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TESTO AGGIORNATO AL 26 GENNAIO 2000
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
LUIGI MASSA, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, il provvedimento del quale stiamo discutendo, recante le norme relative alla cosiddetta par condicio, come ella si è ben reso conto, ha sollevato e non mancherà di sollevare polemiche aspre, tanto in Parlamento che nel mondo politico e tra la gente. Ciò non è dovuto tanto, o soltanto, alla delicatezza della materia che inerisce a diritti costituzionalmente protetti, quanto al fatto che nel mondo d'oggi l'uso a fini propagandistici di mezzi di comunicazione determinanti, quali le televisioni, è capace di indurre condizionamenti elevati nei comportamenti di parte consistente dell'opinione pubblica.
costituzionale, poiché si è detto, come è accaduto anche oggi per le pregiudiziali, che sarebbe eccessivamente limitativa dei diritti di libertà di espressione del pensiero. Gli interessi in gioco sono così elevati che non vi è dubbio che si apriranno contenziosi, ma posso onestamente affermare la mia convinzione che i giudici delle leggi, qualora di tale vicenda venissero investiti in futuro, non potrebbero non tenere conto di quell'aspetto affatto secondario che ho citato prima, vale a dire l'inusuale presenza sul terreno di gioco di un soggetto imprenditoriale in possesso di mezzi di comunicazione potenti, che partecipa anche alla competizione elettorale, concentrando buona parte della sua strategia propagandistica proprio sull'uso di quegli strumenti che sono così delicati da imporre, senza che mai nessuno abbia contestato tale diritto-dovere dello Stato, l'uso della concessione, che sempre si impone di fronte ad un bene pubblico strategico o limitato. I giudici delle leggi, nella loro autonoma valutazione, terranno certamente conto, come giustamente affermato dal presidente emerito della Corte costituzionale Paladin in margine ad un recentissimo convegno alla Camera dei deputati, che la Carta costituzionale si è tradotta, in virtù della sua storia cinquantennale, in costituzione vivente, che non può essere contrapposta alla Costituzione scritta ma deve rappresentare lo sviluppo di quei disposti e di quei principi.
dovrò ripresentare al Comitato dei nove, che si riunirà domani alle ore 17; li trasmetterò ai capigruppo in Commissione affinché li valutino preventivamente e propongano, eventualmente, subemendamenti o proposte di riformulazione, che sarò ovviamente lieto di esaminare con attenzione. Ho presentato questi emendamenti dopo aver ascoltato un dibattito lungo ed approfondito e dopo aver udito illustri costituzionalisti ed esperti nell'uso dei media, avendo rilevato come anche fra coloro che hanno svolto ruoli rilevanti presso la Corte costituzionale le opinioni e gli accenti risultino diversificati. In quel confronto, che ha visto mobilitata l'opposizione, ho registrato, come relatore, insieme a sottolineature legate, a mio modesto parere, alla difesa di un interesse di parte riconducibile a quell'irrisolto conflitto di cui prima parlavo, anche sollecitazioni a riflettere sulla necessità di non limitare in modo eccessivo l'opportunità di evoluzione di un sistema di propaganda ed anche di un sistema di comunicazione politica che va mutando con il mutare dei tempi e dei mezzi in gioco.
l'orientamento del Senato che prevedeva l'obbligatorietà per le emittenti del servizio pubblico radiotelevisivo e la facoltatività per quelle private. Si è scelto di differenziare non tanto il rapporto tra servizio pubblico e privato, quanto quello tra l'emittenza radiotelevisiva nazionale e quella locale. La prima è obbligata a fornire programmi di comunicazione politica, la seconda ne ha invece solo la facoltà. La ratio della norma va ricercata nel peso complessivo che ha l'emittenza radiotelevisiva nazionale rispetto a quella locale nel numero dei contatti effettuati. Non può essere escluso dall'emittenza nazionale, comunque essa sia, l'esercizio del diritto di cui all'articolo 21 della Costituzione sulla libertà di manifestazione del pensiero, coniugato con quello di cui all'articolo 48, sul diritto ad essere informato al fine dell'esercizio del diritto di voto, e dell'articolo 49 sulla libertà di associarsi in partiti politici.
emittenti private è diverso da quello pubblico ed ha una normativa generale separata in cui il ruolo dell'autorità è pregnante. Non si può certo - sarebbe irragionevole - sottrarre alla vigilanza dell'autorità il comparto privato solo per la comunicazione politica, creando un evidente conflitto di poteri, ad esempio per quelle trasmissioni «di frangia», in cui vi è sia comunicazione politica che intrattenimento di altro genere.
PRESIDENTE. Ha ancora un minuto.
LUIGI MASSA, Relatore per la maggioranza. Non avevo trenta minuti?
PRESIDENTE. No, venti minuti e poiché devo essere rigido con tutti sui tempi...
PAOLO ARMAROLI. Ne ha trenta. Questa sera è nervoso, signor Presidente.
LUIGI MASSA, Relatore per la maggioranza. Chiedo scusa, avevo un'indicazione diversa. Taglierò il mio discorso, non c'è alcun problema.
PRESIDENTE. Ricordo che per quanto riguarda la relazione anche il professor Pericu pose tale questione. Lei dispone di venti minuti.
LUIGI MASSA, Relatore per la maggioranza. Le chiedo l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna delle ulteriori considerazioni.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente.
LUIGI MASSA, Relatore per la maggioranza. Concludo rapidamente.
PRESIDENTE. Onorevole Massa, ho l'obbligo di farle rispettare i tempi.
LUIGI MASSA, Relatore per la maggioranza. Allora consegno anche la risposta relativa al parere del Comitato per la legislazione.
PRESIDENTE. Sì, ma le ricordo che lei ha anche dieci minuti per replicare.
PAOLO ROMANI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, pochi ma pazienti, la normativa sulle campagne elettorali per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica è attualmente dettata dalla legge n. 515, approvata dal Parlamento italiano nel 1993. Di volta in volta tale normativa è stata integrata e specificata con i provvedimenti del garante per la radiodiffusione e l'editoria e, dopo l'entrata in vigore della legge n. 249, dell'autorità per le garanzie delle comunicazioni. A tali provvedimenti si sono aggiunti i codici di autoregolamentazione dei gestori dei mezzi di diffusione, editori ed emittenti radiotelevisive.
in conseguenza dell'esplicazione della seconda, soprattutto quando questa pretenda di manifestarsi in forma pubblicitaria. Si rende così palese il carattere dirigistico e paternalistico del regime culturale che il Governo vorrebbe imporre nel nostro paese, nello sconfortante presupposto che i cittadini, titolari della sovranità popolare, si trovino in condizione di minorità e abbiano bisogno di essere tutelati e difesi dalle aggressioni e dalle suggestioni del libero pensiero.
sede evocare alcune argomentazioni da me richiamate nella seduta della I Commissione questa mattina. Non abbiamo avuto il tempo per approfondire alcuni di questi termini, ma ho avuto l'impressione che su alcuni di essi, da parte di alcuni membri della maggioranza, ci fosse quanto meno un cenno di interesse: di questi tempi, di fronte alle proposte della minoranza, ciò non è poco!
fossero soltanto i punti critici che ho cercato di elencare in precedenza, ho l'impressione che qualche ripensamento in merito a questo provvedimento dovrà esservi.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Armaroli.
PAOLO ARMAROLI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, sulla evoluzione degli ordinamenti giuridici Norberto Bobbio ha scritto alcune pagine che la sinistra, la quale rende di continuo omaggio al maestro, dovrebbe tenere bene a mente. Bobbio sostiene che esiste una fondamentale differenza tra gli ordinamenti giuridici di ieri e quelli di oggi; gli uni, non illuminati ancora dalla liberaldemocrazia, in definitiva si fondavano su comandi e divieti; gli altri, depurati dalle scorie autoritarie, sono essenzialmente caratterizzati da incentivi e disincentivi.
L'onorevole Mussi una volta disse alla Camera: «Non domandateci da dove veniamo, ma dove andiamo». È per l'appunto questo che ci preoccupa. La preoccupazione aumenta ancora di più quando l'onorevole Veltroni, scimmiottando Alberto Sordi nella parte di Nando Moriconi in Un americano a Roma, fa l'americano. I care, dice: vale a dire, mi preoccupo. Anziché concedersi un po' di riposo, il segretario dei Democratici di sinistra si preoccupa di tutto e di tutti, anche di noi, se non ci inganniamo, deputati dell'opposizione. Preoccupato com'è, finisce con il fare e con il far fare passi falsi.
condicio presentata dal Polo e sulla quale in Commissione la maggioranza ha steso un colpevole velo di silenzio.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Follini.
MARCO FOLLINI, Relatore di minoranza. Sono schiacciato dall'ironia del collega Armaroli!
GUSTAVO SELVA. Non è detto!
MARCO FOLLINI, Relatore di minoranza. Temo sia detto!
i candidati ai mezzi di informazione. Sono e resto convinto che una buona regola si fonda sull'accesso e non sul divieto.
PRESIDENTE. In questi casi, avverto un minuto prima della scadenza.
MARCO FOLLINI, Relatore di minoranza. Concludo, allora, cercando di svolgere due o tre considerazioni (avrei voluto farne di più) relative agli aspetti politici della questione che abbiamo di fronte.
un'attenzione verso alcuni aspetti della normativa europea che, però, non tiene conto del fatto che esiste una sorta di anomalia complessiva del sistema dell'informazione italiana alla quale dovrà pure essere posto rimedio. Affrontare, allora, tale argomento solo dal lato della convenienza di maggioranza, mi pare un atto che non promette nulla di buono in ordine alle regole, anche elettorali, che insieme tante volte ci siamo ripromessi di fissare; tale atto introduce un elemento di velenosità nel confronto politico del quale tutti (anche noi) faremmo volentieri a meno e che rischia di riprodurre uno squilibrio che porta, come è consuetudine storica nel nostro paese, i maggiori privilegi a chi ha il maggiore potere (Applausi dei deputati del gruppo misto-CCD).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
SALVATORE CARDINALE, Ministro delle comunicazioni. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Frattini. Ne ha facoltà.
FRANCO FRATTINI. Signor Presidente, il dibattito di oggi sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità ha già fatto emergere alcune delle osservazioni e delle critiche serrate e forti che l'opposizione intende proporre e riproporre nei confronti del provvedimento in esame.
rinuncia o attenua anche per conto mio la difesa e la tutela di un diritto che è di entrambi, colui che ha rinunciato non può farlo anche per me! Nello stesso modo, io ho titolo a scrivere insieme a chi ha avuto dagli elettori la maggioranza dei consensi quelle regole che dovranno disciplinare le prossime campagne elettorali, nelle quali io spero di diventare maggioranza e che l'attuale maggioranza diventi opposizione. Questo vuol dire scrivere le regole insieme! Ed allora, il sospetto che queste regole vengano piegate a fini di parte - come tutti i colleghi comprendono e come il ministro ovviamente avvertirà - indebolisce in modo straordinario la tenuta democratica di queste regole che stiamo cercando di scrivere.
o ripristinatorio non possono mai essere a contenuto indeterminato e qui si parla addirittura di sanzioni ulteriori che l'autorità adotta rispetto a quelle esattamente definite negli articoli precedenti. Ebbene, questo provvedimento delega in bianco ad un'autorità di incerta natura giuridica (perché tutti i giuristi su questo si stanno interrogando) e sicuramente irresponsabile giuridicamente il potere di adottare sanzioni innominate. È una ferita ulteriore nel nostro ordinamento, su cui riteniamo si debba intervenire.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nania. Ne ha facoltà.
DOMENICO NANIA. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, il disegno di legge governativo n. 6483, approvato dal Senato della Repubblica, meglio noto come provvedimento sulla par condicio, risponde in maniera inadeguata ai problemi suscitati dalla comunicazione politica in Italia, e a due in particolare: come tutelare il diritto dei cittadini a ricevere un'informazione sostanzialmente corretta, obiettiva ed imparziale e come tutelare il diritto dei partiti di esprimere e diffondere, in effettive condizioni di parità, il loro progetto politico con ogni mezzo, dunque anche attraverso forme liberamente scelte di propaganda e di pubblicità (i cosiddetti spot).
perché si entra in un campo dove realtà e finzione si mischiano. È anche un problema di etica, va sottolineato: fare politica è una cosa, vendere un prodotto chiamato politica è un'altra cosa. Il disegno di legge non pone in dubbio l'esigenza di fare politica attraverso la radio o la televisione, bensì tende a limitare l'uso di forme anomale di comunicazione, non adatte alla particolarità delle argomentazioni politiche». Questo è quanto è stato dichiarato dal sottosegretario Vita.
un efficace sistema di controllo riducono, e non aumentano, la distanza tra i partiti in competizione e consentono ai soggetti politici di competere alla pari.
Ad esempio, vi saranno venti o venticinque soggetti politici che partecipano alla competizione elettorale e che hanno diritto ad uno spot di due minuti, per un totale di quaranta minuti; con un avviso si comunicherà agli utenti televisivi che si sta per trasmettere la pubblicità elettorale e gli utenti cambieranno canale. L'obiettivo è questo?
PRESIDENTE. La invito a concludere.
DOMENICO NANIA. Perché non trasmettere propaganda e pubblicità politica ed elettorale anche a pagamento su Telemontecarlo, pur essendo questa di proprietà di un senatore popolare?
PRESIDENTE. La prego, deve concludere.
DOMENICO NANIA. ... ma li riduce. Per queste ragioni il Polo delle libertà e Alleanza nazionale, in particolare, voteranno contro (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giulietti. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE GIULIETTI. Signor Presidente, a me fa piacere che, forse data l'ora e l'aula vuota, sia possibile fare un dibattito sereno e più argomentato tecnicamente. Ringrazio i colleghi, dai quali
sono in fiero dissenso, perché hanno offerto un contributo che a me interessa e ben lontano dai toni di quell'estremismo «proprietario» - moderna variante dell'estremismo «proletario» - che oggi ha dato prova di un modo antico, urlato, cioè esattamente il contrario di un atteggiamento moderato, serio, rigoroso di affrontare tali questioni.
proprietario di un vasto impero editoriale. È questa l'anomalia non aggirabile. Lo sappiamo tutti e lo diciamo in tutti i convegni. È questo il dato eccezionale e irripetibile: esso costituisce un bavaglio per la comunicazione. Altro che battaglia per la libertà! C'è il rischio di contrapporre alla libertà di pochi o di uno la libertà generale. Se così non fosse, se non vi fosse la difesa di un elemento di privilegio, perché non accogliere la proposta da me più volte lanciata di tradurre in italiano la legge spagnola con cui Aznar ha vinto le elezioni? Ricorderete che, a questa provocazione, Berlusconi si dichiarò d'accordo, poi, successivamente, affermò di non essere più d'accordo. Questa fu la cronaca delle notizie di agenzia. Insisto e rilancio quella proposta: se è vero che le altre leggi europee sono più liberali, siamo pronti ad abbandonare questa proposta di legge e a tradurre in un unico emendamento la legge spagnola e ad approvarla. Non so, però, se sia più conveniente. Noi, comunque, siamo pronti. È una legge che è stata condivisa dai conservatori spagnoli, con la quale hanno vinto le elezioni; quindi, di che cosa parliamo? Va dato atto a Silvio Berlusconi di aver detto con grande chiarezza: «tutta l'Europa sbaglia; ho ragione io: nessun modello europeo può essere assunto». Ma se tutto ciò fosse illiberale e di regime, perché non portarlo di fronte all'Alta Corte europea, cui spesso si fa riferimento? Perché non presentare una mozione al Parlamento europeo? Invito a presentare un ordine del giorno e a portarlo all'attenzione degli altri partiti europei. Sono tutti illiberali? Non credo. Penso, invece, anche se il mio ragionamento può sembrare un paradosso, rivolgendomi al Governo, che non bisogna farsi trascinare in questo scontro frontale. Non credo alle barricate sugli spot elettorali e a movimenti di popolo o a sit in contro sit in: siamo seri! L'opposizione in Commissione e in aula - ho ascoltato gli interventi degli onorevoli Nania, Romani, Landolfi ed altri - ha presentato anche alcune questioni di merito ed emendamenti tecnici che ritengo debbano essere presi in considerazione, proprio perché non siamo in un regime, ma vi è una discussione aperta. Pertanto, tutto ciò che è sensato deve essere accolto. Penso a quando l'onorevole Follini pose la questione secondo cui il Governo non deve fare comunicazione istituzionale; è giusto, il Governo non può farsi propaganda, se vi è uno spazio protetto. Non vi possono essere spot governativi. Quella proposta fu accolta e va ora precisata. Si tratta di una giusta iniziativa, anche se proviene da chi, in questo momento, mi è avverso sul piano politico.
all'authority e alla Commissione di vigilanza che - caso unico in Europa - è presieduta da un esponente dell'opposizione, l'onorevole Storace. Concorsi anch'io a quella scelta che ritengo, tuttora, giusta: molti non lo sanno, ma nell'authority il centrosinistra non ha più la maggioranza, in quanto sono cinque i componenti espressi dall'opposizione su otto. È un ben strano regime quello in cui le due authority hanno tale equilibrio. Ma di quale regime parliamo? Penso che dobbiamo rivolgerci all'authority perché all'atto della definizione dei regolamenti vi siano non chiusure, ma più fili diretti, più confronti tra i candidati e tra i programmi. La comunicazione politica non è solo quella a pagamento, è confronto tra donne e uomini su progetti. Su questo tema credo che il Governo debba seguire una strada di accoglimento e di apertura nei confronti di tutto ciò che consente di conoscere per votare, che è cosa diversa dalla riduzione della campagna elettorale al denaro. Penso che questa strada, indicata anche da esponenti dei gruppi dei Popolari, dei Democratici, dei Verdi, del Trifoglio, ma anche dell'opposizione, sia una strada giusta. Non bisogna avere paura di allargare questo solco, se possibile, ma nella direzione che ho indicato: aumentare e non ridurre la comunicazione politica, che non è riducibile agli spot. Quest'ultima è una falsa battaglia, e diventa anche sospetto, se c'è un conflitto di interessi, insistere sull'onerosità: è inelegante politicamente.
di interessi addirittura uno scudo contro l'adozione di norme ordinarie. Non si deve decidere contro qualcuno, ma non può più accadere il contrario, ossia che si rinunci a decidere per proteggere qualcuno che si ritiene extra legem. Non possono esservi cittadini al di sopra delle norme: nessuno è «più uguale» degli altri. Ciò infatti contrasta con la libertà di tutti e rischia di alterare il libero dispiegarsi del consenso e del voto.
e basta, ma perché vogliono unire milioni di persone. Questo è un grande tema sul quale vorrei proseguire la discussione.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Fontan, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
GIAN FRANCO ANEDDA. Signor Presidente, mi piace e mi sforzo di parlare schiettamente.
Mentre parlo vorrei che ciascuno di noi immaginasse un mondo nel quale dalla televisione scompaia la politica e ogni accenno alla politica, il mondo degli anni cinquanta, forse. Credo che ciascuno di noi direbbe a se stesso che è un mondo impossibile perché il progresso non si ferma, perché al moderno non si mettono legami e perché questa legge forse servirà per l'uso per il quale credete possa essere utilizzato da voi di sinistra, ma essa sarà vecchia tra otto mesi perché al moderno non potete mettere freni, così come nessuno ha potuto metterli al pensiero. Siccome so che l'intelligenza della sinistra non vuole questo mondo che sa irrealizzabile, pretendo di ipotizzare che voglia un mondo televisivo nel quale la politica sia filtrata - forse, più esattamente, contingentata - dalla forza di Governo (che in questo momento noi sappiamo occasionale e vorremmo fosse temporanea), la sinistra.
PAOLO ARMAROLI. La sinistra fa cose dell'altro mondo!
GIAN FRANCO ANEDDA. Quindi, si vuole contingentare l'informazione per ottenere un risultato immediato tra ottanta giorni, nella consapevolezza che la legge tra un anno potrà essere vecchia.
PRESIDENTE. Onorevole Anedda, dovrebbe avviarsi alla conclusione.
GIAN FRANCO ANEDDA. Sto concludendo.
PRESIDENTE. Onorevole Anedda, lei ha sforato largamente il suo tempo.
GIAN FRANCO ANEDDA. In conclusione, l'ultima osservazione attiene al fatto che, là dove si parla di confronto di opinioni politiche, mi domando quante siano tali opinioni; vi rientrano anche
quelle trasversali esistenti all'interno di un partito? Chi decide quali debbano andare in onda e con quali tempi? Ancora una volta, il controllo sull'attuazione diventa la ferrea regola e, se mi consentite, la ferrea manetta sul diritto di informare (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garra. Ne ha facoltà.
GIACOMO GARRA. Signor Presidente, colleghi, con riferimento al disegno di legge n. 6483 il metro principale di valutazione deve restare, malgrado i vuoti esistenti oggi in aula, l'articolo 21 della Costituzione; tale articolo garantisce a tutti il diritto di manifestare liberamente il pensiero anche, direi anzi soprattutto, sui temi della politica, con ogni mezzo di diffusione.
DOMENICO MASELLI. Mamma mia!
GIACOMO GARRA. Non credo che non vi siano state - parliamoci chiaramente - delle pesantissime pressioni sulla - definiamola così - dimissione volontaria di Forattini.
LUIGI MASSA, Relatore per la maggioranza. Successe anche nel passato a Montanelli!
GIACOMO GARRA. È un sintomo: certo, può essere anche accaduto in altri giornali o in altri regimi.
Il macigno dell'articolo 21 della Costituzione, colleghi della maggioranza, prima o poi ve lo troverete nel vostro percorso! Nei confronti dell'articolo 21 avviene ora quel fenomeno di rimozione, che anche nel passato si è registrato da parte della sinistra per disposizioni quali quelle contemplate dagli articoli 39, 40 e 41 della Costituzione.
