(Sezione 2 - Indagini relative al progetto di alta velocità ferroviaria)
B)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
nel marzo 1993 il dottor Raffaele Santoro, già presidente dell'Agip e all'epoca detenuto in custodia cautelare in carcere nell'ambito dell'inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Milano e denominata «mani pulite», interrogato dai sostituti procuratori dottor Antonio Di Pietro e dottor Gherardo Colombo, rivela l'esistenza di un «cartello» e di un «patto di non belligeranza» tra quattro società di ingegneria - Snamprogetti, Tpl, Ctip e Techint - per la spartizione dei più importanti appalti di realizzazione di grandi opere e impianti;
secondo le rivelazioni del dottor Santoro, il «garante» dell'accordo di cartello sarebbe stato il banchiere italo-svizzero Pierfrancesco Pacini Battaglia, scelto in base ai rapporti che egli intratteneva con l'ex-presidente della Snamprogetti Enrico Melodia;
l'accordo di cartello avrebbe previsto, oltre alla spartizione degli appalti, un accordo «paracadute» in base al quale la società che si sarebbe aggiudicata l'appalto avrebbe riversato, tramite la costituzione di fondi neri, parte degli utili alle altre tre società coinvolte nell'accordo di cartello;
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secondo il dottor Santoro il «nume tutelare» di una delle società coinvolte, la Tpl, sarebbe stato l'allora presidente delle Ferrovie dello Stato, avvocato Lorenzo Necci;
secondo indagini condotte successivamente dalla procura della Repubblica di Perugia nel 1998, la Tpl è stata utilizzata come strumento per la gestione di intermediazioni illegali da parte dei suoi amministratori - Mario Maddaloni, presidente, Leonello Sebasti e Pietro Tradico, amministratori delegati - tutti azionisti della banca svizzera Karfinco, il cui socio di riferimento è Pierfrancesco Pacini Battaglia. Al termine di queste indagini la procura della Repubblica di Perugia chiede il rinvio a giudizio degli amministratori della Tpl e di altri per aver costituito fondi neri per varie decine di miliardi;
nel 1993 il dottor Sergio Cragnotti, all'epoca amministratore delegato di Enimont, come riportato dal libro «Corruzione ad alta velocità» di Imposimato - Pisauro - Provvisionato, a pagina 95, interrogato dalla procura della Repubblica di Milano, aveva riferito di aver ricevuto dalla Tpl la somma di cinque miliardi, somma che era stata bonificata da Pierfrancesco Pacini Battaglia. Tale somma era stata divisa tra lo stesso Cragnotti (due miliardi), Raul Gardini (due miliardi) e lo stesso Pacini Battaglia (un miliardo);
a seguito della rivelazione di Cragnotti, all'epoca il procuratore della Repubblica di Milano, dottor Francesco Saverio Borrelli, interrogò sulla circostanza Pierfrancesco Pacini Battaglia, il quale negò la circostanza e venne creduto, senza nemmeno essere messo a confronto con il suo accusatore Cragnotti e senza che nei suoi confronti venisse attuata alcuna misura cautelare, difformemente da quanto è avvenuto nei confronti della quasi totalità degli indagati dell'inchiesta «mani pulite»;
secondo la procura della Repubblica di Brescia, l'allora sostituto procuratore della Repubblica di Milano, dottor Antonio Di Pietro, avrebbe dovuto sviluppare dal punto di vista investigativo «come sarebbe stato necessario e possibile, attraverso rogatorie internazionali, le notizie fornite», tenuto conto anche del fatto che un altro imputato, Roberto Marziale, aveva confermato le rivelazioni di Cragnotti e aveva aggiunto la notizia secondo la quale al dottor Lorenzo Necci «era stata accreditata una somma di un milione e mezzo di franchi svizzeri sul conto intrattenuto presso la Karfinco»; secondo la procura della Repubblica di Brescia il dottor Antonio Di Pietro aveva revocato una rogatoria internazionale con la Svizzera volta ad indagare proprio sulla Karfinco di Pierfrancesco Pacini Battaglia;
