento per il lavoro che in questi giorni stiamo portando avanti. Si dice che si potrebbe fare di più, che si sarebbero potuti attribuire più compiti e più funzioni al sistema delle autonomie. Presidente, ogni Costituzione risente sempre del segno dei tempi; i localismi imperversanti in Europa, fenomeni come quelli sobillati da Haider, le separazioni recenti anche nei vicini Balcani e, diciamo la verità, anche la Lega secessionista hanno fatto fare un passo indietro al movimento riformista. Questi incubi della rottura dell'unità della nazione sono stati, purtroppo, ahimè, forse involontariamente, causa di un certo freno, di un rallentamento e hanno destato preoccupazione negli italiani. Se pensiamo ad alcuni toni e ad alcune proposte dirompenti della Lega, ci accorgiamo che tutto ciò non aiuta il movimento regionalista. Ogni rivoluzione, quando non è matura, determina una restaurazione. La scelta è, dunque, ancora una volta il gradualismo e, se non ci fossero stati questi toni e questi pericoli, forse oggi avremmo potuto cogliere risultati ancora più positivi.
Non sono tra quelli che vendono la pelle dell'orso prima di averlo ammazzato e su certi sondaggi italiani così favorevoli a questo decentramento sarei cauto, soprattutto ricordando i giudizi che fino a qualche tempo fa si davano dell'efficienza delle regioni; e parla un ex presidente di una regione come la Basilicata che pure è ritenuta efficiente.
Vorrei anche segnalare la necessità di adottare prudenza rispetto al tentativo strisciante - e qualche volta nemmeno tanto - di screditare il valore dell'unità nazionale per affermare quello del regionalismo. Sono due pericoli e due tentazioni che dobbiamo scongiurare perché l'unità d'Italia è compatibile con la Repubblica fondata sulle autonomie. Signor Presidente, in questi ultimi giorni vi sono stati anche colpi bassi: riforma comunista, riforma sovietica, riforma centralista. Non ci è parso corretto, non lo giudico corretto, anzi questa provocazione è disdicevole. Capisco, signor Presidente, che vi è il tentativo di polemizzare con la sinistra e di mettere in difficoltà i Popolari ed il centro riformatore, ma questo non può essere un corretto rapporto.
Oggi sarebbe troppo facile ricordare la grande trasformazione che vi è stata nei settori della destra ed il turbamento che ha animato alcuni colleghi. Noi siamo contenti che nei banchi della destra vi sia stata una grande trasformazione e non giudichiamo ciò un caso di trasformismo; noi ne siamo contenti (Commenti dei deputati Malgieri e Aloi) perché questo è il frutto


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della nostra missione democratica. Vedere che oggi coloro i quali hanno fatto ostruzionismo contro la nascita delle regioni, che hanno combattuto contro la Repubblica delle autonomie, votano insieme con noi a favore della Repubblica delle autonomie lo consideriamo un successo e non chiamiamo certamente i colleghi della destra fascisti né diciamo che la loro riserva in tale circostanza è frutto di una visione fascista dello Stato.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Boccia, deve proprio concludere.

GENNARO MALGIERI. È meglio che concluda!

ANTONIO BOCCIA. Siamo dei riformisti coraggiosi e non moderati, Presidente; diremo sempre sì all'autonomia e no all'indipendenza. Chiediamo di essere giudicati per questo e non per quello che gli altri vogliono farci dire (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Garra. Ne ha facoltà.

