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PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Conti n. 3-05513 (vedi l'allegato A - Interpellanze ed interrogazioni sezione 5).
PAOLO GUERRINI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Signor Presidente, con l'interrogazione dell'onorevole Conti andiamo nelle Marche. Vorrei dire all'onorevole Conti che mi sono occupato di questo problema anche quando ero al Ministero della difesa per i riferimenti connessi. Me ne ero occupato un po' perché lo avevo letto sui nostri
giornali marchigiani, un po' perché un'analoga interrogazione e una richiesta di interessamento mi erano state rivolte dal senatore Ferrante di Ascoli Piceno.
apponga sui capi militari confezionati in Romania l'etichetta made in Italy, in quanto tale condizione non è prevista nei relativi contratti di appalto.
PRESIDENTE. L'onorevole Conti ha facoltà di replicare.
GIULIO CONTI. Signor Presidente, non sono soddisfatto politicamente: si tratta di un discorso serio e, dal punto di vista sociale, è un fatto scandaloso. D'altro canto, non posso fare altro che ringraziare il sottosegretario per l'impegno che ha messo nell'opera di verifica della situazione, alla quale tuttavia vorrei apportare alcune puntualizzazioni.
rumeni: o questi rumeni non lavorano, non fanno nulla, oppure c'è qualcosa che non funziona.
PAOLO GUERRINI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Si fanno gare, non accordi!
GIULIO CONTI. Si fanno gare con chi? La gara è come il diritto ad accaparrarsi commesse sull'immondizia: bisogna vedere cosa si scrive nella gara.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Conti.
GIULIO CONTI. Nella gara si può scrivere tutto, anche cose indecenti o immorali, passibili di pena.
Il sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale ha facoltà di rispondere.
Abbiamo fatto «ritrovo» al lavoro e devo rispondere ad un'interrogazione che riguarda un fatto di cui, sia pure lateralmente, mi ero occupato alla difesa per verificare alcuni aspetti che lei solleva nell'interrogazione. Non posso rispondere per il Presidente del Consiglio sulle dichiarazioni che ha fatto sostenendo che non è possibile che un'impresa che avesse conseguito appalti per la difesa italiana potesse poi portare all'estero le proprie lavorazioni o su altre dichiarazioni similari. C'è stato un interessamento ed una richiesta del Presidente del Consiglio alla difesa, ma noi dobbiamo corrispondere alle richieste sulla base delle leggi in vigore e quindi anche sulla base delle leggi che esaltano il mercato. Si espletano gare internazionali alle quali concorrono le ditte che ne hanno titolo; le stesse ditte che possiedono quei requisiti (è il caso della ditta di cui ci occupiamo questa mattina) possono decentrare le proprie attività. Per questa ragione, anche se è inaccettabile, da un punto di vista di una coscienza sociale media (non dico estrema), anche se moralmente possiamo sentirci colpiti da determinati comportamenti, è evidente che essi traggono la loro possibilità di esercitarsi dagli aspetti che sono propri dell'economia di mercato, che vengono regolati dalle leggi che adesso le dirò. La ditta Piceno manifatture non sfugge a questa regola.
Attualmente essa è composta da uno stabilimento in Ascoli con sessantasei lavoratori occupati, adibito all'attività di modellazione, taglio, controllo qualità, immagazzinamento, spedizione, oltre all'amministrazione dell'impresa, e da un laboratorio sito in Romania con circa cinquecentocinquanta lavoratori occupati. Esso è stato costituito nel 1997 e ivi si provvede al confezionamento, sulla base dei pezzi già tagliati nello stabilimento di Asti, alla stiratura e all'imballaggio delle divise militari da consegnare. Per il controllo qualità, l'immagazzinamento e la spedizione si fa capo alla sede di Ascoli Piceno. Quindi, prima si fa il taglio, poi la spedizione, l'assemblaggio e, infine, l'immagazinamento passando per le diverse sedi produttive di questo gruppo industriale.
