Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 648 del 23/12/1999
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(Discussione)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Governo.

BEPPE PISANU. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BEPPE PISANU. Signor Presidente, stanotte l'ultimo telegiornale ha titolato la notizia politica più importante con queste parole: «Crisi lampo, la più breve della storia della Repubblica». È una notizia indubbiamente vera e probabilmente positiva per la maggioranza degli italiani, confusi dall'andamento di una crisi quanto mai contorta e, come riferiscono i sondaggisti, nauseati come non mai dalla politica.
Non credo, invece, che la notizia sia positiva per chi, nonostante tutto, continua a credere nel primato della politica e per chi, come lei, signor Presidente del Consiglio, aveva preannunziato un radicale chiarimento politico al Parlamento dopo due mesi di una crisi che si è svolta tutta fuori del Parlamento e per ragioni tutte interne alla maggioranza...

PRESIDENTE. Mi scusi, presidente Pisanu, se mi permette, questo è un intervento nel merito, non sull'ordine dei lavori.

BEPPE PISANU. Se vuole...

PRESIDENTE. Non voglio niente, onorevole Pisanu, devo però farle notare...

BEPPE PISANU. Sto semplicemente indicando le ragioni della questione che intendo porre!


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MAURA COSSUTTA. Cos'è, il dibattito o l'ordine dei lavori?

VASSILI CAMPATELLI. Dovevate iscrivervi!

MAURA COSSUTTA. Iscriviti!

BEPPE PISANU. Comunque, raccolgo l'invito ad affrettarmi.

PRESIDENTE. Onorevole Pisanu, non deve affrettarsi, volevo comprendere quale fosse la questione che pone sull'ordine dei lavori.
Prego, onorevole Pisanu.

BEPPE PISANU. Signor Presidente, al momento del radicale chiarimento politico, ci siamo trovati con la crisi lampo, con questo blitz di Natale che obbliga la Camera dei deputati a procedere al radicale cambiamento politico mediante un dibattito che assegna mediamente ad ogni deputato mezzo minuto di tempo.
In queste condizioni - ecco le ragioni del mio intervento - partecipare al dibattito per noi significherebbe semplicemente prestarsi ad una sceneggiata politica, significherebbe avallare una decisione improvvida, che potrebbe costituire un pericoloso precedente... (Commenti).

PRESIDENTE. Colleghi, per piacere!

BEPPE PISANU. Invocando questo precedente di fronte ad ogni situazione di complicazione politica, si potrebbero invocare le ragioni dell'urgenza ed imporre al dibattito, a colpi di maggioranza sicuramente legittimi, tempi strettissimi, anzi iugulatori. So perfettamente che la decisione della maggioranza, presa in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, è sicuramente corretta, del tutto legittima e non la discuto; voglio solo affermare, onorevoli colleghi, che non basta la ragione del maggior numero per rendere democratica una decisione politica e questa era un'importante decisione politica. I padri della democrazia ci hanno insegnato che esiste una tirannide della maggioranza che va sempre, sistematicamente, evitata, ad ogni costo.
Ecco, signor Presidente, noi diciamo di no allo strangolamento dei tempi di discussione che si è determinato con questo calendario della crisi; diciamo di no ad una crisi che si svolge al di fuori del Parlamento per due mesi e che, poi, si pretende di risolvere in Parlamento in cinque ore. Signor Presidente del Consiglio, lei ha ragione quando dice che dobbiamo riflettere a fondo sulla crisi delle istituzioni, ma, mi creda, tra le ragioni della crisi delle istituzioni vi è anche il decadimento del costume democratico, la disabitudine al confronto, il rifiuto del confronto, magari giustificato con l'esigenza dei tempi rapidi imposti dai ritmi, diciamo così, della vita politica moderna.
Per queste ragioni, non parteciperemo al dibattito, non diserteremo l'aula, non abbandoneremo la seduta. Non parteciperemo al dibattito perché non accettiamo lo strangolamento dei tempi di discussione, l'imbavagliamento di fatto del Parlamento. Naturalmente, lasceremo manifestare le ragioni della nostra opposizione ai leader del Polo, o a chi per loro, in sede di dichiarazione di voto, ma solo in quella sede, rifiutando una discussione condizionata in partenza (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e misto-CCD).

GUSTAVO SELVA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUSTAVO SELVA. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, ho chiesto di parlare sull'ordine dei lavori ma, se mi è consentito, mi permetterò di entrare in parte anche nel merito delle cose dette dal Presidente D'Alema.
Lei ha aperto una crisi che avrebbe dovuto determinare un radicale chiarimento, il chiarimento sarebbe dovuto avvenire all'interno della maggioranza che aveva sostenuto il suo primo Governo.


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Risultato: lei perde un pezzo, il Trifoglio, e nel Trifoglio perde Francesco Cossiga, che del suo primo Governo era stato il padrino, con offerta di bambolina, a proposito degli scherzi che sa fare con la sua intelligenza il presidente Cossiga, che - come è noto - ieri sera le ha votato contro. Lei fa entrare i «democratici» Bianco e Bordon e l'«udeurrino» Loiero, che, con tutto il rispetto per le persone, non mi sembra diano il marchio del «Governo rinnovato», come lei ha ribadito anche questa mattina, ma piuttosto di una compagine riciclata, dove il passaggio degli uomini da un ministero all'altro è un'operazione gattopardesca che ricorda molto i Governi Rumor o quelli della prima Repubblica in generale.
Il chiarimento era e resta un fatto interno alla maggioranza, che lei risolve con un «tutto insieme separatamente», per usare lo stesso titolo dell'articolo di Sergio Romano sul Corriere della Sera di oggi. Lei si accontenta di questo, onorevole Presidente del Consiglio? È affare suo. È invece offesa al Parlamento che lei abbia voluto strozzare il dibattito in tempi che non permettono al Polo una reale discussione e, soprattutto, che di questo tempo lei si prenda poi larghe fette, come ha dimostrato anche questa mattina.
Sappiamo inoltre, per l'esperienza compiuta durante il dibattito sulla finanziaria - la sua modestissima finanziaria -, che voi respingete tutti i contributi forniti dall'opposizione, come avete fatto durante la discussione su questa legge. Gli atti contraddicono le sue parole sul confronto anche con l'opposizione. Le parole sono buone, onorevole Presidente del Consiglio, quando lei parla con accenti conciliatori, ma i fatti restano questi: delle nostre proposte nella finanziaria voi non avete accolto nulla.
In questi giorni, onorevole Presidente del Consiglio, mi pare che lei abbia dedicato la maggior parte del tempo a rappezzare il suo Governo e la sua divisa maggioranza. I suoi annunci programmatici, che ha ripetuto anche poco fa, sono inutilmente ambiziosi, soprattutto quando pretendono di disegnare riforme istituzionali per le quali nella sua stessa maggioranza non esiste un accordo univoco. Siamo d'accordo con lei, onorevole Presidente, che il problema è il «malessere delle istituzioni» - abbiamo dimostrato nella bicamerale quale fosse la nostra volontà di riformare la seconda parte della Costituzione -, ma non dipende forse anche dal suo Governo, dal fatto che non abbia una politica istituzionale, se non quella di annunci, e dalle condizioni in cui si trova in questa maggioranza?
In queste condizioni anche per Alleanza nazionale non parlerà alcun deputato, non perché, onorevole Presidente del Consiglio, non abbiamo cose da dire. Abbiamo dimostrato durante la finanziaria che avevamo una controfinanziaria; nei confronti del suo Governo abbiamo un programma alternativo, ma sappiamo benissimo che la sua maggioranza è blindata, perde pezzi, ma resta blindata e in questo caso sa soltanto aumentare le poltrone, le poltroncine e gli strapuntini; a proposito dei quali ella, signor Presidente, ha raggiunto un primato: ha nominato sessantacinque sottosegretari, dei quali ben sette alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Con questa squadra di novanta persone lei dovrebbe rivoltare l'Italia come un calzino, se fossero persone che dedicano la loro attenzione al bene comune. Per l'Italia me lo augurerei, ma con un Governo riciclato come il suo questa speranza andrà ancora una volta tradita. Forse, se non ci fosse stata la denuncia, fatta dall'onorevole Pisanu, delle trame che si tessevano per acquistare qualche altro consenso nel «mercato della compravendita dei deputati», lei avrebbe potuto trovarsi - fortunatamente ha potuto risparmiarselo - di fronte all'offerta dell'onorevole Mastella di nominare sottosegretario nella squadra dei sessantacinque anche l'ineffabile onorevole Bagliani.
Non andiamo sull'Aventino, naturalmente: i leader del Polo, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, oggi pomeriggio spiegheranno al Parlamento e agli italiani le ragioni della nostra radicale, aspra opposizione al suo Governo, il quale chiude la crisi - che gli


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italiani francamente non hanno ancora capito perché sia scoppiata, se non per le diatribe interne allo stesso Governo - e soprattutto quale intenda essere il nostro contributo, se mai si aprirà una stagione delle riforme. Lei ha usato l'espressione: «chi ha più filo da tessere vincerà». Il filo del suo primo Governo si è spezzato molto rapidamente e io credo che lei non andrà più lontano. Sui problemi dell'occupazione, del lavoro, della giustizia, dell'Europa e del fisco non credo che andrà più lontano con il Governo bis a cui lei ha dato vita attraverso compromessi e trattative che hanno riguardato essenzialmente le poltrone (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e misto-CCD).