GIACOMO GARRA. Signor Presidente, credo che la riforma dell'articolo 117 della Costituzione sia stata l'occasione in parte mancata, ad esempio in tema di immigrazione, per riconoscere una competenza dello Stato in materia di prevenzione e di repressione dell'immigrazione clandestina o illegale. Su questo tema, le proposte che abbiamo avanzato e che la maggioranza ha respinto intendevano delimitare la competenza legislativa dello Stato ad aspetti salienti quali, appunto, la prevenzione e la repressione contro il fenomeno dell'immigrazione clandestina, illegale. Al tempo stesso, però, abbiamo proposto che alle regioni venisse attribuita competenza concorrente relativamente alle politiche dell'accoglienza, ma pure ciò non è stato voluto: anche questo emendamento della Casa delle libertà non è stato accolto dalla maggioranza. Non c'è dubbio: si poteva fare chiarezza e non la si è voluta fare.
Un'altra questione concerne l'esercizio dei poteri a tutela della sicurezza locale, della polizia locale. Vero è che sin dalla legge del 1865 i comuni hanno competenze in materia di polizia locale, ma il salto di qualità che si voleva far fare consisteva nell'attribuire alle regioni potestà concrete per la migliore qualità della vita nelle città, dove la microcriminalità crea ai cittadini, non solo a quelli che votano per la Casa delle libertà ma anche a quelli che votano per il centrosinistra, drammi quotidiani.
Non c'è dubbio che le autorità regionali avrebbero dovuto essere coinvolte nelle responsabilità in tema di lotta alla microcriminalità. Quello che considero un vero e proprio arretramento è l'aver voluto attrarre nella sfera della competenza concorrente il governo del territorio. Non vi è dubbio che, non essendo il governo del territorio - che già apparteneva alle regioni, in base al testo vigente dell'articolo 117 della Costituzione - tra le materie attribuite alla competenza legislativa dello Stato, per effetto del meccanismo previsto dall'articolo 5, la competenza delle regioni in materia di governo del territorio sarebbe stata una competenza di rango primario. Si è verificato invece un vero e proprio assalto ai lavori del Comitato dei nove e ai relatori da parte di gruppi della sinistra che hanno voluto che il governo del territorio degradasse da competenza primaria delle regioni a competenza concorrente! Non vi è dubbio, qui siamo in presenza di un arretramento rispetto allo stesso testo dell'articolo 117 della Costituzione attualmente in vigore!
Vi è poi un altro aspetto sul quale si è registrata una totale incomprensione da parte della maggioranza o totale non ascolto. Non è possibile pensare che la legislazione concorrente, per essere esercitata dalla regione, debba attendere che il Parlamento, con il suo comodo, faccia le leggi per stabilire i principi fondamentali,


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perché questo significherebbe scrivere sulla carta una competenza, ma poi di fatto non farla esercitare.
La Casa delle libertà proponeva che le leggi già emanate dallo Stato in materia di competenza concorrente diventassero, per effetto di una norma transitoria che avevamo proposto e che avete respinto, norme di rango regionale, di modo che potevano essere già le regioni a «tenersi» quelle leggi, oppure a modificarle! Resterà quindi la miriade di leggi che in queste materie - «oceaniche» ed amplissime - ha emanato lo Stato e quindi l'attribuzione delle potestà concorrenti, dovendosi attendere la legge sui principi fondamentali, mi pare che resti scritta sulla carta e che non possa diventare operativa.
Per queste ragioni, dichiaro il voto contrario del gruppo di Forza Italia sull'articolo 5.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.