PRESIDENTE. Si limita a parlare ancora cinquanta secondi.
GIACOMO GARRA. Credo che il mio sia un contributo sul piano tecnico e non solo sul piano politico.
PRESIDENTE. Onorevole Garra, ho l'obbligo di far rispettare il regolamento. Lei sa che io la ascolto con piacere.
GIACOMO GARRA. Vorrei solo segnalare al sottosegretario che all'articolo 1, comma 2, vi è un richiamo alle elezioni per le province autonome di Trento e Bolzano che, mi si consenta, è erroneo, perché non ci sono elezioni provinciali a Trento e a Bolzano, ma vi sono le elezioni
regionali e si intendono eletti nei consigli provinciali coloro che vengono eletti consiglieri regionali. Mi si consenta solo questo apporto. Dovendo porre termine al mio intervento dichiaro, a nome del gruppo di Forza Italia, contrarietà su questa proposta.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Garra. Lei sa che io l'ascolto con molta intenzione, però qualche volta rispettare il proprio compito è dovere ingrato.
RICCARDO MIGLIORI. Signor Presidente, colleghi, svolgerò brevi e sintetiche riflessioni che ho già avuto occasione di svolgere in sede di Commissione affari costituzionali su un aspetto veramente poco tecnico, ma oserei dire macropolitico, che a latere di questo confronto serrato in sede parlamentare mi sembra sia stato non sufficientemente valutato.
oggi, né prima di oggi, ha posto in dubbio l'esigenza di regolare fuori da ogni logica di far west una strumentazione delicata che riguarda la presenza propagandistica, la quale deve tenere conto di evidenti esigenze di equilibrio; anzi, oserei dire che, oltre alla televisione, altre strumentazioni molto più moderne necessitano di regolamentazione, e non so quali potrebbero e potranno essere.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lucchese. Ne ha facoltà.
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il disegno di legge presentato dal Governo, oltre a numerosi profili di incostituzionalità, contiene disposizioni incoerenti con il sistema attuale, sulle quali si rende opportuna un'attenta riflessione. Il disegno di legge, introducendo ulteriori restrizioni e limiti alla libertà di utilizzare il mezzo radiotelevisivo in campagna elettorale, che si vanno ad aggiungere a quelli esistenti, pone a rischio il dibattito democratico soffocando, pertanto, alcune forme di comunicazione tra i cittadini e le loro rappresentanze politiche. Si tratta, quindi, di un provvedimento che va ad incidere su un complesso sistema di regole disarticolate, che si può prestare anche ad abusi. Una normativa dettagliata ed analitica non può prevedere tutto e finisce con il presentare smagliature e ambiguità, che lasciano spazio alle interpretazioni, terreno fertile per operazioni poco trasparenti.
Lo sappiamo bene, in quanto nel periodo preelettorale ci si avvale anche di cariche elettive per utilizzare la pubblica amministrazione. Eppure, quali iniziative sono state poste in essere per eliminare tale abuso? Ci sembrerebbe più logico effettuare degli sforzi sugli aspetti applicativi della legislazione vigente, in modo tale che la parità di condizioni sia resa effettiva da una corretta e tempestiva applicazione delle norme e questo richiederebbe una legislazione chiara ed efficace. Il disegno di legge in esame va nella direzione opposta, delineando una serie di nuovi limiti, senza che vi sia una chiara linea di politica legislativa. In Italia vige un sistema che conosce innumerevoli leggi elettorali ed una disciplina della campagna elettorale che, oltre alla legge n. 515 del 1993, si compone di numerose disposizioni presenti in altrettante leggi relative ad aspetti specifici, come le affissioni di manifesti, le regole relative alla dichiarazione per la trasparenza dei finanziamenti, gli obblighi di rendicontazione, i libri di spesa e così via. Un sistema, peraltro, già incoerente, in quanto le disposizioni si applicano in maniera differente per le elezioni politiche, per le elezioni amministrative, per le elezioni regionali e dei membri del Parlamento europeo, nonché per le campagne referendarie. Evidentemente, dietro questa operazione vi sono malcelati interessi politici di parte, che non possono essere ispiratori di una legislazione che tocca le corde più delicate di una democrazia rappresentativa: il rapporto e la comunicazione tra elettore ed eletto.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giuliano. Ne ha facoltà.
PASQUALE GIULIANO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il diritto di informare e di essere informati attiene all'essenza stessa della democrazia. La libera espressione del pensiero consente, infatti, di confrontare le diverse fonti di comunicazione, di formarsi una propria opinione consapevole e quindi libera, cioè frutto di scelta, e conseguentemente di partecipare, scegliendo in maniera cosciente ed informata.
possibile di elettori per comunicare il proprio programma e quant'altro li possa interessare.
né alla partecipazione né al coinvolgimento dei cittadini su temi politici.
Sempre a proposito di Europa, c'è da chiedersi perché il disegno di legge non abbia tenuto conto del principio che va senz'altro condiviso ed è stato espresso nell'allegato come raccomandazione, laddove si ammette esplicitamente la possibilità di acquistare spazi pubblicitari per fini elettorali e si raccomanda che, in tal caso, venga assicurata la possibilità di acquistare tali spazi a tutti i partiti in lizza, alle stesse condizioni e sulla base di tariffe uguali, con l'ulteriore possibilità di prevedere una limitazione del volume di spazio che partiti e candidati possono acquistare.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Urso. Ne ha facoltà.
ADOLFO URSO. Grazie, signor Presidente e grazie anche ai pochi colleghi che sono qui ad ascoltare il mio intervento ed il dibattito. Mi pongo un problema: come mai la maggioranza e, soprattutto, i Democratici di sinistra non si accorgono e non si fanno carico dei problemi e delle ragioni dell'opposizione? Come mai non fanno ciò, quando si tratta di un argomento quale la carta delle regole? Il fatto stesso che in quest'aula non sia presente alcun parlamentare della maggioranza, tranne quelli che debbono essere presenti per dovere d'ufficio, mi fa ulteriormente riflettere. Come mai ciò accade nella discussione di un argomento che riguarda la campagna elettorale, cioè il fondamento della comunicazione e dell'informazione, della scelta dei cittadini e, quindi, della democrazia? Come mai, di fronte ad un argomento di questa portata, i democratici di sinistra hanno imposto una propria maggioranza con il consenso iniziale dei soli Popolari, cioè di quel segmento cattolico integralista, e con il dissenso iniziale dei Democratici e dei Verdi, cioè di coloro che non fanno riferimento né alla «chiesa» comunista, né a quel segmento della Chiesa cattolica? Come mai pongono un divieto, cancellano un diritto e non si pongono il problema di regolare l'informazione televisiva? Come mai cancellano l'elemento di comunicazione e di informazione più moderno, ovvero quello televisivo?
delle ragioni dell'opposizione, porre un divieto e non una regola, cancellare il sistema di comunicazione più moderno nella campagna elettorale. La risposta, purtroppo, cari colleghi Democratici di sinistra, è che prevale in voi, come dimostra questo caso e come io cercherò di evidenziare, la cultura totalitaria. L'egemonia comunista rimane in voi e l'ultimo esempio di ciò è il vostro recente congresso, laddove avete disegnato un partito che al suo interno dovrebbe contenere tutto ed il contrario di tutto: gli ecologisti ed i liberali, i cattolici e i laici, i socialisti e coloro che vogliono rinnovare il sistema dello Stato sociale; tutto e il contrario di tutto, come vi hanno fatto osservare alcuni alleati non legati a questa cultura né a quella integralista cattolica. In voi rimane presente e forte questa vocazione all'egemonia, alla totalità, che deriva dalla presenza nella vostra storia, nella vostra classe dirigente, della ragione comunista.
è un problema che non riuscite a rimuovere. Non è un caso che il sistema sovietico sia crollato a causa della diffusione dell'informazione. In Unione Sovietica vi era addirittura il divieto di possedere fotocopiatrici, perché sapevano bene che la diffusione dell'informazione avrebbe fatto crollare il sistema sovietico. Esso è crollato grazie alle TV via satellite, al moltiplicarsi dell'informazione, all'irruzione dei computer nella vita di ogni giorno. Un sistema di informazione chiuso e totalitario non poteva reggere alla libera informazione. Voi siete irrimediabilmente legati a quella cultura e a quella sconfitta che non riuscite a rimuovere. È per questo che negate l'informazione e la sua moltiplicazione; è per questo che ponete un divieto all'uso di un mezzo di comunicazione moderno quale è la televisione, perché alle vostre spalle vi è ancora la sofferenza per aver visto crollare il muro di Berlino a causa della diffusione dell'informazione e della televisione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Teresio Delfino. Ne ha facoltà.
TERESIO DELFINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, chi come noi proviene da una tradizione politico-culturale di libertà di crescita delle opportunità non può non esprimere preoccupazione davanti ad un provvedimento che opera su una materia molto complessa e che si trova ad impattare proprio su molte disposizioni della nostra Costituzione in cui i padri costituenti avevano realizzato, anche su questi fondamentali temi, una sintesi molto efficace.
Certamente è indispensabile garantire pari opportunità di informare i cittadini elettori sui programmi, sulle proposte, sui progetti politici e sulle candidature, così come certamente è necessario rimuovere gli ostacoli che impediscono queste pari opportunità per tutti, avendo presenti quali siano però le attuali condizioni degli strumenti informativi oggi disponibili per le forze politiche del nostro paese.
Noi segnaliamo con forza questa esigenza di riequilibrio ed evidenziamo la convinzione che bisogna legiferare con il massimo grado di libertà, se si vuole conquistare l'opinione pubblica. Anche la storia referendaria - di cui non sono sicuramente un sostenitore - ha sempre evidenziato che il nostro paese ha premiato chi ha assicurato spazi maggiori di libertà.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Guidi. Ne ha facoltà.
ANTONIO GUIDI. Presidente, colleghi, Governo, maggioranza (mi rivolgo prevalentemente al Governo; parlando di quest'ultimo parliamo anche della maggioranza), dispiace sempre, anche a chi è all'opposizione, constatare l'iniquità di certe leggi. Non essere d'accordo è legittimo, anzi è l'humus della politica. Quando però vengono presentate con arroganza, con ipocrisia, senza tenere conto delle regole - mi riferisco ad esempio al rispetto del parere delle Commissioni ed a tante bugie intellettuali - anche chi si oppone si sente triste, sconcertato, avvilito. Qualcuno dirà che esagero. Per carità, ognuno è libero di esprimere la sua opinione, ma questo è il problema: ognuno è libero davvero di esprimere la propria opinione? A me sembra sempre meno. Proprio in quest'aula, prima ancora del provvedimento sulla impar condicio totale, poco tempo fa ed anche oggi, abbiamo assistito alle prove tecniche - scusate se lo dico - di un regime triste ed anche un po' d'accatto. Non sono parolacce né voglio offendere nessuno; sapete tutti che non ho mai considerato l'avversario un nemico. Anzi, quando è stato discusso qualche provvedimento di natura sociale, mi sono battuto assieme a chi la pensava in maniera diversa dalla mia.
dovevamo ascoltarvi di più, dovevamo essere più attenti, ma ormai è tardi».
Perché dico questo? Perché le celebrazioni continuano.
PRESIDENTE. Onorevole Guidi, deve concludere.
ANTONIO GUIDI. Concludo, Presidente, nell'ottica del mi prendo due minuti anch'io, come tutti. Che tributo ad una bella donna! Ecco, gli spot indiretti, ecco la persuasione occulta: rendere persone famose, o fatte diventare famose con i nostri soldi, veicoli di consenso politico; questo è vergognoso! Un'attrice bella e brava, un cuoco con un certo appeal, che viene visto cucinare a casa D'Alema!
PRESIDENTE. Onorevole Guidi, deve concludere: abbiamo un regolamento da rispettare!
ANTONIO GUIDI. Signor Presidente, mi faccia concludere soltanto un pensiero.
PRESIDENTE. Ha superato di molto il tempo assegnatole: aveva cinque minuti e ne ha usati venti!
ANTONIO GUIDI. Signor Presidente, se non mi interrompe, termino.
PRESIDENTE. Onorevole Guidi, qualche volta fare il proprio dovere non è simpatico, ma è necessario. È iscritto a parlare l'onorevole Landolfi. Ne ha facoltà.
MARIO LANDOLFI. Signor Presidente, penso che a questo punto l'unica par condicio che l'onorevole Vita vuole veramente sia quella di un utilizzo equo dei sottosegretari, rispetto al dibattito parlamentare. Mi permetta di esprimere la mia personale solidarietà, ma parafrasando una espressione nota questi sono gli inconvenienti del difficile mestiere di ministro, nel suo caso di sottosegretario. Questo è anche l'esito, onorevole Vita, di un atteggiamento di scontro su un argomento così importante, quale quello della par condicio, argomento che afferisce alle regole del gioco democratico, un atteggiamento che la maggioranza ha voluto porre in essere.
ad introdurre nel nostro paese un quadro normativo certo, di riferimento che garantisse condizioni di pari opportunità, di pari accesso e di pari trattamento delle forze politiche per quanto riguarda il mezzo televisivo, perché così non è.
elezioni europee siano state falsate dall'elevato numero di messaggi pubblicitari. Le ricordo, sottosegretario Vita, che vi sono stati candidati della maggioranza proprietari di emittenti televisive che hanno fatto spot e sono stati «trombati», mentre vi sono state formazione politiche, come quella dei Democratici, che hanno avuto lusinghiere affermazioni nelle elezioni del 13 giugno, non avendo fatto spot televisivi.
PRESIDENTE. Onorevole Landolfi, le ricordo che ha ancora un minuto di tempo.
MARIO LANDOLFI. Allora darà anche a me un bonus, in base alla par condicio.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Peretti. Ne ha facoltà.
ETTORE PERETTI. Signor Presidente, solo alcune brevi considerazioni sulla scia di quanto è stato detto nel pomeriggio durante l'esame e le votazioni delle questioni pregiudiziali e sospensive e sulla scorta della relazione di minoranza svolta dal collega Follini.
informato. Che sia vera l'una o l'altra ipotesi, vi è un limite culturale della sinistra, un limite psicologico, una remora difficile da rimuovere nel considerare il rapporto fra politica e comunicazione.
PRESIDENTE. Onorevole Peretti, deve concludere, in quanto ha ancora soltanto 30 secondi di tempo a disposizione.
ETTORE PERETTI. Non era mio intendimento tirarla per le lunghe e, pertanto, concludo brevemente. In queste condizioni e in questo clima politico, la proposta del gruppo misto-CCD ci sembrava ragionevole. Essa poggiava su tre pilastri: accesso gratuito al servizio pubblico, prezzi politici per le reti private senza contrattazione e un tetto di spesa del 50 per cento del limite massimo della campagna elettorale. Ovviamente, il muro contro muro non ha consentito alcun tipo di accordo tra maggioranza e opposizione. Ci spiace che, ancora una volta, una delle regole fondamentali della vita politica (quella della comunicazione) non possa poggiare su una visione condivisa da tutto il Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CCD e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.
MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, svolgerò alcune brevi considerazioni, senza ripetere le questioni già dibattute in Commissione affari costituzionali. Vorrei sottolineare alcune anomalie del provvedimento in esame.
Questi due argomenti, ovviamente, non sono in discussione: mentre gli spot propagandistici che provengono dal centro-destra e dall'opposizione minano la democrazia, quelli della Presidenza del Consiglio dei ministri, a favore del ministro delle finanze, mandati in onda dalle emittenti radiofoniche nazionali, non hanno alcun potere di influire. Ricordo, signor Presidente, come giorni fa, mentre con l'auto mi dirigevo ad un appuntamento politico, ho avuto occasione di sentire questo brillante messaggio che magnificava, pensi lei, l'intervento del Governo per abolire l'imposta della pubblicità. Ovviamente ometteva, il ministro delle finanze, di dire che tutto questo è avvenuto su sollecitazione dell'opposizione, che pretese la discussione della questione in Commissione finanze. Come si concludeva questo abile spot pubblicitario? Con uno slogan davvero divertente, signor Presidente: «Di questo fisco» - o Visco, non si capiva molto bene - «io mi fido». Allora, mentre il ministro Visco, a spese del contribuente, potrà continuare a fare gli spot, ovviamente anche indipendentemente dalle regole millimetriche di durata che sono invece concepite per gli altri, l'opposizione non potrà che essere soggetta a questa impar condicio.
quelli dell'opposizione, continuamente invocano nelle interviste sui giornali o magari sulle reti radiotelevisive.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Calderisi, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, colleghi della maggioranza, il dibattito che ha preceduto e accompagnato l'iter del disegno di legge sulla par condicio ha registrato toni accesi, molto polemici e solo raramente la questione delle garanzie di parità di condizione delle forze politiche e dei candidati di ogni genere, nello svolgimento della competizione elettorale, è stata affrontata con serena obiettività. Sono prevalse le ipocrisie, le mistificazioni, le ingiurie e le declamazioni ed è emerso, implacabile, il vizio di sempre, di uno stile mai dimenticato della vecchia politica italiana, dove la ricerca dell'alibi, la sublimazione degli errori, la dissimulazione delle proprie incapacità e la manipolazione della storia hanno confuso gli italiani per decenni, dettando regole e condizioni che hanno alterato il rapporto di fiducia tra pubblica opinione e sistema politico e snaturato e confuso tra loro i concetti di comunicazione e informazione, nonché modificato, nei fatti, i criteri e le garanzie di accesso a tali strumenti.
nostro esame, secondo il quale la finalità della disciplina è quella di garantire alle forze politiche la parità di trattamento e l'imparzialità nei riguardi dell'informazione sui programmi e sulle condizioni di accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica, è, mutatis mutandis, la conferma della cattiva coscienza del sistema, vale a dire la cattiva coscienza di quella impar condicio, che per decenni ha caratterizzato il complesso mondo della comunicazione e dell'informazione nel nostro paese, passando, in costante sintonia con l'evoluzione dei sistemi di comunicazione di massa, dapprima alla lottizzazione dei giornali, nel periodo a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, e poi alla spudorata e ancor più evidente lottizzazione televisiva.
In altre parole, offrire alle forze di opposizione - oggi il Polo, domani l'Ulivo, in quell'ipotetica democrazia dell'alternanza cui noi aspiriamo - la possibilità di bilanciare in campagna elettorale la superiorità comunicativa dello schieramento che governa il paese significa garantire la nazione dal rischio che si radichi un vero e proprio regime.
PRESIDENTE. Sì, perché anche la tolleranza ha dei limiti.
ANTONINO LO PRESTI. Ma non è mai sufficiente rispetto a quella che lei ha avuto nei confronti di altri colleghi.
PRESIDENTE. No, stia tranquillo.
ANTONINO LO PRESTI. Come dicevo, si diffonde nel paese l'opinione che il Governo e la maggioranza vogliano impedire qualsiasi confronto e verifica sulle cose non fatte sul fronte dell'occupazione, della sicurezza (l'hanno citato in molti), della giustizia, dell'immigrazione, della modernizzazione, del rinnovamento delle istituzioni, sui tanti problemi irrisolti che affliggono l'Italia. Gli italiani, però, sono più maturi di quanto voi pensiate e la loro indignazione non si fermerà davanti a nulla, nemmeno davanti al muro di silenzio che volete erigere per neutralizzare l'opposizione.
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta di domani.
Colleghi, da parte di alcuni gruppi, sono giunte richieste di ampliamento dei tempi della discussione sulle linee generali. In considerazione dell'importanza dell'argomento, i tempi sono aumentati di trenta minuti per i gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale, che hanno illustrato questioni pregiudiziali e questioni sospensive; per il gruppo del CCD e per altri gruppi che hanno esaurito i tempi a loro disposizione, i tempi sono aumentati della metà rispetto a quelli che erano stati originariamente concessi.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ha chiesto l'ampliamento della discussione sulle linee generali senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, onorevole Massa.
Durante il confronto in Commissione, ho avuto occasione di citare l'affermazione di Popper, secondo la quale non esisterebbe la democrazia senza la messa sotto controllo della televisione, essendo essa divenuta un potere politico colossale, troppo grande per la stessa democrazia. Tale affermazione potrebbe e dovrebbe essere ampiamente condivisa, sia tra gli estimatori sia tra i critici di Popper, se non altro per l'ormai intensa letteratura in materia. Dovremmo e avremmo potuto esercitarci in un lavoro legislativo di grande interesse, in un confronto serrato ma arricchente, se avessimo potuto esaminare la questione della regolazione della comunicazione politica, e più ancora della propaganda elettorale, fuori da un confronto che ha ben altre ragioni. Il nostro lavoro sarebbe stato più agevole, se non fosse stato sovrastato da un'ombra di dimensioni inusuali che ha un nome e un cognome ben definiti: il tema irrisolto del conflitto di interessi, che fa della situazione italiana un unicum totalmente diverso da qualunque altra situazione a livello mondiale. Cerco di spiegarmi con un semplice esempio. In altri paesi europei il confronto politico sul tema della propaganda radiotelevisiva si è concentrato sulla questione onerosità-gratuità degli spazi destinati alla propaganda politica. Tale confronto, invero introdotto da alcuni colleghi, non ha potuto essere adeguatamente sviscerato per una anomalia tutta italiana, assolutamente assente nel panorama europeo e nel mondo democratico, quella secondo cui alcuni soggetti sarebbero, di fatto, costretti a pagare il loro competitore per poter ottenere uno spazio di propaganda con cui competere e, quindi, a fornirgli gli strumenti economici che gli consentiranno di essere ancor più competitivo nell'uso dei mezzi contro di loro. In tal modo, per usare un'iperbole, si potrebbe andare verso un crescendo rossiniano senza limiti, se non meramente nominali, rendendo i primi sempre più deboli economicamente e i secondi sempre più forti.
