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PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
GIOVANNI MELONI, Relatore. Signor Presidente, innanzitutto le chiedo l'autorizzazione, se possibile, a pubblicare il testo integrale della relazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna, perché, dato l'argomento, il tempo assegnato, a mio parere, è insufficiente per tentare, non dico di esaurire, ma almeno di affrontare l'insieme di problemi che il provvedimento pone.
generale, un'illegalità diffusa. Alcuni studiosi hanno calcolato che, includendo vari aspetti di illegalità - quindi non solo di illiceità, ma di illegalità in generale -, non meno di 25 milioni di soggetti sono interessati da atti non legittimi, comprendendovi naturalmente evasori fiscali, coloro che commettono reati finanziari ed altri soggetti di questo genere.
valutare attentamente i limiti posti dalla legge per l'ammissione a tale istituto. In particolare, si è osservato che, mentre le motivazioni dei provvedimenti che non concedono il beneficio sono in generale assai dettagliate - e se ne comprendono le ragioni -, non può dirsi altrettanto per le motivazioni dei provvedimenti che invece dispongono l'ammissione a tale beneficio. Si è perfino potuto rinvenire qualche autorevole parere della Suprema Corte che ha ipotizzato non esservi bisogno di una motivazione nel caso in cui l'imputato non ne abbia fatto esplicita richiesta. Insomma, in questi casi, talvolta assai limitati, sarebbe invalso, per quanto attiene alla motivazione, l'uso di clausole di stile che non consentono di cogliere l'iter logico percorso dal giudice.
sbilanciate nel senso di un vistoso aumento delle pene. La soluzione adottata consiste nella trasformazione delle due fattispecie aggravate di furto in figure autonome del reato, senza un aggravio della pena edittale rispetto alla previsione vigente, ma con l'effetto di escludere il meccanismo della comparazione tra aggravanti ed attenuanti per il reato base. Tale soluzione suggerisce il fatto che, tra i reati della criminalità diffusa, il furto in abitazione e lo scippo sono certamente quelli che producono sulla persona un impatto anche psicologico assai pesante. Infatti, entrambi colpiscono per lo più persone che non possono difendersi, perché non possono difendere la propria abitazione o si trovano, a causa dell'età o di altre condizioni, in uno stato di minore capacità reattiva.
PRESIDENTE. Onorevole Meloni, nel pregarla di concludere, la Presidenza consente, come d'altronde lei stesso aveva chiesto fin dall'inizio, la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del testo integrale del suo intervento.
GIOVANNI MELONI, Relatore. Signor Presidente, mi avvio senz'altro alla conclusione.
superiore coordinamento che qui si propone di iniziare a realizzare almeno in periferia.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
MARIANNA LI CALZI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il testo del provvedimento relativo alle misure da adottare a tutela della sicurezza dei cittadini, così come risulta dall'ultima formulazione e dall'illustrazione del relatore, rappresenta un punto di equilibrio tra le diverse posizioni che si sono registrate all'interno della stessa maggioranza e tra la maggioranza e l'opposizione.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Ringrazio i colleghi che mi hanno consentito di intervenire ora.
scosso ed anche preoccupato di fronte agli ultimi eventi; un paese scosso e preoccupato che si chiede cosa facciano il Parlamento ed il mondo politico. Di fronte al diffondersi della criminalità non possiamo rispondere: «Il Parlamento litiga; il Parlamento rinvia», ma è il momento in cui, come ricordava poco fa il rappresentante del Governo, il Parlamento deve decidere. Questa decisione può rappresentare un messaggio di serenità ai cittadini e di fermezza alle bande criminali.
autostradali, apparati per il controllo dei container, il prolungamento dell'orario di apertura delle stazioni dell'Arma dei carabinieri, la ricezione a domicilio delle denunce presentate da anziani e disabili, la sperimentazione del braccialetto elettronico per chi è agli arresti domiciliari, centinaia di nuovi automezzi stradali e di elicotteri, nuove sale operative nelle stazioni ferroviarie, radar mobili per l'individuazione notturna dei contrabbandieri e di chi traffica esseri umani, nuovi fuoristrada blindati, soprattutto in Puglia.
verificatosi in Calabria e ciò che è avvenuto e sta accadendo in Puglia, sia il fatto che non si può operare una separazione così netta - che nella realtà non si trova con questa nettezza - tra la cosiddetta macrocriminalità e la cosiddetta microcriminalità. I legami sono molto stretti: basti pensare al circuito del traffico illegale di droga o alla presenza nel nostro territorio di mafie straniere.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borrometi. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORROMETI. Discutiamo di un provvedimento molto atteso dall'opinione pubblica per via del dibattito che lo ha accompagnato e in qualche modo anche enfatizzato e perché si pone l'obiettivo di corrispondere ad una esigenza molto avvertita dai cittadini, la cui domanda di sicurezza - specie nelle aree urbane - è sempre più forte.
l'obiettiva portata positiva, il dato innovativo di quella legge. È stato deciso che non è questa la sede per affrontare tali questioni. Noi siamo assolutamente rispettosi di tale decisione; ribadiamo però che si tratta di questioni che non possono essere eluse e che andranno riprese. L'occasione può essere costituita dalla proposta di modifica della legge Simeone, già trasmessa dal Senato.
arenato il codice di procedura penale del 1989 con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti, specie per quanto concerne la durata dei processi. Non è ipotizzabile che tale durata possa ridursi se non si riesce a fare in modo che i riti alternativi funzionino, così come era nell'originario disegno del codice. Se deve essere il dibattimento a fronteggiare tutti i processi, è inevitabile che le conseguenze siano quelle che abbiamo di fronte.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marotta. Ne ha facoltà.
RAFFAELE MAROTTA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, egregi colleghi, viene all'esame dell'Assemblea il provvedimento avente il seguente titolo: «Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini», meglio
noto come «pacchetto sicurezza», che il Governo ha presentato alla Camera con un disegno di legge il 20 aprile 1999. Di tale pacchetto sicurezza il Governo mena vanto, qualificandolo quasi come un toccasana che, se tempestivamente approvato, avrebbe risolto tutti i problemi della sicurezza dei cittadini ed avrebbe evitato - sempre secondo quanto si dice - gravi fatti, specialmente quelli degli ultimi giorni.
GIOVANNI MELONI, Relatore. Sì, è vero.
RAFFAELE MAROTTA. Ebbene, ad un certo punto ho avvertito la stessa impressione che ebbi con la Commissione bicamerale per le riforme istituzionali: all'epoca, l'onorevole Boato dovette presentare tre o quattro bozze di proposta, ma non per sua colpa, in quanto sappiamo tutti che egli è un illustre costituzionalista: la confusione è nella maggioranza! Vi è contrasto tra il ministro dell'interno e il ministro della giustizia, è inutile discutere. Invece, si dice che la colpa è dell'opposizione; ebbene, se vogliamo far ridere, diciamo pure così.
si riesce a trovare l'autore del crimine; il 95 per cento dei reati rimane opera di ignoti. Questa statistica si basa sulle denunce.
LUIGI SARACENI. Meno male!
RAFFAELE MAROTTA. Caro collega Saraceni, ti pregherei di intervenire dopo, perché fai sempre l'oppositore: sposi una tesi o l'altra a seconda dei casi (Commenti del deputato Saraceni). Quante volte hai detto con me che questo provvedimento è quasi inutile? Hai detto che è inutile, ma non dannoso. Questa è la verità.
LUIGI SARACENI. Dico in pubblico ed in privato le stesse cose.
RAFFAELE MAROTTA. Devi dire la verità, collega Saraceni.
LUIGI SARACENI. La dico, non ho bisogno dei tuoi richiami.
RAFFAELE MAROTTA. Sto parlando non già da politico, perché non sono un politico, ma da modesto cittadino che si trova qui per caso e che ha a cuore le sorti della sicurezza dei cittadini. Questa è la verità. Sono un modestissimo tecnico, un umile tecnico, che però qualche cosa la sa e la dice.
situazione è preoccupante, allora la pena deve intervenire, altrimenti chiudiamo tutto, senza stare qui a perdere tempo. Allora, se la pena deve essere comminata, è necessario che, in quei pochi casi in cui questa viene inflitta, il colpevole (dichiarato tale a seguito di un procedimento e con tutte le garanzie del caso) effettivamente la sconti. Purtroppo, oggi non è così. Mi permetto di osservare che con molta facilità vengono concessi i benefici della legge Gozzini e questo non lo dico solo io, lo hanno detto tutti, anche esponenti della maggioranza, quando si sono verificati determinati fatti. Sui giornali cosiddetti orientati a sinistra ci si chiedeva come fosse possibile tutto ciò e chi avesse concesso certi benefici. Articoli di questo tenore sono apparsi non solo su il Giornale o su Il Foglio, ma anche su la Repubblica e su tutti i quotidiani che certamente non sono orientati verso il centrodestra. Questi benefici vengono concessi con molta facilità.
Oggi, ad esempio, il ministro dell'interno ha disposto l'invio di 2.000 uomini e di mezzi blindati. Evidentemente le disposizioni ci sono ma ce ne ricordiamo soltanto quando la gente muore. Si sapeva da tempo che in Puglia imperversa il fenomeno del contrabbando, ma nessuno si è mai preoccupato di niente.
a modificare e a migliorare il provvedimento. Lo faremo ancora perché abbiamo discusso gli emendamenti fino all'articolo 10, dopodiché noi stessi abbiamo detto di concluderne l'esame e di esaminare gli altri aspetti in un secondo momento. Speriamo che se ne parli perché gli emendamenti devono essere presentati entro le 9 di mercoledì prossimo e ancora non abbiamo neanche il testo del provvedimento, o meglio, io ne possiedo una bozza non corretta.
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Marotta.
RAFFAELE MAROTTA. Mi limiterò al provvedimento di custodia cautelare. Parliamoci chiaro: si tratta di un provvedimento che non condivido, perché, quando risultino insussistenti le esigenze cautelari, si deve applicare necessariamente la misura cosiddetta cautelare, in quanto il giudice «applica», non «può applicare», non emette giudizio. Vi è quindi un'inversione dell'onere della prova, ma questo sarebbe niente, perché a mio avviso in tal modo la misura cautelare viene completamente snaturata e vi è una anticipata esecuzione della sentenza di condanna. L'articolo 307 del codice di procedura penale, di cui parlava l'onorevole Borrometi, presuppone la prova che deve fornire l'accusa, ossia il pubblico ministero il quale chiede la misura cautelare. Devi essere tu, cioè, a provare che esistono le esigenze cautelari, altrimenti dobbiamo introdurre una modifica e prevedere che la sentenza di primo o di secondo grado, conforme a quella di primo grado, è esecutiva. Se però riconduciamo questa misura nell'ambito di quelle cautelari, dobbiamo fare onere all'accusa, che chiede la misura, di fornire la prova della sussistenza del pericolo, che poi è solo quello di fuga. Cosa può fare infatti il condannato? Non può modificare le
prove, né può inquinarle, perché ormai quelle prove sono state acquisite ed è sulla base di esse che è stata emessa la condanna.
PRESIDENTE. Onorevole Marotta...
RAFFAELE MAROTTA. Una parola, Presidente, sto concludendo. Purtroppo, si tratta di una questione importante, su cui dobbiamo riflettere.
GIOVANNI MELONI, Relatore. No, è il contrario.
RAFFAELE MAROTTA. È il contrario. Direttamente per Cassazione, senza l'appello. «In tale caso, l'appello si converte in ricorso e le parti devono presentare entro quindici giorni (...). La disposizione del comma 1 non si applica» - il ricorso per saltum, quindi, non si può fare - «nei casi previsti dall'articolo 606 comma 1 lettere d) e e)». Ecco perché il secondo comma dell'articolo 311 prevede il ricorso solo per violazione di legge: perché avviene per saltum, non c'è il riesame né l'appello. Quindi, l'attuale disposizione è conforme ai principi. Ricordo peraltro - io non facevo parte del Comitato ristretto - che l'onorevole Meloni faceva proprio questa osservazione, chiedendo perché nel secondo comma si parli di ricorso per violazione di legge e nel primo solo di ricorso per Cassazione sic et simpliciter. La ragione è questa: nel primo comma si prevede l'appello e la decisione del riesame; nel secondo caso, invece, c'è il ricorso diretto per Cassazione, che non si può proporre, perché se si vuole un giudizio di merito, si ricorre in appello ed allora si discuterà del fatto.
PRESIDENTE. Onorevole Marotta, la prego!
RAFFAELE MAROTTA. Devo concludere, augurandomi che in seno al Comitato dei nove, in armonia tra noi (trattandosi di questioni tecniche), le tematiche vengano ben esaminate, perché c'è qualcosa che non va e bisogna evitare che il provvedimento sia un topolino partorito da una montagna, altrimenti deluderemmo la gente. Ciò è stato affermato da Grevi, non da me; io mi limito a riportare i giudizi di persone molto superiori a me.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Parenti. Ne ha facoltà.
TIZIANA PARENTI. Signor Presidente, anche per il tempo a mia disposizione, sarò necessariamente breve. Vorrei passare in rassegna il modo in cui è nato il provvedimento in esame, quale titolo aveva e quale titolo ha assunto, perché ciò dà un po' il senso di cosa sia stato fatto e delle trasformazioni che esso ha via via subito.
criminalità diffusa; nella comunicazione pubblica, esso è diventato il cosiddetto «pacchetto sicurezza».
Questi sono i provvedimenti che indirettamente e in modo positivo potrebbero ridurre la criminalità diffusa e consentirebbero poi di far concentrare le forze di polizia su obiettivi che garantissero davvero la tutela dei cittadini. Ovviamente, tutto ciò non era compreso nel testo del Governo e non è contenuto neppure nel testo di legge al nostro esame: a me, personalmente, dispiace molto! Sappiamo che non è obbligatorio dare la sospensione condizionale; poi, se viene data, quando non si deve dare, credo che noi non ci possiamo fare nulla, poiché è un fatto di responsabilità personale di chi opera diversamente da quanto è previsto dalla legge. Questo discorso vale anche se si dice che la Cassazione decide in ordine al merito, anziché alla legittimità: questo è un problema della Cassazione e non un problema nostro perché il codice stabilisce che quest'ultima decida sulla legittimità e non sul merito.
PRESIDENTE. Onorevole Parenti, il tempo a sua disposizione è terminato. La prego pertanto di avviarsi alle conclusioni.
TIZIANA PARENTI. Presidente, mi rendo conto di avere poco tempo, ma lei ne ha dato un po' di più a tutti. Le chiedo quindi due minuti di tempo per consentirmi di concludere l'intervento.
microcriminalità. Il resto è un tentativo eroico da parte del relatore di arrivare ad un minimo di prevenzione o, per meglio dire, di repressione della microcriminalità. Credo che il Comitato dei nove dovrà quanto meno rivedere queste norme, perché non creino più danni di quanti già non si producano.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Copercini, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
MASSIMO SCALIA. Signor Presidente, colleghi, riguardo al provvedimento al nostro esame oggi, non posso tacere che si tratta di un intervento legislativo reclamato a gran voce, per così dire, dall'opinione pubblica. La decisione definitiva di proporlo alle Camere, infatti, è stata presa essenzialmente sull'onda di eventi gravi, ma circoscritti, avvenuti ormai un anno fa. Certo, oggi, con i fatti accaduti nei giorni scorsi, veramente molto gravi, potrebbe sembrare che il provvedimento abbia una sua particolare attualità, anche se - come hanno già ricordato colleghi intervenuti prima di me - in quegli episodi ci si è trovati di fronte ad agenti che stavano svolgendo esattamente le loro funzioni; risulta dunque difficile sostenere che lo Stato era assente. Ma indubbiamente credo che questi episodi motiveranno colleghi parlamentari e forse lo stesso Governo a proporre modifiche a questi interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini, come è chiamato per esteso il cosiddetto pacchetto sicurezza.
Elencherò, quindi, alcune delle modifiche che sono state introdotte per, diciamo così, portare acqua al mio mulino. Vengono modificate, innanzitutto, alcune disposizioni del codice penale, in particolare viene modificato un presupposto per la concessione della sospensione condizionale della pena: si tratta, come è ampiamente noto in quest'aula in cui siedono insigni cultori della materia, di un istituto assai antico, che se non ricordo male risale al 1904. Questa modifica, che tenta di responsabilizzare il giudice che decide sulla misura, porterà auspicabilmente ad una maggiore personalizzazione della decisione, sottraendola agli automatismi da molti lamentati.
un invito ad abbinare al disegno di legge governativo, oltre alle varie proposte unificate nel testo di legge al nostro esame, anche proposte volte ad introdurre nel codice penale alcune fattispecie di delitto contro l'ambiente. Tali proposte, peraltro, riprendono i contenuti di un testo elaborato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti - le cosiddette ecomafie - da me presieduta, che già nella precedente legislatura, tenendo conto delle indicazioni dell'ONU in materia, aveva segnalato la questione. Nell'attuale legislatura è tornata a discutere sull'argomento ed ha approvato all'unanimità, ormai da quasi due anni - lo voglio sottolineare - un documento con un articolato che verrà riproposto in questa sede, con i relativi emendamenti. Nell'invito alla presidente Finocchiaro Fidelbo segnalavo che la sicurezza di una comunità deriva, oltre che da fattori culturali e di bonifica sociale, anche dal controllo effettivo che gli organismi statali preposti esercitano sul territorio. Le nostre regioni saranno tanto più sicure quanto più gli enti deputati avranno presa su tutti i momenti della vita quotidiana che incidono sul libero svolgersi delle relazioni sociali. In tale contesto, vale la pena ripeterlo, il controllo del territorio e il governo dell'ambiente sono aspetti strettamente connessi; l'aggressione criminale alla salubrità dell'ambiente e alla salute stessa delle persone, con possibili ripercussioni gravissime, è un attacco portato al senso di sicurezza, alla sicurezza dei cittadini che vivono in queste condizioni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mantovano. Ne ha facoltà.
ALFREDO MANTOVANO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi: «il Governo può proporre, ma è il Parlamento che decide e non sempre è così rapido, anche perché impegnato in polemiche che, nei paesi civili, si risolvono in mezza giornata. A volte ci sono indecenti chiacchiericci politici, polemiche inutili. Bisogna approvare questi provvedimenti, ce ne è bisogno per dare una risposta alla domanda di sicurezza dei cittadini». L'autore di queste dichiarazioni di due giorni fa è il Presidente del
Consiglio, con il quale mi permetto di concordare in pieno: troppe chiacchiere sono state fatte sulla sicurezza. Tuttavia, forse è necessaria qualche precisazione sulle fonti delle chiacchiere. La storia di questo pacchetto è già di per sé significativa: immaginato o concepito nel gennaio del 1999, viene dato alla luce, dopo tre mesi di travaglio inenarrabile, attraverso la presentazione di un disegno di legge del Governo, ma resta nell'incubatrice per altri tre mesi prima di essere iscritto all'ordine del giorno della Commissione giustizia della Camera, e viene - ahimè - ammazzato nella culla dal relatore, il quale lo accoltella in ogni passo del corpo del testo stesso. Esso viene resuscitato dopo l'estate con un testo del tutto nuovo, che poi conosce successive rielaborazioni, fino a trovarci di fronte ad una accelerazione improvvisa negli ultimi giorni, se non nelle ultime ore - quasi in ossequio a quella legge della fisica, che afferma: motus in fine velocior - e approda in quest'aula senza alcun approfondimento sui punti di maggior peso in esso contenuti.
