Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 734 del 6/6/2000
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(Iniziative per il rafforzamento delle istituzioni monetarie internazionali e per assicurare stabilità all'economia mondiale)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Rallo n. 2- 02225 (vedi l'allegato A - Interpellanze ed interrogazioni sezione 6).
L'onorevole Rallo ha facoltà di illustrarla.

MICHELE RALLO. Illustro brevemente questa interpellanza che ho presentato insieme al collega Simeone e che si riferisce al sistema finanziario globalizzato vigente che si basa sull'assenza di


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regole e di controlli sui flussi finanziari e sui movimenti di capitale. Esso ha prodotto quella che viene definita una «bolla speculativa» che, come tutte le bolle, è destinata a scoppiare (oltre alle bolle di sapone ci sono anche le bolle di cristallo, oggetti molto fragili destinati prima o poi a scoppiare) con effetti imprevedibili, poiché non sappiamo cosa potrà accadere domani sia sul piano economico, finanziario e sociale, sia su quello degli equilibri militari ed internazionali. Noi temiamo l'esplosione di sistemi finanziari basati su un'economia che non esiste, su una finanza non reale ma di carta, su strumenti finanziari gonfiati oltre misura in modo artificiale.
Nella mia interpellanza faccio riferimento al totale degli strumenti finanziari «fasulli» che oggi ammonta ad almeno 300 mila miliardi di dollari contro un PIL mondiale di circa 40 mila miliardi di dollari, con un rapporto che è quasi di dieci a uno. Gli Stati Uniti d'America, che costituiscono il centro dell'azione sovversiva degli equilibri finanziari mondiali, si trovano in condizioni peggiori degli altri se è vero, come è vero, l'altro dato citato nell'interpellanza: alla fine del primo trimestre del 1999, il rapporto tra la speculazione finanziaria ed il prodotto interno lordo è stato di 96,97 contro 9,07 trilioni di dollari; si tratta di un rapporto addirittura superiore al 10 per cento (è, infatti, pari al 10,7 per cento)!
Dunque, questo sistema è destinato ad esplodere: non vi è rapporto o proporzione tra l'economia reale e quella irreale, che viene gonfiata per fini che possiamo immaginare, ma che non sono documentabili. Riferendomi al famoso indice Dow Jones, che costituisce un punto di riferimento per quel tipo di mercato, voglio citare una dichiarazione rilasciata ad un giornale tedesco, pochi mesi fa, dall'ex cancelliere Helmut Schmidt: egli ha affermato testualmente che, quanto all'indice Dow Jones, la data del crollo non è nota, ma verrà ed è sicura come l'amen in chiesa. Dunque, è questa la realtà che è dietro l'angolo: una realtà inquietante, che ha già avuto effetti devastanti sull'economia di molti paesi. Cito il caso della Malesia, dove la speculazione finanziaria è riuscita a produrre, in poche settimane, un attacco che ha causato il crollo e la vanificazione di quarant'anni di sviluppo. Stiamo parlando di una nazione come la Malesia, non di uno Stato del terzo mondo: sappiamo che cosa rappresenti quel paese in termini di sviluppo economico, sociale ed industriale nel sudest asiatico; ebbene, in poche settimane sono stati distrutti quarant'anni di progresso!
La Malesia ha risposto in modo molto semplice, adottando alcune misure ed introducendo controlli nei cambi e nei movimenti finanziari. Con queste semplici misure la Malesia, nel giro di un anno, ha superato gli effetti negativi della crisi dovuta alla speculazione finanziaria ed ha aumentato il PIL del 6 per cento. Ciò vuol dire che a certi fenomeni (legati a quella che, in maniera approssimativa, è oggi indicata come globalizzazione dell'economia) non è impossibile opporsi; non si tratta di fenomeni fastidiosi come una malattia, che dobbiamo comunque sopportare, magari con l'aiuto di qualche medicinale. Dobbiamo prendere atto che le società e gli Stati evoluti (come le nazioni europee) possono rispondere a tali eventi, magari con i risultati ottenuti dalla Malesia in un anno di lavoro.
Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, vi sono poi altri effetti devastanti, con i quali oggi ci misuriamo: mi riferisco al massacro della socialità nel nostro paese e nelle nazioni europee, fenomeno strettamente collegato alla mondializzazione sfrenata e all'assenza di vincoli e controlli sui movimenti di denaro (anche del denaro che non esiste); mi riferisco alla disoccupazione massiccia e alla crisi dello Stato sociale, non di quello assistenziale (di cui non vogliamo sentir parlare). Mi riferisco ancora al concetto di lavoro e di una previdenza sana, nonché ad una sanità che sia diversa, che corrisponda al modello europeo e non a quello americano. Tutto quanto viene costruito oggi nella nostra società dai mass media è qualcosa che tende ad accettare questo


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stato di cose come un fatto ineludibile ed a condurci verso scenari che abbiamo già visto, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, nei paesi ex comunisti, con il risultato che lì la gente torna a votare per i partiti comunisti. Ciò che è emerso, infatti, dall'applicazione dei sistemi descritti è tale per cui la gente ritiene che fosse meglio la miseria di prima, che almeno consentiva di mettere una pentola sul fuoco a mezzogiorno, piuttosto del liberismo assoluto e sfrenato, che non permette neanche di campare. Invece ci si muove proprio in questa direzione, introducendo anche falsi elementi di giudizio.
Si pensi a quello che è avvenuto in questi giorni, con l'ultimo richiamo all'Italia sul problema delle pensioni. Ci sono fatti che oggettivamente costituiscono un problema: non c'è dubbio che il mondo della previdenza nel 2000 non potrà più essere visto come negli anni sessanta o settanta, perché le condizioni sono mutate, ma quando si dice, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, che bisogna procedere ad una riforma radicalmente punitiva e peggiorativa del sistema previdenziale perché gli equilibri demografici sono cambiati in quanto gli italiani fanno meno figli, si dice una bugia, una falsità. Non è questo, infatti, l'elemento dirimente, è il lavoro che manca. Se, infatti, alla diminuzione del flusso demografico avesse fatto riscontro un aumento delle offerte di lavoro rimaste inevase, evidentemente questa dotta elaborazione - fatta propria anche dal nostro Presidente del Consiglio - avrebbe avuto un fondamento, invece così non è. Non mancano gli italiani che possano sovvenzionare in futuro gli strumenti previdenziali, manca il lavoro per questi italiani. Se, per fare un esempio, il Ministero delle comunicazioni, che oggi ha, poniamo, mille dipendenti, domani li riducesse a 800, evidentemente ci sarebbero 200 persone in meno che contribuiscono al quel fondo pensioni: ma questo non perché vengano generati 200 italiani in meno, bensì perché quel Ministero ha deciso di tagliare la spesa che viene sempre decurtata per prima, ossia quella relativa al personale. Allora, quello della previdenza è uno dei tanti problemi fasulli, su cui vi sarebbe tanto altro da dire.
La realtà, insomma, è questa: noi ci avviamo verso una società nazionale, europea e mondiale negativa, che vuole portare le popolazioni europee ad un livello di vita e di progresso che è contrario alle nostre tendenze, alla nostra storia ed a quello che abbiamo già acquisito. Ci si vuole sottrarre ciò che abbiamo conquistato per portarci, ripeto, al livello della Russia postcomunista, con i pensionati che chiedono l'elemosina all'angolo delle strade, con gli impiegati statali che non prendono gli stipendi magari per sei mesi, e così via, applicando ed attuando tutte le ricette che vengono dal Fondo monetario internazionale. Tutto questo comporta gli scenari che sono sotto i nostri occhi, compresi gli scenari di guerra. È una tendenza che noi respingiamo.
Poco fa il collega Conti, discutendo un'interrogazione che apparentemente non aveva nulla a che fare con l'argomento di cui ci stiamo ora occupando, ha affrontato un problema particolare, quello di una piccola industria della provincia di Ascoli Piceno (che produceva i suoi manufatti, peraltro, per l'Arma dei carabinieri), che sostanzialmente è stata smantellata e delocalizzata in Romania.
Anche questo è un altro degli aspetti che concorrono a determinare l'attuale situazione. La globalizzazione senza regole e la possibilità per i denari veri e per quelli fasulli di muoversi senza ostacoli e senza un minimo di regolamentazione portano naturalmente a delocalizzare l'industria dei paesi europei progrediti, quali l'Italia. Non c'è dubbio, infatti, che in Romania si può produrre pagando la manodopera un quarto o un quinto rispetto a quello che costa in Italia e non c'è dubbio che in Tunisia o in Marocco si possa produrre pagando la manodopera un decimo rispetto a quello che costa in Italia.