GIANCARLO PAGLIARINI. Dichiaro innanzitutto che i deputati della Lega nord Padania voteranno compatti contro questo articolo 5. Si esprimeranno in tal senso per il seguente motivo: il principio per cui lo Stato indica i grandi principi e poi ognuno li recepisce nella sua regione come vuole lui, a noi sembra assolutamente giusto e corretto! Lo Stato indica i grandi principi e poi ognuno li recepisce, a casa sua, come vuole la gente che abita lì. Quindi, tali principi vengono recepiti in modi diversi e abbiamo pertanto diverse soluzioni allo stesso problema: quindi, si va verso l'eccellenza perché vi sono tante soluzioni diverse ed ognuno avrà poi la soluzione più intelligente dell'altro e si copierà. Nella sostanza, quindi, abbiamo il principio della concorrenza anche in politica, che genera sempre efficienza!
Il principio è quindi giusto. Allora, perché votiamo contro l'articolo 5? Perché invece di indicare i grandi principi che poi ognuno recepisce come vuole, ci troviamo in presenza di un testo che assegna allo Stato la legislazione esclusiva in tantissime materie! È una cosa incredibile: l'ambiente, i beni culturali, l'ordine pubblico, non quello nazionale, l'immigrazione, addirittura, la perequazione delle risorse finanziarie! È una cosa che non sta in piedi! Ci sembra giusto che lo Stato abbia la sua responsabilità a legislazione esclusiva ma solo per poche materie: l'esercito, la politica estera, la giustizia e basta. Ci sembra poi corretto che lo Stato oggi - e domani sarà sempre più l'Unione europea - indichi i grandi principi e che poi ognuno a casa sua li recepisca come crede. Invece, nel testo in esame vi è un impianto che sta in piedi, ma vengono dati troppi poteri allo Stato, la legislazione concorrente contiene troppi dettagli e non grandi principi.
Non possiamo accettare assolutamente una cosa del genere, perché andremmo verso il medioevo o, se vogliamo, addirittura, con tutti i compiti dettagliati che vengono lasciati alla legislazione esclusiva dello Stato, si realizza quella repubblica sovietica di cui abbiamo parlato ieri e che adesso veramente si tocca con mano. Purtroppo, bisogna dire che è più moderno, rispetto a quello proposto, il vigente articolo 117 della Costituzione perché è più aperto, indica i poteri delle regioni, ma alla fine parla di «altre materie indicate da leggi costituzionali». Quindi, si lasciava aperta la possibilità, man mano che si progredisce nelle conoscenze e nella responsabilità, di trasferire più poteri alle regioni. Con questo testo, invece, si blocca il potere dello Stato che entra addirittura in troppi dettagli della vita dei cittadini e, per quanto riguarda la individuazione dei grandi principi, gli si fa indicare quasi tutto e le regioni non possono fare niente. In questo modo i cittadini non hanno responsabilità e il nostro paese continuerà ad essere un paese che non è basato sulla responsabilità. Questo purtroppo peggiora ogni giorno la qualità della vita della gente e lo si può toccare con mano.
Per questo motivo annuncio il voto contrario del gruppo della Lega nord Padania. Aggiungo infine che ho ascoltato


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un intervento in cui si parlava di secessione e di altro. Quel signore non sapeva evidentemente di che cosa parlava. Egli viene dal medioevo o comunque da un altro mondo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Onorevole Pagliarini, mi permetta di richiamare anche lei alla non necessità di usare argomenti sovrabbondanti. Mi scusi.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Migliori. Ne ha facoltà.