Durante il confronto in Commissione sulla normativa giuntaci dal Senato, che ha modificato il testo presentato dal Governo nell'agosto scorso, sono stati annunciati possibili ricorsi incidentali alla Corte
È evidente, quindi, che la coniugazione dei vari diritti nell'applicazione normativa dei principi costituzionali, che porta il legislatore ad attenuarne o ad accentuarne la pregnanza in virtù dell'interesse generale prevalente, è pienamente legittima. Già nel 1964, in una materia delicata quale l'uso della propaganda elettorale, la Corte assunse l'orientamento di legittimare una ragionevole compressione del diritto di libera espressione del pensiero, giudicando costituzionalmente corretta una disciplina di regolamentazione restrittiva dell'uso degli strumenti allora maggiormente utilizzati. Il 16 giugno 1964, con la sentenza n. 48, la Corte costituzionale, giudicando le norme della legge n. 212 del 1956, sanzionava la presa d'atto di una evoluzione nel fenomeno primo dei diritti di democrazia tendente non solo a tutelare la libertà di espressione del pensiero (preoccupazione principale nell'immediato dopoguerra, dopo vent'anni di dittatura), ma anche il cittadino elettore, a cui si riconosceva il diritto a godere non solo del decoro dei centri abitati e della tranquillità pubblica ma anche e soprattutto della tutela da forme di eccessiva aggressività della propaganda in grado di alterare il processo formativo della volontà, e quindi della conseguente decisione di voto. Posizione confermata nella sentenza n. 61 del 1995, nella quale si afferma che per le campagne elettorali la presenza di un limite temporale ragionevolmente contenuto per lo svolgimento della pubblicità può trovare giustificazione nel fatto di privilegiare la propaganda sulla pubblicità, al fine di preservare l'elettore dalla suggestione di messaggi brevi e non motivati.
È proprio su tale tema che si è sviluppato e, credo, si svilupperà maggiormente il confronto. Posto che ritengo fuori luogo la polemica sull'assoluta prevalenza della libertà di espressione del pensiero rispetto alla pregnanza del diritto al voto libero, noi dovremo comprendere se il testo, che purtroppo la I Commissione della Camera non ha potuto emendare e predisporre ma che si può desumere dalla sintesi degli emendamenti del relatore, del Governo e di alcuni componenti la maggioranza, compie una giusta sintesi e costruisce un equilibrio ragionevole tra le divaricazioni imposte dai due diversi corni del problema. Dovremo comprendere, in sostanza, se la regolamentazione del diritto di manifestazione del pensiero è equilibrata o squilibrata rispetto al diritto dell'elettore di non essere eccessivamente influenzato nella formazione della sua decisione di voto.
Alla Commissione ho proposto poche ma sostanziali modificazioni rispetto al testo giunto dal Senato. Sono emendamenti che ho presentato formalmente ieri sera e che, in base alle norme regolamentari,
D'altronde, non mi nascondo che su questo strumento normativo sarà giocoforza necessario tornare per affrontare questioni che non si limiteranno solo ai nostri confini nazionali e che presto riguarderanno mezzi quali le reti telematiche, satellitari, telefoniche, invase da messaggi pubblicitari, poiché la diffusione di quei mezzi e di quelle tecniche assumeranno un livello di coinvolgimento di grandi masse di popolazione e porranno questioni più complessive di democrazia.
Astraendoci, quindi, dalla questione più eminentemente politica (o, se volete, di parte) che porta oggi, per esigenze, come abbiamo sentito, molto più legate alle prossime coalizioni per le elezioni regionali, alcune forze che poco hanno contribuito al confronto (come la Lega forza nord per l'indipendenza della Padania, per esempio, di cui solo oggi abbiamo appreso le posizioni) a mutare di 180 gradi opinione rispetto al Senato ove la Lega votò a favore - mentre alla Camera, mi sembra di capire, voterà contro in quanto folgorata, sulla via di Damasco, dall'ennesima piroetta partitica del suo lìder maximo - e portando il dibattito su questioni meno legate ad interessi di bottega, mi sembra che il confronto di merito verta sull'interpretazione di come operare a tutela del pieno sviluppo della democrazia, in un frangente storico in cui - come afferma Anthony Giddens - non tanto il trionfo delle istituzioni liberaldemocratiche sulle altre, quanto l'azione di forze più profonde che stanno rimodellando la società globale produce l'emergere di una richiesta di maggiore autonomia individuale, sino a far sì che la democratizzazione rischi di scavalcare la democrazia.
La questione è pertanto quella di regolare la comunicazione politica in generale e nel periodo protetto delle campagne elettorali in particolare, consentendo il pieno dispiegarsi della libertà di manifestazione del pensiero e la contemporanea massima tutela possibile dell'elettore di formarsi liberamente un'opinione.
Il provvedimento al nostro esame si caratterizza in due parti: la prima relativa alla disciplina della comunicazione politica generalmente intesa, la seconda relativa alle limitazioni della stessa durante le campagne elettorali. Per il primo profilo il provvedimento prova a tipizzare il modo in cui la comunicazione politica radiotelevisiva, al di fuori dei telegiornali, può esplicitarsi. Siccome durante il dibattito in Commissione è stato fatto notare che una tipizzazione rigida rischiava di impedire l'evoluzione dei modi di comunicare, ho ritenuto di accogliere proposte emendative di alcuni colleghi volte a modificare il testo approvato dal Senato in direzione di una meno stringente specificazione, pur restando il principio fondamentale ed ineludibile della presenza del confronto tra le varie opinioni e le proposte politiche avanzate dai diversi soggetti.
Sempre rispetto al testo licenziato dal Senato, prevedo di accogliere emendamenti volti ad intervenire nel merito della questione dell'obbligatorietà o meno di prevedere, nei vari palinsesti, programmi di comunicazione politica, modificando
Si potrebbe obiettare che l'obbligatorietà interferisce (tra l'altro è stato fatto nelle pregiudiziali presentate) con la norma di cui all'articolo 41 della Costituzione sulla libertà di iniziativa economica, ma non possiamo dimenticare due questioni. La prima è relativa al temperamento di tale diritto che la stessa Costituzione fa ponendo una riserva di legge affinché si definiscano programmi e si compiano controlli atti a far sì che l'attività economica, tanto pubblica che privata, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali; la seconda è che, essendo oggi estremamente limitato il numero dei soggetti privati che hanno il privilegio di una concessione radiotelevisiva a livello nazionale, il vantaggio che a questi deriva da tale regime concessorio è tale da non pregiudicare l'interesse economico del privato di fronte alla necessità di imporre lo svolgimento di una modalità di servizi.
Peraltro non possiamo dimenticare che i contenitori in cui avviene di norma la comunicazione politica, soprattutto in momenti particolari in cui fatti della società e della politica assumono particolare interesse per i cittadini, producono audience e rendono anche economicamente alle emittenti che li producono e li trasmettono. Diversa è la questione riguardante le emittenti locali, le quali, rispetto a quelle nazionali, proprio per la ristrettezza dell'audience che spesso hanno - anche se non è sempre così, poiché ve ne sono alcune che hanno una forza ed un peso -, da detti programmi spesso non ricavano vantaggi economici, con il risultato di sottrarre spazi ad un'attività più commerciale e quindi di risultare economicamente danneggiate.
Per tale motivo il provvedimento sgancia di fatto la rete locale dall'obbligatorietà della funzione, lasciando alla discrezione del privato la scelta se offrire o meno spazi di comunicazione politica, pur nel rispetto, qualora ciò avvenga, dell'obbligo ineludibile - non si può non prevedere ciò - di assicurare a tutti i soggetti politici, con imparzialità ed equità, l'accesso all'informazione ed alla comunicazione.
Il testo ha la consapevolezza dell'insufficienza dello strumento legislativo in materia di disciplina della propaganda elettorale. Si consolida una linea storicamente ribadita e il legislatore statale interviene con legge ordinaria a fissare norme di principio, rinviando poi l'attuazione delle stesse a norme definite in altre sedi: per il sistema radiotelevisivo pubblico, la Commissione parlamentare di vigilanza, mentre per quello privato, l'autorità per la garanzia nelle comunicazioni, che entrano, per la materia in trattazione, nel sistema delle fonti. Non potrebbe che essere così, vista la necessità, da più parti ribadita, di tener conto proprio di quei mutamenti rapidi dei sistemi comunicativi, evitando di ingessarli con norme di rango legislativo.
Vi è chi ha posto l'esigenza di limitare la normazione alla Commissione, prevedendo l'esclusione dell'autorità: era il caso della Lega forza nord per l'indipendenza della Padania, che credo si chiami ancora così per qualche ora. Non so se sia ancora quella la sua posizione: può darsi che sia mutata nelle ultime ore. Non mi sento di seguirli su questa strada: il sistema delle
Ma la questione rilevante è emersa sul tema dei messaggi politici autogestiti. Qui il confronto è diventato aspro, poiché da una parte e dall'altra, per evidente ragioni, si è teso a dare ai cosiddetti spot un ruolo determinante, nell'incidenza che essi hanno sull'opinione pubblica. Ribadisco che ciò è avvenuto da entrambe le parti: dall'una, preoccupati che quel modello di propaganda sia tale da non consentire una ragionevole riflessione nella formazione di un'opinione politica che, quindi, prevalentemente «bombardata», potrebbe essere in qualche modo indotta ad una scelta; dall'altra, che giudica così efficace e quasi unico quello strumento di informazione da temere - è stato detto più volte dai colleghi del Polo - che, senza di esso, si possano addirittura perdere le elezioni. Le idee sarebbero cioè così forti che, senza spot, si perdono le elezioni: è una questione curiosa, su cui mi permetto soltanto di fare qualche riflessione.
Valutando il confronto che si è svolto, probabilmente ascolteremo due accuse speculari: da una parte si considera illiberale vietare l'uso di quello strumento; dall'altra, si pensa che sia illiberale abusare di uno strumento destinato a suggestionare l'elettore, anziché condurlo al confronto tra le proposte e i ragionamenti. È questa la questione di cui si sta discutendo.
In questo momento cerco di chiamarmi fuori da tale confronto; temo che purtroppo nelle prossime ore e nei prossimi giorni altri lo alimenteranno a dismisura, dentro e immediatamente fuori da quest'aula.
Sottopongo a me stesso, a lei, signor Presidente, ed ai colleghi alcune riflessioni conclusive del lungo confronto, cercando anche di motivare le ragioni che su questo tema mi hanno spinto a presentare emendamenti rispetto al testo pervenutoci dal Senato e mi hanno orientato nel proporre l'accoglimento di altri emendamenti presentati da colleghi della maggioranza e delle opposizioni.
È stato detto che il messaggio politico autogestito altro non sarebbe che un modo di fare comunicazione politica. Esso è stato efficacemente paragonato al manifesto, il quale riassume in uno slogan la complessità del pensiero. Si dice: se è consentito il manifesto, perché non il messaggio in televisione? A questo proposito, è stato detto che il manifesto non è vietato.
Non vi è dubbio: sulle prime due affermazioni ritengo di concordare con i colleghi che hanno sollevato critiche al provvedimento; ovviamente ciò non riguarda la campagna elettorale, poiché la Corte ha già giudicato, sia pure incidentalmente, legittima la compressione degli spot in campagna elettorale, in virtù del fatto che l'elettore o, meglio, il suo diritto a formarsi liberamente un'opinione di voto, deve essere protetto - afferma la Corte - dalle suggestioni di un messaggio breve e immotivato. Concordo meno sulla terza, poiché esiste una normativa di carattere nazionale che limita il diritto di affiggere manifesti o di erigere cartelloni pubblicitari nel numero, nelle dimensioni, nelle località di esposizione, e ciò non solo in campagna elettorale ma in ogni periodo dell'anno.
Comprendo bene ... Ho terminato il tempo, signor Presidente?
Mi corre l'obbligo di precisare una questione. Il Comitato per la legislazione ha posto due condizioni sulle quali debbo rispondere. Le due condizioni alle quali il Comitato per la legislazione subordina il parere favorevole espresso il 24 gennaio concernono entrambe il coordinamento delle disposizioni di tale progetto di legge con quelle dettate dalla legge n. 515 del 1993 che, tra l'altro, già vieta gli spot.
In proposito occorre rilevare che, nel varare la nuova iniziativa legislativa, il Governo ed il Senato successivamente si sono trovati a dover scegliere tra tre possibilità: rivedere la legge n. 515 con il metodo della novellazione, varare la nuova disciplina ed individuare le disposizioni previgenti da abrogare, limitarsi a porre le nuove disposizioni lasciando che poi l'interprete svolgesse il suo compito. La prima soluzione, sotto il profilo della tecnica normativa, presenta difficoltà indubbie di carattere politico, in quanto imponeva un riesame di materie estranee al nuovo intervento legislativo. La terza si presentava più agevole ma meno responsabile, in quanto avrebbe addossato all'interprete compiti che, secondo le migliori regole di tecnica legislativa, il legislatore deve assumere direttamente. Non restava quindi che la seconda via ed è per questo che è stata seguita.
Per quanto riguarda il raffronto specifico ...
Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Romani.
La regolamentazione complessiva aveva avuto un soddisfacente collaudo nelle diverse consultazioni elettorali e referendarie che sono seguite alla legge.
Con il disegno di legge attualmente in discussione il Governo si è proposto di disciplinare ex novo parte della materia, introducendo ulteriori e più incisive limitazioni alla libertà di espressione nel corso delle campagne elettorali.
Nella relazione introduttiva che accompagna il disegno di legge è segnalata la base giustificativa delle restrizioni e delle proibizioni che si vorrebbero sancire. Vi si prospetta la distinzione fra libertà di pensiero e libertà di espressione del pensiero.
La prima dovrebbe essere protetta nei confronti delle suggestioni cui è sottoposta
Come oggi in aula e pochi minuti fa davanti al Palazzo di Montecitorio, così come nel paese, ci opporremo in maniera ferma ed intransigente a questo provvedimento antistorico, antidemocratico e liberticida. Altra era la proposta del Polo, nel tentativo di ricondurre tutte le forme di comunicazione sotto l'egida costituzionale della libertà di espressione del pensiero. Ciò comporta il contenimento delle restrizioni normative nei limiti della ragionevolezze e della proporzionalità, al fine di assicurare l'effettiva parità di trattamento nell'informazione politica ed elettorale. La disciplina è estesa all'equa ripartizione dei tempi dedicati all'informazione politica, in modo da garantire uguali condizioni nella diffusione di notizie e di riferimenti alla maggioranza che sostiene il Governo e all'opposizione.
Nell'ambito dell'informazione elettorale, erano riservati a soggetti politici interessati spazi autogestiti e come tali svincolati da qualunque condizionamento editoriale, nonché rubriche e servizi di informazione elettorale, comprendenti forme tradizionali e qualsiasi altra forma di espressione. L'impostazione di massima era tesa a garantire un'informazione completa ed imparziale nel servizio pubblico, ad assicurare piena libertà di forme all'informazione elettorale, con equa ripartizione degli accessi, e ad eliminare inibizioni sancite al fine di realizzare una par condicio nella deteriore situazione di un divieto generalizzato.
Il motivo di fondo della nostra contrarietà al provvedimento in esame è che il Governo non può pretendere di considerarsi terzo agli effetti della ripartizione dei tempi, essendo espressione della maggioranza. Diversamente, questa conseguirebbe una posizione di indebito vantaggio. In un regime democratico debbono essere escluse distorsioni che valgano a privilegiare l'esecutivo e a rendere più difficile il ricambio nella gestione della cosa pubblica.
D'altronde, la visione popperiana della democrazia consiste proprio nella necessità di garantire il controllo sull'operato dei governi. Ciò per rifarsi a quel principio del diritto di replica, utilizzato dalla televisione inglese, rispetto alle informazioni fornite sull'attività del Governo che, quale specchio di una realtà pienamente maggioritaria, concede all'opposizione un'opportunità analoga a quella di cui dispone per illustrare le proprie posizioni.
Le nostre proposte si rendevano necessarie per garantire un'equilibrata informazione politica sui mezzi della concessionaria del servizio pubblico che ha - si ricorda - tra le missioni primarie, visto il percepimento del canone di abbonamento di circa 2.500 miliardi, proprio il pluralismo, l'obiettività e la completezza dell'informazione. Si tratta di missioni alle quali la RAI non sembra affatto rispondere se è vero, come hanno riportato numerosi organi di stampa, citando le rilevazioni dell'osservatorio di Pavia, che nei primi sei mesi del 1999 il tempo destinato ad informare sulle attività e le posizioni politiche dei partiti della maggioranza e di Governo è stato di oltre 5 mila minuti, rispetto ai 1.500 minuti dell'opposizione.
Il rispetto di un equilibrio informativo nel corso dell'intera vita politica e parlamentare del paese da parte del servizio pubblico è il presupposto sul quale deve fondare un sistema mediatico maturo. Il rispetto del suddetto equilibrio evita che si possa realizzare un forte e continuato condizionamento della pubblica opinione che peserebbe assai di più della propaganda effettuabile nei trenta giorni precedenti la consultazione elettorale.
Ma torniamo al provvedimento in esame ed entriamo più propriamente nel merito e nello specifico. Vorrei in questa
Nel provvedimento in esame sono presenti alcuni passaggi francamente impresentabili e che sono probabilmente figli della fretta e della voglia di portare comunque a conclusione il provvedimento. Vorrei ricordarne alcuni. Uno, che ho già ricordato questa mattina e che francamente mi lascia sorpreso, ma sul quale mi sembrava di capire che vi fosse un'attenzione da parte del Governo, riguarda ad esempio l'applicazione di queste norme restrittiva anche in presenza di una sola elezione suppletiva alla Camera e al Senato. Addirittura, all'articolo 1, comma 2, sembra che le disposizioni restrittive si applichino sempre e comunque, anche in presenza di elezioni comunali. Laddove non si vogliano definire le occasioni in cui queste norme debbano essere applicate, proporrei che si lasci quanto meno all'authority la possibilità di decidere.
Clamorosa mi sembra, inoltre, la disparità di trattamento fra stampa e televisione.
Sono poi elencate - altro elemento da noi fortemente criticato - avvilenti e vincolanti forme di comunicazione della politica: si vogliono ancorare i media a metodologie televisive che potevano essere valide negli anni cinquanta e sessanta, ma che mi sembrano assolutamente superate nel terzo millennio.
Quindi c'è un altro problema, la definizione di «soggetto politico». Come facciamo a definirlo, in un mondo politico in cui c'è una grandissima mobilità? Sempre in base al combinato disposto degli dei commi 1 e 2 dell'articolo 1, dobbiamo andare a ricercare i soggetti politici anche nelle assemblee elettive: quindi in questo Parlamento ce ne saranno circa 30 o 35, per non parlare dei consigli provinciali, regionali e comunali. Insomma, un'enormità di soggetti politici: come facciamo a definirli e come facciamo ad applicare questa normativa? Ogni volta che vi sarà un nuovo soggetto politico riformeremo l'applicazione della normativa, riformulando tutti i meccanismi che la rendono operativa?
Vi è poi la metodologia aberrante dei due contenitori: due contenitori al giorno, soggetti politici a decine, un messaggio politico per ogni soggetto politico. Ciò vuol dire che in ogni contenitore, essendo gratuito l'utilizzo del messaggio politico breve, vi saranno trenta o quaranta soggetti politici che cercheranno di usufruirne completamente, quindi in ogni contenitore vi saranno - moltiplicando per tre i trenta o quaranta soggetti politici - 150 minuti dedicati alla campagna elettorale. Nessuno lì trasmetterà, né le emittenti televisive private nazionali né quelle pubbliche.
Un altro aspetto che desidero sottolineare riguarda l'applicazione della legge a partire dall'indizione dei comizi elettorali, quindi 46 giorni prima della scadenza elettorale; ma nel periodo intercorrente tra il quarantaseiesimo ed il trentesimo giorno - data di presentazione delle liste - nessuno riuscirà ad individuare i soggetti politici, perché le liste non saranno ancora confezionate, quindi vi saranno 15 giorni di blackout.
Insomma, ho voluto citare alcuni aspetti critici: una relazione di minoranza, ovviamente, ha anche la funzione di stimolare una discussione sui punti che mostrano maggiori contraddizioni. In conclusione, però, mi auguro che da parte del Governo e della maggioranza possa esserci qualche ripensamento. C'è grande attesa per questo provvedimento, come è stato dimostrato anche questa mattina dalla manifestazione delle emittenti locali che si è svolta proprio alle nostre porte e che mi sembra abbia esplicitato la loro forte contrarietà nei confronti del testo in esame. Non so come sia andato l'incontro che mi sembra vi sia stato oggi tra i rappresentanti del Ministero e quelli dell'emittenza locale; comunque, se pure vi
Noi ce lo auguriamo, ma penso, cari colleghi, che se lo auguri soprattutto questo paese, che vi guarda e vi giudica (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Alla luce di queste penetranti considerazioni, si può dire che il disegno di legge governativo sulla cosiddetta, e maldetta, par condicio si commenta da solo. Posti di fronte alla seguente alternativa, o spot televisivi per tutti o per nessuno, i fosforescenti artefici del provvedimento non hanno avuto esitazione alcuna. Incredibile a dirsi, si sono attestati sulla linea del Piave - si fa per dire - del secondo corno del dilemma: spot televisivi per nessuno.
Vero è che sarà il Parlamento a disporre in ultima istanza, perché non prendiamo neppure in considerazione l'ipotesi formulata dal ministro delle comunicazioni Cardinale dell'adozione, in zona Cesarini, di un decreto-legge. Sbagliare è umano e in passato il Governo ha reiterato, per ben otto volte, un decreto-legge che non è stato mai convertito in legge. Perseverare sarebbe diabolico. Ma il fatto che sia il Governo della Repubblica ad assumere in prima persona un'iniziativa legislativa volta a comprimere i diritti sanciti dalla Costituzione è cosa gravissima e degna della più pesante censura.