Alleanza nazionale, il quotidiano l'Unità. È dunque una fonte del tutto insospettabile quella che conferma ciò che mi sforzavo di dire poco fa, ma la conferma ulteriore è nei fatti: basti ricordare le proposte che la sinistra ha fatto approvare, anche solo parzialmente, o che comunque ha mandato avanti in questa legislatura. Ne elenco qualcuna, perché la lista sarebbe molto più lunga. Innanzitutto, vi è l'abolizione dell'ergastolo, di cui fu sponsor il ministro Diliberto, che ora - credo per un senso elementare di pudore - afferma non essere più una priorità del Governo; tuttavia, la proposta è già passata al Senato. Vi è poi l'abolizione dell'ergastolo, già realizzata in caso di accesso al rito abbreviato: si tratta della legge Carotti. Vi è inoltre la proposta di indulto per i terroristi, che è stato il primo provvedimento all'ordine del giorno della Commissione giustizia della Camera in questa legislatura. Vi è poi la proposta di legalizzazione dello spaccio di droga: grazie a Dio, non è legge ma è, comunque, l'intento della principale forza della coalizione di Governo, basta pensare all'ordine del giorno approvato dal congresso dei Democratici di sinistra. Inoltre, vi è la maxisanatoria dei clandestini, ancora in corso a partire dal 1998, nonché l'affievolimento dell'articolo 41-bis del codice penale, relativo al carcere duro per i mafiosi, deciso da oltre due anni con la cosiddetta circolare Margara. Vi è stata poi l'eliminazione dei corpi speciali di polizia, decisa due anni fa con le direttive Napolitano e, da ultimo, sta per essere partorita dalla Camera dei deputati la normativa recante generosi congedi parentali per detenute e per detenuti con figli al di sotto dei dieci anni (un po' oltre l'età dello svezzamento). Per contro, non esiste un solo provvedimento che vada nella direzione opposta, ovvero in quella di un rigore maggiore.
ovvero dall'inizio del Governo Dini. Da quel momento, tanto per cominciare, vi è stata la perdita secca di 30.000 unità, tra effettive e virtuali, all'interno delle forze dell'ordine. Un decreto legislativo del 30 aprile 1997, nell'esercizio di una delega contenuta nella legge finanziaria dello stesso anno, aveva incentivato il prepensionamento delle forze dell'ordine con venticinque anni di anzianità, spingendo alle dimissioni migliaia di unità (quantificate in circa 15.000) in tutta Italia; di fatto si trattava delle migliori unità, perché alle energie fisiche intatte affiancavano un'esperienza di tutto rispetto. Il contratto collettivo nazionale del settore delle forze dell'ordine, riducendo l'orario ordinario e gli straordinari, ha provocato una contrazione virtuale che la Commissione parlamentare antimafia ha quantificato in circa 11.000 unità: siamo, quindi, a quota 26.000 unità. La legge finanziaria per il 2000 assicura l'assunzione di 5.000 nuove unità, ma i tempi saranno lunghi in quanto è necessario bandire il concorso, espletarlo, nominare i vincitori e addestrarli; quindi, passerà del tempo e si andrà certamente oltre questo esercizio finanziario. La stessa legge finanziaria, con immediata operatività, ha invece disposto l'abbattimento dell'1 per cento di tutto il comparto della pubblica amministrazione, incluso quello delle forze dell'ordine. La coperta è stretta e si è ristretta ulteriormente grazie alle decisioni della sinistra di Governo, per cui quando viene tirata da una parte inevitabilmente scopre l'altra. Viene allora da chiedersi, a proposito delle 1.900 unità che il Governo ha mandato in Puglia in funzione anticontrabbando: ma da dove sono state tolte? Come pugliese sono ben lieto che vengano nella mia regione, ma come italiano mi chiedo quali zone del territorio nazionale siano state sguarnite, posto che l'organico è, complessivamente, sempre lo stesso. Viene poi da chiedersi quanto resteranno in Puglia e quanto continuerà il Governo in questa politica, che ha una lunga tradizione, perché si radica in una famosa circolare della regia marina delle due Sicilie, ricordata con la frase «facíte ammuina», nel senso di prendere forze da una parte e spostarle dall'altra. Quello che serve è un incremento complessivo ed effettivo degli organici, non spostamenti dettati dalla suggestione del momento.
volta commessi: quando va bene, ci si trova di fronte alla repressione di delitti già consumati. Prevenzione significa controllo del territorio, significa, ripeto, strumenti adeguati. È simbolica quella FIAT Punto mandata a fronteggiare un blindato con i rostri ed è inutile dire «adesso provvederemo, adesso manderemo...»; di fatto, c'è chi ha mandato quattro giovani in una FIAT Punto contro un blindato. Non dovrebbero essere necessari i morti per capire quanto sia forte questa sproporzione! Prevenzione significa, in senso stretto, attivazione delle misure preventive, soprattutto di quelle patrimoniali: perché ne vengono attivate così poche? Perché le statistiche delle singole questure riportano dati così bassi, a differenza di quanto avveniva una decina di anni fa? Le misure di prevenzione patrimoniale avrebbero un'efficacia notevolissima, perché puntano all'individuazione dei capitali di origine illecita, alla sequela dei flussi finanziari sospetti. Chiedo allora al ministro Visco, che è così prodigo di esternazioni in queste ore: ma perché la Guardia di finanza viene mandata, in base ai suoi ordini, a «massacrare» i commercianti o i piccoli imprenditori, per effettuare accertamenti che potrebbero essere tranquillamente svolti dagli uffici delle imposte, e non viene invece incaricata di seguire quei flussi finanziari che costituiscono il terreno di coltura retrostante alla criminalità di ogni tipo?
«Chiederò al Governo che il disegno di legge sul contrabbando sia discusso come emendamento al pacchetto sicurezza». È ovvio che, se saranno ritenuti ammissibili gli emendamenti del Governo al pacchetto sicurezza, a maggior ragione dovranno esserlo i nostri, revocando una decisione che è sostanzialmente inammissibile.
intorno, è costituito dall'ingresso in una privata dimora o nelle appartenenze di essa. Non si potrà impedire a nessun giudicante di ritenere questo satellite per ciò che esso è effettivamente, ossia una circostanza del reato, anche alla luce dell'esplicito richiamo, nel comma 2 del nuovo articolo 624-bis, ad un'altra circostanza, quella dello scippo, che viene individuata appunto come circostanza (non vi è cioè daccapo la descrizione di un comportamento che si assume essere autonomo).
suoi interventi e le sue proposte su questa consapevolezza. Confermo, in questa sede, alla maggioranza e al Governo la sua piena disponibilità ad individuare le misure più adeguate per prevenire e per contrastare i crimini di ogni tipo. Si augura un atteggiamento diverso e non inutilmente «blindato» del Governo e della maggioranza. La «blindatura» è sempre odiosa, ma in questo caso è meno tollerabile per due ragioni: in primo luogo, perché ci sentiamo tutti responsabili della sicurezza dei cittadini; in secondo luogo, perché la «blindatura» non ha senso quando circondi qualcosa che non vale la pena di proteggere. State facendo barricate attorno ad una scatola senza contenuti, volete montare di guardia a un bidone di benzina che, peraltro, è vuoto. Non porremo ostacoli di alcun tipo, non abbiamo alcuna intenzione di fare ostruzionismo; se valuterete positivamente le nostre proposte, che ripresentiamo, collaboreremo lealmente; se non vorrete neanche porre in discussione queste proposte, vi lasceremo approvare questo pacchetto la cui inutilità, che abbiamo tentato e tenteremo di dimostrare, sarà però conclamata dai fatti (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Donato Bruno. Ne ha facoltà.
DONATO BRUNO. Presidente, avevo deciso di fare alcune considerazioni in sede di discussione sulle linee generali di questo provvedimento, ma dopo l'intervento dei colleghi Marotta e Mantovano credo che restino solo pochissime osservazioni, perché è stato tutto esposto e detto molto bene. A me sembra che questa discussione odierna, proprio per il metodo con cui avviene - cui farò brevissimamente riferimento - sia abbastanza prematura e inutile. L'iter del provvedimento è già stato sviscerato. Ci siamo trovati all'origine con un testo governativo, molto rivisto e modificato da parte del relatore, tra l'altro stravolgendo una serie di richieste che l'esecutivo avanzava al Parlamento. L'aspetto che ritengo peggiore di questo iter è che ci siamo trovati di fronte a scritture e riscritture di disposizioni ad horas. Abbiamo cioè dovuto lavorare su un testo che abbiamo cercato di modificare per renderlo, per quanto possibile, migliore presentando una cinquantina di emendamenti, la stragrande maggioranza dei quali il presidente della Commissione, l'onorevole Finocchiaro Fidelbo, ha ritenuto non potessero entrare nel pacchetto in esame, come il Presidente della Camera Violante ha ribadito (anche su questo chioserò successivamente).
provvedimento serio, importante e puntuale esso non può certo essere legato a date ferme e ferree.
degli emendamenti che presenteremo in Assemblea, che riconfermiamo essere quelli già proposti e forse altri ancora (non nel numero ma, mi auguro, nella sostanza, in quanto i testi sui quali avevamo presentato proposte emendative sono diversi da quelli odierni). Se dovesse esservi ancora una volta, nonostante le osservazioni sul testo che provengono dagli stessi esponenti della maggioranza, lo show al quale abbiamo assistito in Commissione giustizia, credo si renderebbe necessaria qualche azione - non di abbandono dei lavori o quant'altro - che sia però visibile all'esterno, per far comprendere all'opinione pubblica la reale situazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Saponara. Ne ha facoltà.
MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, anch'io, come gli onorevoli Marotta, Bruno e Mantovano, confermo la più netta contrarietà sul testo del cosiddetto «pacchetto-sicurezza» approvato in Commissione. Mi esprimo in tal senso perché lo stesso, come quelli presentati dal Governo e dalla maggioranza e riformulati di volta in volta dal relatore, è inutile, dannoso, demagogico e risponde solo ad una esigenza di «manifesto» più o meno elettorale. Esso, comunque, non rappresenta affatto la ricetta miracolosa scoperta dai ministri Jervolino Russo, ieri, e Bianco, oggi, atta a debellare la criminalità.
all'opposizione di avere fatto ostruzionismo. In tal modo, egli ha finto di ignorare che è stata la stessa maggioranza a non voler approvare, a non essere stata in grado di approvare quel pacchetto!
rassicurante da lanciare al paese, pur sapendo che quel messaggio allo stato è fondato su armi scariche.
voluto modificare l'articolo 164 del codice penale sulla sospensione condizionale della pena introducendo gli specifici motivi, quando il riferimento all'articolo 133 del codice penale era più che esaustivo.
Stato, i quali devono pensare a curare il territorio. Chiediamo, inoltre - sono piccole cose -, che siano ridotte le scorte alle persone che non corrono alcun pericolo. Faccio sempre un esempio: non vedo perché all'onorevole Pivetti debba essere assicurata ventiquattr'ore su ventiquattro una scorta, composta da persone che potrebbero essere destinate a compiti più importanti. È l'esempio che mi viene in mente più spesso: è antipatico personalizzare, ma bisogna avere il coraggio di denunziare le cose che non vanno e che, a mio avviso, rappresentano un esempio, perché anche questa è arroganza del potere e distoglie persone da compiti istituzionali importanti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Manzione. Ne ha facoltà.
ROBERTO MANZIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, prima di affrontare il merito del provvedimento sento il dovere, non ipocrita e non falso, di ringraziare un collega che tanto ha fatto per questo progetto di legge, tanto ha mediato e tanto si è impegnato. Si tratta di un provvedimento difficile, complesso, che deve riuscire a superare la spinta emotiva che condiziona tutti. Sono convinto che il relatore, onorevole Meloni, sia riuscito ad adoperarsi con grande pazienza, capacità e competenza. Ci tenevo a dire ciò all'inizio del mio intervento.
non è, né può essere nell'immediato. Non abbiamo la presunzione di immaginare che un provvedimento del genere possa essere la panacea per tutti i mali che affliggono la nostra società. Occorre, però, essere consapevoli che bisogna cominciare ad intervenire per invertire la tendenza.
ho ricordato prevedono, fra l'altro, una specifica ipotesi di fermo di indiziato qualora si versi nell'impossibilità di procedere alla sua identificazione.
specifica normativa, poteva sottoscrivere direttamente il ricorso in Cassazione. Probabilmente, nella logica di definire un accesso più difficile alla Corte di cassazione, nel pacchetto sicurezza è stata prevista la soppressione della prima parte dell'articolo 613 del codice di procedura penale che prevedeva la possibilità di accedere in Cassazione anche con il ricorso direttamente sottoscritto dalle parti.
rispetto a questa previsione astratta, che è la formulazione dell'articolo 13, ci chiediamo come sarà possibile garantire l'uniformità astratta in caso di stralcio (la cosiddetta separazione dei processi). Molto facilmente accadrà che per fatti identici, corresponsabili con la stessa posizione avranno sorti diverse, perché quello condannato in secondo grado ad una pena superiore a quattro anni andrà verso questa via obbligata della custodia cautelare, mentre colui che tale sfortuna non avrà si vedrà applicato un regime completamente diverso.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale, l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.
MARIO TASSONE. Signor Presidente, vorrei fare alcune osservazioni a conclusione di questo dibattito, dando atto, innanzitutto, ai colleghi della Commissione giustizia dell'impegno profuso e riconoscendo al relatore, oltre all'impegno, anche la capacità di confezionare e di rappresentare questo provvedimento con grande dignità.
si è riferiti più volte, in queste ore, alla vicenda di Brindisi o a quella della Calabria. L'altro ieri sono capitato per caso a Strongoli: ebbene, se ai cittadini si dicesse che questo provvedimento fornisce un aiuto ai fini del controllo del territorio o come deterrenza nei confronti della criminalità organizzata o della microcriminalità (contro la quale si interviene o si tenta di intervenire con il progetto di legge in esame), queste assicurazioni non avrebbero alcun effetto, e in realtà non lo hanno.
tornerà, ma quando, dove? Non lo sappiamo. Il problema non è neanche questo, ma capire come intendiamo muoverci. Il messaggio che abbiamo mandato ha una sua incidenza? Noi riteniamo di no. Non si deve andare avanti seguendo l'emergenza; se si verificano fatti come quelli di Brindisi, della Calabria e così via, significa che non vi è più il controllo del territorio. Se manca la capacità di prevenzione e non vi è sicurezza e controllo del territorio, può capitare che tre persone, che la settimana scorsa avevano subito un attentato, vengano successivamente ammazzate in piazza, come è accaduto a Strongoli, dove è stato ucciso anche un povero pensionato che non c'entrava nulla.
GIOVANNI MELONI, Relatore. Solo al fine della tutela del controllo degli «obiettivi fissi»!
MARIO TASSONE. Sì, alla tutela degli «obiettivi fissi», certamente...
GIOVANNI MELONI, Relatore. Non per contrasto alla criminalità.
MARIO TASSONE. Ma poi si danno dei poteri anche per quanto riguarda il fermo delle persone e per alcune operazioni che si fanno nei confronti delle persone (basta leggere l'articolo 20 del provvedimento).
delle persone. Il fermo della persona e la restrizione della libertà personale per dieci minuti, per un'ora o per due ore: mi pare che vi sia una confusione incredibile. Bisogna porre tali questioni, se si vuole avere una visione complessiva della questione anche perché, all'indomani della vicenda di Brindisi, si è chiesto l'intervento delle Forze armate. All'indomani di tale vicenda, abbiamo avuto anche un exploit di un carissimo collega che fa il ministro delle finanze, l'onorevole Visco, che non ha trovato nulla di più aderente alla realtà che attaccare il Parlamento dicendo che taluni provvedimenti legislativi sono fermi presso le Camere! Credo che questa sia una facile polemica perché, quando il Governo ha voluto fare approvare alcuni provvedimenti, ha fatto il cancan! Credo che il ministro Visco e tutti i rappresentanti del Governo e noi parlamentari, dobbiamo tutti fare i conti con l'invio di blindati e di forze più consistenti per controllare il territorio.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Avverto che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Meloni, ha facoltà di svolgere la relazione.
I colleghi mi perdoneranno, quindi, se tratterò soltanto alcuni punti, scegliendoli fra quelli che a me sembrano i più importanti e rimandando per il resto al seguito della discussione sul provvedimento.
Una prima considerazione che vorrei fare è che in qualche modo dobbiamo spiegarci la ragione per la quale oggi ci troviamo a dover affrontare un problema in relazione a quella che fino a ieri veniva definita microcriminalità e che oggi, più giustamente, viene definita criminalità diffusa o anche, per indicare che essa ha come oggetto la persona o i suoi beni, criminalità predatoria.
Credo che, sotto questo profilo, la storia della criminalità nel nostro paese ci illumini, nel senso che, avendo il nostro paese la caratteristica di avere tre grandi filoni di criminalità, quello della criminalità organizzata, quello della criminalità cosiddetta «dei colletti bianchi» e quello della criminalità diffusa, in qualche modo vicina alla grande criminalità non organizzata o limitatamente organizzata, esso ha prodotto sforzi importanti per combattere il fenomeno certamente più pericoloso, quello della mafia. Contemporaneamente, il genere di devianza della quale oggi ci occupiamo è stato in qualche modo trascurato.
Credo, tuttavia, che tale circostanza non basti a spiegare la situazione nella quale ci troviamo, perché ritengo che, come è stato rilevato da molti studiosi nel corso degli anni, l'Italia abbia la caratteristica di essere un paese in cui è presente non solo una criminalità, ma anche, in
Certamente, se da un lato è mancato un orientamento o un intervento politico per cercare di stimolare una cultura della legalità nel nostro paese, dall'altro vi sono state vere e proprie sottovalutazioni. Se oggi dobbiamo prendere atto che il contrabbando è diventato una forma pericolosa di criminalità organizzata, dobbiamo farlo anche perché nei confronti di tale reato e degli interessi enormi che vi sono attorno, vi è stata una qualche sottovalutazione. Non so se il Parlamento possa, al riguardo, dare una risposta in tempi brevissimi, ma certamente la avverto come necessaria.
La ragione per la quale è necessario affrontare il problema della criminalità diffusa consiste nel fatto che il pericolo da essa rappresentato è andato fortemente crescendo nel corso degli anni. Ciò è dovuto a diverse ragioni, alcune delle quali sono assolutamente intuitive. Intanto, occorre sottolineare che la crescita della criminalità diffusa non riguarda soltanto il nostro paese, ma è simile nei paesi europei che possono essere paragonati all'Italia. La ragione per la quale tale andamento si registra in Italia come in altri paesi è sicuramente da mettersi in relazione con la disponibilità e la circolazione dei beni, come è stato posto in evidenza da parte di molti studiosi. Vi è, in particolare, uno studioso assai competente in questa materia; mi riferisco a Marzio Barbagli, che ha rilevato che, se dovessimo assumere come parametro di misura proprio la disponibilità e la circolazione dei beni, non sarebbero questi gli anni in cui la criminalità diffusa ha inciso maggiormente, bensì la seconda metà degli anni settanta. Si tratta di una importante considerazione, perché introduce un altro argomento che vorrei sottolineare in questa occasione: dobbiamo sfuggire alla tentazione di affrontare il problema della criminalità - che pure è gravissimo ed assilla i cittadini - in termini emergenziali, ovvero, pensando di trovarci in una situazione di emergenza.
Non molti giorni fa sono stati pubblicati alcuni dati che paragonano il nostro ad altri paesi, dai quali risulta che l'Italia non è il paese con il maggior tasso di criminalità. Si è parlato del sedicesimo posto, ma, se facessimo raffronti per specifiche figure di reato - quali, ad esempio, il furto e la rapina -, scopriremmo che l'Italia, rispetto ad altri paesi che nell'immaginario collettivo sembrano essere più rigorosi del nostro, viene dopo la Svezia, la Gran Bretagna, la Francia e l'Austria. Pertanto, affrontare il problema in termini di emergenza sarebbe un errore.
Insieme alla necessità di non puntare l'attenzione sull'emergenza, vi è anche quella di tentare di evitare - cosa che non sempre si è fatta nella storia della politica criminale di questo paese - di usare la norma penale in termini propagandistici e come mezzo per la conquista del consenso. Credo si tratti di un errore grave che deprime l'efficacia stessa della norma penale e insieme non consente di ottenere alcun particolare risultato.