MARCO FOLLINI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO FOLLINI. Signor Presidente, farò una considerazione che vorrei restasse dentro i confini dell'asprezza e non travalicasse quelli della propaganda.
Noi abbiamo l'ambizione e la vocazione di rappresentare un'opposizione ragionevole e costruttiva e ne abbiamo dato prova in quest'aula pochi giorni fa con il voto sulla finanziaria. C'è disagio nell'esprimere oggi una posizione di protesta, e tanto più disagio quando la protesta si trova costretta ad assumere il carattere del silenzio. Noi critichiamo un calendario della crisi che è stato largo, generoso, prodigo di fin troppe parole e di tempi assai lunghi nel rapporto tra le forze politiche e che si trova invece ad essere stretto ed avaro nei suoi percorsi parlamentari.
Lei ha rivolto, Presidente, la settimana scorsa alla Camera un discorso nel quale, se non ricordo male, non ha mai pronunciato né la parola «crisi», né la parola «dimissioni». Eppure, poche ore dopo lei si è dimesso ed ha formalizzato una crisi che in quest'aula era stata evocata solo dall'opposizione e da una parte, ora non più tale, della sua maggioranza.
Questo c'è sembrato un ragionamento reticente, fondato sulla convinzione che le sorti del suo Governo, del chiarimento che aveva avviato, si giocassero largamente fuori e lontano da qui. Ora ci si chiede, avendo a disposizione 40-50 secondi a testa, di pronunciarci su una vicenda che è maturata largamente fuori dalle aule parlamentari. A questo punto pensiamo che il silenzio valga e si faccia sentire più delle poche parole che il tempo mette a nostra disposizione. Saranno Berlusconi, Fini, Casini, questo pomeriggio, a portare in aula le ragioni dell'opposizione. Di quelle ragioni fa parte il disappunto per una gestione della crisi che ha avuto molti aspetti levantini nella sua concreta, prosaica realtà politica e che si vorrebbe avesse invece caratteri frettolosi e quasi nevroticamente frenetici nei suoi percorsi parlamentari.
Il Parlamento non è il luogo di una burocratica ratifica delle decisioni politiche. Il silenzio dell'opposizione questa mattina è solo il risvolto dell'oscurità, della poca chiarezza delle parole che il Governo ci ha rivolto in tutti questi mesi (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CCD, di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Vendola. Ne ha facoltà.

NICHI VENDOLA. Signor Presidente del Consiglio, noi pensiamo che la sua crisi e il suo Governo rappresentino una ferita ulteriore al corpo ed al senso della politica, una nuova e perfino drammatica divaricazione tra politica e società, un nuovo e perfino inquietante colpo alla credibilità della sinistra.
Se taluno tra voi avesse aperto una crisi di Governo sulla guerra balcanica o sulla malasorte di Ocalan o sulla devastazione della scuola pubblica o sui tagli al welfare, il paese avrebbe capito. Ma questa crisi, la vostra crisi, ha avuto contenuti opachi, oscuri, indecifrabili. Non ha parlato al paese, non ha parlato del paese; ha parlato a voi e di voi, dei vostri riti bizantini e separati, della


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pompa magna della governabilità, del ritorno irresistibile della «saga di Ceppaloni», di quel tanfo di trasformismo che voi assumete come un dato fatale ed ineluttabile, come la pioggia di Cervinara.
Forse non è neppure vero che ci sia in voi una seria sottovalutazione degli effetti che questo degrado della politica produce nella pubblica opinione, e cioè il disincanto, la passivizzazione di massa, lo smarrimento di un ethos condiviso fino alla crescente diserzione dal voto.
Forse l'agonia della politica e la morte della partecipazione popolare alla politica sono l'inevitabile corollario della modernizzazione tecnocratica e neoamericana della nostra società; forse il deserto della politica ci predispone meglio alla giungla del mercato. Questa giungla è stata l'orizzonte delle sue parole, signor Presidente del Consiglio; di questo parlavano i suoi indicatori economici, la sua enfasi ragionieristica, il suo trionfalismo fuori luogo. Dico «fuori luogo» perché il luogo italiano, a cui ella non dedica parametri né indicatori né risorse, in questi giorni di fine millennio patisce il freddo e teme il vento e la pioggia. Quel luogo ci dice ciò che voi non dite più: dello stupro del territorio, della cementificazione selvaggia, dei disboscamenti, dell'inquinamento dei corsi d'acqua, della speculazione edilizia, di tutto ciò di cui potrebbe parlarci con competenza l'onorevole Mastella.
Onorevole D'Alema, non le sto imputando le colpe del passato, la trasformazione - per esempio - dei Regi Lagni di Sarno in discariche o l'edificazione di un palazzo a Foggia su pilastri di cemento disarmato, e neppure il fatto che piova o che nevichi. Noi non siamo propagandisti, sappiamo discernere tra responsabilità politiche e dinamiche meteorologiche; sappiamo distinguere tra i Governi di ieri e quelli di oggi: ma c'è o no una colpa dell'oggi, una responsabilità che è anche vostra, se in queste ore i terremotati umbri e marchigiani vivono ancora prigionieri di container che sono celle-frigorifero e temono che il vento possa scoperchiare quei loro così precari rifugi? E come quest'Italia, celebrata nei salotti buoni della globalizzazione, risponde alle domande che chiedono di Sarno e di Cervinara e dell'Irpinia e del sud maledetto di troppe calamità innaturali, figlie di ciò che ogni stagione politica ha denominato modernizzazione? Quanti sono i metri quadri del dissesto idrogeologico del nostro territorio? Quanti sono gli appartamenti a rischio di crollo? La sua diligente compilazione ha espunto questi indicatori forse prepolitici, un po' sporchi di terra e di calcinacci. Ma non era questo il banco di prova decisivo di una nuova classe dirigente, non era...
Signor Presidente, sono presenti pochi colleghi Democratici di sinistra, ma sono molto rumorosi. È faticoso continuare l'intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Mancina, onorevole Campatelli, potete continuare la conversazione fuori dell'aula?

LUCA VOLONTÈ. Tutti fuori!

PRESIDENTE. Prosegua pure, onorevole Vendola.

NICHI VENDOLA. Non era e non è questo il terreno più congruo di un'autentica sfida riformatrice, di un'innovazione politica e programmatica che assumesse la centralità della cura e della manutenzione del territorio, del riutilizzo del patrimonio abitativo, del recupero e della bonifica dei centri storici e delle periferie urbane? Fa pena, fa veramente pena leggere quanto è stanziato nella legge finanziaria a questo proposito. E non poteva essere seminata qui la promessa di nuovo lavoro, di lavoro buono, cioè di quel lavoro che coniuga valori ambientali e diritti sociali, il contrario del lavoro nero e precario praticato nei cantieri del Giubileo, magari per fare una vergognosa rampa sul Gianicolo? Penso al contrario dei lavori a perdere, comprati e venduti, leggeri e pesantissimi, a cottimo e sotto caporali multinazionali, che sono la fioritura dei contratti atipici.
Anche questo ha dimenticato, signor Presidente del Consiglio, nel suo almanacco