RICCARDO MIGLIORI. Signor Presidente, colleghi, il gruppo di Alleanza nazionale voterà contro questo articolo. È necessario motivare, seppur succintamente, le ragioni di questo no, ma non prima di aver espresso entusiasmo per le osservazioni che i colleghi della maggioranza hanno rivolto più volte al nostro gruppo su alcuni aspetti di questa articolo.
Non avrei mai pensato di essere accusato, né che lo fosse il mio gruppo, di scarso presidenzialismo quando discutemmo della riforma delle regioni in senso presidenzialista e, oggi, di scarso attaccamento all'unità nazionale. Con entusiasmo registro questa generale opinione dell'Assemblea pensando a come, fino a qualche anno fa, la riforma presidenzialista, che solo la destra proponeva, fosse tacciata di deriva plebiscitaria e la stessa destra italiana fosse accusata di veteronazionalismo. Oggi, colleghi, anche a sinistra si sono scoperti addirittura più presidenzialisti della destra e, oserei dire, ancora più nazionalisti di quello che la destra italiana ha nel suo DNA in termini di unità e di identità nazionale.
Mi fa molto piacere questa caratterizzazione degli interventi critici nei confronti delle nostre posizioni perché vuol dire che la nostra verità oggi è una verità maggioritaria in questo Parlamento e nel nostro paese, se siamo addirittura scavalcati sotto questo profilo. La realtà dei fatti purtroppo è un'altra. Vi è un posizione di catenaccio da parte della maggioranza sul tema della revisione costituzionale, invece proprio sull'articolo 5 essa avrebbe dovuto avere ben altro spessore e capacità di dialogo con l'opposizione.
Colleghi, non si è mai vista una revisione della Costituzione nella quale, muro contro muro, la maggioranza ha fatto prevalere una logica di schieramento rispetto ad una logica di confronto con le opposizioni. Non un solo emendamento di sostanza tra quelli da noi presentati è stato accolto nella Commissione affari costituzionali nell'ambito del confronto particolarmente intenso che si è registrato nelle ultime settimane.
Registriamo sconcerto che non è solo nostro, ma che è anche delle regioni italiane, nel momento stesso in cui registriamo un regresso, per certi aspetti. Altro che revisione in senso federalista dello Stato!
Basti pensare alle competenza in materia ambientale, quindi potenzialmente in materia urbanistica, e nel settore dei lavori pubblici per comprendere come, addirittura, si registrino passi indietro rispetto all'attuale formulazione dell'articolo 117. Inoltre, abbiamo un passo indietro significativo rispetto agli stessi approdi della Commissione bicamerale per quanto riguarda le questioni legate alla sussidiarietà orizzontale. Vi è una differenza profonda che si è manifestata sul punto in quest'aula, in quanto è emersa un'interpretazione della sussidiarietà come semplice promozione dell'attività dei privati, da elargire in modo paternalistico. Una fetta significativa di quest'Assemblea, infatti, ha una concezione della sussidiarietà come luogo deputato ad essere depositario di poteri e competenze che lo Stato assegna alla società civile, per la quale registriamo invece sofferenze e limiti gravi di interpretazione e di lettura. Basti pensare alla convinzione di alcuni autorevoli colleghi dei Democratici di sinistra che vedono addirittura, in questa logica, una sorta di valorizzazione del liberismo e del mercato, che sono cose diverse rispetto ad un'interpretazione giusta della sussidiarietà, che significa uno


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Stato più leggero rispetto alle capacità di autogoverno ed autorganizzazione della società.
Sul punto focale dell'articolo 5, colleghi, questi sono gli elementi essenziali che caratterizzano la nostra opposizione: chiaramente, un voto contrario sulla «polpa» della revisione costituzionale, quella relativa all'articolo 117, si proietta negativamente sull'impianto complessivo di una riforma che, per alcuni aspetti, è una significativa controriforma.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nardini. Ne ha facoltà.

MARIA CELESTE NARDINI. Signor Presidente, voteremo contro l'articolo in esame, che rappresenta il cuore di tutta la riforma costituzionale e ci dà il segno che non siamo di fronte né a regionalismo, né a federalismo. Nelle materie affidate allo Stato non è indicata, per esempio, quella relativa alla tutela della salute, che è stata attribuita solo nell'ambito della competenza concorrente; molti temi riguardanti l'ambiente, dalla tutela dei parchi nazionali alle grandi questioni delle calamità naturali, che via via avevamo proposto di inserire tra le materie da affidare allo Stato, non vi sono rientrati. Quanto all'istruzione, come avete constatato, è passata in extremis tra le materie affidate allo Stato, ma è in gran parte nella competenza concorrente.
Crediamo, quindi, che si siano allargate determinate maglie affidando alle regioni, senza peraltro che queste abbiano le relative possibilità economiche, determinate funzioni rispetto alle quali ben presto, se la riforma dovesse andare a regime (ma credo davvero che non ce la faremo mai), dovremmo registrare enormi problemi. Inoltre, tutto ciò avviene in un momento in cui, come è emerso in aula, con la riforma relativa all'elezione diretta dei presidenti delle regioni ed i poteri dagli stessi assunti, ed il contestuale svuotamento di fatto dei consigli regionali, che si sta verificando nella pratica politica, ci chiediamo come sia possibile affidare alle regioni materie così importanti.
Siamo ad un passaggio delicato per lo Stato e credo davvero che occorra esprimere un voto contrario sull'articolo in esame (Applausi dei deputati del gruppo misto-Rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tremonti, al quale ricordo che ha due minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