Fatte queste osservazioni, vorrei esaminare alcuni aspetti del provvedimento.
Un punto certamente importante è quello contenuto nell'articolo 1, che si occupa della sospensione condizionale della pena. Sono note le ragioni per cui è parso opportuno trattare l'argomento, non solo perché di esso già si occupava - sia pure in modo differente - il testo proposto dal Governo, ma anche perché sulla sospensione condizionale già da tempo si è sviluppata, ad opera di una parte della dottrina, una discussione orientata non già a modificare l'impianto dell'istituto (di cui, a parte qualche marginale eccezione, tutti riconoscono la validità nella forma attualmente vigente), ma piuttosto a mettere in evidenza che si sarebbero instaurati nella prassi alcuni ingiustificati automatismi che eluderebbero l'esigenza di
Sulla base di tali considerazioni, si sarebbero potute imboccare due strade. La prima avrebbe condotto a limitare i casi di concessione della sospensione, per esempio nell'ipotesi di recidiva - e lo stesso relatore aveva avanzato una proposta in tal senso -; tuttavia, è sembrato che le limitazioni potessero incidere in maniera penetrante su un istituto che, anche dal punto di vista di una corretta politica criminale, mantiene intatta la sua validità. Si è quindi scelta un'altra strada e precisamente quella che rimette in primo piano la questione della motivazione. Si propone pertanto di modificare il primo comma dell'articolo 164 del codice penale, introducendo il principio secondo cui il giudice deve avere elementi specifici nel momento in cui formula la «prognosi» per la quale il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. È stato obiettato che la nuova formulazione non modifica la vecchia se non nelle parole, ma tale rilievo mi pare infondato: se gli elementi su cui il giudice deve basarsi devono essere specifici, non sarà più sufficiente richiamarsi genericamente alle circostanze indicate dall'articolo 133 del codice penale, ma sarà necessario indicare quali fra esse consentano di formulare una prognosi favorevole. Pertanto, se la critica sollevata da una parte della dottrina circa l'eccessiva ritualità delle motivazioni coglie nel segno, il problema potrebbe risolversi.
Come i colleghi sanno, discussioni pressoché interminabili ha suscitato la proposta contenuta nell'articolo 2. A dire il vero, tali discussioni non sono state così appassionate riguardo al primo comma di questo articolo, con il quale si prevede di elevare a sei mesi di reclusione la pena minima per il furto semplice. La ratio di tale proposta deriva dalla considerazione, accennata anche in precedenza, secondo cui il moltiplicarsi di questo reato (si pensi che per il 1997 i casi di furto per i quali l'autorità giudiziaria aveva avviato l'azione penale superavano il milione 500 mila) dipende dall'aumentata disponibilità e dall'aumentata circolazione dei beni.
Ciò significa che un numero crescente di persone, soprattutto quelle che hanno minori capacità di difesa, restano vittime di questo reato, mentre la pena attuale non appare più adeguata alla gravità, alla diffusione e all'allarme sociale che esso suscita. Naturalmente è stato obiettato che la norma non sortirà effetto alcuno dato che, è stato detto, il furto semplice, nella pratica, non esiste. Tuttavia, ciò non indebolisce i motivi della proposta, senza dire che una pena più elevata nel minimo favorisce l'applicazione di una pena più adeguata anche nel caso di furto aggravato, quando le aggravanti contestate siano state dichiarate equivalenti alle attenuanti.
Ben più controversa è stata la discussione in relazione al comma 2 dell'articolo 2, che introduce nel codice penale il nuovo articolo 624-bis, concernente il furto in abitazione e il furto con strappo. In questa sede mi limiterò semplicemente a svolgere alcune osservazioni.
Il disegno di legge presentato a suo tempo dal Governo aveva ritenuto insufficienti, per queste due ipotesi, le attuali previsioni aggravate di cui all'articolo 625. Le soluzioni prospettate allora - violazione di domicilio a scopo di furto e trasformazione dello scippo in rapina - sono apparse di difficile percorribilità tecnica e pratica, nonché eccessivamente
Delle molte obiezioni sollevate mi pare si debba dar conto soprattutto di una. Si è sostenuto che la formulazione con la quale si introducono le nuove figure autonome di reato non sarebbe sufficiente ad ottenere lo scopo e che, quindi, il furto in abitazione ed il furto con strappo si atteggerebbero ancora una volta come aggravanti. Tale tesi è sostenuta in forza della considerazione che il furto sarebbe definito, nei suoi elementi essenziali, dall'articolo 624 e che, dunque, ogni altro elemento servirebbe esclusivamente a circostanziarlo. Mi sembra che tale tesi non abbia fondamento. In linea generale si deve notare che non è certo la prima volta che nuovi orientamenti di politica criminale si sono attuati con la creazione di nuove figure di reato o con la trasformazione di quelle esistenti. Nel caso particolare non può esservi dubbio che il legislatore possa, a partire dagli elementi essenziali di un reato, costruirne un altro aggiungendovi altri elementi, come ha già fatto proprio nel caso del furto.
A me pare che non abbia più solido fondamento la tesi secondo la quale il reato che si vorrebbe introdurre come figura autonoma resterebbe il furto aggravato per la medesimezza che vi sarebbe in relazione all'interesse tutelato. A ben guardare, infatti, nelle ipotesi di cui al proposto articolo 624-bis, l'interesse tutelato sarebbe quello di cui all'articolo 624, ma esteso ed integrato da ulteriori elementi specifici.
Il comma 3 dell'articolo 2 prevede, infine, il coordinamento che deve essere necessariamente operato all'articolo 625 del codice penale in conseguenza delle modifiche introdotte con i precedenti commi, mentre il comma 4 del medesimo articolo introduce nel codice penale l'articolo 625-bis, con cui si stabilisce uno sconto di pena da un terzo alla metà qualora il colpevole, prima del giudizio, abbia consentito l'individuazione dei correi e dei ricettatori. Non credo debbano essere spese molte parole per illustrare la portata di tale norma. Voglio solo far notare, per inciso, che, per un refuso, il testo non risulta integrato, malgrado si fosse deciso in tal senso, con la più precisa formulazione di cui all'articolo 648 del codice penale, proposta dal collega Neri ed altri.
Gli articoli dal 3 al 14 intervengono sul codice di procedura penale. In particolare l'articolo 3, modificando il comma 2 dell'articolo 148, limita i casi in cui il giudice può servirsi della polizia giudiziaria per le notifiche, al fine evidente di concentrare l'attività di quest'ultima nelle attività di istituto.
L'articolo 4 modifica l'articolo 278 del codice di procedura penale e stabilisce che, ai fini della determinazione della pena, agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari si deve tener conto delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 61 del codice penale; aggravanti che si riferiscono alla minorata capacità di difesa della persona e al danno di rilevante gravità arrecato alla persona offesa dai delitti contro il patrimonio. La modifica proposta tende a rendere più estesa la possibilità di applicazione delle misure cautelari quando colui che ha commesso il fatto abbia dimostrato in questo senso una particolare pericolosità approfittando di persone deboli e cagionando danni patrimoniali assai gravi.
Procederò quindi in maniera abbastanza sintetica nell'esame dei rimanenti articoli.
L'articolo 5 solleva un problema assai delicato perché riguarda i ricorsi presso la Corte di cassazione; con esso si propone una serie di soluzioni tra cui quella, che certamente farà assai discutere, della riduzione, nelle sezioni, da 5 a 3 componenti.
Gli articoli 6, 7 e 8 affrontano il problema del rapporto tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, nella convinzione che debba essere in qualche modo concessa alla polizia giudiziaria una maggiore autonomia affinché possa condurre indagini, ove lo ritenga, anche di propria iniziativa.
Passo direttamente all'articolo 11 per sottolineare come con esso si prevede un ampliamento dei casi di giudizio direttissimo. L'articolo 13, come tutti sanno, rappresenta uno dei punti sui quali si è sviluppata un'accesa discussione e su cui più marcate sono emerse le divisioni.
La proposta avanzata è che una pena effettivamente da espiare superiore a quattro anni, inflitta dal giudice di appello per il medesimo reato per il quale l'imputato è stato condannato anche in primo grado, diviene il presupposto per l'applicazione di una misura cautelare (quella che il giudice riterrà più opportuna) quando non si possa escludere che vi sia l'esigenza di una tale misura. Si tratta di una norma che definirei severa, perché deve rispondere all'esigenza di tutelare la società da soggetti pericolosi. Una norma però quanto più è severa tanto più deve essere circondata da cautela e prudenza, e ciò mi pare che avvenga in questo caso. L'adozione della misura deve essere proposta dal pubblico ministero in dibattimento e la difesa, in contraddittorio, potrà replicare alla richiesta e far valere le ragioni dell'imputato.
Mi pare che, così congegnata, la norma possa essere efficace per i fini per cui è predisposta, non leda alcun principio costituzionale, realizzi nell'ambito stesso dell'adozione di misure cautelari uno degli obiettivi per i quali è stato modificato l'articolo 111 della Costituzione. Mi auguro che su questa proposta possa svolgersi una discussione che sappia prendere le distanze dalla pur legittima polemica politica; dato che si tratta di un provvedimento che ha bisogno di essere valutato solo alla luce delle ragioni per cui viene proposto.
Prima di concludere, mi soffermerò sull'articolo 17, signor Presidente, con il quale entriamo in un'ottica diversa, quella del controllo del territorio e della sinergia tra le forze di polizia. Il testo in esame tende ad attribuire ai comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica un nuovo ruolo nella predisposizione di piani e di programmi che siano concordati tra tutte le forze dell'ordine e che siano da esse realizzati sotto la responsabilità del prefetto. Su questo punto vorrei soffermarmi brevemente: capisco bene che una norma di questo genere possa suscitare reazioni e resistenze. Sono convinto che, se tali reazioni e resistenze tendono a migliorare un testo imperfetto, ciò può essere fatto; ma se le reazioni e le resistenze dovessero condurre a far scomparire o, in qualche modo, pretermettere l'ispirazione che l'argomento contiene - cioè un superiore coordinamento tra le forze di polizia - credo si tratterebbe di un errore.
Si devono rispettare la storia e le vocazioni di tutti ma, in primo luogo, deve venire l'esigenza di controllare il territorio e di difendere i cittadini, di garantirne la sicurezza attraverso l'uso di tutte le risorse possibili. Ciò può essere fatto soltanto a condizione che si effettui un
L'articolo 18 propone direttive del Ministero dell'interno per la realizzazione di piani provinciali per il controllo del territorio; gli articoli 19, 20 e 21 prevedono l'utilizzazione dell'esercito solo per il controllo di obiettivi fissi, sulla base di programmi predisposti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sui quali il Parlamento abbia espresso il proprio assenso.
Queste misure, nell'esclusivo interesse dei cittadini che hanno diritto a vedere meglio tutelata, per quanto è possibile, la loro sicurezza, devono essere rapidamente approvate. In tal senso, il Governo è di avviso unanime, come ha autorevolmente dichiarato il Presidente del Consiglio, onorevole D'Alema.
Il Governo ha accompagnato tutto l'iter del provvedimento con grande apertura rispetto al confronto che si è sviluppato in Commissione ed anche tra gli operatori del diritto nell'opinione pubblica.
La sicurezza dei cittadini è un tema che non si presta ad artificiose distinzioni e per questo il Governo ritiene che su di esso occorra richiamare l'apporto costruttivo di tutte le parti, allargando i consensi non solo all'interno della maggioranza, ma anche oltre il confine della maggioranza stessa.
A tali fini, il Governo dichiara la propria disponibilità a valutare con grande attenzione il contenuto degli emendamenti della maggioranza e dell'opposizione che saranno presentati all'esame dell'Assemblea sui singoli temi, nello spirito costruttivo di realizzare insieme la migliore formulazione possibile del testo al nostro esame, nel rispetto delle finalità che vogliamo raggiungere. Il provvedimento in esame è la risposta ai cittadini in materia di sicurezza ma, incidendo per sua natura sulle garanzie personali, richiama certamente la responsabile partecipazione di tutti.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, capita spesso che su temi che riguardano la giustizia e la sicurezza si sviluppino polemiche tra le diverse forze politiche, tra la maggioranza e l'opposizione. Mi auguro che questa parte finale del nostro lavoro possa essere svolta in un clima disteso e con maggiore concentrazione sui temi attorno ai quali dobbiamo decidere. Per il modo con il quale abbiamo concluso i lavori della Commissione, gran parte dell'onere di risolvere questioni rimaste aperte è affidato al Comitato dei nove. Stiamo affrontando un dibattito in Assemblea che diventerà via via più importante, ed è del tutto evidente agli occhi dei cittadini, che si sono informati sui giornali e attraverso i mass media, che vi sono differenze chiare tra la maggioranza e l'opposizione, nonché all'interno delle rispettive coalizioni. Questo, d'altronde, non dovrebbe essere sorprendente, in quanto stiamo affrontando temi delicati che chiamano in causa visioni politiche e sensibilità culturali.
Abbiamo di fronte una campagna elettorale tesa, comunque importante, e può esservi la tentazione di usare la preoccupazione dei cittadini per ottenere consensi facili. Penso, tuttavia, che sia invece il momento di far prevalere in noi, come rappresentanti delle istituzioni, un senso di responsabilità nei confronti di un paese
È anche importante il giudizio che diamo sulla situazione che vive il nostro paese. «L'Italia è in mano alle bande criminali; lo Stato è inerte»: non credo affatto che sia così. C'è un'azione di contrasto e gli stessi giovani finanzieri che sono stati uccisi l'altro giorno stavano compiendo un'azione di contrasto. Poche ore dopo i responsabili sono stati assicurati alla giustizia e la stessa cosa è accaduta di fronte alla strage orrenda avvenuta in Calabria: poche ore dopo cinque persone erano già state fermate.
La stessa vicenda del contrabbando ci dice questo: tonnellate di sigarette sequestrate, latitanti arrestati anche in Montenegro, decine di arresti. Viene da pensare - qualcuno la interpreta così - che certa ferocia è tipica di chi viene colpito, di chi si sente assediato. Molto, però, c'è ancora da fare.
C'è un contrasto, non uno Stato alla resa. Servono più uomini e mezzi più adeguati (ed il Governo, attraverso il ministro Bianco, ha annunciato e predisposto queste decisioni); servono - ce lo dicono tutti, le forze dell'ordine, i cittadini, i magistrati - pene più certe. Credo, ad esempio, che sia giusto trovare, nel rispetto delle condizioni regolamentari, la strada per dare con urgenza una risposta alle proposte - che considero positive - di prevedere anche per le organizzazioni del contrabbando l'applicazione dell'articolo 416-bis.
Ci confrontiamo e ci confronteremo tra posizioni diverse per poi decidere, ricordando però che le nostre parole sono ascoltate e lette anche sia dai cittadini preoccupati sia dagli stessi criminali. È bene venga dal Parlamento un discorso di razionalità, un contributo alla razionalità. Ci sono state in passato critiche secondo le quali non serve modificare le leggi e quelle attuali, se ben applicate, possono funzionare. Credo però si tratti di critiche superate, giacché tutti i gruppi parlamentari, nessuno escluso, hanno alla fine presentato proposte di modifica legislativa le quali in sé - è del tutto evidente - non possono essere considerate da nessuno come risolutive, perché serve anche un forte lavoro di prevenzione sociale nel territorio così come serve mettere in campo da parte del Governo tutto ciò che è possibile con i poteri e le leggi attuali, strumenti per il controllo del territorio. Prevenzione e lavoro nel territorio: qualche mese fa sono state dette diverse sciocchezze in ordine all'idea di importare in Italia il modello del sindaco-sceriffo. Non è questa la cosa importante che un sindaco o un'amministrazione comunale possono fare affinché la loro città sia più sicura; la cosa più importante che un'amministrazione locale può fare per far sì che la sua città sia percepita come più sicura è renderla più vivibile, un luogo frequentabile in ogni ora del giorno e della notte da tutte le persone.
Nelle città serve un lavoro di coinvolgimento di associazioni e forze sociali, serve una maggiore attenzione verso le vittime dei reati; è necessario che il Governo, con i suoi poteri, metta in campo un ventaglio di iniziative. Due settimane fa, il ministro Bianco ne ha annunciate di importanti, oltre a quelle già poste in essere dal Governo: sale interconnesse (sono già presenti in alcune città importanti), l'ingresso dei sindaci e dei presidenti delle province capoluogo nei comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica, un numero maggiore di agenti nelle zone a rischio (fin dall'inizio del 1999 sono stati inviati a Milano molti più agenti di polizia) e le restanti iniziative che sono state annunciate, compreso l'utilizzo di tecnologie avanzate, gli osservatori sugli appalti presso le prefetture, il completamento del sistema satellitare per il controllo delle aree a rischio e dei tratti
Queste misure annunciate dal Governo ed in via di attuazione sono molto importanti perché è chiaro che, prima ancora di pensare alla modifica delle leggi, bisogna fare in modo che con gli strumenti che ha lo Stato assicuri un controllo del territorio ed una prevenzione efficaci.
In questo quadro, però, ritengo e riteniamo indispensabili anche le modifiche legislative di cui stiamo discutendo e che, poco fa, il relatore ha richiamato per sommi capi. Al riguardo, vorrei sottolineare le seguenti motivazioni più stringenti; nessun automatismo per la concessione della sospensione condizionale della pena; la previsione come reati autonomi, con relativo adeguamento della pena, di furti in appartamento e scippi, che l'opinione pubblica non considera più fatti di microcriminalità, prevedendo per tali reati (è importante che ciò venga reinserito) l'arresto in flagranza in ogni caso; maggiore autonomia nelle indagini della polizia giudiziaria; misure cautelari più stringenti dopo una doppia sentenza di condanna per lo stesso reato; la riduzione delle possibilità di ricorso in Cassazione, con filtri più stringenti anche per assicurare maggiore tempestività ai processi ed alla giustizia; infine, disposizioni sulla funzionalità delle forze dell'ordine per il controllo del territorio e per una maggiore sinergia tra loro.
Noi condividiamo il testo in esame e lavoreremo in seno al Comitato dei nove per superare incomprensioni e difetti.
Nelle aule parlamentari, in Commissione, ma soprattutto sui giornali e nel dibattito politico, si è parlato del tema dei benefici penitenziari; nel «pacchetto sicurezza» di cui stiamo discutendo questo tema non è presente, perché la legge Simeone è stata già modificata dal Senato (esamineremo quel provvedimento quando giungerà all'esame delle nostre Commissioni) e perché gli emendamenti modificativi della legge Gozzini sono stati ritenuti inammissibili. La Camera discuterà di questi temi. Noi, come Democratici di sinistra, abbiamo inteso assumere una posizione di difesa dell'impianto e della sostanza della legge Gozzini, perché si tratta di un provvedimento fedele ai principi costituzionali, secondo i quali la pena deve servire al recupero del condannato, e ad elementari principi di dignità ed umanità, e perché è una legge utile anche dal punto di vista della sicurezza dei cittadini. Se la pena fosse soltanto afflittiva e non in grado di determinare il recupero del condannato, alla fine dell'espiazione della pena avremmo un criminale in più e non un criminale in meno! In secondo luogo, perché un colpo a queste leggi getterebbe di nuovo nel caos e nella ingovernabilità le carceri italiane. Quindi, anche dal punto di vista della sicurezza pubblica, tutto si può auspicare tranne che venga inferto un colpo a queste leggi che concedono benefici penitenziari. L'unico intervento possibile sul quale si potrebbe ragionare e da sottoporre a studio è la possibilità che, nel momento in cui da parte del giudice di sorveglianza si valuta se concedere o meno tali benefici, si tenga conto non solo del comportamento, ma anche di altri elementi che possono determinare un giudizio sulla eventuale pericolosità della persona.
Serve anche che ci impegniamo tutti per diffondere di più nel nostro paese la cultura della legalità.
Il relatore Meloni ha giustamente parlato di una illegalità diffusa: questo è il mare nel quale poi «nuotano» più agevolmente anche il danaro sporco e l'attività di bande violente.