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sulle virtù del paese normale: l'algebra aspra della disoccupazione nonché la geografia caotica dei lavori a rischio (a rischio di vendette padronali, a rischio di licenziamento, a rischio di incidenti). Conosce queste cifre da record europeo: 1200 morti all'anno, 27 mila feriti all'anno? Di questi, molti, anzi, troppi sono bambini. È la nostra Bosnia confindustriale, il nostro Kosovo neoliberista. Possibile che la vostra ingerenza umanitaria si fermi dinanzi ai cancelli di una fabbrica? Non avete truppe da inviare nei cantieri in subappalto, nelle cave, nei porti, nelle campagne dove vive e muore un nuovo bracciantato multirazziale (Applausi dei deputati del gruppo misto-Rifondazione comunista-progressisti)?
Giustamente, la vostra politica non vede il dolore sociale; non lo capisce neppure, quando gli dedica la culla ottocentesca della cosiddetta sussidiarietà; vi spaventa l'idea che esso possa organizzarsi in conflitto, che possa conficcare nelle carni del vostro pluralismo asociale le spine della questione sociale, del vivere, dell'abitare, dello studiare, del lavorare, dell'invecchiare, del soffrire. Il vostro maggioritario non è altro che la rimozione ontologica del conflitto, la sua narcotizzazione nella finta dialettica dei notabili, dei loro conflitti di interessi e dei loro interessi senza conflitto sociale, dei loro duelli rusticani, come quelli cui spesso si assiste in quest'aula, che galleggiano per aria chiassosi e lontani dal moto spontaneo di quel mercato che governa tutto.
Per questo, contro il vostro bipolarismo che è la mancanza, la privazione di alternativa, riproponiamo il nodo della rappresentanza democratica, a partire dal metodo proporzionale di selezione del personale politico.
Per questo, denunciamo il legame organico che vi è nei referendum di Pannella e Bonino tra i quesiti di tipo elettorale e i quesiti contro il lavoro e i suoi diritti e contro lo Stato sociale. Si potrebbe svolgere un'utile dissertazione sull'incompatibilità tra liberismo e democrazia, ma il vostro Governo sospinge a riflessioni assai meno elevate.
Signor Presidente del Consiglio, non ci avete risparmiato nulla, neppure un sottosegretario che fu, fino a tempi recenti, il leader dell'estrema destra in Ciociaria; neppure quella Commissione d'inchiesta su Tangentopoli che assume la corruzione politica come un fondamento della fisiologia delle moderne democrazie, che chiude con una indecorosa pacificazione - quella di cui ci ha parlato poc'anzi - le ferite degli anni ottanta e che porrà uno sguardo minaccioso e deterrente sul lavoro autonomo della magistratura.
Onorevole D'Alema, un tempo quelli che vengono dalla stessa nostra tradizione dicevano: «Veniamo da lontano e andiamo lontano». Ora non si sa più da dove venite: da un buco nero della storia, da uno smemoramento che si fa smarrimento. Si sa, invece, dove andate: non molto lontano, comunque al centro. Il centro sembra essere il suo destino e la sua prigione. Noi, nel nome del decoro della politica, della sua memoria e delle sue passioni, le voteremo contro. Lo faremo per noi, per rimarcare una diversità di fondo. Lo faremo per la sinistra, per il suo tempo perduto nell'orologio di palazzo Chigi, perché tornino in campo le sue ambizioni e le sue ragioni sociali (Applausi dei deputati del gruppo misto-Rifondazione comunista-progressisti e del deputato Volonté).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stucchi. Ne ha facoltà.

GIACOMO STUCCHI. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, colleghi, ci troviamo oggi a discutere se concedere o meno la fiducia ad un Governo - il D'Alema bis - che rappresenta, nella sua composizione e nei suoi intendimenti, la continuazione politica di tutti i Governi del centro-sinistra (credo che importi poco, a questo punto, se scriverlo con il trattino, o meno) che l'hanno preceduto; in particolare, esso è molto simile al suo primo Governo, che ricordiamo essersi insediato con un roboante coro di promesse ma che, nella realtà, ha prodotto poco o nulla. Cito, a titolo di esempio, quattro argomenti.


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In primo luogo, non vi è stato un fatto concreto in tema di aiuti alle piccole e medie imprese; anzi, si voleva e si vuole introdurre le RSU obbligatorie anche in quelle realtà produttive. Eppure, esse sono la vera locomotiva economica del paese, in quanto vivono con forze proprie, senza l'aiuto dello Stato come fanno, invece, le grandi imprese assistite.
In secondo luogo, non si è fatto nulla in tema di allargamento reale dei poteri di ordine pubblico ai titolari della sovranità locale: mi riferisco ai sindaci, che sempre più frequentemente chiedono di poter disporre di strumenti per la gestione effettiva del proprio territorio. Vedremo se il nuovo ministro dell'interno Enzo Bianco, sindaco di Catania, sarà più sensibile dei suoi predecessori.
In terzo luogo, non si è fatto nulla per eliminare le pratiche assistenzialiste e clientelari nel Mezzogiorno. È una questione antipatica, però è vero: il suo Governo non ha fatto nulla al riguardo.
In quarto luogo, non si è fatto nulla in tema di federalismo; anzi, in questo caso, qualcosa è stato fatto: il disegno di legge Amato sulla riforma dello Stato in senso federale ma, per non voler apparire troppo duro o cattivo - lo dico tra virgolette -, preferisco stendere un velo pietoso sui suoi contenuti marcatamente centralisti, che nulla hanno a che vedere con un'ampia devoluzione di poteri e con l'efficace possibilità di autogoverno delle realtà locali. Si è imboccata una strada totalmente sbagliata, anche in questo campo. Lei, signor Presidente D'Alema, poco più di un anno fa aveva fatto a questo Parlamento una marea di promesse: non ne ha mantenuta neppure una, questa è la realtà! Il suo primo Governo ha seguito la stessa sorte dei peggiori Governi consociativi della famigerata prima Repubblica, dalla quale, tra l'altro, è meglio sottolineare che non siamo mai usciti: siamo ancora in piena prima Repubblica. Lei ha vissuto momenti di effimera gloria iniziale, dopo di che ha dovuto accettare la logica del «tirare a campare», in una coalizione in cui tutti erano, e sono, contro tutti.
Signor Presidente, lei andando al Quirinale una decina di giorni fa ha cercato, come si usa dire in «politichese», di non lasciarsi logorare: ma era troppo tardi, lei si era già logorato, è già logoro ed indipendentemente dalla composizione del suo Governo bis anche questo nasce già segnato nel suo destino, lo stesso identico destino di quello precedente. L'unica differenza, forse, sta nel fatto di aver cooptato qualche nuovo parlamentare che prima stava nelle file dell'opposizione, per rafforzare la maggioranza: e sappiamo tutti come è stata fatta questa operazione.
Non sono affermazioni generiche o non meditate, nascono dalla consapevolezza che lei in questi quattordici mesi ha tradito tutti, dai suoi alleati alle forze di opposizione che in lei avevano riposto, sia pure con tutte le cautele del caso, alcune speranze. In ultima analisi, potremmo dire che lei, tradendo tutti, cittadini compresi, ha in sostanza tradito anche se stesso: potrà far male, ma è veramente così.
Signor Presidente del Consiglio, ieri, ascoltando il suo discorso di insediamento, è apparso chiaro a tutti che per lei e per la sua maggioranza esiste ancora e solamente una questione, la questione meridionale. Noi crediamo che ciò sia profondamente sbagliato ed ingiusto: esiste infatti pure - e sottolineo «pure» - una questione settentrionale, che va affrontata seriamente, con l'istituzione di un apposito ministero (non per gli interventi straordinari, ma per gli interventi ordinari, per dare alla Padania ciò che merita, ciò che è giusto le sia dato) e con la costituzione di un parlamento padano o - se non vi piace questa definizione - di un'assemblea del nord, che affronti le reali esigenze delle comunità settentrionali, con potestà legislativa primaria esclusiva in determinate materie.
Signor Presidente, lei ieri deliberatamente non ha detto nulla a questo proposito ed è per questo che noi, altrettanto deliberatamente e coscientemente, voteremo contro il suo Governo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega forza nord per l'indipendenza della Padania).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calderisi. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente del Consiglio, da lei ci divide praticamente tutto: siamo stati e continuiamo ad essere avversari del suo Governo, a maggior ragione visto il vergognoso pasticcio che ha portato alla crisi ed alla soluzione della crisi completata con l'«alluvione» dei sottosegretari. Intendiamo però fare tutto il possibile ed anche l'impossibile pur di evitare lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate, che comporterebbero il rinvio dei referendum, sia di quello elettorale sia di quelli di riforma liberale dell'economia, dello Stato sociale e della giustizia. Intendiamo fare tutto il possibile ed anche l'impossibile, ovviamente, a condizione che la Corte costituzionale ammetta in primo luogo il referendum elettorale, cosa di cui peraltro è impossibile dubitare, dato che il referendum è lo stesso dello scorso anno e che la Cassazione ha già risolto il problema dell'immediata riproponibilità del medesimo quesito in caso di mancanza del quorum. Faremo tutto ciò, ovviamente, fino allo svolgimento dei referendum, perché i tentativi di «scippare» la consultazione popolare, in particolare attraverso il voto anticipato, saranno messi in atto fino all'ultimo momento utile.
Lei ha dichiarato che «risulterebbe un errore ed una violazione del diritto dei cittadini ad esprimersi su grandi temi che riguardano la vita democratica del paese impedire nei fatti lo svolgimento dei referendum che la Corte costituzionale dovesse ammettere». Condividiamo tale sua affermazione, mentre non condividiamo affatto il lavorio che lei ha prospettato sulla legge elettorale, lavorio che in questo Parlamento - lo sappiamo bene - porterebbe al sicuro peggioramento del «Mattarellum»: il che è tutto dire!
Senza l'abolizione della quota proporzionale e la modifica della forma di Governo - noi siamo per l'elezione diretta del capo dell'esecutivo, dotato del potere di scioglimento (riforme costituzionali da realizzare dopo e grazie al referendum) - senza il cambiamento di queste regole istituzionali, le elezioni anticipate non garantirebbero affatto un Governo stabile ed efficace di legislatura. Anche ammesso che ne scaturisca un chiaro vincitore, egli sarebbe soggetto alle regole del nostro sistema che non è parlamentare ma assembleare, dominato dal trasformismo.
L'opposizione liberale ha oggi uno strumento fondamentale di lotta politica: sono il referendum elettorale e quelli contro l'usurpazione dello Stato e dell'economia, compiuta da partiti, sindacati e magistratura organizzata. Rinunciare a quest'arma per andare al voto anticipato, dall'esito comunque incerto e dal quale, con le attuali regole, non potrebbe uscire un Governo capace di modernizzare il paese in senso liberale, è a nostro avviso scriteriato ed autolesionista. Grazie ai referendum vogliamo invece conquistare quelle regole che consentano al suo successore, signor Presidente del Consiglio, di governare in modo stabile ed efficace.
Il nostro discorso è chiaro: poiché al peggio non c'è mai fine, siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità, anche quelle più scomode ed impopolari (ma le responsabilità non le abbiamo mai rifuggite, anche se scomode ed impopolari), al fine di consentire ai cittadini di decidere su grandi scelte che possano davvero riformare e modernizzare il paese.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole De Mita, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, oggettivamente il suo Governo nasce debole: credo che lei se ne renda conto e si renda conto soprattutto che ci troviamo in presenza di un ridimensionamento del «D'Alema 1».
Questo suo Governo si accompagna ad una serie di preoccupazioni, e sono delle preoccupazioni vere, avvertite; lo dico non in termini polemici oppure per una posizione precostituita. Vi è una situazione