Non è soltanto l'opposizione, del resto, a denunciare l'illegittimità costituzionale del provvedimento. Nelle audizioni svoltesi presso la Commissione affari costituzionali della Camera, ben tre Presidenti emeriti della Corte costituzionale - Baldassarre, Caianiello e Corasaniti - sono stati estremamente espliciti al riguardo. I loro dubbi traggono alimento anche dalla giurisprudenza della Consulta, secondo la quale sono ammissibili limiti temporali alla comunicazione politica, ma non sono ammissibili divieti assoluti. In effetti, il provvedimento, come il gruppo di Alleanza nazionale e tutto il Polo hanno dimostrato con le loro questioni pregiudiziali di costituzionalità, contrasta con tutta una serie di fondamentali articoli della suprema legge della Repubblica.
In presenza di un quadro normativo quanto mai inquietante, come si è comportata la maggioranza in Commissione? Ha rifiutato ogni dialogo e ha commesso un'infinità di scorrettezze che, di sicuro, non le fanno onore. Come le tre scimmiette, la maggioranza si è tappata gli occhi, le orecchie e la bocca e non ha visto, non ha sentito e non ha parlato. Questa circostanza suscita stupore, perché, di proposito, la maggioranza non ha avvertito il dovere di contrapporre - salvo i relatori Cananzi e Massa - alle documentate ragioni delle opposizione le proprie ragioni. Ma sono soprattutto le scorrettezze e la violazione delle più elementari regole del gioco che gridano vendetta.
Siamo arrivati ai tempi supplementari, come abbiamo ricordato nel pomeriggio, a confronto dei quali il Charlie Chaplin di Tempi moderni può considerarsi uno scansafatiche. Questi spazi temporali così ristretti appaiono tanto più assurdi in quanto il Consiglio dei ministri, anche allo scopo di applicare la par condicio alle elezioni regionali, ha fissato la data di domenica 16 aprile per lo svolgimento delle elezioni, da svolgersi, in un primo tempo, il 26 marzo.
È un passo falso, ad esempio, come reiteratamente ha fatto il sottosegretario Vita, sostenere che Germania, Gran Bretagna e Francia non conoscono gli spot televisivi: questa è una pura e semplice falsificazione del diritto costituzionale comparato. La verità è che, qualunque sia la normativa vigente - il dover essere sta all'essere -, in Germania e in Gran Bretagna le trasmissioni possono avere un contenuto analogo a quello dello spot elettorale. Per quanto riguarda poi la Francia, rinvio al Droit de la communication di Emmanuel Derieux, il quale fa capire che anche in Francia vengono fatti gli spot. Gli spot elettorali sono ammessi anche in Austria, Belgio, Finlandia, Irlanda e Grecia.
Come quel personaggio di una commedia di Eduardo - Natale in casa Cupiello - diciamo che questo presepe della par condicio non ci piace. Non ci piace perché taglia a fettine come un salame la Costituzione. Non ci piace perché in apertura si afferma di voler promuovere la comunicazione politica, mentre è vero l'esatto contrario. Siamo alla neolingua di George Orwell! Non ci piace perché penalizza le reti televisive locali e discrimina quelle nazionali: un proibizionismo degno di miglior causa. Ogni riferimento alla legalizzazione delle droghe leggere e all'eroina controllata, approvata dai Democratici di sinistra al congresso di Torino, non è puramente casuale. Non ci piace perché la durata dei messaggi televisivi autogestiti è compresa tra i novanta secondi e i tre minuti e novanta secondi rappresentano un'eternità che costerà ai candidati un occhio della testa e li costringerà alla rinuncia della pubblicità. Non ci piace perché la sovrapposizione di diverse fonti normative - come ha denunciato il Comitato per la legislazione - assesterà un ulteriore colpo alla certezza del diritto.
Infine, a questa legge si aggiungeranno le indicazioni della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e dell'autorità per le garanzie nelle comunicazioni: indicazioni, queste ultime, che avranno la medesima scala di durezza nella legge ordinaria. Non ci piace l'affastellamento delle più svariate sanzioni, che si accavallano senza il benché minimo costrutto, con quelle contemplate dalla legge n. 515 del 1993.
Certo, in un sistema tendenzialmente bipolare come il nostro, l'opposizione non deve soltanto criticare, ma proporre soluzioni normative alternative a quelle presentate dal Governo e dalla maggioranza. Difatti, Alleanza nazionale e tutto il Polo non si limitano a dire puramente e semplicemente di no. Anche se il «no», un «no» a caratteri cubitali, è più che giustificato dalla circostanza che questo disegno di legge non contiene disposizioni generali ed astratte ma ha - per dirla con Costantino Mortati - un formato tessera, se è vero, come è vero, che esso si propone di imbavagliare il leader del Polo, Silvio Berlusconi, e con lui tutta quanta l'opposizione.
A questo provvedimento liberticida, in tutto e per tutto degno delle iniziative legislative predisposte dal generale Pelloux alla fine dell'Ottocento, e per fortuna non andate in porto grazie a quell'ostruzionismo vincente di radicali e socialisti - e mi auguro che i socialisti di oggi siano pari ai socialisti di allora - che noi vogliamo prendere a modello nei prossimi giorni, noi contrapponiamo un'alternativa schiettamente liberale. Essa è rappresentata dal testo alternativo che sottoponiamo alla vostra attenzione. Si tratta di un testo che fa tesoro della proposta di legge sulla par
Concludo con una battuta; anche in onore del presidente della Commissione affari costituzionali, ricordo Filumena Marturano. Non c'entra, per carità, il personaggio; la cito soltanto perché si tratta di una commedia di Eduardo, ci mancherebbe altro! Ricordo che questo provvedimento non solo vieta alcune cose, ma il Governo dice che la comunicazione politica deve essere «così, così, così, così». Mi ricordo quella compagna «malafemmina» che, insegnando il mestiere alla giovane e inesperta Filumena Marturano, diceva «così, così, così, così», come iniziazione alla prostituzione. È chiaro che qui nessuno è Filumena Marturano, ma noi con Filumena Marturano ripetiamo le sue parole: «Che schifo!». Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
Illustro una proposta di minoranza che so bene essere destinata a rimanere tale, ma che costituisce il tentativo...
Costituisce - come dicevo - il tentativo di indicare al Governo una soluzione che tenga conto di alcune delle preoccupazioni e delle ragioni di allarme che tutti noi, a vario titolo, e con argomenti e, qualche volta, aggettivi diversi, ma sulla base di una convinzione comune, abbiamo rappresentato in questi giorni in Commissione ed oggi, nell'avvio di questo confronto, in aula.
Nel sistema costituzionale italiano porre limiti alla possibilità dei partiti e dei dirigenti politici di comunicare con i cittadini risulta essere un'operazione legislativa delicata, che facilmente può superare i limiti posti dalla Carta fondamentale al legislatore a garanzia di libertà costituzionali e, tra queste, in particolare, di quelle cui fa riferimento l'articolo 21.
Per quel che riguarda la comunicazione politica in campagna elettorale, in considerazione dell'esigenza di porre tutti i candidati in condizioni di parità, il Parlamento ha introdotto nel 1993 la legge n. 515, con la quale vengono fissati limiti di spesa per la campagna elettorale ed un complesso sistema volto a regolare trasparenza ed equità di condizioni di accesso ai mezzi di comunicazione da parte dei candidati dei partiti e dei movimenti politici. Fu fatta allora una scelta precisa per la quale il principio di parità di condizioni, in particolare nel periodo della campagna elettorale, si realizzava evitando che il potere economico di un candidato potesse rendere una maggiore visibilità e imponendo regole precise per l'accesso ai servizi radiotelevisivi.
Come tutte le soluzioni quella accolta con la legge n. 515 realizzava un compromesso attualmente operante nell'ordinamento, che ci consente di affermare che esistono oggi gli strumenti per garantire una sorta di par condicio. Il problema è quello di applicare tali norme, migliorarle, integrarle e, tuttavia, il sistema deve comunque essere concepito come una deroga applicabile solo nelle campagne elettorali, in quanto la regola deve rimanere quella della massima libertà di comunicazione tra la dirigenza politica e l'elettorato, unico titolare della sovranità in una democrazia rappresentativa. Tanto più credo che questo argomento meriti ponderazione e riflessione se teniamo conto della frattura, anche di comunicazione, che oggi separa il sistema politico dai cittadini.
Il testo che presento e lascio all'attenzione del Parlamento cerca di andare in questa direzione, introducendo solo quelle norme necessarie a garantire un uso corretto del messaggio pubblicitario con un sistema coerente con la legislazione che vige in termini di parità di accesso tra
La proposta di legge, che si applica a tutte le competizioni elettorali ed ai referendum, si basa su tre fondamentali principi. Il primo è quello di un accesso gratuito di partiti, movimenti e candidati al servizio pubblico. Il secondo è quello di individuare prezzi, per così dire politici, fissati dall'autorità per le garanzie nelle comunicazioni e, quindi, sottratte a qualunque forma di contrattazione tra le emittenti private e i soggetti politici. Il terzo principio è quello di un tetto di spesa che eviti un uso eccessivo da parte di chi ha maggiore capacità economica e ci faccia trovare con il tempo a fronteggiare campagne elettorali faraoniche come quella che si apprestano a condurre negli Stati Uniti i candidati presidenziali.
Il limite di spesa per i messaggi pubblicitari politici è pari al 50 per cento del limite massimo stabilito per la campagna elettorale dove questo sia previsto. Sappiamo peraltro che questa è una legislazione per così dire in fieri, oggetto di un referendum, se esso verrà ammesso. Credo quindi che dobbiamo in qualche modo commisurare questo aspetto all'evoluzione della legislazione in materia.
Per le consultazioni referendarie, europee e comunali, in cui non è previsto un tetto di spesa, viene introdotto un meccanismo simile a quello utilizzato per le elezioni politiche. Ulteriori regole vengono poi introdotte a garanzia del diritto ad una corretta informazione dei telespettatori. I messaggi pubblicitari potranno essere trasmessi con un'apposita scritta (definizione di pubblicità elettorale), non dovranno contenere informazioni false o denigratorie, non potranno usare tecniche di suggestione dirette a promuovere un'immagine negativa dei competitori ovvero lesiva dei diritti della persona.
Le disposizioni introdotte, infine, non si applicano alle emittenti televisive locali e alle reti telematiche; vi sono opportunità che sconsigliano di estendere alle emittenti locali le disposizioni previste, mentre per le reti telematiche sembra ancora prematuro introdurre regole che potrebbero limitare l'enorme potenziale informativo dei nuovi media. Inoltre, l'accesso dei cittadini alle informazioni presenti sulle reti telematiche si attua attraverso una scelta volontaria del percorso di navigazione e tale circostanza impone una disciplina specifica che tenga conto dell'approccio interattivo con le informazioni ben diverso, evidentemente, dall'atteggiamento passivo dello spettatore davanti alla televisione.
Dal campanello del Presidente, intuisco e temo che il tempo a mia disposizione si stia esaurendo.
Stiamo parlando di un argomento che per sette volte è stato oggetto di un decreto-legge che per sette volte il Parlamento non ha convertito in legge. La sensazione di un provvedimento su misura, predisposto in nome di una ragione e di un interesse di parte, è, per usare un eufemismo, molto, molto forte.
La giustificazione dietro la quale il Governo ha trincerato tale ragione di parte è il riferimento alla normativa europea. A parte il fatto che esistono altri paesi di antica democrazia, come gli Stati Uniti, che non sono precisamente terzo mondo e che hanno sistemi di comunicazione che guardano con più favore a questo tipo di messaggio, segnalo che esiste un'anomalia che riguarda il nostro paese, ossia l'intreccio storico, per qualche aspetto incestuoso, che in molti abbiamo contribuito a determinare e di cui, di volta in volta, in molti abbiamo approfittato, tra il servizio pubblico e la maggioranza di Governo; ciò determina nel sistema televisivo del nostro paese una situazione molto diversa rispetto a quella di altri paesi europei.
Mi fermo qui. Sottolineo che c'è, da parte del Governo e della maggioranza,
Noi abbiamo osservato che vi è una ferita di fondo che viene arrecata anche al confronto democratico, alla libera espressione del pensiero, quando si comprime in modo irreversibile - perché si comprime attraverso un divieto assoluto - il diritto di ogni attore politico di partecipare con pienezza di mezzi e di condizioni espressive alla campagna elettorale per far conoscere il proprio pensiero politico nel momento in cui chiede agli elettori un consenso.
Questa perplessità, che è una perplessità generale, io l'ho vista rafforzare nel corso dell'istruttoria che abbiamo svolto in Commissione. In Commissione, durante le audizioni informali di tre ex presidenti della Corte, abbiamo affrontato proprio questo tema: qual è il limite del contemperamento tra l'interesse che diviene diritto e diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione di chi vuole esprimere liberamente il proprio pensiero politico e l'interesse alla effettiva equità e parità di condizioni nell'accesso ai mezzi di libera espressione del pensiero politico? Credo che tale contemperamento si possa realizzare garantendo condizioni libere ed eguali per tutti, non impedendo - sia pure paritariamente a tutti - questa possibilità di accesso! Questa è la filosofia di fondo che distingue in modo radicale le posizioni che Forza Italia e le altre opposizioni stanno rappresentando in quest'aula.
Allora, come ha detto ora l'onorevole Follini, vi sono dei sospetti, dei sospetti che divengono purtroppo certezze, che, trattandosi (e vorrei dire «pur trattandosi») della stesura di regole in uno dei settori fondamentali della democrazia (è quindi uno di quei settori in cui le regole vanno davvero scritte assieme, con una ampia maggioranza di forze politiche), in questo così delicato settore di regole, la regola la maggioranza la voglia scrivere esercitando le proprie prerogative di maggioranza per un interesse di parte della stessa. Questo sospetto evidentemente non contribuisce al dialogo positivo tra le forze politiche non solo per questa vicenda, ma anche per tutte le altre vicende che da qui ai prossimi mesi verranno rappresentate nelle aule del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. A me spiace che questo accada. Mi rendo conto che una democrazia compiuta è quella in cui le regole, tutte le regole, vengono scritte ad un tavolo assieme all'opposizione da parte della maggioranza; non quella democrazia in cui la maggioranza, avvalendosi delle sue legittime prerogative di maggioranza (legittime, in ogni settore e in ogni materia), operi in tal senso salvo che nella stesura di regole comuni, perché - come qualche collega ha detto oggi nel dibattito sulle questioni pregiudiziali -, se qualcuno
I punti più importanti li hanno sottolineati i colleghi relatori per la minoranza: la disparità di trattamento tra stampa e televisione e la disparità di trattamento tra emittenti locali e nazionali. Vi sono poi dei problemi delicatissimi che toccano la certezza delle situazioni giuridiche soggettive: la definizione di soggetto politico. È un tema ben sottolineato nel dibattito che si è svolto ieri sera al quale io ovviamente ho partecipato nel Comitato per la legislazione.
Quando in una legge in cui si tratta di definire la parte più delicata, cioè l'ambito applicativo soggettivo, si dice che la legge si applica ad ogni soggetto politico, noi riteniamo davvero che in una materia così sensibile l'individuazione dell'ambito applicativo non dia luogo a possibili controversie anche frequenti? Allora vogliamo rinunciare a specificare nel tessuto normativo chi sia il soggetto politico destinatario, o i destinatari, di queste disposizioni? Vogliamo che anche su questo sia la giurisprudenza e siano i giudici a decidere ancora una volta sostituendosi alla politica perché in questo Parlamento forse non abbiamo nemmeno il coraggio o la volontà di metterci d'accordo per individuare a chi si debba applicare la legge che pure nel merito non condividiamo? Almeno sull'individuazione dei soggetti destinatari credo che le chiusure della maggioranza, rispetto alle quali invito in modo davvero sentito ad un ripensamento, siano chiusure francamente ingiustificabili. Debbo dire che è giustificata la nostra reazione dura dinanzi alla chiusura anche a chiarire quello che ogni cittadino e ogni interprete ha diritto di vedere: un testo normativo facilmente comprensibile da parte di chiunque.
Ancora, non è questione di poco conto quella sollevata da un organo di questa Camera, il Comitato per la legislazione: il mancato coordinamento con la legge n. 515 del 1993. Quando molti di noi sostengono (ed io stesso ritengo) che la materia non sia priva di regolamentazione normativa allo stato attuale della legislazione, ma che ci sia, proprio nella legge n. 515, la esatta individuazione di organi, autorità e procedimenti per l'assegnazione di spazi paritari a tutti gli attori politici, la prova che questo è vero, e che quindi la norma non è necessaria per colmare un vuoto normativo, perché la normativa c'è, e un argomento forte a sostegno di tutto questo sono dati dal fatto che nella legge non vi sono abrogazioni esplicite di quella parte della legge n. 515 che disciplina proprio i provvedimenti ed i poteri di assegnazione degli spazi e di delimitazione che sono completamente e totalmente regolati dal nuovo provvedimento. Una tecnica legislativa corretta abroga espressamente quando esiste la possibilità di una sovrapposizione anche parziale perché questa non è materia in cui il rischio di sovrapposizione possa in qualche modo legittimamente intervenire.
Chiudo il mio intervento con una ultima considerazione. Mi impressiona e mi preoccupa l'attribuzione ad organi come l'autorità che, essendo organi indipendenti, come è noto, hanno l'altra faccia della medaglia: non rispondono a nessuno, non rispondono al potere politico, non rispondono al Governo. Ebbene, c'è una disposizione che attribuisce in bianco la potestà di adottare sanzioni cautelari d'urgenza di contenuto indeterminato.
Per i colleghi che ricordano i principi generali del diritto, anche processuale, le misure cautelari, cioè quelle di tipo inibitorio
Come è facile intuire, un sistema politico, se proclama la pretesa di tutelare anche costituzionalmente il diritto dei cittadini all'informazione e a farsi un'idea, non può contestualmente ridurre, fino a renderli insignificanti ed inefficaci, gli spazi destinati alla comunicazione politica, in particolare quelli che i partiti potrebbero utilizzare durante le campagne elettorali per ottenere il consenso degli elettori. La tutela di cui qui si parla, peraltro, non scaturisce solo dalle convinzioni di Alleanza nazionale ma da un'attenta e condivisa lettura del primo comma dell'articolo 21 della Carta costituzionale, la cui portata, sebbene sul piano squisitamente lessicale guardi più al passato che al futuro, è ormai ritenuta comprensiva di quei media che solo più tardi del 1947 dimostreranno una capacità persuasiva di gran lunga superiore di quella dei tradizionali mezzi di comunicazione del pensiero.
In buona sostanza, i diritti di informare, di informarsi e all'informazione, rientrando a pieno titolo, in una società della comunicazione come la nostra, nella categoria dei diritti pubblici soggettivi, necessitano di un sistema di garanzie rafforzato almeno per due motivi fondamentali: perché rappresentano il presupposto logico e cronologico della libera formazione e manifestazione del pensiero e perché, se vulnerati, si colpisce al cuore la stessa natura democratica del sistema politico e costituzionale.
Onorevoli colleghi, come s'intuisce da questi richiami, la problematica della comunicazione in Italia si presenta molto più complessa della normativa sulla cosiddetta par condicio, di cui ci stiamo occupando con il disegno di legge n. 6483. Avremmo voluto che il provvedimento in questione normasse la comunicazione in generale, esplorasse i diversi settori della società dove si fa comunicazione e si incide nella formazione del pensiero dei cittadini prima ancora che nella sua manifestazione, ma ciò non è stato possibile per l'atteggiamento di chiusura di una maggioranza che aveva ed ha un solo interesse, anche se non dichiarato: quello di chiudere la partita in vantaggio prima delle elezioni regionali e delle elezioni politiche del 2001.
Se così è, si capisce e si giustifica la chiusura ideologica ed il tasso di opportunismo politico che caratterizzano espressioni come quelle di cui all'intervento del sottosegretario Vita, che ha detto testualmente: «La pubblicità è una forma comunicativa nata per la vendita dei prodotti commerciali, che rifuggono da ogni confronto nell'esaltazione delle proprie qualità vere o presunte; importante è che l'acquirente riceva una determinata immagine del prodotto, vera o falsa non importa, ciò che conta è la vendita. Comprimere la politica in uno spot commerciale è riduttivo e pericoloso,
Come si vede, si tratta di concetti fortemente datati, nell'ambito dei quali s'ignora l'evidenza di una società della comunicazione, che si presenta ricca, articolata e soprattutto attraversata da una molteplicità di fonti informative, che vanno da una ricca produzione editoriale ad una influente presenza di testate giornalistiche, da una significativa produzione teatrale e cinematografica ad una consistente rete di emittenti radiotelevisive pubbliche e private, da una scuola pubblica e privata diffusa sull'intero territorio nazionale ad una rete Internet che collega con il mondo intero, dove nessuno può ragionevolmente contestare che la propaganda elettorale ed i messaggi pubblicitari cadano dentro un dibattito ed un confronto politico e culturale intenso, contrastato e plurale. Ovvero, i messaggi pubblicitari non cadono nel deserto della comunicazione, ma all'interno di un contenitore più vasto ed estremamente plurale. L'unica cosa che stona, e che rende il nostro sistema politico «a rischio regime», è semmai che l'universo comunicativo di cui si va parlando appare sensibilmente sbilanciato a sinistra. Tuttavia, tale dato conforta, e non scoraggia, un provvedimento sulla comunicazione politica ed elettorale aperto e ancorato alla tutela del diritto di chiunque a manifestare con ogni mezzo il proprio pensiero.
