Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 663 dell'1/2/2000
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(Ripresa esame articolo 1 - A.C. 6483)

PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame dell'articolo 1 nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato, e del complesso degli emendamenti ad esso riferiti.
Ricordo che nella seduta del 27 gennaio 2000 sono proseguiti gli interventi sull'articolo 1 e sul complesso degli emendamenti ad esso riferiti (per l'articolo e gli emendamenti vedi l'allegato A - A.C. 6483 sezione 1).

RINALDO BOSCO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RINALDO BOSCO. Signor Presidente, vorrei sottolineare una questione che riguarda le dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, nelle quali rapporta...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Bosco, ma sull'ordine dei lavori si può intervenire in chiusura della seduta, se il richiamo non riguarda l'argomento in discussione. Se la sua osservazione riguardasse il provvedimento in esame, le darei la parola, diversamente le darò la parola alla conclusione della seduta; come lei sa, è stato così in tutti i casi.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Anedda. Ne ha facoltà.

GIAN FRANCO ANEDDA. Signor Presidente, l'articolo 1 del disegno di legge in esame rivela una carenza già posta in luce nella discussione generale; mi riferisco ad una mancanza di coordinamento tra la nuova normativa e quella in vigore. La norma, con una tecnica discutibile - più esattamente, direi censurabile -, abroga solo in parte la normativa in vigore, cosicché il risultato finale sarà una legislazione frammentaria e frammentata e perciò di difficile lettura.
In ogni caso, se questo potrebbe essere considerato un problema formale, vi è un problema sostanziale di rilievo che è irrisolto e che determinerà una serie di equivoci. Vedete, colleghi, in questa discussione vi sono dei grandi assenti: i telespettatori. Abbiamo parlato dei diritti dei soggetti politici, dei diritti e dei doveri delle emittenti televisive, ma degli spettatori tutti, ed in particolare dei telespettatori che pagano un canone per la concessione pubblica, nessuno ha parlato. Soggiungo, nessuno se ne è preoccupato.


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Due sono i mali che ne derivano: l'uno è il digiuno e l'altro l'indigestione. Il provvedimento riesce a realizzare entrambe le distorsioni. Del digiuno è inutile parlare, credo che ne abbiamo sentite tante in questi giorni: la mancanza di informazione politica non si adatta ad una vera democrazia. Ma l'indigestione è cosa diversa e da che cosa nasce la preoccupazione? Infliggere ai telespettatori, come accadrà, dosi massicce di politica (abbiamo calcolato che si potrebbe arrivare ad oltre 6-7 ore di trasmissione di comunicazione politica, esclusa l'informazione) credo che provocherà il rigetto. Anche una buona medicina in dosi eccessive reca danno. Poco male se il rigetto si riferisse soltanto al rifiuto della comunicazione (potrei dire che tale rifiuto poi equivale al contingentamento, alla riduzione, ma non è questo che interessa). Poco male, dicevo, se il rifiuto si riverberasse nella comunicazione, incentivando quell'attività, che tutti pratichiamo, di cambiare canale quando la trasmissione non ci piace. Ma la conseguenza è un'altra: può derivare dall'eccesso di comunicazione un rifiuto ed un maggiore distacco dalla politica. È questo il risultato pericolosissimo al quale la legge può arrivare, perché manca - ed è il punto cruciale, sul quale ancora non si è avuta spiegazione - la definizione di «soggetti politici», i quali sarebbero titolari della parità di trattamento e dell'imparzialità. Soggetto politico è non soltanto il partito o il movimento; soggetto politico è, tanto più nella legislazione attuale, il candidato, soprattutto perché la normativa che discutiamo attribuisce all'espressione «soggetto politico» significati diversi nel contesto del provvedimento, giungendo appunto a nominare, come è giusto che sia, anche il candidato.
Né soccorre, come è stato obiettato, l'articolo 1 della legge n. 515 del 1993 - che sopravvive nel primo comma -, il quale fa un richiamo ai partiti e ai movimenti, giacché proprio tale richiamo esclude che ci si possa riferire ad un soggetto politico genericamente inteso. Allora, se il candidato è un soggetto politico, è difficile negare, se non in quella interpretazione che si riferisce agli amici, che con questa legge tutti i candidati acquistano un diritto soggettivo alla parità di trattamento, cioè alla parità di presenza in tutte le televisioni nazionali. Credo che non occorra molta fantasia per immaginare che cosa accadrebbe: parità di presenza dei candidati nelle televisioni nazionali e locali, con un ingorgo facile da immaginare e con il conseguente rifiuto, questa volta, non del telespettatore, ma delle emittenti, che possono dichiarare di non volersi insinuare nei meandri di questa pericolosissima legge.
So, perché questa è la conclusione che ho tratto, che la maggioranza gradisce il rifiuto. Mi riferisco alla possibilità, per tutte le televisioni nazionali e non pubbliche che possono farlo e per tutte quelle locali, di non entrare nei meandri di questa legge e di non fare comunicazione politica. Tuttavia, il risultato è l'opposto della democrazia (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bergamo. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BERGAMO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la battaglia che Forza Italia sta conducendo sugli spot ha assunto un valore simbolico, perché la sinistra, che ha sempre avuto in sospetto il pluralismo radiotelevisivo, con un provvedimento inopportuno ed illiberale, cerca di eliminare, e non disciplinare, la propaganda politica sui mezzi audiovisivi.
La testimonianza di ognuno di noi sancisce il «no» al provvedimento come proposto dal Governo e dalla maggioranza, perché comporta una gravissima e pericolosa limitazione della libertà di informazione. Signor Presidente, la nostra è una netta assunzione di responsabilità politica di fronte al paese. Personalmente mi sento particolarmente coinvolto in questa battaglia, ma mi domando se non vi fossero problemi ben più importanti da affrontare da parte dei nostri governanti, quali, ad esempio, la disoccupazione giovanile o la situazione economica del paese, la criminalità - che aumenta di


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giorno in giorno - o la drammatica condizione in cui versa il meridione d'Italia, e la Calabria in particolare (questione che a me sta più a cuore).
Per il Governo e per i colleghi della maggioranza tutto ciò può attendere, perché a loro modo di vedere è più importante ottenere il blocco degli spot elettorali di Berlusconi: pertanto il Parlamento deve intervenire in fretta.
Mi domando se il Governo e la maggioranza non si siano resi conto che questo provvedimento, tra l'altro, colpisce interessi produttivi non indifferenti, concernenti imprese televisive e radiofoniche, specialmente a livello locale, alle quali viene imposto un meccanismo perverso, che molti hanno già sottolineato in quest'aula, in forza del quale vanno a farsi benedire i ricavi di quelle imprese in nome del rispetto della par condicio.
Quello che il Governo e la maggioranza stanno tentando di fare non è stabilire regole nel campo più che delicato della comunicazione politica in televisione, perché se fosse così saremmo disponibilissimi a ragionare, a discutere e a trovare insieme le migliori soluzioni. Le regole sono un patrimonio di tutti i concorrenti e, come ha più volte affermato proprio il Presidente del Consiglio, non dovrebbero valere logiche di schieramento né colpi di maggioranza. Secondo noi le regole in materia di pubblicità televisiva e di par condicio esistono già. In questo nuovo provvedimento, invece, queste regole vengono mutate nel senso del divieto totale. Si tratta di una scelta antidemocratica e anticostituzionale ed i diversi e qualificati interventi svolti in questi giorni in aula hanno chiarito perfettamente tali questioni.
Il progresso tecnologico, l'evoluzione dei mezzi di comunicazione in crescita e non in diminuzione e gli spazi dove far circolare idee, messaggi e proposte dimostrano l'antistoricità del provvedimento. I divieti che si vogliono porre sono molto più lenti della crescita della tecnologia: da Internet alla tv satellitare, vi sono nuovi strumenti che moltiplicano all'infinito gli spazi della comunicazione. Per questo il proibizionismo è destinato ad essere - come è sempre stato nel corso dei tempi - sconfitto.
Signor Presidente, nessuno, neppure il più grande dei legislatori potrebbe riuscire a limitare la libertà dei popoli che vive e si nutre, innanzitutto, della libertà di espressione, che rappresenta un cardine della nostra Costituzione, come di tutte le più alte e nobili dichiarazioni internazionali (da quella dei diritti dell'uomo, alla Carta delle Nazioni Unite). Tuttavia, non credo sia necessario richiamarsi a documenti tanto solenni per discutere e argomentare su una questione come quella che dibattiamo, che ha una portata molto più limitata, ma che è pur sempre molto grave. Osserviamo che vi è una ferita di fondo, come ha notato l'altro giorno l'onorevole Frattini, che viene arrecata anche al confronto democratico, alla libera espressione del pensiero quando si comprime in modo irreversibile il diritto di ogni attore politico di partecipare con pienezza di mezzi e di condizioni espressivi alla campagna elettorale. Ciò non per «lavare» il cervello alla gente ma semplicemente per far conoscere il pensiero politico nel momento in cui si chiede agli elettori il loro consenso.
Quello di cui stiamo discutendo è un tentativo di mutare le regole del gioco a partita cominciata da parte e a vantaggio di uno solo dei contendenti; un tentativo che con l'onestà democratica non ha nulla a che spartire. Questo è un tentativo che avrà come unico effetto quello di aggravare la disparità di condizione tra maggioranza ed opposizione.
Nelle democrazie mature, quelle europee e non, alle quali spesso impropriamente si fa riferimento, la minoranza è considerata un valore, una funzione essenziale per il funzionamento del sistema democratico e come tale gode di tutele particolari. Nel Regno Unito - è stato detto - si parla di opposizione di sua maestà, per indicare il carattere quasi istituzionale di tale funzione; in Germania i partiti di opposizione godono di contributi e agevolazioni maggiori di quelli della maggioranza, evidentemente per compensare


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la maggiore visibilità e disponibilità di mezzi che viene data a chi governa per il fatto stesso di ricoprire funzioni istituzionali.
Ed è per questo che stiamo denunciando che si tratta di una legge «bavaglio» e non di una legge sulla par condicio. Si tratta di una legge che oltre all'obiettivo di mettere a tacere l'opposizione, ne raggiunge anche un altro: quello di rendere impossibile e impraticabile per tutte le formazioni politiche la comunicazione attraverso il mezzo oggi più efficace, ossia il mezzo radiotelevisivo che si trova nelle case di tutti i cittadini.
Con ciò si vede, quindi, che la sinistra ha scoperto un nuovo modo per conservare e non perdere il potere. Lo dimostra il fatto che la presenza in minuti sulle reti televisive pubbliche e private, di cui dispone la maggioranza, è oltre il triplo di quella dell'opposizione. Nella realtà gli spot, che in linea generale sono uno strumento di comunicazione politica che tutti possono utilizzare, nell'Italia di questi anni sono uno dei pochissimi strumenti dei quali la minoranza dispone per far sentire la propria voce, per compensare almeno in parte il vertiginoso squilibrio a favore del centrosinistra.
In tale circostanza dovremmo essere noi a chiedere una maggiore tutela, almeno sulle reti televisive pubbliche che svolgono e continuano a svolgere una attività di propaganda fin troppo evidente, e ciò è sotto gli occhi di tutti.
Colleghi della maggioranza, voi vorreste farlo passare come l'ovvia regolamentazione di un settore della comunicazione politica? Certamente non è così e lo sanno benissimo anche gli estensori di questo sciagurato provvedimento. Molte sono le contraddizioni che esso presenta al suo interno e queste sono la migliore dimostrazione delle autentiche intenzioni della maggioranza e degli intenti punitivi con i quali nasce il provvedimento.
Il testo sulla cosiddetta parità di accesso ai mezzi di comunicazione di massa, approvato dal Senato, presenta un impianto nettamente proibizionista, che è stato contestato nel corso di molte audizioni informali svoltesi presso la Commissione affari costituzionali.
La scelta operata al Senato dalla maggioranza di vietare gli spot elettorali ripete la scelta che il Governo Dini aveva fatto, su altra ispirazione e malgrado la Corte costituzionale avesse espresso un diverso avviso. Questa scelta non è soltanto antistorica, antidemocratica e incostituzionale ma è anche irrazionale, tenuto conto che gli spot vietati sulle reti nazionali sarebbero consentiti sulle reti locali. Di questo ne prendiamo atto, in maniera positiva, considerato che il provvedimento configura una normativa molto meno rigida per le emittenti locali. Non possiamo non dichiararci soddisfatti perché consideriamo, tra l'altro, l'emittenza locale un patrimonio da tutelare e che comunque esce anch'esso penalizzato rispetto all'attuale situazione.
Presidente, onorevoli colleghi, tutto quello che è stato imputato agli spot, come il fatto di dare una visione semplicistica della politica, basata sull'immagine e non sui contenuti, magari sulla prevalenza degli strumenti economici e non delle idee, tutto questo vale per le emittenti private locali? Gli spot, secondo voi, cessano di essere rozzi, banali solo se sono diffusi a livello locale? Forse non si nasconde dietro a questa decisione il desiderio più o meno conscio di alimentare l'equivoco secondo il quale, essendo Silvio Berlusconi proprietario di mezzi televisivi, per lui e solo per lui gli spazi sarebbero gratuiti? Sapete tutti che questo non è vero perché nessuna società quotata in borsa può permettersi di offrire gratuitamente, neanche al proprio principale azionista, spazi pubblicitari così ampi subendo certamente un danno economico rilevante. Nelle reti televisive Mediaset ogni spot politico ospitato toglie spazio alla pubblicità commerciale e diminuisce gli utili sui quali si basa la redditività dell'azienda.
Le mie sono considerazioni soprattutto logiche, anzi più che evidenti, delle quali


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si può non tenere conto soltanto se si vuole utilizzare la legge per colpire gli avversari politici.
Voglio augurarmi, anzi non rinuncio a sperare, che i giochi non siano già fatti, che questo rito non sia soltanto formale e che il Parlamento non sia soltanto il luogo per ratificare decisioni assunte altrove. Spero di non assistere ad un voto della Camera che riduca la libertà di espressione e sia una sconfitta per il Parlamento, per la democrazia e per ciascuno di noi.

PRESIDENTE. Colleghi, devo informarvi, a fronte della precedente obiezione, che il contingentamento dei tempi di questo provvedimento è pari a circa il doppio della media dei tempi complessivi previsti per ciascun provvedimento esaminato nel corso di questa legislatura. Si tratta, comunque, dei tempi più ampi mai stabiliti finora, fatta eccezione per la legge finanziaria.
Naturalmente, come ho già detto, per i gruppi di opposizione che esauriscano il loro tempo vi può essere un aumento, ma un aumento leggero. Lo preciso per evitare che l'opposizione si trovi senza tempo a disposizione nel corso della discussione.

ELIO VITO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Presidente, le statistiche che lei ci ha fornito sono sicuramente vere, ma sta di fatto che quando è stato deciso questo contingentamento, che lei definisce come il più ampio della storia del Parlamento...

PRESIDENTE. Non del Parlamento, di questa legislatura!

ELIO VITO. Non è mai stata approvata una legge sulle regole contro l'opposizione simile a questa, Presidente, né in queste condizioni! Di fatto, nel contingentamento che lei prima ha letto sono comprese voci esorbitanti: tempi tecnici e tempi della maggioranza che non saranno utilizzati. Ora lei gentilmente ci concederà l'ora e ventiquattro minuti prevista per il nostro gruppo, o qualche decina di minuti in più, o qualche ora in più, usufruendo dei tempi previsti per la maggioranza che non saranno utilizzati e che sono stati sopravvalutati. Beh, è un'opera meritoria, ma il punto è un altro: abbiamo contestato il fatto che il termine conclusivo di approvazione sia stato stabilito per giovedì, definendo il contingentamento per una sola settimana di febbraio, considerato che a gennaio si è lavorato solamente due giorni. Inoltre, Presidente, quando ha stabilito un'ora e ventiquattro minuti per il gruppo di Forza Italia e un'ora e quindici minuti per quello di Alleanza nazionale, lei sapeva bene che vi erano iscritti a parlare sul complesso degli emendamenti riferiti all'articolo 1 e, quindi, avrebbe dovuto concedere automaticamente, in base alla sua interpretazione, un tempo ulteriore per quegli iscritti a parlare. Tutto ciò non è accaduto perché, tanto si sa, l'opposizione parlerà in aula, lei ci farà parlare e, alla fine, il provvedimento sarà votato giovedì, come lei ha stabilito. In tal modo il danno e la violenza incredibile alla democrazia e ai nostri diritti saranno compiuti.

PRESIDENTE. Colleghi, intendo ribadire che il contingentamento dei tempi è quello che ho letto e che, al massimo, si potrà aumentare il tempo di una quantità pari a quella concessa, non di più.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Manzoni. Ne ha facoltà.

VALENTINO MANZONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, riteniamo, per le ragioni che di seguito esporrò, che il provvedimento di cui si discute sia profondamente illiberale e antidemocratico e che non faccia onore ad una democrazia avanzata come dovrebbe essere quella in vigore nel nostro paese.
È un provvedimento che, salvo qualche paese europeo, in cui le condizioni politiche non sono molto diverse dalle nostre, non esiste in nessun altra nazione europea


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dove le libertà di informazione e di comunicazione, con ogni mezzo di diffusione e con ogni modalità di estrinsecazione del pensiero e delle opinioni, sono tenute in somma considerazione.
Si tratta, in verità, onorevoli colleghi, di paesi in cui la democrazia è fortemente radicata e sentita, mentre nel nostro questo termine diventa una petizione di principio. È così che riempiendoci spesso la bocca di termini e di concetti come libertà di pensiero e di movimento, libertà economica, trasparenza ed altro, nei fatti e nei comportamenti ne facciamo strame.
Signor Presidente, il disegno di legge in esame costituisce un esempio tipico di comportamenti e volontà intesi a comprimere i diritti di libertà. Tutti, in base ai principi sanciti nella nostra Carta costituzionale, hanno diritto di manifestare liberamente il pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione; sottolineo, onorevoli colleghi, con ogni altro mezzo di diffusione, che a mio avviso non si identifica soltanto con lo strumento materiale della comunicazione, cioè con il mezzo televisivo, ma riguarda tutte le possibili modalità di estrinsecazione del pensiero. Lo spot è una modalità di estrinsecazione del pensiero del tutto lecita ed ammissibile perché nessuno fino ad oggi ha dimostrato che si tratta di modalità contrastante con le esigenze di tutela dell'ordine pubblico, della morale e del buoncostume. Solo di fronte a queste esigenze il diritto di libertà soffre limitazioni ed a mio avviso giustamente, perché diversamente si sconfinerebbe nell'arbitrio e nella licenza.
Da questo punto di vista mi sembra assolutamente limitante l'articolato in esame, secondo il quale la comunicazione politica durante le campagne elettorali non può che avvenire secondo le forme perentorie e tassative ivi previste, cioè tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, presentazione in contraddittorio di programmi, confronti, interviste. Un linguaggio quello dell'articolato in esame forte e duro, da vero e proprio diktat, che non è consono né confacente alla legislazione di un paese democraticamente avanzato. È assurdo, onorevoli colleghi, che non si possa fare campagna elettorale e non si possa manifestare il pensiero politico in forme e modalità diverse da quelle indicate nel terzo comma dell'articolo 2, cioè con l'uso dello spot televisivo, che è assolutamente diffuso nella società dell'informazione, tanto da essere considerato il messaggio pubblicitario per eccellenza.
È mio parere, onorevoli colleghi, che la determinazione al voto intanto è libera e può costituire l'esercizio di un dovere civico, in quanto scaturita dall'informazione, la più completa possibile, delle forze politiche che partecipano alla competizione elettorale e del loro modo di atteggiarsi in ordine ai vari problemi che riguardano la collettività, delle soluzioni che prospettano e dei loro orientamenti futuri. Ora, eliminare dal novero delle forme di comunicazione, dal novero cioè delle modalità di informazione, il messaggio o spot televisivo, che nella società massmediologica costituisce lo strumento di più rapido ed efficace attingimento delle coscienze, significa ridurre le possibilità che il voto sia espresso con piena consapevolezza; significa, in altri termini, non elevarlo al rango di esercizio di un dovere civico.
È mio parere, onorevoli colleghi, che uno Stato veramente democratico, proprio al fine di far maturare nell'elettore una scelta pienamente responsabile e libera, dovrebbe sforzarsi di ampliare e mettere a disposizione delle forze politiche in contesa gli strumenti e le modalità di trasmissione della propaganda elettorale.
Con il testo in esame il Governo fa esattamente il contrario: restringe le modalità della comunicazione e dell'informazione. Non è da escludere, signor Presidente, che tra le cause del frequente astensionismo dal voto una parte rilevante debba essere attribuita alla difettosa e non completa informazione.
Quando, infatti, l'elettore non è perfettamente e completamente informato di ciò che deve fare e del perché lo deve fare, preferisce astenersi dal recarsi alle urne e, quando vi si reca, vota senza convinzione, se vota.


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Fra le tante amenità o assurdità che sono state dette dalla maggioranza a sostegno del divieto di spot in campagna elettorale (si è affermato che lo spot è apodittico, fuorviante, non consente la formazione di un'opinione), vi è anche quella dei costi; si è sostenuto, cioè, che i costi degli spot sono tali da introdurre da soli una disparità di condizioni di partenza tra i diversi candidati a vantaggio di chi dispone di congrui stanziamenti o di chi è addirittura proprietario di televisioni private (qui, onorevoli colleghi, l'allusione è evidente).
Anche l'assunto sui costi degli spot, al pari di quello sulla loro apoditticità, appare risibile ed inconsistente, perché nulla vietava e vieta l'introduzione di una norma che preveda, per tutte le forze politiche in campo, un numero di spot televisivi pari o proporzionati alla consistenza elettorale di ciascuna forza, a costi bassissimi e con frequenza giornaliera limitata, proprio come stabilito per gli spot sulle televisioni locali. Impedirli del tutto è contrario ad ogni principio di libertà nella scelta del mezzo e delle modalità di comunicazione politica; significa mettere il bavaglio all'opposizione durante la campagna elettorale.
Ad esempio, io che mi trovo a disagio nel dibattito, nel confronto, nella tribuna politica, nelle tavole rotonde - le uniche tassative modalità di comunicazione televisiva previste dal testo in esame - sono costretto, negli ultimi 45 giorni di campagna elettorale, a non poter inviare alcun messaggio ai miei elettori attraverso la televisione nazionale, perché lo spot non è consentito (Commenti del deputato Palma). In tali condizioni, definire questo come il provvedimento della par condicio mi sembra un insulto ed una beffa.
Perché, onorevoli colleghi, nasce questo provvedimento? Fino alle ultime elezioni europee, le campagne elettorali venivano disciplinate dalla legge n. 515 del 1993 che, senza infamia e senza lode, aveva anche regolamentato l'uso del mezzo televisivo. Ebbene, il risultato delle elezioni europee ed amministrative del 1999 ha traumatizzato a tal punto la maggioranza da indurla a ricorrere ad uno strumento di imbavagliamento dell'opposizione; in questo modo, la maggioranza ed il Governo, anziché chiedersi il perché di quel risultato elettorale, anziché interrogarsi, ricercare le cause della sconfitta ed assumere idonee iniziative di cauterizzazione di quelle cause, ossia iniziative di buon governo e di buona gestione della cosa pubblica, autoassolvendosi, hanno pensato di attribuire il merito della vittoria del Polo all'uso degli spot televisivi durante la campagna elettorale. Così facendo, però, essi hanno offeso l'intelligenza di milioni e milioni di elettori che, secondo la maggioranza, privi di ogni capacità di discernimento e di giudizio, come autentici gonzi, si sarebbero fatti ingannare dagli spot televisivi.
La maggioranza e il Governo sanno che non è così, sanno di aver scontentato tutte le categorie della società e sanno pure di aver lasciato un profondo turbamento nell'opinione pubblica quando, con metodi da prima Repubblica, venne disarcionato Prodi da palazzo Chigi e vennero avallati i ribaltoni in alcune regioni.
L'idea di questo provvedimento, che disvela in maniera chiara la cultura, la politica ed il modo di essere del Governo e della sua maggioranza, nasce dall'intento di predisporre un argine, con tutti i mezzi, alla forza alternativa del Polo, allo scopo di evitare l'alternanza e che l'opposizione di oggi possa diventare forza di governo domani. Non credo, signor Presidente, che questo provvedimento, se anche alla Camera dovesse passare con i medesimi contenuti normativi approvati dal Senato, troverà buona accoglienza in Europa perché è illiberale e liberticida e perché non assicura una effettiva parità di condizione per l'accesso ai mezzi e alle forme di comunicazione politica.
È l'esatto contrario della par condicio perché, a parte le violazioni in tema di libertà, come è stato ampiamente dimostrato nelle giornate passate, il Governo, espressione di una certa maggioranza, in base all'abile e maliziosa disposizione contenuta nell'articolo 8 del testo in esame, può disporre a suo piacimento


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delle televisioni di Stato e, sotto la specie delle cosiddette comunicazioni effettuate in forme impersonali ed indispensabili per l'efficace assolvimento della propria funzione, può inviare agli elettori tutti i messaggi che vuole! Per esempio: la comunicazione data per televisione di una seduta del Consiglio dei ministri, che ha trattato una certa questione, può costituire un messaggio; la notizia dell'emanazione di un decreto-legge su una determinata materia, ovvero la notizia di un incontro del Presidente del Consiglio o di un suo ministro con un capo di Stato estero, possono far formare un'opinione; anche un commento più o meno obiettivo circa una iniziativa del Governo, dato per televisione, può ingenerare nel cittadino una certa convinzione. Ecco l'articolo 8, che salvaguarda e garantisce la maggioranza ed il Governo nell'uso degli spot televisivi!
Sembra evidente quindi che, stante la disposizione dell'articolo 8 del testo, la disparità di trattamento tra le forze politiche in campo è chiara, è palese e del tutto evidente!
Questa legge è il segno della involuzione del regime, dell'inizio dell'annientamento delle fondamentali libertà di manifestazione del pensiero politico, che è la prima regola della democrazia! D'altra parte, onorevoli colleghi, quando per una vignetta satirica descrittiva di una situazione iperbolica e paradossale il Presidente del Consiglio si inalbera e querela il vignettista Forattini, vuol dire che il Governo ha già imboccato la strada della privazione delle libertà! Nessun regime però, signor Presidente, ha mai vinto sulla satira!
Formulo allora l'auspicio che il Governo voglia rivedere la propria posizione ritirando il provvedimento contro il quale, per giunta, hanno scagliato i loro strali critici illustri costituzionalisti e uomini di cultura di varie appartenenze, sia di destra sia di sinistra (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Possa. Ne ha facoltà.

GUIDO POSSA. Signor Presidente, molti colleghi hanno già espresso con appassionata competenza i motivi della nostra totale avversione alle gravi limitazioni introdotte da questo disegno di legge alla pubblicità e alla propaganda elettorale sui mezzi radiotelevisivi. Condivido in toto queste considerazioni!
Dedicherò i pochi minuti del mio intervento all'esame di un punto particolare di questo disegno di legge, fino ad ora un po' trascurato: mi riferisco al comma 3 dell'articolo 7. Tale comma dispone che i risultati dei sondaggi demoscopici sugli orientamenti politici e di voto degli elettori siano resi pubblici; anzi, che siano resi disponibili su apposito sito informatico. Il comma, poi, elenca minuziosamente quali sono i dati che debbono essere forniti per caratterizzare integralmente i sondaggi ed i loro risultati: il nome del soggetto che ha realizzato il sondaggio; il nome del committente e dell'acquirente; i criteri seguiti per la formazione del campione; il metodo di raccolta delle informazioni e di elaborazione dei dati; il numero delle persone interpellate e l'universo di riferimento; le domande rivolte; la percentuale delle persone che hanno risposto a ciascuna domanda; la data in cui è stato realizzato il sondaggio.
Va in primo luogo sottolineata l'enorme varietà dei possibili sondaggi politici. Il sondaggio più consueto è quello che ha per obiettivo l'intenzione di voto dei cittadini in una data zona, che può essere addirittura l'intero paese.
Un altro tipo di sondaggio è quello che si propone di valutare l'intenzione di voto dei cittadini di una data città, provincia, collegio o regione, al fine di scegliere il candidato sindaco, il candidato presidente di provincia, il candidato deputato o il candidato a presidente di regione con le migliori prospettive di successo. Un altro tipo ancora di sondaggio è quello che mira ad individuare le motivazioni profonde che orientano i cittadini al voto in un senso piuttosto che in un altro, che punta ad accertare i valori sentiti come più significativi e caratteristici di un dato


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schieramento politico o viceversa le carenze di valori di questo schieramento. Altri tipi di sondaggio chiedono ai cittadini il parere su determinate scelte di politica, prese o da prendere.
In prospettiva, l'uso sistematico di sondaggi per chi ha responsabilità di decisione politica potrebbe portare ad un nuovo modo di rapporto tra Parlamento e cittadini, tra Governo e cittadini, tra giunte regionali e cittadini.
Anche solo i pochi esempi sopra indicati evidenziano quale formidabile risorsa, quale formidabile moderno strumento di orientamento costituiscano per qualunque soggetto politico i sondaggi sugli orientamenti dei elettori. D'altra parte il loro uso è già molto praticato nelle principali democrazie occidentali. Va inoltre ricordato che il settore dei sondaggi politici è contiguo e per vari aspetti affine al settore dei sondaggi a fini di marketing commerciale, settore in cui è stata accumulata una enorme esperienza.
Ma per tutte queste così interessanti applicazioni dei sondaggi politici è essenziale e vitale che i loro risultati siano assolutamente riservati. La riservatezza è ovviamente necessaria nei sondaggi effettuati per la scelta tra candidati. La riservatezza è ovviamente indispensabile per poter effettivamente indagare e scoprire i punti deboli della propria parte politica o i punti forti delle parti avversarie e via dicendo. Escludere la riservatezza, obbligare alla pubblicità dei risultati, avrebbe una sola e inevitabile conseguenza: l'enorme riduzione del ricorso ai sondaggi politici, la loro utilizzazione solo in casi molto limitati.
Mi sono chiesto quali possano essere le giustificazioni alla base di questa volontà di riduzione dell'uso dei sondaggi. Francamente, non ho trovato una sola giustificazione condivisibile. Si intravedono in questa utilizzazione dei sondaggi dei possibili, gravi, futuri pericoli per la democrazia? Non riesco a vedere quali. Comunque, nel caso che questa sia la paura, parliamone, apriamo un franco dibattito, confrontiamoci.
Non si vuole introdurre nella competizione politica una nuova potentissima arma in cui il Polo è, forse, o senza forse, più esperto del centro-sinistra? Si vuole in particolare danneggiare Berlusconi che in questi anni ha dimostrato di saper usare molto bene questo strumento? Sono ovviamente domande impertinenti.
Sulla disposizione in questione vi è un altro aspetto che va assolutamente sottolineato. Il contratto di committenza di un sondaggio politico è in generale un contratto tra due soggetti privati che prevede che i risultati siano resi disponibili unicamente al committente. L'obbligo di pubblicazione dei risultati danneggia il committente che ha pagato la ricerca demoscopica, che vede i concorrenti politici beneficiare dei risultati di tale ricerca come se avessero pagato loro. È altresì possibile che un sondaggio politico venga effettuato da una società specializzata in queste ricerche demoscopiche senza che ci sia un committente, nella prospettiva di una valorizzazione economica dei risultati. In questo caso la disposizione di cui al comma 3 dell'articolo 7 produce un esplicito danno economico.
Qual è l'interesse generale che giustifica l'obbligo della pubblicazione dei risultati? Si pretende che i soggetti politici debbano fruire di una sorta di par condicio anche sulle conoscenze delle opinioni dei cittadini? Sarebbe una intollerabile pretesa dirigistica senza riscontro in alcuna moderna democrazia occidentale. Tra l'altro, il disegno di legge non prevede alcun indennizzo per questa sorta di esproprio.
Aggiungo un'altra osservazione. L'obbligo di pubblicazione dei sondaggi politici viola il diritto alla riservatezza sancito a livello costituzionale. Uno dei diritti più sacrosanti è il diritto alla riservatezza circa il proprio pensiero.
Invece questa disposizione costringe a rendere pubblico il proprio pensiero laddove obbliga a rendere pubbliche le domande dei sondaggi. Queste domande, infatti, tradiscono molto bene, nella gran


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parte dei casi, importanti aspetti del pensiero politico, quali preoccupazioni, timori, speranze, incertezze.
Un'ultima osservazione: la disposizione del comma 3 dell'articolo 7, senza alcuna giustificazione, limita in modo importante le libertà di autorganizzazione dei soggetti politici; limita la libertà di competizione dei soggetti politici e la libertà di rapporto fra un soggetto politico ed i propri concittadini, perché, senza alcun dubbio, i sondaggi politici costituiscono un'importante nuova modalità di tale rapporto. Per tutti questi motivi, l'obbligo di pubblicazione dei sondaggi politici contribuisce in modo significativo a connotare il provvedimento al nostro esame in senso dirigista e liberticida (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Losurdo. Ne ha facoltà.