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pesante perché il suo Governo è espressione di una situazione pesante e quando vi è una crisi della politica e il Governo non nasce da una rivalutazione della politica ma dalla sua negazione, si determina un percorso incerto, un percorso difficile, un percorso di cui non abbiamo contezza degli approdi.
Quello che è successo in questi giorni, che non può essere passato sotto silenzio, è indicativo di una situazione difficile, di una crisi morale, e il suo Governo credo che nasca da una vicenda moralmente difficile e da una situazione etica ovviamente difficile. E quando un governo ha una situazione morale difficile non può avere l'ambizione e la forza di governare e di dire una parola di sicurezza e di tranquillità agli italiani.
Sono da parecchio tempo in quest'aula, signor Presidente del Consiglio dei ministri, e ho ascoltato tanti interventi quando si facevano i governi e si puntava il dito sul numero dei sottosegretari e dei ministri. Ricordo parole roventi nei confronti di quei governi. Ebbene, noi oggi abbiamo un numero strabiliante di sottosegretari. Questo significa che il Governo nasce attraverso i ricatti, i condizionamenti e le ipoteche e ciò ovviamente non è foriero di vicende positive.
Che cosa significano sessantasei sottosegretari? Mi auguro che le basti, signor Presidente del Consiglio dei ministri, questo numero così enorme di ministri e di sottosegretari per poter superare lo scoglio del voto di fiducia. Rimane però una situazione incredibile e quando qualche partito si segnala in questo nostro paese sulla questione morale, poi si compromette e non fa nulla per far luce su vicende anomale, difficili ed inquietanti che pesano sul Parlamento e sul paese.
Vi sono i problemi dello sviluppo, dell'economia. L'ISTAT ha fornito dei dati tranquillizzanti, che sono stati ripetuti in questi giorni dal solerte Zuliani. Forse c'è un aumento dell'occupazione ma in quale modo? Esistono il precariato, il caporalato e l'assistenzialismo viene istituzionalizzato. Queste non sono riforme di struttura ma mancate riforme che creano disagio, lacerazione sociale e civile tra i giovani.
Signor Presidente, esistono vicende pesanti anche per quanto riguarda le riforme. Il Governo dovrebbe astenersi sulla materia delle riforme, ma come si può parlare di questa fine legislatura, di questo strascico di legislatura come di un momento per fare le riforme? Signor Presidente del Consiglio dei ministri, ella sa che in questo Parlamento non si è riusciti a fare le riforme nemmeno quando lei presiedeva la Bicamerale e cioè in un momento più facile, più corale, più partecipato tra componenti di diverse estrazione. Nemmeno in quel momento siamo riusciti a fare le riforme. Come fa questo Parlamento ad approvare le riforme nell'ambito di una vicenda così difficile in cui il Governo per avere la sua maggioranza deve contare, diciamo così, un voto su un altro?
Ritengo che tutto ciò dovrebbe spingerci ad un maggiore realismo e lo dico non perché l'opposizione o questa parte dell'opposizione non raccolga il suo invito ad una collaborazione costruttiva sempre che esistano le condizioni nel paese!
Concludendo, signor Presidente del Consiglio dei ministri, con i parlamentari del CDU, con i miei amici del CDU, mi sento erede di una storia che è stata denigrata e condannata; vedendo questa pratica, però, la debbo ringraziare perché lei rivaluta questa mia storia, questa nostra storia, nei confronti del paese e delle nuove generazioni (Applausi dei deputati del gruppo misto-CDU).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Folena. Ne ha facoltà.

PIETRO FOLENA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, in questi giorni, in queste ore, ci siamo adoperati senza risparmiare alcuno sforzo, con senso di responsabilità e con determinazione perché potesse nascere questo Governo rinnovato di centrosinistra.
Non c'è dubbio che, come forse più di un anno fa quando la scelta sbagliata e a


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noi ancora incomprensibile di Rifondazione comunista aprì la crisi del Governo Prodi e determinò la nascita di un nuovo Governo in una situazione, come lei ebbe modo di dire, di eccezionalità, una parte dell'opinione pubblica del nostro paese non ha compreso le ragioni di questi avvenimenti.
Debbo dire che vi sono alcune cose incomprensibili anche per noi. È parso, in alcuni dei «passaggi» delle settimane passate, che prevalesse una questione del tutto legittima, una questione politica, quella relativa alla premiership nel 2001 sui contenuti dell'azione riformistica di Governo. Una questione importante quella della candidatura con cui il centrosinistra dovrà andare alla competizione elettorale delle elezioni politiche, ma del tutto prematura!
Nei mesi passati, noi, Valter Veltroni, il nostro partito ed anche lei - autorevolmente - abbiamo detto, e vogliamo ribadirlo, che questo tema lo affronteremo insieme, a tempo debito. Del resto, la nostra cultura politica, il nostro senso di responsabilità, il modo di essere della sinistra antepone sempre a questioni di carattere personale, pur legittime, la preoccupazione sul destino del nostro paese.
Abbiamo già dato forti contributi in questo senso in questi anni e, se sarà necessario, non mancheremo di darne altri. Nei giorni passati è parsa persino emergere - debbo dire, per la verità, non da parte dei massimi dirigenti dei Socialisti democratici italiani - qua e là un'odiosa pregiudiziale politica ed ideologica nei confronti della sinistra o della possibilità che un suo esponente possa guidare il Governo o una coalizione in una competizione elettorale.
Credo che ci dobbiamo liberare tutti dei fantasmi del passato. A quella pregiudiziale, se vi fosse, noi risponderemmo non con la boria o con il settarismo, ma cercando di riconoscere le preoccupazioni e le ragioni vere che vengono coltivate nell'animo di alcuni degli alleati che con noi hanno dato vita alla straordinaria esperienza di questi anni.
Rispetto a questo sconcerto e a questa incomprensione di una parte dell'opinione pubblica, alla confusione che in questi giorni è sembrata determinarsi, è importante la possibile conclusione positiva di questa crisi.
In primo luogo perché - e questo è un dato inoppugnabile - si tratta della più breve crisi politica della storia della Repubblica. In secondo luogo, per la qualità della compagine governativa: un ministro in meno, lo stesso numero di donne nel Governo e, direi, anche lo sforzo di affermare una continuità nella squadra dei ministri e di dare nuovo slancio in alcuni settori di grande rilievo. Infine, soprattutto il documento dei sette partiti della coalizione, vera e propria base politica, come lei ha ripetuto in aula questa mattina e, direi, possibile nuovo inizio o ripartenza - come si dice oggi - di un centrosinistra coeso e rinnovato nel paese.
In realtà, la vera cosa di cui i nostri avversari politici non si capacitano, la vera ragione che ha reso possibile questa base politica è la spinta propulsiva del nuovo riformismo italiano nato negli anni novanta. Non mi riferisco solo alla sinistra - la sinistra è una parte di questo nuovo riformismo - la vera base è il senso dell'impresa riformista che da molti anni ci vede impegnati. Non voglio tornare indietro ad analizzare cos'era l'Italia del 1992, quando Giovanni Falcone e Borsellino venivano assassinati dalla mafia, o l'Italia del 1995 quando, se non vi fosse stata la responsabilità di fare la riforma delle pensioni e se avessimo ascoltato alcune critiche all'estrema sinistra, i diritti acquisiti dei lavoratori sarebbero stati travolti. Mi riferisco, soprattutto, al 1996 quando da parte della nostra parte politica si affermò, in modo chiaro con il progetto dell'Ulivo, la consapevolezza dell'insufficienza della sinistra. La sinistra da sola non poteva e non può avviare questa grande opera di cambiamento e di modernizzazione. Vi era bisogno, e vi è bisogno di un incontro davvero di carattere strategico, altro che partito unico! Il problema è molto più importante in un