GIULIO TREMONTI. Signor Presidente, il testo attuale della Costituzione individua le competenze regionali all'articolo 117: il primo comma definisce un catalogo di competenze; il secondo comma prevede un'addizione alle competenze catalogate nel primo attraverso apposita legge costituzionale. Il senso di questo secondo comma non è permettere l'aggiunta, non ve ne sarebbe bisogno; siccome nell'interpretazione delle norme, per economia giuridica, alla norma si deve dare un senso, credo che il secondo comma abbia il senso non di permettere ma di indicare positivamente, come sviluppo ed evoluzione della struttura costituzionale, l'aggiunta di altre materie, nel senso che la devoluzione, il trasferimento, l'aggiunta di competenze è nella Costituzione. Questa formula verrebbe rimossa radicalmente e il testo che stiamo discutendo definisce le competenze statali con un numero rigido e chiuso, senza la possibilità di estensione o, quanto meno, nega a priori il principio della devoluzione rimuovendolo dal corpo della Costituzione; definisce una struttura rigida nella quale le competenze dello Stato sono non modificabili e non devolvibili in assoluto. Siccome nel catalogo delle competenze dello Stato ne risultano molte oggettivamente accidentali o comunque discutibili, mi sembra - e chiudo - che il testo che stiamo discutendo nella logica e nello spirito del liberalismo costituisca un regresso rispetto a quello vigente (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Teresio


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Delfino, al quale ricordo che ha due minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, per noi l'articolo in esame rappresenta un elemento fondamentale in relazione all'ambizione di un nuovo patto costituzionale. Riteniamo che tutti gli approfondimenti e tutte le discussioni che abbiamo fatto, segnatamente nell'attuale legislatura, ma anche precedentemente, abbiano portato sicuramente a compiere un passo in avanti che, però, non coglie l'elemento fondante sul quale vogliamo caratterizzare la nostra posizione, vale a dire il riconoscimento del principio di sussidiarietà che plasmasse anche il rapporto, la definizione e l'attribuzione delle competenze. Certamente, se non vi è questa presa di coscienza, questa consapevolezza, l'attribuzione delle competenze diventa materia complessa e delicata, sulla quale esistono prudenze che possono anche essere lette come resistenze al cambiamento.
Ho sentito alcuni colleghi della maggioranza che hanno dichiarato che c'è coraggio, c'è innovazione, c'è un profondo cambiamento rispetto al passato. Credo che il paese corra molto più forte di quanto pensiamo e quindi nutriamo qualche invidia per le certezze e le sicurezze di quanti affermano che, oggi, non si poteva fare di più. Siamo tra coloro che affermano, proprio rispetto alle pulsioni, alle istanze di autonomia e di federalismo ampiamente condivise che vengono dalla comunità nazionale, che sarebbe stato necessario un articolato che sapesse rispondere in termini più ampi e più forti.
Sono queste le ragioni che ci inducono ad essere quanto meno cartesiani sull'articolo 5 e ad avere la saggezza del dubbio, del dubito... ergo sum; comunque sicuramente anche noi abbiamo una consapevolezza: il testo in esame è insufficiente rispetto al dato di fondo del riconoscimento pieno, profondo del principio di sussidiarietà. Pertanto, esprimeremo un convinto voto contrario sull'articolo in esame.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanardi, al quale ricordo che ha due minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, desidero preannunciare il voto contrario dei deputati del Centro cristiano democratico sull'articolo 5, ma prima vorrei brevemente inquadrare tale dichiarazione di voto in una riflessione più vasta, che l'intervento dell'onorevole Pagliarini mi induce a fare. Egli ha definito la riforma in esame una riforma di tipo sovietico, ma io credo che le parole debbano essere usate in maniera appropriata, senza arrivare a paradossi che non spiegano la storia del nostro paese, una storia di centralismo. Alcune culture, come quella della destra, fino a poco tempo fa sono state fortemente centralistiche, ma altre, come la nostra, sono nate sturzianamente autonomiste, ma hanno dovuto farsi carico di realtà storiche quali quelle vissute fino al 1990 - lo ricordo ai colleghi ed anche al collega Pagliarini - quando esisteva ancora il muro di Berlino.
Ad esempio, io sono stato impegnato per molti anni all'opposizione in una cosiddetta regione «rossa» e vi era proprio la preoccupazione di non dare alle regioni italiane una piena autonomia legislativa in quel contesto storico, in cui intere regioni italiane guardavano ad esperienze politiche che erano in antitesi rispetto ai nostri ideali di libertà.
Bisogna, quindi, capire perché in Italia fino al 1990 vi sia stata, giustamente, nelle classi dirigenti la preoccupazione che l'autonomia o una certa devoluzione in direzione dell'autogoverno regionale non facessero più danni dei benefici che avrebbero potuto determinare.
Il sistema sovietico - ahimè, lo devo dire per ragioni di onestà intellettuale e storica - è ben diverso dalla Costituzione democratica che dal 1946 in poi è stata elaborata e in questi anni ha portato il nostro paese, sicuramente fra insufficienze, ad un livello di libertà democratica