STEFANO LOSURDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la ratio del provvedimento al nostro esame è pacifica: porre limiti ben precisi, superiori a quelli già codificati, alla possibilità degli uomini politici di comunicare liberamente con gli elettori.
Come è stato già abbondantemente evidenziato negli interventi in sede di discussione generale, questa operazione governativa è di estrema delicatezza e può facilmente superare i limiti posti dalla stessa Costituzione a garanzia di intoccabili guarentigie costituzionali. Queste preoccupazioni diventano di più alto profilo e di più alto significato politico se si considera che questo Governo di sinistra ha preso l'iniziativa di presentare il disegno di legge al nostro esame spinto dalla supposta invadenza e capacità comunicativa del leader dell'opposizione, onorevole Berlusconi. Ha ragione, allora, l'onorevole Occhetto, che nel suo intervento ha affermato che le settimane parlamentari che stiamo vivendo sono le settimane dell'ipocrisia: l'ipocrisia ha infatti invaso quest'aula e pervaso il dibattito politico sui mass-media, non solo con riferimento ai funerali di Bettino Craxi, ma anche e palesemente con riferimento alla discussione del disegno di legge governativo sulla cosiddetta par condicio.
La par condicio nell'informazione e nella comunicazione sui mezzi d'informazione è teoricamente definibile una buona intenzione, ma verso quale traguardo, verso quale obiettivo è lastricata la strada governativa delle buone intenzioni? Intanto registriamo la sospetta, come detto, coincidenza del disegno di legge governativo con l'efficacia della comunicazione televisiva del leader del Polo in occasione delle elezioni europee del giugno scorso. Tale coincidenza non può essere valutata con il metro della semplice sfrontatezza dei dirigenti della maggioranza governativa, ma deve esserlo con la chiara volontà di abbandonare, o riformare pesantemente, il sistema di norme (del resto abbastanza recente, del 1993) che aveva regolato finora la materia, alla quale peraltro l'opposizione si era sempre fedelmente attenuta.
A queste critiche sull'impostazione generale del disegno di legge governativo, si possono aggiungere raffiche di critiche a tutto l'ordito normativo, a cominciare dagli articoli 1 e 2, dove non è ben chiaro il discrimine tra accesso all'informazione e accesso alla comunicazione politica. Sia pure con una punta di non gratuito sospetto, non può infatti non interpretarsi il comma 2 dell'articolo 2 come il mezzo per sottrarre i programmi di informazione, soprattutto quelli pubblici, alle regole ed ai limiti ai quali è invece sottoposta la comunicazione politica radiotelevisiva, ove è consentito l'accesso secondo ben precise forme. E sono forme, detto per inciso, dove la par condicio, insussistente in natura, viene mortificata dalla capacità a volte istrionica e gigionesca dei duellanti, perché fra tali forme il legislatore non ha ritenuto di dover comprendere anche quella più naturale del semplice messaggio agli ascoltatori da parte del politico.
Infatti, il messaggio politico autogestito previsto dall'articolo 3 è mortificante per


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la durata prevista, ma soprattutto per l'affastellamento nei contenitori che vanificherà l'efficacia dei messaggi.
È un'ulteriore conferma di quello che può essere definito un vero e proprio «terror Berlusconis» del quale la maggioranza è vittima ormai quasi dichiarata. La natura non libertaria e dirigistica, insofferente di ogni critica efficace - le tavole rotonde televisive saranno sicuramente trasformate in una sorta di rodeo e disgusteranno ancora di più i telespettatori - raggiunge la sua più alta e chiara evidenza nell'articolo 5 del testo licenziato dal Senato, dove si dice che la commissione e l'autorità stabiliscono i criteri specifici ai quali devono conformarsi la concessionaria pubblica e le emittenti radiotelevisive private nei programmi di informazione, al fine di garantire - udite, udite - la parità di trattamento, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'informazione. A mio avviso, si tratta, forse, dell'aspetto più illiberale, più coartante del provvedimento in esame. Infatti, bisogna chiedersi: chi stabilisce i criteri dell'informazione corretta? L'authority; ma può un'authority di nomina partitica stabilire con un minimo di credibilità i criteri di obiettività, di completezza e di imparzialità dell'informazione? Certamente no, alla faccia della cosiddetta par condicio, quella vera e non quella artificiosa e artefatta di stampo governativo.
Per quanto riguarda le sanzioni previste dall'articolo 9 del disegno di legge in esame, vi è una sola osservazione: può il legislatore essere nel contempo legislatore, pubblico ministero, giudice ed anche giudice delle esecuzioni? Per il Governo è possibile, ma è un indice estremamente rivelatore di una irresistibile tendenza di ex rappresentanti politici, ex avanguardia del quarto Stato, verso forme moderne in via di codificazione di una sorta di rinascente monarchia assoluta, ove tutti i poteri, a suo tempo, erano detenuti da una sola persona per natura divina, mentre oggi, in una sorta di fictio democratica, sarebbero concentrati nelle mani di un Governo che si autoconserva e si autorigenera con provvedimenti assolutamente prevaricatori, quali quello al nostro esame.
Non si può non rilevare criticamente, inoltre, l'accavallarsi di sanzioni: quelle previste nel presente disegno di legge, con quelle già contemplate nella legge n. 515 del 1993; tale confusione, alla lunga, produrrà ulteriore confusione, quindi ingiustizia.
Un altro aspetto inquietante è rappresentato dalla illegittimità costituzionale del provvedimento ed è stato messo in evidenza, con abbondanza di argomentazioni, da parte di tutta l'opposizione, ma anche e soprattutto da autorevoli presidenti emeriti della Corte costituzionale, quali Baldassarre, Caianello e Corasaniti, in sede di audizione davanti alla Commissione affari costituzionali della Camera. Essi hanno richiamato l'abbondante giurisprudenza della Consulta che riconosceva limiti temporali alla comunicazione politica, ma escludeva fermamente i divieti assoluti ritenuti del tutto inammissibili.
I contrasti con il dettato costituzionale maggiormente evidenziati da parte dell'opposizione, nel corso dell'esame delle questioni pregiudiziali che si è svolto in quest'aula, riguardano fondamentali articoli della Costituzione. Mi riferisco all'articolo 1, per la sovranità sottratta al popolo, con la drastica limitazione della comunicazione politica; all'articolo 3, perché viene stabilita una irragionevole disparità di trattamento tra reti locali e reti nazionali; all'articolo 21 della Costituzione, per l'evidente limitazione della libertà di manifestazione del pensiero; all'articolo 35, per il rilevante danno economico apportato ai titolari di reti radiotelevisive; all'articolo 41, che tutela la libera iniziativa economica privata, mortificata dai lacci e lacciuoli del disegno di legge governativo. Insomma, la terribile accusa che questo Governo si sta meritando, vale a dire quella di darsi la patente di regime, di costruirsela giorno per giorno, non è destituita di ogni fondamento,


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ma trova facile riscontro nell'esame dell'articolato di questo disegno di legge.
In ogni caso, la nuova legge sul diritto di comunicazione, che è fortemente limitativa, provocherà un effetto devastante per la nostra democrazia, che si fonda sul consenso del popolo e non su quello delle gerarchie di partito e degli addetti ai lavori della politica. Infatti, non vi è chi non veda che da questa legge dilagherà un effetto che, da anni, si sta già manifestando in Italia: l'allontanamento degli elettori dall'esercizio del voto che, di fatto, delegittima la nostra rappresentanza politica e, soprattutto, la compagine governativa, l'attuale compagine governativa, che certamente rappresenta almeno un quarto dell'elettorato. Se si va in piazza Montecitorio, vi è un cittadino che legittima questo Governo e più di tre che o assolutamente non vi acconsentono o addirittura non hanno partecipato con la loro volontà alla manifestazione della sua rappresentanza politica.
Né vale per noi, per l'Italia, la consunta osservazione che in America i livelli di partecipazione al voto non sono dissimili da quelli sui quali sembra attestarsi oggi il voto in Italia, per una serie di motivi dei quali voglio ricordare solo qualcuno fra i più significativi. In Italia fino a qualche anno fa votava mediamente il 90 per cento degli elettori; la caduta verticale della partecipazione al voto in Italia è patologica e si spiega solo con il rifiuto attivo e disgustato della politica da parte degli italiani e non in una storica disattenzione verso la politica, come avviene in America. Ma è ed è stata disattenzione verso la politica, in una nazione come gli Stati Uniti, la scarsa partecipazione al voto? A mio avviso no, se si considera che in America storicamente vi è sempre stata una biblica mobilità sociale e che si sono sempre verificate massicce correnti di immigrazione, che certamente non hanno favorito la partecipazione alla vita politica.
Pertanto, in Italia lo scarso esercizio di un diritto che è la massima espressione della vita democratica, quale è il diritto di voto, deve essere considerato, non fisiologico, ma patologico e, quindi, su di esso bisognava intervenire per eliminarne le cause. Questa legge certamente non aiuta a riportare ad accettabili livelli la partecipazione al voto: ridurre in gran parte la comunicazione politica alle provocate risse televisive e, di fatto, impedire o rendere vacui i cosiddetti spot o comunicazioni personali, che chiariscono il programma di un partito e quello personale di un candidato, sarà un potente elemento di crescita del disgusto della gente verso il voto.
Insomma, questa legge è una prova di regime e non si può non essere d'accordo con chi, come il leader dell'opposizione, ha evidenziato e denunziato che siamo in presenza di una maggioranza che vara una legge favorevole a se stessa e sfavorevole alla minoranza e, quindi, siamo già completamente fuori dal sistema democratico.
Non ritengo di fare affermazioni provocatorie se dico che nei cromosomi della sinistra, di una certa sinistra, vi è una forza arrogante che non ammette possibilità di sconfitte e che alla regolarità della vita e del confronto democratici assegna solo formali espressioni; dei simulacri, insomma, una sorta di tendenza alla formazione di un samizdat da assegnare alle opposizioni come espressione di partecipazione alla vita politica.
Questo in Italia non deve avvenire, anche se siamo convinti che l'origine di questa legge, fortemente limitativa della libertà di espressione, sia la debolezza, più che la forza, dell'attuale Governo. Ma se non si deve essere acquiescenti verso la forza minacciosa, a maggior ragione non si devono tollerare gli effetti nefasti che la debolezza politica a volte provoca al libero confronto democratico ed alla più genuina espressione di libertà, che è garantita dalla Costituzione, questa Costituzione, che noi confidiamo possa essere rispettata quando ad essa si ricorrerà per dichiarare illegittima e incostituzionale questa legge (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Colombini. Ne ha facoltà.

EDRO COLOMBINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch'io devo esprimere il mio dissenso nei confronti di questa legge che noi in molte occasioni abbiamo definito illiberale. Certamente la libertà di pensiero e di parola è il fondamento del nostro Stato e di tutti gli Stati liberi d'Europa e del mondo sviluppato. Il requisito principale per poter continuare ad essere liberi è la possibilità di essere informati, di farsi delle opinioni e di manifestare le opinioni formate in seguito alle informazioni che si hanno.
Abbiamo parlato in molte occasioni della manipolazione dell'informazione; sappiamo perfettamente come la stampa sia in grado di interpretare fatti e discorsi in una maniera piuttosto che nell'altra, ma ci è rimasta una possibilità, quella di essere informati. Il cittadino ha il diritto di essere informato e la politica ha un fondamentale dovere: informare, far capire in modo semplice e comprensibile a tutti quali sono i suoi obiettivi e i suoi scopi.
Quando ogni cittadino va al voto ha il diritto, per una volta, di conoscere colui che vota e l'impegno che una parte politica prende nei suoi confronti. Purtroppo, in moltissime occasioni, non solo recenti, gli impegni elettorali sono stati traditi perché non sufficientemente conosciuti, non pubblicizzati nella giusta maniera, non presi pubblicamente e non sottoscritti con assunzione di responsabilità di fronte ai cittadini.
Non ritengo che in questo momento approvare una «legge bavaglio» sia un modo corretto di procedere; un Parlamento che oggi ha una maggioranza di centrosinistra (che domani potrebbe essere di centrodestra) ha fondamentalmente la funzione di approvare una buona legge per i cittadini che permetta loro, per il presente ed il futuro, di conoscere e di discernere; ne dobbiamo convenire, se siamo convinti che il nostro pubblico sia maggiorenne e svezzato.
Sarebbe utile, dunque, fare in modo che tutti i programmi e le idee possano essere conosciuti e diffusi nella maniera ritenuta più opportuna da ciascun partito, senza preoccuparsi dell'effetto che sortirà su ciascuno. È probabile che un martellamento possa avere un effetto positivo su alcuni, ma diametralmente opposto su altri; questo, tuttavia, non dovrebbe essere il problema della politica, bensì quello di farsi conoscere e di essere consapevoli che anche l'ultimo cittadino del nostro paese (ultimo nel senso della distanza territoriale o nel senso della comprensione) possa aver compreso esattamente quel che i partiti e la politica vogliono offrirgli.
Non si comprende, dunque, per quale motivo debbano esserci limitazioni al tipo di comunicazione. Ci rispondete che, in fondo, le limitazioni esistono perché esiste un problema che si chiama conflitto di interessi: ebbene, ritengo che si tratti di due problemi esattamente distinti; non si può informare o disinformare la cittadinanza perché esiste un problema chiamato conflitto di interessi. Se un tale problema esiste, occorre prendere coscienza che esso esiste perché era legale che esistesse. Forza Italia e Silvio Berlusconi si sono presentati alle elezioni del 1994 con le regole che la metà sinistra del Parlamento aveva precedentemente stabilito e sancito. Utilizzando quelle regole, Forza Italia e Silvio Berlusconi - e il Polo intero - hanno vinto le elezioni.
Non ritengo giusto che i Governi succedutisi fino ad oggi dopo quelle elezioni e quelli che si succederanno debbano manipolare il sistema informativo della politica per ottenere un risultato personale. Sarebbe meglio stabilire regole differenti, che regolamentino il tipo di informazione, non nei contenuti, ma nei costi, nei posizionamenti e nelle quantità. Su questi punti, ci avreste sicuramente trovati al vostro fianco.
Riteniamo che oggi un partito nuovo - qualunque partito nuovo e non soltanto Forza Italia - non abbia la possibilità di farsi conoscere in quaranta, cinquant'anni, come è accaduto per il partito comunista, la democrazia cristiana, il partito


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socialista e molti altri. Oggi i tempi si bruciano, siamo nell'era informatica: è necessario riuscire a trasmettere immediatamente il proprio pensiero all'opinione pubblica. Questo non si può fare costituendo reti informatiche umane, quali le sezioni di partito, con militanti o uomini di partito: costruire un'organizzazione del genere comporterebbe un tempo ormai improponibile per l'era moderna. Non si può rifiutare la realtà: siamo all'inizio del terzo millennio e siamo in grado di comunicare o di comprare e vendere azioni a migliaia di chilometri di distanza in tempo reale; siamo in grado di acquistare uno spazzolino da denti negli Stati Uniti, ma si vuole negare l'opportunità al mezzo televisivo di fungere da mezzo di comune e ordinaria comunicazione. Ciò è incredibile! Io capisco che ogni partito ha un'organizzazione migliore in un settore della comunicazione piuttosto che in un altro; capisco che il partito comunista e parte della democrazia cristiana, per anni, con la fitta rete di sezioni e di militanti, hanno trovato nel porta a porta, nel volantinaggio e nella carta stampata ottimi mezzi di comunicazione, ma non riesco a capire perché eventualmente non vogliano evolvere e, se lo ritengono più efficace di un altro mezzo di comunicazione, non possano accedere a quello televisivo o radiofonico, che devono essere a disposizione di tutti. Non si può penalizzare qualcuno soltanto perché è più bravo. Certo, la sinistra è molto più brava nella campagna porta a porta, le si deve riconoscere, ma questo non è un merito da attribuire alle idee o alla capacità di governare, è soltanto un merito dell'organizzazione che in cinquant'anni si è costituita. Il Polo, e Forza Italia in particolare, sono molto più efficaci nella comunicazione radiotelevisiva: anche questo non è un merito, ma è da attribuirsi al fatto che sono nati in un'epoca in cui ormai la cultura mondiale si era orientata in quel senso. Allora, non capisco perché ostacolare tale capacità cercando di confondere l'opinione pubblica con l'espressione «conflitto di interessi». Se c'è un conflitto di interessi, lo si risolva, ma nel frattempo si possono applicare soluzioni molto semplici: è possibile chiedere alla RAI, alla televisione di Stato, come ai network nazionali ed alle TV locali, degli spazi televisivi specifici dedicati alla politica, i cui costi possono andare dall'intero finanziamento pubblico dei partiti fino a zero, a scelta del Governo, ma senza tarpare le ali, senza imbavagliare nessuno, lasciando fino agli ultimi giorni a ciascuna parte politica ed a tutti i candidati, che dovranno essere rappresentanti del popolo, la possibilità di farsi conoscere. Sappiamo benissimo quanto, purtroppo, sia ormai diminuito nel popolo italiano il vezzo di leggere. Sappiamo perfettamente come moltissimi elettori continuino ad avvicinarsi al voto semplicemente su basi quasi ideologiche, antiche e superate: perché negare la possibilità di avere una reale e corretta informazione, fino all'ultimo momento, tramite l'unico mezzo di informazione che oggi viene usato da tutti?
Addirittura, stabilendo che l'ignoranza della legge non costituisce causa di giustificazione, in molte occasioni abbiamo detto ai nostri cittadini che certe notizie riguardanti il pagamento delle tasse, le proroghe, le variazioni, e così via, venivano trasmesse dalla radio e dalla televisione: questo Stato, quindi, ha ritenuto fondamentale il mezzo televisivo e radiofonico ed ha addirittura penalizzato il cittadino, dicendogli che tramite le notizie radiotelevisive poteva essere aggiornato su fatti che sarebbero stati, altrimenti, di difficile percezione (pensiamo a quanto sia più complicata la lettura delle Gazzette Ufficiali).
Se tutto questo è vero, non si capisce perché penalizzare il mezzo. Ripeto, è possibile limitarsi a determinare i costi e lasciare che ciascuno si esprima come meglio crede. In molti Stati evoluti - e penso agli Stati Uniti - ormai esiste qualcosa che si chiama «pubblicità comparativa»! Ci si può cioè presentare davanti ai compratori o agli elettori spiegando che il proprio prodotto o la propria idea politica sono migliori di quelli di qualcun altro, operando continui confronti.


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Noi stiamo esaminando una legge in cui questo, per esempio, non è previsto, ma è impossibile non concepire che in futuro anche da noi la pubblicità comparativa conquisterà uno spazio importante. Per quanto ci riguarda, abbiamo sentito dire che lo spot televisivo è troppo breve per poter dare un messaggio credibile e comprensibile: 30 secondi sono veramente troppo pochi, molti hanno affermato. Ebbene, 30 secondi sono pochi, ma pensiamo a quante volte in un inserto di telegiornale, sia di rete pubblica sia di network, un leader è stato esposto, con dichiarazioni estrapolate da un discorso durato magari 15 o 20 minuti, con una frase di 10 secondi buttata lì ed interpretata prima e dopo da un commentatore, che naturalmente è sempre un commentatore di parte! Eppure questo viene considerato un sistema efficiente.
Quante volte in un manifesto politico o elettorale la stessa sinistra ha usato uno slogan, affidandogli l'immagine di una coalizione di Governo? Se questo può funzionare per un manifesto, per la carta stampata o per la propaganda porta a porta, non capisco per quale motivo non possa funzionare anche per il mezzo televisivo: solo perché qualcuno è più capace di altri ad utilizzarlo? Mi sembra una grave incongruenza che porterà, presumibilmente, il prossimo Governo, diverso dall'attuale, a proporre nuove norme sulla par condicio in cui verranno proibiti i manifesti o la propaganda porta a porta, mentre l'unico mezzo di comunicazione accettabile sarà la televisione. Non è possibile approvare leggi ad hoc, perché le leggi devono essere buone per tutte le stagioni in quanto sono indirizzate ai cittadini.
Abbiamo un problema che stravolgerà l'impianto di questo provvedimento: mi riferisco ad Internet. Al giorno d'oggi chiunque è in grado, con una spesa limitata ad una decina di milioni, di allestire un sito con la possibilità di trasmettere, da qualsiasi parte del mondo e in continuazione, quello che vuole, anche cose illecite. Cosa faremo? Impediremo al mondo di parlare? Impediremo ad una qualsiasi persona di rivolgersi ai cittadini italiani da qualsiasi parte del mondo tramite Internet? Obbligheremo gli inglesi o gli americani a modificare le norme relative ad Internet? Con questo strumento oggi si riesce ad arrivare a qualsiasi telefono cellulare. Nel nostro paese l'80 per cento della popolazione che lavora è munita di un telefono cellulare; tutti possono essere raggiunti ogni giorno da messaggi inviati attraverso Internet. Allora, per le prossime elezioni impediremo di inviare messaggi attraverso Internet?
Cosa faremo per quanto riguarda la telefonia satellitare? l'Iridium è in grande crisi, ma la Global va a gonfie vele: impediremo a questi soggetti di funzionare e di inviare messaggi tramite etere? A me sembra che quello che state facendo in questo momento sia negare l'avvento del futuro. Oggi volete impedire lo spot televisivo, ma alle prossime politiche farete sicuramente una campagna contro Internet e la telefonia cellulare: ma noi non possiamo tornare ai segnali di fumo, che dalla vostra parte vengono fatti molto bene. È necessario andare avanti.
Per quanto riguarda la novità politica mi chiedo come possiamo non tener presente, almeno nella comunicazione televisiva, della proporzionalità. La maggioranza di Governo, più che l'opposizione, approvò una legge elettorale nata da un referendum popolare. Il sistema maggioritario divise gli schieramenti politici in due poli all'interno dei quali sono racchiuse forze politiche molto spesso tra loro eterogenee. Tali forze politiche hanno una incidenza percentuale sul territorio. Ebbene, in una situazione di parità di condizioni come è possibile che uno spazio pubblicitario televisivo sia concesso ugualmente a tutti i partiti politici indipendentemente dalla loro percentuale di consenso? Mi sembra assolutamente ingiusto ed illecito. Se esistono due schieramenti politici, essi devono avere spazi televisivi proporzionali ai voti da loro ottenuti e al loro interno tali spazi devono essere divisi in maniera equanime tra i vari partiti.


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Concludo il mio intervento dicendo che ciò che sta facendo oggi il Governo mi sembra quasi un rinnegare il futuro, un cercare di ritornare al passato per far valere una forza esistente contro il rinnovamento, la novità. Tutto ciò è anacronistico e antistorico. Bisogna andare avanti! Se non vi sentite sufficientemente bravi su un terreno, cercate di diventarlo ma non cercate di impedire il progresso (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fragalà. Ne ha facoltà.

VINCENZO FRAGALÀ. Signor Presidente, signori del Governo, signori deputati, l'opposizione di Alleanza nazionale a questo disegno di legge proposto dal Governo e che vuole vietare la comunicazione e l'informazione politica durante le campagne elettorali è particolarmente rigorosa e arriva in un momento e in condizioni particolari del dibattito politico e della lotta politica.
Signori deputati, credevo che con la fine del novecento, cioè con la fine del secolo che aveva visto le dittature e le tirannie, gli autoritarismi, la compressione della libertà e soprattutto milioni e milioni di uomini inermi uccisi in nome dell'ideologia, si potesse finalmente, nel nuovo secolo, rendere giustizia ad una condizione fondamentale per la democrazia e la libertà; sto parlando del diritto fondamentale del cittadino di farsi una opinione ai fini della determinazione di un suo convincimento per un voto libero, nonché del potere-dovere del cittadino elettore di essere informato e del diritto-dovere delle formazioni politiche e dei candidati alle cariche elettive di informare attraverso i canali consueti dell'informazione.
Invece, proprio all'inizio di questo secolo, è accaduto che il Governo di sinistra, il nuovo Governo D'Alema, che si era presentato alle Camere sostenendo come un proprio merito il fatto che in Italia vi siano cinque milioni di abbonati ad Internet, ha furtivamente presentato un disegno di legge che è stato etichettato non soltanto dall'opposizione politica ma anche dall'opinione pubblica come un disegno di legge voluto esclusivamente dal Governo contro l'opposizione, truccando le regole del gioco, della vita democratica al solo scopo di imbavagliare l'opposizione, di impedire la comunicazione e l'informazione politica nei confronti dei cittadini e degli elettori in nome di un pretesto politico che ci portiamo appresso ormai da cinque anni.
Il pretesto sarebbe che il capo del Polo per le libertà, il leader dell'opposizione, è l'azionista di maggioranza di un gruppo di informazione mediatica (le televisioni di Mediaset) e questo creerebbe il cosiddetto conflitto di interessi. Questo è un pretesto che l'opposizione ha sempre sbugiardato nel momento in cui, in questa Camera, una legge regolatrice del conflitto di interessi è stata approvata e poi è stata insabbiata dalla maggioranza di centro sinistra al Senato dove essa è molto numerosa. Ebbene, questo disegno di legge trucca le regole del gioco, imbavaglia l'opposizione ed impedisce ai cittadini durante la campagna elettorale, cioè durante il momento cruciale e nevralgico della democrazia, di essere informati, di conoscere i programmi dei partiti e gli indirizzi progettuali della competizione tra le diverse forze politiche.
Il Governo, senza rispettare assolutamente il principio fondamentale della democrazia in base al quale le regole del gioco che riguardano, in particolare, la fase elettorale devono essere condivise sia della maggioranza sia dall'opposizione, ha presentato furtivamente ad agosto questo disegno di legge perché in quel mese i colpi di mano di qualunque tipo - anche quelli ai danni degli appartamenti degli indifesi cittadini - riescono con assoluta impunità.
Rispetto a questa legge bavaglio il Polo per la libertà ha fatto una proposta alternativa avendo sostenuto che, invece di ancorarci ad un provvedimento che impone comandi e divieti, si dovrebbe passare ad un sistema che regoli l'informazione e la comunicazione politica durante la campagna elettorale basato su incentivi


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o disincentivi. Di fronte a questa proposta del Polo per le libertà, il Governo, che avrebbe avuto la possibilità di creare condizioni di pari opportunità consentendo a tutti gratuitamente l'accesso ai mezzi di comunicazione televisiva in base alla logica degli incentivi, ha scelto la strada illiberale e liberticida di impedire a tutti la possibilità della comunicazione televisiva durante la campagna elettorale.
Sono stupito che alcuni settori della maggioranza - cui non può sfuggire il pericolo di una legge bavaglio come questa che colpisce soprattutto i gruppi minori e che impedirà un'efficace comunicazione politica dei programmi -, che pure dicono di condividere le regole liberaldemocratiche dello Stato, non insorgano e non alzino forte la loro voce di dissenso. Si tratta di una legge che impedisce a tutti di fare gli spot, invece di offrire a tutti pari opportunità di accesso alla comunicazione televisiva.
Cari colleghi, sembra un paradosso che nell'articolo 1 si sostenga che la legge promuove, disciplina e garantisce la parità di trattamento e l'imparzialità rispetto a tutti i soggetti politici per l'accesso ai mezzi di informazione e alla comunicazione politica.
È un paradosso che questa legge si presenti con una gravissima alterazione della verità mentre, nella sostanza, impedisce a tutti l'accesso ai mezzi di comunicazione televisiva trasformando il nostro paese in un sistema di tipo sovietico. Abbiamo assistito ad atteggiamenti assolutamente lesivi della libertà di stampa assunti dal Governo negli ultimi mesi e a comportamenti, ricordati in aula da altri colleghi, che hanno visto lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole D'Alema, in continuo contrasto con la stampa. È giunto al punto di utilizzare la clava giudiziaria nei confronti del più celebre vignettista italiano, Giorgio Forattini, tanto da querelarlo provocando le sue dimissioni da la Repubblica. Tutto ciò per una vignetta satirica.
Un uomo abituato a mentalità, sistemi ed ideologie che in altri paesi non consentivano neppure lo spazio della satira, figuriamoci della comunicazione politica, quest'uomo, l'onorevole D'Alema, si è fatto portatore del disegno di legge al nostro esame. Tale disegno mira a comprimere per la prima volta i diritti di libertà sanciti dalla Costituzione, con una violazione patente e reiterata di numerosissimi principi fissati dalla massima legge dello Stato, principi ricordati in quest'aula dai colleghi che mi hanno preceduto. Si tratta di principi costituzionali palesemente e violentemente censurati e lesi da questo disegno di legge. Peraltro, durante le audizioni di illustri costituzionalisti, di giuristi, di addetti ai lavori tenute dalla Commissione affari costituzionali della Camera, si è levato un coro di perplessità, di proteste e di censure nei confronti di un provvedimento che introduce addirittura un divieto assoluto di comunicazione e di informazione politica durante la campagna elettorale.
Questo disegno di legge, oltre a ledere con tale divieto il principio della libertà di manifestazione del pensiero, cardine di qualunque assetto democratico e di qualunque Stato liberaldemocratico, costituisce soprattutto un'altra aggressione, un'altra lesione dell'interesse all'intrapresa economica ed all'occupazione, nonché dell'interesse a creare nuove opportunità di lavoro andando a colpire, forse in modo mortale, quelle iniziative radiotelevisive locali che in questo paese ammontano ad oltre 2 mila imprese private. Tali imprese, che gestiscono l'intrattenimento e l'informazione in tante regioni, città e paesi di tutta la penisola, subiranno a causa del disegno di legge in esame danni irreversibili e forse mortali e dovranno sicuramente licenziare decine, centinaia, migliaia di addetti. Il provvedimento andrà dunque a colpire l'economia di questo paese in un settore, quello della comunicazione, che in tutte le altre nazioni europee viene particolarmente incentivato dal Governo, un settore che invece, in Italia, da questo esecutivo di centrosinistra viene asfissiato, paralizzato, addirittura posto nelle condizioni di non sopravvivere.