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paese come questo con i suoi antichi retaggi e pregiudizi culturali, con la dimensione del debito e dell'opera di risanamento, con i lacci, i protezionismi, le corporazioni, la divisione presente nella società.
Quest'opera di modernizzazione e di giustizia sociale, di moltiplicazione delle opportunità soprattutto per i giovani e le ragazze, che doveva essere il primo punto della nostra azione, richiedono un incontro strategico di culture riformiste diverse. Certo, ci sono state in questi anni diverse interpretazioni di quest'incontro strategico, una magari più continuista con alcune delle consuetudini della prima Repubblica e con una certa idea di sistema politico di quella prima Repubblica; altre, invece (in cui noi ci riconosciamo più pienamente), che mettevano l'accento sull'elemento maggioritario, non come distruzione di un passato, ma come necessità di raccogliere e di rimescolare culture e tendenze del nuovo riformismo italiano in un progetto che parli all'Italia del 2000 e dei prossimi anni.
Ci vuole quindi orgoglio per il lavoro che tutti insieme abbiamo fatto in questi anni, per quanto l'Italia ha cominciato a cambiare, soprattutto con il raggiungimento storico dell'obiettivo della moneta unica. Vi è, tuttavia, anche un senso d'incompiutezza. La tragedia dell'Irpinia di questi giorni ci richiama ai veri problemi strutturali; ne hanno parlato al Senato gli amici Verdi ed è un problema che avvertiamo molto anche noi. Cosa vuol dire riformare alcune delle ragioni strutturali che hanno permesso la devastazione dei fiumi, la costruzione disordinata delle città, un'idea sbagliata d'organizzazione sociale e civile? Che opera, che tempo e che stabilità politica richiede tutto ciò se vogliamo realizzare questi obiettivi? Mi riferisco ai grandi problemi di competitività del sistema italiano, la vera questione che riguarda le imprese, l'economia nazionale, tutti chiamati ad un salto di qualità, ma che interessa, nel complesso, la società italiana e le sue istituzioni.
Abbiamo poco più di un anno per concludere la legislatura e credo che in questo periodo dobbiamo essere impegnati insieme nel dare dei segnali forti. La questione prioritaria è sicuramente quella del lavoro e i dati di questi giorni ci dicono che siamo sulla strada giusta. Capisco le ragioni di propaganda dei nostri avversari e tuttavia trovo singolare che si considerino più affidabili i sondaggi commissionati a proprio uso e consumo che non i dati ufficiali dei bollettini ISTAT.
Sul lavoro occorre tuttavia una decisa accelerazione e nelle parole delle sue dichiarazioni programmatiche rese alle Camere, Presidente, noi abbiamo trovato questi impegni. In tale quadro politiche del lavoro e politiche della formazione, della cultura e dell'innovazione sono due aspetti della stessa strategia. Formazione, cultura ed innovazione sono il vero valore aggiunto su cui abbiamo cominciato a lavorare. Mai il nostro paese ha conosciuto un disegno di riforma su questi campi così vasto e dobbiamo continuare a lavorare.
La questione di fondo è l'accesso al sapere. Moltiplicare la possibilità - è una questione di diritto di uguaglianza inteso in senso moderno in questa società - che i bambini, gli adolescenti, le ragazze, i ragazzi, ma anche chi lavora possano accedere al sapere, abbiano diritto alla cultura è un fattore di libertà. Se si farà in questo paese una battaglia di libertà noi contrapporremo ad un'idea di libertà solo mercantile, che riduce anche la cultura, la scuola, l'innovazione ad una pura logica di mercato e di merce, un'idea più autentica di libertà. Quando sulle questioni scuola pubblica-scuola privata c'è un accordo nella maggioranza, quest'accordo avviene attorno alla visione comune di alimentare quella possibilità di diritto al sapere, ma in contrasto con quelle logiche tipo «buono scuola» che devasterebbero la cultura italiana e la nostra nazione, e la possibilità che i più deboli abbiano diritto all'accesso alla cultura,


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condizione questa della loro emancipazione e della loro libertà, i grandi beni immateriali.
L'altra grande questione è quella della sicurezza ed io voglio spendere una parola per ringraziare il ministro Rosa Jervolino Russo per il lavoro che ha realizzato.
Con stile personale, con forza politica, in una fase difficile, ella ha proseguito e ha sviluppato un'opera; oggi, il sindaco di una grande città del Mezzogiorno, Enzo Bianco, assume l'incarico di ministro dell'interno. Nel rinnovargli gli auguri, credo che dobbiamo impegnarci a costruire le condizioni di un nuovo patto per la sicurezza che risponda a diffusi sentimenti di insicurezza, che aumenti l'efficacia dei dispositivi di sicurezza nel territorio, ma che sia anche capace di andare più a fondo nei problemi; in qualche modo, dobbiamo creare le condizioni, con il federalismo e con una nuova politica sulle città, per aumentare la vivibilità, la tranquillità e la serenità delle ragazze e delle donne, che la sera devono poter uscire tranquillamente, dei giovani, delle famiglie, degli spazi culturali. La politica della sicurezza è, quindi, repressione del crimine, ma anche grande sfida ad una nuova idea di vivibilità urbana.
In questo quadro, avremo anche il compito di alimentare il riconoscimento ed il ringraziamento del contributo materiale e culturale che centinaia di migliaia di onesti lavoratori immigrati danno e possono dare al nostro paese, secondo un'idea di società aperta.
Cari colleghi, di fronte a noi vi è una sorta di paradosso politico. Il Governo rinnovato di centrosinistra riceverà questa sera il voto di fiducia; sicuramente, esso ha una base parlamentare in partenza più ristretta rispetto a quella del Governo precedente. Il paradosso, però, è che esso ha potenzialmente una base politica più forte; infatti, non si tratta più di un Governo che nasce in condizioni di eccezionalità, con al suo interno prospettive strategiche contraddittorie. Non mi riferisco alle posizioni espresse nel corso dell'anno da alcuni, per esempio dal senatore Cossiga, al modo in cui quest'ultimo, per mesi e per settimane, molte volte ha attaccato e bombardato il nostro partito, il suo gruppo dirigente, perfino dileggiandolo. Mi riferisco, invece, al fatto che siamo di fronte ad una crisi di sistema, ad una crisi più profonda, fino alle degenerazioni vere e proprie che, come ha riferito il giurì d'onore, si sono verificate anche nel corso di queste settimane; si sappia che a questa maggioranza e a questo partito il voto dell'onorevole Bagliani non è gradito (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
Tuttavia, siamo consapevoli che la delegittimazione dell'intero sistema politico nel paese è molto forte. La risposta sta, soprattutto, nella riforma dello Stato, nel federalismo, in un nuovo slancio delle riforme della pubblica amministrazione; ma la risposta sta anche in noi. Il documento del nuovo centrosinistra dei sette, che riconosce ragioni di equilibrio ma anche di coesione, ci mette nelle condizioni di un nuovo inizio.
Da questo punto di vista, vorrei svolgere una considerazione anche a proposito della questione della giustizia e della Commissione su Tangentopoli. Lei, signor Presidente del Consiglio, ha riferito correttamente le posizioni e le riserve che il nostro gruppo e la nostra parte politica avevano e che mantengono nei confronti dell'idea di una Commissione parlamentare, composta da parlamentari, che indaghi su parlamentari e che, soprattutto, abbia come oggetto delle proprie indagini sentenze e procedimenti giudiziari, con il rischio di sottoporre la magistratura italiana ad un controllo improprio da parte del potere legislativo.
La nostra critica a questa idea non è stata mai volta o motivata dalla volontà di negare la legittima esigenza, che non avvertono solo i compagni e colleghi socialisti democratici, di una ricostruzione parlamentare più obiettiva, dell'accertamento di cosa sia avvenuto nel campo del finanziamento illecito e della corruzione politica. A questo fine, avevamo proposto