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certamente non paragonabile a quello dei regimi comunisti.
Detto questo, però, devo sottolineare che vi è stata un'evoluzione storica all'interno delle forze politiche e ne è una dimostrazione l'atteggiamento della destra democratica che, partendo da posizioni stataliste e centraliste, in qualche modo, con convinzione, anche sofferta - lo abbiamo sentito in questo dibattito -, si è portata su posizioni favorevoli all'autogoverno, all'autonomia ed all'esaltazione di tali possibilità di autogoverno, ma anche di accettazione piena del principio di sussidiarietà. Credo che vada valutata positivamente una riflessione che approda all'esaltazione di ciò che proviene dalla società civile.
Tuttavia, passata quella fase storica, con la caduta del muro di Berlino, registrata l'evoluzione positiva di determinate forze politiche che partivano da lontano rispetto a questi temi, la riflessione che viene dall'altra parte è assolutamente insufficiente. La nostra delusione e il nostro atteggiamento contrario anche a questo articolo derivano dal fatto che tali ragioni storiche non esistono più. Il muro di Berlino è caduto davvero, vi è stata una riflessione culturale e civile, si registra una crescita della società italiana, una voglia di autogoverno e una consapevolezza dei diritti che una volta non vi era.
Perché la sinistra non ne prende atto? Perché i Popolari, sturzianamente, al di là della nostra preoccupazione comune nel dopoguerra di non dividere ideologicamente l'Italia, non ritornano alla pienezza di adesione all'autogoverno e all'autonomia? Perché questa timidezza, che ha portato a bocciare ieri il principio pieno di sussidiarietà?
È chiaro, quindi, che il nostro giudizio è negativo, perché in queste condizioni la riforma che viene proposta è troppo timida, è di retroguardia. Non è sovietica - non esageriamo -, ma sicuramente non è all'altezza dei tempi e, nelle straordinarie condizioni di evoluzione del pensiero politico di quest'Assemblea, l'atteggiamento della sinistra non coglie un'occasione storica di convergenza dell'intero Parlamento verso forme più avanzate di democrazia. Per questo il nostro voto sull'articolo 5 sarà contrario.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Aloi, al quale ricordo che ha a disposizione due minuti di tempo. Ne ha facoltà.