Serve, inoltre, non abbassare la guardia nella lotta alla mafia e alla criminalità organizzata: ce lo dicono sia l'episodio
Serve quindi una risposta forte da parte dello Stato; serve una risposta a partire da ciò che il Parlamento, mi auguro, nei tempi più rapidi possibili, sarà in grado di decidere attorno a linee di un progetto di modifica legislativa che il nostro gruppo condivide.
In Commissione abbiamo lungamente discusso di tali questioni; ciò conferma l'obiettiva delicatezza delle questioni al nostro esame, ma anche lo sforzo di esitare un testo che coniugasse misure di maggior rigore nel diritto penale sostanziale e processuale con il rispetto di garanzie, che noi riteniamo assolutamente irrinunciabili.
È stato sostanzialmente riscritto il testo iniziale della legge ed il risultato è dai Popolari sostanzialmente condiviso, anche se confidano in un miglioramento, in un affinamento delle misure previste a seguito dell'esame ulteriore nel Comitato dei nove e della discussione in Assemblea.
Certo, con i problemi della sicurezza e della criminalità diffusa si intrecciano questioni, anche di carattere sociale, che non è pensabile possano essere risolte con l'intervento sul processo penale. A monte vi sono problemi irrisolti che riguardano la disoccupazione del Mezzogiorno; è di oggi la protesta di trenta disoccupati di Brindisi, che hanno inviato un documento al ministro Bianco per evidenziare la loro condizione, in ragione della quale, per tirare avanti, erano costretti a vendere sigarette di contrabbando agli angoli delle strade. Vi sono anche forme di disagio sociale, specie nelle grandi aree urbane. Vi è anche l'incapacità di assorbimento occupazionale dell'emigrazione extracomunitaria. Sono tutti grandi problemi, sui quali bisogna incidere in modo sostanziale per eliminare alla radice certe cause della criminalità cosiddetta diffusa.
Ciò detto, credo però sia indubbia se non la risolutività certamente l'utilità di misure sostanziali e processuali volte a contrastare in modo più rigoroso la criminalità comune, insieme ad un impegno repressivo meglio organizzato da parte degli apparati dello Stato a ciò preposti.
Anche un qualche correttivo dell'ordinamento penitenziario a me personalmente non apparirebbe fuor di luogo per meglio contrastare queste forme di criminalità. La legge Gozzini è stata ed è una legge di grande civiltà, che ha avuto ed ha effetti estremamente positivi. Però, non dobbiamo commettere l'errore di mitizzarla, come qualche volta si tende a fare, non foss'altro perché sono passati parecchi anni dalla sua approvazione e talune correzioni sono suggerite dall'esperienza dell'applicazione che se ne è fatta in questi anni. Proclamarne l'assoluta intangibilità significa in qualche modo non volerla migliorare ed alla fine significa non consentire che abbia un'esplicazione ottimale. Anche sulla legge Simeone non si può non intervenire per evitare alcune distorsioni nella sua attuazione, che di fatto - non perché così è stabilito dai tribunali di sorveglianza, ma proprio per un avvitamento interno alla legge - non permettono l'esecuzione delle pene fino a tre anni. Quindi, questa distorsione ha finito per alterare gli effetti della legge Simeone, che pure è stata un legge da noi assolutamente condivisa perché evitava odiose discriminazioni tra detenuti; in questo modo, si finisce con il ridurre
Passando al testo in esame, licenziato dalla competente Commissione, esso contiene norme che consideriamo importanti per l'obiettivo che ci si è posti di un maggior rigore nella lotta alla criminalità. Pur non attribuendo particolare valore alla modifica dell'articolo 164 del codice di procedura penale, credo però non sia inutile la riscrittura di tale norma, in relazione alla necessità dell'indicazione degli elementi specifici per la concessione della sospensione condizionale. Viene così sottolineata la necessità di una motivazione più rigorosa per la concessione di tale beneficio, spesso considerato quasi un atto dovuto; pertanto, non è inopportuno ricordare all'interprete che deve applicare la legge tenendo conto che l'indicazione del legislatore è nel senso di escludere qualsiasi ipotesi di automaticità nell'ambito di tale applicazione. E l'irrigidimento che riteniamo non potrà che conseguirne è, a nostro avviso, estremamente positivo.
Viene inoltre individuata un'autonoma figura di reato per il furto in abitazione e per il furto con strappo, come ipotesi di particolare gravità: ciò corrisponde al forte allarme sociale che tali reati finiscono per provocare nell'opinione pubblica. Non si tratta di dare un messaggio ai cittadini, comunque opportuno, ma di costruire una risposta adeguata rispetto all'offensività di queste fattispecie. Quanto alla sottolineatura dell'autonomia della polizia giudiziaria dal pubblico ministero, che viene resa più cogente dall'articolo 8, ritengo essa sia imposta dalla prassi, a tutti nota e più volte ricordata in Commissione, che ha finito con il ridurre la polizia giudiziaria a mero organo esecutivo delle deleghe del pubblico ministero, come se non disponesse di poteri autonomi.
Non è pertanto senza rilievo rendere ancora più esplicito il principio dell'autonomia dell'iniziativa della polizia giudiziaria, come peraltro chiesto anche dai vertici delle forze dell'ordine. Quanto poi alla vexata quaestio dell'articolo 13, di cui abbiamo tanto discusso, a me, francamente, sembrano eccessivi i toni usati per contrastare la soluzione cui si è pervenuti: è una soluzione che può legittimamente non essere condivisa, ma che non credo meriti il contrasto che ha avuto, perché non è così grave, come qualcuno ha ipotizzato, e certamente non incide sulla Costituzione. È una scelta certamente opinabile, ma che di per sé non determina alcuna anticipazione dell'esecutività della pena e comporta solo il ripristino della custodia cautelare, peraltro già prevista dall'articolo 307 del codice di procedura penale, che non mi pare sia stato dichiarato incostituzionale.
Viene evidenziata la necessità, in presenza di una doppia sentenza di condanna per reati superiori a quattro anni, di una valutazione rigorosa della sussistenza delle esigenze cautelari, il che esclude qualsiasi ipotesi di automatismo.
D'altra parte, in altri paesi europei, di civiltà giuridica certamente non inferiore alla nostra, la sentenza di primo grado è ordinariamente esecutiva, giacché l'appello attiene alla regolarità dell'acquisizione delle prove e, addirittura, il ricorso in Cassazione, ammissibile solo per violazione dei diritti, è consentito esclusivamente dopo che il reo si sia costituito in carcere. Fra l'altro, ciò induce l'imputato a considerare maggiormente la possibilità dei riti alternativi che da noi non potranno mai avere fortuna, fino a quando vi sarà la ragionevole aspettativa che, alla fine di tutti i gradi di giudizio, nella peggiore delle ipotesi, saranno la prescrizione o l'amnistia a risolvere tutti i problemi. D'altra parte, proprio sull'incapacità del dibattimento di reggere l'urto della gran mole dei processi, conseguente al fallimento dei riti alternativi, si è
La previsione dell'articolo 13 si collega opportunamente all'articolo 15, che restringe la possibilità di accesso alla Corte di cassazione, così come dovrebbe essere, alle sole ragioni di legittimità; si tratta di una norma assolutamente necessaria nell'attuale situazione, che ha trasformato il giudizio avanti alla suprema Corte in un terzo grado di merito. Il testo, oltre tutto, è stato corretto opportunamente dal relatore con la previsione della presenza delle parti anche in sede di pronuncia preliminare sull'inammissibilità del ricorso.
Anche questa norma, comunque, è difficilmente contestabile, giacché un numero non indifferente di ricorsi vengono presentati solo per dilatare i tempi, con il risultato di intasare oltremodo i ruoli della suprema Corte. Probabilmente sarebbe opportuno un ripensamento sul modo di congegnare questa udienza preliminare in ordine alle inammissibilità, anche se il relatore ha fatto una proposta, peraltro non discussa, che presenta già una serie di ipotesi d'intervento che affidano al presidente un'iniziale delibazione, da verificare successivamente con la presenza delle parti. In ogni caso, credo che sia opportuno regolamentare al meglio questa fase.
Ritengo opportune, inoltre, altre previsioni contenute nel testo in esame, quale quella della rivisitazione del fermo, con l'introduzione della mancata identificazione dell'imputato ai fini del pericolo di fuga.
Avevamo espresso perplessità in ordine alla precedente configurazione nel comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di cui all'articolo 20, in quanto superava la fondamentale funzione di coordinamento che veniva sottratta al prefetto. Ci pare che l'ultima modifica contenuta nell'emendamento del relatore recepisca, in qualche modo, un emendamento che noi avevamo presentato e risolva il problema. Pertanto, l'ultima formulazione è da noi condivisa.
Allo stesso modo ci pare preferibile il nuovo testo dell'articolo 21, volto a stabilire una qualificazione ed una pianificazione più efficace del controllo del territorio; anche in questo caso, ciò risulta dall'ultimo emendamento proposto dal relatore, preceduto, ancora una volta, da una nostra proposta.
Mi pare dunque che il testo, così come giunge al nostro esame, sia accettabile, anche se ad esso non possono essere collegate attese miracolistiche per la soluzione dei problemi della sicurezza dei cittadini, che, come è stato detto, hanno cause di altra natura e investono innanzitutto problemi di carattere sociale.
Ciò nondimeno, il presente provvedimento ha il pregio di rappresentare la forte determinazione dello Stato a contrastare il grave fenomeno della criminalità diffusa e costituisce un importante passo in avanti nell'azione di contrasto della criminalità, assicurando una risposta non trascurabile alle esigenze di sicurezza dei cittadini.
Per queste ragioni esso ha il nostro apprezzamento, con l'impegno a migliorarlo ulteriormente nel seguito della discussione in Assemblea e all'interno del Comitato dei nove. Credo, infatti, che un affinamento ulteriore ed un miglioramento siano possibili e, in qualche modo, necessari all'interno di un testo che tuttavia condividiamo.
Il Governo dice: «Ho presentato questo pacchetto: functus sum munere meo». È il Parlamento che purtroppo va avanti stentatamente, non approva e discute cose che in altri paesi si sarebbero decise in un giorno. La dichiarazione è del Presidente D'Alema ed è di pochi giorni fa.
La colpa è del Parlamento, e segnatamente dell'opposizione, secondo le dichiarazioni di alcuni illustri colleghi, che per la verità in quest'aula si sono comportati in maniera diversa. Il collega Leoni in un'intervista sul Corriere della Sera ha affermato che la colpa è dell'opposizione; lo dice anche Carotti, per la verità, che però non è presente. Dicono le cose tanto per apparire, per l'immagine, perché non vi è altra spiegazione.
Tutti sappiamo, infatti, che il provvedimento predisposto dal Governo è stato fatto a pezzi e non da me, ma dal relatore di maggioranza, appartenente al partito del ministro della giustizia. È stato demolito: leggete gli atti e poi parlate. L'illustre relatore, onorevole professore Giovanni Meloni, ha chiesto una rielaborazione del provvedimento, non condividendolo in alcun punto: leggete gli atti. La colpa, secondo loro, è dell'opposizione, ma non è affatto vero. Il relatore ha chiesto la costituzione di un Comitato ristretto - che si è costituito - per la rielaborazione del testo; il testo, dunque, è stato rielaborato dal Comitato in questione ed ora ne stiamo discutendo. Giovedì scorso l'iniziativa di chiudere subito è venuta proprio dall'onorevole Marino del gruppo di Alleanza nazionale ed è stata condivisa da tutti la sua proposta di approvare, senza discutere, per poi dibattere in Comitato dei nove. Questo, dunque, è stato l'atteggiamento dell'opposizione. Comprendo le ragioni politiche, ma bisogna pur essere aderenti alla verità.
Detto ciò, non voglio soffermarmi sul fatto che per gli emendamenti discussi - mi riferisco agli emendamenti proposti agli articoli da 1 a 13 - l'illustre relatore è stato costretto, a mio avviso, a presentare la rielaborazione degli stessi emendamenti per ben due o tre volte, a causa delle difficoltà nelle quali si dibatte la maggioranza, tant'è vero che non sapevamo che cosa stessimo votando; infatti, nel testo dell'articolo 2, al primo comma, vi è un errore. Non è vero, onorevole relatore?
Aveva ragione il relatore quando fece a pezzi e demolì il provvedimento del Governo. Esso era assolutamente inadeguato a dare le risposte che pretendeva di dare. Di che cosa stiamo discutendo, dunque? Stiamo discutendo della cosiddetta microcriminalità, forse meglio detta criminalità diffusa, che desta un notevole allarme nel paese. I reati cui ci riferiamo sono gli scippi, i furti negli appartamenti e le rapine, grandi e piccole. Vi sono città, piccole e grandi, del nord e del sud, dove vi sono strade e zone nelle quali non si può entrare senza correre rischi. Se non fosse vero, non vi sarebbe bisogno di preoccuparsi. Purtroppo, solo nel 5 per cento dei casi - si tratta di un dato statistico incontestabile ed incontestato -
Il cittadino, dunque, ha l'impressione netta e precisa di essere in balia della delinquenza e tale sensazione è aumentata dal fatto che, in quei pochi casi nei quali si accerta qualche responsabilità, il più delle volte - per una ragione o per l'altra - il condannato non espia la pena e non entra neppure nelle carceri.
Il problema, ripeto, non è politico. Che dobbiamo fare, allora, per fronteggiare la situazione? Le vie da percorrere sono due, ma debbono essere percorse entrambe. Il contenimento del crimine non si ottiene con il processo penale, ma con un'azione preventiva delle forze dell'ordine, con il controllo del territorio. In quella zona in cui io non posso entrare senza rischiare è necessario che vi sia la polizia, altrimenti tutto è perfettamente inutile! È quindi necessario un vigile di quartiere, che stia sul posto in pianta stabile, non già un drappello mobile che oggi sta qui e domani là. Purtroppo, questa è la verità: prima di tutto ci vogliono i vigili di quartiere. Non è certo inasprendo le pene che si può risolvere il problema: ecco il vizio del provvedimento. D'altra parte, per poter infliggere una pena dobbiamo pur trovare il responsabile, altrimenti a chi la infliggiamo? Possiamo anche prevedere l'ergastolo o tutte le pene che volete voi, ma se l'autore rimane ignoto, come avviene nel 95 per cento dei casi, la pena non possiamo infliggerla a nessuno. Su questo non c'è dubbio.
Viene spesso obiettato che la nostra polizia è, per numero di addetti, superiore a quelle degli altri paesi. Sarà anche così, io non lo so, ma una cosa è certa: se in Italia soltanto il 5 per cento degli autori dei delitti di criminalità diffusa viene scoperto, c'è qualcosa che non va nell'organizzazione dei servizi delle forze di polizia, distolte da chi sa quanti altri compiti. Non so se dobbiamo augurarci che non vengano scoperti gli autori dei furti perché altrimenti la giustizia, già al collasso, forse non potrebbe proprio più andare avanti: non lo so, ripeto, ma sta di fatto che la situazione è quella che ho descritto.
Dicevo, poi, che c'è un'altra strada che deve essere egualmente seguita: si possono avere tutte le concezioni che volete della pena, sta di fatto però che la pena ha comunque anche una funzione deterrente, altrimenti possiamo proprio decidere di chiudere con il diritto penale. Quanto meno, dovrà esistere un diritto penale minimo! Ritengo che qui vi sia una certa contraddizione. Voi parlate di una criminalità diffusa di cui forse vi accorgete solo ora, perché io ricordo che in passato si parlava di espropri proletari. Queste cose devo dirle: se oggi vi preoccupate è perché, evidentemente, la situazione è effettivamente preoccupante. Altrimenti perché dovremmo accapigliarci, perché il Governo dovrebbe sollecitare il Parlamento a provvedere? Se è così, se la
È intervenuta inoltre la legge Simeone che presenta evidenti anomalie. Infatti, non è vero che essa si riferisce a piccoli reati per i quali sono previste pene fino a tre anni: si riferisce anche a pene fino a tre anni anche se costituiscono parte residua di una pena maggiore, perché lo sbarramento di cui all'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 riguarda ben altri reati - ad esempio, quelli di cui all'articolo 416-bis del codice penale - e, anche in questo caso, se vi è collaborazione, sono previsti benefici. La legge Simeone fa riferimento a questo sbarramento e a quello relativo alla custodia cautelare. La legge Simeone prevede che si possa concedere il beneficio della sospensione dell'ordine di carcerazione anche al recidivo ultraquinquennale, ma per una sola volta.
La sentenza di primo grado che viene impugnata viene notificata secondo le regole più comuni e, se non viene proposto appello, passa in giudicato e diviene definitiva. In materia di esecuzione, dopo un processo durato anche a lungo, in caso di condanna definitiva l'ordine di carcerazione deve essere consegnato personalmente al condannato.
La legge Simeone amplia i benefici previsti dalla legge Gozzini relativamente alla detenzione domiciliare che la legge Gozzini prevedeva in casi bene determinati: donna in stato interessante o con prole molto giovane, padre di figli in tenera età con la madre che non può provvedervi, perché impossibilitata o defunta, o giovane che deve continuare i propri studi. Le ipotesi in cui si può accordare la detenzione domiciliare sono precise: ebbene, la legge Simeone aggiunge un comma all'articolo 47-ter della legge Gozzini con il quale si stabilisce che si può concedere tale beneficio in caso di pene fino a due anni, anche se costituiscono residuo di maggiore pena e indipendentemente dalle condizioni in cui si trova il detenuto. Come si può pensare che la pena, scontata nella propria abitazione, pur con tutte le restrizioni del caso, possa assolvere alla funzione rieducatrice? Negli istituti di pena vengono praticati corsi di formazione e di rieducazione (o, meglio, dovrebbero essere organizzati).
Pertanto, si può concludere che i benefici vengono concessi con troppa facilità ed alcune anomalie della legge Simeone devono essere corrette. Questa non è solo una mia affermazione, perché in un articolo del Corriere della Sera di oggi, Vittorio Grevi afferma che vi sono evidenti anomalie nella legge Simeone e che il provvedimento in esame, purtroppo, non provvede ad eliminarle. Così, lo stesso Grevi afferma che si tratta della classica montagna che partorisce il topolino, nonostante si sia discusso per molto tempo.
I benefici si sommano al punto che, per esempio, un soggetto che dovrebbe scontare 10 anni di carcere se ne sconta 3 o 4 è pure tanto! Queste cose ce le dobbiamo dire, a meno che non si voglia affermare che il diritto penale è perfettamente inutile e che si può provvedere in altro modo. Ma questo non lo dite nemmeno voi della maggioranza, se è vero, come è vero, che vi preoccupate di contrastare questa delinquenza cosiddetta diffusa!
A me sembra quasi schizofrenico il fatto che, da una parte, lo Stato ti condanna mentre dall'altra cerca di non farti entrare in carcere. Tanto varrebbe, quindi, prevedere e concedere il famoso perdono!
Dico queste cose perché ad essere accusati siamo noi dell'opposizione. Diciamoci allora la verità, il primo provvedimento, che giustamente l'illustre professore onorevole Giovanni Meloni ha fatto a pezzi e demolito, per quanto riguardava il controllo del territorio non prevedeva alcunché, se non l'impiego delle Forze armate. Io ritengo che il controllo del territorio debba essere effettuato non con i drappelli mobili ma con una presenza continua e costante del cosiddetto vigile di quartiere, come del resto è previsto in altre legislazioni.
Manca un provvedimento che riguardi il potenziamento delle forze di polizia e la loro dotazione. Una pattuglia della Guardia di finanza non può certo andare contro i fuoristrada blindati dei contrabbandieri con una «Uno»! Il ministro dell'interno ha ora annunciato, come ho appena detto, l'invio dei mezzi blindati e di 2.000 uomini. Sono proprio questi i provvedimenti che devono essere adottati, però per tempo, e non quando i fatti si sono già verificati!