La procedura di mobilità, attivata dalla Piceno manifatture con la comunicazione del 10 gennaio 2000, si è conclusa in data 7 aprile 2000, con un accordo in base al quale, dal 10 aprile 2000, è stato dato corso ad un programma di ristrutturazioni, con richiesta di intervento della cassa integrazione guadagni straordinaria riguardante 54 unità lavorative, con possibilità per l'azienda di procedere alla collocazione in mobilità incentivata di 14 dipendenti. In alternativa all'incentivo, l'azienda si adopererà - questo l'impegno - per rendere disponibili opportunità di ricollocazione. Attualmente risultano individuati 16 operai da collocare in cassa integrazione guadagni straordinaria a zero ore e 19 operai da collocare in cassa integrazione guadagni straordinaria in mobilità incentivata.
Per quanto riguarda il divieto di subappaltare le commesse ministeriali, non risulta tecnicamente configurabile l'ipotesi di subappalto nel caso delle lavorazioni svolte nel laboratorio con sede in Romania, in quanto tale stabilimento produttivo fa comunque capo ad un unico assetto proprietario.
Circa i macchinari presenti nell'unità locale rumena della Piceno manifatture, non risulta che la ditta abbia provveduto a trasferire all'estero i macchinari ancora vincolati dal contributo pubblico a suo tempo ricevuto. Forse lei, onorevole Conti, alludeva anche ai macchinari che sono stati acquisiti dalla cassa del Mezzogiorno e utilizzati, ancora oggi, dallo stabilimento di Ascoli. Si tratta di un elemento che, anche per me, resta da approfondire perché, dire - come io dico - che allo stato ciò non mi risulta, non significa escludere che sia possibile; mi riservo, quindi, un ulteriore approfondimento il cui esito, poi, naturalmente, le verrà comunicato, come ritengo doveroso. Non è risultato, poi, che la ditta Piceno manifatture
Infine, la ditta Piceno manifatture risulta in possesso dal 23 marzo del 1999 di certificato di qualità ISO 9002 per la produzione di abbigliamento civile e militare su specifica del committente. Le faccio presente che, quando mi trovavo alla difesa, avevo sollecitato una serie di esercizi e di controlli e l'ufficio tecnico di Verona, su mia richiesta ed anche su sollecitazione dell'allora Presidente del Consiglio, ha eseguito controlli all'estero, al fine di verificare se venisse praticato il subappalto. Gli esiti sono stati quelli che le ho ricordato prima: l'attività è del tutto in regola anche se, socialmente e moralmente, dal mio personale punto di vista e credo anche dal suo, abbiamo opinioni diverse. Oggi, 6 giugno, iniziano le lavorazioni per un nuovo lotto di appalti, per il quale è previsto anche in questo caso il taglio ad Ascoli e il confezionamento all'estero. Tuttavia, questa attività non risulta come decentrata, perché, come si è detto, si tratta della stessa ditta che ha sedi diverse.
Noi continueremo ad esercitare i controlli necessari, nell'ambito delle possibilità date - che sono quelle delle leggi di mercato e della legislazione vigente -, in modo da far sentire sull'impresa un'attenzione ed un controllo esigente, affinché essa sia indotta a comportamenti virtuosi nei confronti dei lavoratori e della nobile città di Ascoli.
Attualmente si prevede il licenziamento di 54 dei 66 lavoratori impegnati, dei quali lei ha parlato, e, quindi, ne resterebbero dodici. Poiché i numeri non sono una pia illusione, se noi consideriamo che comunque dovrebbero restare in sede gli amministratori, i magazzinieri ed i tagliatori, questi dovrebbero essere tutti miracolati da Dio per fare un lavoro che da Ascoli Piceno, in cui verrebbe effettuato il taglio, verrebbe poi trasferito in Romania, dove 550 dipendenti completerebbero un lavoro che verrebbe infine assemblato in Italia. Questi dodici lavoratori sarebbero, quindi, enormemente più impiegati, bravi ed utili di tutti i 550 rumeni, che farebbero il resto del lavoro, cioè la gran parte di esso, altrimenti non sarebbero stati impegnati e assunti in Romania.