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Cari colleghi, siete stati tutti avvicinati, intervistati ed interpellati nel corso della manifestazione, tenutasi qualche giorno fa a piazza Montecitorio, degli addetti delle televisioni e delle radiotelevisioni locali private di tutta Italia che vi hanno fatto presente come questa legge bavaglio, questo divieto assoluto di comunicazione politica e di informazione attraverso lo strumento radiotelevisivo porrà quelle aziende nelle condizioni di non sopravvivere ed anzi di chiudere.
Ebbene, i cittadini italiani devono sapere che per arrivare a tutto questo la maggioranza le ha tentate tutte, allo scopo di impedire all'opposizione di discutere e di sottoporre ad un rigoroso vaglio critico gli emendamenti e gli articoli di questa «legge bavaglio», tanto da far sì che, strumentalizzando i regolamenti parlamentari, improvvisamente sono stati cambiati gli equilibri fra maggioranza ed opposizione in seno alla Commissione affari costituzionali della Camera; lo si è fatto nottetempo, così come ad agosto è stato presentato il provvedimento in esame. Addirittura si è tentato, con il contingentamento dei tempi, di impedire che l'opinione pubblica, che i cittadini italiani sappiano, alla vigilia della campagna elettorale per il rinnovo dei consigli e delle giunte regionali e ad un anno dalle elezioni politiche, di che pasta è fatto questo Governo di centrosinistra e quali sono le sue regole per tentare di conservare il potere, per cercare di attestarsi su una posizione di potere che ormai fa soltanto del male al nostro paese e che produce in tutti i settori, dall'economia alla giustizia ed all'informazione, danni irreversibili, che i cittadini italiani stanno pagando sulla propria pelle in termini di pressione fiscale assolutamente intollerabile, di disoccupazione assolutamente intollerabile, ed oggi in termini di bavaglio alle idee, ai programmi, ai progetti politici, agli stessi volti dei candidati che intendono presentarsi agli elettori, in una competizione elettorale, per ottenere il consenso.
Signori deputati, come componente di una delegazione parlamentare in missione, con alcuni colleghi qui presenti, l'anno scorso sono stato in Tibet per verificare cosa stia facendo il regime comunista cinese ai danni dei tibetani. Di fronte alla nostra domanda sul perché la Cina, dopo essersi aperta alla liberalizzazione in alcuni campi dell'economia, non si voglia aprire alla liberalizzazione del sistema politico e della rappresentanza elettiva, i dirigenti comunisti di quel paese ci hanno risposto che il loro popolo non è maturo e che non capirebbe, se vi fosse una campagna elettorale libera, con una competizione fra partiti diversi, quale sia il bene suo e del paese.
Ebbene, voi, signori della maggioranza e del Governo, state utilizzando lo stesso schema argomentativo che i dirigenti comunisti cinesi usarono con noi l'anno scorso: voi immaginate che il popolo italiano sia un popolo di immaturi, non adatto al confronto democratico e che non possa vivere in un sistema in cui la comunicazione politica, l'informazione politica per mezzo dello strumento televisivo, sia libera per tutti, sia aperta a tutti e che tutti abbiano pari opportunità di accesso al sistema politico. Voi pensate che il popolo sia immaturo, come lo pensano i dirigenti comunisti cinesi, e quindi proponete un divieto assoluto di spot, aggiungendo la menzogna, aggiungendo il falso spot che negli altri paesi d'Europa è vietato lo spot, è vietata la comunicazione politica televisiva. È stato il nostro presidente di gruppo, onorevole Gustavo Selva, durante il suo intervento e con il suo tedesco, a ripetervi come nelle scorse elezioni in Germania gli spot televisivi sia dei socialdemocratici della SPD sia dei cristiano-democratici della CDU fossero assolutamente ammessi, assolutamente regolati da una legge che lì consente l'uso del mezzo televisivo per informare i cittadini come avviene in tutti i paesi democratici (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e misto-CCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cosentino. Ne ha facoltà.


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NICOLA COSENTINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questo mio breve intervento cercherò di dimostrare l'assoluta infondatezza e pretestuosità delle ragioni addotte a difesa della bontà di questo provvedimento.
Cominciamo dalla prima ovvero dall'esistenza in molti paesi europei di una simile disciplina. Attenzione: non in tutti, perché in molti paesi europei non esiste una simile disciplina. Che dire poi degli Stati Uniti d'America in cui il potere legislativo su tale materia «si mantiene a distanza». Una simile argomentazione non dovrebbe essere invocata da chi, in molti altri campi (dalle pensioni all'ordinamento giudiziario, al mercato del lavoro), è poi prontissimo a difendere le specificità italiane. Proclamare di voler essere europeo solo quando fa comodo, equivale esclusivamente a fare della triviale retorica, per giunta affetta da miope provincialismo!
Un secondo argomento ipocritamente taciuto dalla maggioranza è fondato sul fatto che la pubblicità televisiva, sia pure regolamentata ma trasmessa dalle reti Mediaset, si svolgerebbe - come ha scritto qualche tempo fa Claudio Rinaldi sul quotidiano la Repubblica - su un campo di battaglia: la televisione commerciale, che è posseduta e controllata da uno solo dei combattenti (...); e lì qualunque messaggio sarebbe influenzato e sostanzialmente inquinato in virtù del suo solo comparire in un contesto «iperberlusconiano». Lascio ad altri giudicare il micidiale radicalismo e le possibili conseguenze di questo punto di vista ove fosse applicato fino in fondo. Mi limito ad osservare che, se il problema fosse solo questo, la soluzione sarebbe semplice da ricercare: basterebbe riservare alla sola RAI il diritto-dovere di trasmettere gli spot a prezzi bassi. Qui torna a proposito un'osservazione che quasi nessuno mi pare abbia sollevato fino ad ora. È chiaro che la parità perseguita dal Governo con questo provvedimento non è una parità giuridica. Ricordo solo per inciso che nell'ultima campagna elettorale Forza Italia ha fatto molti spot pubblicitari, ma tutti gli altri partiti avrebbero potuto benissimo fare lo stesso, solo che lo avessero voluto, privilegiando questa forma di comunicazione rispetto ad altre. Si è voluta invece una parità sostanziale, sia pure interpretata in negativo, nel senso del «non fare» del divieto!
Se le cose stanno in questo modo, è però inevitabile chiedersi perché una parità sostanziale di condizioni debba valere soltanto per ciò che riguarda la risorsa televisiva e non anche per tutte le altre risorse impiegate per convincere gli elettori (penso ai giornali e alle sedi dei partiti). Perché, allora, per stare alla questione più generale, tutti i partiti in competizione non debbono essere obbligati a spendere il medesimo ammontare di soldi e ad esserne egualmente dotati dallo Stato?
Se la par condicio è una irrinunciabile questione di principio, non dovrebbe essere proprio dei princìpi non sopportare eccezioni? E chi decide? E soprattutto con quale criterio si decidono le eventuali eccezioni?
Queste sono le questioni essenziali sulle quali la maggioranza non ha voluto confrontarsi preferendo invece, in mancanza di valide argomentazioni, erigere un muro contro di noi.
Procediamo per gradi. È chiaro che il criterio seguito sia stato quello a cui ha dato voce l'onorevole D'Alema e che poi ha costituito anche un'altra delle ragioni invocate dai fautori di questo provvedimento.
Il Presidente del Consiglio ha detto che gli spot non sarebbero una forma adeguata di comunicazione politica. Ora, senz'altro si tratta di un'idea rispettabile, ma come molti hanno già osservato in nessun paese libero è consentito al capo del Governo di stabilire quale forma di comunicazione politica sia adeguata e quale no e tanto meno di proporre una legge per obbligare i cittadini a seguire le sue personali convinzioni in materia. I Governi autenticamente democratici in certe materie lasciano che siano i cittadini a decidere. Dispiace sinceramente che con quelle parole un uomo accorto come il


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Presidente del Consiglio se ne sia dimenticato, tra l'altro contraddicendo quell'immagine di sé che con tanto impegno vuole offrire.
Mi sia consentito di formulare un'altra osservazione su tale provvedimento. Invece di abbandonare l'impossibile distinzione tra pubblicità e propaganda elettorale che di fatto utilizzano le stesse tecniche di persuasione e di semplificazione di linguaggio le si rimane fedele vietando del tutto la pubblicità spot ed affermando che la propaganda elettorale è solo quella in cui vi è contraddittorio.
Il progetto è arretrato anche per quel che riguarda le garanzie. La ripartizione dei controlli tra Commissioni parlamentari e authority non convince più; innanzitutto, perché a parità di regole sia per il settore pubblico sia per il settore privato devono corrispondere garanzie omogenee; in secondo luogo, perché in un sistema non più proporzionale, un organo soggetto alla regola della maggioranza non è certo la migliore garanzia di controllo per il settore pubblico; infine, perché il settore privato non può essere concettualmente sottoposto ad un controllo politico della maggioranza.
La maggioranza non si rende conto, purtroppo, che ogni vincolo e discriminazione tra le diverse forme della comunicazione politica avrebbe solo le caratteristiche di pericolosa limitazione della libertà politica a vantaggio delle maggioranze parlamentari di turno che, in quanto al potere, potrebbero mantenere e incrementare le loro rendite di posizione e l'asimmetria informativa nei confronti dell'opposizione.
Non si è voluto guardare con obiettività e pacatezza alla sostanza della realtà, non si è voluto vedere cioè se vi era uguaglianza nel diritto di esprimere le proprie idee politiche e quindi nel diritto di accesso al mezzo televisivo. L'arroganza di questa maggioranza ostile al dialogo ha impedito di avviare una seria riflessione per giungere ad una rinnovata disciplina della legge n. 515 del 1993 che avrebbe potuto consentire l'accesso alle televisioni senza distinzione tra proprietà pubblica e proprietà privata. Da questo punto di vista, l'obbligo a partecipare alla campagna elettorale deve essere esteso a tutte le televisioni che hanno già con il telegiornale un vincolo di informazione politica.
Come hanno scritto illustri costituzionalisti, una volta che la televisione privata non fa solo intrattenimento e viene a partecipare a quel diritto-dovere dell'informazione che è sancito nell'articolo 21 della Costituzione, devono valere per essa le stesse regole che la legge impone per il servizio pubblico. Viene in gioco, insomma, quella che la Corte costituzionale ha chiamato funzione di interesse generale. Tale funzione viene richiesta all'attività radiotelevisiva in quanto tale, a prescindere dalla natura pubblica o privata dei soggetti che la esercitano. Di fronte all'esigenza di fornire ogni tipo di comunicazione politica per il buon esercizio del diritto elettorale, la titolarità della rete diventa ininfluente. Tutte le televisioni devono essere considerate uguali davanti alle urne, titolari di un servizio pubblico allargato.
Queste erano le vere questioni da affrontare, ma il Governo si è preoccupato solo ed esclusivamente di elaborare una camicia di forza sotto la forma di un generale divieto che mina e altera pericolosamente il confronto politico ed elettorale.
Infine, non posso sottacere come una coalizione così eterogenea che non è in grado di accordarsi quasi su niente si accordi invece solo su un punto: l'antiberlusconismo. In breve, il programma del Governo si riassume in un solo punto - restare al Governo - con una postilla inquietante: ad ogni costo.
È davvero un'ironia della storia che una tradizione politica iniziata sotto auspici tecnici così brillanti sia giunta, ai nostri giorni, a voler vestire i panni di Kennedy ma rinunciando alla televisione (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e misto-CCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Crimi. Ne ha facoltà.


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ROCCO CRIMI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'eguale condizione dei punti di partenza delle forze politiche e dei candidati alle elezioni di ogni genere è un criterio indispensabile per qualsiasi contesa democratica: ciò significa discutere alla luce del sole su regole eque, condivise da tutti gli attori politici o dalla grande maggioranza degli stessi, e non già tagliate su misura per favorire questo o quel concorrente.
Le uguali condizioni di partenza sono cruciali per la vita stessa della democrazia: se si truccano le regole, la democrazia è falsata. La partita che si sta giocando a Montecitorio è di fatto una partita falsata, impostata sul presupposto che il potere pubblico possa giudicare quella che è buona propaganda e quella che è cattiva propaganda e possa decidere quali sono gli strumenti corretti della comunicazione della politica e quali sono quelli scorretti. Sono ormai trascorsi tre anni e mezzo da quando la sinistra al Governo ha annunciato di voler rivedere le famose regole, ma solo ora, a breve distanza dalle elezioni regionali e politiche, la corrente più oltranzista e minoritaria del centrosinistra tenta il tutto per tutto al fine di imporre le sue regole capziose ed illiberali.
Come altrimenti definirsi il provvedimento liberticida che s'intende far passare oggi? Un provvedimento che è limitativo non solo della libertà di espressione e di comunicazione dell'opposizione, ma anche del diritto dei cittadini di essere informati per poter esprimere una scelta consapevole nelle occasioni elettorali e referendarie. La realtà è che si sta mettendo in atto una vera e propria ritorsione nei confronti dell'opposizione, colpevole di aver vinto le ultime elezioni europee dello scorso 13 giugno. La realtà è che la par condicio andrebbe applicata prima di tutto alla RAI: la televisione di Stato segue infatti una regola non scritta, in base alla quale gli spazi d'informazione sono destinati per un terzo alla maggioranza, per un terzo al Governo e per il restante terzo all'opposizione, comprendendosi in essa non solo il Polo delle libertà ma anche quei minuscoli raggruppamenti politici che si oppongono per modo di dire, come Rifondazione comunista.
La realtà è che si stanno perpetrando gravissime violazioni costituzionali, rilevate non solo da nostri esponenti, ma anche da illustri costituzionalisti ed ex Presidenti della Corte costituzionale, come Vincenzo Caianello ed Antonio Baldassarre, i quali hanno definito la legge in discussione incostituzionale perché non garantisce la libertà di espressione. Modificate, dunque, signori della sinistra, l'articolo 21 della Costituzione come segue: «Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione, salvo Silvio Berlusconi»; anzi, giacché ci siete, proseguite pure con l'addomesticamento di altre intere porzioni del testo costituzionale, a cominciare proprio dall'articolo 1, in base al quale la sovranità appartiene al popolo, futuro oggetto di bavaglio se questa legge scellerata dovesse passare.
Continuate poi le operazioni di chirurgia costituzionale manipolando gli articoli 3, 35, 41, 42, 48 e 51, solo per citare quelli di maggiore ostacolo alle vostre palesate intenzioni liberticide. Ci hanno detto che gli altri partiti non fanno spot elettorali: forse non hanno contenuti che valga la pena di veicolare attraverso il mezzo di comunicazione più immediato, potente e moderno, forse non hanno facce rassicuranti e comunicative cui affidare i messaggi politici, forse preferiscono spendere altrimenti i fondi derivanti dal finanziamento pubblico.
In fondo è solo una questione di scelta: noi scegliamo di avere solo quarantotto persone alle dipendenze del partito e di investire le nostre risorse economiche in messaggi chiari, indirizzati direttamente ai cittadini; loro preferiscono finanziare pesanti strutture di partito e mantenere schiere di funzionari e di dirigenti. D'altra parte, non hanno neppure troppo bisogno di spot, dal momento che telegiornali, soprattutto quelli pubblici, rendono loro un grande servizio assicurandone la costante permanenza in vita.


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I dati forniti dall'osservatorio televisivo di Pavia - che sicuramente non è filoberlusconiano - hanno evidenziato che, nei primi sei mesi del 1999, gli esponenti della maggioranza hanno beneficiato di una presenza televisiva tre volte e mezzo superiore a quella riservata al capo dell'opposizione. Considerando, poi, che il numero di telespettatori che segue i TG di Stato è di circa dieci volte maggiore di quello che segue, ad esempio, il TG4, risulta evidente che il suddetto rapporto maggioranza-opposizione sia destinato a crescere in maniera esponenziale, attestandosi intorno alla proporzione di sette a uno. Un recupero parziale di visibilità è stato reso possibile solo ricorrendo ai famigerati spot televisivi, tra l'altro autofinanziati.
Non si tratta solo di una questione di tempi, ma soprattutto di contenuti; i telegiornali sono innegabilmente edulcorati, fanno vedere solo una realtà distorta, un paese senza problemi. A fronte di spot chiari e riconoscibili da chi li guarda, vi è un dominio comunicativo della sinistra che impera non solo nelle reti radiotelevisive di Stato, ma anche nell'editoria, nel cinema, nella scuola e nell'università. In tali contesti la sinistra viene magnificata, mentre il Polo, in generale, e Forza Italia, in particolare, vengono denigrati. Per non parlare del palese atteggiamento di animosità riservato costantemente a Berlusconi, indiscutibile indice dell'assoluta personalizzazione della questione in discussione, un'occupazione che non conosce simili negli altri paesi con un'informazione il più delle volte distorsiva o elusiva.
Maggioranza e Governo continuano a riversare inganni sul paese: è falso che il provvedimento che il Governo vuole non vieti ma favorisca la comunicazione politica; è falso che il divieto di spot sia in vigore nella maggioranza dei paesi europei; è falso che il provvedimento non sia una ritorsione nei confronti di Berlusconi e nulla abbia a che fare con il risultato delle elezioni europee.
Non basta, la comunicazione di Stato è anche carente d'informazione; ciò che i signori al Governo si premurano di tacere, infatti, è l'esistenza di un'apposita normativa in materia di spot da loro stessi accettata: la legge n. 515 del 1993. La legge attualmente in vigore consente a tutti i partiti di acquistare spot sulle televisioni pubbliche e private con uno sconto del 65 per cento sul prezzo di mercato, così come si premurano di non farci sapere che esiste un recentissimo provvedimento, la legge n. 157 del 1999, che disciplina il rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie, affinché anche partiti che non vantino un presidente proprietario di reti televisive possano permettersi la propaganda televisiva.
L'aspetto ancora più grave, che non posso non sottolineare con forza, è la malcelata offesa che i sostenitori della par condicio, meglio detta legge bavaglio, arrecano a tutti gli elettori. Come definire altrimenti il ritenere i cittadini capaci di decidere solo dopo aver visto gli spot elettorali, indipendentemente dai programmi e dalla serietà di chi li propone? Come valutare altrimenti il fatto che il bavaglio non lo impongano solo a noi, ma anche a milioni di cittadini che vogliono conoscere e valutare la nostra proposta politica, non riconoscendosi nei programmi e nei metodi della sinistra.
Tutto ciò non importa ai signori della sinistra, nulla importa se par condicio significa violare la Costituzione; nulla importa se par condicio significa ignorare milioni di elettori, nulla importa se par condicio significa attirare il ridicolo internazionale, giacché questa è la vera essenza dei liberali falsi. Ma tali falsi liberali non hanno scoperto nulla di nuovo, anzi si sono rifatti a tristi precedenti della storia italiana, addirittura pre-repubblicana; come ha infatti ben ricordato Massimiliano Lussana in un recente articolo apparso su il Giornale, l'attuale Governo non ha neppure il copyright, avendo già ben 101 anni fa, all'inizio dell'estate del 1899, l'allora capo dell'esecutivo, il famigerato generale Pelloux, tentato


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di imporre un programma liberticida e compressivo della libertà di comunicare a mezzo stampa.
Allora come adesso il Governo abusò della sua maggioranza legale, che corrispondeva ad una minoranza di fatto nel paese, per imporre le sue regole limitative della libertà di comunicazione. Allora come adesso il Governo trovò un'opposizione decisa e compatta che, utilizzando tutte le armi che il regolamento le metteva a disposizione, riuscì a sventare il grave attentato alla sua libertà di espressione.
Oggi come allora l'opposizione non starà a guardare. Il Polo, in particolare, si batterà senza riserve per difendere i valori di libertà, di uguaglianza e di rispetto delle regole, anche non scritte, dell'esercizio del diritto di voto in condizioni di piena consapevolezza dei programmi, del diritto di associazione partitica. Il Polo si batterà per ristabilire quell'effettiva parità di condizioni, che proprio la legge che da essa prende il nome intende violare e, se questa infausta legge bavaglio dovesse infine passare, il Polo chiederà al Presidente Ciampi di non promulgarla, ricorrerà alla Corte costituzionale, sollevando la questione di incostituzionalità e raccoglierà le 500 mila firme necessarie a promuovere un referendum abrogativo.
Faremo tutto ciò nella certezza di rappresentare la parte autenticamente liberale del paese, quella alla quale si vuole imporre di tacere, quella che si sta tentando di imbavagliare ((Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Landi di Chiavenna. Ne ha facoltà.

GIAMPAOLO LANDI di CHIAVENNA. Signor Presidente, signori membri del Governo, onorevoli colleghi, la posta in gioco è troppo importante per lasciarsi guidare da apriorismi, da preconcetti e da interessi di parte.
La par condicio per le forze politiche nell'accesso ai mezzi di informazione e, soprattutto, a quelli televisivi, da un lato, e la tutela del diritto dei cittadini alla genuinità del voto e, quindi, ad un'informazione corretta nell'imminenza dell'apertura delle urne, dall'altro, sono ambedue profili che non è consentito affrontare con leggerezza. Si tratta, infatti, del fondamento primo di ogni sistema liberale e democratico e, quindi, presupposto imprescindibile per la nascita e lo sviluppo di quella dialettica all'interno del paese sui contenuti e sui valori necessari a costruire la coscienza politica e critica dei cittadini.
A ciò credo si debba aggiungere anche l'esigenza di tenere nella giusta considerazione le ragioni dell'impresa radiotelevisiva, cioè di quell'attività economica che riceve comunque e sempre dall'articolo 41 della nostra Costituzione legittimità e fondamento. Si badi che il riferimento che intendo fare non è diretto solo alle televisioni private, ma anche e soprattutto alla RAI, alla cosiddetta televisione pubblica di Stato. È infatti vero che la RAI ha ormai definitivamente perduto la veste di servizio pubblico per assumere il volto tipico di una rete privata, legata ad una logica di mero profitto. Basti pensare alla linea editoriale seguita, tutta improntata all'audience, pur di rintuzzare colpo su colpo gli score della concorrenza.
Tale evoluzione potrà piacere o meno, ma certo si rivela come un dato di fatto incontestabile e idoneo pertanto a porre il legittimo interrogativo del senso della conservazione della qualifica di servizio pubblico e degli annessi privilegi rispetto ad un soggetto che non è più tale. Non può pertanto sorprendere che l'onorevole Massa, relatore per la maggioranza del provvedimento in questione, affermi - e cito dal suo intervento, che ho letto con molta attenzione - che oggi in Italia è estremamente limitato il privilegio di una concessione televisiva a livello nazionale. Il vantaggio che ad essi deriva da tale regime concessorio è tale da non pregiudicare l'interesse economico del privato di fronte alla necessità di imporre lo svolgimento di una modalità di servizi.
Vorrei riflettere con l'onorevole Massa sulle sue parole, perché per noi liberali le democrazie mature non possono reggersi


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sul concetto di privilegio o su vantaggi anche di natura economica o su imposizioni; non possono reggersi su posizioni e vantaggi che non riposino sui sani principi della libera competizione e della concorrenza che, allorquando vengono applicati, determinano che si imponga il migliore che emerge a parità di condizioni.
La cultura delle sinistre, che sembra essere ancora fortemente presente nel disegno di legge in esame, obbliga a discettare su privilegi e vantaggi che derivano dal sistema concessorio statale, quindi per norma pubblicistica e non per veri criteri di meritocrazia. L'anomalia italiana, quindi, sta a monte del problema della regolamentazione della propaganda elettorale: si è voluto costruire un sistema bloccato e ora si cerca di correre ai ripari comprimendo il diritto alla libera informazione e il diritto al libero autoconvincimento, con una legge fatta di divieti e di imposizioni, di censure e di limiti, di sanzioni e di aberrazioni giuridiche e culturali, di contraddizioni di natura costituzionale. Invece di affrontare il problema ricorrendo ad una vera liberalizzazione del sistema informativo, dopo averlo partorito e protetto, oggi si pretende di limitare - se non uccidere - la libertà di pensiero sul falso presupposto dell'esistenza del cosiddetto conflitto di interessi che credo la sinistra abbia per prima concorso a costruire e, comunque, a non risolvere. Così, pur di eliminare quella che è percepita come un'arma a favore dell'opposizione, non si esita ad introdurre il divieto di pubblicità politica nel periodo intercorrente tra la data di convocazione dei comizi e quella delle elezioni. Il tutto avviene con grave spregio per la libertà di manifestare il proprio pensiero, costituzionalmente garantita dall'articolo 21 della Carta fondamentale.
Vorrei citare un passaggio importante di un discorso fatto da un giurista che credo sia al di sopra di ogni sospetto. Mi riferisco al presidente della RAI, professor Roberto Zaccaria, che così si è espresso: «Secondo il nostro punto di vista, l'ampia formulazione dell'articolo 21 della Costituzione non si limiterebbe ad offrire copertura all'informazione e alla propaganda, ma alla stessa pubblicità. Ci sembra, infatti, abbastanza pacifico che l'attività pubblicitaria rappresenti, attraverso la sintesi dello slogan, una delle forme emblematiche della manifestazione del pensiero, spesso caratterizzata da un alto livello di creatività». Queste sono, dunque, le parole del professor Zaccaria, presidente della RAI. Aggiungo, con le mie parole, che risuona ancora nelle orecchie di tutti noi il compiacimento dell'onorevole Veltroni, segretario dei Democratici di sinistra, per la profonda valenza suggestiva ed evocativa dello slogan «I care» idoneo, a suo dire, a sintetizzare la linea politica e programmatica del suo partito.
La distinzione che si vorrebbe introdurre con questa legge tra propaganda politica e pubblicità politica è del tutto artefatta, per non dire artificiosa; ciò è di agevole comprensione, sulla base della disciplina in materia contenuta negli altri ordinamenti. Un divieto di trasmissione di brevi e concisi messaggi di propaganda sul modello degli spot non si trova né in Germania, né in Spagna, nel Regno Unito o in Francia. Emerge invece con chiarezza, nel provvedimento in esame, il disegno perverso di predeterminare la tipologia e il formato dei programmi di propaganda: questo programma sì, quell'altro no. Nella logica della maggioranza, la par condicio sarebbe, dunque, destinata a tradursi sul piano operativo nella previa definizione di un unico contenitore che i soggetti politici si limiteranno a riempire, con la propria partecipazione e le proprie dichiarazioni. Con ciò, l'identificazione tra par condicio e omologazione si fa, a mio avviso, completa!
Ancora una volta, l'esperienza degli altri ordinamenti illumina su quella che potrebbe divenire l'anomalia del caso italiano. Nel Regno Unito, in Francia, in Germania e in Spagna, per par condicio si intende la fruizione delle medesime opportunità in termini di spazio e di tempo di antenna, necessariamente graduati in funzione del rispettivo peso dei vari soggetti politici sui mezzi di informazione,


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ma non certo la omologazione dei programmi o, peggio, l'imposizione di determinati format.
Così, per garantire la parità di trattamento e l'imparzialità rispetto a tutti i soggetti politici - e questo è desunto dalla portata normativa dell'articolo 1 del disegno di legge alla nostra attenzione - la sinistra ha scelto la tortuosa strada della normazione primaria che vieta o limita l'accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica. Mi chiedo, e vorrei chiedere al Presidente del Consiglio D'Alema, che si fa vanto di governare il trapasso dal sistema dirigista e statalista del monopolio e delle corporazioni verso un sistema liberale e liberalizzato, se creda che l'attuale piccolo universo dei media radiotelevisi italiani rappresenti davvero un sistema liberale e se la cosiddetta par condicio non sia invece strumento di ulteriore compressione di quella libertà di pensiero, di autodeterminazione e di scelta, che gli italiani hanno il diritto-dovere di rivendicare per affrancarsi da un sistema che stenta a trovare spunti di vera innovazione culturale e che pare anzi regredire verso logiche, culture ed opzioni partitocratiche, che gli italiani credevano di avere definitivamente superato e cancellato, celebrando il de profundis della prima Repubblica con la sua perversa pratica spartitoria e consociativa. Queste logiche le ritroviamo puntuali nel disegno di legge in esame, che tutto regola e tutto limita fuorché i cosiddetti servizi informativi. Mi riferisco ai telegiornali, per esempio, che, nell'anomalia italiana quanto al cosiddetto servizio pubblico, sono addirittura triplicati, con buona pace del principio di economicità che dovrebbe presiedere ad ogni sistema che abbia come missione la gestione del denaro pubblico. Credo che sarà sempre tardi quando qualcuno spiegherà agli italiani il senso di una televisione di Stato con tre canali capaci di diffondere le stesse notizie e con palinsesti, tolto quello regionale, sostanzialmente identici, ma competitori quanto a audience: come dire una concorrenza in casa fatta con il denaro pubblico.
Dicevo che questo disegno di legge non regola i telegiornali e ben sappiamo quale differenza di trattamento rispetto ai tempi venga riservata alle attività ed alle posizioni politiche dei partiti della maggioranza di Governo rispetto ai tempi concessi all'opposizione. Dati recenti confermano, infatti, che nei primi mesi del 1999 il tempo destinato al centrosinistra è stato di oltre 5 mila minuti, rispetto ai 1.500 minuti destinati all'opposizione. In altre parole, tutto si vuole regolare e limitare con questo disegno di legge, fuorché il contenitore politico che raggiunge il maggior grado di ascolto durante la giornata. Questa, nella logica delle sinistre, è libera informazione, obiettiva ed imparziale? È informazione correttamente distribuita a salvaguardia degli interessi di tutti i soggetti politici? Questo è l'uso che della televisione di Stato intende fare il centrosinistra? Questo è il servizio che, nella logica certamente non condivisibile del testo al nostro esame, dovrebbe tendere a garantire la parità di trattamento? Credo che a queste domande sarà il popolo italiano a dare risposte assolutamente convinte, risposte che negano il senso, il valore e la portata normativa di questa legge.
Credo quindi, in conclusione, che la questione della par condicio italiana sia tutta qui, cioè in una brutta legge, frutto di una brutta logica, figlia di un brutto sistema, figlio di una cultura illiberale e prevaricatrice (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Ippolito. Ne ha facoltà.