È vero che questa sorta di enorme e libero mercato mondiale, questa zona di


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libero scambio - che è improprio definire tale, perché non ha confini - porta al massacro dei paesi più poveri, come è stato detto da alcuni settori della sinistra, ma è altresì vero che porta, in primo luogo, al massacro delle economie progredite dell'Europa occidentale, che vengono sacrificate sull'altare di un'economia fasulla per consentire guadagni finanziari che non hanno alle spalle un'economia reale e che si basano sulla sproporzione tra il PIL e l'economia «di carta», che a volte non è neanche tale, ma è solo fatta di impulsi elettromagnetici che viaggiano per l'etere o attraverso Internet.
In questa fase, mi limito solo all'illustrazione dei problemi che sono alla base della mia interpellanza, in attesa di ascoltare la risposta del sottosegretario, che spero possa suggerire soluzioni: diversamente, molto modestamente, avanzeremo le nostre.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica ha facoltà di rispondere.

GIANFRANCO MORGANDO, Sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Signor Presidente, con la mia risposta non pretendo certo di risolvere compiutamente i problemi posti. Si tratta, infatti, di questioni di grandissimo rilievo, che costituiscono uno degli elementi più importanti del dibattito in corso a livello mondiale sulle politiche economiche e di sviluppo e rispetto ai quali ritengo non ci siano risposte risolutive, ma che vi sia la necessità di avvicinarci progressivamente, proprio attraverso tale dibattito, all'individuazione di punti di equilibrio che consentano di affrontare tali questioni.
In quest'ottica, vorrei riconoscere che molti dei problemi sollevati con l'interpellanza sono reali. La finanziarizzazione dell'economia mondiale ed il rischio che all'interno di essa possano crescere fenomeni definiti speculativi e che possono avere quale conseguenza, nel momento in cui scoppiano, effetti negativi su singole economie e sul sistema complessivo dell'economia mondiale è un dato di fatto. Occorre ovviamente tenere presente che ci troviamo di fronte - faccio solo un piccolo accenno, perché il discorso sarebbe troppo lungo - a fenomeni molto diversi tra loro: un conto è la finanziarizzazione di alcune grandi economie occidentali, quale quella degli Stati Uniti, e un conto è la finanziarizzazione dell'economia di alcuni paesi in via di sviluppo che hanno determinato, in qualche caso, come è stato ricordato, alcuni elementi di crisi. Quindi il tema è articolato e complesso, ma è indiscutibilmente reale.
Nella mia risposta alla interpellanza mi limiterò a prendere in esame, punto per punto, i temi sui quali i colleghi interpellanti hanno richiamato l'attenzione del Governo, anche con riferimento a precise ipotesi di soluzione individuate dagli stessi colleghi.
Vorrei comunque fare una riflessione di carattere generale che costituisce un po' quella che io considero, anche sul piano della mia opinione personale, la risposta generale ai temi sollevati. I fenomeni della globalizzazione delle economie, che non sono la stessa cosa ma sono comunque connessi con i fenomeni della finanziarizzazione delle economie, pongono dei problemi, come è stato ricordato, e quindi la necessità di individuare regole che li governino; dobbiamo però evitare il rischio di formulare nei confronti di questi fenomeni un giudizio negativo aprioristico; dobbiamo evitare di immaginare che la risposta sia quella di una rinazionalizzazione delle politiche economiche; dobbiamo in sostanza cercare di fare in modo, attraverso un sistema di regole, di realizzare l'obiettivo che la libertà di mercato aiuti la stabilità delle economie progredite dell'occidente e aiuti la crescita delle economie in difficoltà dei paesi in via di sviluppo. Sarebbe un errore pensare che la risposta a questo problema consista nella rinazionalizzazione delle politiche; essa consiste invece nella capacità di gestire e di governare in termini


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attenti i processi di globalizzazione, cogliendone gli aspetti positivi, controllandone e governandone quelli negativi.
Sul piano delle questioni che specificatamente sono state poste all'attenzione del Governo da parte degli interpellanti, debbo dire che il Ministero del tesoro, in linea con quanto sostiene la comunità internazionale nel suo complesso, non ritiene né realistico né opportuno il ritorno ad un sistema basato sulle riserve auree; i meccanismi di aggiustamento insiti nel gold standard richiedono una larga flessibilità dei prezzi e dei salari non realistica e comunque non ottenibile senza forti costi economici e sociali, nonché una forte determinazione a difendere la parità del cambio anche attraverso elevati tassi di interesse destinati a generare effetti depressivi su investimenti, redditi e occupazione.