Proprio oggi abbiamo appreso dalla stampa che il ministro Visco ha parlato della presentazione di una norma, come emendamento al provvedimento in esame, concernente la creazione della fattispecie dell'associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata alla commissione del contrabbando. Ma con i principi che vengono seguiti in tema di inammissibilità, questa norma non potrebbe essere ritenuta ammissibile, a mio avviso, in questo provvedimento e ciò in base allo stesso motivo per i quali sono stati dichiarati inammissibili i nostri emendamenti.
Caro professore, per quanto riguarda gli altri aspetti cui ci si è riferiti, tu hai giustamente detto che si tratta di una materia diversa. Ebbene, si dibatte proprio di questo, ossia della facilità con la quale si concedono i benefici. Io non contesto la bontà della legge Gozzini ma contesto la facilità con cui si concedono i benefici. È chiaro che questi ultimi andrebbero concessi a persone meritevoli, ravvedute. Non sono un seguace di Lombroso però ritengo che poche persone si ravvedano perché purtroppo sono sempre gli stessi a delinquere. E chi opera nei piccoli centri queste cose le sa; sa cioè che ci sono persone irriducibili, incorreggibili. Non c'è niente da fare! Tenere una buona condotta è un comportamento finalizzato a guadagnare novanta giorni all'anno e ad ottenere benefici. Questa è la verità: i reati commessi in questi ultimi tempi, purtroppo, sono tutti attribuibili a persone in semilibertà e chissà quante altre volte reati commessi da persone in semilibertà sono rimasti ignoti?
Caro Presidente, rimane ignoto il 95 per cento dei reati; dobbiamo preoccuparci seriamente di questo fenomeno e della legislazione premiale e riconoscere che il beneficio deve essere concesso solamente a persone meritevoli che si siano veramente ravvedute. Tale giudizio deve essere effettuato in maniera scrupolosa ed approfondita.
Vogliamo emendare alcune anomalie della legge Simeone. Sotto alcuni aspetti, diciamo la verità, quella legge allarga molto le maglie: non svuota le carceri, consente, invece, a qualcuno di non entrarci proprio! Questa è la verità e non la dico io, ma il professor Vittorio Grevi. Leggiamo giudizi che non sono di politici!
Detto ciò, se ho ancora tempo a disposizione, passo ad esaminare in concreto il provvedimento. Mi rendo conto del dramma del relatore che deve sottostare alla disciplina di un gruppo che non è compatto, ma allora, non ve la dovete prendere con noi che, anzi, contribuiamo
Non credo che con la modificazione dell'articolo 164 del codice penale prevista dall'articolo 1 si sia fatto nulla di nuovo, l'ho già detto in Commissione e lo ripeto. Il giudice presume, con riferimento a quegli elementi, che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati; ma il giudice deve avere necessariamente elementi precisi, altrimenti non può dare una motivazione e, di conseguenza, la legge non c'entra nulla.
In secondo luogo, ripeto che con l'articolo 2, relativo all'articolo 624 del codice penale, non abbiamo creato una figura autonoma di reato. Mi sono documentato e riporto l'opinione di illustri penalisti, non già dei vecchi, quali Maggiore o Pannain, ma di penalisti professori ordinari di diritto penale: Mantovani, Fiandaca e Musco. La nomenclatura giuridica e le indicazioni legislative - leggo le loro parole perché potrei non riportare bene quanto essi hanno detto - stabiliscono che, per distinguere se un elemento sia, di fatto, una circostanza aggravante o diminuente o un elemento costitutivo del reato, dobbiamo tenere conto di questo criterio generale: la circostanza non modifica la fattispecie legale tipica, il Tatbestand, come dicevo ricordando con un po' di civetteria - lo debbo riconoscere - il termine tedesco. Il mio dire venne equivocato, ma quella è la fattispecie legale tipica, gli elementi costitutivi del delitto o del reato. Premesso che non si muta questa fattispecie legale tipica ma si gradua solamente la sua gravità (meno o più grave), la circostanza è la specificazione, un particolare modo di essere, una variante di intensità di corrispondenti elementi costitutivi della fattispecie. Si tratta cioè di un'ipotesi del tutto particolare, un rapporto di species ad genus. Il Mantovani fa proprio l'esempio del furto commesso su cose detenute, ad esempio, in ufficio - è la stessa cosa, professor Meloni - oppure esposte per consuetudine alla pubblica fede sostenendo che non potrà mai costituire circostanza l'elemento che, anziché specificare, si sostituisca all'elemento tipico della fattispecie legale o si aggiunga ad esso. Si pretende cioè, perché sia elemento costitutivo, un rapporto di incompatibilità, diciamo anche di alternatività (od io o tu, diciamo così, parlando degli elementi, non già delle persone), oppure un elemento del tutto estraneo.
Non condivido peraltro nemmeno i primi due commi dell'articolo 5. Mi permetto di dire che tu, professor Meloni, sei stato fuorviato del fatto che nel primo comma dell'articolo 311 del codice di procedura penale si parla di ricorso per Cassazione sic et simpliciter, mentre nel secondo comma di ricorso per Cassazione per violazione di legge. Questa distinzione è giustificata, perché nel secondo caso si parla di ricorso per Cassazione per saltum. Vi è il principio generale di cui all'articolo 569 del codice di procedura penale...
Recita l'articolo 569 del codice di procedura penale: «Tale disposizione non si applica se entro quindici giorni (...) le parti che hanno proposto appello dichiarano tutte di rinunciarvi per proporre direttamente ricorso per cassazione. In tale caso, l'appello si converte in ricorso». Quando vado in appello anche per ragioni che attengono alla motivazione, l'appello si converte...
Il disegno di legge presentato dal Governo nel lontano 20 aprile 1999 (tra poco, quindi, compie un anno) si intitolava: «Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini»; il testo illustrato dal relatore, invece, si intitola... No, si intitola alla stessa maniera: «Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini». Si è detto che tale provvedimento riguarda la
Non mi meraviglio che il provvedimento sia stato trasformato in Commissione giustizia; è un fatto positivo che il Parlamento abbia una sua autonomia dal Governo e che, nella dialettica tra maggioranza ed opposizione, elabori un testo diverso, in tutto o in parte, da quello proposto dal Governo; non credo che ciò sia un problema. Il problema, invece, esistente ormai da molti anni, è che riteniamo che la tutela della sicurezza dei cittadini debba in qualche modo interferire con l'organizzazione formale del codice, per ridurre le garanzie dei cittadini, per creare automatismi e presunzioni di pericolosità, per rendere il giudice nient'altro che il risultato di un programma informatico ispirato ed inserito da qualcun altro.
La tutela della sicurezza dei cittadini, naturalmente, dovrebbe attenere ad un'attività di prevenzione, perché se è vero che la repressione è un deterrente, certamente, dopo la commissione di un reato, la sicurezza è molto minore; inoltre, anche la deterrenza, soprattutto laddove il numero grigio o il numero di reati mai perseguiti sia molto elevato, con condanne pronunciate soltanto per un piccolo numero di reati compiuti, risulta essere assolutamente inferiore alle aspettative. Il processo, comunque, non può mai essere un fatto o un sistema di prevenzione, di sicurezza, ma è semplicemente la risposta della giustizia rispetto a fatti qualificati correttamente come reati e che, dopo il primo e il secondo grado, nonché dopo il giudizio di legittimità, siano effettivamente ritenuti tali, con l'esatta individuazione dei responsabili. Questo è il compito del processo, altro è il compito della sicurezza.
Il provvedimento in esame, che sta per compiere un anno, è partito con la necessità di reprimere la microcriminalità, poi diventata criminalità diffusa, successivamente denominata criminalità da strada, comunque sempre microcriminalità. Il relatore si è cimentato in un'opera eroica, come gli ho detto, ma impossibile, quella di riscrivere il codice, che è uno strumento eccezionale per dare risposte di giustizia, non per svolgere attività di prevenzione; inoltre, si è cercato di riscrivere la fattispecie del furto. Non sto ad approfondire se sia stato scritto bene o male, in ogni caso credo che Rocco avesse descritto il reato di furto con tale precisione e con tale dettaglio che, doverlo riscrivere, ci ha portato via effettivamente molto tempo.
Alla fine di tutto questo, abbiamo davvero perseguito la criminalità diffusa o abbiamo fatto dell'altro? Dico questo perché, se noi avessimo perseguito davvero la criminalità diffusa (ammesso poi che nei fatti si possa perseguirla, nel senso che poi, effettivamente, i microcriminali venissero arrestati veramente), sarebbe già stato un successo. Per fare questo, allora, noi avremmo dovuto invertire quella che invece da anni è una costante: quella di ritenere che i processi siano a tutela della sicurezza! Avremmo dovuto, quindi, pensare ad una diversa organizzazione delle forze di polizia sul territorio e avremmo dovuto affrontare a monte quei problemi che stanno alla base della criminalità diffusa: mi riferisco allo spaccio degli stupefacenti e al loro uso. Su tale materia ogni volta si accendono guerre di religione; ma questa è e sarà poi una delle cause ineliminabili della criminalità diffusa fino a quando continueremo a fare guerre di religione, anziché affrontare il problema con grande laicità.
Per quanto riguarda la questione del contrabbando, vorrei sottolineare che in nessun paese al mondo lo Stato prende 4.300 lire di imposte su un pacchetto di sigarette! Se lo Stato abbattesse della metà tale cifra, non vi sarebbe più alcun interesse al contrabbando! Il fatto è, invece, che, se una persona si reca in un negozio in Spagna, non di contrabbando, pagherà un pacchetto di sigarette la metà di quello che costa nel nostro paese: non solo, ma lo farebbe in modo del tutto legale e regolare! Ribadisco che in quel paese il contrabbando non esiste perché non vi è alcun interesse per tale attività!
Abbiamo poi predisposto il testo dell'articolo 13, sul quale mi soffermerò in altra sede, che non riguarda affatto la criminalità diffusa e non si capisce neppure - consentitemi di dirlo - chi possa riguardare. Esso non riguarda coloro che hanno avuto la custodia cautelare, perché per coloro i quali siano stati ritenuti pericolosi sono già previsti i termini di custodia cautelare (che arrivano fino a sei anni). D'altra parte, l'articolo 307 del codice penale prevede comunque la possibilità di ristabilire la misura della custodia cautelare dopo la prima e la seconda condanna, laddove vi sia il pericolo di fuga. Quindi, evidentemente, la previsione di quell'articolo riguarda altri soggetti; non capiamo chi, ma sicuramente concerne anche gli incensurati e coloro i quali non abbiano mai subito provvedimenti di custodia cautelare; riguarda anche coloro ai quali non sia mai stata fatta una «prognosi» di pericolosità e che comunque, a distanza di tanto tempo, legittimamente e sulla base di questa norma, potrebbero essere incarcerati in attesa - non si sa quanto tempo occorra - che la Corte di cassazione decida. Si può verificare che, ove la Cassazione «cassi» la sentenza, queste persone abbiano scontato una condanna che, qualore fosse stata emessa nei loro confronti una sentenza definitiva, non avrebbero scontato a causa dei benefici.
Vorrei soffermarmi su un altro articolo, che io chiedo al relatore di tenere in grande considerazione. Esso non riguarda affatto la criminalità diffusa: non si capisce neanche in questo caso quale legittimità costituzionale possa avere l'articolo 18, che, ai commi 2 e 3 consente, sulla base del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, di operare i controlli per la prevenzione e quindi che le forze di pubblica sicurezza possano recarsi dovunque, senza alcuna autorizzazione, nei casi in cui ritengano che si commettano delitti di ricettazione, riciclaggio, reimpiego di beni di provenienza illecita (queste ultime possono essere le banche, gli istituti finanziari, le imprese commerciali di grandi, piccole o medie dimensioni). Per quanto riguarda le armi e gli esplosivi, tale disposizione è certamente inutile perché analoga previsione è già contenuta nell'articolo 41.
Addirittura, secondo il terzo comma, queste attività imprenditoriali, bancarie, finanziarie potrebbero essere chiuse, senza alcuna autorizzazione del magistrato, laddove solamente si sospetti, che possano esservi in qualche modo riciclati beni di provenienza illecita. Quindi, potrebbero passare molti anni, con il conseguente crollo di attività economiche e imprenditoriali, senza che nessuna indagine venisse svolta, senza che vi fosse nessuna autorizzazione preventiva del magistrato.
Ecco, questi esempi, gli articoli 13 e 18, non hanno niente a che fare con la
Non sono in disaccordo sul fatto che anche la sentenza di primo grado possa diventare esecutiva, ma ciò è praticabile in altri sistemi, là dove i magistrati non sono dei burocrati, come nel sistema anglosassone, ma vengono reclutati tra gli avvocati anziani, come si dice da noi, di chiara fama; là dove c'è una netta separazione delle carriere; là dove tutti, magistrati compresi, hanno l'obbligo e sentono l'obbligo di rispettare le regole. Da noi, lo abbiamo scoperto in occasione di questa revisione del codice, nessuno si sente in obbligo di rispettare le regole del codice. Non si sentono in obbligo i magistrati, che concedono le sospensioni condizionali quando non dovrebbero o emettono sentenze che non dovrebbero emettere e che non fanno i processi entro i termini lunghissimi della custodia cautelare. La polizia giudiziaria dice di non avere autonomia, ma noi abbiamo modificato dieci articoli del codice di procedura penale conferendole piena autonomia. Allora, se nessuno si sente in obbligo di rispettare le regole del codice e di comportarsi di conseguenza, credo che i nostri tentativi siano eroici ma impossibili.
Questi articoli 13 e 18 sono una spia che a me non piace; ho l'impressione - ma non vorrei peccare di eccessivo sospetto - che servano per altro. Credo che le leggi debbano essere sempre chiare e perseguire l'obiettivo che si pongono. Questo non è un problema di maggioranza e di opposizione, ma è un fatto di trasparenza e di democrazia. La legge non può servire ad altro se non per lo scopo per il quale è prevista, ovvero far sì che i processi siano una vera risposta di giustizia nei tempi che la legge e la Costituzione vogliono siano i più brevi possibili e che la sicurezza sia lasciata alle forze dell'ordine adeguatamente coordinate. Abbiamo visto in questi giorni che purtroppo neanche tale obiettivo è stato raggiunto, perché le forze di polizia sono in grave contrasto tra di loro, perché non si capisce chi sia più autonomo di un altro, perché tutti stanno perdendo la poco residua motivazione a difendere i cittadini e le istituzioni dello Stato.
È iscritto a parlare l'onorevole Scalia. Ne ha facoltà.
Mi rendo conto che le osservazioni che ora svolgerò sul concetto di sicurezza che appare privilegiato nel testo in esame potrebbero sembrare in qualche modo collaterali: esse, infatti, non sono state presenti nel dibattito della Commissione, al di là della sensibilità di alcuni colleghi e senz'altro del relatore. Vorrei, però, che le mie riflessioni servissero a riparare in tempo a quello che, se il testo non le recepisse, sarebbe senz'altro un grave errore.
Vi è poi un inasprimento delle pene per fatti lesivi del patrimonio. A parte un lieve ritocco alla cornice edittale del delitto di furto, mi pare che il succo della novella sia l'elevazione a titolo autonomo di reato di alcune ipotesi che nel testo attuale del codice sono aggravanti del furto: questo voglio sottolinearlo per quello che sosterrò fra breve. Vi è poi l'introduzione dell'attenuante (che riecheggia quella prevista per il sequestro di persona a scopo di estorsione) del ravvedimento del complice che consenta di individuare i correi. Vi sono altresì una serie di correzioni al codice di procedura penale, su cui si è soffermato ancorché brevemente il relatore, che riguardano i rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria. Chi come me ha presieduto e presiede una Commissione parlamentare d'inchiesta sa bene che, nelle pieghe dell'applicazione concreta di norme scritte da esperti giuristi e fini estensori, si insinuano più prosaicamente passaggi burocratici, inerzie, intoppi imprevisti e quant'altro. Ritengo pertanto che consentire alla polizia giudiziaria di agire di propria iniziativa sia utile a rendere più flessibile la sua azione nel quadro dell'inchiesta condotta dal magistrato.
Non continuerò, comunque, signor Presidente, a tediare lei ed i colleghi con gli altri elementi di novità legislativa che sono proposti nel testo licenziato dalla Commissione in sede referente, anche se devo dire che il relatore, per la verità, non ha avuto molto tempo per illustrare tutto quello che forse avrebbe voluto. Il fatto è che non sarà sfuggito che il concetto di sicurezza contemplato nel testo è assai - mi si permetta il vocabolo - asfittico: l'orizzonte che il testo sembra tenere presente è preminentemente, se non esclusivamente lo scenario urbano, dove bande di malviventi attentano all'incolumità o alla stessa vita delle persone (fatto gravissimo da prevenire e reprimere con la massima decisione), alle vetrine dei negozi, alle borse dei passanti; insomma, colleghi, un quadro sicuramente reale e bisognoso di attenzione, ma piuttosto tradizionale e, per certi aspetti, addirittura retrodatato.
La sicurezza è certamente identificabile nel bisogno di sentirsi tranquilli quando si passeggia nelle strade o si gestisce un negozio in centro o in periferia, ma siamo sicuri che tale bisogno si esaurisca qui? Quando parliamo di sicurezza alimentare (forse qualcuno ricorderà il pollo alla diossina), non discutiamo forse di sicurezza? E le frane, gli smottamenti, i crolli, per esempio della tragedia di Sarno, con cui pure ci siamo «sciacquati la bocca» per vari mesi, non ci hanno insegnato nulla? Quando sentiamo i dati sull'abusivismo edilizio, al sud controllato spesso e volentieri dalle cosche mafiose e camorriste, non evochiamo il problema del controllo del territorio e dunque il senso di tranquillità collettiva che si chiama sicurezza? E che dire delle discariche abusive e delle attività di escavazione non autorizzate, per cui, per esempio, è commissariata l'intera provincia di Caserta?
Insomma, signor Presidente, quello che mi preme osservare in quest'aula, forse troppo intenta a guardare, a destra come a sinistra, al dettaglio tecnico, alle ripercussioni individuali della tale o della talaltra modifica legislativa, è che la questione dell'ambiente e del governo del territorio non è estranea alla materia della sicurezza.
Per questi motivi, mi ero permesso di indirizzare alla presidente Finocchiaro Fidelbo
Per tali motivi, signor Presidente, mi riservo di presentare emendamenti al testo unificato della Commissione, volti ad introdurre nel codice penale alcune figure di delitti contro l'ambiente, in modo che le violazioni ambientali, che incidono negativamente sulla sicurezza dei cittadini, possano ricevere un trattamento repressivo e preventivo adeguati. Mi riferisco ad ipotesi criminose che determinino inquinamenti ambientali identificabili con certezza, ad esempio l'introduzione nell'ambiente, in violazione di specifiche disposizioni normative, di radiazioni e sostanze che deteriorano lo stato dell'ambiente marino, terrestre e atmosferico e ad atti di distruzione del patrimonio naturale, con annesso corredo floro-faunistico.
Sarà necessario prevedere, inoltre, la figura delittuosa del traffico illecito dei rifiuti, volto a colpire quanti, spesso affiliati o conniventi con le organizzazioni criminali, per conseguire un ingiusto profitto, trasportano, importano, o comunque gestiscono, quantità di rifiuti senza le dovute autorizzazioni, con rischi gravi non solo per l'ambiente, ma per la salute dei cittadini.
È evidente che con «distruzione del patrimonio naturale» intendo anche quei fenomeni di grossolano abusivismo edilizio e di gestione abusiva delle discariche dei rifiuti che, oggi, deturpano il paesaggio, pregiudicano le condizioni di un ambiente salubre e intimoriscono i cittadini onesti.
Signor Presidente, concludo con l'auspicio che i concetti che ho espresso possano trovare un seguito perché, diversamente, rimarremo legati a interventi legislativi di corto respiro e forse anche inefficaci. Spero che gli emendamenti ai quali facevo riferimento non siano facilmente bollati come estranei per materia, giacché la materia sicurezza, per come mi sembra debba essere intesa in base alle motivazioni che ho esposto - che, per fortuna, non sono solo mie -, è più ampia di come la propone il testo.