IDA D'IPPOLITO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi, voglio in premessa denunciare l'ambiguità di una legge che nel definire, all'articolo 1, l'ambito della sua applicazione, introduce quale finalità sua propria la par condicio, un principio nobile e condivisibile, sol che fosse davvero attuato e garantito; un'ambiguità che testimonia di sistemi e metodi che con rammarico


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abbiamo visto introdotti da un Governo che evidentemente mira soltanto a mantenere se stesso.
È stata definita dall'opposizione «legge bavaglio» illiberale ed io aggiungo superflua, a fronte di una normativa già in vigore puntuale nei limiti e nelle indicazioni. Si tratta di una legge certamente inidonea a porsi come disciplina di garanzia, vale a dire capace di assicurare, al di là delle enunciazioni di principio, parità di trattamento ed imparzialità a tutti i soggetti politici per l'accesso ai mezzi di informazione e della comunicazione politica. Si tratta di una proposta che, nell'impianto e nell'ispirazione, vuole solo vietare e non regolamentare. Vietare, attraverso i distinguo, le sanzioni, le classificazioni ed i vincoli previsti nell'articolato, la libertà di espressione piena e compiuta a quanti, protagonisti della vita politica, vogliano offrire ai cittadini l'opportunità di formarsi una propria opinione.
Il tema alla nostra attenzione tocca, senza ombra di dubbio, le regole della democrazia ed i diritti di libertà, non potendosi sottacere che l'ambito temporale disciplinato esorbita i periodi di campagna elettorale, incidendo direttamente sull'organizzazione del sistema radiotelevisivo - non a caso il disegno di legge in oggetto risulta presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il ministro delle comunicazioni - e caratterizzandosi per una portata più ampia della legge n. 515 del 1993 e degli stessi decreti-legge sulla par condicio adottati nel corso della precedente legislatura.
Spiace perciò registrare su tale materia un dibattito che, nella sostanza, è monco, sostenuto con coraggio solo dall'opposizione, come ha già dimostrato il confronto in aula sulla sollevata questione pregiudiziale di costituzionalità, sostanzialmente esclusa - non certamente perché infondata - per la rigidità di una maggioranza che ha deciso di non ascoltare, forse perché l'utile di machiavellica memoria giova al principe più che al giusto. La maggioranza insiste nel sottolineare l'adeguamento alla normativa europea che questo disegno di legge realizzerebbe, ma trascura di ricordarne i punti di differenza e soprattutto il correttivo, introdotto nei paesi che escludono gli spot a pagamento, della proporzionalità del tempo concesso al consenso elettorale rappresentato.
L'indifferenza ai valori proporzionali della rappresentanza mostrata da questo disegno di legge nel computo dei tempi assegnati alle forze politiche, scandito rigorosamente sul principio dell'uguaglianza, risulta incongruente rispetto ad altri parametri e criteri utilizzati, ad esempio, nel calcolo per l'assegnazione di quote di finanziamento ai partiti. Queste ultime, infatti, sono al contrario rigidamente ancorate al numero di parlamentari eletti nei collegi e quindi direttamente proporzionali al consenso raccolto.
Se dovesse valere il principio della par condicio come categoria generale applicabile ad ambiti diversi e quindi anche al finanziamento dei partiti, dovremmo concludere per somme uguali a tutti. Ma naturalmente così non è e non può essere, come non può ammettersi un tempo uguale per partiti di diverso peso politico, con ciò affermandosi e non negandosi un principio di democrazia non discriminatorio.
Disorienta, inoltre, la sorda indifferenza del partito di maggioranza della coalizione di Governo agli attacchi che provengono dal fronte variopinto dei partiti che vanno da Rifondazione comunista ai mastelliani, passando per i Democratici, i quali, alla vigilia della scadenza del consiglio di amministrazione della RAI, avevano rivendicato par condicio attraverso la nomina di propri rappresentanti in quell'organismo per avviare, dicono, un riequilibrio nell'informazione che proprio ad essi pare sbilanciato a sinistra in favore dei DS. L'esigenza di par condicio, dunque, è tutta interna alla colazione di Governo e che rivendica per i partiti minori nuovi spazi di informazione e di libertà, rispetto a quelli ridotti ora concessi, ma che diventa speculare rispetto alla più generale denuncia del Polo e


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finisce per legittimarla, seppure ve ne fosse bisogno, proprio da sinistra. Del resto, come giudicare il divieto posto dal primo comma dell'articolo 8, dalla data di convocazione dei comizi elettorali fino alla chiusura delle operazioni di voto, a tutte le attività di comunicazione, ad eccezione di quelle del Governo, effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni? Una norma - prima facie - più severa di quella già in vigore (la legge n. 515 del 1993); una norma che in realtà sancisce un doppio binario, quello del bavaglio agli spot e quello degli speaker sorridenti e terzi che danno e daranno le notizie indispensabili per il Governo.
Con sereno equilibrio e senza polemiche, mi chiedo come sia possibile giudicare utile per l'informazione, cui hanno diritto i partiti per convincere e i cittadini per scegliere, la formula proposta dalla legge in esame, che ipotizza un'unica trasmissione (80 minuti di spot; spot «minuto per minuto»), fatta proprio per non essere vista dagli elettori e sicuramente rifiutata dalle televisioni private, indisponibili a mandare in onda trasmissioni destinate a far crollare gli ascolti. Una formula utile ora per i DS a riannodare i rapporti interrotti con Rifondazione comunista, nonostante i rischi successivi di tenuta su questioni di politica economica, realisticamente però estranea alle finalità proprie della comunicazione politica sia all'interno della campagna elettorale sia fuori da quello spazio; finalità sempre ravvisabili nella volontà oltre che nella necessità di coinvolgimento dei cittadini su programmi, scelte e uomini destinati a segnare i destini di quei cittadini e del paese.
Negare che questa legge incida sulle regole del gioco democratico, che per ciò stesso dovrebbe garantire tutti, significa mistificare. Ritenere che con la forza dei numeri vada imposta una normativa che vede un convinto dissenso dell'opposizione e registra gravi perplessità anche se più o meno manifeste nella stessa maggioranza, significa, al di là delle parole, voler chiudere il dialogo, magari ricercando l'alibi, a partire da ciò, per ulteriori colpi di mano su regole fondamentali per l'affermazione e la difesa della democrazia.
L'intera materia dell'informazione e della diffusione radiotelevisiva, non solo quindi della comunicazione politica, dovrebbe considerarsi tra le cosiddette materie bipartisan, che richiedono perciò nella regolamentazione la ricerca della più ampia condivisione da parte di tutte le forze politiche, cosa questa che come risulta già evidente appare assai difficile.
Se c'è dunque un doppio binario di valutazione di questa legge, uno squisitamente tecnico, l'altro squisitamente politico, fallimentari sono le conclusioni in entrambi i casi. Per un verso una cattiva legge, incostituzionale sotto molteplici profili o comunque esposta ad un giudizio di sospetta costituzionalità come dimostra il difforme parere nel merito di autorevoli costituzionalisti, con l'evidente conseguenza, ad oggi sottovalutata, del necessario approfondimento; non condivisa, arrogante ed illiberale per l'altro verso.
Del resto, appare incredibile, a fronte della disaffezione verso la politica, con un partito degli astensionisti forse oggi il più numeroso, che si riducano gli spazi di informazione quanto mai necessari per rilanciare, attraverso programmi, idee e persone, il valore della partecipazione e la fiducia verso la politica.
Affermare la par condicio dovrebbe avere il significato di negare il silenzio assoluto ed evitare che il dibattito sia riservato a pochi addetti ai lavori; effetto che definirei scontato a fronte di una legge che, vietando sempre la pubblicità e rendendo obbligatorio e gratuito il servizio di comunicazione politica per le televisioni pubbliche, di fatto sancisce, stante la prevedibile e preannunciata ritirata delle emittenti locali, il monopolio della TV di Stato su quella comunicazione politica.
Siamo dinanzi ad una legge che non consente altra forma di comunicazione politica se non quella classificata come tale, trascurando le innumerevoli, legittime ipotesi diverse (penso ad esempio ai comizi quale strumento di informazione


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diretta ed antica di idee e programmi elettorali); ad una legge insomma che a tutti i costi mostra di voler controllare quella comunicazione che ha la pretesa di innovare migliorandola ed invece sancisce la negazione di quella pari opportunità che vorrebbe affermare, se è vero che la logica di assegnazione dei tempi risulta rigorosamente aritmetica con riguardo ai soggetti attori ma distratta sulle quote di rappresentanza in termini di consenso elettorale. Una legge ancora più lontana proprio dalla sua dichiarata ragione ispiratrice che dovrebbe consentire vieppiù, nella logica del maggioritario, opportunità o, meglio, tempi uguali alle coalizioni in campo, oltreché il diritto a ciascuno dei singoli partiti di comunicare, di guisa che un minor numero di soggetti in una coalizione non significhi mai minor tempo per l'intero schieramento. Un criterio questo idoneo a garantire il diritto dei singoli ad esserci e a manifestare un diritto non soffocato, ma esaltato dal gioco di squadra di quella coalizione cui si aderisce e con cui si concorre all'obiettivo comune e principale. Quale fiducia rispetto alle TV di Stato, a fronte dei dati forniti dall'osservatorio televisivo di Pavia che hanno dimostrato che la presenza televisiva dell'opposizione è salita dal 35 al 50 per cento rispetto alla maggioranza solo grazie agli spot a pagamento; che la presenza in RAI di D'Alema è stata pari a 1.031 minuti contro i 395 dedicati a Berlusconi; che i tempi della maggioranza sono stati pari a 5.024 minuti contro i 1.547 del Polo, senza naturalmente far pesare la qualità dell'audience.
Si ha l'impressione di una paura sottesa e strisciante che induce a chiudere in fretta la partita; la paura propria di chi governa sapendo di non avere i numeri nel paese e di doverli ogni volta trovare in Parlamento, ma anche di chi vuole, a tutti i costi, continuare a governare, oggi e domani.
Non si può seriamente ritenere che si possano manipolare coscienze ed uomini con spot, pur consapevoli che il mezzo televisivo rappresenta oggi lo strumento principe dell'informazione ai cittadini. Gli italiani meritano maggior rispetto; non si cattura consenso vendendo parole, ma offrendo programmi credibili, convincendo con la forza delle idee, degli ideali, degli obiettivi degli uomini e delle donne che li rappresentano. Quando a parlare linguaggi nuovi sono uomini vecchi, sempre gli stessi, diventa difficile convincere, colleghi della sinistra. Aveva ragione la collega Nardini a ricordare nel suo intervento di qualche giorno fa che il suo partito è di opposizione a sinistra. Dovrebbe ricordarlo, però, anche chi, applicando una regola non scritta, già ricordata dal collega Crimi, oggi ripartisce gli spazi di informazione della RAI e ne assegna un terzo alla maggioranza, un terzo al Governo - considerati, guarda caso, due entità distinte - ed un terzo all'opposizione compresa Rifondazione comunista che certo, se opposizione è, non si colloca nel centrodestra, con cui pure divide quel terzo assegnato. Ma sbaglia chi ritiene che la lotta di Forza Italia sia a difesa degli interessi di uno solo; è la battaglia per la libertà di tutti che il coraggio di un uomo che resiste rende credibile di fronte al paese. Lo dimostrano i tanti che ogni volta sanno ritrovarsi in piazza Duomo, in piazza San Giovanni e in piazza Montecitorio. Dunque, nell'agorà, nella piazza, riscoperta come luogo di libero confronto tra uomini liberi e pronti anche a combattere per la libertà, se si sente insidiata, nel rispetto, comunque, di principi cardine della democrazia che significa, anzitutto, rispetto della differenza e riconoscimento dell'altro come uguale, con pari diritti e pari dignità, al di là di logiche contingenti e temporali che possono far sentire l'uno più forte dell'altro.
Alla maggioranza, che oggi ha rigettato quel criterio proporzionale che in Europa in tanti hanno adottato, non solo rivolgo l'invito a ripensarci, ma soprattutto il monito che, nel gioco democratico dell'alternanza, chi oggi governa domani potrebbe essere all'opposizione. Non commetta perciò peccato di ùbris d'antica memoria sempre punito dagli dei, dimenticando che affermare principi e scrivere regole oggi da soli significa non avere


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domani, rebus mutatis, alcuna legittimazione a chiederne la modifica. Non basta esibire nei propri simboli di partito la parola «democratici» per essere tali; più spesso anzi l'esperienza insegna che chi si affanna a dimostrare è assai lontano dalle cose che dice. La riserva indiana in cui la maggioranza tenterebbe di confinare il Polo delle libertà, facendo essa sì ostruzionismo - fastidiosamente razzistico, oserei dire con sofferenza, in alcune sue manifestazioni - a valori e principi che dovrebbe invece condividere, sarà sconfitta dalla pazienza e dalla maturità di un popolo che saprà, con libere elezioni, difendere ancora una volta la propria libertà e la propria libertà di scelta (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Marzano. Ne ha facoltà.

ANTONIO MARZANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono molti a chiedersi perché mai la sinistra ed il suo Governo, di fronte ai problemi irrisolti della nostra economia e della nostra società, abbiano avvertito la necessità di varare il provvedimento cosiddetto della par condicio. Se lo chiedono in verità gli italiani che di questo provvedimento non sentono alcun bisogno e che soffrono invece il problema della disoccupazione dei propri familiari, che sono impauriti da un'inflazione che «morde» i loro redditi, che sentono la difficoltà di difendere il proprio tenore di vita in un paese che, secondo i dati OCSE, presenta il tasso di sviluppo più basso tra le nazioni industriali.
Diciamo dunque la verità: questa legge nasce dalla paura, la paura che invade la sinistra di fronte alla perdita di consenso nel paese, di fronte cioè alla prospettiva di tornare all'opposizione alle prossime elezioni politiche. È una paura che si mescola alla rabbia che si manifestò il giorno stesso delle ultime elezioni europee, che segnarono una chiara vittoria del Polo delle libertà e, in particolare, di Forza Italia. Non c'è niente di peggio di una reazione che nasce dalla paura mista a rabbia, due sentimenti che in genere sono pessimi consiglieri ed infatti voi state mettendo mano ad un provvedimento sicuramente impopolare, che dunque vi farà perdere ancora di più il consenso degli italiani. Di questo noi potremmo perfino dirci lieti, se non fosse che questa legge ferisce la libertà e la democrazia nel nostro paese e colpisce la libertà di parola, che è un ingrediente fondamentale di ogni democrazia.
Mettetela come volete, la verità inoppugnabile è che questo provvedimento è contro l'opposizione, dal momento che è indiscutibilmente volto a ridurre la sua possibilità di svolgere il ruolo fondamentale di denuncia, di ammonimento, di proposizione alternativa. Due sono i noccioli della questione. In primo luogo, voi cambiate le regole del gioco e lo fate senza l'accordo delle opposizioni, come si dovrebbe invece fare in ogni vera democrazia. In secondo luogo, cambiate le regole del gioco in una materia, la libertà di parola, che è essenziale per le opposizioni.
Noi abbiamo provato molte volte a svolgere il nostro ruolo, fondamentale per la democrazia, di denuncia, di monito e di proposta alternativa nelle aule del Parlamento, ma qui abbiamo trovato una maggioranza blindata, sorda alle nostre parole e perfino ai nostri suggerimenti costruttivi. È chiaro che nella misura in cui ciò accadeva diventava per noi più importante rivolgerci direttamente al popolo in tutti i modi tecnicamente possibili ed ecco che voi, dopo che vi siete blindati in Parlamento, avete deciso di blindare anche le nostre bocche e le orecchie degli italiani.
Con ciò vi ponete al di fuori della Costituzione, come illustri costituzionalisti ed ex presidenti della Corte costituzionale hanno osservato, ma nel dibattito sulle nostre pregiudiziali di incostituzionalità, con arroganza e superficialità, vi siete frettolosamente sbarazzati di questi autorevoli pareri. Voi asserite che si tratta di una legge che vige in Europa, ma sapete di dire il falso. La verità è che vi siete allineati sul modello più restrittivo, quello


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francese, e non vi siete neanche dati cura di informarvi sul fatto che in Francia molte voci si stanno levando per correggere in senso più liberale quel modello.
Voi state minando la democrazia anche perché la logica ispiratrice del vostro provvedimento muove da una posizione di disistima nei confronti degli elettori italiani. Voi pensate cioè che essi si lascino facilmente influenzare dagli spot elettorali, mentre è sicuramente vero che i nostri concittadini sono pienamente capaci di intendere e di volere e che prestano semmai attenzione ai contenuti degli spot, alle proposte in essi contenute. Se tali proposte fossero non condivise, gli spot si ritorcerebbero a danno di chi li fa. Le nostre proposte riguardavano la parità scolastica, il fisco equo, la sanità efficiente e, quindi, a favore dei più deboli, il lavoro per i giovani, uno Stato sociale ispirato alle vere priorità e non ai privilegi: è questo ciò che la sinistra non vuole che gli italiani si sentano dire.
Una sola libertà vi sta a cuore, quella di parlare bene del Governo. La sinistra vuole si dica soltanto che tutto va per il meglio, che tutti sono fiori all'occhiello quando, invece, si tratta spesso di crisantemi appassiti, che l'inflazione è sotto controllo, che la disoccupazione scende, che il fisco è più lieve rispetto agli altri paesi, che la ripresa è in arrivo, il che è vero nel senso che, secondo voi, è in arrivo da almeno tre anni, solo che gli italiani non l'hanno ancora vista e stanno ancora aspettando Godot.
Volete si parli bene del Governo? Fate anche voi gli spot, lasciate che li faccia la Bindi, il ministro Visco, Barberi; noi saremmo del tutto d'accordo sulla possibilità che siano costoro a fare gli spot. Vedete, semmai la par condicio dovremmo chiederla noi: il servizio pubblico televisivo e radiofonico, che si regge sui canoni pagati dagli italiani, inclusi quei milioni di concittadini che vi votano contro, non è più un servizio pubblico ma un servizio al Governo, del quale perfino i libri scolastici sono costretti a parlar bene.
Noi siamo diversi da voi e lo abbiamo dimostrato in tante occasioni; ad esempio, quando la sinistra ha attaccato Radio radicale, noi ci siamo schierati in sua difesa, pur sapendo che tra noi e i radicali c'erano sì motivi di convergenza, ma anche di divergenza, ed oggi da quella radio ci provengono critiche; ebbene, noi pensiamo siano critiche sbagliate, ma non chiederemo mai la mordacchia per Radio radicale. Possiamo non essere d'accordo con quello che gli altri dicono, ma ci batteremo affinché siano liberi di farlo.
Da oggi in poi, ai tanti motivi che ci rendono diversi da voi della sinistra se ne è aggiunto un altro, forse il più importante di tutti: noi crediamo veramente nella democrazia, nella libertà in tutte le sue manifestazioni, prima di tutto in quella di parola; crediamo nella capacità d'intendere e di volere degli italiani. A voi cosiddetti moderati del centrosinistra diciamo: «State attenti, perché quando si ferisce la democrazia, si sa come si comincia ma non si sa come si finisce», e voi da tempo avete cominciato, con 1 milione 700 mila voti annullati nel 1996, con i ribaltoni che hanno ribaltato il voto degli italiani, con i referendum disattesi ed oggi con questo provvedimento liberticida.
Niente sarà più come prima da oggi in poi, perché il nostro schieramento politico deve aggiungere alle sue battaglie anche quella per la difesa dei diritti politici della nostra gente. A questo avete ridotto il nostro paese, che era già al quarantesimo posto nella graduatoria delle libertà nel mondo e che, con il provvedimento in esame, scivolerà ancora più in basso.
Noi siamo per la società aperta, per la società della tolleranza, per la politica delle idee, per le eguali libertà; voi siete per gli eguali divieti. Da oggi, i rapporti tra l'opposizione liberale e liberista e la sinistra dispotica e liberticida diventano rapporti di conflitto insanabile, di cui deve essere chiaro che portate voi l'intera responsabilità (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gagliardi. Ne ha facoltà.


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Onorevole Gagliardi, al suo gruppo mancano tre minuti per finire il tempo a disposizione. Come ho accennato prima, raddoppio i tempi e, quindi, il gruppo di Forza Italia ha ancora 1 ora e 24 minuti, più i minuti che restano a lei. Naturalmente, avverto i colleghi di Forza Italia che successivamente non potrò prolungare ulteriormente i tempi; quello testé indicato è dunque il tempo massimo, essi decideranno come utilizzarlo. Vi sarà, invece, il tempo per le dichiarazioni di voto finale, pari ad un quarto d'ora per ciascuno dei gruppi che avranno esaurito il tempo.
Prego, onorevole Gagliardi.

ALBERTO GAGLIARDI. Signor Presidente, mi interromperà quando avrò esaurito il tempo a mia disposizione.
Signor Presidente, mi chiedo da tempo il perché di questo livore, di questa animosità, di quest'odio da parte degli eredi italiani del comunismo contro la televisione libera, contro l'uso libero del mezzo televisivo. Credo, signor Presidente, di avere una risposta. Perché quest'odio verso la televisione libera da parte dei post-comunisti italiani? Perché la televisione libera ha certamente contribuito a distruggere il comunismo in Europa, ad abbattere i sistemi comunisti dei paesi dell'est, a distruggere l'Unione Sovietica! Il messaggio televisivo ha superato e distrutto la cortina di ferro. Credo che al fondo di questo odio dei comunisti italiani verso la televisione vi sia questo dato storico inoppugnabile (Commenti del deputato Di Capua).
Signor Presidente, se non fosse stato per una cassetta video, come si sarebbe potuta smascherare la montatura che la stampa di regime aveva orchestrato sul caso del segretario del PPI? Se non fosse stato per una cassetta video la stampa di regime avrebbe montato l'ennesimo tormentone contro le «squadracce» di Forza Italia. Incredibile, ma vero!
Queste sono le ragioni per le quali la televisione, strumento di libertà, diventa un'ossessione per le sinistre, per questa maggioranza e per questo Governo.
La concezione che sta alla base di questo disegno di legge bavaglio è una concezione paternalistica, autoritaria e da vero e proprio regime, che evidenzia come la sinistra conservi gli antichi vizi e si dimostri incapace di evolversi ed adeguarsi alle esigenze di una società che chiede sempre più libertà, sempre più aperture e sempre più iniziative.
Questo regime, «regimetto», sa che ormai la vera «piazza di libertà» non è più questo Parlamento, che il Governo ha imbrigliato con tutte le possibili briglie, signor Presidente, ma quella vasta «piazza di immagine» che è la televisione; naturalmente, la televisione libera! Questo regime sa che la televisione è lo specchio del popolo più del Parlamento e questo regime agisce di conseguenza.
Per quanti sforzi una persona ragionevole possa compiere, non si riescono a comprendere né i motivi del divieto degli spot né la limitazione della propaganda politica e della comunicazione elettorale, se non in una logica di regime, essendo lo spot elettorale uno strumento che fino ad oggi tutti i partiti avrebbero potuto utilizzare.
Questo disegno di legge stride in modo vergognoso con l'articolo 21 della Costituzione, il quale ha proprio lo scopo di preservare la libertà di manifestazione del pensiero con ogni mezzo; ripeto: con ogni mezzo (dovrebbe saperlo anche il professor Acquarone che invece pare non esserne a conoscenza...)! Vale a dire, al riparo dalle limitazioni... Mi riferivo al professor Acquarone che sta parlando con il Presidente Violante, che sa mettere le briglie a questo Parlamento, anche parlando con il professor Acquarone... Stanno mettendo le briglie a questo Parlamento...

PRESIDENTE. Preferisco non ascoltare quello che sta dicendo. Ho ascoltato dall'inizio alla fine...

ALBERTO GAGLIARDI. Grazie! Il professor Acquarone la distraeva.

PRESIDENTE. Mi ascolti. Ho preferito non ascoltare perché ha detto cose di una


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gravità democratica tale che preferisco far finta di non aver ascoltato (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei Popolari e democratici-l'Ulivo e dei Democratici-l'Ulivo).

ALBERTO GAGLIARDI. Grazie!

PRESIDENTE. Prosegua pure.

ALBERTO GAGLIARDI. Quella di non ascoltare è una tecnica.
Dicevo che tutto ciò mette al riparo dalle limitazioni materiali e morali dei privati cittadini, ma soprattutto dell'autorità di governo e quindi della maggioranza! Qui si commette una grave prevaricazione e un grave errore che consiste nel far finta di dimenticare che il limite alla libertà di manifestazione del pensiero è contro il funzionamento stesso della democrazia! Il regime cerca di separare l'opposizione dalla manifestazione del suo pensiero, di separare l'opposizione dal popolo, di chiudere il popolo «nell'impotenza dei popoli» e di chiudere la minoranza «nell'impotenza di minoranza». Questo è ciò che il Governo vuol fare!
Esponenti anche autorevoli della maggioranza fanno mostra di non capire quando recriminano per il fatto che Forza Italia gridi con questo provvedimento al golpe e al regime. Ha sicuramente un connotato golpistico ogni comportamento della maggioranza e del Governo che abbia per scopo quello di una profonda restrizione della partecipazione dei cittadini alla formazione della sovranità popolare e alla determinazione di un indirizzo politico della nazione.
Parlando di golpe, noi dobbiamo ricordare in questo Parlamento (vorrei che il Presidente Violante mi smentisse) che un golpe, vero e reale...

PRESIDENTE. La sto ascoltando con l'altro orecchio.

ALBERTO GAGLIARDI. ... fu perpetrato dalle sinistre attraverso il decreto-legge del Governo Dini, sollecitato dal Capo dello Stato Scalfaro, che venne reiterato ben sette volte e che non fu mai convertito in legge. Ripeto: reiterato ben sette volte, mai convertito in legge (su questo vorrei una risposta democratica dal Presidente Violante) e lasciato decadere dopo che aveva raggiunto il suo specifico scopo di impedire al Polo delle libertà di vincere le elezioni politiche del 1996. Quel decreto-legge sulla par condicio, essendo stato adottato, come le vicende incontestabilmente dimostrano, al solo scopo di impedire che prevalessero nel voto le forze politiche del Polo delle libertà - lo ripeto: Polo delle libertà -, costituisce un incancellabile monumento alla protervia di una sinistra disposta a calpestare la Costituzione alla quale ogni tanto si fa appello, ma della quale non si conoscono gli articoli (l'articolo 21, in particolare) e a calpestare il diritto pur di precostituirsi le condizioni più vantaggiose e decisive per conquistare e per conservare il potere. Quindi non c'è niente di anomalo nel chiamare le cose con il loro nome. Il Governo che tappa la bocca all'opposizione è un Governo dispotico alla stessa stregua della maggioranza parlamentare che gli concede l'avallo. Questo Governo sta uccidendo la libertà costituzionale e sta riportando l'Italia indietro nella preistoria televisiva; sta ripristinando le tribune politiche di Carosello stile anni cinquanta e pretende pure che la minoranza renda testimonianza nel suo dissidente silenzio (Commenti di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
In quale paese europeo la televisione è organo del Governo? In quale paese europeo si fa una legge per garantire al Governo il totale monopolio della televisione? In quale paese europeo il Governo è padrone di cinque reti televisive e dei suoi agganci regionali, i TG3 regionali in particolare? Solo in Italia (Commenti di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
Ma quella del Governo D'Alema è una battaglia inutile. Questo antidemocratico illiberale, anticostituzionale disegno di legge sarà approvato, ma le sinistre saranno


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sconfitte lo stesso (Commenti di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
I fatti sono pesanti come macigni; il disastro di questo Governo gli italiani lo conoscono. La gente sa dov'è il fallimento di questo Governo e di questa maggioranza. Dirò di più e concludo. La pubblicità paradossalmente è proprio l'arma dei giusti. La pubblicità ha successo se la si fa ad un buon prodotto, ma ha un effetto boomerang per un cattivo prodotto. La sinistra non fa pubblicità, caro onorevole Violante, perché ha un cattivo prodotto da vendere (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, colleghi, stiamo assistendo da giorni al tentativo della maggioranza di spiegarci che questa legge che noi chiamiamo con il suo vero nome, cioè legge bavaglio, non farebbe niente altro che introdurre nell'ordinamento italiano quanto è in vigore negli altri paesi d'Europa. Questa è una mistificazione ed è un dato falso. Nella maggior parte dei paesi europei la pubblicità elettorale è consentita: in Gran Bretagna, Germania e Lussemburgo, sulle reti pubbliche e private; in Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Austria e Grecia solo sulle reti pubbliche; in Irlanda e in Finlandia solo sulle reti private.
La mistificazione più importante che è stata compiuta dai Democratici di sinistra è quella secondo la quale nel resto d'Europa tutti gli spot politici sarebbero vietati. Si è detto: questo è un dato assolutamente falso.
Abbiamo sentito il senatore Angius parlare della Spagna dove, ha detto citando un testo di legge, la pubblicità politica è vietata salvo quanto disposto dalla legge elettorale. Ebbene, dalla stessa affermazione di Angius si deduce invece che in periodo elettorale è consentita, esattamente all'opposto di quanto il provvedimento legge-bavaglio vuole attuare.
La maggioranza silenziosa (lo avete visto e vi ha molto infastidito) è scesa in piazza, per manifestare il diritto costituzionalmente garantito alla libertà di espressione delle proprie opinioni, delle proprie idee, del proprio credo politico: la libertà di percepire autonomamente delle informazioni e di formarsi autonomamente un convincimento ed un pensiero, non con le forme assistenziali e protette che questa maggioranza, per conservare le posizioni acquisite, intende attuare.
È antistorico il provvedimento che volete adottare, nel momento in cui il paese chiede a ciascuno di noi di compiere bene il proprio dovere e di occupare un posto per volta. Con questo provvedimento, in realtà, non si farà nient'altro che avere successive e nuove candidature dei soliti noti: è evidente laddove si consideri che l'accesso alle candidature, alla possibilità di entrare in ogni consesso elettivo, in tanto è dato in quanto vi sia la possibilità di farsi conoscere e di far conoscere le proprie idee. Questo è da voi impedito!
Non stupiamoci, allora, se nel mio Piemonte scegliete il ministro Turco come candidato alla presidenza della regione; non stupiamoci se ci chiedete di tacere, mentre il ministro Turco impazza ed imperversa su tutte le reti pubbliche, pagate da ciascuno di noi contribuenti (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). Ma non pensate che di questi fatti non vi chieda ragione il popolo italiano! Al pari del ministro Turco, che in Piemonte verrà a regolamentare i cortili dei nostri condomini, finanche all'interno dello spazio riservato all'espressione delle famiglie e della propria vita individuale, sul presupposto di dare tutela ai bambini, voi adesso, a questo popolo che volete immaturo, irresponsabile, incapace di un giudizio autonomo, incapace finanche, laddove non volesse seguire la pubblicità politica ed elettorale, di «cliccare» sul telecomando per scegliere un altro programma, ebbene a questo popolo volete riproporre indefinitamente voi stessi.
Altro che regole dell'alternanza, altro che regole del bipolarismo! Ci dite e pretendete di dire al popolo italiano che


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vi sarebbe nell'opposizione, per così dire, una prevalenza di mezzi economici, quella che vizierebbe una competizione elettorale: ebbene, la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, questa legge che oggi è in vigore, è quella che voi avete voluto e votato. Noi abbiamo detto che riteniamo che la politica debba essere finanziata non con quel tipo di legge che è stata da voi approvata, ma, se dobbiamo mettere un tetto alle forme di espressione, allora teniamole nel limite del finanziamento pubblico che ciascun partito riceve e poi lasciamo che ogni formazione politica decida se può presentarsi all'opinione pubblica in modo trasparente ed evidente o se deve usare quelle stesse risorse per tenere in piedi apparati e strutture di partito. Questo è l'aspetto su cui ci dobbiamo interrogare.
Noi abbiamo una legge che finanzia i partiti e ai partiti si vuole togliere anche la possibilità di utilizzare quel denaro che tutti i contribuenti versano per il suddetto finanziamento. Noi continueremo la nostra opposizione strenua per far sì che non passi questo provvedimento, per far sì che ciascuno, anche con idee diverse dalle nostre, possa vivere in un paese in cui quelle idee possano essere legittimamente manifestate.
Non vogliamo la perpetrazione del potere, non è un caso che questo sia l'intento unico che mi muove; il provvedimento in esame, che cambia le regole del gioco in corsa, arriva - è dimostrato dai numeri - quando voi avete perso le elezioni europee, quando perdereste le elezioni politiche se oggi si andasse a votare. Spot o non spot è il popolo italiano che, a partire dalle elezioni europee, non si è riconosciuto nella vostra azione di governo, nei vostri progetti, nei vostri programmi, nella condizione di questo paese. Non sarà insensibile il popolo italiano, che chiede di poter decidere financo se una manifestazione di pensiero politico e una pubblicità politica siano risibili, ridicole, credibili o veritiere, ciascuno secondo il proprio giudizio, la propria formazione e la propria coscienza.
Alla vostra «legge bavaglio» noi rispondiamo con la nostra libertà di pensiero, quella per la quale ci battiamo oggi che siamo all'opposizione e ci batteremo domani, quando sicuramente sarete voi all'opposizione in questo paese (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Giudice. Ne ha facoltà.

GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, credo che non vi sia alcun dubbio sul fatto che l'intero paese si aspettasse da questo Parlamento una forte stagione di riforme, che potessero cambiare le regole rendendo l'Italia, alla stregua dei più progrediti paesi europei, un paese governabile attraverso una maggiore stabilità.
Oggi ci ritroviamo con un sistema maggioritario, così come ha voluto chiaramente il popolo sovrano attraverso lo strumento referendario, ma ci troviamo con un sistema con regole obsolete che vanificano questo voto e questa volontà. Si tratta di regole che tradiscono il principio di una democrazia dell'alternanza, che non tutelano né rispettano il voto chiaro espresso dai cittadini.
Nel 1996 gli italiani votarono per la coalizione dell'Ulivo, guidata dal Presidente Prodi; non dico che questa vittoria mi abbia reso felice, avrei preferito che vincesse il Polo per le libertà, ma sicuramente avrei accettato il responso democraticamente espresso dalle urne, mentre diventa inaccettabile ciò che è successo subito dopo la caduta di quella maggioranza, uscita vincente dal responso delle urne. Inaccettabile è la volontà violenta e arrogante di continuare a guidare un paese al di là della volontà espressa dagli italiani. Inaccettabile è la creazione e la proliferazione di altri partiti e partitini.
Il Presidente Prodi, offeso dall'essere stato disarcionato dai suoi stessi alleati, per ripicca, fonda un altro partito; l'onorevole Bertinotti, giustamente, convincendosi di non poter mantenere il suo consolidato elettorato in una così strana marmellata di coalizione, prende le distanze


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tornando al suo chiaro e storico ruolo di opposizione; l'onorevole Mastella cerca prima di cavalcare l'azione dirompente del Presidente Cossiga, il quale non appena si accorge dei motivi meno nobili di alcuni suoi aggregati, ne prende le distanze e, a quel punto, non può che creare un ulteriore gruppo per cercare di restare al potere. Così assistiamo, cari colleghi, ad una serie rocambolesca di passaggi, che vanno dall'Elefante all'Asinello, dall'Ulivo 1 all'Ulivo 2, al Trifoglio e non so veramente cos'altro succederà da qui alla fine della legislatura.
Credo si sia arrivati al ridicolo e in questo paese si respira già un'aria di scontro così violento ed inaccettabile che ritengo si vada verso una grande sconfitta, non certo di un polo o dell'altro, ma della politica, unica e sola vittima di un sistema che si sta sfarinando e sta sempre di più allontanando i cittadini dalla politica. Colleghi, voi credete che tutto ciò che sta avvenendo, che questo teatrino non sia oggi sotto gli occhi di tutti? Credete veramente che la gente non si sia accorta di nulla?
Cosa c'entra tutto questo con il provvedimento oggi in esame? Io dico che c'entri parecchio. Non si può assolutamente prescindere dallo stato dell'arte, non si può prescindere dagli avvenimenti della politica di questo ultimo anno, altrimenti non si potrebbe comprendere perché si sia giunti a questo punto di scontro e di insofferenza, che oramai si respira tra la gente, nelle piazze, nelle case.
Il Presidente Ciampi con grande equilibrio, nell'assumere la più alta carica dello Stato, ha rilanciato l'esigenza di ammodernamento delle regole che governano il paese; ha rilanciato l'esigenza di una più adeguata ed opportuna legge elettorale, che porti dentro quest'aula chiarezza e trasparenza. Forza Italia ha sempre sentito tale esigenza; le riforme costituzionali sono sempre state prioritarie nei programmi del nostro partito: lo abbiamo detto nel 1994, lo abbiamo ribadito nel 1996, lo abbiamo urlato in Sicilia quando il presidente Provenzano guidava la giunta regionale e lo abbiamo fatto quando, spodestati da una congiura di palazzo, abbiamo guidato con lo stesso presidente Provenzano la speciale commissione per le riforme.
Lo abbiamo dimostrato qui a Roma, dando il nostro voto per la presidenza della Commissione bicamerale all'onorevole D'Alema, che da quella Commissione - ahimè - ha ottenuto solo il vantaggio di arrivare alla Presidenza del Consiglio, in barba agli elettori, che votarono «sì» alla coalizione presieduta dall'onorevole Prodi, ma che sicuramente avrebbero votato «no» ad una coalizione guidata da lui.
Non è stato forse il Presidente D'Alema a sostenere che le regole non sono di una parte del Parlamento, ma che esse appartengono all'intero Parlamento? Purtroppo si predica bene e si razzola male. Oggi, poco prima che iniziasse la seduta, ho sentito in televisione il Presidente D'Alema dichiarare: «Io non credo che Berlusconi, Bossi e Fini possano avere un comune programma di coalizione per guidare questo paese». Il Presidente D'Alema, che ritenevo una persona equilibrata ed intelligente, ha un'idea dello spettacolo indecoroso che ha offerto a questo paese la sua maggioranza, che peraltro è una minoranza nel paese? Il Presidente del Consiglio ha forse dimenticato cosa si è fatto per la scuola in questo paese, non ricorda forse come la sua maggioranza abbia evitato una grande cattiva figura nell'intervento in Kosovo, ha dimenticato la distruzione della sanità, ha dimenticato il balletto sulla necessità di riformare il welfare, il caso Ocalan, la missione Arcobaleno, ciò che sta avvenendo al Senato con la Commissione su Tangentopoli, e chi più ne ha più ne metta? Credo che si debba avere la capacità di tacere, anziché parlare in maniera sbagliata.
La vicenda della par condicio ha riempito a iosa quotidiani, televisioni, trasmissioni, ma sia nei giornali, sia in televisione ho letto e sentito solo posizioni equivoche, demagogiche ed assolutamente improntate ad una grande disinformazione pretestuosa ed inaccettabile.


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Il sottosegretario Vita continua a sostenere che l'Italia non ha fatto altro che adeguare le proprie regole a quelle già da tempo in vigore in quasi tutti i paesi europei. Forse all'onorevole Vita è sfuggito un piccolo particolare: in tutti i paesi d'Europa gli spazi televisivi vengono concessi in proporzione all'ultimo risultato elettorale ottenuto, mentre, in base alla legge al nostro esame, Forza Italia avrà lo stesso spazio di formazioni politiche neonate, che magari non hanno ancora ottenuto neppure una volta il consenso della gente. È un piccolo particolare da sottacere, un piccolo particolare di cui in nessun giornale e in nessuna trasmissione ho sentito dire qualcosa.
Per entrare nel merito del provvedimento in esame, vanno focalizzati due aspetti distinti del problema, entrambi assai importanti. Il primo va visto alla luce dell'opportunità politica: bisogna chiedersi se sia opportuno politicamente che, in un paese in cui si avverte la grande esigenza di riscrivere tutti insieme le nuove regole costituzionali, si cambino le regole sulla parità di accesso ai mezzi di informazione a colpi di maggioranza e con una corsa senza precedenti, considerata l'imminente tornata elettorale regionale. C'è da chiedersi se le riforme non le voglia l'onorevole Berlusconi o se, molto più logicamente, non le voglia chi crea appositamente un particolare clima di insofferenza. È come se la maggioranza affermasse che le regole che la riguardano preferisce farle da sola; le altre, poi, le potrà fare insieme al Polo delle libertà. Il Polo non ci sta! Credete veramente che gli italiani siano così stupidi da credere a questo grande equivoco? Se credete così, accomodatevi pure: gli italiani sapranno darvi certamente una risposta chiara, senza ombra di smentita. Facciamo questo ragionamento con la correttezza di sempre, per garantire equilibrio e libertà alle due coalizioni che democraticamente devono confrontarsi. Lo vedremo fra poco più di una anno (quando il Polo delle libertà governerà il paese) se queste regole illiberali andranno bene a voi, che certamente sarete relegati all'opposizione per il vostro modo di comportarvi arrogante ed inaccettabile, che gli italiani hanno ormai compreso! Essi non tarderanno a darvi le giuste risposte con il loro voto che per fortuna, sino ad oggi, non siete riusciti ad abolire per legge (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Lorusso, che aveva chiesto di parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.

PAOLO BAMPO. Signor Presidente, chiedo di parlare in sostituzione dell'onorevole Lorusso, che potrà prendere il mio posto quando sarà presente in aula.

PRESIDENTE. Onorevole Bampo, non posso consentirlo: debbono essere presenti in aula entrambi i colleghi per poter procedere allo scambio.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Marras. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARRAS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, «L'Italia è una Repubblica democratica...»: così recita solennemente l'articolo 1 della nostra Carta costituzionale; ma per quanto tempo ancora? Ogni giorno di più mi sembra che lo sia un po' meno. È lecito domandarsi quale Italia ci lasceranno questa maggioranza e questo Governo. È opportuno squarciare il velo e rivelare, nella sua realtà, il disegno che questa sinistra, niente affatto cambiata negli obiettivi e nei metodi, vuole a tutti i costi e con urgenza realizzare. È un disegno, un progetto, obiettivamente e consapevolmente autoritario e, quindi, assolutamente connaturato ad una sinistra vetero, post o neocomunista.
L'articolo 21 della Costituzione afferma che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Siamo qui, voi per approvare, noi per cercare di non far approvare un provvedimento legislativo che, tra l'altro, vuole sancire il divieto assoluto di spot politici nell'ordinaria programmazione televisiva durante la campagna elettorale,


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imponendo molti limiti anche per gli altri periodi. Il divieto di per sé è una limitazione, una proibizione; in questo caso, poi, riguarda la comunicazione politica attraverso il mezzo televisivo e va a incidere sul diritto e sulla libertà di espressione dei soggetti politici che, al contrario, la Costituzione protegge.
Si tratta, come è evidente, di un provvedimento teso a restringere le possibilità di espressione politica dei partiti nella relazione con i propri elettori e con la pubblica opinione, cioè, con la società intera e, in definitiva, di un restringimento degli spazi di libertà politica e della vita democratica. Ciò non può non amplificare la preoccupazione e suscitare in ogni animo libero, in ogni cittadino sinceramente e obiettivamente partecipe, l'allarme per le prospettive democratiche del nostro paese. È ben strana, anzi temibile, questa sinistra che vuole liberalizzare le droghe e invece proibire gli spot: l'espressione pubblica dei partiti, la libertà politica dei cittadini associati è più dannosa dell'eroina? È veramente inquietante. Con ciò non solo sono confermate la legittimità e l'opportunità dell'iniziale domanda sulla permanenza della democrazia in Italia, ma è più che giustificata anche l'espressione con cui il leader dell'opposizione democratica, l'onorevole Silvio Berlusconi, ha pubblicamente segnalato ai partiti e a tutti i cittadini la pericolosità del momento, l'estrema delicatezza delle scelte che la Camera è chiamata a compiere e che rendono concreto, come e più che nel 1948, il rischio per la libertà nel nostro paese.
Non è storia antica né vecchia, è tutto abbastanza recente: ricorderete un'idea ambigua e ipocrita, offerta da un piccolo alto personaggio ipocrita e ambiguo, che prese corpo nel 1994; una formula ideata e messa in campo, anche allora, in fretta e furia, per porre rimedio all'imprevista e strepitosa vittoria del Polo delle libertà e del buon Governo del 1994 e per impedire - cosa poi in qualche modo riuscita - che essa potesse ripetersi.
La par condicio, da nobile e democratico principio, è stata tramutata, con cinico opportunismo, in convenienza e sfacciato favoreggiamento di parte. È profondamente ipocrita, falso e fuorviante dire che la legge vuole disciplinare la parità di trattamento rispetto a tutti i soggetti politici, sia nelle campagne elettorali e referendarie che al di fuori di esse. La verità è che il nuovo successo del Polo alle ultime elezioni europee ha scatenato un autentico spavento, un vero e proprio panico, nelle file di questa squinternata, litigiosa, sedicente maggioranza, che tale in effetti non è più da tempo e che sempre meno lo è ogni giorno che passa. È l'approssimarsi delle elezioni regionali che rende necessario per loro il rafforzamento in senso negativo, proibizionista, della cosiddetta par condicio. Sono i numeri ad aver fatto perdere i lumi della ragione ai partiti della sinistra? Gli ultimi dati assegnano a Forza Italia 11 punti percentuali di vantaggio sui DS e al Polo 12 punti sul centrosinistra. Sono le nuove alleanze rivelatesi possibili e le prospettive di allargamento del Polo a togliere il sonno al Presidente del Consiglio, al Governo, ai partiti dell'ex Ulivo. Non, dunque, nobili motivazioni di pluralismo, di trasparenza e di democraticità e parità di condizioni, ma un cinico gioco di opportunismo politico e l'irriducibile attaccamento al potere sottostanno a questo provvedimento pericoloso, che noi non approveremo e che chiediamo di non approvare a tutti i partiti di autentica ed antica vocazione democratica, di ispirazione laica, cattolica, socialista, non comunista.
La pretesa par condicio, voi lo sapete, onorevoli colleghi, viene collegata con l'altrettanto ipocrita formula del conflitto di interessi, l'una e l'altro apparentemente rivolti a tutti in generale, ma in realtà pensati ad personam e concretamente mirati contro l'onorevole Silvio Berlusconi. Tutti ormai sanno che il conflitto di interessi era ed è perfettamente risolvibile e se fino ad oggi non è stato risolto è solo per il fatto che i Governi di centrosinistra, da Dini a Prodi a D'Alema, non hanno voluto risolverlo, per poterlo adoperare come cappio al collo del leader dell'opposizione,


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al fine di tirarlo quando più fa comodo e di usarlo come arma di ricatto allo scopo di ammorbidirne le posizioni, salvo poi, con spudorata malizia, scaricare, attribuendola proprio a lui, questa volontà ricattatoria. Cose miserabili, in una politica fondata non certo sui valori ideali, ma piuttosto sulla spietatezza della prassi, sulla doppiezza, sulla tattica, magari apprese alla severa scuola delle Frattocchie, attraverso una lunga e dura militanza.
Ben a ragione l'onorevole Cossiga si chiede come mai D'Alema non parlasse del conflitto di interessi quando andava a mangiare le crostate a casa Letta. Perché Veltroni non parlava di conflitto di interessi quando cercava l'accordo su Ciampi per il Quirinale? Perché nessuno né il centrosinistra ha sollevato il problema quando Berlusconi ha sostenuto l'elezione di Prodi alla Presidenza dell'Unione europea? La premeditazione è lampante, l'intento discriminatorio scoperto e plateale.
In televisione il senatore Angius fa finta di meravigliarsi che l'onorevole Berlusconi e con lui tutti noi del Polo consideriamo il provvedimento in esame anticostituzionale, chiedendosi retoricamente come si possa pensare che il Parlamento approvi una legge contro i principi della Costituzione. Al senatore Angius vorrei dire che la sua esperienza parlamentare, al contrario della mia, è ormai vetusta: quante leggi la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali nella storia repubblicana? Penso davvero tante e, per restare in argomento, ricordo che la Consulta, il 10 maggio 1995, ha annullato l'articolo 20 del decreto sulla par condicio, che stabiliva il divieto di pubblicità nelle consultazioni referendarie. Il senatore Angius non è certamente ingenuo, ma pensa che siano ingenui i cittadini elettori. In verità, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento che la sinistra ci vuole sinistramente imporre oltre che incostituzionale è illiberale, antidemocratico e antistorico.
Qualcuno ha appropriatamente paragonato gli spot del 2000 ai manifesti del 1948: voler proibire nel 2000 gli spot pubblicitari sarebbe come se nel 1948 fossero stati vietati i manifesti. La sinistra di allora - il famoso Fronte popolare che, secondo Cossiga, D'Alema vorrebbe resuscitare - non l'avrebbe mai accettato, ma avrebbe fatto una rivoluzione in difesa della democrazia. Oggi, invece, ad essere mortificata sarebbe soprattutto la fantasia della comunicazione politica, la creatività e la potenza espressiva dei manifesti, veri e propri spot di allora - «Dio ti vede, Stalin no» - e forse qualcuno, conservando la memoria di quella sonora lezione, teme che la storia possa oggi ripetersi e per questo preferisce affidarsi alla disinformazione dei dibattiti - rissa in cui emerge come vero professionista della politica.
Eppure c'è aria di paura: lo si coglie dal nervosismo, dall'affannarsi quotidiano e dalle urla e grida provenienti dai cespugli sotto la quercia che incitano a fare in fretta. È vero terrore ed è ridicolo. Cosa ha da temere, in fondo, il centrosinistra? Dispone totalmente e a piacimento delle tre reti RAI, di una di Mediaset e di tre reti telefoniche; ha il sostegno stentato ed inamovibile dei maggiori giornali nazionali, controllati dai soviet in redazione; gode dell'appoggio dei sindacati, dell'accondiscendenza di buona parte della Confindustria e di mezzo mondo economico. Insomma, una potenza di fuoco in grado non solo di difendere, ma anche di offendere mortalmente.
La verità è che gli spot non spaventano i DS, ma forse ucciderebbero davvero i partitini a vantaggio proprio della Quercia che, della situazione di buio comunicativo, approfitterebbe guadagnandoci enormemente se le intenzioni fossero davvero oneste e realmente premurose del pluralismo, della parità delle condizioni per tutti nell'esercizio del mandato politico. In questo caso si sarebbe più ragionevoli, ci si siederebbe attorno ad un tavolo per ricercare seriamente le regole del gioco che riguardano tutti e che tutti devono contribuire ad elaborare al fine di poterle accettare. Si parla, quindi, di regole e non di divieti, di permessi a condizione e non


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di proibizioni. Questa è la posizione intelligente ed onesta dello SDI e del Trifoglio che chiedono regole e condizioni e non accettano il divieto assoluto. La stessa Rifondazione comunista dissentiva fino a qualche giorno fa, come i Verdi. Incomprensibile, insensata e autolesionista appare invece la posizione del Partito popolare, dei Democratici e dell'UDEUR. La vocazione all'automartirio di questi cari amici è irresistibile: è la pena a cui Dio condanna i superbi, che prima confonde e poi disperde, destinandoli a fare sempre gli utili idioti.
Perché questi amici del centro non vogliono prendere in considerazione le proposte ragionevoli messe in campo dal Polo fra cui quelle di stabilire un tetto alla quota di finanziamento, di prevedere spazi gratuiti sulla RAI ed a prezzo di costo sulle reti private? Perché concentrare l'attenzione esclusivamente sugli spot invece di prendere in esame e di riequilibrare l'intero sistema informativo, spaventosamente incrinato a favore del Governo ed in particolare modo del Premier, la cui presenza e persistenza nelle TV di Stato sfuggono ad ogni calcolo e controllo, svariando dalle inaugurazioni alle gite in barca con sbarco in trattoria, alle trasmissioni canzonettistiche nazionalpopolari? Quando smetteranno i cari amici del centro della sinistra di stare sottomessi, di farsi mettere all'ombra della Quercia e di farsi oscurare e di scomparire nell'evanescenza? Quando finiranno di farsi schiacciare dalla violenza dell'odio emanato e propagato dal congresso dei DS, antitetico alla loro tradizione politica cristiana? Quando si sottrarranno al trasformismo che non solo ruba e compra parlamentari ma ruba anche i padri, gli ideali, i valori, le parole, le bandiere e i colori? Quando termineranno di svuotarsi e di svendersi a chi ha bisogno di loro perché non ha volti presentabili e tranquillamente convincenti? La voce tradisce sempre il lupo. Lo dico a chi non ha una storia dicibile e parole significative da dire, a chi ha rinnegato il proprio padre e si ritrova il fallimento dichiarato e riconosciuto dei propri ideali, a chi invoca la «guerra santa» dell'odio contro il nemico fino al suo annientamento fisico.
Coraggio, cari amici pavidi del centro della sinistra! Avete avuto degli esempi di grande coraggio, passati e recenti, da parte di chi, accusato di aver perso la battaglia dell'onestà, ha accettato di pagare un prezzo personale altissimo, persino con la vita. Chi pubblicamente e solennemente, in un congresso mai così spettacolare, ha ammesso un passato menzognero e ha riconosciuto di aver perso la battaglia della verità? Hanno avuto ragione loro perché non solo non si è disposti a trarre le logiche conseguenti dimissioni dagli incarichi ricoperti, ma non si accetta non dico il dialogo con chi ha avuto ragione ma nemmeno un confronto democratico in condizioni di libertà e si preferisce invece lo scontro totale non per affermare una reale parità ma per perpetuare una situazione di disparità che fa sfacciatamente comodo pur non rendendo onore.
Onorevoli colleghi, cari amici del centrosinistra, non consegnate la democrazia a chi sempre l'ha combattuta odiandola e mai l'ha amata (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Masiero. Ne ha facoltà.

MARIO MASIERO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, il provvedimento di cui stiamo parlando disciplina la pubblicità e la propaganda politica mediante lo strumento televisivo.
Il testo che è stato approntato dal Governo è considerato da noi incostituzionale e antidemocratico in quanto impedisce la manifestazione della libertà di pensiero e di espressione prevista, a suo tempo, dai costituenti nella nostra carta.
La proposta del Governo non corrisponde a principi democratici e sembra invece finalizzata ad operare una ritorsione nei confronti dell'opposizione dopo l'affermazione del centrodestra alle elezioni europee del 13 giugno.


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L'affermazione del centrodestra e, in modo particolare, di Forza Italia non può essere ascritta alla politica di comunicazione fatta dal nostro partito mediante il mezzo televisivo. Credo che Forza Italia e il Polo avessero qualcosa da dire agli elettori, dei programmi da sottoporre loro e delle filosofie politiche che hanno trovato un riscontro nel voto che ha premiato il nostro schieramento politico.
Limitando la «visibilità» dei partiti dell'opposizione, si tende a privilegiare fortemente i partiti della maggioranza che potranno utilizzare, dato il loro frazionamento, tempi televisivi di gran lunga maggiori rispetto a quelli previsti per i partiti della coalizione di centrodestra. Dimostrazione evidente di quanto sto dicendo sta nel fatto che nel recente vertice i partiti di maggioranza non hanno discusso sulle azioni da intraprendere per fronteggiare la situazione economica del nostro paese. Mi riferisco all'inflazione, il cui dato negativo va incrementandosi giorno dopo giorno, e al tasso di disoccupazione che non trova soluzioni appropriate né iniziative del Governo per rendere questo fenomeno meno pesante, specialmente per la disoccupazione giovanile.
Si è trovato, invece, il pieno accordo sul decreto governativo della par condicio, nel tentativo di conservare il potere ad ogni costo non curandosi degli interessi del paese che sono altri rispetto alla par condicio. Infatti, anche il presente provvedimento, che di per sé rappresenta una questione fondamentale per la democrazia, non è giunto al Parlamento come frutto di un ampio confronto e di un vasto dibattito tra le forze politiche, ma come elaborazione svolta nel mese di agosto, a Camere chiuse, in modo da far inghiottire a tutti il fatto compiuto. La tecnica non è nuova, è sostanzialmente identica a quella che ha portato alla nascita del Governo D'Alema, frutto di un ribaltone e di uno schiaffo all'espressione della volontà popolare.
Signor Presidente, con tutta la buona volontà...

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, consentite al vostro collega di parlare, così può esercitare adesso il suo diritto di parola; dopo vedremo!
Prego, onorevole Masiero.

MARIO MASIERO. Questo provvedimento va contro i principi fondamentali della democrazia obbligando al silenzio assoluto. La comunicazione televisiva è, invece, utile proprio perché offre un'ampia opportunità di informazione politica ai cittadini, determinante in democrazia a formare le opinioni politiche della gente. Mettere in atto quanto previsto da questo provvedimento significherebbe limitare l'esposizione delle diverse opzioni programmatiche dei partiti politici tramite il mezzo televisivo con grave nocumento della democrazia che vorrebbe animare, invece, un serio confronto politico.
Questa iniziativa del Governo è considerata da noi gravissima e illiberale poiché limita la capacità e la libertà di espressione e di comunicazione dell'opposizione, minando il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati.
Per quanto riguarda l'atteggiamento della maggioranza e del Governo, si deve riconoscere che non sempre sulla par condicio si è detta la verità. Non è vero che esiste una regolamentazione della pubblicità televisiva, non è vero che il provvedimento del Governo non vieta, ma favorisce la comunicazione politica e, infine, non è vero che il divieto di spot è in vigore nella maggioranza dei paesi europei! Abbiamo provato più volte a proporre modifiche, ma senza alcun risultato. Per questo, qualora il provvedimento fosse approvato nel testo attuale, Forza Italia raccoglierà le firme per un referendum abrogativo.
Forza Italia vuole esprimere tutto il suo disappunto per quanto riguarda quella che oramai potremmo definire la cattiva abitudine di spartizione degli spazi televisivi della televisione di Stato. Gli spazi di informazione della RAI sono ripartiti per un terzo alla maggioranza, per un terzo al Governo e per il rimanente terzo all'opposizione. Questa situazione


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non è più condivisibile, non è tollerabile e non è accettabile. Considerato che la RAI percepisce ben 2.500 miliardi di canone, dovrebbe attenersi maggiormente alla normativa vigente e garantire un'uguaglianza di trattamento nella libertà di espressione a tutte le forze politiche; in questo contesto, dovrebbe essere l'opposizione a chiedere la par condicio che è una legittima difesa dell'opposizione che, anche attraverso gli spot a pagamento, ha potuto far conoscere i suoi programmi, cosa che una televisione pubblica, militarmente occupata dalla coalizione di maggioranza, non avrebbe consentito.
I dati forniti dall'osservatorio televisivo di Pavia dimostrano che la presenza televisiva dell'opposizione è aumentata di quindici punti, ma ciò è attribuibile esclusivamente agli spot a pagamento. È bene ricordare che l'osservatorio di Pavia è una fonte che non sta dalla nostra parte, tutt'altro! In base a questa indagine, relativa ai sei mesi da gennaio a giugno, il Presidente del Consiglio avrebbe avuto sui canali pubblici molti più minuti di presenza televisiva rispetto ad ogni altro leader politico. Resta quindi una grande sproporzione di trattamento tra maggioranza e forze di opposizione.
Forza Italia e il Polo, di comune accordo, vogliono combattere i soprusi della legge sulla par condicio che questo Governo di sinistra vuole imporre. Una legge che noi consideriamo gravemente anticostituzionale perché vuole impedire che gli elettori e la popolazione, in generale, conoscano i nostri programmi politici, le nostre idee e le nostre proposte.
Concludendo, attualmente la legge n. 513 del 1993 consente gli spot elettorali e quindi quello che è stato fatto nell'ultima campagna elettorale era assolutamente lecito. È stato comprovato che tale normativa è efficace e pertanto non si comprendono le ragioni per le quali debba essere modificata.
Aggiungo che, nell'attuale situazione politica, in riferimento ai mezzi di comunicazione, ogni partito, ogni forza politica ha la capacità, stanti le risorse economiche derivanti dal finanziamento pubblico dei partiti, di investire quelle risorse nel modo che ritiene migliore. Vi sono forze politiche che investono in sistemi di partito «pesanti» e costosi, in giornali ed in altre iniziative. Forza Italia ritiene che sia preferibile investire in comunicazione televisiva. Se si pensa che sposare una tesi piuttosto che un'altra consenta di vincere o di perdere le elezioni e se così fosse, le forze ed i partiti di maggioranza sarebbero miopi a non scegliere la seconda opzione. Così però non è, perché quando si comunica bisogna avere qualcosa da dire (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Massidda. Ne ha facoltà.

PIERGIORGIO MASSIDDA. Signor Presidente, le risparmio la ripetizione di tutto ciò che hanno detto i miei colleghi...

PRESIDENTE. Non immagina la mia gratitudine!