Dalla valutazione di questi numeri si evince che qualcosa non funziona. Per portare la produzione di 550 dipendenti nel deposito ascolano ci vorrà qualche magazziniere; ci vorrà qualche tagliatore per tagliare tutto il materiale che poi verrebbe rielaborato in Romania; vi sarà poi qualche amministratore, qualche ragioniere, qualche addetto al computer. Come farebbero dodici persone a fare tutto questo lavoro per i 550 rumeni? Noi crediamo che sotto vi sia una grande truffa, un grande imbroglio.
Per quello che riguarda i macchinari, signor sottosegretario, è vero che una parte di essi o forse tutti sono in sede, ma grazie all'occupazione della fabbrica da parte delle lavoratrici, che hanno impedito l'esportazione anche dei macchinari acquistati con i contributi della cassa per il Mezzogiorno, come accade in tante aziende del Tronto e del Lungotronto - lei dice di conoscere la vallata del Tronto nelle Marche ed io debbo dargliene atto -, così come in tutto il distretto del Fermano, in cui per il settore delle calzature sta accadendo la stessa cosa che si sta verificando nelle zone vicine nel settore manifatturiero.
Questo modo di girare intorno ai problemi, richiamandosi alla globalizzazione, secondo me è scandaloso, perché non è possibile che dodici persone residue riescano a preparare e poi a rielaborare tutto ciò che viene prodotto da 550
Per quanto riguarda la questione del made in Italy, non so se sulle divise dei carabinieri sia riportata tale etichetta - ci si appiglia anche a questo -, ma è uno scandalo che lo scorso anno 13 miliardi di fatturato per l'Arma dei carabinieri siano stati prodotti in Romania, in base alle leggi di mercato - sulle quali non voglio entrare nel merito - ed è profondamente immorale far svolgere all'estero questo lavoro per l'esercito, dicendo che viene fatto, assemblato e cucito in Italia, mentre in realtà accade un'altra cosa. Esso viene, infatti, prodotto tutto all'estero e poi, quando va bene, qui si cuciono gli orli alle camicie o, se si tratta di scarpe, al massimo si fanno i buchi e si mettono i lacci, mentre il resto viene fatto all'estero e poi viene chiamato made in Italy.
Forse sulle divise dell'Arma dei carabinieri non ci sarà la scritta made in Italy ma per tutta l'altra produzione proveniente dalla Romania (non mi riferisco solo al vestiario) certamente accade così.
Se si continua su questa strada, tutta l'attività imprenditoriale piccola e media delle Marche (una delle regioni italiane, insieme al Veneto, ad alta concentrazione di questo genere di attività) finirà non solo per gli italiani ma anche per i lavoratori extracomunitari che in grandissimo numero sono impegnati in queste aree che rischiano di diventare zone di disperazione.
Sono sindaco di un paesino con 2.600 abitanti italiani e 330 extracomunitari, tutti impiegati. Questo significa che con la localizzazione in Romania della produzione a pieno ritmo vi saranno grossi conflitti sociali perché i primi ad andare a spasso saranno proprio gli stranieri.
Mi domando se il Governo si sia posto questo tipo di problematiche che non riguardano solo la globalizzazione e il libero mercato perché si tratta del «libero sfruttamento» del lavoratore in Italia e del «libero sfruttamento» del lavoratore all'estero.
Io vorrei sapere chi firmi questi accordi, se essi vengano sottoscritti a vantaggio del lavoro, del lavoratore, dell'economia globale, dell'Unione europea, del lavoro italiano, dei diritti dei lavoratori stranieri o di chi specula su tutto questo.
Accetto l'assicurazione che controllerete ancora. Mi auguro che ciò sia vero e mi auguro che il lavoro degli italiani venga salvaguardato perché non si può affermare che dodici italiani producano per 550 persone e viceversa perché significa prendere in giro le persone. Dico questo anche in riferimento alle dichiarazioni che fece l'allora Presidente del Consiglio D'Alema garantendo piena occupazione perché mi sembra che quelle parole valgano anche per l'attuale Governo.