Nella sua versione pura, il gold standard lega la liquidità internazionale ed il livello dei prezzi alla disponibilità di oro e non al livello della crescita reale. In assenza di una flessibilità dei prezzi e dei salari, i meccanismi del gold standard possono provocare effetti indesiderati su occupazione e reddito, a volte legati esclusivamente alle variazioni dell'offerta di oro. Non è casuale che anche il periodo della vigenza del gold standard sia stato caratterizzato da crisi economiche e turbolenze sociali. Le ragioni che ne hanno segnato l'abbandono, al di là delle vicende storiche che hanno portato alla dichiarazione di non convertibilità del dollaro del 1971, e alla fine del gold standard, non sembrano oggi essere superate.
In merito alla limitazione sui movimenti di capitale (è un altro dei punti richiamati nell'interpellanza, la cosiddetta Tobin tax) tra le misure allo studio in diversi ambienti internazionali per ridurre la vulnerabilità del sistema finanziario figura anche la possibilità di introdurre controlli sugli afflussi finanziari, sotto forma di tasse proporzionali al volume di capitale importato.
Sulla base dell'esame dell'esperienza dei paesi che li hanno adottati, è possibile trarre alcune indicazioni fondamentali: i controlli sembrano aver avuto effetto sulla composizione dei capitali in entrata a fronte di flussi più stabili; gli effetti sul volume complessivo sono incerti; l'efficacia dei controlli tende a diminuire con il tempo: il sistema, pertanto, richiede un continuo monitoraggio ed aggiustamento da parte del regolatore nazionale. Per evitarne l'elusione, i controlli devono riguardare tutti i tipi di flussi inclusi gli investimenti esteri diretti soprattutto nell'attuale contesto in cui l'innovazione finanziaria ha reso sempre più sottile la distinzione tra capitale a breve e a lungo termine. Queste le esperienze che è possibile individuare.
Per quanto concerne i costi ed i rischi di queste misure per il paese che le adotti, riteniamo di osservare quanto segue. La teoria economica suggerisce che la perdita economica del paese, in termini di minore offerta di capitale e di più alti costi necessari per ottenerlo, supera le maggiori entrate per il Governo. I sicuri beneficiari della misura fiscale sono, invece, i detentori nazionali di capitale che verranno a godere di una rendita di posizione. Le tasse sul movimento dei capitali devono, dunque, essere concepite, applicate e discusse esclusivamente in un'ottica di stabilità del sistema finanziario - come, peraltro, lo stesso Tobin propone - e non come strumento per aumentare il gettito fiscale del paese.
Queste misure possono essere considerate come una sorta di assicurazione che il paese potrebbe stipulare contro il rischio di un'eccessiva esposizione a breve dell'economia nazionale, a fronte, tuttavia, del pagamento di un premio rappresentato dai costi che derivano dalla tassa in questione all'economia del paese.
In secondo luogo, questi costi sono stati amplificati dall'innovazione finanziaria, la quale ha reso evanescente la distinzione tra flussi di capitale e breve e lungo termine. L'esperienza cilena - uno dei paesi che ha adottato questo sistema - ha dimostrato che, per evitare l'elusione e mantenere l'efficacia della misura, occorre estendere la tassa a tutte le transazioni (non solo ai movimenti a breve,


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ma anche agli investimenti diretti, ai crediti commerciali e ai flussi a lungo termine).
In terzo luogo, i controlli sui movimenti di capitale, soprattutto se disegnati in maniera non appropriata dal punto di vista tecnico, possono indurre i flussi finanziari ad affluire attraverso canali meno soggetti a sorveglianza, aumentando così i pericoli per il sistema finanziario.
Infine, i paesi che hanno già proceduto alla liberalizzazione finanziaria difficilmente possono tornare indietro e reintrodurre forme di tassazione, sia perché la struttura dei controlli amministrativi necessari alla concreta applicazione del tributo è stata smantellata, sia perché i mercati intenderebbero la reintroduzione di limitazioni ai movimenti di capitale come il primo passo di un ripensamento della politica del paese verso gli investimenti esteri e lo penalizzerebbero imponendogli differenziali di rischio più alti.