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un comitato di saggi che potesse svolgere un'indagine e che non fosse composto da parlamentari.
Noi accogliamo l'ipotesi che qui viene avanzata, cioè quella di studiare nelle prossime settimane delle modalità attraverso le quali una Commissione ristretta, anche composta da parlamentari, non abbia come suo obiettivo le indagini della magistratura, ma quella ricostruzione storica e politica. Sia chiaro che per noi il punto era e rimane la salvaguardia e la tutela dell'indipendenza della magistratura. Badate, l'indipendenza della magistratura non vuol dire l'irresponsabilità della magistratura. Un conto sono le riforme necessarie della giustizia in atto e che dovremo anche continuare a fare (io dico soprattutto quelle volte ad affermare un nuovo principio di responsabilità), altro conto però è sottoporre l'azione del potere giudiziario nel nostro paese ad un controllo da parte del sistema politico, comunque esso avvenga. Questo noi non possiamo e non vogliamo fare!
Si faccia, quindi, si studi, si approfondiscano le forme e le modalità di un organismo ristretto, ma si sappia che da parte nostra noi lavoreremo per tutelare, per mettere al riparo da questi rischi un'indagine che deve avere un altro obiettivo e non quello di costruire le condizioni di una confusa rissa politica dalla quale dovrebbe poi scaturire, magari, una grande domanda generalizzata di amnistia. Noi siamo convinti che i processi debbono essere fatti e celebrati anche a garanzia dei singoli indagati e imputati.
L'altro tema è quello della legge elettorale: il maggioritario. Questa è la vera sfida! Io credo che oggi la gente, l'opinione pubblica (ce lo dimostrano anche i sondaggi di queste ore), chieda stabilità; chiede la possibilità di avere una corrispondenza tra il proprio voto e l'esecutivo che si forma; chiede la possibilità di non essere più condizionata da logiche estranee alla sovranità dei cittadini e quindi chiede la possibilità di una più forte legittimazione del Governo in sede di riforma elettorale e anche di riforma costituzionale. Tutto questo va visto in modo deciso con l'obiettivo di rilanciare e di affermare quello sbocco compiutamente maggioritario che in verità è rimasto in mezzo al guado. Clamorosamente, in questi giorni, è emerso un disegno politico scoperto, un disegno politico alla cui testa c'è l'onorevole Berlusconi (non gli si può negare chiarezza di esposizione, di espressione), proprio in queste ore! Un disegno politico volto ad impedire una legge elettorale compiutamente maggioritaria e volto ad impedire i referendum.
Io so che con i colleghi e con gli amici che hanno promosso il complesso dei referendum, quando andremo ai referendum, su alcuni di questi noi ci divideremo, ma so anche che oggi mettere a repentaglio il referendum, soprattutto il referendum elettorale, darebbe una spinta drammatica a un ritorno indietro, a un nuovo sistema proporzionale che oggi viene studiato e aggiustato, ma nel quale morirebbe quell'embrione di bipolarismo che noi abbiamo costruito in questi anni e che comunque nel paese è molto forte. Guai a tornare indietro! In queste ore, questo dibattito sulla legge elettorale ha dimostrato quanto sia profonda la crisi del Polo su questo punto. Ho sentito ieri sera l'onorevole Berlusconi affermare che si tratta di tecniche diverse. Non sono tecniche diverse, sono prospettive politiche radicalmente diverse! E i colleghi di Alleanza nazionale dovrebbero cominciare a preoccuparsi del fatto che i rumori, le voci, le tendenze volti a spostare e cambiare l'asse politico del nostro paese, per ricostruire un grande e indistinto contenitore nel quale si possano riconoscere alcune delle istanze più negativamente continuiste con il passato, trovino oggi nella leadership di Forza Italia un'espressione molto forte. Dico questo senza animosità, perché legittimamente i colleghi del Polo affermano che questa è una crisi in cui vi è un problema della maggioranza: è vero, non l'abbiamo negato, esso riguarda il centrosinistra e le sue prospettive. Osservo, però, che sarebbe un errore pensare che qualcuno sia al riparo: è una crisi di sistema e, nel suo ambito, se vi è una destra democratica e


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liberale che aspira ad una vera competizione bipolare europea, ebbene, credo che sul terreno di una prospettiva di compiuta riforma maggioritaria si possano costruire le condizioni di un nuovo dialogo tra avversari politici.
Quindi, colleghi - ho concluso, signor Presidente -, siamo convinti che oggi si possano mettere le basi di una situazione nuova, nella quale proseguire il dialogo con lo SDI e con il Trifoglio, cercando di allargare, se possibile, lo spazio politico della coalizione, ma sapendo che questo spazio si allargherà nel paese più che nel Parlamento, con le prossime elezioni regionali e con la sfida che la sinistra, insieme agli altri colleghi della maggioranza, sente con grande forza, in quanto volta a costruire un centrosinistra che parli in modo più pieno e più forte all'opinione pubblica.
Vi è un certo bisogno di diversità della politica, di diversità non in senso ideologico o moralistico, ma nel senso di una politica che corrisponda effettivamente al senso e al segno dell'impresa riformistica su cui siamo avviati. Questa è la ragione politica per cui convintamente abbiamo lavorato per questo sbocco ed oggi abbiamo davvero la possibilità, con il sostegno al suo Governo, signor Presidente del Consiglio, di un nuovo inizio di un centrosinistra strategico (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calzavara. Ne ha facoltà.

FABIO CALZAVARA. Signor Presidente, l'immagine e la credibilità di uno Stato e del suo Governo in un contesto internazionale si formano con la qualità delle sue istituzioni, delle sue politiche in generale, del suo livello produttivo e, non ultima, della sua politica estera. Nel mondo, sono ben note le insufficienze e le deficienze delle istituzioni e delle politiche italiane, oltre ad essere ben nota la mafia, mentre sono riconosciute le capacità produttive, di lavoro, d'impresa di cui, non a caso, la Padania vanta il primato.
Per quanto riguarda la politica estera italiana, nonostante qualche isolato e timido sforzo, essa continua ad essere debole, improvvisata, contraddittoria, senza un preciso piano programmato, che dovrebbe esservi soprattutto in politica estera. Sembra proprio che l'Italia debba essere ovunque e per qualsiasi motivo, ma sempre con scarse risorse, quasi che si debba intervenire per apparire e non per fare bene, o meglio. In primis, l'intervento in Albania continua ad essere gravemente deficitario nei risultati positivi, anzi, più soldi vengono investiti e più aiuti si portano, più la corruzione dilaga in quel paese, senza parlare dell'impressionante aumento nel nostro Stato della criminalità organizzata, albanese e non solo.
Un altro esempio di subalternità dell'Italia è il caso Ocalan, ed è smaccatamente umiliante che sia proprio questo Governo di sinistra ad avere avallato quelle scelte; così come ne è un esempio il pietoso caso del Cermis, nel quale l'eccidio provocato dai piloti americani non ha comportato i dovuti rimborsi ai parenti delle vittime da parte del Governo di Washington; per di più, vi è stato lo scambio in contemporanea con la Baraldini, scambio pagato, sembrerebbe, in parte con fondi destinati ai Comites o comunque alla politica italiana all'estero, il che la dice lunga sul potenziale di questo Governo. Il caso più grave è quello della guerra non dichiarata contro la Repubblica federale iugoslava, l'esempio più negativo di una politica approssimativa e subalterna ad altri interessi estranei all'Italia. Questa guerra, decantata come umanitaria e, vorrei ricordare, contro la nostra Costituzione, ha fatto terra bruciata del Kosovo albanese e della Serbia, con l'85 per cento di vittime civili, non militari. Il progetto iniziale di convivenza multietnica e multireligiosa che esisteva prima dell'intervento, anche se in modo negativo ed oppressivo, è fallito miseramente. L'unico risultato è stato quello di scatenare una guerra sotterranea per la ricostruzione, dimenticando vergognosamente e irresponsabilmente di avere avvelenato il Kosovo, la Serbia e il Monte


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negro di uranio impoverito - impoverito è un eufemismo - scaricato a centinaia di tonnellate con i bombardamenti. Tutto ciò senza piani di disinquinamento e di bonifica e mettendo in pericolo grave di vita popolazioni, militari, volontari e maestranze impegnati nel soccorso e nella ricostruzione.
Infine, anche i risultati nel campo delle riforme che riguardano la politica estera sono deludenti perché l'Istituto per il commercio estero ed altri enti importanti stanno ancora attendendo riforme urgenti e indifferibili. Anche per quanto riguarda la riforma dell'ONU, l'Italia ha assunto un'iniziativa lodevole, per certi versi, ma di rottura rispetto alla Comunità europea. Anche i grandi accordi di Maastricht e di Hannover, fondamentali per quanto riguarda la collocazione dell'Italia in una Europa democratica e federale, sono stati praticamente liquidati in Parlamento, in Commissione, in quattro e quattr'otto, senza un reale coinvolgimento. Inoltre, altri trattati importanti dal punto di vista della politica estera sono stati attribuiti a questo Governo di sinistra, come se i parlamentari si trovassero in quest'aula in modo passivo e subalterno all'esecutivo e ciò è inaccettabile.
Un ultimo esempio clamoroso è rappresentato dall'accordo clandestino, sottolineo clandestino, per il Parlamento e per l'opinione pubblica, del millennium round di Seattle. Fortunatamente esso è fallito, ma non è stato ultimato e ciò impone una maggiore informazione futura, una maggiore ponderazione e discussione da parte nostra, pena il delegare ancora una volta ad altri, a pochi potentati mondialisti, un futuro oscuro ricco di incognite.
Per questi motivi, la Lega forza nord per l'indipendenza della Padania non voterà la fiducia a questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega forza nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, desidero dichiarare il voto convintamente favorevole del gruppo del partito Popolare al Governo D'Alema-bis. Signor Presidente D'Alema, credo che in questi momenti avrà pensato che, tutto sommato, sarebbe stato più facile gettare la spugna, mandare tutti al diavolo e farla finita. Infatti, lei è circondato da una stampa ostile, dalle televisioni del capo dell'opposizione, che gettano fango dalla mattina alla sera, da un lottizzato TG2 ai quali, ieri sera, sui è aggiunta anche la trasmissione Porta a porta. Insomma, il contesto nel quale la vicenda attuale si svolge è prevalentemente ostile, quindi sarebbe stato più facile mandare tutti al diavolo e farla finita. Anche l'anno scorso abbiamo assistito ad una situazione analoga: gravi difficoltà, un momento di forte incomprensione nella stessa maggioranza dell'Ulivo e fatti più o meno drammatici come quelli di quest'anno.
Mi sono trovato nella sua stessa condizione, senza voler fare paragoni, da presidente della regione Basilicata, nel periodo tra il 1990 e il 1995, quando ogni consigliere regionale cambiava partito con una certa frequenza e le spinte esterne erano più o meno le stesse di questi giorni, e avvertii l'esigenza di resistere a tale tentazione. È quella che normalmente viene chiamata la cultura di Governo, il senso dello Stato.
Se lei oggi gettasse la spugna e mandasse tutti al diavolo, credo che il paese non gliene sarebbe grato: anzi, «a babbo morto», finirebbe per addossarle una gravissima responsabilità. Dunque, noi Popolari le siamo grati, come le sarà grato il paese, anche per questa resistenza personale in questa ridda di voci malevole che circondano la nascita di questo Governo.
Le siamo grati per questo senso dello Stato, per questa cultura di Governo e aderiamo al conto di garanzia che intende oggi aprire con il Parlamento e con l'Italia nel processo di transizione democratica. Versiamo i voti del partito Popolare perché siamo convinti che questo Governo servirà per la democrazia e la libertà nel nostro paese, e su questi due valori desidero dire qualcosa.