Chiedo al presidente della Commissione giustizia, che è il più autorevole testimone che posso chiamare in causa: in questi mesi, in quest'anno abbondante, l'opposizione in generale, e Alleanza nazionale in particolare, ha mai svolto attività ostruzionistica su questo disegno di legge? Ha mai avanzato proposte che non fossero costruttive? Ha mai rinunciato a fornire un contributo, in un'ottica di effettivo contrasto alla criminalità di ogni tipo?
Ciò è accaduto in entrambi i rami del Parlamento, perché qualche settimana fa il Senato ha approvato un disegno di legge presentato proprio da Alleanza nazionale, che restringe l'ambito di operatività della cosiddetta legge Simeone-Saraceni, elimina la necessità di notificare l'ordine di carcerazione nelle mani del condannato, in modo da non favorire fughe finalizzate al rinvio della detenzione, ed esclude alcuni benefici della stessa legge Simeone-Saraceni, ma anche della legge Gozzini ai recidivi.
Ricordo tutto ciò per sottolineare ancora una volta il torto nel quale versano alcuni colleghi - penso all'onorevole Carotti e all'onorevole Leoni - quando accusano la destra di lassismo. Se leggessero gli atti, forse la finirebbero di ripetere stupidaggini.
Proprio con riferimento alla legge Simeone-Saraceni, se la maggioranza desiderasse realmente tutelare l'ordine pubblico, lasciando i criminali più efferati dentro quel carcere che hanno meritato, non avrebbe che da rendere definitiva questa modifica legislativa: la iscriva al più presto all'ordine del giorno della Camera e la approvi altrettanto rapidamente. Perché non l'ha fatto finora, quando su altri argomenti vi è la massima celerità? Perché tante difficoltà e tanti contrasti al proprio interno per affrontare il pacchetto sicurezza?
In questa sede non chiedo chi abbia la colpa di tutto ciò, ma mi chiedo qualcosa di diverso: quali sono le ragioni del ritardo e di tanta approssimazione? La prima ragione è profonda, è ideologica e strutturale: la sinistra non è in grado di realizzare una politica per la sicurezza, non soltanto per le diversità di opinioni al proprio interno, ma, prima ancora, per un'ideologica incapacità, derivante dalla propria visione del mondo, che è sempre stata lassista; una ideologica incapacità di varare norme efficaci contro il crimine.
Mi rendo conto che, dopo il crollo delle ideologie, alla sinistra è rimasto soltanto il sessantotto e qualche brandello di Rousseau. Tuttavia, sono proprio questi retaggi che oggi la bloccano: l'uomo che commette un reato è sempre e invariabilmente una vittima della società; è la società l'unica e vera responsabile.
«La sinistra è sempre stata più disposta a capire le ragioni degli autori dei reati che quelle di chi li subisce. In questo caso essere di sinistra è una grande fregatura»: l'autore di questo brano è il sociologo Marzio Barbagli, che certamente non ha fama di essere sociologo di destra, il quale ha affermato queste cose in un'intervista pubblicata da quello che certamente non è l'organo di stampa di
Veniamo alla vicenda del pacchetto sicurezza, ai suoi ritardi e alla continua inconcludenza nella redazione di un testo che avesse caratteristiche di stabilità; sembra di essere tornati ai tempi della Commissione bicamerale, con le numerosissime bozze dell'onorevole Boato sulla giustizia che, almeno, si fondavano sulla necessità di conciliare le posizioni di maggioranza e di opposizione, mentre in questo caso l'opposizione è tenuta assolutamente al di fuori. Questa vicenda è la riprova dell'incapacità ideologica e strutturale cui facevo cenno, rispetto alla quale è francamente vile scaricare le responsabilità sull'opposizione che, se avesse i numeri, avrebbe già da tempo fatto passare le sue numerose proposte, che in materia di sicurezza sono perfettamente coerenti con le sue posizioni in materia di giustizia.
Credo sia il caso di smetterla con affermazioni prive di qualsiasi fondamento; non vi è alcuna contraddizione tra il perseguimento della certezza della prova e il perseguimento della certezza della pena. Certezza della prova significa non accontentarsi di una prova che si basi - come avveniva fino a qualche settimana fa - sulla somma delle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia rese senza sottoporsi al contraddittorio dibattimentale; esigere una cosa del genere non significa negare, bensì affermare con maggior forza che, quando una prova correttamente formata fa giungere alla decisione della condanna, la pena che segue a quella condanna va eseguita con altrettanto rigore.
Alleanza nazionale ribadisce anche in questa occasione che l'aggressione alla criminalità di ogni tipo (non soltanto la criminalità di strada) ha necessità di interventi urgenti ed impegnativi sul piano legislativo ma, prima ancora, ha necessità di interventi sul piano amministrativo. Si tratta di un piano di esclusiva pertinenza del Governo, come lo è - salvo il vaglio del Parlamento - l'impegno di spesa, che è ineludibile. La disastrosa situazione dell'ordine pubblico in Italia non è il frutto del caso, né l'esito di calamità naturali, ma è la risultante di scelte politiche e di provvedimenti del Governo e del Parlamento a partire da quando, come disse l'onorevole D'Alema in un memorabile discorso alla Camera, la barra del comando è salda nelle mani della sinistra,
Per quanto riguarda la voce «qualità», non va certo nella direzione della lotta al grande crimine la disarticolazione delle strutture di coordinamento, i cosiddetti corpi speciali - SCICO, SCO e ROS -, alla quale si continua a non porre rimedio nonostante i ripetuti richiami di tanti procuratori della Repubblica, a cominciare dal procuratore nazionale antimafia. Il Governo e la maggioranza dovrebbero convincersi che è indispensabile porre mano al portafoglio, non soltanto per uniformare il trattamento economico delle forze dell'ordine italiane con quello delle forze di polizia di altre nazioni europee, ma anche per dotarle di tutto ciò che è necessario. Si è discusso e si discuterà, all'interno di questo pacchetto sicurezza, del rapporto tra polizia giudiziaria e pubblico ministero, facendo delle acrobazie sulle norme che sono assolutamente inutili, mentre ciò che serve davvero per affrontare correttamente questo tema è una maggiore disponibilità di spesa. Se un pubblico ministero che segue un filone di indagine relativo alla grossa criminalità ha necessità di delegare una parte delle indagini in altra sede all'ufficiale con il quale lavora costantemente, in novanta casi su cento non è in grado di dare questa delega perché l'amministrazione di appartenenza dell'ufficiale non assicura il pagamento delle trasferte e dei rimborsi spese, per cui il magistrato si trova costretto a delegare l'accertamento ad un ufficiale del luogo in cui l'accertamento stesso va fatto, ma quest'ultimo ovviamente non renderà allo stesso modo, perché non conosce la complessità ed il contesto dell'indagine.
Continua a restare fuori dalla considerazione del Governo una parola chiave che dovrebbe essere adoperata con sempre maggiore frequenza: prevenzione. Prevenire significa giocare d'attacco e non inseguire i reati che vengono di volta in
Prevenzione significa anche stipulare accordi internazionali e con l'Unione europea per contrastare la criminalità nei luoghi da cui parte e per contrastare le organizzazioni criminali che hanno la loro base all'estero, in particolare nel Montenegro ed in Albania. Perché non condizionare i rapporti con queste realtà nel rispetto di un minimo di legalità? Noi esportiamo denaro ed aiuti e riceviamo in cambio illegalità.
Al totale disinteresse del Governo e della maggioranza per le reali questioni relative alla sicurezza si aggiunge, inoltre, l'irresponsabilità nel contrastare la delinquenza che strumentalizza l'immigrazione clandestina. La popolazione carceraria extracomunitaria presente nei nostri istituti di pena valuta in circa 12 mila unità gli extracomunitari presenti; di questi, in base ai dati forniti dal DAP, 3.055 sono marocchini, 1.900 sono tunisini e 1.500 sono albanesi (la graduatoria prosegue fino ad arrivare a 25 filippini). Ebbene, nell'ultimo decreto sui flussi, le nazioni che vantano una sorta di priorità nei patti bilaterali per l'immigrazione sono, nell'ordine, il Marocco, la Tunisia e l'Albania: viene da chiedersi quale sia la ragione di una tale follia nella disciplina dei flussi di immigrazione, visto che si privilegia coloro che portano in Italia maggiore delinquenza.
La maggioranza ed il Governo trascurano questi aspetti e fanno coincidere la soluzione di tutti i mali con l'intervento legislativo, trascurando, altresì, anche sul piano legislativo, i punti nodali della questione sicurezza in Italia. Quali sono questi punti nodali? Come dicevo prima, l'applicazione più estesa delle misure di prevenzione, il contrasto reale - non a parole o a chiacchiere, come direbbe l'onorevole D'Alema - all'immigrazione clandestina, la prevenzione e la repressione effettiva del contrabbando e la disciplina dei benefici dell'ordinamento penitenziario.
Sfido chiunque a sostenere ad occhi aperti che queste non siano le voci chiave della questione sicurezza in Italia oggi: queste e non le lievità che sono state introdotte nel pacchetto sicurezza. Eppure, si tratta proprio delle voci che la dichiarazione di inammissibilità dei nostri emendamenti ha escluso dalla discussione. Noi ripresenteremo tutti gli emendamenti dichiarati inammissibili, non solo perché riteniamo che siano pertinenti alla materia della tutela della sicurezza dei cittadini, non solo perché hanno costituito oggetto di approfondimento della situazione generale in Commissione giustizia - quindi non c'è ragione formale per escluderli -, ma anche perché scopriamo che la nostra opinione è condivisa da autorevoli esponenti del Governo. In un'intervista al Corriere della Sera di sabato scorso, l'onorevole Visco dice testualmente:
I nostri emendamenti non si limitano a ritenere l'applicazione del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso estensibile anche alle associazioni di contrabbandieri, ma puntano alla punizione di coloro che alterano i mezzi, i veicoli o i natanti e che li utilizzano. Pertanto, si anticipa la difesa su questo fronte. Sono certo che il Presidente della Camera ed il presidente della Commissione giustizia rivedranno la loro decisione circa l'inammissibilità anche alla luce di queste considerazioni.
Allo stesso modo è auspicabile una revisione della decisione relativa alle norme da noi proposte per contrastare l'immigrazione clandestina. D'altra parte, l'articolo 9 del pacchetto sicurezza collega il fermo di polizia giudiziaria al difetto di riconoscimento di colui che sta per darsi alla fuga: questa è la condizione nella quale si trova normalmente l'immigrato extracomunitario che delinque, quindi vi è certamente attinenza con la materia. Siamo altresì certi che vi sarà una revisione della decisione di non discutere i benefici previsti dalla legge Gozzini che, quanto a strumentalizzazione, rappresentano uno degli strumenti più forti di recidiva nella consumazione dei reati.
Dopo aver riflettuto su ciò che non c'è nel pacchetto, non rinuncio, in conclusione, al dovere di discutere anche dell'«acqua fresca» con la quale il pacchetto è stato riempito. Si possono individuare quattro voci in questo contenitore, distinguibili sia pure in modo molto confuso: codice penale, codice di procedura penale, misure di prevenzione (c'è una sola norma) e coordinamento delle forze di polizia.
Relativamente al codice penale, nel pacchetto vi sono quattro articoli che lo riguardano, ma si tratta di un insieme di disposizioni assolutamente inutili. È inutile l'articolo 1, che prevede questa apparentemente nuova disciplina della sospensione della pena. A tale riguardo vi è confusione tra il piano dell'intervento amministrativo, che sarebbe indispensabile, e quello dell'intervento legislativo, che non saprei dire come possa supplire a carenze di altro tipo. Invece di intervenire sul terreno di un rafforzamento degli uffici del casellario giudiziario e di promuovere l'azione disciplinare verso quei giudicanti che hanno fino ad ora colpevolmente omesso di considerare i precedenti penali prima di concedere la sospensione della pena, l'articolo 1 promuove un atto di generale sfiducia nei confronti di tutti i giudici, dai quali viene pretesa una motivazione più ampia e più penetrante nella concessione del beneficio.
È inutile e per certi aspetti dannoso l'articolo 2 del pacchetto, che da questo punto di vista può assurgere ad emblema dell'inutilità dell'intero provvedimento. Dopo che, con la depenalizzazione, la sinistra ha dichiarato il furto semplice perseguibile a querela, con questa legge poi incrementa il minimo della sanzione dello stesso tipo di reato.
Quanto al furto in abitazione e al cosiddetto scippo, c'è un provvedimento la cui efficacia deterrente sarà certamente verificata dai fatti, perché l'una e l'altra condotta subiscono lo spostamento dall'articolo 625 del codice penale al nuovo articolo 624-bis. Il ladro professionale sarà certamente terrorizzato da quel «bis», visto che non c'è null'altro di diverso nella norma, essendo la sanzione penale esattamente uguale nel minimo e nel massimo! È errato pensare di avere introdotto, con questa disposizione, una o due ipotesi autonome di reato. È superfluo, è da «Bignami di diritto penale» ricordare che ogni reato ha una sua struttura base rispetto alla quale gravitano come satelliti le circostanze, ciò che... circum stat! La struttura base del furto rimane sempre quella, ossia sottrarre una cosa mobile al suo legittimo possessore, impadronendosene. Rispetto a questa struttura base il «satellite», ciò che sta
Questa norma è dannosa nella parte in cui introduce questa figura, in omaggio alla delazione, che sembra essere diventata una sorta di simbolo della nazione, del cosiddetto ladro pentito, cioè di colui che si mette d'accordo con il complice per rubare, e che in virtù di questa norma potrà tenere il maltolto, denunciare il complice, e quindi eliminare un concorrente nella divisione, ed evitare qualsiasi restituzione del maltolto fruendo però di un abbuono sensibile di pena per la sua attività di delazione.
Un'altra parte del provvedimento, seppure con un notevole disordine, affronta modifiche in ordine sparso del codice di procedura penale: sto parlando degli articoli da 4 a 16. In particolare, dall'articolo 4 si ha qualche indicazione che potrebbe essere accettabile, visto che si cerca di alleggerire la polizia giudiziaria di una certa quota di notifiche che oggi sono disposte dai giudici. Tuttavia, anche in questo caso manca l'intervento parallelo sul piano amministrativo, e non si prevede, se non in tempi indefiniti, un incremento degli organici degli ufficiali giudiziari sui quali graverà il peso delle notifiche che non farà più la polizia giudiziaria. Non si prevede un potenziamento della loro struttura e il Governo, interpellato in proposito, in Commissione giustizia non ha fornito né cifre né dati precisi in proposito.
Per la serie delle «norme inutili», gli articoli 6 e 7 precisano che, anche dopo la comunicazione della notizia del reato, la polizia giudiziaria svolge attività di propria iniziativa, ma - questo rende le disposizioni assolutamente prive di senso - secondo le modalità del codice di procedura penale per le quali non vi è alcuna modifica di sostanza; non si capisce, pertanto, quale sia il senso di queste disposizioni.
La norma della quale si è maggiormente parlato, più sulla stampa che in Commissione, è quella introdotta dall'articolo 10. Vorrei, non riuscendo ad avere l'acume giuridico della maggioranza e del Governo, che qualcuno mi spiegasse questa schizofrenia: a fronte di una sentenza definitiva di condanna a tre anni di reclusione, vi è la sospensione automatica dell'esecuzione in base alle leggi Gozzini-Simeone-Saraceni; la sospensione automatica dell'esecuzione di una condanna definitiva sale a quattro anni, se il soggetto è tossicodipendente, o si dice tale, perché gli strumenti di verifica sono molto discutibili. Se si è, invece, condannati ad una pena di quattro anni di reclusione con sentenza definitiva, si va in carcere salvo che, come si dice nella norma, con linguaggio veramente brutto anche dal punto di vista estetico, risultino insussistenti le esigenze cautelari.
Per il Governo e per la maggioranza, a certe condizioni che sono grosso modo le stesse, le porte del carcere devono chiudersi dietro a chi è ancora presunto non colpevole, ma poi si possono tranquillamente spalancare per fare uscire la stessa persona quando la condanna diventi definitiva. Qui vi è qualcosa che non funziona, che sfugge alla comprensione. Rinvio poi all'esame analitico degli articoli che riguardano la disciplina della Corte di cassazione, come rinvio all'esame specifico degli articoli sul coordinamento delle forze di polizia per le quali sfugge l'individuazione di interventi concreti, mentre ci si trova di fronte a piani generali di intervento che ricordano molto i piani quinquennali della terza Internazionale, forse anche per analogia funzionale con la provenienza del ministro della giustizia.
Concludo dicendo che la sicurezza è un bene di tutti, non è patrimonio di una forza politica o di uno schieramento. Alleanza nazionale finora ha fondato i
Il provvedimento al nostro esame, quindi, nasce un po' dalla volontà del relatore e del rappresentante del Ministero dell'interno. Debbo peraltro dare atto al rappresentante del Ministero della giustizia che non vi è stato un particolare pathos nella discussione di questo provvedimento, avendo egli lasciato un po' fare alla maggioranza, perché abbiamo colto le difficoltà in cui è venuto a trovarsi, attesa la riscrittura quasi totale del provvedimento. Abbiamo notato, altresì, che la maggioranza non è d'accordo sui punti nodali della normativa, tant'è che l'onorevole Saraceni ha dovuto ammettere, con il candore che lo contraddistingue ed anche con la competenza tecnica che gli riconosciamo, che votava il provvedimento (in particolare l'originario articolo 13) ritenendolo non dannoso ma inutile. Ebbene, la sensazione che abbiamo avuto noi dell'opposizione è che un po' tutto il provvedimento sia permeato di un'inutilità che a detta dell'onorevole Saraceni non rasenta il danno, mentre secondo noi in taluni casi sì. Mi riferisco, lo ripeto, agli articoli 13 e 18 e chiedo al relatore, se lo riterrà in sede di replica o nel Comitato dei nove, di darci una spiegazione più esaustiva di quanto si è potuto o si è dovuto registrare in sede di lavori di Commissione, perché da parte del Presidente della Camera abbiamo avuto una spinta che non condividiamo, attese le dichiarazioni sulla serietà del provvedimento in questione e del cosiddetto pacchetto giustizia. Se infatti si ritiene il
Avevamo chiesto, peraltro, che questa discussione generale avvenisse su un testo quantomeno definitivo, ma c'è stato purtroppo risposto che questo non era possibile e che oggi avremmo dovuto affrontare un provvedimento che è monco e carente, perché deve essere tutto ridiscusso nel Comitato dei nove. Pensavamo, inoltre, che domani si sarebbe svolto il prosieguo della discussione, mentre c'è stato detto che ciò avverrà la prossima settimana, sicché l'incomprensione diventa ancora più capziosa, se si vuole aggiungere anche qualche dose di sospetto. Se, infatti, questo provvedimento deve servire a Bianco e a qualcun altro ad occupare per una decina di giorni le pagine dei giornali, continuino a farlo, tanto lo hanno fatto e probabilmente i toni usati sono i meno opportuni. Se invece questo Parlamento si assume la reale responsabilità di predisporre una legge utile e per quanto possibile giusta, credo tutti i suoi componenti, maggioranza ed opposizione, abbiano l'obbligo di lavorare ad essa, di dare un contributo e discutere, perché in effetti, nella fase in cui ci troviamo, non possiamo procedere a vista.
Credo che non se l'aspettino i cittadini e che non sia la volontà del Parlamento, quanto meno dell'opposizione.
Probabilmente, con la fretta che ormai si avverte in Commissione, la maggioranza pensa di riuscire a ricompattarsi; mi auguro non sia così e che coloro che hanno reso dichiarazioni in Commissione su articoli importanti e significativi tengano fermi i loro principi (non ne dubito) perché, se così sarà, credo che il provvedimento in esame, per come è stato concepito, potrà anche essere cestinato; infatti, se non dovessero essere approvati o se si modificassero gli articoli 13 e 18, altre disposizioni contenute nel provvedimento, che ora hanno un senso, non avrebbero ragione di esistere.