La molteplicità delle fonti informative, requisito sempre richiesto dalla Corte costituzionale, e la ricchezza del dibattito comunicativo che, come ho detto con forza, è un dibattito plurale, rappresentano dunque la risposta più argomentata e convincente a favore della legittimità dell'uso della propaganda e della pubblicità politica ed elettorale sui mezzi di diffusione radiotelevisiva ed offrono altresì, al contrario di quello che sostengono l'onorevole Vita e l'onorevole Massa, la chiave di lettura del perché da noi, in Italia, lo spot non rappresenti uno strumento di manipolazione del pensiero, come si lascia intendere, ma la forma più significativa, sintetica, immediata ed efficace di comunicazione di un messaggio, di un interesse, di un valore, di un programma o di un progetto. Lo spot, quando agisce all'interno di un universo comunicativo plurale, come quello italiano, costituisce un «di più e meglio», che aiuta a capire, e non a confondere, e che si coniuga perfettamente con la modernità. Non si spiegherebbe, cari colleghi, diversamente perché ormai allo spot faccia ricorso la Presidenza del Consiglio per le campagne di sensibilizzazione e di solidarietà sociale; la Chiesa per pubblicizzare il Giubileo o per motivare l'8 per mille; le società sportive per montare un avvenimento agonistico; il mondo dell'economia per vendere un prodotto; i soggetti del volontariato e le organizzazioni umanitarie internazionali per mobilitare le coscienze. Né si spiegherebbe il fatto che nella realizzazione degli spot si cimentano famosi registi ed intellettuali, che li considerano ormai alla stregua di una moderna forma d'arte.
Se dunque, il nostro, in Italia, è un contesto comunicativo plurale, dove ogni tema, ogni argomento della politica è affrontato, approfondito, sviscerato in tutti i suoi aspetti, la molteplicità delle forme di propaganda elettorale rappresenta un dato dal quale non si può prescindere e che non può essere vulnerato, come si fa con questo disegno di legge. La pubblicità politica in forma di spot, la libertà di forme nella propaganda elettorale, un sistema misto gratuito e a pagamento sulla propaganda in generale, la parità di accesso e la parità di trattamento, un'informazione obiettiva, completa ed imparziale, una pubblicità che non sia denigratoria, palesemente falsa ed ingannevole, un tetto di spesa adeguato,
Lo spot, la pubblicità e la propaganda sui mezzi di diffusione di massa, in particolare, se vengono regolamentati e non cancellati accorciano le distanze da apparato e da organizzazione, che ancora residuano dalla prima Repubblica, a favore dei partiti che si sono avvantaggiati da Tangentopoli e pongono tutti i soggetti politici sulla stessa linea ai blocchi di partenza.
Onorevoli colleghi, la maggioranza di Governo per vendere la cancellazione degli spot e della propaganda dalle emittenti nazionali private e da quelle locali ha spesso richiamato la normativa di alcuni paesi europei, come la Gran Bretagna o la Germania. A parte la circostanza che quasi ovunque si differenziano gli spot dalla propaganda elettorale, a nessuno sfugge che, se in alcuni paesi dell'Occidente non si consente la diffusione di spot politici - ammesso che sia vero - durante le campagne elettorali, ciò è dettato più dalla necessità di «proteggere» il bipolarismo, o il bipartitismo alla pari, che c'è, da insidie esterne che, come in Italia, dall'interesse a favorire un bipolarismo alla pari che ancora non c'è e che oscilla tra il ritorno al trasformismo e il rischio regime. Per dirla altrimenti, in Inghilterra non si fanno gli spot per difendere il bipartitismo dall'insidia dei liberali, mentre si consentono i sondaggi fino al giorno prima delle elezioni perché tanto fanno fuori i liberali ed è un problema interno, una questione privata tra laburisti e conservatori.
In Inghilterra ciò avviene, quindi, per eliminare il terzo incomodo, mentre in Italia non si fanno gli spot o non si consente la propaganda elettorale per eliminare il secondo incomodo, che è il Polo delle libertà come antagonista della maggioranza di sinistra.
È stato per tale motivo che nel confronto politico-elettorale del 27 marzo 1994 solo una normativa come quella della legge n. 515 del 1993 ha consentito alle forze politiche moderate federaliste di centrodestra di ristabilire una parità di partenza.
Attenzione: una volta crollati i partiti di Tangentopoli, sui quali si fondava la prima Repubblica, mentre la parità che la reggeva e che contrapponeva all'apparato comunista quello democristiano veniva meno, un'altra parità non la sostituiva e così, se una parte di quel sistema scompariva - DC, PSI, PRI, PLI e PSDI -, l'altra, quella che residuava dal PCI, si consolidava. Il dato di partenza non è quindi la par condicio, ma una «dispar» condicio a favore della maggioranza di centrosinistra.
Sia la Corte costituzionale, sia il Garante hanno avuto modo di precisare quali limiti si accompagnino a quella tutela, per garantire il diritto all'informazione, ad informarsi e ad informare. La sinistra si aggancia più ai limiti che alla tutela e punta, come abbiamo sempre ribadito, alla cancellazione dai mezzi radiotelevisivi della campagna elettorale.
Cosa significa, infatti, se non questo, imporre la gratuità dell'offerta degli spazi di propaganda elettorale sulle emittenti private nazionali? Basti pensare a quello che è avvenuto nel 1995: le emittenti hanno fatto l'offerta degli spazi prima dell'entrata in vigore del provvedimento sulla par condicio; subito dopo tale entrata in vigore, hanno ritirato l'offerta, perché, se alla concessione di spazi gratuiti non corrisponde un vantaggio connesso a spazi a pagamento, nessuna emittente blocca il proprio palinsesto televisivo, quando potrebbe dedicare quel tempo ad altre trasmissioni sponsorizzate dalle società commerciali. Con questo sistema si cancella di fatto l'offerta degli spazi.
Cosa significa la proibizione degli spot sulle reti nazionali pubbliche e private, se non che si vogliono inchiodare pochissimi utenti a noiosissimi dibattiti? Cosa significa che si possono consentire sulle reti private locali due spot al giorno in due contenitori specifici da diffondere fuori dai contenitori commerciali, se non che si intende svuotarli di ogni efficacia persuasiva?
La stessa pretesa riconoscibilità degli spot politici significa che essi entrano all'interno di contenitori commerciali, perché la riconoscibilità esiste se ci si trova all'interno di qualcos'altro. La verità è che si vuole mettere il bavaglio - lo abbiamo sempre detto - e che, per mantenere il vantaggio venuto dal crollo di Tangentopoli, la maggioranza di Governo utilizza scorrettamente un argomento: la discesa in campo di un soggetto che possiede tre canali televisivi costituisce un evidente conflitto di interessi; tesi che, se ha un suo fascino, non regge ad un'analisi attenta e puntuale di cosa si intenda esattamente per comunicazione.
La sinistra dice di sapere che, tutto sommato, stanno uccidendo la libertà e stanno mettendo il bavaglio all'informazione, ma c'è Berlusconi. Sappiamo benissimo che, per quanto riguarda la comunicazione in generale, come abbiamo detto, ci troviamo all'interno di un universo plurale, in cui istituzionalmente agiscono molti soggetti: un sistema misto radiotelevisivo, la scuola pubblica e privata, il pluralismo editoriale e delle testate, tre reti televisive, la RAI, Telemontecarlo e le altre TV pubbliche e private. Ciò costituisce un elemento di pluralità che rafforza la democrazia.
Con riferimento all'informazione e alla tutela della sua genuinità, la proprietà dei mezzi televisivi non è importante, perché sia il Garante che la Corte costituzionale hanno stabilito esattamente come si fa informazione. Su questo versante, in verità, la sinistra di regime intende soltanto mantenere vive le condizioni di disparità che le hanno consentito in passato di vincere, conservando inalterato il vantaggio di cui abbiamo detto.
La verità è che il provvedimento in questione punta a mettere il bavaglio all'informazione e non può valere a nulla la circostanza (visto che c'è il tetto di spesa di cui ogni tanto si parla) che, pagando la propaganda e la pubblicità sulle emittenti private nazionali di Silvio Berlusconi, la maggioranza finanzia l'opposizione. Questo è un argomento risibile. E aggiungo: quale importanza può avere, per esempio per Alleanza nazionale, la circostanza che il quotidiano la Repubblica sia orientato a sinistra, sia di proprietà di un editore di sinistra, se è garantita la proprietà di accesso e di trattamento sulla propaganda e sulla pubblicità politica ed elettorale a pagamento? Addirittura con i propri messaggi si possono colpire ceti e fasce di elettori contigui all'elettorato di centrodestra diversamente non raggiungibili.
Onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte ad un disegno di legge che non amplia gli spazi della libertà di informazione...
Non vedo francamente nessun dramma nel discutere questo provvedimento, vedo più i toni della farsa che del dramma, per la verità; vedo una testarda difesa di privilegi individuali che non hanno luogo in nessun altro paese.
Trovo giustissimo difendere il privilegio di uno, ma la libertà di tutti è altra cosa. Il provvedimento approvato al Senato con il voto della Lega (per ragioni di carattere finora misterioso, anche se non ho capito bene perché abbia modificato tale atteggiamento, tanto più che è stata la forza più oltranzista, dal che si deduce che bisogna sempre diffidare degli atteggiamenti urlati ed estremizzati che danno sempre luogo a sorprese, a volte anche nei confronti degli alleati), e che io penso debba essere ulteriormente migliorato alla Camera (mi rivolgo al Governo), è in assoluto il più moderato, il più mite tra quanti sono stati approvati in Europa. E su questo io nutro preoccupazioni, anche perché la situazione italiana è diversa da quella degli altri paesi europei: è esattamente il contrario di quella che è stata descritta e, proprio perché vi è il conflitto di interessi, richiede una norma più rigorosa, non il contrario (come sostengono peraltro numerosi giuristi conservatori in Europa). Non si tratta di affermazioni generiche esse traggono fondamento dalle stesse schede inviate in Commissione dal presidente dell'authority, professor Cheli. Non le ripeterò.
In Francia il divieto è assoluto negli ultimi novanta giorni e non c'è un sistema propriamente bipolare, ma un sistema estremamente rigoroso composto da più partiti; analogamente in Spagna, dove non c'è un sistema bipolare e dove la situazione è diversa da quella francese; analogamente in Germania e nel Regno Unito. Possiamo andare ovunque, ma la situazione non cambia. Il divieto è più attenuato in Germania e nel Regno Unito dagli spazi autogestiti e da un forte aumento della comunicazione politica non pubblicitaria e non a pagamento.
Soluzioni analoghe sono state approvate in Svezia, in Danimarca e in Norvegia. In nessun paese ciò ha dato luogo a tensioni, drammi, sceneggiate e scontri d'aula. Nessuna forza democratica di destra o di sinistra ha avvertito ciò come un regime, lo stalinismo, il bolscevismo. Fra l'altro i bolscevichi non affrontarono mai la questione del conflitto di interessi perché avevano un sistema molto più radicale e sarebbe stato riprovevole affrontare questioni di questo genere; comunque, non si occuparono del conflitto di interessi, tema estraneo a quel tipo di cultura. Si tratta di provvedimenti ordinari, condivisi che pongono al centro il principio delle pari opportunità e la riduzione (mi rivolgo agli amici di Alleanza nazionale che su questo hanno discusso più volte) del peso del denaro come unico motore della determinazione del consenso. Questo è un tema tipico della destra popolare europea, mentre le destre aziendali sono cosa diversa dalle destre popolari. Se il denaro diventa l'unico motore, saremmo meno liberi tutti. Qui non c'è il problema della sinistra di regime e non vorrei tra qualche anno assistere a manifestazioni della destra di popolo contro la destra di regime, non vorrei che si aprisse un conflitto tra chi è proprietario della comunicazioni per tutti e le forze politiche che dovranno essere tributarie.
È quindi questo un elemento vero di riflessione che riguarda tutti noi, altro che sinistra o destra di regime! Non a caso, la stessa riflessione è in corso negli Stati Uniti tra democratici e conservatori dove, si dice, il peso della televisione e del denaro sta diventando preoccupante nel determinare gli schieramenti. Ecco perché non si tratta di una «questioncella».
La drammatizzazione italiana non deriva dalla «cattiveria» del testo in esame, ma dalla originalità solo italiana della coincidenza tra ruolo di leader politico e
Quando l'onorevole Romani ci invita a stare attenti ad alcune questioni riguardanti l'emittenza locale e la distinzione tra emittenza nazionale e locale, nonché altre questioni tecniche, voglio rammentargli che il Governo ha già dimostrato grandissima sensibilità tramite i sottosegretari Vita e Cardinale; non bisogna, dunque, lasciarsi trascinare dalla polemica, ma vanno accolte le questioni fondate tecnicamente e non semplicemente propagandistiche o ideologiche.
Il provvedimento in esame è nel segno della tradizione europea e non dobbiamo deflettere da questo principio. Ho sentito parlare di bavagli e di annientamento della comunicazione politica e dell'impossibilità di conoscere candidati e progetti. Non è vero! Mi permetto di fare una domanda: la comunicazione politica consiste solo negli spot a pagamento e in nient'altro? Stiamo cadendo in una grande trappola: se vi sono tanti spot a pagamento, vi è tanta comunicazione politica; se non vi sono spot, non vi è comunicazione politica. No, così facciamo torto alla nostra intelligenza.
Sono convinto, invece, che vadano modificate altre figure. Penso - mi rivolgo al Governo - che vada migliorata la parte relativa all'emittenza locale; penso agli emendamenti presentati dal Trifoglio e, in particolare, dai socialisti democratici che parlano di spazi autonomi e di spazi autogestiti sulla rete nazionale; mi sembra una via non proibizionista e praticabile, che credo sia giusto accogliere. Penso, soprattutto, al regolamento demandato
Ecco perché penso che alcuni degli emendamenti presentati debbano essere esaminati con grandissima attenzione, eliminando incongruenze, liberando la rete Internet da vincoli arcaici, diversificando ulteriormente tra le reti nazionali e quelle locali; tutto ciò nei limiti del possibile, senza stravolgere un provvedimento che a me pare già molto blando, molto mite, molto distante dalle necessità, e tenendo conto, tuttavia, che l'universo delle emittenti locali è più variegato, che esiste una sostanziale differenza anche tra le radio e le televisioni.
Mi permetto di sottolineare al Governo la necessità di riportare l'attenzione sui veri provvedimenti che imbavagliano l'emittenza locale e l'editoria. Da troppo tempo si attende l'approvazione del progetto di legge che non solo deve ridisegnare la RAI, ma finalmente anche definire gli ambiti dell'emittenza locale, che potrà vivere non se le diamo un po' più di soldi in questa stagione, ma se si ricreerà il mercato, se si supererà il duopolio, se la pubblicità non andrà soltanto nelle mani di Mediaset e RAI. Queste sono le condizioni strutturali che rendono obbligatoria l'approvazione di questo provvedimento. Io penso che su tali temi si debba dare un'attenta risposta alle imprese medie e piccole del nostro paese. Credo dunque che occorra eventualmente anche un ulteriore sforzo economico che consenta, nell'emittenza locale, un accesso dei candidati circoscrizione per circoscrizione, affinché vi sia un aumento delle possibilità di confronto.
Credo che il Governo e la maggioranza (e mi permetto di ringraziare il relatore Massa e l'onorevole Cananzi per la sensibilità e l'equilibrio dimostrati) debbano impegnarsi al miglioramento del testo: ritengo si tratti di un dovere non nei confronti dell'opposizione, ma dell'interesse generale. Nonostante il clima infuocato, ciò deve essere fatto.
A quest'ultimo proposito mi permetto di segnalare, nonostante il mio dissenso nei confronti della Lega, alcuni emendamenti presentati da quella parte politica in materia di sanzioni. In proposito la Lega presentò degli emendamenti che considero seri e rigorosi, perché non basta individuare l'emittente che sbaglia, occorre stabilire come intervenire, come sanzionare, come fissare una norma valida per tutti: non è ammissibile che le emittenti più piccole paghino le multe, mentre i più furbi riescono a scansarle. È tempo che verso la piccola e media emittenza si abbia la stessa attenzione che si è dedicata a Mediaset e RAI.
Non c'è dunque alcuno spirito di chiusura, ma non è possibile tacere di fronte al tentativo di fare dell'irrisolto conflitto
Ho sentito spesso parlare dell'articolo 21, ma voi mi insegnate che tale articolo non prevede una garanzia di libera espressione infinita, altrimenti non si capirebbe perché già addietro nel tempo siano state adottate regole sul megafonaggio, sull'affissione e sul volantinaggio, fino alla famosa sentenza della Corte costituzionale che metteva in guardia nei confronti del lancio di volantini dagli aerei, perché l'esibizione di potere economico può condizionare il voto. Insomma, è una materia molto delicata, non scherziamo: l'elemento dell'esibizione del potere e del denaro è un elemento delicatissimo, voi me lo insegnate, colleghi. Qui, poi, altro che volantinaggio e affissioni, ci troviamo di fronte alle forme più sottili e più forti della tecnologia moderna!
Condivido l'interpretazione estensiva dell'articolo 21 della Costituzione: ma perché non vale per il diritto di cronaca? Perché talvolta si cerca di restringerlo? Perché non vale per la censura? Perché non vale per il libero accesso alla rete Internet? Perché non vale contro i trust che hanno bloccato il mercato televisivo? Perché non ci si richiama, anche in questi casi, all'articolo 21 della Costituzione, che io condivido? Io voglio un paese più libero, ma che sia più libero anche dai monopoli, dai trust e dai piccoli gruppi che hanno sequestrato la comunicazione in Italia. La nostra è una battaglia per restituire la libertà a tutti, libertà che è stata sequestrata. Questa è veramente una libertà contro i bavagli che già esistono. Altro che par condicio, questa è la vera questione: come restituire la libertà ai cittadini in tutte le forme della comunicazione?
Concludo rivolgendomi al Governo e dicendo che i Democratici di sinistra sono disposti ad approvare questo testo, seppur non ancora all'altezza della straordinaria anomalia italiana, perché manca ancora una norma rigorosa sul conflitto di interessi. Lo fanno perché rappresenta un punto di equilibrio possibile tra diverse posizioni che tengono conto anche del pensiero di forze diverse, che hanno chiesto un provvedimento basato sulla moderazione, sulla mitezza, sull'attenzione e sul rispetto delle norme. Credo sia giusto tenere conto dell'interesse di tutti. Tuttavia, noi chiediamo al Governo e a noi stessi un'eccezionale accelerazione della modernizzazione del sistema della comunicazione e dell'affermazione delle libertà: mi riferisco alla norma sul conflitto di interessi, al provvedimento n. 1138, al provvedimento sull'editoria, fermo ormai da tempo, e penso al piano di azione per la diffusione delle nuove tecnologie dell'informazione e dell'informatica che è stato annunciato da tempo, ma che deve ancora essere varato.
Potreste chiedervi perché parlo di queste cose: semplicemente perché la libertà attiva non è la libertà di essere inondati, in questo settore, dagli spot a pagamento, ma è la libertà delle donne e degli uomini, anche dei più poveri, di accedere alle nuove reti telematiche, di godere di tariffe agevolate e particolari, di poter apprendere a scuola i nuovi alfabeti tecnologici per non diventare nuovi poveri e di consentire a migliaia di imprese italiane di essere competitive anche nel settore della multimedialità. Ciò significa poter disporre liberamente del proprio computer. Queste sono le libertà sostanziali nel campo delle comunicazioni che sono state ormai dimenticate: non si tratta semplicemente della libertà di poter accendere la televisione e vedere un milione di spot. La libertà è qualcosa di più serio e più ampio: per questo ho proposto una riflessione non polemica, che consenta, anche alla fine di questa discussione, di interrogarci nuovamente, perché riguarderà le grandi forze popolari che vogliono vivere non perché comunicano in qualche modo
Noi non parteciperemo ad alcuna guerra degli spot; continueremo a lavorare con moderazione e pacatezza affinché, anche in questo settore, si superino i privilegi e si riescano ad avere regole condivise da tutti, dialogando anche con chi non la pensa come noi, senza demonizzare, senza gridare, senza aggredire.
Credo dovremmo riflettere tutti sul fatto che, nei giorni scorsi, Silvio Berlusconi ha rivolto un appello ai moderati italiani, invitandoli ad un grande fronte contro i bolscevichi (anche la Costituzione prevede che si possano avere visioni: pertanto, rispetto Berlusconi che vede bolscevichi ovunque). Egli ha suggerito di riunirsi e di costituire un grande fronte. Attorno alla bandiera della par condicio, ha invitato tutti i moderati, nel Parlamento e nel paese, a stare con lui per dare una lezione agli arroganti. Ebbene, l'estremismo è sbagliato quando lo usiamo noi, ma è sbagliato anche quando lo usa chi si definisce moderato, perché, finora, ha ottenuto un solo risultato. Non so come andrà a finire questa storia, ma so che molti moderati, in questo Parlamento, di fronte a quei toni, a quella chiamata alle armi e all'uso di parole francamente farsesche oggi hanno già risposto dicendo: «non siamo disposti ad arruolarci».
Voglio concludere ringraziando, perché per me è stato un esempio di stile e di rigore, il presidente della Commissione affari costituzionali, l'onorevole Rosa Jervolino Russo, che in una situazione molto difficile ha dato a tutti noi - o almeno a me che non frequentavo quella Commissione - un'idea di cosa siano la moderazione, lo stile e la pacatezza. La ringrazio a nome del mio gruppo (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Anedda. Ne ha facoltà.
La sinistra vuole l'approvazione di questo disegno di legge perché è convinta di aver perso le elezioni europee a causa degli spot elettorali dell'onorevole Berlusconi di Forza Italia. Lo ha detto senza la mia schiettezza anche il sottosegretario Vita quando ci ha ricordato l'influenza del flusso della comunicazione attraverso i messaggi televisivi. È un errore che fa torto alla verità e agli elettori ritenuti capaci di compiere scelte politiche con la stessa capacità di ragionamento che tutti noi impieghiamo nello scegliere un dentifricio o nell'acquistare un pacco di biscotti. A questo desiderio, però, si affianca un altro obiettivo: trasmettere il messaggio secondo il quale il divieto d'uso della televisione per la politica sia democrazia, mentre l'opposizione alla legge sarebbe, in sostanza, difesa di Mediaset. Guardando a Mediaset dovrebbe essere interpretata l'azione politica di Forza Italia. È un messaggio capzioso, politicamente intelligente, quanto falso ed abile.