FORTUNATO ALOI. Signor Presidente, prendo la parola intanto per confermare la posizione espressa dall'onorevole Migliori, che ha illustrato le motivazioni di ordine critico che ci portano a votare contro l'articolo 5.
Mi si consenta, tuttavia, di fare una considerazione di ordine storico, nel momento in cui si stabilisce un rapporto di sintonia tra ciò che si muove nell'ambito delle esigenze degli enti locali e delle realtà territoriali e la capacità dello Stato di offrire garanzie agli enti stessi, anche sul piano del decentramento o del federalismo tout court.
Ma il problema vero - mi si consenta di dirlo - è che noi non possiamo accettare una punta critica da parte di qualche forza storicamente antirisorgimentale che viene a dare lezioni a noi, destra politica. Noi, nei confronti del processo unitario nazionale, abbiamo sempre assunto una posizione di grande coerenza proprio perché identifichiamo la storia d'Italia con quella di quei valori che hanno sempre caratterizzato la costituzione di un paese attraverso un processo che ha visto - uso un'espressione particolare - versare lacrime e sangue. Ho fatto questa puntualizzazione nel rispetto di quei valori che rappresentano lo spirito unitario nel senso di un Risorgimento che per noi continua ad avere un grande, valido ed attuale significato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paissan. Ne ha facoltà.

MAURO PAISSAN. Signor Presidente, annuncio il voto favorevole dei deputati verdi all'articolo 5, che si può definire quello qualificante di tutta la riforma


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costituzionale. Non intervengo tanto sulle questioni di merito, perché mi rifaccio ai numerosi e precisi interventi del collega Boato, ma mi limito ad alcune sottolineature.
Si tratta di un testo fortemente innovativo per quanto riguarda i rapporti tra Stato, regioni e autonomie, che ha risolto in modo equilibrato alcuni problemi particolarmente delicati, in taluni casi addirittura scabrosi. Sottolineo ancora una volta l'equilibrio con cui sono stati risolti i delicatissimi problemi che ci stanno particolarmente a cuore, quello dell'ambiente e dei beni culturali. L'articolo 5 verrà completato dal successivo articolo 6, che riscriverà l'articolo 118 della Costituzione, relativamente al quale si discuterà del delicato principio di sussidiarietà, nel duplice aspetto di sussidiarietà istituzionale e sociale. Rimane il rammarico (ne parleremo anche in altre occasioni) per quello che in questa legislatura non siamo riusciti a fare in tema di riforme costituzionali ed istituzionali; è un rammarico che si ravviva di fronte al risultato del lavoro di questi giorni e costituirà l'oggetto del dibattito politico che si farà a fine legislatura e che dovrà riguardare le responsabilità sia della maggioranza sia delle opposizioni.
Mi si consenta, infine, un'osservazione che ritengo doverosa. Alcuni colleghi ed anche alcuni cittadini attraverso telefonate hanno manifestato la loro sorpresa e a volte il loro sconcerto per la presenza della mia firma, sia pure come ultima, in calce a numerosi subemendamenti spesso contrapposti l'uno all'altro sotto il profilo del contenuto e palesemente difformi dal mio orientamento politico. Si tratta di emendamenti proposti dai gruppi di Rifondazione comunista, del CDU, da colleghi autonomisti e dell'UDEUR.
Per quanti dubbi si possono nutrire sul mio stato psichico, vi è una spiegazione, ovviamente. Chiarisco subito che la mia è stata una firma tecnica in quanto l'articolo 85, comma 5, del nostro regolamento consente la presentazione di subemendamenti in aula a trenta deputati o a un presidente di gruppo. Ho ritenuto in questa occasione mio dovere politico favorire, concedendo la mia firma alla presentazione di questi subemendamenti, il più ampio confronto tra le varie proposte in campo su un provvedimento delicato quale una riforma costituzionale. Ciò è stato favorito anche dal fatto che nessuna delle componenti aveva dichiarato intenti ostruzionistici, ovviamente legittimi ma che avrebbero avuto bisogno di altri strumenti regolamentari che non la richiesta di una firma tecnica da parte di un presidente di gruppo. La mia firma non a caso compare per ultima rispetto ai colleghi proponenti, per cui la responsabilità politica del contenuto delle singole proposte ricade sui primi firmatari e cioè sulle diverse componenti politiche del gruppo misto (Applausi dei deputati del gruppo misto-verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 5, nel testo emendato.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (
Vedi votazioni).
(Presenti 483
Votanti 473
Astenuti 10
Maggioranza 237
Hanno votato
254
Hanno votato
no 219).

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