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È stata sollevata la questione della compravendita dei voti, che è stata risolta, ma ciò nonostante essa continua ad essere al centro anche degli interventi di questa mattina. Signor Presidente, quando il Presidente del Consiglio Berlusconi, acquistando il voto di un popolare, al Senato riuscì a costituire la sua maggioranza e poi lo fece entrare nel Governo, vi furono le stesse discussioni. L'anno scorso, prima del voto sul Governo Prodi, le televisioni di Berlusconi, i giornali di Berlusconi, il TG2 lottizzato della RAI e una buona parte del TG1 sollevarono la stessa canea. Quando poi andammo a votare vi fu un solo transfuga: dal centrosinistra un collega passò nel centrodestra.
Non voglio ricordare questi episodi, perché la questione morale non ha colore, così come non voglio ricordare a quelli che sollevano la questione morale che questo Parlamento da tre anni è inchiodato ed ha visto il capo dell'opposizione tenacemente presente quando abbiamo discusso sui casi di Giudice e di Previti e quando si discuterà, mi auguro, di Dell'Utri.
Non voglio sollevare tale questione come una ritorsione, perché la questione morale non ha colore, ma certo in questi giorni si pone un problema: se cioè il capo dell'opposizione possa essere il proprietario dei sistemi di informazione che in questo paese orientano e diffondono le notizie. Capisco bene che il Polo non partecipi al dibattito: non ne ha bisogno, perché esistono due Italie, una democratica in quest'aula parlamentare e un'altra, che è quella dei bollettini della Retequattro di Berlusconi, di Canale 5 di Berlusconi, di Italia Uno di Berlusconi, dei giornali di Berlusconi, dei TG2 della RAI lottizzata da Berlusconi. Il Polo non ha bisogno di partecipare al dibattito, perché, in effetti, utilizza gli strumenti di informazione per condurre il dibattito nel paese.
Signor Presidente, questa è la questione rispetto alla quale, per una malcelata timidezza, il Governo non manifesta quella forza che, invece, dovrebbe esservi rispetto a valori profondi. Questa sì è una questione morale.
Questa è la questione morale: una sostanziale incompatibilità. Se ci fossimo trovati in un qualsiasi consiglio comunale l'interesse privato in atti di ufficio sarebbe scattato immediatamente e così l'abuso d'ufficio. Noi siamo stati paralizzati, anche nel corso di questa finanziaria, perché dovevamo discutere di un emendamento che riguardava Mediaset.
Signor Presidente, un Governo di garanzia nella transizione democratica deve porre tali questioni non lasciando all'opposizione (si attacca per non difendersi, come si suol dire) l'iniziativa che poi nel paese semina zizzania e discredito. Il nostro sarà quindi un voto favorevole per un Governo di garanzia, che faccia le riforme, che avvii la ripresa economica: lo diamo in modo convinto, con coraggio e certi che il suo Governo arriverà alla fine della legislatura (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cè. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CÈ. Onorevole Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, onorevole deputati, ho sentito il suo discorso, onorevole D'Alema: non c'è nessuno slancio, nessuna ferma determinazione, nulla che comunichi al cuore e possa coinvolgere chi ascolta.
Le mancano, onorevole D'Alema, il cuore, il coraggio, l'empatia, la capacità di coinvolgere che fanno grande l'uomo politico; e tali doti sono ancora più importanti in questo momento per poter affrontare con qualche possibilità di successo la difficile crisi che attanaglia il paese. Lei, onorevole D'Alema, assomiglia sempre di più ad un burocrate, che, vittima della propria smisurata ambizione ed alterigia, tenta di autoconvincersi utilizzando lo strumento dell'autocelebrazione basata su dati artefatti della bontà della propria azione di governo e della propria insostituibilità.
Il programma che lei ci ha esposto non è condivisibile in quanto non aggredisce i


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due nodi fondamentali che inibiscono le possibilità di sviluppo del paese: il centralismo e la carenza di libertà economiche e sociali. Siamo oggi certi che lei non sarà in grado di attuare la riforma federalista e liberale in quanto ha consolidato un sistema di governo basato sul controllo del consenso ottenuto attraverso provvedimenti ed elargizioni indirizzati al Mezzogiorno, ai poteri forti ed alle corporazioni, che sono possibili solo mantenendo un forte potere centralizzato e discrezionale.
Lei, Presidente, non è più credibile. Non ha mantenuto nulla di quanto promesso in passato. Ha deluso anche chi, come noi, da lei non si aspettava grandi cose, ma almeno un cambiamento nel modo di fare politica rispetto alle peggiori esperienze del passato. Lei, sostenitore del maggioritario, si è dovuto rendere conto personalmente di quanto sia frammentata e litigiosa la maggioranza che da un sistema maggioritario, seppure spurio, è uscita. Oggi si dovrebbe essere accorto che nessuna forzatura ottenuta attraverso una legge elettorale maggioritaria può garantire la stabilità; ben altre sono le riforme di cui ha bisogno il paese.
La sensibilità da lei dichiarata verso una legittima istanza di riforma federale dello Stato è stata contraddetta da una proposta di legge all'attenzione dell'Assemblea che in molti punti peggiora addirittura la situazione attuale, introducendo un ulteriore accentramento dei poteri. La sua azione politica si è caratterizzata per il mantenimento dell'assistenzialismo clientelare a favore dei ceti parassitari e dei privilegi a favore della burocrazia. Lei ha, per l'ennesima volta, trascurato i problemi del nord, privilegiando gli investimenti improduttivi al sud, preda dei soliti imprenditori furbi e della mafia.
Le piccole e medie aziende del nord stanno morendo nella stretta della moneta unica e dei costi di produzione sempre più elevati, derivanti in particolare dall'altissima imposizione fiscale e contributiva. I tedeschi e i francesi stanno invadendoci con le loro multinazionali ed i loro prodotti e lei sembra non rendersene conto; o meglio, lei sa benissimo che questo è il prezzo che la sua coalizione ha voluto pagare per ottenere l'ingresso in Europa.
Che dire poi della presunta riduzione della pressione fiscale da lei spesso sottolineata? Si tratta di un inganno, di una promessa mai mantenuta, della quale i cittadini si rendono perfettamente conto. Prove concrete sono un'evidente diminuzione dei risparmi e della domanda interna di beni e servizi.
Il suo Governo, signor Presidente, è stato molto abile - all'opposto - a scaricare molte spese non più sostenibili da questo Stato, che non vuole tagliare l'assistenzialismo, sugli enti locali, ad esempio trasferendo a questi ultimi l'obbligo di erogazione di beni e servizi nel settore dell'assistenza sociale senza attribuire adeguati finanziamenti (ciò ha portato alla necessità di tassazioni aggiuntive non sostitutive), oppure scaricando direttamente sugli utenti buona parte dei costi della sanità o, ancora, prevedendo l'introduzione di forme di previdenza integrativa che graveranno sulle tasche dei singoli cittadini.
Nulla è stato fatto per la parità scolastica nonostante dalle sue dichiarazioni risultasse chiaro l'intento di riconoscere la funzione pubblica almeno alle scuole private senza finalità di lucro.
Nella sanità si è avuto un accentramento statalista.
Disastrosa è stata l'esperienza del suo Governo per quanto riguarda la capacità di controllare i fenomeni di criminalità: diffusa e delinquenziale è stata la programmazione dei flussi immigratori con il chiaro disegno di distruggere l'identità dei nostri popoli, unico baluardo democratico contro la plutocrazia. Questo in aderenza ad un progetto di mondializzazione che accomuna il suo Governo e molti altri Governi cosiddetti progressisti d'Europa e d'oltreoceano alle oligarchie finanziarie che condizionano pesantemente tutte le sue scelte di politica interna ed internazionale.