I controlli sugli afflussi di capitale devono, perciò, essere considerati come strumenti complementari, e non sostitutivi, delle politiche volte a preservare la stabilità del sistema finanziario nazionale e internazionale. Gli strumenti centrali per realizzare questi obiettivi sono: sane politiche macroeconomiche; rafforzamento della vigilanza bancaria e della regolamentazione del settore finanziario; prudente gestione del debito pubblico; applicazione di regole e di standard di trasparenza in materia di governo societario e di revisione contabile; sistemi di pagamento; normativa fallimentare; sviluppo dei mercati interni dei capitali.
In merito ai controlli sui deflussi di capitali adottati generalmente in periodi di crisi, la discussione sulla loro efficacia in particolari situazioni è ancora aperta. Anche in questo caso vanno considerati i costi che queste misure implicano per il paese sotto forma di più difficile e costoso accesso ai mercati di capitali una volta che la crisi sia passata. Se poi si va oltre la prospettiva del mero interesse nazionale, l'adozione di simili misure può ingenerare fenomeni di panico e di fuga dei capitali dai mercati più rischiosi (in genere, i mercati dei paesi emergenti), con effetti destabilizzanti per l'intero sistema finanziario.
Nei paesi industrializzati occorre valutare se esistano preoccupazioni per la stabilità del sistema finanziario che possano giustificare l'adozione di misure di controllo sui capitali. In questi paesi la stabilità finanziaria viene preservata attraverso la disciplina delle politiche monetarie e fiscali, la solidità dei sistemi finanziari, rafforzata da una puntuale regolamentazione prudenziale, lo sviluppo, lo spessore e la maturità dei mercati finanziari. Questi fattori hanno consentito ai paesi industrializzati di evitare il contagio delle recenti crisi finanziarie.
L'obiettivo di lungo periodo dell'azione internazionale, dunque, è quello di rafforzare il quadro istituzionale e regolamentare nei mercati emergenti e di colmare il divario tra il grado di sviluppo dei mercati finanziari dei paesi industriali e quello dei paesi emergenti. Lo sviluppo di mercati finanziari ampi, liquidi e rafforzati da adeguata vigilanza, consentirà, anche nei paesi emergenti, di limitare e di diversificare i rischi, minimizzando il pericolo di ripercussioni, in particolare sull'economica reale; del resto, se facessimo un esame attento ed approfondito della crisi che ha caratterizzato l'economia del far east, scopriremmo che i problemi principali sono stati causati da insufficienza di controlli e di regole su quei mercati finanziari.
Sulla scorta dell'esperienza della recente crisi asiatica, le istituzioni finanziarie internazionali prestano oggi crescente attenzione al problema del gradualismo e della corretta successione temporale nella liberalizzazione finanziaria, in modo che questa possa procedere di pari passo con lo sviluppo delle strutture e delle istituzioni necessarie alla sua gestione.
Le istituzioni finanziarie, in particolare la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, si stanno impegnando nell'identificazione delle debolezze del sistema finanziario internazionale diverse da quelle di origine macroeconomica e


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nella definizione di misure correttive da proporre alle autorità dei paesi emergenti e industrializzati.
Le aree oggetto di maggiore attenzione da parte delle istituzioni finanziarie ed internazionali riguardano quattro punti: il rafforzamento dei sistemi finanziari nei paesi emergenti, la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, il coinvolgimento del settore privato e la gestione del rischio e della liquidità.
Per quanto riguarda il primo punto, vale a dire il rafforzamento dei sistemi finanziari nei paesi emergenti, tale azione di rafforzamento riguarda in primo luogo le banche. Oltre al necessario intervento di risanamento del settore, condotto attraverso la ricapitalizzazione delle banche e la ristrutturazione dei crediti, lo sforzo maggiore della comunità internazionale (soprattutto del Fondo monetario internazionale) si è rivolto ad indurre i paesi emergenti ad ottemperare agli standard di vigilanza bancaria fissati dal Comitato di Basilea. Questi standard riguardano soprattutto l'adozione di sistemi interni di controllo del rischio e dei requisiti minimi di capitalizzazione. Il Fondo monetario internazionale ha predisposto un codice di condotta per le autorità monetarie e di vigilanza sui mercati finanziari, che si ispira agli standard internazionali in materia di trasparenza e di diffusione dei dati.
Un altro importante settore di intervento, accanto alle banche, riguarda il regime di insolvenza degli intermediari finanziari.
