Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 746 del 22/6/2000
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(Iniziative per la tutela di cittadini italiani reclusi in Bolivia)

PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Carlesi n. 3-05403 (vedi l'allegato A - Interpellanze ed interrogazioni sezione 4).
Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, dottor Intini, ha facoltà di rispondere.

UGO INTINI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Ministero è ben a conoscenza della vicenda giudiziaria che vede coinvolti alcuni cittadini italiani residenti in Bolivia, arrestati nel giugno 1999 con l'accusa di narcotraffico, associazione a delinquere, clonazione di telefoni cellulari e gioco d'azzardo clandestino.
L'arresto è avvenuto nell'ambito dell'operazione condotta dalla polizia boliviana contro i membri della cosiddetta banda Diodato, che si dice essere capeggiata dal cittadino italiano residente in Bolivia Marino Marco Diodato, personaggio di spicco dell'alta società boliviana.
Quest'ultimo connazionale è infatti sposato con una nipote dell'attuale capo dello Stato locale, il generale Hugo Banzer Suarez (che peraltro verrà fra poco in Italia), e per vari anni si sarebbe tenuto in stretti contatti con l'esercito, con cui avrebbe collaborato attivamente, quale istruttore di paracadutismo, almeno fino al 1998.
La segnalazione per l'arresto del Diodato e degli altri presunti componenti della «banda» (ossia i cittadini italiani Rocco Colanzi, Fausto Barbonari, Natale Armonio, Francesco Mazzarella) sarebbe pervenuta alle autorità boliviane dalla DEA statunitense, da tempo sulle tracce dell'organizzazione.
Ai connazionali è stata applicata la legge n. 1008 sul traffico degli stupefacenti, la quale prevede il sequestro cautelativo dei beni degli imputati (e dei loro più stretti familiari) che si suppone risultino da operazioni di riciclaggio. L'istruttoria in merito alle accuse più gravi (narcotraffico, associazione a delinquere e congiura) è durata sei mesi; il 4 dicembre scorso si è tenuta la prima udienza davanti al tribunale speciale antidroga ed il pubblico ministero ha chiesto il massimo della pena. Il 28 febbraio 2000, il tribunale ha assolto i connazionali per insufficienza di prove. Contro tale pronuncia


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hanno fatto appello sia gli avvocati difensori (al fine di ottenere l'assoluzione con formula piena), sia il pubblico ministero. Nulla risulta al Ministero degli affari esteri sulle asserite pressioni dell'ambasciata degli Stati Uniti sulla magistratura locale.
Attualmente i connazionali Diodato, Armonio e Barbonari sono in carcere in attesa del giudizio per gli altri reati (clonazione di cellulari e gioco d'azzardo clandestino) di cui erano accusati: i signori Colanzi e Mazzarella (quest'ultimo implicato solo in reati relativi al gioco d'azzardo clandestino) hanno ottenuto invece la libertà condizionata, dietro pagamento di una cauzione.
La vicenda, data la rilevanza delle persone arrestate che, oltre ad essere esponenti di spicco della collettività italiana a Santa Cruz, lo sono anche, più in generale, della società boliviana (la moglie del signor Barbonari, Adelia Prado, era fino a pochi anni fa membro di un partito di opposizione, l'MNR, mentre un fratello del signor Colanzi è membro dell'UCS, partito della coalizione di Governo), ha avuto ampie ripercussione tanto sulla stampa locale, quanto sulla stessa stabilità politica della compagine governativa.
Il Presidente della Repubblica, Hugo Banzer, si è immediatamente dissociato dal Diodato, dichiarandosi certo della sua colpevolezza; tra l'altro, si ricorda che il ministro della giustizia Subirana si è dimesso il 12 agosto scorso per i suoi stretti contatti con la famiglia Colanzi.
Naturalmente il caso Diodato è seguito con la massima attenzione dalla nostra rappresentanza in loco, anche per il tramite del console onorario a Santa Cruz, che rende regolarmente visita consolare ai detenuti. A più riprese (nel luglio e nell'ottobre scorsi) l'incaricato d'affari a La Paz ha incontrato il ministro dell'interno boliviano, Guiteras, ricevendo assicurazioni circa il buon trattamento carcerario riservato ai detenuti e circa la sollecitudine con la quale la polizia stava eseguendo le indagini.
In tale occasione, l'incaricato d'affari ha espresso preoccupazione, per il rischio che l'intera operazione, che ha suscitato un profondo timore presso la nutrita collettività italiana di Santa Cruz, si trasformasse (anche a seguito delle accuse giornalistiche) in una sorta di campagna antitaliana. Anche su questo punto, il ministro dell'interno ha garantito la massima attenzione.
Da quanto sopra, emerge come siano già stati posti in essere fermi interventi a tutela della nostra collettività in Bolivia. Qualora dovesse essere necessario, l'ambasciata - che continua a fornire ai connazionali detenuti la consueta assistenza legale e consolare - non mancherà di segnalare nuovamente la questione a livello adeguato.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Intini.
L'onorevole Carlesi ha facoltà di replicare.