PIERGIORGIO MASSIDDA. La intuisco, Presidente, ma non gioisca ancora, perché forse sarebbe meglio che attendesse le altre considerazioni che voglio portare all'attenzione sua e dei colleghi, che ho visto nell'arco di tutta la giornata estremamente interessati.
In occasione del dibattito di questi giorni, soprattutto sulla stampa, ho provato una forte invidia nei vostri confronti: mi è impossibile avere la faccia tosta che avete voi. È incredibile la capacità con la quale riuscite a convincere voi stessi di ciò che invece sapete benissimo non corrispondere a verità. Continuate a dire che i mass media hanno permesso la vittoria del Polo nel 1994 ed il mantenimento di certe posizioni nelle elezioni successive, ben sapendo che i mass media non sono sufficienti ad assicurare questo risultato. Prova ne è stata il successo della Lega negli anni precedenti al 1994, ribadito in quella data, ma anche tutte le elezioni che abbiamo vinto senza strumenti e senza potere, con la par condicio del famoso


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decreto che poi non avete avuto il coraggio di reiterare non appena vi siete resi conto che poteva nuocere ai vostri intenti.
Alcuni di voi, per sentito dire e per estrema fiducia nei loro leader, hanno definito il provvedimento in esame una legge democratica e giusta. Vi porto allora un esempio riguardante la Sardegna, che qualcuno di voi probabilmente conosce soltanto quando viene a dividere con noi il sole estivo, ma che - ahimè - è costituita anche da un milione e mezzo di abitanti distribuito su un territorio vastissimo, che non è possibile raggiungere, sicuramente non grazie alla vostra legge.
Credo che pochi di voi sapranno che la RAI impedisce qualsiasi dibattito negli spazi autogestiti per i comuni al di sotto dei 50 mila abitanti. Non so se sia meglio o peggio, ma in Sardegna i comuni con più di 50 mila abitanti sono soltanto tre (addirittura vengono esclusi anche due capoluoghi), mentre gli altri 380 non partecipano a quel dibattito. Quei comuni invece, pur avendo 20 o 30 mila abitanti, sono per noi trainanti ed hanno necessità di una certa conduzione. Questo però è l'amore che voi avete verso i piccoli comuni e che vi porta naturalmente a combattere nell'ANCI, dando incarichi a persone che impiegano il loro tempo nelle associazioni piuttosto che nel proprio comune. Credo allora che la vostra attenzione sia indirizzata solo ai grandi comuni, se devo tener conto dello spazio che riservate a Roma, a Palermo, a Venezia, mentre Milano arriva in televisione o sui vostri organi di stampa esclusivamente quando c'è il caos, in senso negativo.
Per quanto riguarda Bologna, qualsiasi cosa accadesse vi era sempre un'intervista, per cui quella città appariva in televisione, ma da quando abbiamo vinto noi, non è più così. Ricordo che qualcuno si improvvisava padre di famiglia per essere intervistato nel corso dello Zecchino d'oro ed avere spazio. Forse, con la faccia tosta che avete, qualcuno di voi si taglierebbe i baffetti per tentare di cantare, grazie alla bassa altezza (vedi il mio amico Antonio Saia), allo Zecchino d'oro, se ciò servisse e fosse produttivo per il conseguimento del vostro obiettivo. Ciò non mi stupirebbe, non è una battuta spiritosa; probabilmente, è una constatazione di come voi volete occupare tutti gli spazi disponibili, senza più rispetto non dico verso gli altri, ma verso voi stessi perché, a volte, raggiungete anche il ridicolo.
Al riguardo, rivolgendomi ai colleghi del PPI, desidero ricordare l'episodio del collega Castagnetti. Appartengo a coloro che sostengono che è vergognoso qualsiasi atto di violenza verso chicchessia, ma ho ben presente che qualcuno degli stessi amici che si sono tanto scandalizzati ricordavano con quale mira arrivavano le monetine addosso a Craxi, all'uscita del Raphael (Commenti del deputato Di Capua). È successo anche questo, è successo in aula; sottosegretario Di Capua, lei è una persona per bene e si scandalizza ma, se fosse coerente con quanto sta dicendo, forse avrebbe sbagliato posto (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). Nel suo gruppo, infatti, vi sono signori che erano contenti ed esaltavano la mira dei giovani che colpivano Craxi, non certo come è stato colpito l'onorevole Castagnetti.
Nessuno di quei signori si è scandalizzato, invece, quando vennero dedicati due o tre minuti di tempo alla scoperta di una microspia nello studio di un leader; non mi riferisco a Berlusconi, perché non vi interessa (probabilmente vi sono altri mezzi), ma all'onorevole Casini (Commenti del deputato Olivieri). Quell'atto non era antidemocratico, non doveva stupirvi! Le botte che prese il nostro amico, che voi chiamate, convinti di offenderlo, «er Pecora», non erano un atto di violenza! Non sono atti di violenza le botte che prendono i parlamentari o le auto che vengono distrutte, non vi scandalizzano! Voi avete strumentalizzato l'episodio dell'onorevole Castagnetti, che credo sia una persona seria, non penso che l'abbia fatto apposta, ma sicuramente voi avete colto la palla al balzo per cercare di nascondere ciò che state facendo adesso, una cosa vergognosa.
Voi non vi rendete conto che, con il provvedimento sulla par condicio, state


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dicendo ai cittadini una cosa molto chiara: «Siete dei deficienti», perché soltanto dei deficienti si fanno manipolare dalla televisione, solo persone senza una propria cultura e senza un proprio intelletto possono farsi condizionare in tale maniera; questo state dicendo! Credo che ciascuno di voi, se qualcuno si comportasse nei vostri confronti come voi vi state comportando nei confronti dei cittadini, si offenderebbe: se qualcuno di voi venisse giudicato manipolabile da spot televisivi o da altro si sentirebbe offeso. Perché non credete che, in questa maniera, state offendendo i cittadini, quei cittadini che volete coinvolti, quei cittadini che (vedi l'esempio della Sardegna e dei suoi 180 comuni) non hanno il diritto e la dignità di sapere cosa si farà nel proprio comune?
Che cosa succede? Voi state semplicemente privilegiando l'apparato. Sapete qual è la vostra difficoltà? Non più il fatto di non riuscire a comunicare con i media; contrariamente a quanto dicono i miei colleghi, sono contento che la par condicio dia più spazio a voi, perché ogni volta che comparite in televisione ci date voti (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). Infatti, non vi rendete conto di quante cose siete incapaci di dire; i fatti, che testimoniano qualcosa, sono sotto gli occhi di tutti.
Non mi spaventa questo, ma il fatto che comunque non vi sia un dibattito, una possibilità di comunicare. I giornali che voi sostenete, che sono nelle vostre mani, non vengono più letti, perché ormai le prime pagine vengono lette soltanto dagli addetti al settore. Voi, però, sapete di poter contare sugli strumenti del ricatto, dei lavori socialmente inutili (per come li impostate voi), e così via; sono cose che tocchiamo ogni giorno con mano. La nostra è una continua reazione, è una reazione e un'azione libertaria e liberale che vogliamo portare avanti! Voi siete dei reazionari e delle persone che credono, a parole, di poter «portare il futuro», di poter facilitare l'applicazione di Internet nelle nostre scuole, ma nello stesso tempo vi chiedo: ma un domani, se lo spot verrà trasmesso su Internet, credete di poterlo impedire con le vostre leggi? Non ce la farete, perché avrete a che fare con uno strumento che è liberale e che vi sfuggirà di mano. Questa è la verità!
Concludo con una riflessione, che non è una minaccia. Nella vita la ruota gira: voi, oggi, state portando acqua al mulino perché siete convinti che porterà acqua a voi, ma sono convinto che domani, quando tornerete a casa, saremo noi ad utilizzare quegli strumenti! Anche questo, però, non mi sta bene perché ritengo comunque che quelli siano strumenti illiberali, che sconvolgano e che umilino il nostro popolo e i nostri cittadini che debbono invece sentire veramente quella che è la verità!
Riflettete, perché state facendo un errore: infatti, nel tentativo esclusivo di «automantenervi», correte il rischio di oltraggiare prima di tutto voi stessi e di mettervi all'angolo. Come è stato dimostrato già in altre occasioni, gli italiani sono meno sciocchi di quanto voi immaginiate: sono molto più attenti di quanto voi immaginiate e state tranquilli che daranno una risposta in tempi brevi (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Miccichè. Ne ha facoltà.
Devo dire che la scarsa dimestichezza con i microfoni dell'aula...

GIANFRANCO MICCICHÈ. Presidente, non ho scarsa dimestichezza con i microfoni dell'aula. Credo che lei, che è il Presidente di questa Camera, dovrebbe fare in modo che tutti i microfoni funzionino.

PRESIDENTE. Prima però dovrei fare un training a tutti i deputati (Commenti del deputato Filocamo).

GIANFRANCO MICCICHÈ. Spingere un bottoncino non è difficile, lo può fare anche un deputato; se però il microfono non funziona, il problema allora è della Camera e quindi suo, che è il Presidente


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di questa Camera (Commenti di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

GIOVANNI FILOCAMO. Andate a ragliare con i vostri simili (Proteste di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Colleghi, dobbiamo ringraziare l'onorevole Filocamo che ogni tanto fa degli intervalli che alleggeriscono la tensione...
Onorevole Miccichè, inizi pure il suo intervento.

GIANFRANCO MICCICHÈ. Mi sorprende lo stupore dell'onorevole Massidda che mi ha preceduto, quando ha parlato di illiberalità da parte dei nostri colleghi della sinistra.
Vedi, Massidda, giusto oggi si è consumato un altro atto che dimostra quello che sono questi signori che abbiamo di fronte. L'onorevole Veltroni, che per fortuna è presente in aula e che mi ascolta, un paio di anni fa è stato investito di un problema che riguardava il mondo della cultura, di cui era ministro, relativamente all'Istituto nazionale del dramma antico di Siracusa. In quell'occasione, che lui non dimenticherà (spero non l'abbia dimenticata: lo andammo a trovare con il presidente della regione Provenzano), si tentava di coinvolgere nell'Istituto nazionale del dramma antico - che intanto il Governo di Roma aveva scippato al governo della Sicilia - anche la provincia di Siracusa, che era gestita da un uomo del Polo. Ci fu spiegato che in questo caso la provincia non c'entrava nulla perché l'INDA era nel comune di Siracusa e quindi era evidente che la provincia fosse fuori e non interessata all'INDA: era il comune che era interessato all'INDA che, per intenderci, è il teatro antico di Siracusa dove si svolgono ogni due anni le rappresentazioni.
Ebbene, ora è stata creata la Srl di costituzione della società: vi sono ovviamente l'INDA e la regione siciliana ma, guarda caso, poiché il comune di Siracusa è stato di recente conquistato dal Polo, mentre la provincia è stata conquistata dall'Ulivo, senza che ciò potesse creare alcuna vergogna, dopo le argomentazioni di ore dell'onorevole Veltroni che tentava di convincerci che spettava al comune la gestione dell'INDA, essendo nel pieno centro di Siracusa, mentre la provincia non c'entrava assolutamente nulla, oggi, come se quelle parole fossero state lasciate totalmente al vento, si va a costituire la società dell'INDA, escludendo il comune e inserendo la provincia, perché quest'ultima è nelle mani dell'Ulivo, mentre il comune è governato da Forza Italia.
Quindi, guai se qualche uomo di Forza Italia gestisce un'attività di tipo culturale, caro ex ministro Veltroni.
Questo sono i nostri avversari oggi in Italia e facciamo bene a dirlo perché i nostri dibattiti sono ascoltati fuori da quest'aula. Facciamo bene a ripeterlo, perché noi ripetiamo una verità che deve essere amarissima per i nostri avversari, e state sicuri che alcuni di loro se ne vergognano perché non tutti gli uomini della sinistra sono cattivi. Qualcuno in buona fede c'è e si vergogna di quello che sta succedendo (Commenti del deputato Gramazio). Scusami, ma non siamo al consiglio comunale di Roma, grazie.
Mi fa piacere che sia presente qui il mio conterraneo siciliano, il ministro Cardinale, che certo meglio farebbe oggi, caro ministro, ad occuparsi dei tagli della Telecom piuttosto che dei tagli degli spot, perché oggi sui giornali è anche uscita la notizia che un certo numero di operai della Telecom accompagnati questa volta, caso strano, dai sindacati, che normalmente vi sono amici, lo stanno aspettando a Mussomeli. Stanno aspettando che lei torni al suo paese con una manifestazione importante. Per cui il ministro si prepari anche sui tagli alla Telecom, oltre che sui tagli degli spot, perché credo che quelli siano più importanti per gli uomini che la verranno a trovare a Mussomeli tra qualche giorno.
Vedete, io non intervengo soltanto a difesa di un interesse collettivo, di un bene di tutti, ma oggi intervengo anche a


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difesa della mia storia personale perché un giorno, quando la mia stagione politica sarà conclusa e quindi sarò sguarnito di molte difese, le persone a me più care mi chiederanno: che cosa hai fatto in difesa della libertà (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e dei Popolari e democratici-l'Ulivo) quando questa è stata aggredita? Ebbene, compagni della sinistra, potrò rispondere che insieme con altri uomini coraggiosi mi sono battuto e ho cercato di convincere chi la libertà la temeva e la teme come voi ad avere coraggio e ad affrontarla (Commenti).
Cari colleghi, io capisco che siete agitati, me ne rendo conto. Capisco che fa male, per chi ha vissuto una vita con la falsa idea della libertà che gli insegnavano Che Guevara e altri che oggi si ritrovano liberticidi. Mi rendo conto che per voi è dura, ma state zitti, almeno lasciateci parlare in queste poche ore che ci rimangono prima del silenzio assoluto, perché può essere importante anche per voi.
Il problema è tutto qua: è affrontare con coraggio le conseguenze della libertà. Dovete riflettere sulle conseguenze della libertà.
So che alcuni di voi - lo ripeto -, che alcuni colleghi del centrosinistra ce l'hanno nel DNA la difesa della libertà, oggi però si prestano ugualmente all'esecuzione capitale che verrà celebrata in quest'aula...

MAURO ZANI. Magari!

GIANFRANCO MICCICHÈ. ...per quell'insopprimibile bisogno di nutrire il demone del potere da cui voi siete dipendenti.
Altri colleghi invece sono stati più sfortunati. La libertà non gliel'ha insegnata nessuno, anzi, hanno praticato la lotta per la sola libertà che gli è stata a cuore (la loro) e a condizione che da loro stessi venisse gestita. A questi colleghi non posso dire altro che mi dispiace: mi dispiace per voi. Siete stati imbrogliati dai vostri maestri, avete scambiato la libertà con il comodo, il privilegio, e ci avete anche creduto; avete scambiato la libertà con l'odio sociale; avete scambiato la libertà, nel migliore dei casi, con l'idea di uno Stato etico e non con quella di uno Stato di diritto.
Veltroni, il più Fregoli di tutti, il più lesto a cambiarsi d'abito e anche di coscienza, ha compiuto il salto più lungo arrivando ad affermare che il comunismo e la libertà non possono coesistere. Certo è stato un bell'imbarazzo per chi sperava di non aver buttato gran parte della propria vita, quella al servizio del comunismo, caro onorevole Veltroni.
Certo, non si può dire che i comunisti italiani, che tutti i comunisti italiani, tranne quella parte che vi ebbe un ruolo diretto furono complici dei regimi dittatoriali e sanguinari dell'est. Lasciatemi dire, però (nessuno potrà contestarlo) che quegli uomini sono colpevoli quanto meno di concorso esterno in comunismo (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)! Parlo, cari signori, di centinaia di milioni di morti, non sto parlando di spot! Parlo di uomini ammazzati, parlo di tutto ciò per giustificare chi oggi, seduto a sinistra, sta per compiere un altro crimine contro la libertà, con l'approvazione di una legge liberticida, e non illiberale, come ho sentito dire! Una legge liberticida, non illiberale, perché ai parenti le notizie bisogna darle complete: non si può dire che il loro caro è malato, che ha un'influenza; no, quando sta per morire, bisogna dire che ha il cancro! Questo voi state facendo: state uccidendo la libertà con una legge liberticida!
D'altro canto, si osserva: se Berlusconi si avvale delle televisioni per parlare alla gente, rischia di vincere. Certo, però, vince chi va in televisione o chi convince quando va in televisione?

GABRIELLA PISTONE. Non s'imbroglia!

GIANFRANCO MICCICHÈ. No, cara signora, non s'imbroglia, ma voi avete vinto imbrogliando, noi non imbrogliamo, può stare tranquilla (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!


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Se bastasse andare in televisione per vincere, perché non lo fareste anche voi? Cosa vi manca?

GABRIELLA PISTONE. Perché non abbiamo gli stessi soldi!

GIANFRANCO MICCICHÈ. Non avete i soldi, o Dio mio, non avete i soldi per andare in televisione, signora! Facciamo un telegramma urgente a Mosca, facciamo arrivare qualche altro quattrino velocemente, perché non avete più i soldi per andare in televisione (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)! Ma state zitti, abbiate almeno la dignità di vergognarvi quando dite che non avete i soldi: chiedeteli alle cooperative rosse i soldi! Vediamo quanti soldi hanno da darvi, per la televisione e per ben altro!

LUIGI OLIVIERI. Smettila, sei ridicolo!

GIANFRANCO MICCICHÈ. Fatemi il piacere, non si tratta di soldi: non volete andare in televisione perché sapete di non essere creduti, perché non avete credibilità, perché sapete di mentire quando parlate e temete che i cittadini si accorgano delle vostre menzogne!

GABRIELLA PISTONE. È un livello, veramente...! C'è da vergognarsi!

PRESIDENTE. Onorevole Pistone, la prego.

GABRIELLA PISTONE. Sono ore: la tolleranza ha un limite!

GIANFRANCO MICCICHÈ. Ognuno si vergogni delle sue colpe, ed io, stia sicura, mi vergogno meno di lei...

Una voce dai banchi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo: Provocatore!

GIANFRANCO MICCICHÈ. Provocatore io? I provocatori, purtroppo, tentano disperatamente di difendersi da chi non fa provocazione; vi è chi uccide direttamente senza neanche provocare prima, figuriamoci se sono io il provocatore!
Sapete, però, anche se si è trattato solo di concorso esterno in comunismo, come dimostrate oggi, l'abito statalista e violento, il giustizialismo, la menzogna elevata a categoria educativa, se sono stati cancellati dalla vostra memoria, cari colleghi della sinistra, con uno straordinario intervento ipnotico su voi stessi, non pretenderete che la gente a casa li abbia dimenticati! No, non li ha dimenticati, né il 2000, anno del Giubileo, potrà essere per voi una panacea: nessuno potrà concedere indulgenze per i misfatti che state compiendo oggi.
Quindi, niente spot televisivi, solo perché ne avete paura: questa è la verità! Avete paura non di Berlusconi, o di quello che può dire Berlusconi, avete paura dei vostri spot, di quello che voi non sareste capaci di spiegare alla gente, di quello che voi non avete la credibilità di dire alla gente! Avete paura dei vostri spot, non dei nostri, ed è per questo che ci togliete i nostri: per evitare di doverli fare anche voi. Ma, cari colleghi, una verità inquietante è quella contenuta negli atti del Senato del dicembre 1993, quando si discusse di par condicio.
Silvio Berlusconi doveva ancora entrare in politica, ma già vi spaventavate e pensavate che, per fronteggiare l'eventuale pericolo sarebbe bastata una legge, che voi avete approvato e che Salvi definì la migliore in assoluto (Commenti del deputato Pistone). Onorevole Pistone, perché è così agitata! Non si agiti! secondo me lei è una delle poche che in questo momento ha la coscienza turbata perché, evidentemente, è un'amante della libertà e capisce che ciò che state per fare non è corretto (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

GABRIELLA PISTONE. La ringrazio...!

GIANFRANCO MICCICHÈ. Giustifico solo così il suo atteggiamento.
Stavo dicendo che Salvi definì quella disciplina elettorale televisiva come la


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migliore in assoluto e ugualmente commentò Mattarella. Ebbene, si tratta della legge che è attualmente in vigore. Perché oggi, improvvisamente, non è più buona? Sia Salvi sia Mattarella nel 1993 la definirono la migliore delle leggi sulla par condicio e sugli spot elettorali perché avevano creduto che Berlusconi fosse un venditore di fumo come lo siete voi. Avevano creduto che bastasse non dargli vantaggio sulla quantità degli spot; invece non è stato così. La verità è che la par condicio che non otteneste allora, e che non otterrete mai, è proprio la pari credibilità tra i vostri progetti e i nostri progetti, tra il vostro modello di società e il nostro modello di società, fra la vostra capacità di produrre benefici collettivi e la nostra capacità, la capacità del presidente Berlusconi di produrre benefici collettivi. Non vi è parità di condizioni se, sotto il peso delle vostre leggi liberticide, non vi accorgete - colleghi della sinistra - che navigate a vista tutti i giorni. Non vi rendete conto che operate le vostre scelte al momento della convenienza della settimana? Non capite che questa è la peggiore vergogna di cui vi state macchiando?
Forse parlare solo di concorso esterno al comunismo è stato troppo generoso da parte mia; navigate a vista, seguite l'avversario e appena lo scorgete con una risorsa che può essere anche la credibilità, che a voi manca, una risorsa in più rispetto alle vostre, gli togliete di mano la possibilità di mostrarla. Certo «à la guerre, comme à la guerre», ma allora non parliamo più di democrazia. Diteci chiaramente che userete ogni mezzo per non scendere più dal vostro ronzino e noi ne prenderemo atto, non ci arrenderemo di sicuro, ma ne prenderemo atto, la gente ne prenderà atto, la gente avrà le idee più chiare. Ma anche le idee chiare della gente per voi, in fondo, non costituiscono un problema.
L'Europa disciplina l'allargamento della pubblicità elettorale televisiva e l'Italia la azzera: ma non eravamo entrati in Europa? Non era tutto merito di Prodi se eravamo entrati in Europa? Siamo entrati solo per una parte, per un'altra l'abbiamo dimenticato. Voi colleghi della sinistra vi affannate dicendo: ridiamo equilibrio alle parti politiche, ridiamo parità di condizioni, ridiamo disciplina. Ridiamo, ridiamo - così la gente commenta - ridiamo, ridiamo perché c'è veramente da ridere, ma da ridere amaramente. Talvolta, infatti, le telecamere di Stato, compreso il Televideo, sembrano più cameriere al vostro servizio che strumento pubblico di informazione. Esse rendono veramente difficile farvi credere in buona fede, incolpevoli beneficiari di tanta massiccia e fuorviante propaganda.
Allora, concludo ... (Dai banchi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo si grida: «No! No!»).

LUIGI OLIVIERI. Ancora, ancora!

GIANFRANCO MICCICHÈ. Signor Presidente, capisco dall'atteggiamento di alcuni colleghi che forse ve ne sono altri in buona fede. Oggi si compie un atto violento, violento perché lo state facendo da soli, senza discutere minimamente con l'opposizione sul tavolo delle regole. Si compie un atto violento, un atto liberticida; ciascuno di voi a sinistra dovrebbe prenderne nota per potere preparare, un giorno, le proprie difese dinanzi al tribunale del tempo e dei vostri affetti. Noi possiamo soltanto gridare il nostro sdegno e ricordarvi che, anche se ci togliete la libertà, non vi dovete illudere perché la libertà non muore (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PAOLO ARMAROLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Onorevole Armaroli, ho già spiegato che sull'ordine del lavori si parla alla fine. L'ho già detto all'onorevole Bosco.

PAOLO ARMAROLI. Siamo oscurati; è una cosa incredibile. Intervenga!


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ELIO VITO. La censura della RAI su questo provvedimento ha attinenza. È sull'ordine dei lavori. Lei deve intervenire sulla RAI affinché il Parlamento abbia voce nella RAI! Deve intervenire sulla RAI per difendere il Parlamento. Rientra nei suoi poteri, Presidente!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Niccolini. Ne ha facoltà.

GUALBERTO NICCOLINI. Aspetto di essere messo in grado di parlare, Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Niccolini, il tempo sta trascorrendo.

GUALBERTO NICCOLINI. Presidente, non può trascorrere, perché non posso iniziare a parlare.
Vorrei ricordare che si parla tanto di questa anomalia italiana, l'anomalia per eccellenza, quella di un capo dell'opposizione che ha anche le sue televisioni. Questa sembrerebbe essere l'unica anomalia di cui si parla nel paese; invece, mi pare che l'Italia sia il paese delle anomalie; c'è tutta un'anomalia che regge il sistema.
Vorrei ricordarne qualcuna, giusto per inquadrare il problema: ci fu un referendum con il quale il popolo, a stragrande maggioranza, chiese il sistema uninominale maggioritario. Come rispose il sistema? Con una legge ibrida, molto caotica, in cui, salvando una quota di proporzionale, si rese non praticabile il maggioritario e così oggi si dimostra che il maggioritario non funziona. Si tratta di una risposta sbagliata ad una richiesta chiara della gente.
È poi anomalo il fatto che a capo del Governo sieda un Presidente che non è stato indicato alle elezioni quale candidato a quel posto; ce n'era un altro, ma poi c'è stato il mini ribaltone interno alla sinistra. È anomalo che questo Parlamento sia spesso esautorato dei suoi poteri: una volta si usavano i decreti-legge; oggi continuiamo con le leggi delega in numero esorbitante. È anomalo che nel nostro paese la legge finanziaria, con la quale dovrebbe esercitarsi il massimo controllo del Parlamento sull'attività del Governo, venga decisa tra Governo e sindacati e al Parlamento non rimanga altro che ratificare quanto è stato concordato tra Governo e sindacati. È anomalo che abbiamo voluto entrare in Europa, siamo i grandi sostenitori dell'Europa, siamo i più europei tra tutti gli europei, mentre contro l'Italia vi sono oltre cento procedure relative a violazioni nei rapporti con l'Europa: siamo il peggior paese d'Europa, siamo ben lungi da altri paesi arrivati dopo di noi e partiti anche sfavoriti per problemi di democrazia, di storia, di economia. E non è anomala questa grande ...

PRESIDENTE. Per cortesia, colleghi.

GUALBERTO NICCOLINI. ...fetta politicizzata della magistratura, che ha trasformato la magistratura in un teatro, i magistrati in attori ed i tribunali in teatri?
È senz'altro anomalo anche il sistema informativo italiano, ma la prima anomalia sta nella RAI, in quella cassa di risonanza, in quell'altoparlante continuo che la RAI costituisce nei confronti di una certa parte politica. Mi pare che ciò sia sotto gli occhi di tutti e non sia una novità. Probabilmente gli spazi per le televisioni alternative sono derivati proprio da questo uso che una certa parte politica ha fatto della RAI, che è un servizio pubblico.
Ha fatto bene la collega intervenuta prima a ricordare l'uso che alcuni politici fanno della RAI. Ha parlato del ministro Turco, candidata alle elezioni, che abbiamo visto anche nei programmi per i bambini del sabato pomeriggio: quindi, a tutto campo e non solo in qualche programma, come quello di Vespa, ma addirittura nelle trasmissioni per i bambini, poveri bambini terrorizzati!
Abbiamo assistito ad un uso molto sfrenato della RAI, che è sempre condizionato da una parte politica. D'altronde alla RAI abbiamo visto D'Alema cantare


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con Morandi: anche questa mi è sembrata un'anomalia.
Rispondiamo alle anomalie con altre anomalie: inventiamo la campagna elettorale silenziosa, anzi la campagna elettorale fantasma. Questa mi sembra una grande anomalia in un paese che dovrebbe aver fatto della libertà una bandiera seria e in cui esisteva già una pesante regolamentazione. Io lo ricordo: all'epoca non sedevo ancora su questi banchi, ma avevo la fortuna-sfortuna di dirigere una piccola televisione locale. Premetto che sono giornalista da una vita e non ho mai lavorato né per la RAI, né per il presidente Berlusconi, ma ho sempre lavorato in piccole realtà giornalistiche, tra le quali anche alcune televisioni.
Ebbene, quando entrò in vigore la par condicio fu un dramma, in quanto si lavorava con la Guardia di finanza negli studi che, finite le registrazioni, si portava via le videocassette, che dovevano essere visionate dal comitato di controllo con i cronometri: per ogni minuto di troppo, erano milioni di multa. Si arrivava, dunque, alla follia pura di comprimere i dibattiti politici tra chi era brillante e chi si presentava male, in un equilibrio di minuti o di secondi che rovinava il programma, per cui il programma non era più seguito.
Quella legge sulla par condicio di funesta memoria, che qualcuno definì la più bella legge del mondo (ma evidentemente lo diceva o perché non era giornalista o perché non era liberale o perché non era né l'uno, né l'altro) era già ferrea; ora stiamo introducendo anche il silenzio sugli spot. Mi sembra davvero una battaglia di retroguardia: sembra che il «grande fratello» stia perdendo, o abbia già perso, il controllo dei mezzi di propaganda e che, dunque, debba imporre divieti perché non sa come trattenere il fiume di libertà che scorre sugli schermi televisivi. Cari amici, è una battaglia fuori dal tempo!
Stiamo ancora discutendo di televisione ma, come ha ricordato il collega che mi ha preceduto, sta incombendo Internet: se qualcuno di voi ha tempo e voglia, provi a seguire la campagna elettorale negli Stati Uniti. In quel paese, gli spazi televisivi sono aperti e nei dibattiti televisivi i candidati hanno, addirittura, la possibilità di insultarsi; si può anche parlar male dell'avversario, cosa che nel nostro paese è del tutto vietata: qui si può soltanto parlar bene di se stessi. La libertà, nelle televisioni statunitensi, è assoluta e, nonostante la miriade di televisioni, la battaglia politica viene condotta quasi interamente su Internet: si sono create reti enormi e ciascun candidato ha trovato 60, 70 mila agenti che, a loro volta, creano altri agenti. Come faremo a staccare la spina di Internet? Come fermeremo questa libertà che, passando dai giornali alla radio, è arrivata alle televisioni e procederà ulteriormente? La televisione è stata uno dei più grandi mezzi di libertà al mondo; essa ha consentito a paesi...

PRESIDENTE. Onorevole Niccolini, deve concludere.

GUALBERTO NICCOLINI. Ho già finito il tempo a mia disposizione?

PRESIDENTE. Sì, in quanto è finito il tempo per il suo gruppo. Lei ha ancora soltanto un minuto di tempo a disposizione.

GUALBERTO NICCOLINI. Va bene, mi avvio a concludere. Come dicevo, la televisione è stato uno dei più grandi mezzi di trasmissione della libertà. In paesi in cui la libertà era conculcata, l'arrivo della televisione ha consentito alla gente di vedere come era la vita dall'altra parte. Ciò ha creato condizioni nuove nell'opinione pubblica e movimento nelle coscienze individuali e in quella collettiva e, per quanto se ne voglia dire, siamo arrivati ad abbattere un muro proprio per colpa - o per merito - della televisione. È inutile, dunque, avere paura. Si può anche staccare la spina e mettere un bavaglio, ma il mezzo andrà avanti, la libertà andrà avanti ugualmente. Se poi chiuderete le televisioni, arriverà, comunque,


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Internet. Signor ministro, cosa farete con Internet? Come potrete bloccare i messaggi di libertà che passeranno?
Voglio chiudere, con un po' di serenità, un pomeriggio di tensione: se la televisione fosse realmente lo strumento di cui avete tanta paura, mi viene da pensare che, se Luna Rossa si presentasse alle elezioni, le vincerebbe! Se siamo a questi livelli, chiudiamo pure le televisioni, ma non avremo risolto il problema. I problemi non si risolvono con i bavagli o con i divieti, ma con le regole. Le regole, tuttavia, non possono essere di chiusura totale, non possono obbligare a scegliere tra bianco e nero, ma sono una ricerca di compromessi tra interessi diversi, soprattutto quando, pur essendo diversi, tali interessi convergano tutti verso una certa parte: la libertà. Chiudere, bloccare, imprigionare, mettere a tacere non serve a nulla. I bavagli di Pannella di tanti anni fa non sono serviti a non far più parlare Pannella, anzi, l'hanno rilanciato ancora di più. Se pensate che i vostri bavagli possano servire a bloccarci, vi sbagliate. Ricordate quei bavagli e pensateci bene. Non è chiudendo la televisione che si risolveranno i problemi del paese: anzi, si aggraveranno (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

ELIO VITO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Onorevole Vito, prima di lei ha chiesto la parola sull'ordine dei lavori l'onorevole Armaroli: potrà intervenire subito dopo.
Prego, onorevole Armaroli.

PAOLO ARMAROLI. Signor Presidente, sono semplicemente allibito: il TG1 delle ore 20, il telegiornale del primo canale della RAI, alla quale proprio pochi giorni fa abbiamo pagato un salato canone (Commenti), ha oscurato l'Assemblea di Montecitorio. Tutti i giornali ieri ed oggi riportavano la notizia che, appunto, oggi sarebbe iniziata la maratona su un provvedimento di grandissimo rilievo, quello sulla par condicio. Orbene, il TG1 delle 20 ha parlato di tutto, ha parlato di più, ma non ha dedicato un solo minuto, una sola parola al dibattito in quest'aula di Montecitorio, che è il teatro della democrazia.

STEFANO LOSURDO. Vergogna!

DOMENICO IZZO. Ne hanno parlato altri tre telegiornali!

PAOLO ARMAROLI. Signor Presidente, noi di Alleanza nazionale (ma credo di parlare a nome di tutti, anche a nome del Governo, che forse prenderà la parola) siamo scandalizzati da questo comportamento, siamo scandalizzati da questa disinformazione, che è violenza anche e soprattutto nei confronti dell'opposizione, che oggi ha combattuto una grande battaglia.
Per queste ragioni, signor Presidente, mi auguro che ella prenderà tutti i provvedimenti del caso e si metterà in contatto con la televisione di Stato affinché si possa rimediare, nelle successive edizioni, a questo totale oscuramento dei nostri lavori parlamentari. Grazie, signor Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Armaroli, come le ho già detto direttamente, ho già scritto alla RAI per segnalare, appunto, che è stata trasmessa un'intervista all'onorevole Berlusconi ed una al sottosegretario Vita, ma non è stata data notizia del dibattito. Le avevo già detto privatamente di aver scritto tale lettera: è questo il motivo per cui non le ho dato la parola prima.

BEPPE PISANU. Per la verità, ce ne è stata solo una dell'onorevole D'Alema, di intervista!

PRESIDENTE. No, è stata trasmessa un'intervista all'onorevole Berlusconi sugli spot, mi pare, ed un'altra al sottosegretario Vita.
Prego, onorevole Vito.