Si sono voluti rigettare, senza comprenderne le ragioni, una serie di emendamenti presentati dall'opposizione e, quando sono stati discussi gli emendamenti della maggioranza e, in particolare, del relatore, penso che tutti abbiamo dato un contributo, per quanto possibile e in relazione al minimo tempo che ci è stato assegnato. Ancora oggi, esponenti della maggioranza si ostinano a rilasciare dichiarazioni alla stampa, nelle quali sostengono che il Polo, che l'opposizione, sta facendo ostruzionismo; credo, veramente, che si voglia dare, di una vicenda che riteniamo seria, un'immagine un po' confusionaria e «lecchinesca». Forse, non trovando il bandolo della matassa, la maggioranza cerca ancora una volta di confondere le acque; l'ha fatto con tanti altri provvedimenti e non ci meravigliamo che lo faccia anche in questo caso. Penso, però, che siamo arrivati ad un punto di tolleranza oltre il quale non sia possibile ragionare in maniera seria.
Noi continueremo a collaborare con la maggioranza, purché ci venga dato un segnale vero di collaborazione. Ha ragione il collega Mantovano nell'affermare che la sicurezza è un problema di tutti, non della maggioranza, del presidente della Commissione giustizia o del relatore. Credo che il contributo che abbiamo dato, probabilmente modesto (così hanno ritenuto i signori che ho citato), debba far riflettere. Onestamente, però, il fatto che ogni volta che si voti, anche su emendamenti minimali, si riscontri un atteggiamento di non collaborazione da parte della maggioranza, ci pone in una condizione di grande difficoltà. Ciò nonostante, ostinatamente, noi continueremo ad essere presenti in Commissione e a ribadire quelli che consideriamo i principi fondanti di un provvedimento che, all'esterno, viene definito «pacchetto sicurezza».
Mi auguro che il relatore, che a parole, cortesemente, ci ha sempre assicurato di essere disponibile a modificare il testo, ripensi sul provvedimento perché, come è stato dichiarato da tutti, l'intervento del Comitato dei nove è necessario. In tale sede, è la dichiarazione che è stata fatta (intendo sottolinearlo qui in aula), verrà ridiscusso l'intero provvedimento, il che vuol dire, probabilmente, tenere conto
Mi auguro che noi componenti la Commissione eviteremo di parlare del provvedimento per una settimana, al di là delle discussioni di carattere generale, perché - concludo, signor Presidente - dichiarazioni come quelle rese oggi da una persona responsabile come l'onorevole Carotti ci lasciano veramente molto perplessi. La politica facciamola nelle piazze, qui affrontiamo altri argomenti; probabilmente, quando l'iter del provvedimento sarà concluso, potremo dire di aver contribuito, tutti o nessuno (poi lo vedremo). Non ci facciamo però prendere dal piacere e dal desiderio di esternare continuamente, perché l'esternazione ci porterebbe sicuramente ad ulteriori divisioni, quando invece abbiamo dimostrato in Commissione che, quando si vuole lavorare e collaborare, si ottengono dei risultati!
Consiglio ai colleghi - e credo che il relatore ne avrà già preso atto - di leggersi le dichiarazioni rilasciate da Antonio La Torre, procuratore generale della Cassazione, che ha parlato dei troppi rigurgiti inquisitori e di carcere preventivo. Credo che il pulpito dal quale provengono tali dichiarazioni sia tale che dovrebbero fare riflettere veramente tutti. Il carcere preventivo, anche se in base a sentenza conforme di secondo grado, probabilmente risente di una costruzione filosofica e tecnico-giuridica un po' diversa da quella che ci appartiene; tuttavia, anche se così non fosse, inviterei quella parte della maggioranza che su questo punto è ancora blindata a rivedere la propria posizione, proprio alla luce delle considerazioni fatte da tanta parte autorevole della dottrina e della giurisprudenza in Italia su questo problema. Credo che, se tali considerazioni venissero in qualche modo valutate, probabilmente il provvedimento, anche se non è la panacea di tutti i mali, e certamente non lo è per come è stato configurato, alla fine potrà dare quei piccoli aggiustamenti che la gente si aspetta. È tuttavia certo che, se il provvedimento deve essere definito «pacchetto-sicurezza», dovrà avere un testo più ampio ed articolato che affronti più la prevenzione che non la riscrittura e la rimodificazione del codice penale o del diritto penale sostanziale perché, su tali basi, credo che andremmo ad illudere il cittadino senza dare quelle risposte che invece - credo - tutti noi e i cittadini per primi si aspettano (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e misto-CDU).
Il Corriere della Sera di ieri riportava un rimprovero del Presidente del Consiglio al Parlamento per il fatto di non essere riuscito ad approvare il pacchetto, ma che, in sostanza, era un'accusa rivolta
I colleghi più illuminati della maggioranza e dell'opposizione concordano sul fatto che non si possa ricorrere sempre alla legislazione di emergenza e che non si possa legiferare sotto la spinta emotiva di fatti di sangue accaduti in alcune città d'Italia e che hanno destato impressione nell'opinione pubblica, accentuandone il bisogno di sicurezza. E così, a seguito della campagna di stampa relativa ai nove omicidi verificatisi a Milano nel gennaio del 1999, venne presentato il primo pacchetto di sicurezza. Non se ne fece nulla, non per l'ostruzionismo dell'opposizione, ma per la divisione della maggioranza! Infatti, quando la maggioranza è compatta e blinda un provvedimento, all'opposizione non rimane che sperare in qualche emendamento di scarso rilievo e di votare contro!
È stato poi il tentato omicidio di due agenti della Polizia di Stato da parte di tal Concardi, pluriomicida che aveva ottenuto la semilibertà dal tribunale di sorveglianza di Milano, a far riproporre il problema della sicurezza al ministro Bianco, di recente nomina e quindi bisognoso di rendersi visibile.
Di qui, un'orgia di interviste, di apparizioni televisive, di messaggi rassicuranti. Questi messaggi dicono: «stiano tranquilli i cittadini: i furti negli appartamenti saranno puniti con pene gravissime e altrettanto gravemente sarà punito lo scippo; la sospensione condizionale della pena non potrà essere concessa ai recidivi; si andrà in carcere subito dopo la sentenza di primo grado o comunque dopo quella di secondo grado; le leggi Gozzini e Simeone saranno riformate». Ancora una volta, le grida del ministro non trovano ascolto nella Commissione giustizia, dove la maggioranza, divisa e non convinta, tenta di convincere l'opposizione che in fondo in fondo quel pacchetto, ancorché inutile, non è dannoso e quindi si può anche approvare; lo ha detto il collega Saraceni, la cui competenza in materia è notoria, che è esponente della maggioranza e però non si esime dal criticare il provvedimento della maggioranza, anche se non ha il coraggio, come invece ha avuto il collega Pisapia, di votare contro.
Perché bisogna ad ogni costo votare il «pacchetto» e in questo momento? Perché, come ha spesso sostenuto l'onorevole Bonito, l'opinione pubblica attende un segnale dal Parlamento. Dopo aver impegnato numerose sedute sul problema della sospensione condizionale della pena, sul furto in appartamento come figura autonoma circostanziata e sulla possibilità di effettuare il giudizio di comparazione fra le attenuanti e le aggravanti, si stava affrontando il problema più spinoso del pacchetto: la facoltà riconosciuta al giudice di appello di applicare una misura cautelare, su richiesta del pubblico ministero, nel caso di doppia sentenza di condanna conforme, che poi non era una facoltà, ma addirittura un obbligo.
La maggioranza era divisa sull'opportunità di votare tale articolo e si era formata una maggioranza trasversale ad esso contraria, ma si preferì accantonarlo, sperando di poter trovare una soluzione nel tempo che ci avrebbe concesso il Presidente Violante, cui era stata fatta presente l'impasse in cui si trovava la maggioranza e quindi l'impossibilità di procedere all'esame di tutto il testo per portarlo in aula lunedì 28 febbraio, cioè oggi. Ma c'è stato il grave fatto di Brindisi, che evidentemente ha consigliato il Presidente della Camera a mantenere fermo il calendario.
Così, ancora una volta, l'emergenza ha condizionato il normale svolgimento e, temo, anche il risultato dell'attività legislativa e siamo qui a rinnovare la nostra contrarietà e le nostre critiche. Certo, ci è stato garantito un esame in Comitato dei nove approfondito per ridiscutere gli emendamenti respinti e che noi ripresenteremo, ma abbiamo il fondato timore che la maggioranza non rinunzi al messaggio
Le nostre critiche, sempre puntuali ed argomentate, hanno trovato il conforto del Comitato per la legislazione e delle Commissioni chiamate ad esprimere i loro pareri.
Il Comitato per la legislazione, che era stato interessato dalla Commissione su richiesta dell'opposizione, ha espresso numerose osservazioni, sia sotto il profilo della chiarezza e della proprietà della formulazione, sia sotto il profilo dell'efficacia del testo per la semplificazione e il riordinamento della legislazione vigente. Lo stesso vale per il parere della I Commissione, la quale, come è ovvio, ha verificato il testo alla luce della Costituzione ed ha ritenuto che alcune parti possono apparire contrastanti con la stessa, così come d'altronde avevamo segnalato noi dell'opposizione. La Commissione affari costituzionali ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 95 del 1976, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'attuale comma 4 dell'articolo 164 del codice penale, nella parte in cui non consente la concessione della sospensione condizionale a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto non sospesa, qualora la pena da infliggere cumulata con quella irrogata non superi i limiti stabiliti dall'articolo 163 del codice penale.
La medesima Commissione, inoltre, chiede che siano riformulate le disposizioni di cui all'articolo 13 (ora articolo 10) coerentemente con i principi dell'ordinamento costituzionale previsti agli articoli 13 e 27 della Costituzione in materia di restrizioni alla libertà personale e di responsabilità penale, in forza dei quali le misure restrittive della libertà personale non possono avere in alcun modo la finalità di anticipazione della pena. Il collega Donato Bruno ha citato l'intervista del procuratore generale, dottor Antonio La Torre, il quale ha compiuto un excursus del nuovo codice del 1989, che prevede con carattere eccezionale la misura cautelare; si è poi abusato della custodia cautelare, arrivando perfino a rendere, di fatto, esecutiva la sentenza d'appello.
Quindi, non vi è ostruzionismo, non vi è contrarietà di principio da parte dell'opposizione, ma vi sono pareri espressi da persone autorevoli, disinteressate, all'apice della carriera in magistratura; lo stesso procuratore generale è persona altamente qualificata che, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, ha parlato dei pentiti come di un male necessario, ma pur sempre un male.
La I Commissione ritiene che l'adozione di una pronunzia d'inammissibilità del ricorso per Cassazione in assenza di intervento delle parti appaia lesiva dei principi costituzionali stabiliti dall'articolo 111 della Costituzione e, in particolare, del principio del contraddittorio, nonché lesiva dell'articolo 24 della Costituzione, che garantisce a tutti il diritto di difesa. La medesima Commissione interviene, inoltre, su vari altri aspetti segnalati dall'opposizione, il che sta a dimostrare, cari amici della maggioranza, signor rappresentante del Governo, che l'opposizione non fa ostruzionismo aprioristico ed irragionevole e che le nostre argomentazioni sono tutte fondate, per cui è da apprezzare il nostro contributo a non far passare leggi non solo inutili, ma dannose, perché addirittura incostituzionali.
Mi dispiace di dover leggere una dichiarazione rilasciata all'ANSA dall'onorevole Carotti, che ha sempre apprezzato in concreto, in privato ed in Commissione, il rilevante contributo che l'opposizione ha dato alla formulazione delle leggi e che oggi, solo per demagogia, si permette di dichiarare «eppure a tutto questo il Polo ha sempre risposto con un atteggiamento di ostruzionismo».
È grave, signor Presidente, onorevoli colleghi, che si ricorra a queste dichiarazioni con le quali si dimostra che il pacchetto è stato presentato e portato avanti solo a fini demagogici. Ci è voluto molto tempo per dare una nuova disciplina al reato di furto, laddove la vigente disciplina non fa una grinza e prevede addirittura punizioni ancora più gravi di quelle introdotte con il nuovo testo. Si è
Quanto poi all'articolo 13, ora articolo 10, è stato detto tutto. L'articolo 27 della Costituzione prevede che l'imputato non sia considerato colpevole fino alla condanna definitiva, invece viene sottoposto a custodia cautelare, su semplice richiesta del pubblico ministero, e quindi quasi automaticamente, già in fase d'appello.
Riporto nuovamente il pensiero autorevole del procuratore generale La Torre in merito: «La partecipazione della difesa, che pur sembra una conquista, può alla fine rivelarsi una mera copertura». Su questo punto continueremo ad essere intransigenti essendo in gioco la libertà del cittadino. Si eccepisce che l'articolo 111 della Costituzione prevede anche che i processi si svolgano in tempi ragionevoli e quindi che i risultati dei processi e le sentenze vengano eseguiti in tempi ragionevoli. Non si è pensato di meglio che ricorrere all'esecutività della sentenza di secondo grado, al processo celere, come dice l'articolo 111 della Costituzione, quindi alla celerità dell'esecuzione della sentenza. Così si fanno pagare al cittadino le disfunzioni della macchina giudiziaria. Il giudice unico, con la depenalizzazione dei reati minori e l'introduzione del giudice di pace penale avrebbe dovuto liberare, secondo il ministro Flick prima e il ministro Diliberto poi, più giudici da impiegare nella trattazione di processi più importanti.
Noi non siamo stati favorevoli, entusiasti, né lo siamo, al giudice unico e ciò soprattutto per la perdita della garanzia della collegialità, tuttavia chiediamo al ministro di mantenere le promesse. Ciò significa migliorare le strutture; non si fanno le riforme a costo zero, come aveva pensato il ministro Flick, o con costi minimi, come dimostra il bilancio dello Stato: occorre aumentare gli organici. I mille magistrati di cui ha parlato il ministro Diliberto devono essere effettivi, i concorsi devono essere svolti in modo corretto, senza ricorsi al TAR. Occorre aumentare gli organici perché possano essere applicate al meglio la legge Gozzini e la legge Simeone, che sono leggi dello Stato, le quali devono essere migliorate, anche se conservano un impianto apprezzabile. Soprattutto, è necessario curare la produttività dei giudici. Le prescrizioni, le scarcerazioni e, quindi, l'allarme sociale sono dovuti anche al fatto che non sempre si applicano le leggi con professionalità, coscienza ed intelligenza. La sospensione condizionale della pena non è e non deve essere automatica, così come non è e non dovrebbe essere automatico il giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti.
Ieri, in un convegno organizzato a Caserta dall'associazione nazionale magistrati - mi pare dalla corrente Unità per la Costituzione -, il ministro Diliberto, che prima aveva criticato il numero eccessivo di convegni, perché creano problemi, discrasie e confusione, poiché vi sono troppe tavole rotonde, in cui chiunque parla, dice e contraddice, alla fine, rivolgendosi ai magistrati, li ha invitati alla sobrietà. Avrei gradito che li avesse invitati anche a lavorare di più: evidentemente si tratta di un corollario, perché, nel momento in cui egli dice ai magistrati di non partecipare a tante tavole rotonde e di non rilasciare tante interviste, dice anche che devono pensare a lavorare di più.
Egli ha sostenuto che, senza la dedizione e la professionalità dei magistrati - evidentemente non di tutti, perché sappiamo che vi è anche dell'accidia e che vi sono tante scarcerazioni ed i processi si allungano, perché non tutti fanno il loro dovere -, oggi saremmo alla catastrofe. Il ministro, quindi, a mio avviso dovrebbe curare, oltre alle strutture, anche il personale, che deve impiegare quelle strutture. Noi chiediamo al ministro dell'interno di controllare meglio il territorio e che la Polizia di Stato non venga distolta dai suoi compiti istituzionali.
Vi è poi il problema delle notifiche: non vedo perché le notifiche debbano essere effettuate da agenti della Polizia di
Concludo lanciando una sfida al ministro della giustizia e al ministro dell'interno: bisogna coniugare le garanzie con la sicurezza. Abbiamo approvato la modifica dell'articolo 111 della Costituzione, che riguarda le garanzie per il processo, che deve essere giusto, equo e deve avvenire nel pieno contraddittorio; vi è anche l'articolo 27 della Costituzione, in base al quale l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, ma non bisogna rispettare soltanto questi due articoli. La sfida è la seguente: conciliare sicurezza e rispetto delle garanzie. È questa la sfida che lanciamo al ministro dell'interno e al ministro della giustizia. Collaboreremo, come abbiamo sempre fatto in questa legislatura, alla formulazione di leggi utili che rimangano nell'alveo delle garanzie e della sicurezza e non rispondano soltanto ad esigenze «manifesto» o di spettacolo. Vogliamo leggi serie ed utili, che resistano nel tempo e non rispondano soltanto a momenti di emergenza (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Il provvedimento in esame attiene alla tutela della sicurezza dei cittadini. Sappiamo tutti che, dopo l'emergenza occupazione, la sicurezza è divenuta la seconda priorità per gli italiani. Quando parliamo di pacchetto sicurezza, non ci riferiamo ai tragici eventi che, purtroppo, sono accaduti a Brindisi: quella è un'altra storia, un'altra vicenda che attiene ad interessi assai rilevanti e ad una criminalità organizzata da aggredire ed annientare con altri sistemi e metodi. Ci riferiamo, invece, ai fatti di ordinaria criminalità che affliggono quotidianamente i cittadini: ci riferiamo ai furti con destrezza, ai furti in appartamenti, ai furti di autovetture e agli scippi, devianze che rappresentano un degrado quotidiano divenuto ormai assolutamente inaccettabile.
La filosofia del provvedimento in esame, che è stato a lungo discusso in Commissione, è quella di tentare di aggredire gli eventi malavitosi che quotidianamente ed impunemente - sottolineo impunemente - aggrediscono la nostra società. Certo, se volessimo immaginare di risolvere tutti i problemi e se si potesse realizzare per un attimo il sogno del legislatore che vorrebbe, attraverso le leggi, modificare immediatamente la società, sarebbe bello immaginare di rimuovere le cause di degrado - anche sociale - che, purtroppo, generano questa criminalità d'accatto. Sarebbe bello immaginare una società in cui, all'improvviso, tornasse ad affacciarsi un minimo di equità sociale, per consentire a tutti di scegliere a quale lecita attività dedicarsi quotidianamente. Sarebbe ancor più bello rimuovere quelle barriere architettoniche dei sobborghi cittadini nei quali tali devianze attecchiscono e proliferano concretamente. Ma questo
Cerchiamo, allora, di comprendere per quali motivi, e sulla base di quali presupposti, questo fenomeno sia diventato così inquietante. Una delle prime cause può essere cronologicamente ricercata nell'approvazione del codice di procedura penale del 1988. Con quel codice si è in effetti determinata una svolta, in quanto sono state sottratte le indagini alla polizia giudiziaria ed alle forze dell'ordine - a parte qualche eccezione prevista nel codice -, affidando tutto alle procure. A mio modesto avviso questa scelta legislativa, che si muoveva nella logica di un sistema accusatorio che intendeva chiaramente privilegiare la possibilità di acquisizione di materiale probatorio e di gestione dello stesso direttamente in udienza, quindi nel contraddittorio, ha comportato due effetti negativi.