nel 1993 la procura della Repubblica di Roma, sulla base di un esposto sulle procedure seguite per la costituzione della società Tav spa, apre un'indagine - affidata al sostituto procuratore Giorgio Castellucci - sull'alta velocità ferroviaria;
nello stesso anno - riferisce nel 1996 il dottor Giorgio Castellucci - nel corso di un incontro tra magistrati della procura della Repubblica di Roma e magistrati della procura della Repubblica di Milano - incontro che si svolge nel palazzo di giustizia di Roma e che aveva lo scopo di dirimere questioni di competenza a indagare - il dottor Antonio Di Pietro confida al dottor Castellucci che l'imprenditore Vincenzo Lodigiani, più volte indagato dalla procura della Repubblica di Milano, aveva iniziato a rivelare l'esistenza di una «programmazione tangentizia» intorno al progetto dell'alta velocità ferroviaria e su questa base chiese e ottenne che tali indagini rimanessero nelle sue mani; tale inchiesta non ebbe alcun seguito e il dottor Antonio Di Pietro la abbandonò quando si dimise, nel 1994, dalla magistratura;
già in una precedente occasione il dottor Antonio Di Pietro aveva rivendicato a sé un'inchiesta condotta da un magistrato della procura della Repubblica di Roma, il dottor Vittorio Paraggio, relativa alla cooperazione con i paesi meno sviluppati; a tale proposito il dottor Paraggio ha riferito che nell'ambito di tale inchiesta gli venne richiesto dal dottor Antonio Di Pietro
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di trasmettere a Milano e allo stesso dottor Di Pietro gli atti relativi alla posizione di Pierfrancesco Pacini Battaglia. Causa di questa richiesta il fatto che Pacini Battaglia, indagato dalla procura di Milano nell'ambito dell'inchiesta Enimont, aveva iniziato a collaborare con la procura; su tale base il dottor Paraggio decise lo stralcio della posizione di Pierfrancesco Pacini Battaglia e l'8 luglio 1993 trasmise gli atti per competenza alla procura della Repubblica di Milano;
nel 1996 i sostituti procuratori della Repubblica di La Spezia, nell'ambito di una complessa indagine che aveva al centro Pierfrancesco Pacini Battaglia e scaturita dalle rivelazioni acquisite con una vasta opera di intercettazione telefonica e ambientale, chiedono, prima alla procura della Repubblica di Roma, quindi alla procura della Repubblica di Milano, che se ne era appropriata, gli atti relativi alle indagini sulla cooperazione riguardanti Pierfrancesco Pacini Battaglia; tale richiesta non può essere evasa perché né degli atti trasmessi da Roma, né di eventuali e successivi atti di indagini compiuti da Milano, c'è traccia;
secondo quanto scrive la procura della Repubblica di Perugia, come riportato nel libro citato in precedenza, pagina 103, «Gli atti relativi a Pacini [in tema di cooperazione] sono stati effettivamente trasmessi a Milano» dopo che, su istanza del difensore di Pacini Battaglia, avvocato Lucibello, il pubblico ministero di Milano dottor Antonio Di Pietro chiese al collega romano Paraggio di non svolgere indagini su Pacini Battaglia in quanto quest'ultimo stava offrendo rilevante collaborazione nelle indagini svolte dalla procura della Repubblica di Milano;
secondo la procura della Repubblica di La Spezia, Pierfrancesco Pacini Battaglia aveva messo in atto una complessa condotta criminosa «volta a orientare al proprio utile e ai propri scopi l'attività della pubblica amministrazione, con qualsiasi mezzo non escluso ovviamente, il ricorso al pagamento di tangenti e ciò soprattutto in ragione degli interessi gestiti da Pacini con i vertici del gruppo Eni e del gruppo Ferrovie spa in particolare Tav e Italferr» e a tale scopo il gruppo di imputati aveva messo in atto (dal libro citato, pagina 104) «una sorta di presidio giudiziario» grazie «alla compiacente attività di taluni magistrati, svolgenti le funzioni in ruoli chiave, i quali pilotassero nel senso desiderato eventuali inchieste»;