Per quanto riguarda il secondo punto, ossia la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, le istituzioni di Bretton Woods continuano a svolgere un ruolo centrale nel sistema finanziario internazionale, in quanto hanno contribuito a riportare la stabilità sui mercati finanziari in seguito alle crisi di Asia, Russia e Brasile. Preciso tuttavia che il Fondo monetario è stato istituito per affrontare tematiche in parte diverse da quelle che oggi si presentano per la riforma del sistema monetario internazionale.
Riflessioni e lavori nel campo della vigilanza sui mercati finanziari, degli standard contabili, del governo societario e del diritto fallimentare, nonché delle nuove aree di potenziale vulnerabilità per il sistema finanziario internazionale, vengono svolti oggi da numerosi organismi, quali l'International organization of securities Commission e il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria. Pertanto, il mandato del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale sarà esteso, nell'ambito della riforma di questi organismi, in modo tale da coprire alcune nuove aree di potenziale vulnerabilità, in particolare per monitorare lo stato di attuazione dei codici di condotta e degli standard concordati in campo internazionale in materia di regolazione e vigilanza dei mercati finanziari, di standard contabili e di governo societario, assicurando un coordinamento degli interventi con tutti gli altri organismi competenti.
È stato poi recentemente potenziato il ruolo di direzione politica del Comitato interinale del Fondo monetario internazionale, che è l'organo consultivo dell'istituzione, composto dai ministri degli Stati membri.
Per quanto concerne la terza linea di intervento, che è quella del coinvolgimento del settore privato, la disponibilità del soccorso finanziario internazionale può generare distorsioni nei comportamenti degli investitori, inducendoli ad una minore attenzione nelle valutazioni del merito di credito del paese. Ciò può concorrere ad esacerbare la volatilità dei flussi finanziari provenienti dai paesi industriali verso i mercati emergenti, provocando entrate eccessive nelle fasi di entusiasmo, seguite da uscite altrettanto affrettate ai primi segnali di tensione. I mercati finanziari dei paesi emergenti, sebbene progressivamente rafforzati, non sono in grado di far fronte a repentine inversioni della direzione dei movimenti di capitale. Al fine di mitigare questo rischio le istituzioni finanziarie internazionali stanno incentivando i paesi emergenti ad adottare le cosiddette clausole di maggioranza nell'emissione di titoli pubblici.


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È stato inoltre potenziato il ruolo del Fondo monetario nella gestione delle crisi. Un importante processo in tal senso è stato fatto registrare durante le crisi coreana e brasiliana.
Con riferimento, infine, alla gestione del rischio e della liquidità, un certo grado di volatilità dei flussi di capitale è inerente al sistema finanziario internazionale ed è, in qualche misura, ineliminabile. Una prudente gestione del rischio consente, tuttavia, di limitare l'impatto delle variazioni dei tassi d'interesse e di cambio, ed in genere degli shock esterni, sull'ammontare del debito da ripagare.
La comunità internazionale, attraverso diverse iniziative, sta premendo affinché le autorità dei paesi emergenti adottino una prudente gestione del rischio e della liquidità su base nazionale aggregata, il che comporta, anzitutto, l'importanza di una prudente gestione del debito pubblico e delle riserve, da attuarsi attraverso l'allungamento delle scadenze e la riduzione del debito in valuta, l'indicizzazione del debito ai prezzi delle materie prime da cui il paese dipenda fortemente, l'approntamento di linee di credito supplementari, convenute con il sistema bancario. Sono necessari, poi, il controllo dell'esposizione del settore bancario, particolarmente in valuta, attraverso il rafforzamento della regolazione ed una vigilanza prudenziale, la trasparenza del governo societario nel settore privato, bancario e non, la messa a punto e l'applicazione di adeguate procedure fallimentari, l'adozione di standard contabili internazionalmente accettati, che possano consentire agli investitori un'informata valutazione del rischio e che permettano, per questa via, di ridurre la volatilità che deriva dalla carenza di informazione.
Sono queste le risposte, che hanno anche un contenuto molto tecnico, ai quesiti posti nell'interpellanza. Ovviamente, il testo è disponibile per un dibattito che credo debba proseguire, perché ne riconosco l'importanza. Nella mia introduzione su questi temi ho svolto alcune riflessioni di carattere generale ed immagino che, al di là dell'attività ispettiva svolta dal Parlamento, le occasioni di discussione non mancheranno su questioni così importanti.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Morgando.
L'onorevole Rallo ha facoltà di replicare.