Scompaiono da questa impostazione i principi; si affievoliscono i motivi reali di un conflitto politico, eppure sono solo i principi e la difesa di valori non rinunciabili - questi sì essenza della democrazia - che spingono al nostro impegno.
Vorremmo far comprendere - e forse ci riuscirà difficile perché non abbiamo dalla nostra i mezzi di comunicazione che ha il Governo e che oggi ha la sinistra - che la nostra opposizione è difesa delle libertà, pronunciando questo sostantivo sottovoce, senza enfasi: libertà di pensiero, libertà di espressione, libertà di comunicazione, innanzitutto; non solo la libertà di informare e di essere informati, come ci siamo detti fin quasi ad annoiarci, ma anche le altre libertà, quelle che, in mancanza di un'informazione, possono essere compresse, impedite o affievolite senza che qualcuno se ne accorga o se ne accorga quando i buoi sono fuggiti dalla stalla perché la comunicazione è la difesa delle libertà.
Allora, il difetto, il vizio di fondo si enfatizza e si ingigantisce, perché non solo si comprimono le libertà, ma le si comprimono a favore, a vantaggio e nell'interesse contingente delle forze che oggi sono di maggioranza. Questo è il peccato più grave: giocare con le libertà a proprio vantaggio.
Il testo della proposta di legge conferma o nega ciò che ho detto? Badate, non si tratta soltanto del divieto dei cosiddetti spot (e sarebbe abbastanza). Basta scorrere il provvedimento, a cominciare dall'ipocrisia della prima riga nella quale o con la quale una legge di divieti viene spacciata al disattento lettore come un provvedimento che promuove la parità di trattamento e l'imparzialità. Poiché però questa è una questione di qualità di linguaggio, in fin dei conti anche abbastanza lieve rispetto alla sostanza, pongo un altro problema che è diverso e maggiore. Non ho ancora compreso chi siano i soggetti politici menzionati dal primo comma dell'articolo 2: i partiti, i gruppi, i movimenti, i circoli, i singoli candidati? È possibile immaginare, a chi voglia ragionare serenamente, che possano avere parità di accesso alla televisione nazionale tutti i candidati nelle elezioni regionali o politiche, ma soprattutto in quelle in cui, con il sistema proporzionale, vi sono le liste? Chiedo se questo sia pensabile e per quale ragione, in nome della parità di accesso, il candidato della Sicilia non dovrebbe apparire sulla televisione nazionale mentre dovrebbe andare in onda quello del Lazio.
Qual è la differenza tra valutazioni politiche, opinioni politiche e l'informazione? Fare apparire tutti i giorni alla televisione un candidato, magari in silenzio, che cos'è, informazione o comunicazione d'opinione? Farlo vedere mentre torna a casa o accarezza il cane senza che dica niente mentre a muoversi è solo la coda del cane che scodinzola è comunicazione, informazione od opinione? Come vedete - ho concluso, Presidente - vi siete incamminati lungo una strada pericolosa. Perché pericolosa? Perché chi decide o dovrebbe decidere su tali scelte è - o più esattamente sono - organi della maggioranza: una Commissione parlamentare nella quale si rispecchia la maggioranza, un garante dell'informazione nominato dalla maggioranza. Questo è il controllo.
La locuzione «ogni mezzo di diffusione», contenuta proprio nel citato articolo 21, è stata sottolineata dal Presidente Corasaniti nel corso dell'audizione davanti alla Commissione affari costituzionali. La valenza precettiva di tale articolo non può essere vanificata. Solo per la stampa e per la carta stampata l'articolo 21 reca disposizioni in qualche misura severe, là dove consente al legislatore ordinario di prevedere misure idonee a prevenire e a reprimere abusi nell'esercizio della libertà di manifestazione del pensiero.
Il testo sulla cosiddetta parità di accesso ai mezzi di comunicazione di massa, approvato dal Senato, presenta un impianto nettamente proibizionista; il proibizionismo è stato «bollato» nel corso di molte audizioni informali svoltesi presso la Commissione affari costituzionali. Esso si manifesta anche laddove si preveda che soltanto in alcune forme, in alcuni tempi e con alcune modalità sia consentita la manifestazione del pensiero politico.
La scelta, operata dalla maggioranza al Senato, di vietare gli spot elettorali ripete la scelta che il Governo Dini aveva fatto su ispirazione «quirinalizia», malgrado la Corte costituzionale avesse espresso, con la sentenza del 1995 più volte richiamata, un diverso avviso. Quella al nostro esame non è soltanto una scelta incostituzionale, come ho affermato nel corso del dibattito di oggi pomeriggio, ma anche irrazionale, tenuto conto che gli spot vietati sulle reti nazionali, nella sostanza, sarebbero consentiti sulle reti private locali.
Aggiungo una riflessione: quando nel 1947 venne garantito dai costituenti il libero manifestarsi del pensiero con ogni mezzo di diffusione, le trasmissioni radiofoniche esistevano già ed anche quelle dei radioamatori avevano un loro ascolto; la televisione non vi era ancora in Italia, ma esisteva già in altri Stati (ad esempio, negli Stati Uniti d'America).
Se le limitazioni al libero manifestarsi del pensiero sono state previste solo per la carta stampata, nella locuzione «ogni mezzo» va inclusa sia la diffusione del pensiero via radio sia la diffusione per immagini, ossia con la televisione. L'articolo 21 fa parte della Costituzione: se la maggioranza lo ritiene inadeguato ai tempi e se ritiene di espandere al settore della televisione la disciplina un pochino più severa che riguarda la stampa, lo faccia; ma lo faccia non in maniera surrettizia, ma ricorrendo allo strumento dell'articolo 138 della Costituzione, se ne ha i numeri! Pensare, come fa la maggioranza, di risolvere i propri problemi elettorali con il divieto dell'acquisto di spot è illusorio! Alla fine, divieto dopo divieto, potremo trovarci con il «grande fratello» di orwelliana intuizione profetica.
Voi sapete bene che due valori forti caratterizzano la nostra civiltà occidentale: e sono quelli della libertà e dell'uguaglianza, almeno allo stato di civiltà in cui viviamo, perché sicuramente è auspicabile che quello dell'eguaglianza acquisisca una universalità che oggi si intravede come aspettativa e come graduale attuazione, ma non certo nella sua totalità. È soprattutto, quindi, il valore della libertà ad essere sacrificato dalla normativa che si vorrebbe far cadere, a mio giudizio, con una mannaia in testa ai gruppi di opposizione! Io parlo (e l'ho ripetuto anche questa mattina in Commissione affari costituzionali) di gruppi di opposizione presenti e futuri! È troppo miope infatti il calcolo di chi, stando oggi nella maggioranza, modifica le regole del gioco pensando di poter rafforzare il proprio ruolo e di poter demolire il ruolo dell'avversario, perché si inserisce nell'ordinamento democratico un meccanismo perverso che può anche fare legittimamente gridare al regime. Per antonomasia, si assume come manipolativa, e persino come demoniaca, la pubblicità politica e partitica, mentre non sarebbe manipolativa del consenso la propaganda politica o, meno che mai, l'informazione del tipo di quella che fa il Governo attraverso la RAI-TV. Credo che il rapporto sia di sette a uno, perché non si possono soltanto contare i minuti dell'audience; infatti, quando, ad esempio, sulla rete uno della RAI il Presidente del Consiglio «sosta» per cinque minuti e su Rete 4 il capo dell'opposizione «sosta» per cinque minuti, non è vero che sono alla pari, perché l'audience, cioè il livello dell'ascolto, è caratterizzato da un rapporto di otto milioni a ottocento mila ascoltatori!
Vi è poi un altro aspetto. Occorre che la comunicazione politica non sia mascherata. Che cosa intendo dire? Se un messaggio politico viene spacciato come informazione, gli ascoltatori o gli spettatori abbassano le loro difese, mentre quelle difese sono allertate allorché un messaggio non è mascherato da neutrale informazione, ma si propone ed è riconoscibile come pubblicitario. Ora, di segno nettamente autoritario mi pare la prescrizione delle forme e dei tempi della propaganda, mentre scarso rilievo è stato dato ai messaggi autogestiti, anche per la modesta entità delle quote.
Si dice che si vuole tutelare e attuare il principio di uguaglianza e si ripete il trito e ritrito latinetto scalfariano della par condicio, mentre il disegno di legge al nostro esame (anche questo è un concetto che ribadisco) mi sembra che sia oggettivamente, indipendentemente dalle intenzioni dei proponenti, un reale strumento di lotta politica, per richiamare un maestro del comunismo mondiale, ossia Lenin. Anche sul piano tecnico-formale non mancano aspetti aberranti e che voglio citare a riprova della frettolosità e della superficialità della normativa confezionata dalla gemella I Commissione del Senato. Cito per tutti il caso del comma 2 dell'articolo 1. Mi limito soltanto a richiamare ...
È iscritto a parlare l'onorevole Migliori. Ne ha facoltà.
Alleanza nazionale non può essere accusata evidentemente di difendere alcunché sotto il profilo settoriale. Stiamo conducendo una battaglia di carattere generale in nome di un principio che vorrei sottolineare con forza e che appartiene - ne sono sicuro - alla cultura politica di larga parte di questa Assemblea, ma che non trova coerenti adempimenti consequenziali: quello inerente il primato della politica.
Noi ci troviamo in una società nella quale sempre più spesso questo tradizionale potere forte è particolarmente debole. I poteri dell'informazione, giudiziario, finanziario, economico, forse il potere sindacale, oggi sembrano, per fulmineità di decisioni, capaci di rendere sempre più debole questo grande potere forte che è il potere della politica.
Penso che con la decisione che stiamo prendendo questo potere della politica sarà anche più debole. I canali informativi, i circuiti essenziali della democrazia, le capacità cioè di intessere un duraturo rapporto tra grandi opzioni ideali e culturali nel nostro paese e scelte politiche di base potrà essere interrotto o comunque lesionato. Trovo in questo provvedimento un taglio illuministico, che mi preoccupa: in base ad esso, la sovranità popolare deve essere comunque, in qualche misura, garantita e controllata da qualcuno che può arrogarsi il diritto di essere un sovrano più sovrano del popolo. Emerge una democrazia controllata che ha scarsa fiducia delle capacità di autodeterminazione: è un elemento che, a mio avviso, è preoccupante, perché, colleghi - ecco il primato della politica - non è che il confronto fra idee, programmi, uomini in questo paese possa essere vinto sulla base del numero di spot elettorali che vengono veicolati attraverso i mass media.
Reputo questo concetto matematico di quella che è la politica sul serio profondamente errato, fondato su un taglio illuministico che è scarsamente collegato alla fiducia nei confronti della coscienza democratica del nostro paese. Se il confronto elettorale e politico in Italia fosse deciso dalla quantità e dalla capacità della propaganda e degli spot, evidentemente non avremmo un confronto effettivamente libero e pluralista, ma avremmo una serie di «grandi fratelli». Non penso che la politica sia questo e ritengo che tale ragionamento sia offensivo nei confronti di tutti i cittadini che credono nella politica e che sono - essi sì - decisivi per veicolare idee, progetti, passioni, ideali, impegno civile. Penso ai sindaci e agli amministratori di questo paese, alle centinaia di migliaia di consiglieri comunali e di quartiere, a chi s'impegna nelle scuole, nei sindacati, nelle associazioni di volontariato: ecco, tutti costoro non sarebbero in grado di determinare grandi opzioni politiche e culturali, perché gli spot che la televisione trasmette in periodo elettorale, o preelettorale, o postelettorale sarebbero in grado di incidere più del loro impegno quotidiano.
Reputo tutto ciò poco rispettoso per questo ricco tessuto civile del nostro paese, che non è né di destra, né di centro, né di sinistra, ma è un patrimonio comune della nostra democrazia. Questa è una riflessione importante, colleghi, perché nessuno dai banchi del gruppo di Alleanza nazionale, né
Un conto, però, è la regolazione, un conto è il taglio vincolistico rappresentato da divieti e limitazioni che emerge con forza: al riguardo, con pacatezza, alcuni di noi hanno cercato il confronto parlamentare. Questa mattina, si è svolta a Roma, all'hotel Nazionale (era presente anche il sottosegretario Vita), un'importante iniziativa del mondo delle radio e delle televisioni private del nostro paese, che rappresenta un segmento significativo dell'informazione. Esso viene incomprensibilmente limitato fortemente dal provvedimento al nostro esame, attraverso situazioni abnormi ed inspiegabili, come è stato osservato anche nelle ultime ore in sede di Commissione: vi è un'opzione parziale che determina un black out generale per quanto riguarda le possibilità dell'informazione politica.
Colleghi, allora, non siamo di fronte ad un provvedimento nella logica della par condicio, siamo di fronte ad un provvedimento che prevede condizioni inique rispetto alle volontà del cittadino di essere informato ed alle difficoltà della politica di informare, canalizzare, far circolare. Trovo una contraddizione evidente in questi ragionamenti fatti, soprattutto, dai colleghi della maggioranza in queste ultime ore: la preoccupazione per una democrazia italiana che è sempre meno partecipata, che non è figlia soltanto, purtroppo, come gli Stati Uniti d'America, di forti riferimenti comuni che ne fanno un cemento elementare essenziale, ma è figlia dei disincanto ed è figlia della disinformazione. Potrà questa spirale regressiva a livello partecipativo della nostra democrazia trovare un elemento positivo nel provvedimento, troverà ulteriori aspetti che ne amplieranno pericolosamente la spirale di assenza di partecipazione, di confronto pluralista, di impegno civile? Questa è la mia preoccupazione personale, di gran parte del gruppo di Alleanza nazionale, fuori, colleghi, da ogni strumentalizzazione, oserei dire fuori da ogni precostituita logica di parte e d'interessi.
Sono convinto che tali riflessioni appartengano anche a larga parte dei colleghi della maggioranza; penso che una riflessione più approfondita su tali questioni, che sono le radici stesse della democrazia del nostro paese, forse, avrebbero portato ad un risultato diverso rispetto a quello rigidamente vincolistico che una regolazione necessaria dell'etere comporta, tanto da legittimare chi, oggi, parla di bavaglio rispetto ad un confronto pluralista che nel nostro paese deve rimanere alto e forte, perché patrimonio e ricchezza non di una parte, ma di tutta la coscienza profonda e democratica della nostra Italia.
Il CCD ha fatto la sua parte con una proposta di compromesso per introdurre un nucleo minimo di regole specifiche per la pubblicità; una proposta sulla quale è stata presentata una relazione di minoranza che ha lo scopo di collegare le regole sulla pubblicità elettorale con la legislazione sui limiti di spesa.
D'altra parte, il disegno di legge così concepito è destabilizzante e in controtendenza con il ruolo che il mondo delle comunicazioni svolge. Accanirsi contro i mezzi di comunicazione e limitarne l'uso è una battaglia contro la storia. Credo, infatti, che sia necessario salvaguardare il diritto dei cittadini all'informazione, presupposto indispensabile per una libera e consapevole partecipazione alla vita democratica del paese.
Mi auguro che questa battaglia sia persa, perché, con i limiti previsti dalla presente legge, ci si può aspettare domani una legislazione che limiti anche gli altri mezzi di comunicazione, come la rete Internet, pur di garantire la conservazione delle leve di potere, come ha accennato poco fa il relatore per la maggioranza. Mi auguro che in quest'aula prevarrà la ragione e che, quindi, si riconoscerà che è stata imboccata una strada sbagliata e pericolosa che costituisce un passo indietro per la democrazia del nostro paese.
Del resto, la nostra Costituzione all'articolo 21, nel sancire il diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione, non fa altro che tenere conto di questa esigenza e di questi principi, che ovviamente non possono non valere anche in un ambito politico, caratterizzato per di più dalla presenza di numerosi partiti e movimenti.
A tale forma di libertà, poi, non può che riconoscersi una sua particolare ampiezza ed una sua rigorosa tutela in occasione delle competizione elettorali in cui più forte è l'esigenza degli schieramenti politici di raggiungere in maniera diretta ed efficace il maggior numero
È chiaro, peraltro, che la materia richiede comunque una regolamentazione, ma tale da disciplinare l'esercizio di questo fondamentale diritto assicurando innanzitutto e soprattutto uguali condizioni a tutti e preoccupandosi poi di limitare il meno possibile modalità, forme e tempi della comunicazione politica, della propaganda e della pubblicità elettorale.
A proposito di propaganda e di pubblicità, voglio qui osservare per inciso che questa distinzione terminologica, dalla quale si fanno discendere notevoli differenze ed una diversa disciplina, non è conosciuta in molti paesi o, per lo meno, in essi non si attribuisce alle due espressioni quella differenza sottolineata dal relatore per la maggioranza e dalla stessa relazione tecnica redatta dal Governo. Mi riferisco in particolare all'Inghilterra, alla Germania, agli stessi Stati Uniti - ultimo paese in ordine di tempo a diventare l'orizzonte politico dei DS -, paesi che, quanto all'uso dei mezzi mediatici in politica, possono essere considerati veri e proprio capiscuola.
Tornando al disegno di legge governativo, deve denunciarsi che lo stesso, noncurante delle fondamentali esigenze che attengono ad un corretto ed equilibrato esercizio della libertà di espressione, si ispira a modelli ordinamentali condannati dalla storia, ordinamenti nei quali lo Stato, ergendosi a tutore del cittadino, ritenuto evidentemente incapace o comunque immaturo, e preoccupandosi di educarne le coscienze, svilisce o calpesta i suoi fondamentali diritti e si sostituisce a lui stabilendo come, quando ed in che modo deve ricevere la comunicazione politica.
È innegabile, infatti, che la puntigliosa e tassativa predeterminazione delle forme di comunicazione politica ed il divieto degli spot durante il periodo elettorale sulle reti nazionali, nonché il divieto di fatto sulle emittenti locali, vanno in questa deprecabile direzione e configurano una vera e propria gabbia informativa all'interno della quale vengono costretti sia i partiti, sia i candidati, sia i cittadini, con tutto il carico delle loro fondamentali e corrispondenti libertà.
I partiti, sì, ma non tutti poiché quelli che attualmente governano usufruiscono surrettiziamente, attraverso il controllo della RAI e della televisione di Stato, di una quotidiana pubblicità più o meno subliminale che - questa, sì - crea situazioni di forte svantaggio nei confronti dei partiti di opposizione. Predeterminando, come si è fatto, le forme di informazione e pubblicità, si penalizzano tutte le formazioni di comunicazioni diverse e, in particolare, le trasmissioni di comunicazione e di approfondimento politico che non rientrano tra quelle previste dal disegno di legge e si intacca così, in maniera inammissibile, grave e pericolosa, proprio quella libertà di espressione prevista dall'articolo 21 della Costituzione.
È questa forse la norma del disegno di legge che più di ogni altra ripugna alla coscienza democratica, perché rievoca concetti e politiche di sostanziale censura e di imposizione che non possono appartenere a paesi che si gloriano di far parte delle democrazie più evolute. In una materia del genere, ma anche in quelle di minore delicatezza e importanza, non si legifera in senso positivo, vale a dire indicando solo quello che è consentito; in paesi civili di consolidata democrazia, gelosi e pensosi della libertà di pensiero e di espressione, viene indicato solo ciò che è vietato perché va riconosciuto alla persona il diritto di esprimersi liberamente con tutto ciò che la fantasia, la cultura, la modernità, la sensibilità gli suggeriscono e gli propongono.
Onorevoli colleghi della maggioranza, se ve ne siete dimenticati, ricordate che siamo nell'epoca di Internet e che altri imminenti e più efficaci sistemi di comunicazioni e di informazione ci attendono. Le forme di comunicazione che voi avete proposto con burocratica e castrante elencazione comportano una sclerotizzazione della comunicazione politica ed elettorale che certamente non giova né alla democrazia
Quanto ai cosiddetti spot, è errato e fuorviante, per imporne il sostanziale e totale divieto, richiamarsi - come hanno fatto esponenti della maggioranza - alla Corte costituzionale la quale, anzi, con la ben nota sentenza n. 161 del 1995, giustificando eventuali limiti alla propaganda elettorale solo qualora fossero contenuti in ragionevoli limiti temporali, implicitamente ha ammesso sin da allora l'illegittimità di un divieto assoluto di spot elettorali. Del resto va ricordato che sul punto in Commissione affari costituzionali è stata raccolta, in occasione di varie audizioni, l'opinione di illustri costituzionalisti e di alcuni presidenti emeriti della Corte costituzionale. Il professor Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte costituzionale, ha sostenuto che a suo giudizio la totale compressione della propaganda elettorale contrasta non solo con l'articolo 21 ma anche con gli articoli 2 e 3 della Costituzione.
Sempre a proposito di spot, è utile ricordare come anche il riferimento alla disciplina di altri paesi sia inesatto e strumentale. Se guardiamo a paesi di riconosciuta civiltà, di matura democrazia che hanno un apprezzabile livello di esperienza in materia di accesso ai mezzi di informazione, come la Gran Bretagna, la Germania, gli Stati Uniti, vediamo che è assicurata la libertà di spot o comunque vige una disciplina che sicuramente non è così severamente punitiva come quella che si vuole ora imporre.
Al di là dei riferimenti ad altre nazioni (che vanno comunque sempre valutati con le opportune riserve e cautele), demonizzare questa forma di pubblicità paragonandola, per svilirla, ai comunicati commerciali, significa non tener conto delle capacità di discernimento degli elettori, della loro maturità, e soprattutto non volersi mettere al passo dei tempi che hanno dimostrato di preferire una forma di comunicazione succinta, incisiva e spesso gradevole.