ELIO VITO. Presidente, il punto è proprio questo. Noi stiamo discutendo di


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parità di condizioni e nell'articolo 8 del testo vi è la famosa norma che esclude la comunicazione del Governo in forma impersonale. Allora, ci rivolgiamo a lei, Presidente (e lei sa che il richiamo per l'ordine dei lavori, quando attiene alla questione in esame, ha priorità sulla discussione in corso), perché almeno sia ristabilita presso la concessionaria del servizio pubblico, la RAI (e vorremmo che il ministro Cardinale, presente in aula, si alzasse e ne desse assicurazione), la fondamentale parità di condizioni, propria di ogni sistema democratico, fra Governo e Parlamento. La RAI, infatti, dà costantemente tempo al Governo, ai ministri e ai ministri candidati, mentre non vi è tempo per i dibattiti parlamentari e per l'opposizione che interviene in Parlamento.
Abbiamo accettato per troppo tempo, Presidente, che i dibattiti parlamentari, quello che avviene in aula e le questioni che noi poniamo fossero relegati fuori dai telegiornali. Intere trasmissioni nelle ore di punta sono inaccessibili, mentre all'opposizione rimangono soltanto trasmissioni, peraltro condotte da personale che svolge il suo compito meritoriamente, che non possono essere seguite dal pubblico del grande ascolto. Quindi dobbiamo pretendere - e su questo il Governo ed il Presidente della Camera debbono darci assicurazioni - che sia almeno ristabilita la parità di condizioni nei dibattiti, nei notiziari e nei telegiornali tra Governo e Parlamento.
Vi è poi un'altra questione, Presidente: poco fa lei ha invitato l'onorevole Niccolini a concludere il suo intervento perché, se ho ben capito, si era esaurita la quota di tempo riservata a Forza Italia, anche quella supplementare che ella aveva successivamente elargito al nostro gruppo. Ebbene, Presidente, noi per far rilevare ancora di più la gravità della sua decisione e la ristrettezza dei tempi che ci sono stati concessi, anche nella misura ampliata, vogliamo quanto meno ricordare all'Assemblea e far sapere all'esterno, anche per motivi di solidarietà personale e di gruppo nei confronti dei colleghi, i nomi di coloro che sono stati cancellati dal dibattito parlamentare. Tali colleghi non hanno diritto a prendere la parola e neanche ad essere nominati, perché, finiti i tempi, non si può più parlare, in quest'aula. Avrebbero ancora dovuto parlare sull'articolo 1 i colleghi Pagliuca, Palumbo, Paroli, Piva, Collavini, Ricciotti, Rossetto, Rosso, Alessandro Rubino... (Commenti).
Questa situazione era ben presente quando si è deciso il contingentamento dei tempi e non sarebbe costato nulla far intervenire regolarmente gli iscritti a parlare sul complesso degli emendamenti all'articolo 1.
Sarebbero dovuti ancora intervenire Aracu, Saponara, Sestini, Taborelli, Tarditi, Tortoli, Viale, Gazzilli, Aprea, Donato Bruno, Mammola, Cascio, Pecorella, Vincenzo Bianchi, Conte, Costa, Cuccu, Di Comite, Gazzara, Melograni, Divella, Filocamo... (Commenti).
Sento che ridete, ma non c'è nulla da ridere, onorevoli colleghi!
Presidente, credo che abbiamo rispettato le regole per tutta la legislatura e lo abbiamo fatto anche in condizioni difficili. Ce ne è stato dato atto, ad esempio, nell'esame della legge finanziaria. Abbiamo sempre rispettato il contingentamento dei tempi anche quando questi erano particolarmente ristretti: lo abbiamo fatto rispettare e ci è stato anche concesso del tempo ulteriore. Abbiamo garantito il numero legale in migliaia e migliaia di votazioni nelle quali la maggioranza era perennemente latitante ed intendiamo continuare a partecipare regolarmente alla vita istituzionale di quest'Assemblea, perché non daremo a nessuno l'alibi di dire che il Polo non ha amore per le istituzioni, non ha a cuore il rispetto delle regole e intende rinunciare ai propri strumenti e diritti. Colleghi, non vi daremo quest'alibi né stasera, né domani!
Il problema è che a noi non viene dato il tempo per chiarire le nostre ragioni. Mettetevi nei nostri panni: in Commissione non ci è stato fatto votare neanche un emendamento ed il confronto di merito - il relatore potrà testimoniarlo - è


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avvenuto in una sede estranea, silenziosa e non verbalizzata quale il Comitato dei nove, dove, di fatto, si è discusso solo delle proposte del relatore, per ristrettezza dei tempi, ed i pareri sono stati considerati come dati. In Assemblea non si riesce neanche a discutere l'articolo 1.
Vorrei finire di leggere il nome dei colleghi che non potranno intervenire: Melograni, Divella, Filocamo, Fratta Pasini, Garra, Gastaldi, Guidi, Lavagnini, Lo Jucco, Matranga, Michelini, Pilo, Radice, Rivolta, Russo, Stagno d'Alcontres, Urbani, Valducci, Aleffi, Scarpa Bonazza Buora, Rivelli, Santori e Prestigiacomo.

PRESIDENTE. Onorevole Vito, la invito a concludere.

ELIO VITO. Signor Presidente, ho letto l'elenco affinché resti a verbale il nome di chi si era iscritto a parlare e affinché resti traccia nella storia del Parlamento della vergogna che si sta consumando questa sera (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, di Alleanza nazionale e misto-CCD). In un dibattito come questo, che mette il bavaglio all'opposizione, vengono cancellati ottanta iscritti a parlare dell'opposizione. Questa è la verità, signor Presidente!
Noi non possiamo dire neanche qui le cose che comunque la RAI censurerà, perché la RAI ha già censurato il dibattito in quanto non serve dare conto di quello che fa il Parlamento quando a parlare è l'opposizione. State dicendo che approverete una legge sulla par condicio contro l'opposizione, quando avete dalla vostra parte la RAI che fa disinformazione in questo modo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e misto-CCD).
Signor Presidente, è una vergogna! Ci sarà pure un momento di storia e di libertà in questo paese ed in questo Parlamento, qualcuno che rileggerà gli atti parlamentari. La libertà è arrivata in tante parti del mondo: arriverà anche in Italia e alla Camera dei deputati (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e misto-CCD).

PRESIDENTE. Onorevole Vito, quando un gruppo fa legittimamente ostruzionismo, come state facendo voi, la risposta non può che essere la legittima applicazione del regolamento. Avendo raddoppiato i tempi - cosa mai accaduta finora - vi ho concesso il massimo possibile.

GIANFRANCO MICCICHÈ. Parliamo di regole!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.

PAOLO ARMAROLI. Mi rivolgo a lei, ministro Cardinale: batta un colpo!

GIOVANNI FILOCAMO. Sovietici! Sovietici!
Vogliamo parlare anche noi. Siete cattocomunisti!
Siete soltanto dei veri comunisti!

PIER PAOLO CENTO. Ma falla finita!

PAOLO ARMAROLI. Ha chiesto di parlare il ministro Cardinale!

GIOVANNI FILOCAMO. Siete degli assassini!

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, lei deve assicurarmi di poter parlare in un consesso, perché in questa confusione non riesco a intervenire.

PRESIDENTE. Ho dato la parola prima all'onorevole Zacchera: prima parla il Parlamento e poi il Governo.
Prego, onorevole Zacchera.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, vorrei intervenire brevemente, perché ritengo che in democrazia non serva solo la quantità dei minuti, ma la qualità e l'attenzione con cui si è ascoltati. Vorrei riprendere le osservazioni svolte poco fa dall'onorevole Vito. Mi rivolgo direttamente a lei, signor Presidente, perché ha la responsabilità in quest'aula oltre che di Presidente dell'Assemblea anche di garante, insieme al Presidente


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del Senato, dei rapporti dell'informazione e quindi anche dei controlli che attraverso la radiotelevisione italiana di Stato...

PRESIDENTE. Colleghi, per piacere! Onorevole Piscitello, prenda posto per favore! Onorevole Conti, faccia parlare l'onorevole Zacchera! Onorevole Buontempo! Prosegua pure onorevole Zacchera.

MARCO ZACCHERA. Stavo per dire che il discorso della par condicio si può guardare da due punti di vista. Un conto è il discorso sugli spot e un altro conto - ed è per questo che mi rivolgo a lei, che è Presidente dell'Assemblea - è la qualità e la trasparenza dell'informazione.
Non sarebbero così importanti gli spot televisivi, soprattutto in campagna elettorale, se vi fosse la possibilità per tutti di accedere in termini di trasparenza e di correttezza all'informazione. Gli spot diventano, alla fine, una possibilità di controinformazione, allorquando qualcuno - voglio parlare in termini asettici - ritiene che l'informazione non venga data in modo diretto.
Ritengo che l'informazione attraverso il mezzo pubblico (dopo parleremo di quello privato) non venga data in termini corretti. Non sto parlando dell'informazione parlamentare con la quale, bene o male, vengono citati i colleghi di tutti i gruppi ma dei diversi programmi della TV pubblica nei quali si danno delle informazioni politiche in termini non diretti ma sovente in termini sottili e striscianti e qualche volta anche in maniera subdola.
Se uno osserva il telegiornale (poco fa il collega Armaroli ha citato il TG1 di oggi) si rende conto che il taglio delle notizie non viene dato in forma neutrale quanto ai fatti, separando cioè questi ultimi dalle opinioni espresse nel corso di interviste da diverse persone che hanno altrettanto diversi punti di vista e ideologie politiche. È la stessa interpretazione dei fatti ad essere capziosa e ciò al di là dei minuti che vengono assegnati al Governo, da una parte, e alle forze di maggioranza e di opposizione, dall'altra.
Questo problema non si pone soltanto per la televisione pubblica; voglio essere coraggioso e dire che anche su Mediaset talvolta accade questo (Applausi del deputato Niedda)! Quello del TG4 è un telegiornale più di partito che di informazione pluralistica (Applausi polemici dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e dei Popolari e democratici-l'Ulivo). Un momento! Il discorso fondamentale è che, se uno non gradisce Emilio Fede, cambia canale e questo non gli costa nulla perché è una scelta di libertà! Se uno ascolta la radiotelevisione pubblica per la quale paga un canone, deve avere la garanzia di una informazione trasparente. Da una parte abbiamo l'imprenditore privato che è legato alla propria coscienza, mentre dall'altra una informazione trasparente dovrebbe essere legata ad un servizio pubblico (Commenti).
Signor Presidente, se lei qualche volta ha la bontà di sintonizzarsi alle otto di sera sul primo canale della RAI, ascolterà una trasmissione, che si chiama Zapping, che non è soltanto di estrema sinistra dal punto di vista politico, in cui un radioascoltatore che casualmente riesca ad inserirsi e ad esprimere la propria opinione viene vituperato da quelli intervenuti successivamente. È scelta di informazione anche dare la possibilità di scegliere chi può inserirsi e fare una battuta magari nel corso di una telefonata! E la censura - di questo si tratta - viene fatta impedendo alla gente normale di esprimere le proprie opinioni. Non è possibile, infatti, che, se su dieci persone che partecipano alla trasmissione, nove la pensano in una maniera, mentre la decima in un'altra, quest'ultima venga tacitata.
Sui lati del centrodestra la gente si scalda sul discorso della par condicio perché sa che lo spot è diventato l'unico mezzo succedaneo per poter eventualmente incidere sull'opinione altrui. Non c'è una garanzia di equità da parte del mezzo pubblico.
Il mio intervento può anche concludersi qui perché è inutile parlare per tanti minuti. Il problema lo pongo con forza riferendomi alla posizione del Presidente


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della Camera che è anche garante della nomina dei vertici della radiotelevisione italiana ente di Stato. Sappiamo che i giornalisti sono politicamente schierati, e non è un caso, signor Presidente, che poi certi giornalisti diventino presidenti, per l'Ulivo, nelle regioni dove si sono presentati candidati. Quale trasparenza è se domani al terzo canale della RAI la ministra Turco, candidata alla presidenza dell'Ulivo per la mia regione andrà a parlare dei problemi di Roma e apparirà per mezz'ora alla televisione pubblica parlando dei problemi del Giubileo? Ma cosa c'entra? No, qui si vogliono scientemente mettere in visibilità candidati alle prossime elezioni in modo che, attraverso il mezzo pubblico, possano raggiungere i telespettatori della loro regione e di tutta Italia. Questa è partigianeria che non è corretta. Il collega Storace si è autosospeso dalle sue funzioni di presidente della Commissione di vigilanza; questa è la differenza di stile, a mio avviso, tra centrodestra e la sinistra!
Per concludere, perché ho detto che non voglio tediare nessuno, richiamo la sua coscienza di Presidente non tanto al minuto in più o in meno di contingentamento, quanto ad un'azione leale, trasparente, di giustizia, di par condicio nei confronti del Governo perché non si può più continuare in questa maniera. D'altronde, gli atti parlamentari parlano; sono gli atti che ci avete dato voi; leggete da pagina 285 in poi i dati del dossier relativi ai notiziari e all'informazione televisiva che vi è stata tra il 14 maggio e il 25 giugno del 1999. Sono i dati che parlano e i dati dicono che vi è stata una mostruosa sperequazione a sinistra.
Quali sono state le conseguenze, le proposte, le proteste, gli interventi decisivi per cambiare questa situazione? Nessuno! Il telegiornale di ieri, l'ultimo che ho visto, ha dato soltanto la parola a tre ministri e non ha neppure citato, su nessun problema - si parlava soprattutto dell'Austria - alcun deputato dell'opposizione. Questa è scorrettezza e perciò è legittimo che da parte nostra, almeno con le parole e con la massima serenità, si dica che tutto ciò non è giusto.
Trasferiremo in tutte le sedi questa nostra protesta, nella certezza che ne va del nostro futuro politico. Avete ridotto in una tale situazione la TV pubblica che sarà impossibile, anche in futuro, cambiare giornalisti e direttori di testate. Vi sarebbero ululati nel momento in cui qualcuno fosse tolto dal proprio incarico, tanto è vero che i dirigenti della televisione di Stato sono ormai diventati centinaia.
Concludendo, Presidente, è la sua coscienza ad essere chiamata in causa. Lei non può rimanere insensibile di fronte a questa situazione; come Parlamento bisogna mettere in atto operazioni di garanzia e di tutela perché circa la metà del corpo elettorale italiano che paga il canone è teleutente ed ha il diritto di avere un'informazione trasparente (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

SALVATORE CARDINALE, Ministro delle comunicazioni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Così esce sul TG!

SALVATORE CARDINALE, Ministro delle comunicazioni. Intervengo molto brevemente, signor Presidente, per rassicurare i colleghi che i loro rilievi non saranno dimenticati dal ministro e dal Governo. Faremo gli opportuni accertamenti; tuttavia voglio ricordare che vi è una Commissione bicamerale che ha il compito di vigilare e ad essa riferiremo chiedendo anche un intervento formale, se necessario.

ELIO VITO. Bravo!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rasi. Ne ha facoltà.

GAETANO RASI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo,


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sono sicuro che nessuno si sorprende - soprattutto non deve sorprendersi la maggioranza di Governo - che disegni e proposte di legge recanti disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione da parte dei cittadini, suscitino un forte dibattito. Si tratta, infatti, di norme che riguardano il fondamentale principio riferito alla libera espressione del pensiero, che è alla base dell'emancipazione politica dei cittadini, la cui affermazione ha caratterizzato gli ultimi tre secoli del millennio che si è testé concluso.
Quelli che erano i sudditi sono diventati cittadini consapevoli della propria personalità e, quindi, dei propri diritti e doveri solo attraverso la libera espressione del pensiero. Ciò è avvenuto soprattutto dal seicento in poi. Quindi, noi oggi dobbiamo fare delle riflessioni tenendo presente questo lungo cammino per passare dall'essere sudditi all'essere cittadini. Qualsiasi norma volta a regolamentare il diritto di informare, oppure a contribuire a formare l'opinione pubblica dei cittadini riveste sempre il carattere di limitazione di un diritto, per cui vale innanzitutto il principio che meno si regolamenta meglio è e, successivamente, che ogni normazione al riguardo deve avere esclusivamente lo scopo di garantire la libera espressione e mai quella di ridurla attraverso la parola «disciplina», che poi viene usata proprio all'inizio del disegno di legge in esame, all'articolo 1.
Dunque, garantire la libera espressione, non ridurla: in questo senso si è sempre espressa la Corte costituzionale che nella sua giurisprudenza ha costantemente affermato come in materia di provvedimenti di disciplina, trattandosi di diritti fondamentali, deve esservi sempre uno scrutinio rigoroso sotto il profilo appunto della conformità alla Costituzione.
La garanzia per la formazione di un libero convincimento sta certamente nell'assicurare parità di condizioni ed un'equilibrata partecipazione di tutti i cittadini alle scelte fondamentali che investono la loro vita, ma deve essere una parità di condizioni libera ed una partecipazione anch'essa libera; diversamente si mina alla base la natura stessa della vita democratica.
Il disegno di legge presentato dal Presidente del Consiglio D'Alema, ben al di là delle enunciazioni proprie dell'articolo 1...

PRESIDENTE. Onorevole Pecoraro Scanio, per favore prenda posto.

GAETANO RASI. ...non promuove, ma limita, proprio sotto il termine «disciplina», l'accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica. Da qui la fondata accusa di essere non in linea con i principi costituzionali.
La preoccupazione che abbiamo riguarda il fatto che la nostra democrazia stia progressivamente scivolando verso un subdolo totalitarismo denso di gravi pericoli per l'esercizio delle libertà fondamentali. Già l'uso sistematico e l'abuso continuato delle deleghe, derivante dalle iniziative rivolte alla cosiddetta riforma amministrativa Bassanini, configurano la progressiva occupazione di ogni settore della vita nazionale ben oltre la facciata della materia amministrativa.
Spesso ci domandiamo se la sostanziale riforma dello Stato non sia già in atto e non attraverso la revisione costituzionale - come dovrebbe essere -, ma mediante l'occupazione di tutti i gangli della vita del paese nel campo delle infrastrutture energetiche e delle telecomunicazioni, in quello delle equivoche privatizzazioni e delle mancate liberalizzazioni, nelle astratte e distruttive misure verso il piccolo commercio a favore dei grandi oligopoli della distribuzione, nella distorsione delle libere attività industriali, commerciali e professionali, ad esempio con le immorali rottamazioni prima delle auto e poi di altri prodotti.
Occupazione surrettizia e ristrutturazione dei gangli del potere per occuparlo interamente: questo è il nuovo totalitarismo avanzante all'insegna dell'ipocrisia e della dissimulazione. Ora, attraverso il disegno di legge in esame, è il momento che riguarda la limitazione della libertà di


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propaganda politica e ciò avviene entro il disegno volto a completare la fase dell'occupazione di fatto delle infrastrutture civili, dei servizi e delle strutture direttamente produttive.
Ho detto «completare», perché l'occupazione della pubblica amministrazione e delle infrastrutture, dei servizi e delle strutture produttive, non può essere definitiva se non si chiude la bocca alla denuncia ed alla protesta. Se vi è libertà di espressione, magari nel tempo, si può fare recedere il potere politico egemone dall'usurpazione del potere economico e delle infrastrutture civili.
Le prevaricazioni politico-legislative possono essere eliminate se vi è spazio per l'appello pre-elettorale alla pubblica opinione, in sostanza, se non si regolano - regolano tra virgolette, evidentemente - l'informazione verso l'opinione pubblica e la formazione dei convincimenti in sede elettorale.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'articolo 21, comma 2, della Costituzione recita: «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». È evidente che negli anni in cui i costituenti hanno operato, con il termine stampa essi intendevano la comunicazione, ossia indicavano il mezzo di trasmissione del pensiero intendendo l'oggetto del pensiero stesso, vale a dire il contenuto della comunicazione, il contenuto da comunicare. Oggi i mezzi di comunicazione, che gli anglosassoni chiamano sinteticamente media, oltre alla carta stampata sono la radio, la televisione e le reti telematiche, in rapidissima evoluzione. Riteniamo, pertanto, che ogni limitazione nei confronti dei mass media, ipocritamente fatta passare per regolamentazione rivolta alla promozione e all'accesso, sia in contrasto col principio costituzionale. Vietare o limitare gli spot per la propaganda elettorale non consente, evidentemente, la libera formazione della volontà dei cittadini elettori.
Ma entriamo ancor più nel merito. Il disegno di legge, che il Presidente del Consiglio Massimo D'Alema, il sottosegretario di Stato per le comunicazioni Vincenzo Vita e pochi altri sostenitori hanno presentato in gran fretta il 4 agosto 1999, si compone di undici articoli e prevede il divieto di spot politici e forti limiti alla diffusione di sondaggi; esso disciplina, inoltre, l'accesso dei partiti alla propaganda sulle televisioni e nei giornali. Lo spot politico-pubblicitario viene sostituito dalla pubblicità politica, diversa da quella commerciale e praticabile, peraltro, al di fuori della campagna elettorale...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Rasi. Colleghi, per piacere. Onorevole Pinza, grazie.
Prego, onorevole Rasi.

GAETANO RASI. ...pena la sospensione delle trasmissioni, mentre la divisione degli spazi di propaganda televisiva (ossia le tribune elettorali, i dibattiti e le tavole rotonde) viene attuata in misura proporzionale alla consistenza dei gruppi politici.
L'introduzione del concetto di pubblicità politica è stata fortemente voluta dall'onorevole D'Alema; si tratta di spazi a pagamento che non possono interrompere le trasmissioni televisive, ma che devono essere inseriti nelle programmazioni delle reti ed avere una durata che garantisca l'esposizione di un programma o di un'opinione politica. «Non sono spot veri e propri», sostiene il Presidente del Consiglio, «perché non si può vendere la politica come fosse una lavatrice». Si devono far mini trasmissioni, ma ciò è in contrasto con tutte le teorie e le pratiche nel campo della comunicazione. In tale campo, è in corso un processo di affinamento proprio per poter giungere a sintesi che comprendano elementi anche diversi dal singolo argomento (riguardante la musica, i colori, un paesaggio) che, insieme con la parola, possano veramente dare completo significato al messaggio politico.

PRESIDENTE. Colleghi, per piacere, se non consentite che la seduta si svolga regolarmente, sarò costretto ad interromperla.


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ANTONIO LEONE. Buona idea, Presidente!

PRESIDENTE. La trovo anch'io buona.
Prosegua pure, onorevole Rasi.

GAETANO RASI. Dai provvedimenti accennati, emerge con evidenza la concezione pedagogica ed oscurantista che l'attuale Governo ha nei confronti delle campagne elettorali. Un campo delicato come quello della propaganda elettorale non si regolamenta basandosi sul divieto di Stato: sono i cittadini che debbono formarsi liberamente i propri convincimenti! Oggi, nella teoria e nella pratica, la comunicazione attraverso i media è considerata un elemento fondamentale della strategia politica e del successo elettorale, ma affermare che gli spot abbiano decretato il successo delle scorse elezioni, vuol dire sottovalutare gli elettori. Anche se la televisione è un rilevante strumento orientativo, il favore che i partiti del centrodestra sono riusciti a conquistare nelle ultime elezioni (ricordiamo per tutti il caso di Bologna) non dipende dall'uso delle reti televisive, ma semplicemente dalla concretezza e dalla serietà dei programmi che essi hanno saputo contrapporre alla politica della maggioranza governativa.
I sostenitori del disegno di legge dimenticano che il marketing politico non è un'invenzione del Polo, ma una pratica comune all'estero, anche negli Stati Uniti; lo è anche in Francia - citata spesso per sostenere falsamente che vi sarebbe regolamentazione della comunicazione politica - tanto è vero che lo stesso Mitterrand per la sua propaganda elettorale si faceva consigliare dal famoso pubblicitario Seguela. L'abilità della pubblicità sta proprio - come ho già detto - nel considerare vari elementi quali la musica, le immagini, le parole; un messaggio deve essere interessante, rilevante, esplicito, accessibile.
Togliere alla battaglia politica questa libertà nel mezzo di comunicazione, significa ridurla ad essere solo oggetto di comunicazione amministrativa, ossia proprio il sistema che viene usato nelle dittature!
Signor Presidente, onorevoli colleghi, concluderò il mio intervento facendo riferimento a quanto proprio un collega simpatico del mio gruppo, l'onorevole Armaroli, ha scritto recentemente su il Giornale. Egli si è così espresso: «La par condicio non mi piace. Non mi piace perché taglia a fettine la Costituzione, quasi che fosse un salame. Non mi piace perché si afferma di voler promuovere la comunicazione politica, mentre è vero l'esatto contrario. Non mi piace perché penalizza le reti televisive locali e discrimina quelle nazionali. Non mi piace perché i messaggi politici autogestiti hanno una durata compresa tra i 90 secondi e i 3 minuti; difatti, 90 secondi rappresentano un'eternità, che costerebbe un occhio della testa ai candidati e li costringerebbe alla rinuncia della pubblicità. Non mi piace perché la sovrapposizione di fonti normative assesterà un altro micidiale colpo alla certezza del diritto e questo disegno di legge si sovrappone ad altre numerose leggi che hanno così aggrovigliato questo argomento».
Signor Presidente, onorevoli colleghi, facciamo sì che l'Italia non si incammini verso una strada di riduzione di libertà nelle espressioni (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).

ANTONIO LEONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, vorrei un chiarimento. Dopo che lei ha tolto la parola ai nostri deputati perché il gruppo di Forza Italia aveva esaurito il tempo a sua disposizione, ha dato la parola al gruppo di Alleanza nazionale per il primo intervento dell'onorevole Zacchera. Erano invece iscritti a parlare diversi deputati del gruppo dei Democratici di sinistra, tra cui l'onorevole Guerra.

PRESIDENTE. Sono state ritirate le iscrizioni a parlare.

ANTONIO LEONE. Sono state ritirate? Siccome ho visto che lei non li ha chiamati...


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PRESIDENTE. Non li ho chiamati, perché quelle iscrizioni a parlare sono state ritirate.

ELIO VITO. Non interessa il confronto.

MAURO GUERRA. Siamo ad ascoltarvi!

ANTONIO LEONE. Volevamo ascoltarvi anche noi.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Antonio Pepe. Ne ha facoltà.

ANTONIO PEPE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i parlamentari del Polo delle libertà che hanno parlato prima di me hanno già ampiamente dimostrato i motivi che vedono la mia forza politica e le forze politiche nostre alleate contrarie a questo provvedimento. Il disegno di legge disciplina l'accesso dei partiti ai mezzi di informazione ed interviene sia per i periodi di campagna elettorale, intervenendo sulla legge n. 515 del 1993, peraltro con molti difetti di coordinamento come emerge anche leggendo il dossier della Camera, sia per gli altri periodi avendo come finalità annunziata quella di assicurare parità di trattamento e imparzialità fra tutti i soggetti politici. Si tratta però di una parità di trattamento che vi sarà solo sulla carta, potendo il Governo liberamente accedere ai mezzi radiotelevisivi, così alla RAI, anche al fine di diffondere notizie nei programmi d'informazione, così come prevede l'ultimo capoverso del comma 2 dell'articolo 2.
Quindi, il Governo potrà fare propaganda indiretta, potrà fare pubblicità indiretta attraverso notizie ed informazioni unidirezionali. È innegabile che anche le modalità di presentazione di una determinata notizia ...

PRESIDENTE. Colleghi, fate parlare, per cortesia.
Onorevole Savarese, la smetta per piacere. L'onorevole Antonio Pepe sta parlando al suo fianco!