MICHELE RALLO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, non sono soddisfatto della risposta fornita alla mia interpellanza; devo dire che la parte della risposta che mi ha maggiormente soddisfatto è la conclusione, quando il sottosegretario ha affermato che è convinto che i problemi sono tali da non poter essere liquidati soltanto con un'accettazione supina, necessitando di dibattito ed approfondimento.
La sua risposta, signor sottosegretario, è stata molto articolata e mi ha costretto a prendere una serie di appunti «volanti»; spero di poter proseguire il mio intervento in maniera non troppo slegata. Sostanzialmente, perché non sono soddisfatto della sua risposta? Perché, sia pure in maniera articolata e tecnicamente adeguata, lei ha risposto ad una serie di quesiti, mentre sarei stato felice - ma così non poteva essere - se lei mi avesse detto che sbagliavo, che non è vero che il rapporto tra la bolla speculativa ed il PIL mondiale è di 10 a 1, bensì di 1 a 1, di 2 a 1, di 3 a 1. In questo modo, sarei stato tranquillizzato sull'avvenire dell'Italia, dell'Europa, del mondo, per me e per le prossime generazioni; sarei stato tranquillizzato sul fatto che il mondo potrebbe non avere a che fare con una crisi che, invece, secondo me è sostanzialmente ineluttabile.
Cosa suggerisco, allora, molto modestamente, insieme con il collega Simeone? Non necessariamente il ritorno al gold standard; non sono un economista né una persona particolarmente ferrata in materia, ma non vogliamo per forza tornare al gold standard che, comunque, presentava un elemento di certezza rappresentato dall'ancoraggio a qualcosa di reale, di concreto: l'oro, le riserve auree.


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 11,45)

MICHELE RALLO. Se non vogliamo tornare al gold standard, torniamo a qualcosa che rappresenti l'economia reale. Eliminiamo questo fantasma che si aggira per il mondo nelle autostrade informatiche, attraverso l'etere, i satelliti, Internet e tutto il resto, che è un'economia che non esiste e che rappresenta un fatto altamente negativo per l'economia reale. Torniamo (ed ecco il riferimento a Bretton Woods e, se volete, anche al piano Marshall) a sostenere l'economia reale perché, attraverso un rilancio e uno sviluppo internazionale (non mi riferisco soltanto all'Italia), si possa cercare di costruire qualche cosa di concreto, perché l'economia è un fatto concreto: non è ideologia, ma è ciò con cui tutti i giorni noi, con le nostre famiglie e i nostri Stati, siamo costretti a fare i conti.
Queste sono le ragioni che ci spingono a chiedere l'introduzione di controlli su una finanza che non c'è. Ci rendiamo conto che i controlli sono - come diceva lei - complementari e non sostitutivi; devono essere e non possono che essere complementari, ma debbono esservi! Iniziamo con l'arginare questa sorta di anarchia finanziaria perché l'esplosione paventata - spero di sbagliarmi - di questa bolla speculativa possa almeno essere pilotata dagli Stati, dai Governi, dagli organismi internazionali che a ciò dovrebbero dedicarsi. Infatti, la bolla speculativa, quella che viene definita la finanza derivata e tutto ciò che crea questo moloc, questo mostro, che rappresenta in proporzione dieci volte quella che è l'economia reale del mondo, non è sostanzialmente altro che una colossale «catena di Sant'Antonio». Credo che tutti noi in gioventù abbiamo ricevuto quella famosa lettera nella quale comparivano le seguenti parole: caro amico, tu che ricevi questa lettera, manda mille lire a dieci indirizzi e gli intestatari degli stessi, a loro volta, manderanno mille lire a te e poi invieranno altre dieci lettere ad altri loro dieci amici. Onorevole sottosegretario, se ha ricevuto anche lei in gioventù questa lettera, ricorderà che, se lei ha risposto ad essa e se i dieci nominativi che ha coinvolto nell'operazione hanno fatto altrettanto, avrà inviato mille lire a chi le aveva spedito la lettera ed avrà ricevuto a sua volta diecimila lire dalle persone alle quali aveva inviato la «prosecuzione» della catena di Sant'Antonio; se lei, invece, avesse mandato quelle mille lire al mittente e non avesse ricevuto le altre dieci carte da mille da parte delle persone alle quali aveva indirizzato il suo appello a proseguire questa catena, quest'ultima sarebbe saltata. La nostra paura, signor sottosegretario, consiste proprio nel fatto che questa gigantesca catena di Sant'Antonio, rappresentata da quella bolla speculativa, prima o poi si possa interrompere; e quando si interromperà questa catena speculativa, non sapremo cosa potrà succedere nel mondo!