NICOLA CARLESI. I fatti riferiti dal sottosegretario erano a mia conoscenza, ma non posso dichiararmi totalmente soddisfatto della risposta, e spiegherò anche il perché.
Devo dare atto all'ambasciata italiana di La Paz di quanto sta facendo nei confronti degli italiani coinvolti in questa vicenda; so che viene esercitato un controllo costante e che sono state assunte iniziative al fine di alleviare i problemi derivanti dalla carcerazione in un paese quale la Bolivia.
La vicenda, così come è stata riportata anche dal sottosegretario, è abbastanza strana. Certo, non possiamo entrare nel merito della gestione della giustizia in Bolivia (ci mancherebbe altro), ma sicuramente vi sono elementi di grande preoccupazione.
Tutto inizia nel giugno 1999, quando la società telefonica boliviana sporge denuncia nei confronti di Marco Marino Diodato, che viene inquisito. Inizia allora una campagna di denigrazione non solo nei suoi confronti, ma anche nei confronti di altri italiani, in particolare abruzzesi, coinvolti nella vicenda.
È vero che la moglie di Marino Diodato è nipote del Presidente della Repubblica e


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che nella sua abitazione sono state trovate delle armi. È scattata però immediatamente una campagna di diffamazione con la quale si è sostenuto che egli sarebbe a capo di una ramificazione della mafia in territorio boliviano. Successivamente è tuttavia emerso che Marino Diodato è stato ed è ancora al momento capitano onorario dell'esercito boliviano: conseguentemente gli è concesso di tenere armi all'interno della sua abitazione. Si smonta, dunque, la prima accusa mossa dal pubblico ministero.
Si smonta, più tardi, anche l'accusa principale, relativa alla clonazione di telefoni cellulari, che discendeva dalla segnalazione effettuata dalla società telefonica alle autorità di polizia boliviana. Non sembrano infatti esservi danni per 100 mila dollari, così come veniva riportato nella prima denuncia, ma si accerta l'avvenuta clonazione di due soli telefoni cellulari.
Continua però la campagna diffamatoria: si accusa il Diodato di aver creato, in combutta con l'esercito, un controservizio di intelligence antidroga. Emerge poi con tutta evidenza che Marino Diodato aveva avuto, invece, l'incarico dall'esercito boliviano di istituire un servizio di protezione del presidente Banzer Suarez.
Successivamente il Diodato viene accusato di essere membro di un'associazione nazista, i «novios de la muerte», che però in Bolivia è esistita solo fino al 1980, mentre il Diodato è arrivato in quello Stato nel 1983. Cade dunque anche questa accusa. Resta quella di narcotraffico: egli avrebbe in una sua proprietà un laboratorio per raffinare sostanze stupefacenti. Anche questa accusa però cade, perché emergono prove che lo stesso Diodato aveva denunciato al momento dell'acquisto della proprietà l'esistenza del laboratorio, ormai in disuso.
Le accuse sono state, dunque, tutte smontate. Rimane il fatto che nella vicenda sono stati coinvolti numerosissimi italiani e, tra questi, anche persone assolutamente degne, che addirittura neanche conoscono il Marino Diodato.
Come lei ha detto, signor sottosegretario, vi è stata poi una sentenza del tribunale della città di Santa Cruz: il 28 febbraio sono stati assolti gli imputati per insufficienza di prove, ma avverso tale decisione è stato presentato ricorso dai giudici e dal pubblico ministero. Vi è tuttavia un dato preoccupante: dal 28 febbraio fino alla fine del mese di marzo questi cittadini, che pur erano stati assolti per insufficienza di prove - mi riferisco, in particolare, a Rocco Colanzi, imprenditore importante per quella nazione -, sono rimasti in carcere.
Poi sono scattate altre accuse e quei cittadini continuano a restare all'interno del carcere boliviano.
Signor sottosegretario, la situazione è certamente difficile in quanto, a mio avviso e ad avviso degli organi di stampa boliviani, vi è una forte montatura visto che, evidentemente, in quella nazione vi sono interessi che vanno a colpire la comunità italiana e Marino Diodato.
Signor Presidente, quel che chiedo...

PRESIDENTE. Onorevole Carlesi, lei è già un minuto e mezzo oltre il tempo a sua disposizione.

NICOLA CARLESI. Ho finito, signor Presidente. Poiché il Presidente Banzer sarà la settimana prossima in Italia, chiedo al Governo di poter interferire nei colloqui ufficiali al fine di chiarire le problematiche relative alla nostra comunità in quel paese e per tutelare gli interessi degli italiani in Bolivia.

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