Da una parte, dobbiamo riconoscere che la figura del pubblico ministero si è allontanata dalla giurisdizione, avvicinandosi sempre di più ad un ruolo che potremmo definire di capo della polizia, di coordinatore delle indagini, che è cosa ben diversa. Il pubblico ministero, infatti, quando esercita la giurisdizione deve valutare gli elementi indiziari o probatori che gli vengono sottoposti, mentre nel momento in cui dirige le indagini è lui stesso a fare in modo che un assioma, una costruzione che a volte può essere anche fantastica, sia pure realistica, debba essere dimostrata. Così facendo, tutte le risorse vengono destinate (alla faccia dell'obbligatorietà dell'azione penale, che tutti continuiamo ad immaginare esistente, ma che invece permane soltanto nella Costituzione, come astratta proposizione) ad autentiche priorità, come quelle legate alla criminalità organizzata: non c'è nessuno che non immagini che, tra un percorso che privilegi la possibilità di colpire i criminali che hanno compiuto l'efferato delitto di Brindisi di qualche giorno fa e la necessità di arrestare il ladro di polli, come comunemente viene chiamato, sarà il primo percorso ad essere considerato prioritario. D'altra parte, le risorse vengono destinate a volte a priorità effettive, come quelle relative alla criminalità organizzata, ma altre volte anche a fantasmagoriche indagini con immediato ritorno «massmediologico». Abbiamo visto, per esempio, come ricordava il collega Saponara, che il ministro guardasigilli, in un convegno a Caserta, invitava i magistrati ad essere meno protagonisti.
Tutto ciò che ho ricordato rientra nel primo degli effetti negativi della riforma del codice di procedura penale. Il secondo ordine di effetti negativi è legato al fatto che, prevedendo questa azione diretta del pubblico ministero nelle indagini, di fatto è stata sottratta alla polizia giudiziaria la possibilità di continuare ad indagare autonomamente. Allora, se questo è il dato dal quale dobbiamo in qualche modo partire, occorre immaginare una strada (e con questo provvedimento tale strada è stata indicata e tracciata, starà poi alle Assemblee della Camera e del Senato far sì che questa scelta venga concretamente attuata) che porti a restituire un minimo di autonomia alla polizia giudiziaria, restituendole la libera iniziativa nell'investigazione, pur contemperandola con alcuni limiti previsti, consentendo la prosecuzione degli accertamenti anche in merito ad ipotesi di reati minori che non possono essere seguiti direttamente dal pubblico ministero. È evidente, infatti, che quest'ultimo deve operare una scelta e, nel momento in cui è sommerso da fascicoli, la sua scelta non potrà che essere indirizzata verso i delitti di criminalità organizzata, sguarnendo così quel fronte che poi determina le richieste che i cittadini quotidianamente rivolgono ai politici.
In questa logica vanno gli articoli 7, 8 e 9 di questo provvedimento, che qualcuno ama definire inutile o superficiale, ma che invece fornisce alcune risposte concrete, sia pure con i limiti di cui ho già parlato, in quanto non è possibile risolvere tutto con una legge. Gli articoli che
Sempre in questa direzione, oltre a tutte le norme che attengono al coordinamento delle forze di polizia, va anche quella, ancor più specifica, che prevede la possibilità di utilizzare personale militare in ipotesi di sorveglianza e controllo di obiettivi fissi, per far sì che non vengano distratte le forze della polizia giudiziaria verso questi obiettivi, la cui sorveglianza può essere tranquillamente affidata ai militari. In questa stessa direzione va sicuramente la norma contenuta nell'articolo 3.
Non sono d'accordo con il collega Saponara sulla questione delle notifiche effettuate dalle forze dell'ordine. Abbiamo valutato che una delle cause di impossibilità di presidiare correttamente il territorio era rappresentata proprio dal corposo aumento delle competenze affidate alla polizia giudiziaria. Con l'articolo 3 - il relatore mi correggerà nel caso in cui dica una sciocchezza - è stato modificato l'articolo 148 del codice di procedura penale, sottraendo alla polizia giudiziaria tutti i compiti di notifica - tranne quelli nei confronti dei detenuti - che vengono restituiti ad altri apparati dello Stato, proprio immaginando che la polizia, l'Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza debbano occuparsi non di mere notificazioni, che possono essere svolte anche da altri, ma di presidiare il territorio come tutti noi vogliamo che avvenga.
Vi è inoltre l'esigenza di incidere sul versante della certezza della pena anche per evitare che alcuni istituti premiali possano operare quasi in automatico, vale a dire senza un reale accertamento della pericolosità sociale o della prognosi di recidivanza che rappresentano i presupposti per la loro applicazione. In questo senso va l'articolo 1 sul quale abbiamo molto discusso in Commissione e sul quale tanto ci siamo divisi e confrontati, il quale si prefigge lo scopo di evitare automatismi incontrollati nella concessione della sospensione condizionale della pena.
Sempre nella logica della deterrenza - ha ragione il collega Marotta ad affermare che tra gli scopi della pena vi è anche quello della deterrenza -, sono stati tipizzati alcuni reati, mi riferisco al furto in abitazione e al furto con strappo, prevedendo pene più severe ed un più facile ed obbligato accesso al rito per direttissima.
Altra semplificazione che incide sul versante della durata dei processi - sappiamo, infatti, che l'aumento di un certo tipo di criminalità è legato anche all'incapacità dello Stato di intervenire in tempo utile per irrogare una punizione che possa fungere da deterrente - è prevista dall'articolo 5 che stabilisce una sorta di filtro di inammissibilità in Cassazione al fine di evitare, come accade attualmente, che il giudice di legittimità possa diventare lo strumento per far maturare le prescrizioni.
Detto questo, con una rapida carrellata anche per tener fede ad un impegno assunto con il collega Tassone, devo tuttavia evidenziare i punti del provvedimento che non ci convincono, che ci lasciano perplessi e che, probabilmente, avrebbero avuto bisogno di un maggiore affinamento, perlomeno dal nostro punto di vista. Rispetto a tali questioni, senza alcuna pretesa di esclusività, preannuncio la presentazione di emendamenti da parte del mio gruppo.
Non ci convince, ad esempio, il comma 5 dell'articolo 5 che, modificando il comma 1 dell'articolo 613 del codice di procedura penale, introduce l'inammissibilità del ricorso in Cassazione presentato direttamente dalle parti. Affinché chi ci ascolta possa meglio intendere, va detto che il nostro sistema privilegiava la possibilità di accedere al terzo grado, quello di legittimità, offrendone l'opportunità oltre agli avvocati cassazionisti - vale a dire a coloro i quali ne avevano titolo - anche direttamente alla parte, la quale, se si trovava di fronte ad un provvedimento di secondo grado - o di primo grado in caso di ricorso per saltum - che violasse una
Il comma 5 dell'articolo 5 del provvedimento al nostro esame è stato oggetto di un nostro emendamento soppressivo che non è stato approvato in Commissione, ma che noi ripresenteremo in Assemblea convinti come siamo che in questo modo si sottrae ai meno abbienti la possibilità di adire direttamente il giudice di legittimità, introducendo sostanzialmente una discriminazione sociale che appare intollerabile. Quando modificammo la legge Gozzini - il collega Meloni se lo ricorderà - con la cosiddetta legge Simeone-Saraceni, tra le altre cose prevedemmo la consegna del provvedimento esecutivo direttamente, perché immaginavamo un percorso con il quale volevamo mettere tutti in condizione di poter accedere ai benefici previsti dalla legge.
In questo caso mi pare si vada nella direzione esattamente opposta, e su questo punto preannunciamo la presentazione di un nostro emendamento.
Ma il tema nodale, quello su cui comunque vi è stato un confronto serrato, a volte anche aspro, in Commissione ma anche nei mass media e sui giornali, è quello cui si riferisce l'articolo 13, il quale, a nostro avviso, di fatto introduce un'obbligatoria presunzione di pericolosità sociale per coloro i quali siano stati condannati in secondo grado a pene superiori a quattro anni, nel senso che, mentre il percorso ordinario è quello di considerare che la pericolosità sociale non esiste e nel momento in cui vi sono gli elementi per farlo si va ad applicare la misura custodiale, nel caso in oggetto si parte addirittura dal presupposto opposto, ossia si presume che chi è stato condannato in secondo grado ad una pena superiore a quattro anni per lo stesso tipo di reato sia già di per sé socialmente pericoloso.
Questo tipo di scelta l'abbiamo avversata fin dall'inizio e vorrei che rispetto a ciò il relatore riconoscesse che il nostro gruppo, o almeno una parte del nostro gruppo, è stata sempre contraria a questa formulazione dell'articolo 13. Noi, infatti, abbiamo sempre cercato di combattere la codificazione di un principio, quello della cosiddetta doppia conforme, tanto caro ad una parte secondo noi giustizialista della dottrina, che di fatto, in violazione dell'articolo 27, secondo comma, della Costituzione (secondo il quale l'imputato non è considerato colpevole fino a condanna definitiva), trasforma la custodia cautelare in una vera e propria anticipazione di pena.
Il punto di partenza è proprio quello di trasformare la presunzione di innocenza in presunzione di pericolosità sociale, che è solamente collegata al fatto che c'è questa doppia condanna ad una pena superiore a quattro anni. Si introduce così - e secondo noi questo è un altro elemento di pericolosità - per il giudice di secondo grado una doppia discrezionalità. La prima è storica ed è quella di determinare la pena, ed è giusto che sia così. Con la seconda, che è appunto pericolosa, determinandosi la pena e in una misura superiore a quattro anni, di fatto si immagina un percorso, rispetto alla custodia cautelare, che, se non diventa obbligatorio, diventa però fortemente obbligato. Il che obiettivamente non ci convince e non lo possiamo accettare. Aggiungo che ciò non avviene, come in altra parte del codice è previsto rispetto a fattispecie codificate (ad esempio, per i reati associativi di cui all'articolo 416-bis), ma avviene genericamente, rispetto cioè ad ipotesi di reato che non sono assolutamente predefinite.
E lo stesso meccanismo immaginato per attuare questo tipo di riforma non ci convince se è vero come è vero che la previsione parla di doppio accertamento di responsabilità per lo stesso reato, in primo e in secondo grado. Ed allora,
Mi chiedo ancora: perché per chi è stato assolto in primo grado, magari per errore, e viene condannato in secondo grado ad una pena anche superiore a cinque anni, si deve prevedere, ai fini della pericolosità sociale e ai fini della custodia cautelare, un percorso completamente diverso rispetto a quello previsto per chi invece è stato condannato ad una pena inferiore soltanto per il fatto che per lo stesso reato c'è stata una doppia affermazione di responsabilità? Sono cose che obiettivamente non mi convincono.
L'ultima considerazione che intendo fare può sembrare marginale, ma è, a mio avviso, quella più forte. Penso che in uno Stato di diritto occorra lasciare anche la possibilità al reo, a chi vuole delinquere, di prefigurarsi un percorso anche punitivo. Ciò, di fatto, con l'articolo 13 non accadrà più. Sappiamo che è possibile, per i reati associativi, prevedere che vi sarà da parte dell'autorità una condotta punitiva molto più rigorosa; non è così, invece, rispetto alla previsione dell'articolo 13 che è astratta, perché non è collegata ad alcuna ipotesi di reato.
Penso che uno Stato di diritto effettivamente garantista non possa introdurre norme incerte e lacunose come questa che, anche dal punto di vista del reo, diventa pericolosa. Non è possibile immaginare un percorso senza sapere neppure cosa accadrà in conseguenza di ciò che intendo fare. Sono tutte considerazioni che ci inducono a ritenere che, anche dando atto al relatore che sono state introdotte modifiche rispetto all'articolo 13, non siamo arrivati ad un livello tale da immaginare un atteggiamento di collaborazione.
Mi avvio a concludere. Non ci convince appieno, infine, l'articolo 18, secondo comma, sui controlli delle forze dell'ordine in materia di ricettazione e di riciclaggio, ma su questo punto e su un paio di aspetti che sono minori rispetto alle osservazioni ci riserviamo di tornare nel momento in cui decideremo di presentare e di discutere i nostri emendamenti.
Ritengo che dobbiamo fare alcune riflessioni e porci alcuni interrogativi. Non vi è dubbio che, quando legiferiamo e discutiamo dei provvedimenti, abbiamo ben presente la realtà del paese o, quanto meno, tentiamo di rapportarci ad essa.
Questo provvedimento ha un'intestazione molto forte: «Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini». In quest'aula e, in modo particolare, durante questo dibattito, è echeggiata più volte l'esigenza di sicurezza avvertita dai cittadini.
Il primo interrogativo che pongo è il seguente: con questo provvedimento si fa un passo in avanti nella direzione della sicurezza dei cittadini? Faccio questa domanda anche all'esimio sottosegretario per la giustizia. Si fa un passo in avanti? Ritengo di no; certo, si opera all'interno del diritto del codice penale e delle specie di reati, ma non ritengo si faccia un passo in avanti nella direzione della sicurezza del cittadino.
Colleghi, ritengo che abbiamo oggi ben presente quale sia la realtà del paese. Ci
In questa sede si è parlato di controllo del territorio e di obbligatorietà dell'azione penale e - come faccio anch'io - di effettività della pena. Non vi è dubbio che si tratti di temi e problemi che debbono essere ben presenti alla nostra attenzione. Non voglio dire che questo provvedimento sia inutile, ma chiedermi se sia utile, considerate le gravi preoccupazioni che sono emerse anche dall'intervento dell'onorevole Saponara o da quello testé svolto dall'onorevole Manzione, che ritengo di dover condividere anche per quanto riguarda l'articolo 13. Non vi è dubbio, infatti, che in quell'articolo vi è un cambiamento di cultura giuridica e non crediamo che tutto questo possa portare ad una capacità da parte dello Stato di creare condizioni di maggiore sicurezza all'interno del nostro paese. Certo, intervenendo per quanto riguarda le misure cautelari o le sospensioni della pena, si fanno azioni e valutazioni, ma non ritengo che tutto questo possa condurci ad una capacità nuova e diversa rispetto a quella che è una situazione di debolezza del paese e dello Stato nei confronti della criminalità organizzata ma anche della microcriminalità.
Onorevole Meloni, molto spesso la microcriminalità è determinata, dalle mie parti come in molte altre del paese da delinquenti incalliti, da drogati o, come si suol dire, da zingari. Pensate che la questione dell'aumento della pena possa costituire una forte deterrenza quando molto spesso le denunce presentate non vengono ad essere neanche accolte né accettate? Abbiamo migliaia e migliaia di denunce e il cittadino non le presenta nemmeno più: questo è il vero problema, non quello di aumentare le pene di sei mesi, di tre anni o di sei. Il cittadino non denuncia più il furto di auto, né lo scasso, perché molto spesso queste denunce non vengono neanche raccolte dalle forze di polizia o c'è un tentativo di dissuasione, si chiede se ne valga la pena. Questo è il vero problema, se vogliamo discutere seriamente, perché la microcriminalità è anche un cancro che corrode il tessuto sociale e civile all'interno del nostro paese.
Possiamo essere d'accordo o meno sull'impianto del provvedimento e possiamo discutere sul ricorso in Cassazione (anche a questo proposito sono d'accordo con l'onorevole Manzione), ma dopo che abbiamo dibattuto sulle normative e sugli aggiustamenti che si possono introdurre rimane il grave dubbio sull'efficacia di queste misure. Ecco perché nei giorni scorsi abbiamo detto, ad esempio, che alcune questioni dovevano essere riviste. Non basta il titolo roboante di un provvedimento legislativo per innescare fatti nuovi, né è sufficiente discutere di riordino delle forze di polizia, come si è fatto nella settimana scorsa, per risolvere il problema del coordinamento delle forze di polizia, che in quel progetto di legge non c'è, perché esso affronta semplicemente il problema dei vertici, non quello della base dei carabinieri e delle forze di polizia. Non c'è dubbio che debbano esservi una visione, un progetto, un disegno diversi, molto più articolati, cogenti, veri ed effettivi, altrimenti faremmo semplicemente accademia, come si suol dire. In quest'aula vi sono bravissimi giuristi e bravi colleghi, che lavorano in Commissione giustizia; ho già dato atto di ciò al relatore e lo faccio per la seconda volta. Tutto questo, però, non significa che si vada nella direzione giusta.
Come parlamentari del CDU, avevamo posto alcune questioni, tra le quali quella degli emendamenti dichiarati inammissibili dal presidente della Commissione. Noi intendevamo «manovrare» sulla legge Gozzini, sulla quale - non c'è dubbio - si
La prevenzione e la sicurezza sono un'altra cosa. In un paese di 7 mila persone, sottosegretario per la giustizia, si conoscono tutti. La mia dichiarazione è eloquente e l'ho resa più volte, con Napolitano ministro dell'interno e Sinisi, sottosegretario di Stato per l'interno. Se in un paese di 7 mila abitanti vengono ammazzate tre persone da un commando, che ritengo sia conosciuto, non vi è dubbio che la successiva lamentazione e la successiva disperazione sono pura ipocrisia e finzione e che non si intende affrontare il problema nella sua sostanza e complessità.
Certo, si parla di deterrenza e di riduzione della microcriminalità, ma non c'è dubbio che i problemi sono grandi, sono altrove e sono molto maggiori di quanto possiamo immaginare e di quanto risulta dalle considerazioni svolte in questo particolare momento sulla stampa o nel corso del dibattito. Non capisco perché vi siano polemiche da parte del Presidente del Consiglio dei ministri o dell'onorevole Carotti; non si tratta di problemi della maggioranza o di questo Governo, ma di problemi annosi, decennali, oserei dire secolari. Se vogliamo lanciare messaggi forti, dobbiamo essere un po' più veritieri fra noi.
Concludo, signor Presidente, con un'ulteriore considerazione. Per quanto riguarda gli articoli 13 e 18, concordo con quanto affermato dai colleghi che mi hanno preceduto. Gli articoli 17, 18, 19 e, soprattutto, 20 prevedono l'impiego delle Forze armate; ma è possibile, signor relatore, che tale impiego venga inteso in questo modo? «In relazione a specifiche ed eccezionali esigenze», si prevede l'intervento delle Forze armate. Ho grande contezza di tale intervento: ricordo i fatti di Reggio Calabria, nel 1970, dopo il famoso motto «boia chi molla», nonché le operazioni Partenope, Riace, Vespri siciliani, di cui abbiamo discusso anche in quest'aula.
Esiste un problema forte, rappresentato dall'impiego delle Forze armate, che ha sempre angustiato questa Camera e i Parlamenti democratici di ogni paese, a meno che non si sia il Cile di Pinochet o la Turchia di oggi; noi non siamo né il Cile di Pinochet né l'attuale Turchia.
Volevo porre la seguente domanda: quali sono le «specifiche ed eccezionali esigenze»?
Rimane poi sempre in ombra e inalterato il problema esistente tra agenti di pubblica sicurezza e agenti di polizia giudiziaria. Questa è una vecchia questione e noi constatiamo l'esistenza di una certa confusione in materia. Voglio porre la questione; non sono contrario, ma ritengo opportuno specificare meglio quella previsione normativa perché, anche il controllo dei «punti fissi», ha un proprio significato: il fermo delle persone ha un suo significato così come il controllo
Signor Presidente, signor sottosegretario, signor relatore, vi era bisogno delle vicende di Strongoli e di Brindisi per capire e per sapere che vi sono dei territori in alcune regioni meridionali non controllate dallo Stato? Crediamo veramente che quei blindati dei contrabbandieri siano venuti fuori soltanto in quel momento, quando si è verificata la sciagura, il dramma, la tragedia dei due finanzieri?
Ritengo che sarebbe necessaria una maggiore compiutezza anche sul piano legislativo. Credo che il provvedimento al nostro esame ponga anche problemi di costituzionalità e di rivisitazione di una cultura giuridica, ma è soprattutto un provvedimento inutile rispetto a quella che è oggi una situazione drammatica e grave che esiste da molto tempo, anzi da sempre. Sarebbero necessari una riflessione e un ripensamento da parte del Governo e mi auguro che la Commissione giustizia possa provare a confrontarsi con la propria sensibilità, la stessa che ha dimostrato su temi e su problemi che i cittadini sentiranno più vicini alle proprie esigenze e alla soluzione dei propri problemi: mi riferisco alla sicurezza, alla vivibilità all'interno del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CDU e di Forza Italia).
Prendo atto che il relatore ed il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.