secondo quanto emerso dall'impianto accusatorio di diverse inchieste giudiziarie il dottor Antonio Di Pietro avrebbe gestito la posizione processuale di Pierfrancesco Pacini Battaglia con grave negligenza o secondo metodi e tecniche «esclusivi» rispetto a quanto abitualmente seguito nel corso dell'inchiesta «mani pulite»; in particolare:
1) Pacini Battaglia, pur raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, non soffrì alcuna carcerazione;
2) Pacini Battaglia acquisì lo status informale di collaboratore della procura di Milano e del dottor Di Pietro, ma si limitò nella sostanza a confermare fatti e personaggi già emersi nell'inchiesta. Nel frattempo però poté continuare l'opera di inquinamento probatorio e di corruzione giudiziaria almeno fino al 1996;
3) nei confronti dei conti privati di Pacini Battaglia non vennero mai concluse rogatorie internazionali, nemmeno nei confronti della sua banca, la Karfinco;
4) molte delle rogatorie richieste vennero classificate come non urgenti;
5) in alcuni casi allo stesso Pacini Battaglia venne consentito, tramite il suo legale avvocato Lucibello, di conoscere in anticipo le tematiche che sarebbero state affrontate nel corso degli interrogatori;
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6) nessun controllo venne mai eseguito sulla documentazione che Pacini Battaglia riversava negli atti, così che lo stesso avrebbe potuto produrre materiale artefatto o precostituito;
7) nessuna seria indagine venne mai condotta nei confronti di Roger Francis, principale collaboratore di Pacini Battaglia;
8) nessun controllo venne mai condotto neppure sulle persone fisiche che erano i terminali delle operazioni finanziarie di Pacini Battaglia, non riuscendo così ad individuare fatti penalmente rilevanti emersi solo nel 1996 ad opera della procura della Repubblica di La Spezia;
dalle indagini della procura della Repubblica di Brescia sono emersi, ad avviso degli interpellanti, numerosi fatti riconducibili a non limpidi rapporti tra Pierfrancesco Pacini Battaglia, indagato, e il dottor Antonio Di Pietro, magistrato inquirente, e alcuni amici, sodali e collaboratori di entrambi;
a parere degli interpellanti tutti questi fatti inducono a ritenere che non sia stata fatta luce su alcune vicende di corruzione pubblica di maggior rilievo degli ultimi decenni, quella relativa al progetto di Alta Velocità ferroviaria -:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e/o di altri gravi fatti riguardanti il progetto Alta Velocità ferroviaria e intenda riferirne al Parlamento;
se intendano ricorrere ai poteri di indagine che la legge affida al Governo per conoscere la situazione del progetto Alta Velocità in ordine agli appalti assegnati, ai contratti sottoscritti ed eseguiti, a quelli in corso di esecuzione e agli atti successivi e conseguenti;
se intendano avvalersi del potere ispettivo per accertare se i fatti esposti, anche qualora non costituiscano reato penale, non configurino l'ipotesi di colpa grave, per omissione o sviamento, nella conduzione di indagini su fatti penalmente rilevanti.
(2-02143)
«Maiolo, Aracu, Berruti, Bertucci, Colletti, Colombini, Conte, Crimi, Cuccu, De Luca, Floresta, Giudice, Landolfi, Leone, Mancuso, Marras, Martino, Marzano, Masiero, Matranga, Niccolini, Paroli, Pecorella, Pilo, Rivolta, Santori, Scaltritti, Taborelli, Valducci, Vitali, Biondi, Del Barone, Filocamo, Gastaldi, Giannattasio, Giovine, Lo Presti, Palumbo, Saponara, Savarese».
(18 dicembre 1999)