Cosa fare, oltre a quello che dicevo sui controlli che sono necessari su una finanza che non c'è e su di una finanza che è immorale? Colleghi, anche noi, come Italia, alcuni anni fa abbiamo subito un attacco speculativo che ad un certo punto si è fermato perché, a mio avviso, mettere in crisi l'economia italiana sarebbe stato qualcosa, dal punto di vista della informazione globale del mondo, di molto più pesante che non mettere in crisi, ad esempio, le economie della Malesia o dell'Indonesia. Subimmo quel poderoso attacco speculativo che mise in ginocchio l'economia italiana e i destini di un popolo intero, per consentire ad un finanziere internazionale (credo si trattasse di Soros) di guadagnare alcuni miliardi di dollari in pochi giorni. Credo che questo sia profondamente immorale: è profondamente immorale che si consentano (in nome della libertà dei mercati: questa non è libertà, ma è anarchia, che è una cosa molto diversa) guadagni assolutamente spropositati sulla pelle di intere popolazioni, siano esse europee o asiatiche.
Come vogliamo arginare questi fenomeni negativi? Chiedo scusa ancora una volta del modo di procedere piuttosto


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episodico dovuto al fatto che ho preso degli appunti «volanti» nel corso della risposta del sottosegretario. Dobbiamo cominciare a ripensare al nostro atteggiamento nei confronti delle istituzioni internazionali e nei confronti dell'Europa.
È inconcepibile che si risponda a questo stato di cose con una enorme zona di libero scambio (che provoca migliaia dei casi rumeni che citava poco fa il collega Conti) senza poter far nulla perché è un fatto che esiste e lo dobbiamo accettare. Dovremmo procedere, invece, secondo il mio modestissimo parere, all'individuazione di zone geopoliticamente e geoeconomicamente omogenee. Già l'Europa è un'area troppo ampia per una zona di libero scambio, figuratevi una zona di libero scambio che coinvolga, per esempio, l'altra riva del Mediterraneo con condizioni di mercato del lavoro che per noi sono impensabili! Sarei più propenso ad una Europa latina, diversa dall'Europa settentrionale e anche dall'Europa orientale, che ha altre condizioni economiche e sociali per creare maggiori occasioni di sviluppo, di arricchimento e di benessere in tutte queste zone. Non mi riferisco soltanto all'Europa, ma anche ai popoli di paesi industrialmente ed economicamente meno progrediti. Dunque, pensiamo a favorire una grande zona di sviluppo economico nel mondo arabo dove si produca per il mondo arabo, e non per creare concorrenza all'industria italiana, che non può reggere i costi del lavoro del mondo arabo! Ripensiamo anche alle istituzioni europee e a come esse attualmente sono!
Sono estremamente deluso. Non sono un euroscettico, ma un eurodeluso. L'Europa che abbiamo creato, di cui qualcuno mena gran vanto e che, fino a questo momento, oltre a non esistere come Europa e ad avere solo una struttura economico-monetaria, non ha una struttura politica, ha prodotto per la nostra economia e per le economie degli altri paesi un solo risultato: quello di farci comprare la benzina con un cambio euro-dollaro che equivale ad un cambio lira-dollaro di 2.100-2.200 lire. Prima di entrare in Europa il dollaro costava 1.600 lire. L'ingresso in Europa ci ha portato il grande vantaggio di pagare la benzina ad un cambio di 2.200 lire anziché di 1.600 lire! Rendetevi conto di che cosa rappresentino 600 su 1.600 lire: è qualcosa di enorme! Questa è soltanto la punta dell'iceberg.
Vi sono diversi aspetti, come diceva il sottosegretario. Vi è il problema dell'Europa, dell'occupazione, della previdenza, della finanziarizzazione dell'economia, della mondializzazione dell'economia, ma sono tutti discorsi collegati che muovono verso un'unica direzione: vantaggi spropositati per una minima oligarchia finanziaria! Questi vantaggi spropositati non vengono conseguiti investendo in attività produttive e nell'economia reale, ma vengono realizzati attraverso fenomeni speculativi sulla pelle dei popoli del mondo.
Ritengo che dobbiamo avere il coraggio di dire che sono fenomeni negativi che dobbiamo sforzarci in qualche modo di combattere.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Rallo.

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