Perché questa demonizzazione verso un mezzo di comunicazione a cui ormai ricorrono tutti coloro i quali vogliono farsi conoscere e vogliono far conoscere e che, tutto sommato, ha anche costi accettabili, vista la sua brevità? Penso che sia superfluo ricordare che agli spot ricorrono non solo i commercianti di detersivi - così incautamente e spregevolmente ha affermato qualcuno - ma, sempre più spesso, la stessa Chiesa cattolica per sollecitare la destinazione ad essa della percentuale del reddito; vi ricorrono organizzazioni umanitarie quali l'UNICEF e lo stesso Governo per campagne contro la droga e la sicurezza stradale; vi ricorrono comitati ed organizzazioni che combattono le malattie del secolo e che hanno fatto della solidarietà la loro bandiera.
Ebbene, perché allora non consentire gli spot ai partiti ed ai politici? Forse, perché sono efficaci? Forse si pretende che una comunicazione politica, per essere corretta, non debba essere efficace? Fondato appare, dunque, il sospetto - che si tramuta in certezza - che vogliate cancellare questo mezzo perché siete incapaci di usarlo e temete che una coalizione come il Polo, che è riuscita a cogliere appieno le trasformazioni continue della società, possa usarlo meglio di voi.
Del resto, a ben riflettere, cosa mai ci si poteva attendere da una sinistra abituata da sempre ad arrivare in grave ritardo su tutto - anche sulle sue ultime abiure - e che ci appare come se fosse il residuo fossile di regimi, mentalità, politiche e culture condannate dalla vita, dalla storia e dalla stessa cronaca? Si tratta di una sinistra che, dimenticando di stare in Europa, finge ora di ignorare la stessa raccomandazione del Consiglio d'Europa del settembre 1999, con la quale è stato sottolineato che ogni quadro normativo riguardante la copertura degli eventi elettorali da parte dei media dovrebbe rispettare il principio fondamentale della libertà di espressione tutelato dall'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nell'interpretazione che ne ha dato la stessa Corte europea per i diritti dell'uomo.
Non era questo, forse, un più che autorevole paradigma normativo al quale ci si sarebbe potuti adeguare o, almeno, ispirare? No, in questa materia, per la nostra maggioranza, l'Europa non conta, non esiste, non va seguita! Contano le paure, vere e proprie fobie di una sinistra che, non avendo ormai più nulla da comunicare e non sapendo più comunicare, vuole comunicare a modo suo, secondo le sue personali esigenze e secondo il suo fondamentale obiettivo, che è quello di mettere il bavaglio all'opposizione. È una sinistra pateticamente pedagogica, conservatrice e reazionaria, che rifiuta la modernità e la novità, il confronto e lo scontro leale e corretto, che preferisce lavorare sottobanco, servendosi - così come è abituata a fare - in maniera più o meno occulta dei suoi pesanti ma ben finanziati ed elefantiaci apparati e servendosi del servizio pubblico di informazione della RAI che, dopo tutto, costa anche di meno.
Onorevoli colleghi, il disegno di legge in esame non detta, così come annuncia, norme per assicurare la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali. Esso, vanificando e mortificando la libertà di espressione con prescrizioni e limiti inammissibili in contrasto con fondamentali principi costituzionali, ha il chiaro ed evidente scopo di legiferare pro domo governativa per scongiurare la assai prevedibile affermazione alle prossime competizioni elettorali delle forze del Polo. Con questo disegno di legge, sul quale una maggioranza tremebonda ma ostinata ed incattivita, incalzata dai prossimi appuntamenti elettorali, ha rifiutato ogni ragionevole possibilità di dialogo, si compie una pericolosa mutilazione della libertà di informazione; ma si sa che umiliazioni come quelle che si voglio infliggere, quasi sempre portano alla morte della stessa libertà di informazione e di tutte le altre libertà ad essa connesse (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Come mai accade tutto ciò? Mi chiedo i motivi per cui si vuole non tener conto
Non a caso in questo avete trovato il consenso iniziale solo di quei cattolici popolari che in qualche modo rappresentano in Italia - non è un azzardo, culturalmente è così - quello che la Chiesa ortodossa rappresenta nell'est europeo, laddove una Chiesa nazionale integralista, che a differenza della Chiesa cattolica non comprende le ragioni dell'altro, perché, appunto, è una Chiesa nazionale, si coniuga in tutto l'est europeo - pensiamo al caso della Serbia - con la cultura egemonica, integralista e talvolta razzista degli ex comunisti. Il caso di Milosevic è il più scandaloso ed anche il più significativo, ma tutto ciò accade in tutto l'est europeo ed anche in Italia. La cultura totalitaria del partito comunista si coniuga con la cultura integralista di quel segmento cattolico che pretende di rappresentare una maggioranza quando è una piccola minoranza, sempre minore. Non a caso le due leggi sulla par condicio sono state realizzate dai due Governi nati non dalle urne, ma dal ribaltone parlamentare. Proprio perché nato da un ribaltone, il primo Governo Dini realizza come suo principale obiettivo la par condicio per pregiudicare il risultato elettorale da cui non è nato, ed il Governo D'Alema - non a caso, non il Governo Prodi, ma appunto il Governo D'Alema - ripropone come suo obiettivo fondamentale l'unità della maggioranza in questa guerra santa della par condicio. Ciò perché anche il Governo D'Alema, come il Governo Dini, non nasce, appunto, dalle elezioni, non nasce dal riconoscimento della cultura e delle ragioni dell'avversario.
Nasce contro la cultura e le ragioni dell'avversario, nasce contro le regole della democrazia, nasce da un ribaltone: non nascendo da una campagna elettorale, non comprende le ragioni dell'avversario e le cancella con la par condicio.
Anche la destra è uscita dalla cultura totalitaria del novecento; certamente, ma la destra ne è uscita a Fiuggi con un assunto fondamentale che i diessini, eredi del comunismo italiano, non hanno mai fatto e non hanno il coraggio e la possibilità di fare: riconoscere la validità dell'avversario. Quando a Fiuggi Fini declama che l'antifascismo è stato necessario per il ritorno della libertà in questo paese, si fuoriesce dal totalitarismo, riconoscendo che l'avversario aveva ragione e che, per il ritorno alla libertà, l'antifascismo è stato un passaggio necessario.
Voi non avete mai detto che l'anticomunismo è stato fondamentale per il mantenimento della libertà in questo paese. Voi sostenete una cosa fondamentalmente diversa, che fa parte della vostra cultura egemonica e totalitaria. Avete sostenuto che il comunismo e la libertà sono stati storicamente incompatibili: questa è un'altra cosa, molto diversa dal riconoscere, come abbiamo fatto noi, che l'anticomunismo è stato fondamentale per il mantenimento della libertà. Se ammetteste questo, riconoscereste l'avversario e diventereste anche voi un partito occidentale e non totalitario. Non potere farlo, perché siete ancora fondamentalmente un partito comunista che ritiene che l'egemonia e il totalitarismo facciano parte della vostra essenza.
In questo, purtroppo, sta il problema della par condicio. Quello dell'informazione
Questo è un problema fondamentale che, tra l'altro, taglia la cultura di questo paese. Non a caso nel nostro paese vi è l'unico partito comunista che governa, con la sua nomenclatura, e trova il suo sostegno fondamentale in un segmento integralista del mondo cattolico, come nell'est europeo, dove la maggior parte dei movimenti comunisti, ormai diventati ex comunisti, trovano alleati in coloro i quali fanno della religione un atto di fede politica, quali gli integralisti della Chiesa ortodossa (mi riferisco all'Unione sovietica, alla Serbia, alla Bulgaria, alla Macedonia). In questi paesi si coniugano le due egemonie, i due integralismi e le due intolleranze: quella della chiesa comunista e quella di una chiesa che non riesce ad essere, come quella cattolica, ecumenica, vale a dire universale.
Ecco perché in questo divieto c'è tutta la cultura del primo ribaltone realizzato da Massimo D'Alema; non a caso, grazie al supporto dei cattolici popolari, è stato possibile per D'Alema realizzare il secondo ribaltone. Affermo che non altrettanto a caso coloro i quali non fanno riferimento a questa cultura - mi riferisco ai verdi e ai democratici - si sono disperatamente opposti, all'inizio, a questa logica, perché per loro il divieto non fa parte di quella cultura. Secondo loro, come per noi, andava regolata l'informazione televisiva e non cancellata, ma si sono assoggettati alle ragioni del più forte, vale a dire dei diessini e della maggioranza.
Per questo, però, farete la stessa fine dell'Unione Sovietica, non comprendendo che oggi l'informazione passa attraverso le televisioni. Nel non comprendere che oggi l'informazione passa attraverso le televisioni, nel non comprendere - come non comprende il sistema sovietico - che il cittadino può e deve scegliere anche rispetto ad una montagna di informazioni, nel non comprendere che il vostro arroccarvi su una posizione illiberale che non riconosce ad un avversario la possibilità di dire la verità, in qualche modo, vi condannate alla stessa fine del sistema comunista. Improvvisamente, quando ve ne accorgerete, imploderete, come la rana di Esopo, perché avete voluto inglobare tutto in un grande partito totalitario che aveva al proprio interno ecologisti e modernisti, socialisti e liberali, sindacalisti e industriali; aveva al proprio interno tutte le contraddizioni, nel tentativo disperato di creare un partito totalitario in un'era, quella della globalizzazione, che è nata appunto con il crollo del totalitarismo, con il crollo del Novecento (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni)!
L'impostazione del provvedimento in esame avrebbe dovuto farsi carico di una proposta che coniugasse in termini alti la libertà di manifestazione del pensiero con la possibilità per il cittadino di disporre delle conoscenze adeguate, delle proposte e delle candidature in campo. Invece, il disegno che emerge dall'impianto del provvedimento è, a nostro giudizio, assolutamente insufficiente, orientato a negare spazi di libertà più che a perseguire una soluzione equilibrata, capace di contemperare le libertà costituzionali in gioco. Siamo davanti, infatti, ad una somma di dinieghi, di regole limitative che mortificano la comunicazione agli elettori e, comunque, non assicurano una vera e concreta par condicio tra le forze politiche interessate.
Signor Presidente, quando si irrigidiscono le norme, sicuramente perde la libertà, perde la politica. Nella legislatura in corso, la materia in esame è stata oggetto di varie iniziative legislative da parte di molti gruppi politici. Questo fatto testimonia la necessità di intervenire sulla legislazione vigente e di definire una normativa più adeguata. Siamo interessati a compiere un passo in avanti sull'argomento perché anche il nostro gruppo aveva presentato una proposta di legge, l'atto Camera n. 5662, proprio su questa materia. Siamo però assolutamente preoccupati del metodo con cui si è sviluppato sin qui il confronto. Una questione come questa, una regola così fondamentale per la democrazia del nostro paese, non poteva e non può essere affrontata in un orizzonte di parte, ma deve vedere il concorso, il contributo e una larga adesione del Parlamento.
Il provvedimento ha avuto un iter troppo legato alle vicende interne della maggioranza per essere veramente bilanciato, per rappresentare quell'equilibrio profondo che dovrebbe emergere da una forte coscienza democratica del Parlamento nella sua interezza.
Come CDU abbiamo presentato un numero limitato di emendamenti con il preciso obiettivo di modificare gli aspetti che giudichiamo più deteriori del provvedimento, soprattutto per le emittenti locali, per la disponibilità degli spazi, eccetera. Siamo convinti che la normativa in esame debba assicurare un assetto di ampio e lungo respiro, che vada oltre le ragioni contingenti. Abbiamo infatti il sospetto, signor sottosegretario, che nella ricaduta immediata su questo tema da parte della maggioranza vi sia qualche elemento che non corrisponde a quella prospettiva ampia che richiamavamo. Non deve essere il timore di eventuali modifiche all'attuale, precario equilibrio politico a condizionare l'approvazione di questo provvedimento, perché la posta in gioco è troppo alta. Ci vuole una norma che superi - noi condividiamo questo obiettivo - privilegi e rendite di posizione e consenta a tutti i soggetti politici di competere alla pari.
La disciplina in esame non solo non dà questa risposta, ma consolida un'impostazione che favorisce chi governa, la sua maggioranza e i loro ampi spazi sui giornali, sulle televisioni, le radio, eccetera. Non ci piace - perché l'abbiamo letto - che nel dibattito di questi giorni, di questa settimana venga enunciata, anche da autorevoli esponenti quali il presidente Zaccaria, la regola dei tre terzi - un terzo al Governo, un terzo alla maggioranza, un terzo all'opposizione -, perché così si finisce per codificare e consolidare la situazione di grande disparità, oggi esistente, sull'informazione ai vari livelli. Le più penalizzate - dobbiamo dirlo con vigore - sono le forze più piccole, quelle che hanno minori possibilità, in termini sia economici sia di accesso.
Questo provvedimento - mi sia consentito ribadirlo - non va certamente in quella direzione e, quindi, non conquisterà a nostro avviso l'opinione pubblica, perché ne mortifica le esigenze di informazione e di partecipazione.
In conclusione, vogliamo che questo Parlamento assicuri una vera parità di accessi, che realizzi una legislazione che accresca la libertà nel nostro paese, che persegua l'armonizzazione con la normativa europea, che attui una tutela alta sia delle decisioni di voto dell'elettore, sia della parità di trattamento dei diversi soggetti politici. Come si può centrare questo obiettivo se si assume lo spot come lo strumento demoniaco che coarta l'elettore, se si riduce la comunicazione sui programmi e sulle candidature, se si approva una normativa che mortifica la possibilità di competere, anziché garantire spazi di libertà per tutti?
Signor Presidente, questa Camera ha un grande lavoro da fare per approvare una legge veramente coerente con una società libera, matura e responsabile, qual è quella italiana. Se abdichiamo a questa ambizione, sicuramente la legge potrà soddisfare qualche pretesa della maggioranza, ma si sarà persa un'occasione di far crescere la civiltà democratica del nostro paese.
Eppure, qualche giorno fa ed oggi, abbiamo assistito ad esempi agghiaccianti. In particolare, oggi - l'inferno è lastricato di buone intenzioni - vi è stato il tentativo di bilanciare la gravità, il peso, l'importanza del provvedimento in esame con un «volemose bene», una sottovalutazione, un dire: «ma in fondo si parla di poche cose».
I colleghi Furio Colombo e Giulietti hanno parlato come se sedessero nei banchi dell'opposizione. Hanno detto: «Cerchiamo di ascoltarvi»; sottolineo, soprattutto, l'appello di Furio Colombo: «Non odiamoci». Ma chi odia! Noi, ogni volta che è stato possibile, abbiamo raggiunto un'intesa, non solo nel mio campo specifico, quello sociale, ma anche in altri settori; lo possono testimoniare alcuni rappresentanti della maggioranza presenti in Commissione ed alcuni membri del Governo (chiedetelo al ministro Turco e ad altri). L'odio è vostro; si sente sotto pelle quell'odio di classe che non avete mai abbandonato. Poi, nella logica buonista dell'autocritica, si dice: «In fondo
Come al solito, come in materia di giustizia, determinati provvedimenti, guarda caso, vengono adottati poco prima di elezioni e di decisioni importanti, come certi avvisi di garanzia che scattano a tempo per delegittimare chi governa o chi si oppone.
Vi è stata, poi, un'altra manifestazione grave, gravissima. Come medico, prima ancora che come parlamentare, posso parlare della vita - non di Vita, del resto ci conosciamo da anni - parlando anche della morte. Ebbene, abbiamo assistito alle prove tecniche del regime, non se ne abbia a male nessuno; del resto, il diritto di par condicio dai microfoni parlamentari speriamo ce lo diate ancora, anche se sugli splafonamenti ci sarebbe molto da dire. Ho misurato con il centimetro chi splafona e ho verificato che la par condicio parlamentare è molto relativa, ma di questo parleremo un'altra volta.
Quando intervengo io, posso anche non finire un discorso; mentre, se interviene qualche deputato della maggioranza, anche se va fuori tempo, deve concludere il discorso e, per logica illogica, gli viene concesso. Lasciamo stare, comunque, poiché siamo abituati a questo e a peggio.
Dicevo che sono abituato a parlare della morte come della vita, da tanti anni, cominciando dalla mia e soprattutto dalla professione. Di recente abbiamo visto due atteggiamenti diversi. Abbiamo commemorato due volte l'onorevole Iotti: in primo luogo, in occasione dell'esame e dell'approvazione delle sue dimissioni, quando era ancora viva, come se fosse morta (devo dire la verità: con un po' di sindrome iettatoria), attraverso la celebrazione di una grande donna, che ha avuto una grande parte della storia del partito comunista, che non ha mai rinnegato perché facente parte del suo DNA, ed è stata molto corretta a non rinnegarlo e ad essere orgogliosa della sua appartenenza; una celebrazione alla quale hanno partecipato tutti i gruppi; in secondo luogo, quando è stata nuovamente commemorata in uno «spottone gigantesco» da tutte le parti di questo ramo del Parlamento, ovvero sia della maggioranza sia dell'opposizione.
Preciso che non si trattava di un leader e che si trattava sicuramente di una persona importante per la quale in questa occasione tutti abbiamo dato il massimo per tirare fuori quanto potevamo dire di positivo o di parzialmente critico di una grande e controversa donna. Uso il termine «controversa» perché, a cinque minuti dalla morte dell'onorevole Bettino Craxi (e questo è il secondo atteggiamento diverso che ho rilevato), il Presidente della Camera, con la sua impar condicio invece di dire «è morto l'onorevole Bettino Craxi», ha detto: «è morta una persona controversa». In questo modo ha cominciato subito a tritare giudizi su una persona che era ancora calda nel suo letto di morte.
Cosa è successo nelle ore immediatamente successive? Si è proceduto come e a maggior ragione dell'onorevole Iotti, essendo stato Bettino Craxi capo di un partito e Presidente del Consiglio per il periodo più lungo nella storia della Repubblica? Al di là della politicità - io provengo da quella parte; sono orgoglioso di far parte di Forza Italia che non mi ha mai chiesto, come altri partiti, l'esame del sangue, ma delle idee - devo dire che, per affetto, ma soprattutto per «politica» (perché qui si fa politica) sono rimasto offeso, scandalizzato e disgustato per il fatto che, mentre per l'onorevole Iotti tutti hanno potuto parlare, il Presidente Bettino Craxi, unico esule all'estero e morto non in patria, è stato commemorato da una persona che ha ammesso di non aver combattuto come doveva, l'onorevole e amico Boselli, e dai due massimi oppositori e sicuramente suoi massimi «nemici» - lo dico tra virgolette: toglierei pure queste, ma rispetto chi non è presente - l'onorevole Violante e l'onorevole D'Alema. Si è trattato di prove tecniche di regime: i massimi oppositori di un leader politico lo hanno commemorato! Se non fosse tragedia, sarebbe farsa; sicuramente, è la metafora di un comunismo che purtroppo non finisce mai!
Oggi si tende a giustificare una legge sicuramente di «chiusura» con l'anomalia Berlusconi, come se fosse una novità, come se lo stesso Berlusconi non avesse chiesto leggi sul conflitto di interessi, lui per primo, con figure terze e non con figure nominate ad hoc.
Ebbene, cari amici e cari compagni della sinistra, ma è davvero Berlusconi l'anomalia italiana? Ma se voi avete celebrato un finto cambiamento ideologico nel santuario (anche sponsorizzati economicamente) della vera anomalia italiana: la Fiat e Agnelli? Più anomalia di così!
Se il presidente Berlusconi ha parzialmente (e per fortuna) ridisegnato le vie dell'etere dando molto più spazio del servizio pubblico all'opposizione (anzi c'è qualcuno di noi che glielo rimprovera e sono orgoglioso di questo) chi più dell'Agnelli famiglia ha disegnato l'Italia dal punto di vista fisico (le strade), dell'inquinamento atmosferico, della scelta del non utilizzo del mare, dell'elettricità, di altri mezzi di comunicazione viaria?
Quanti morti il costruttore di arnesi di guerra degli anni trenta e quaranta ha sulla coscienza per aver imposto l'autoveicolo in tutte le strade costruendo un sistema demenziale che ha provocato migliaia di morti, una invivibilità nelle grandi città, una invivibilità ambientale e un condizionamento politico che ha pesato tanto da condizionare tre finanziarie? Vergogna!
Avete consumato il vostro momento di catarsi liberatoria con il capo che cade dall'alto con un elicottero per benedire il rapporto sempre vero da Togliatti in poi con Togliattigrad e Valletta, tra il capo indiscusso del capitale italiano e il neocomunismo. Questo è da dire!
Da questo deriva una legge che voi volete - e io non parlo per imbavagliare; si sa, non parlo - liberticida. Lo sappiamo. Del resto, da questo punto di vista c'è una grande contraddizione.
Voi, da una parte, dite che gli spot servono solo a vendere detersivi. E allora, che vi importa? Se sono così poco importanti, non parliamone! Dall'altra parte, date loro un peso e una carica di suggestione mentre il cittadino italiano, fortunatamente, al di là di voi, è cresciuto tanto e non è il popolo bue che si fa condizionare dagli spot. Delle due l'una: o non sono importanti e allora stiamo perdendo tempo, o pensate veramente che il popolo italiano che rappresentate in misure sempre inferiore venga condizionato dai detersivi. Io invece vedo altri pericoli. Uno per voi: non avendo molto da dire preferite non dire.
Come potrete giustificare l'incestuoso ed innaturale rapporto tra forze che fino a ieri erano non antagoniste ma addirittura nemiche, il cattolicesimo estremo fino al khomeinismo e la parte più comunista di voi? Come potreste dirlo alla gente? Allora, non potendo giustificare questo rapporto innaturale, è meglio che non parli nessuno. Oppure, e vi ringrazio di questo, pensate che siamo tanto bravi da vincere con gli spot? Tutti sappiamo che non è così, perché abbiamo vinto con e senza spot, sulla base di un richiamo alla libertà, alla verità, alla cittadinanza, alla dignità del lavoro e non al ricatto dell'assistenza che voi riproponete continuamente.