ANTONIO PEPE. ...il tempo di presentazione, le sfumature, le cose dette o non dette possono influenzare l'elettore e quindi sono forme di manipolazione del consenso.
Colleghi, la televisione di oggi è la piazza di ieri, gli spot di oggi sono i manifesti di ieri. Vietare e ridurre oggi l'accesso ai mezzi di informazione, vietare oggi gli spot è come se ieri fossero stati vietati i manifesti o i comizi.
La proposta della maggioranza, con il suo impianto nettamente proibizionista a noi appare incostituzionale e sono certo che la Corte costituzionale, quando si pronuncerà su questo provvedimento, eccepirà questa incostituzionalità.
Il primo problema da affrontare è quello della costituzionalità o meno del provvedimento alla luce degli articoli 3, 21, 41 e 49 della nostra Carta costituzionale concernenti il principio di uguaglianza, la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà economica, la libertà di voto, la possibilità di determinazione della politica nazionale. L'articolo 21 assicura ad ogni cittadino la libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero con ogni mezzo di diffusione. Esso garantisce quindi il diritto di divulgare liberamente le idee anche al fine di convincere gli altri.
La Corte costituzionale ha definito l'articolo 21 la pietra angolare per l'attuazione del sistema democratico posto a base della nostra Costituzione, tant'è che ogni violazione e ogni compromissione dell'articolo 21 è una violazione o una riduzione del nostro sistema democratico. Se è vero come è stato scritto da politici oggi collocati a sinistra che il livello di democraticità di un paese può essere misurato proprio dal grado di libertà di manifestazione del pensiero in concreto assicurato ai cittadini, non v'è chi non veda che i divieti contenuti nella proposta al nostro esame di fatto costituiscono un vulnus per la nostra democrazia. Il consentire poi solo alle emittenti che offrono spazi di comunicazione politica gratuita la possibilità di trasmettere messaggi politici autogestiti (gratuiti o a pagamento), come


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previsto dal comma 1 dell'articolo 3, è un'evidente limitazione. Prevedere, inoltre, che gli spazi per i messaggi siano offerti in condizioni di parità di trattamento solo ai soggetti politici rappresentati nelle assemblee di cui al comma 2 dell'articolo 1 (come previsto al comma 4 dell'articolo 3) è un'ulteriore violazione dell'articolo 21 e dell'articolo 3 della Costituzione: si impedisce alle formazioni politiche, ai soggetti politici, ai potenziali candidati politici (potenziali, perché non ancora convocati i comizi), solo perché appartenenti a forze non presenti nelle assemblee per le quali si vota, di usufruire dei messaggi politici autogestiti.
Vi è poi il problema del referendum: nel comma 2 dell'articolo 1, laddove si disciplina l'ambito di applicazione della legge, si fa riferimento anche ai referendum, ma poi, al comma 4 dell'articolo 3, ci si dimentica degli stessi, in quanto i favorevoli e i contrari al quesito referendario non possono inviare messaggi politici autogestiti se non dopo la convocazione dei comizi elettorali, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, lettera d), qualora non siano presenti nelle assemblee di cui al comma 2 dell'articolo 1. Anche questa a me pare una norma non giusta, una non legittima limitazione, una violazione della norma costituzionale.
La libertà d'informazione tutelata dall'articolo 21 si basa su tre direttrici: libertà d'informazione, libertà di essere informati, libertà d'informarsi. Ora, è evidente che la televisione, la radio, i giornali adempiono il loro compito solo se sono liberi: se possiamo ritenere giusta una forma di controllo e di vigilanza sulle imprese di comunicazione, se possiamo ritenere giusto, per esempio, informare i cittadini che si è in presenza di spot, divieti come quelli contenuti nel provvedimento in esame, che sono una vera e propria limitazione alla libertà d'informazione, a noi appaiono inaccettabili.
Il diritto ad informare e contemporaneamente il diritto ad essere informati, che spetta a tutti i cittadini, sono in questo modo offuscati. Del resto, i limiti alla libertà d'informazione sono stabiliti dallo stesso articolo 21: sono vietate le manifestazioni che offendono il buon costume, il comune senso del pudore. Altri limiti nascono sempre dalla Carta costituzionale, che tutela e favorisce diritti che potrebbero essere compressi dalla libertà d'informazione: così è per il segreto di Stato, per il diritto alla riservatezza e all'onore delle persone, tutelati dagli articoli 2 e 3 della nostra Carta costituzionale, ma altri limiti non ve ne sono.
Del resto, il provvedimento viola anche indirettamente la libertà di scelta, perché per scegliere bisogna conoscere: libertà è possibilità di scegliere tra alternativa diverse, ma perché vi sia libertà, perché vi sia vera democrazia, non basta che vi siano alternative, è necessario anche che le alternative vengano conosciute da chi deve effettuare le scelte. Con il provvedimento in esame, quindi, si limita anche la libertà di scelta. Ridurre poi nei tempi la possibilità di illustrare i propri programmi, le proprie proposte, le proprie idee significa ridurre la possibilità di conoscere i programmi delle forze politiche in campo.
L'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo riconosce ad ogni individuo il diritto di ricercare informazioni e notizie, con qualunque mezzo diffuse, quindi il diritto ad informarsi a cui prima facevo riferimento. Ridurre, come fa il provvedimento, sia la possibilità di comunicazione politica, sia la possibilità di effettuare messaggi politici significa comprimere il diritto ad informarsi, che spetta ad ogni cittadino, anche alla luce di quanto appena osservato.
La libertà d'informazione favorisce anche la libertà di voto, prevista dall'articolo 48: nessuno, evidentemente, può essere obbligato a votare, o minacciato per la scelta di voto; la volontà non può essere coartata dalla promessa di favori ma ognuno deve essere libero di informarsi e di accedere a tutte le manifestazioni di comunicazione e poi di votare pienamente informato. La verità è che il diritto di libertà di antenna, diritto che tutela anche l'iniziativa economica privata di cui all'articolo 41 della nostra Carta costituzionale,


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significa anche libertà di manifestazione del pensiero con lo strumento radiotelevisivo; ebbene, anche questo la maggioranza vuole comprimere per esclusivi interessi di parte, nel tentativo di imbavagliare la comunicazione a proprio esclusivo vantaggio.
Le motivazioni della maggioranza non convincono, il richiamo all'Europa non è corretto perché in Germania non vi è alcun divieto e in altri paesi i divieti sono molto limitati. Se guardiamo agli Stati Uniti, poi, possiamo constatare che non esiste alcun divieto di spot. Il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 161 del 1995 è improprio perché la suprema corte non ha pensato ad alcun divieto, ma solo a limiti temporali contenuti ragionevolmente.
Nel predisporre il provvedimento il Governo, invece di limitare il diritto di informazione, avrebbe dovuto avere presente la raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del settembre del 1999, che invita al pieno rispetto della libertà d'informazione anche nel disciplinare la comunicazione politica. Anche il fatto di dire che il divieto assoluto di spot serve a tutelare chi non ha mezzi finanziari sufficienti è erroneo. Abbiamo da poco approvato la legge sul rimborso delle spese elettorali; ebbene, ognuno è libero di spendere i soldi che riceve come meglio crede, così come ogni candidato ha un limite di spesa e può spendere i soldi a sua disposizione come meglio crede: in spot, in manifestazioni, in cene. Qual è la ragione per la quale dobbiamo imporre, oltre al limite della spesa, che è corretto, anche il modo della scelta degli strumenti di comunicazione? Questo mi chiedo ed è evidente agli occhi degli italiani che il provvedimento in esame non è una legge che stabilisce la par condicio, ma una legge che tenta di mettere il bavaglio all'opposizione.
Il fine della proposta che oggi discutiamo è bloccare l'informazione e, quindi, impedire la più ampia comunicazione possibile. Tale proposta è stata criticata da numerosi giuristi, opinionisti ed uomini di cultura anche collocati a sinistra. Pensare di risolvere i propri problemi elettorali e politici, come fa la sinistra, vietando di acquistare qualche spot è qualcosa che poteva essere proposto solo da chi è poco attento alla pratica liberale e all'esercizio della cultura liberale. Non dobbiamo dimenticare, colleghi, che radio e televisione consentono di raggiungere la totalità dei cittadini, al contrario, ad esempio, dei giornali o dei manifesti. Penso ai malati, impossibilitati ad uscire e quindi a partecipare ai comizi o a leggere i manifesti; a loro impediamo di conoscere i programmi delle varie forze politiche, perché l'unico mezzo di informazione al quale possono accedere è la televisione. E noi la spegniamo? Penso, ad esempio, agli analfabeti che magari non possono leggere i manifesti, non possono leggere i giornali, ma possono ascoltare la televisione. E noi andiamo a spegnere l'unico mezzo di comunicazione e di informazione al quale costoro possono accedere?

DOMENICO GRAMAZIO. Bravo!

ANTONIO PEPE. Inoltre si viola l'articolo 49 della nostra Carta costituzionale; il compito che la nostra Costituzione ha attribuito ai partiti politici, infatti, è di concorrere alla determinazione della politica nazionale, ma per farlo occorrono consensi e i consensi possono e debbono ottenersi anche attraverso le informazioni e la diffusione delle proprie idee e delle proprie proposte. Impedire, anche solo parzialmente, la diffusione delle proprie idee significa limitare il diritto dei partiti politici a conseguire quei consensi necessari per far prevalere democraticamente le proprie idee, le proprie proposte, i propri programmi.
Colleghi, ci troviamo di fronte ad una disposizione che sconvolge le regole della comunicazione e che altera la giusta dinamica di accesso ai mezzi di informazione. La verità è che il Governo, con un trucco, sta cercando di spegnere la voce dell'opposizione. Nell'era della tecnologia, della forte spinta verso la comunicazione globale, invece di favorire la diffusione del


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pensiero e delle idee in modo totale, assistiamo a forme di censura, di limitazione dell'espressione dell'opposizione. La maggioranza sta varando un provvedimento antistorico, antiliberale, che lede fortemente gli interessi dei cittadini che, in primo luogo, hanno diritto ad essere informati in modo completo ed esauriente. La verità è che quello che fa paura al Governo ed alla maggioranza non sono gli spot, ma la possibilità di propagandare un messaggio politico vero, convincente. Si tenta di zittire chi ha fatto un investimento in idee politiche e cerca di comunicarle.
Quello che ci lascia ancora più perplessi è che la vera anomalia del sistema delle comunicazioni in Italia è forse costituita dalla carta stampata, dallo spettacolo, dalla cinematografia, ma il Governo non ha fatto nulla a questo proposito. Se di par condicio si deve parlare, ci si deve occupare di tutto il sistema delle comunicazioni.
La nostra battaglia non è in difesa di privilegi, ma è per la libertà e per il futuro democratico del nostro paese. Siamo sinceramente convinti che ridurre la possibilità di comunicare il proprio programma sia una limitazione gravissima per l'opposizione, ma sia una limitazione ancora più grave fatta ai danni dei cittadini, che si trovano nella condizione di non poter capire e che, per tale motivo, potrebbero sempre più disaffezionarsi alle istituzioni ed alla politica.
La sinistra sta attuando una politica legislativa punitiva, all'indomani di sconfitte elettorali cocenti ed alla vigilia del nuovo appuntamento elettorale costituito dalle prossime elezioni regionali.
Per tutti questi motivi Alleanza nazionale è contraria al provvedimento e continuerà a manifestare il proprio dissenso e la propria avversione nei suoi confronti, sempre nel rispetto delle leggi e nell'ambito di un corretto svolgersi della dialettica, anche forte, tra maggioranza e opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Aloi. Ne ha facoltà.

FORTUNATO ALOI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il dibattito in corso certamente offre la possibilità di fare valutazioni articolate. L'argomento è racchiuso nell'espressione «par condicio»: si tratta di una legge che è stata messa in campo in un momento molto sospetto della storia politica di questo paese ed è questo sospetto che fa nascere serie perplessità, se non grandi preoccupazioni.
Il problema della par condicio è legato al problema della libertà. Si è tanto discusso di libertà: qualcuno ha detto che la democrazia è la libertà, ma la libertà è il coraggio. Questa espressione è stata usata da un Presidente degli Stati Uniti d'America, che aveva affermato il principio del rapporto tra libertà, democrazia e coraggio.
Stiamo affrontando il problema della libertà di informazione: credo che la nostra società, ormai nel terzo millennio, debba pur fare i conti con tale questione. Chi riesce a gestire questo settore riesce indubbiamente ad avere una posizione di privilegio, se non egemonica, come direbbe qualche pensatore di sinistra.
Indubbiamente il problema della libertà di informazione riguarda tutti i settori e non deve essere posto solamente quando vi sono prove elettorali alle porte. È chiaro che, nel momento in cui ci sembra - dico «ci sembra», perché si può osservare che ciò è opinabile - che la libertà di informazione venga messa in discussione, la sua difesa è importante. Dico ciò non perché da parte nostra si vogliano difendere posizioni precostituite, perché è chiaro che, nell'alterna vicenda delle cose politiche, soprattutto in un sistema che si vuole definire bipolare, si realizza, o dovrebbe realizzarsi teoricamente, l'alternarsi di forze politiche.
Ricordo che molti anni fa, mentre questa parte politica attuava il filibustering, in quanto esso era accettato e si diceva che facesse parte della logica delle democrazie parlamentari, da parte delle sinistre si chiese ad un Presidente della


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Camera, un Presidente di sinistra, di stroncare l'opposizione di destra. Ebbene, quel Presidente - ciò va a suo onore, come ricorderanno gli anziani - rispose che se avesse dovuto fare una cosa del genere, avrebbe rassegnato le dimissioni in quanto, si fosse trattato di destra o di sinistra, vi era da difendere una libertà che non è affatto legata i momenti contingenti della storia politica e parlamentare del paese.
Signor Presidente, signor ministro, ho voluto fare questo richiamo storico per sottolineare che non stiamo conducendo questa battaglia per noi - nos, non pro nobis, come direbbe qualcuno - ma perché si salvaguardi un principio per tutelare e salvaguardare il valore della libertà e della democrazia.
Non voglio scomodare la problematica sottesa alla logica della società mass-mediologica, che impone scelte ed orientamenti di diverso tipo: il pluralismo è indubbiamente un elemento di grande valore e di grande significato sotto il profilo dell'informazione. Non evocherò nemmeno la fisolosofia di Mc Luhan, il padre della scienza della comunicazione il quale, rispetto ai pericoli di un certo tipo di informazione televisiva, aveva una sola soluzione, quella di staccare la spina, in quanto non vi sarebbe altra possibilità di difesa dai pericoli dei mass media (parola latina, quest'ultima, e non inglese) televisivi.
Sulla problematica in esame, la destra e Alleanza nazionale si pongono in sintonia con le altre forze del Polo a difesa, non di posizioni di privilegio, ma di valori e di principi che, a mio giudizio, sono importanti anche rispetto a ciò che, in futuro (a breve o a media scadenza), potrebbe accadere.
Mi chiedo: riteniamo che il disegno di legge sulla par condicio possa raggiungere veramente l'obiettivo di fare in modo che coloro che si trovano ad essere utenti del mezzo televisivo o della radio o abbiano l'interesse ad accedere ad altri mezzi di informazione siano tutelati e siano messi sullo stesso piano? Non accade, piuttosto, qualcosa di strano? L'equivoco, infatti, è già nella premessa, come ha ben sottolineato l'onorevole Anedda, laddove si parla di soggetti politici. Chi sono i soggetti politici? Sono i candidati, i movimenti politici, i partiti? Al riguardo, si sarebbe potuta e dovuta fare chiarezza per evitare alcune conseguenze. Infatti, se per soggetti politici si intendono i candidati, c'è da chiedersi che cosa succederà: vi sarà la ressa davanti alle televisioni per rivendicare il diritto alla cosiddetta par condicio? Ci troviamo, dunque, di fronte ad un provvedimento che rispetto alla normativa esistente crea zone che mi piace definire di frizione giuridica, se non di conflitto e di contrasto giuridico.

PRESIDENTE. Onorevole Aloi, deve concludere.

FORTUNATO ALOI. Resta da definire, dunque, la questione relativa ai soggetti politici, così come è da definire la questione degli spot elettorali. Soffro, forse, di un limite: quello di coloro che insegnano e vanno socraticamente alla ricerca delle definizioni dei concetti. Qual è la motivazione per cui si ritiene di dover rifiutare lo spot elettorale? Cos'è, poi, lo spot? Diamone una definizione. È, sì, un messaggio, ma rapido, diretto, immediato, che finirebbe quasi (mi pare sia questa la sostanza della questione ed il motivo del rifiuto) per impedire l'attivazione di un filtro critico da parte del soggetto destinatario dello spot stesso. Si avrebbe quasi un soggetto indifeso da salvaguardare: voglio interpretare nel senso migliore la motivazione per cui si vuole rifiutare lo spot. Ma è così? Le cose stanno veramente così, siamo convinti che il problema dello spot si muova in questi termini? Ricordo certe pagine di scienza della comunicazione in cui si parlava del rapporto tra il momento in cui il messaggio arriva all'individuo ed il momento in cui scattano le capacità critico-analitiche: ad un certo punto, si determina una situazione che finisce per impedire all'individuo di rivendicare la sua autonomia di giudizio e quindi la sua libertà.
È un passaggio che voglio porre in termini problematici, sia ben chiaro, ma


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non è un passaggio astratto, perché la questione viene riferita in modo particolare al capo dell'opposizione, all'onorevole Berlusconi, che avendo la possibilità di fruire (è questa una delle tante accuse che si muovono, a mio avviso a torto) di strumenti televisivi (Mediaset ha tre reti televisive) si trova nella condizione di poter monopolizzare, egemonizzare il mondo degli spot e quindi di impedire agli altri soggetti politici - ancora da definire - la possibilità di accedere alle televisioni e quindi di poter competere con pari dignità dal punto di vista dell'accesso a questi mezzi di informazione. Ma io voglio fare un po' l'avvocato del diavolo. Berlusconi certamente ha detto e ripetuto che offre la possibilità di libero accesso alle sue televisioni. Certamente ci troviamo di fronte ad un dato importante: qualcuno ha rilevato in precedenza che vi è il contributo pubblico che viene erogato ai partiti, del quale questi ultimi possono disporre nella maniera che loro aggrada. Vedete, io non faccio discorsi intrisi di piaggeria, tutt'altro, il mio discorso è critico, vorrei che lo si tenesse presente, perché rivendico la mia autonomia e la mia dignità di uomo libero in tutti i campi e nei confronti di chicchessia. Allora mi chiedo se sia possibile pensare, proprio perché si ritiene che Berlusconi possa usufruire di un numero infinito di spot - qualche collega ha già sollevato tale questione -, che una società quotata in Borsa possa davvero offrire gratuitamente spazi pubblicitari. Io credo che un simile trattamento non lo si possa riservare neanche al proprio principale azionista, perché è chiaro che poi c'è anche la logica dei bilanci - almeno credo, non mi si dica che sono un ingenuo - che ha un peso rilevante dal punto di vista della gestione dell'azienda. Vorrei però aggiungere che non esistono solo le reti di Mediaset, ma c'è anche la televisione pubblica ed è chiaro che bisogna fare delle riflessioni anche a questo proposito. Chi ha una certa esperienza politica ed ha qualche anno in più rispetto ai giovani - uso un eufemismo - indubbiamente sa che negli anni passati la televisione di Stato era lottizzata. Il primo canale era democristiano, il secondo socialista ed il terzo comunista. Questa era la lottizzazione.

ALFREDO BIONDI. Vorrei sapere com'è ora.

FORTUNATO ALOI. Adesso la situazione si dice sia un pochino diversa, ma a me non sembra. Signor ministro, vorrei dirle una cosa importante. Siccome chi ha qualche anno in più va a dormire un po' tardi la sera, è probabile che gli capiti di vedere una trasmissione che va intorno all'una di notte. Mi riferisco ai programmi educativi. Ebbene, non ho mai visto - cosa strana - un docente, universitario o di liceo, che non sia allineato solo su una posizione. Quando vedo questo programma, resto esterrefatto, anche perché a volte si affrontano argomenti che suscitano reazioni in un uomo che crede profondamente in certi valori.
Ritengo vi sia un meccanismo che il legislatore ha capziosamente inserito nel disposto dell'articolo 8 del provvedimento, che rappresenta il punctum dolens. Si tratta di una questione criptoideologica. L'articolo 8 stabilisce che dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione - fin qua nulla quaestio - ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabile per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni: qui è la criptocapziosità! Amici miei, nell'ultima parte del comma 1 dell'articolo 8 vi è la scappatoia per affermare che il Governo, il ministro delle comunicazioni o il ministro della pubblica istruzione (che oggi ha capito che era necessario sospendere il provvedimento infame concernente il maxi concorso dei docenti) possano far passare qualsiasi notizia, specie se esalta le grandi realizzazioni del Governo. Questa parte più capziosa consente l'escamotage e la scappatoia.
Signor Presidente, non possiamo accettare questo provvedimento, perché non è possibile pensare che, in un mondo in cui


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il sistema delle comunicazioni e delle informazioni vede moltiplicarsi gli spazi - basta pensare ad Internet ed alla tv satellitare -, alcuni soggetti politici non possano liberamente esprimersi. È allora un attentato alla libertà? Una limitazione della libertà? Dirò semplicemente una cosa: è un provvedimento che non esalta questo Governo, un espediente che finisce con l'offendere l'intelligenza, la sensibilità di chi fa politica, di chi è impegnato in politica, di chi crede nella politica e di chi crede che la politica sia la più alta espressione (arte per taluni, scienza per altri) dell'uomo.
Signor Presidente, ella ha scritto un libro, che io sto leggendo, sulle due libertà. Forse non ci sono le due libertà...

PRESIDENTE. A proposito di spot...!

FORTUNATO ALOI. Bravo! Io posso dire queste cose finché la legge non viene approvata, ma poi il discorso è chiuso!

PRESIDENTE. Ha ancora venti secondi a sua disposizione! Deve quindi accelerare.

FORTUNATO ALOI. Nemmeno questo posso dire del suo libro?

LUIGI MASSA. Lo spot di un libro è sempre consentito!

FORTUNATO ALOI. Signor Presidente, ciò che voglio dire è che quello della libertà è un problema importante, un problema che passa attraverso la libertà di informazione, i mass media, lo strumento televisivo e i giornali. Se noi oggi facciamo passare questo provvedimento, forse porremo una pesante pietra tombale - non voglio portare avanti un discorso che è poco esaltante - sulla democrazia e sulla possibilità anche per coloro i quali potranno diventare opposizione nelle prossime elezioni di sentirsi tutelati.
Noi riteniamo di aver fatto per intero il nostro dovere al fine di tutelare con la libertà la posizione e i diritti dell'opposizione di oggi ma anche di quella di domani, che mi auguro non sia la nostra (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Uno dei motivi del forte contrasto su questa legge è determinato dal momento in cui se ne discute. Siamo infatti a due mesi dalle elezioni regionali.
Credo che nessuno abbia dimenticato che con la stessa normativa, il centrosinistra ha vinto le elezioni del 1996. Vedere che, a soli due mesi da una campagna elettorale, si vuole approvare una legge che rimette in discussione le regole, impone alla minoranza, alla opposizione, di fare il proprio dovere.
Quando i carri armati sovietici invasero Budapest - io non l'ho dimenticato - ci fu soprattutto la rivolta dei giovani, degli studenti universitari e quando il popolo fu piegato e i giovani finirono sotto i carri armati, e l'Occidente non lo sapeva perché arrivavano soltanto delle voci non confermate per cui non si conosceva il dramma che stava avvenendo in quel paese, furono le radio libere di Budapest, che chiedevano tra l'altro aiuto all'Occidente, a comunicare a quest'ultimo le notizie. Radio libere che ad una ad una caddero sotto i colpi delle milizie sovietiche. Senza quelle radio libere l'Occidente non avrebbe mai potuto conoscere a fondo la criminalità comunista che in quel paese, in nome di un partito e di una ideologia, sopprimeva la libertà e uccideva giovani vite che magari erano anche comuniste ma volevano la libertà. A Budapest i giovani non manifestavano il nome del nazismo o del fascismo né di un'altra ideologia, ma per la libertà.

GIACOMO BAIAMONTE. In nome della libertà!

TEODORO BUONTEMPO. Quelle radio libere rappresentavano la possibilità di credere ancora nella libertà. Vorrei ricordare che in Italia la libertà d'antenna e


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d'informazione e il pluralismo nell'etere non ce lo hanno regalato nessuno, non è che un bel giorno si siano svegliate alcune forze politiche, lo Stato e il Governo dichiarando che non fosse giusto il monopolio dello Stato! Ci furono anni di battaglie sui monti delle grandi città per difendere un traliccio o un'antenna dai pretori che venivano a sequestrarli e a mettere i sigilli alle radio e alle televisioni. Anche allora, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, la politica non solo non riuscì ad anticipare i tempi, ma partecipò alla repressione della libertà di antenna.
Vi furono processi finché tutto ciò non divenne un fatto ineliminabile dalla democrazia del nostro paese. Migliaia di piccole radio, di piccole televisioni e di piccoli imprenditori finirono sui banchi del tribunale, sotto accusa, perché spezzavano il monopolio della televisione di Stato. Nessuno allora impediva ad Agnelli, a De Benedetti o alle grandi imprese di intervenire nel settore delle emittenti radiotelevisive per avere un loro spazio e per renderlo sempre più pluralista. Molti ci provarono e non ci riuscirono; ci provò anche Silvio Berlusconi che, invece, ci riuscì.
Vorrei evidenziare per il leader del Polo Berlusconi, e per il presidente del mio partito, Fini, che qui riecheggiano le parole di libertà, ma tutti partecipano - e mi dispiace che il Polo sia tra questi - al coro di criminalizzazione di un leader politico, Haider, che in Austria è stato liberamente eletto dal popolo. Lì non c'erano i carri armati ad imporre una volontà e un'ideologia! Si può, come ha detto il presidente del mio partito, non condividere Haider, le sue idee, il suo partito, ma la sinistra europea non può permettersi di isolare un paese libero e democratico e di minacciare sanzioni e l'isolamento dal contesto internazionale di un paese che ha dato il 25 per cento dei voti ad un partito, sulla base di un programma in cui non c'è razzismo né odio. L'Europa può esserci, deve esserci, ma non può schiacciare la sovranità di un popolo, la sua identità nazionale, l'ancoraggio alle sue radici e alle sue tradizioni.
Non si può consentire proprio qui a Montecitorio, mentre tutti, a cominciare dal Polo, parlano di libertà, il linciaggio politico e morale di un uomo che ha la colpa di aver preso non lo 0,5 per cento, ma il 25 per cento dei voti! Un uomo di Governo lo si giudica dagli atti che compie e, se tali atti sono contrari alla cultura di libertà, di rispetto e di pluralismo dell'Europa, è giusto condannare quell'azione di Governo. Si alzano però gli steccati prima ancora di conoscere il programma per l'Austria e si sostiene che non si può governare perché non si è graditi alla sinistra, questa sinistra europea che vuole governare, cancellando in Francia il 15 per cento dei voti della destra di Le Pen, che ottiene appunto quella percentuale di consensi senza avere una rappresentanza parlamentare. Vorrei vedere quanti voti otterrebbero il Partito popolare, l'UDR e tanti altri partiti italiani senza avere propri membri alla Camera e al Senato. In Francia il 15 per cento dei voti viene cancellato dal contesto civile e politico; i deputati di Le Pen possono rappresentare la Francia al Parlamento europeo, ma non nel loro paese.
La sinistra, quindi, oggi ci dice qual è la politica buona e qual è quella cattiva, a prescindere dal voto democratico e dal rispetto delle libere elezioni. Ecco il contesto in cui si colloca il provvedimento che si vuole far approvare. Esso si cala in una logica secondo la quale la sinistra ha vinto le elezioni del 1996 con una legge ed oggi che vede in pericolo quel risultato elettorale vuole cambiarla. Quello che accade ad Haider si prepara allora anche in Italia e mi dispiace che Silvio Berlusconi non abbia capito che la criminalizzazione che oggi si verifica contro Haider domani può avvenire nei confronti suoi, di Fini e di chiunque vinca le elezioni contro la sinistra.
Nel momento in cui il disegno di legge al nostro esame prende come bersaglio la questione degli spot televisivi, il partito popolare, proprio in queste ore ed in questi giorni, si serve di una radio privata sulla quale trasmette spot tutti i giorni, a ripetizione (non so se voglia imitare Berlusconi


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o se ritenga che quello sia un metodo). Il partito popolare, quindi, ogni giorno ci fa riecheggiare i suoi spot.
Quanto ai giornali abbiamo assistito ad un piccolo esperimento: si votava per l'autonomia di Ostia e, chiusa la campagna elettorale il venerdì, non era più possibile distribuire un volantino fare un comizio e quant'altro. Ebbene, Il Messaggero di Roma ha pubblicato il sabato - quando vi era il silenzio elettorale - un'intera pagina con un'intervista al sindaco di Roma, il quale dichiarava la sua contrarietà.

ALFREDO BIONDI. È un bel ragazzo!

TEODORO BUONTEMPO. Dunque, i giornali, la carta stampata, nei giorni del silenzio elettorale continuano con i redazionali, con articoli, interviste ed annunci di manifestazioni a pagamento, con un costo non inferiore a 450 mila lire a millimetri di spazio e vediamo facce che riempiono i quotidiani a pagamento. Lì non ci sono regole, non c'è la democrazia in pericolo, non c'è il pluralismo.
Mi chiedo allora perché si dovrebbe consentire che in un paese ci sia Agnelli, il quale prende una fetta consistente dei soldi della previdenza sociale, lo stipendio differito dei lavoratori, e della rottamazione, che è un provvedimento votato dal Parlamento; il padrone assoluto della stampa, sulla quale fa campagne di odio contro la destra, può essere però senatore a vita, riverito e rispettato. Abbiamo Cecchi Gori, e non è colpa nostra se il suo livello è inferiore a quello di Berlusconi o di altri (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia). Egli ci prova, come ha fatto con i film, tingendosi i capelli, le ha provate tutte. Non ci riesce, noi cosa possiamo fare? Se si segue con una certa costanza Telemontecarlo, ci si rende conto di quanti spot in termini politici vengano trasmessi, questo è il problema.
Mi dispiace che la contrapposizione non abbia consentito di sottolineare che il provvedimento in esame andrebbe inquadrato in un contesto di più vasto respiro, concernente la regolamentazione complessiva del rapporto tra politica ed informazione; tale regolamentazione in Italia è necessaria, ma ad essa non si può provvedere «a pezzi». È una vergogna, Presidente, che dal 1979 ad oggi non sia stata ancora approvata la legge che disciplina le reti private, che rappresentano una grande realtà. La mancata regolamentazione, infatti, determina ciò che è accaduto alle televisioni, ossia che vengano cacciate dal mercato le emittenti libere, che sono la proiezione delle associazioni e delle comunità, finché non arriva Paperon de' Paperoni, che si compra le radio in fallimento per creare poi network nazionali.
La politica deve anticipare tutto ciò, così come deve anticipare le regole per Internet; la politica non si può permettere di subire e poi di lanciare l'allarme.
Nel difendere la par condicio e la libertà, invito il Polo a non partecipare al coro, secondo me immorale, che sta criminalizzando Haider e che abbiamo ascoltato nei giorni scorsi. D'Alema, che faceva il cortigiano e che è andato a mangiare le sardine con Bossi e Buttiglione a Montesacro, oggi paragona Bossi ad Haider (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e della Lega forza nord per l'indipendenza della Padania)! Vi rendete conto dell'ipocrisia, della bugia! D'Alema è andato nel monolocale di Bossi, in una serata un po' triste: il tavolino, una scatoletta di sardine, cenare con Buttiglione... Invidio gli amici del Polo, che sono capaci di cenare, di farsi tradire, di invitarlo di nuovo a cena; quello si «fotte» la cena e se ne va via con tutto il companatico...

PRESIDENTE. Era modesta come cena, peraltro. La sardina, francamente...

TEODORO BUONTEMPO. Nonostante l'opposizione, sbagliando, non abbia fatto cadere il Governo quando si è posta la questione dell'Albania, privilegiando i valori del paese ed il rispetto del nostro Parlamento, ascoltiamo oggi D'Alema affermare che Bossi è uguale ad Haider; ciò


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non è vero. Si tratta di un paragone ignobile del marxismo-leninismo, che non abbandona mai l'idea di criminalizzare gli avversari.
Ciò non lo si ferma con l'opposizione, dopo che le abbiamo regalato, onorevole Presidente, un regolamento che, secondo me, è difficile da approvare senza avere un'idea strana della politica, dove pare che l'inciucio debba dominare sempre e comunque. Oggi abbiamo un regolamento che fa diventare l'opposizione una farsa; infatti, nel momento in cui si conoscono già il giorno, l'ora ed il minuto in cui un provvedimento verrà votato, l'ostruzionismo fa ridere, diventa un teatrino. Se è vero che è la libertà - e non gli interessi di Silvio Berlusconi, come io credo - ad essere in pericolo, invito Silvio Berlusconi, quando cita i nomi di alcuni uomini della storia del novecento, ad essere molto cauto, a stare molto attento e a leggersi - oltre alla storia del comunismo - anche l'altra storia perché, fino a quando non si giunse alla guerra mondiale e alla guerra civile, vi fu anche chi costruì l'Italia moderna e portò questo paese, che era allo sfascio, verso l'industrializzazione! Poi si può non condividere, tuttavia non è possibile accettare le banalizzazioni della politica.
In conclusione, vorrei ringraziare il gruppo di Alleanza nazionale per avermi concesso quindici minuti di tempo: sono tanti, anche perché in genere mi viene assegnato un minuto, mezzo minuto o tre secondi...
La ringrazio, Presidente, sono commosso di tanta generosità.

PRESIDENTE. Anch'io.

TEODORO BUONTEMPO. Mi auguro che vi siano ancora spazi di ripensamento perché, se si approvasse questo disegno di legge alla vigilia della campagna elettorale, al di là delle volontà anche di coloro che la sostengono, si rischierebbe di fare una legge inquietante ed equivoca, che gli italiani non accetteranno. Rischieremmo, quindi, di spaccare l'Italia in due non sulla libertà - che è ben difesa qui, in Europa, in Austria e nel mondo dell'est e ovunque è in pericolo - ma di creare due fazioni tra loro contrapposte, mentre aumentano il disagio sociale e la disoccupazione. Rischieremmo inoltre, mentre la nostra gioventù va verso la droga, di continuare a discutere di par condicio.
Io credo invece che dovremmo riportare questa occasione ai valori veri della politica: occorrerebbe quindi un messaggio, un segnale da parte del Governo, che si può discutere questa legge dopo le campagne elettorali e non prima delle stesse (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e della Lega forza nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Questo è l'ultimo intervento della serata, perché era previsto che la seduta si concludesse alle 22.
Avverto che il prossimo intervento sarà quello dell'onorevole Benedetti Valentini e che al gruppo di Alleanza nazionale sono rimasti circa sei minuti (vedremo domani).

PAOLO ARMAROLI. Si doveva finire alle 22.

PRESIDENTE. Il suo orologio come va?
Il seguito del dibattito è pertanto rinviato alla seduta di domani.

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