Vi è, però, anche un'altra grande preoccupazione, al di là degli spot. Considerate che la storia politica è lunga e che vi si potrebbe davvero ritorcere contro, perché la verità e la bugia, la serietà e l'ipocrisia, senza offesa, sono dei boomerang crudeli: chi oggi colpisce e ferisce domani potrà essere colpito e ferito con più forza. Quanti testimonial nel servizio pubblico, fintamente neutri, diventano veri spot pagati dal contribuente: il cuoco di D'Alema, il cuoco preferito dal Presidente del Consiglio, il dottor Vissani è diventato un leader onnipresente; e qual è il messaggio indiretto? In alcuni telegiornali, la notizia sulla presenza o meno al congresso del partito della ben fornita signorina Ferilli è stata messa subito dopo la notizia della relazione iniziale del vostro segretario, Veltroni: accipicchia...
Concludo, signor Presidente, con un'ultima questione, perché l'ho vissuta anch'io: i TG. A ridosso della campagna elettorale, quando i cittadini dovrebbero avere il massimo delle informazioni e gliele togliamo tutte, alla faccia delle libertà, chi ci garantirà che, come sempre, non venga un'overdose di notizie, di annunci di leggi, di denunce, di conquiste da parte del Governo? Noi zitti da una parte, voi ad autocelebrarvi attraverso i soldi del contribuente! Se questa è libertà, io non ci sto!
Se voi credete di poter sostituire alla televisione il vostro spot, i comizi, le piazze, il consenso popolare, noi combatteremo per non avere la par condicio che è il massimo dell'impar condicio. Vi assicuro che nelle piazze, fra la gente, nelle associazioni ci staremo come e più di voi (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Non è un mistero che sia il Governo sia la coalizione che lo sostiene abbiano considerato il provvedimento sulla cosiddetta par condicio come la madre di tutte le battaglie, una sorta di ordalia, il cui esito dovrà servire finalmente a distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, il lecito dall'illecito. Che questo sia il clima, onorevole Vita, lo dimostra la pervicacia con cui la maggioranza sta portando avanti il provvedimento cercando di eliminare dalla competizione politica il diritto all'utilizzazione della pubblicità elettorale e degli spot e lo dimostra anche un evento clamoroso che si è verificato in I Commissione, quando la maggioranza, il Governo non ha esitato ad aggrapparsi al salvagente che rifondazione comunista ha lanciato.
Vi è stato un cambio di maggioranza all'interno della Commissione affari costituzionali, ma neppure questo ha indotto per un attimo i sostenitori del provvedimento a cercare una qualche intesa con le opposizioni. Si è scelta, quindi, deliberatamente la strada dello scontro su una materia che riguarda le regole del gioco democratico. Perché questo? Sbaglierebbe chi pensasse che quest'atteggiamento così tetragono, ancorché manicheo, risponda in qualche modo ad una visione finalizzata
Onorevole Vita, Alleanza nazionale è un partito sul quale non aleggia il sospetto del conflitto d'interessi e non ha mai vinto un'elezione grazie agli spot televisivi. Non può essere accusata di averlo fatto. Alleanza nazionale, proprio perché libera da questi sospetti intende fare e farà una battaglia di verità, di modernità e di libertà perché siamo convinti che, attraverso l'introduzione della cosiddetta par condicio, in realtà Governo e maggioranza intendono conservare questa odiosa, insopportabile condizione di autentica impar condicio che vede la sinistra, il Governo, la maggioranza in vantaggio sul centrodestra.
Se analizziamo i dati dell'osservatorio di Pavia, relativi al primo semestre del 1999, e facciamo riferimento alla RAI, alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, cioè ad un'azienda finanziata per circa 2.500 miliardi dai soldi di tutti i contribuenti italiani, quelli di destra, di centro e di sinistra, ebbene alla maggioranza ed al suo Governo - perché la concessionaria li considera due cose diverse, quasi contrapposte - sono stati dedicati circa 5 mila minuti d'informazione, a fronte dei 1.500 dedicati all'opposizione. Non sono dati di Alleanza nazionale, ma dell'osservatorio di Pavia.
A questo punto, signor Presidente, sottosegretario Vita, invochiamo noi la par condicio, se facciamo riferimento alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo.
Ma vi è un altro vantaggio che la sinistra, questa maggioranza e questo Governo intendono conservare attraverso l'introduzione della par condicio, cioè attraverso il silenziatore alla campagna elettorale, quello della maggiore organizzazione territoriale, delle cinghie di trasmissione del sindacato, del patronato, degli apparati clientelari, del terzo settore finanziato dagli enti locali, della «gioiosa macchina da guerra» di occhettiana memoria, che è presente nella sua interezza e in tutta la sua forza.
Questi sono alcuni degli aspetti della nostra battaglia di verità, ma ce ne sono altri. Voi dite che questo disegno di legge è necessario perché ci mette al passo con l'Europa: è falso. L'Europa non è quel monolite che cercate di contrabbandare in quest'aula: vi sono tanti paesi che hanno adottato normative diverse. Nei paesi anglosassoni, in Inghilterra, in Germania è difficile distinguere la propaganda dalla pubblicità elettorale. Nel settembre scorso quarantuno ministri competenti hanno adottato una dichiarazione in cui hanno affermato che lo spot elettorale è possibile a patto che vi siano due condizioni, quella della parità di trattamento e quella della riconoscibilità del messaggio. Sono cose che vanno nella direzione della regolamentazione dello spot, non nel suo divieto e tralasciamo gli Stati Uniti in cui è addirittura ammessa la pubblicità negativa.
Voi dite che siete costretti ad introdurre questa norma, perché il gruppo televisivo privato fa capo al leader dell'opposizione, ma allora perché non approvare la legge sul conflitto di interessi, sottosegretario Vita? Piuttosto che approvare il provvedimento sulla par condicio, tiriamo fuori dal cassetto del Senato quel disegno di legge che è stato approvato all'unanimità dalla Camera dei deputati, anche con il voto della sinistra. Se in questo paese vi è l'anomalia, il problema del conflitto di interessi, non intacchiamo la parte che sta a valle, ma intacchiamo quella che sta a monte. Decidiamo quindi sul conflitto di interessi, anche perché sono convinto - l'ho già detto una volta e lo ripeto - che invocare il conflitto di interessi nei confronti del Presidente del Consiglio significa porre una questione democratica; evocare il conflitto di interessi in capo al leader dell'opposizione equivale ad un ricatto.
Vi è poi un'altra falsità, quella che riguarda il valore degli spot, perché voi siete convinti che in qualche modo le
Il problema è che questo Governo, questa maggioranza culturalmente considerano l'elettore alla stregua di un mentecatto, di un minus habens, privo di filtri interiori, una persona plagiabile, condizionabile, plasmabile dallo spot elettorale; in questo senso il vostro disegno di legge, il vostro provvedimento, la vostra par condicio è un rudere, perché non tiene conto delle spinte della modernità.
Noi stiamo vivendo una fase infinita di transizione politica: abbiamo cambiato le leggi elettorali ed oggi abbiamo un sistema presidenzialista in quasi tutti i livelli elettivi. I cittadini eleggono direttamente il sindaco, il presidente della provincia e dalla primavera prossima si eleggerà direttamente il presidente della regione. Il presidenzialismo porta con sé anche una più accentuata personalizzazione della politica: siamo nell'epoca dell'uninominale, del candidato contro l'altro candidato. Come possiamo pensare ad una campagna elettorale basata sui metodi tradizionali del comizio, del manifesto, del faccia a faccia? Oggi c'è qualcosa di nuovo e questa situazione politica che è cambiata è affiancata dalla grande trasformazione tecnologica che sta vivendo l'informazione.
Mi ha impressionato moltissimo la dichiarazione di voto fatta dal presidente dei senatori diessini, Angius, al Senato quando ha fatto l'elogio della pubblicità murale, uno spazio per tutti e via.
È la strada che state prendendo, è un modo non per risolvere il problema, ma per aggravarlo, come ha spiegato molto bene prima di me l'onorevole Romani quando ha fatto la simulazione di quello che accadrebbe con i due contenitori che avete previsto. Che oggi la telepolitica sia in qualche modo una tendenza in atto lo dimostrano anche alcuni episodi recenti. Durante i giorni della crisi il Presidente D'Alema non è venuto qui a spiegare le ragioni dello strappo del Trifoglio: è andato in televisione, ha snobbato il Parlamento e ha preferito appellarsi ai cittadini. È un comportamento censurabile che però tiene conto di una modernità.
Alla luce di questa discussione, dei nostri emendamenti e dell'intervento dell'onorevole Giulietti, del quale non mi è sfuggita una certa apertura a rivedere le posizioni precedentemente enunciate, mi auguro che maggioranza e Governo trovino il coraggio e la responsabilità necessari per giungere ad una conclusione che tenga presente il fatto che noi stiamo decidendo delle regole del gioco democratico e che quindi occorre l'apporto dell'opposizione. Ora tocca a voi decidere se questo provvedimento dovrà essere affrontato con spirito bipartisan o se invece lo vogliate risolvere con la clava dell'arroganza (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
Oggi abbiamo detto che, a nostro parere, la sinistra considera il cittadino come una persona incapace di intendere e di volere, quindi una persona che in particolari momenti va tutelata, seguita e preservata dagli effetti malefici della pubblicità. A noi sembra che la sinistra tema il cittadino correttamente e costantemente
Credo che vi sia un'anomalia profonda che deriva dal fatto che tale questione avrebbe dovuto essere risolta, unitamente dalla maggioranza e dall'opposizione, nell'ambito della riforma costituzionale e della legge elettorale. Ciò vale soprattutto ove si consideri che la tecnolgia delle telecomunicazioni ha stravolto la vita dei cittadini (perché ne ha modificato la mentalità e i gusti), sta rendendo più veloce l'economia, sta provocando trasformazioni sociali e sta modificando in maniera irreversibile anche i contenuti della politica.
Cambia anche il modo di fare politica: da una parte, viene frustrata la militanza tradizionale, come è stato sottolineato anche da chi mi ha preceduto; dall'altra, si responsabilizzano forse eccessivamente le leadership politiche e, inevitabilmente...
Oggi, molte persone si interrogano fuori di quest'aula se non vi fossero, obiettivamente, problemi più importanti da affrontare quali, ad esempio, la situazione economica del paese o la disoccupazione giovanile o la criminalità, che aumenta di giorno in giorno. No, per il Governo e la maggioranza questi problemi possono attendere; è importante ottenere la scorciatoia sul problema fondamentale che, secondo il Presidente del Consiglio e la maggioranza, dovrebbe stare a cuore a milioni di italiani. Li immagino sfilare davanti al Parlamento ed invocare, a gran voce, la democrazia in questo paese. Li immagino fermarci, tirandoci la giacca e gridando che Berlusconi non può approfittare dei suoi spot elettorali e che il Parlamento deve intervenire in fretta, in quanto è già in ritardo. Forse l'opinione pubblica non sa che molti disegni di legge giacciono in questo Parlamento da parecchio tempo e, guarda caso, in questi tre anni non vi è mai stata una corsia preferenziale in materia di par condicio. Sono state sufficienti le elezioni europee perché improvvisamente il Governo - che si chiama fuori dalle questioni del dibattito politico, quali ad esempio il referendum, almeno in alcune trasmissioni televisive - si destasse e imboccasse la corsia preferenziale per l'approvazione del disegno di legge!
La seconda questione è ancora più divertente. Secondo le intenzione dei proponenti e, in particolare, del Governo, il provvedimento che dovrebbe salvare la democrazia si occupa della comunicazione politica; ma, guarda caso, non si occupa dei cosiddetti programmi di informazione nei quali le opinioni politiche si sprecano, né della comunicazione istituzionale, che molti ministri di questo Governo - come del precedente - continuano a fare a spese dei contribuenti.
Per non parlare di altre pubblicazioni, signor Presidente, come Vita italiana (per carità, una pubblicazione edita dalla Presidenza del Consiglio che è destinata ad una certa platea, la quale si occupa dei fatti che accadono nel nostro paese). Al suo interno, nel mese di ottobre, viene pubblicato l'editoriale del Presidente del Consiglio, il quale naturalmente magnifica quanto fatto dal suo esecutivo e si preoccupa del giudizio degli elettori, perché quando è stato stampato, probabilmente, D'Alema sapeva che il suo Governo rischiava di cadere e si preoccupava di non avere una maggioranza. Questo bell'editoriale chiude lanciando il messaggio relativo al «consolidarsi di quel messaggio di speranza - la scelta di investire le migliori risorse del paese sul nostro futuro comune - che ha guidato, dall'aprile del 1996 ad oggi, la strategia e le scelte dell'Ulivo e del centrosinistra». Si tratta, ripeto, di una pubblicazione edita, a spese del contribuente, dalla Presidenza del Consiglio.
Ma non basta: vogliamo parlare, signor Presidente, dei programmi promozionali per il 2000 editi dall'Istituto nazionale per il commercio estero, che contiene la guida agli eventi ed ai servizi per la globalizzazione delle imprese italiane? Si potrebbe immaginare che sia sufficiente dare agli imprenditori le informazioni su quali siano le opportunità: no, signor Presidente, qui non c'è par condicio, perché l'ineffabile ministro del commercio con l'estero presenta l'iniziativa con un altro suo editoriale, che ovviamente magnifica gli interventi del Governo. Come sempre, ciò avviene a spese del contribuente.
Allora la questione è molto semplice: per quali ragioni la maggioranza ed il Governo possono violare, anche contro l'opposizione, tutte le regole che impongono invece all'opposizione ed ai partiti di osservare? Per quali ragioni lo possono fare non soltanto in difformità da quelle regole, ma addirittura a spese del contribuente, quindi anche a spese degli elettori di Alleanza nazionale, che io rappresento? Non mi sta bene. Allora, si tolga una parte di quel denaro e la si destini all'opposizione, perché possa svolgere la sua comunicazione istituzionale, in modo che le armi siano davvero pari.
Ma questa legge colpisce anche interessi produttivi non indifferenti, che riguardano imprese televisive e radiofoniche, soprattutto a livello locale, alle quali viene imposto un meccanismo perverso che molti hanno evidenziato in quest'aula, in forza del quale si espropriano - tra virgolette - certi ricavi di quelle imprese in nome del rispetto della par condicio. A quelle imprese, quindi, si impone una sorta di baratto o di rapporto perverso in forza del quale possono mettere in onda determinati inserti pubblicitari dei partiti solo se rispettano certe regole che nel provvedimento sono indicate. Ma anche questo è un aspetto che contraddice quegli interventi sulla liberalizzazione del mercato che gli esponenti del Governo, non
Da un lato, quindi, si fanno belle figure abbellendo i discorsi con questi interventi e dall'altro, invece, si colpiscono anche le imprese radiotelevisive, soprattutto le più piccole, quelle locali, che assicurano un'informazione non indifferente. Molto spesso ci si lamenta del fatto che la politica è troppo lontana dai cittadini: per forza, finché ci occupiamo di problemi come questi, che interessano forse al 3 per cento - ma sono convinto di esagerare - dell'opinione pubblica, è evidente che la gente difficilmente troverà motivi convincenti per andare a votare. Bene, queste televisioni locali suppliscono a questa mancanza, perché il dibattito in quelle televisioni, invitando i protagonisti della vita politica locale, si incendia, si appassiona e si affascina a causa di quegli interventi. Niente da fare: anche per questi il contenitore della comunicazione politica è ovviamente stampato su misura e la libertà è solo il concetto normativo che c'è dietro questo provvedimento. Questo è davvero l'ultimo concetto, signor Presidente: il concetto normativo della libertà.
In questo paese tutti, a cominciare dagli esponenti dei due Governi che si sono succeduti - anzi, forse dovrei dire dei tre, ma visto che vi è il caso di una persona che ha rivestito due volte la carica, possiamo anche parlare di due Governi -, si sono lavati la bocca con gli aspetti relativi al confronto politico e si sono impegnati, anche pubblicamente, dicendo che il confronto politico è il sale con cui i partiti politici rendono onore al sistema democratico. Nonostante questo, noi oggi abbiamo, in realtà, sancito definitivamente che esiste una sola libertà in questa materia: si tratta della libertà scolpita, a chiare lettere, esclusivamente dal concetto di comunicazione politica stabilito da questo provvedimento, che non consente né fantasia né possibilità diverse rispetto a quelle, come catene, che sono calate sulle forze di opposizione, le quali continueranno a rivendicare il loro diritto di libertà (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
È iscritto a parlare l'onorevole Lo Presti. Ne ha facoltà.
Paradossalmente, la legge che la Camera - purtroppo - si accinge ad approvare contiene nel testo la prova della cattiva coscienza di questa maggioranza di Governo e dell'eredità, tuttora indivisa, di quella ideologia catto-comunista, illiberale e massimalista che dilagò in Italia nell'immediato dopoguerra e che fu la principale causa della normalizzazione del mondo della cultura e dei media, producendo il fenomeno che va sotto il nome di lottizzazione, che divenne letale, e quindi irreversibile, negli anni del regime consociativo.
L'affermazione del principio contenuto nell'articolo 1 del disegno di legge al
L'impar condicio insieme alla incostituzionale esclusione della destra politica dalla dialettica democratica sono state le cause principali della sclerotizzazione di un sistema che ha consentito l'instaurarsi di una stabile egemonia di alcune forze politiche, impedendo la nascita di una vera democrazia dell'alternanza attraverso, soprattutto, l'alterazione delle competizioni elettorali che non si sono mai svolte, almeno fino al 1994, in parità di condizioni.
Da un lato, infatti, l'occupazione e l'abuso delle istituzioni da parte delle forze politiche al Governo nonché la lottizzazione dei media e, dall'altro, il sistema di finanziamento illecito dei partiti sono stati e sono tuttora strumenti che hanno condizionato e drogato il consenso, alterato per decenni i risultati delle competizioni elettorali, relegando ad un ruolo marginale le forze sociali, culturali e politiche che sono potute finalmente rientrare in gioco nel momento in cui, cadute alcune pregiudiziali ideologiche ed emerse con Tangentopoli tutte le nefandezze del sistema, si è spezzato il monopolio dei mezzi di comunicazione e di informazione ed è stato possibile per gli italiani valutare finalmente i programmi e le intenzioni delle forze politiche nuove, che hanno rimesso in discussione l'egemonia di un modello di formazione del consenso fondato sulla preclusione degli spazi di libertà nel sistema massmediatico.
Oggi, con questa legge si vuole bloccare questo processo riducendo definitivamente quegli spazi di libertà conquistati nei fatti dalle forze politiche che non governano e non esercitano il potere e che, come unica alternativa all'isolamento e al regresso elettorale, devono per forza di cose approfittare di una mancanza di regole certe sullo svolgimento della campagna elettorale per recuperare il divario che le separa dalle forze di Governo. Quelle stesse forze che oggi - dieci, venti e trenta anni fa - beneficiano di spazi infiniti di comunicazione e di informazione istituzionale, nonché di fiancheggiatori nel mondo della cultura e della carta stampata ben allenati alla propaganda subliminale. Poc'anzi il collega Contento citava una vasta gamma di esempi con i quali appunto il Governo fa propaganda a se stesso.
Il centro-destra, prima di altri, ha saputo - per autodifesa certamente, ma soprattutto per cultura - utilizzare la spinta innovativa di un modo moderno di fare politica che sfruttasse le grandi fonti di comunicazione di massa e l'influenza dei messaggi pubblicitari - Presidente, chiedo anch'io, anche se sono l'ultimo oratore, qualche minuto di tolleranza, grazie - che ha adeguato, per intelligenza, fantasia, efficacia, penetrazione e semplicità, all'esigenza avvertita dall'elettorato di essere coinvolto in politica da un linguaggio diretto e semplificato.
Siamo stati più bravi, va bene, siamo stati migliori, siamo stati più moderni e questo ha ribaltato gli equilibri, ha contribuito, almeno sul fronte culturale, a spezzare il monopolio della sinistra e a gettare le premesse per l'alternanza di Governo che, tuttavia, non sarà concretamente realizzabile se la impar condicio attuale non sarà bilanciata da una libertà di movimento nel campo delle informazioni elettorali in favore delle forze di opposizione, quale che sia lo schieramento al quale esse appartengano.
Non oso immaginare cosa si sarebbe scatenato se il Polo al governo del paese e padrone assoluto, come lo è oggi l'Ulivo, di tutti i gangli vitali del potere in Italia avesse proposto una legge simile per garantirsi un'altra vittoria alle elezioni politiche.
Non mi attarderò sulle definizioni e sui giudizi che sono stati dati su questa legge dal mondo politico e della cultura, da decine e decine di autorevoli personaggi tutti concordi nel definirla illiberale e anticostituzionale, ma una cosa è certa: da questo momento la libertà di opinione si trasformerà in libertà vigilata di opinione, se è vero, come è vero, che il complesso sistema di regole, di controlli e di sanzioni previsto dalla normativa provocherà per paura di sbagliare la paralisi totale dell'informazione e della comunicazione politica o, nella migliore delle ipotesi, una prudenza ai limiti della «bacchettoneria» in coloro i quali, giornalisti, editori, commentatori della carta stampata e delle emittenti televisive saranno chiamati ad applicare nuove regole nei programmi di informazione.
Signor Presidente, colleghi assenti della maggioranza, nel paese è largamente diffusa l'opinione che attraverso questo provvedimento che, come è noto, sarà applicato in ogni tempo e non soltanto in campagna elettorale, il Governo e la maggioranza - vado a concludere, Presidente...
Oramai, lo scontro si va radicalizzando sullo spartiacque delle libertà civili e politiche e questa legge rappresenta il punto di non ritorno per voi, l'inizio di una grande azione rivoluzionaria a difesa della libertà e della democrazia per noi.
Gli italiani che credono in questa battaglia e che sono la maggioranza ci seguiranno, con o senza spot televisivi (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).