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Lei, Presidente D'Alema, ha indecorosamente utilizzato la crisi del Kosovo, affrontata senza coinvolgere il Parlamento, ed il caso Ocalan, gestito con ignavia inimitabile per accreditarsi agli occhi del potente Clinton e del consesso «mondialista». Ora lei viene in Parlamento e ci parla della necessità di rilanciare l'Ulivo, di trovare la terza via, dell'importanza di dialogare con le forze riformiste, quasi fossero in queste elucubrazioni nominalistiche le soluzioni ai problemi reali. Noi ci saremmo aspettati una piattaforma di più ampio respiro, basata su un programma di riforme vere e radicali; ci saremmo aspettati un tentativo coraggioso teso a raccogliere sulle sue proposte una maggiore condivisione; al contrario, lei si accontenta della striminzita maggioranza che si va delineando e che prefigura un Governo di basso profilo e a breve scadenza. Dunque, ci ha delusi nuovamente! Ci ha parlato della necessità di procedere a riforme importanti (legge elettorale, elezione diretta del Premier, federalismo); noi della Lega nord dubitiamo molto delle sue parole, specie per quanto riguarda le reali intenzioni di riformare lo Stato in senso federale.
Sulla legge elettorale siamo sempre più convinti che la direzione giusta verso la quale muoversi sia opposta a quella da lei auspicata. Il sistema maggioritario non assicura la stabilità dei Governi e addirittura aumenta la frammentazione delle forze politiche. Crediamo che un sistema proporzionale con sbarramento saprebbe meglio coniugare l'esigenza di rappresentatività con quella di ausilio alla governabilità, che dovrà però essere assicurata in primis da riforme costituzionali, quali quelle che prevedono la sfiducia costruttiva e una relazione più cogente tra voto elettorale e maggioranze parlamentari.
Anche quando lei, signor Presidente, ci tratteggia i suoi intendimenti per migliorare la competitività delle nostre aziende, abbiamo l'impressione che non voglia cambiare minimamente tipo di politica economica e sociale rispetto al passato. Anche in questo settore bisognerebbe intraprendere la via di un liberismo vero, con un forte controllo antitrust, di privatizzazioni autentiche e non fittizie o fatte a beneficio delle solite quattro famiglie, di sgravi fiscali e contributivi coraggiosi, di una vera e propria iniezione di fiducia e di libertà, di interventi infrastrutturali nel campo dell'innovazione e delle ricerca, di «sburocratizzazione» della pubblica amministrazione. Tutto ciò, caro Presidente D'Alema, non sarà possibile da realizzare finché la macchina dello Stato assistenziale e centralizzato sarà così costosa.
E ritorna nel suo discorso, signor Presidente, il tormentone della riforma previdenziale. Sappia che la Lega nord è contro qualsiasi riforma che tocchi la sicurezza sociale per i lavoratori del nord, almeno fino a quando non verranno tagliati tutti gli sprechi che caratterizzano il suo Governo. Il sistema di protezione sociale fa parte di un modello culturale e politico di stampo mitteleuropeo che la Lega nord vuole difendere a tutti i costi, per contrapporsi a quello filoatlantico da lei sponsorizzato, che vorrebbe gettare nella precarietà intere generazioni di lavoratori e pensionati. Noi crediamo che la crescita economica e la competizione, basate su un sistema di produzione di servizi efficiente, debbano essere compatibili con sistemi sociali che garantiscano ai lavoratori sanità, assistenza sociale e previdenza nei momenti di difficoltà e di debolezza esistenziale.
Onorevole D'Alema, lei non ci fornisce rassicurazioni sufficienti sulla lotta alla criminalità e sul controllo dell'immigrazione, che stanno producendo insicurezza crescente nei cittadini e situazioni di ingovernabilità di grado inaccettabile.
Per tutti questi motivi, esprimiamo una valutazione negativa sul suo Governo. Avremmo preferito che si fosse data la parola agli elettori. Anche lei, peraltro, in una dichiarazione resa ai giornalisti, aveva prefigurato tale ipotesi nel caso non avesse conseguito una maggioranza convinta e consistente. Vedo che, nonostante i numeri risicati e i contrasti interni solo apparentemente o momentaneamente appianati,


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ha cambiato idea. È una conferma del giudizio negativo che ormai ci siamo fatti di lei.
Concludo, invitandola ad evitare discorsi di etica politica che, come vede, proprio oggi le si ritorcono contro: probabilmente, infatti, saranno due o tre i voti di transfughi sospettati di aver cambiato casacca, non proprio perché abbagliati da nuove convinzioni politiche, a garantirle la sopravvivenza.
Quando si vive in condizioni di assoluta precarietà, o si ha il coraggio di soccombere, oppure conviene tenersi in serbo sermoni moralistici che potrebbero rivelarsi falsi (Applausi dei deputati del gruppo della Lega forza nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bastianoni. Ne ha facoltà.

STEFANO BASTIANONI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, noi deputati di Rinnovamento italiano riteniamo che il lavoro svolto dal Governo D'Alema debba proseguire e che gli sforzi prodotti nella prima fase del suo Governo non possano essere sacrificati. Diversamente, si rischierebbe di disperdere un'azione prodotta da tutto il centrosinistra, anche da coloro che oggi ritengono di distinguere la loro posizione rispetto alla coalizione che ha inteso sottoscrivere un impegno da qui alla fine della legislatura.
Le porte - lo ha detto il Presidente del Consiglio dei ministri - sono aperte anche a coloro che in questa fase non intendono immediatamente sostenere il Governo con un voto favorevole. Nondimeno, dovrà proseguire l'azione nella direzione della stabilizzazione dei conti pubblici e per consentire al nostro paese di recuperare la distanza che lo separa dall'Europa in termini di maggior incremento del reddito pro capite e del prodotto interno lordo. Deve proseguire l'azione di redistribuzione di ricchezza, intrapresa con la legge finanziaria, che si è mossa nella direzione di dare alle fasce sociali più deboli le parti di reddito risparmiate con un'azione intelligente e con il sacrificio degli anni trascorsi, che oggi danno i primi frutti.
Non crediamo che un tale lavoro debba essere sacrificato; intendiamo, pertanto, rinnovare la nostra fiducia al Governo D'Alema che, con rinnovato spirito di servizio, intende portare avanti un lavoro serio che persegua interessi generali.
Certamente, i motivi della polemica politica fanno parte della dialettica e sono, quindi, fisiologici; tuttavia, essi non debbono far venir meno le ragioni del rispetto delle istituzioni. Mi dispiace che non siano presenti i deputati dell'opposizione: quando si crea una distanza tra il paese e le istituzioni, non va in crisi il Governo, ma il sistema democratico! Se non sapremo recuperare insieme - maggioranza ed opposizione - tale distanza, non renderemo un buon servizio al paese che deve, invece, poter contare su certezze e su capacità di decisione. Poi, nel merito, ci potremo dividere, ma non possiamo far venir meno quel senso di appartenenza alle istituzioni e allo Stato democratico.
Con tale spirito, dunque, rinnoviamo il nostro impegno a fare la nostra parte, come abbiamo sempre fatto con lealtà, sostenendo il Governo, proponendo azioni che vadano nella direzione di migliorare i provvedimenti all'esame dell'Assemblea e confermando che il Parlamento è il luogo centrale del confronto.
Debbono quindi essere ridotte al minimo le deleghe conferite al Governo, perché è questa la sede in cui il lavoro parlamentare ha la sua naturale espressione: è opportuno quindi un confronto tra le forze politiche che conduca a trovare quelle convergenze necessarie per procedere nel cammino delle riforme. Chi non vuole cambiare, chi vuole mantenere lo status quo è prigioniero del passato; noi vogliamo guardare al futuro, perché su questa strada occorre procedere se vogliamo rinnovare il paese, modernizzare la pubblica amministrazione, dare nuove prospettive di occupazione ai giovani, riformare uno Stato sociale che era stato misurato in un altro periodo storico e che oggi quindi si è modificato e deve cogliere i segni della novità.
Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, noi saremo qui a fare il nostro


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lavoro, la nostra parte, il nostro dovere, nell'interesse di questa maggioranza, ma soprattutto nell'interesse del paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghezio. Ne ha facoltà.

MARIO BORGHEZIO. Signor Presidente, quando il primo Governo D'Alema si insediò venne pronunciata da Gianni Agnelli una frase che suonò come un viatico: «È il Governo giusto per i sacrifici». Al nord, Cipputi e Brambilla si sentirono fischiare le orecchie, perché quando in Italia si parla di sacrifici Cipputi e Brambilla sanno benissimo dove si va a parare: i sacrifici sono per loro.
In questa occasione, per fortuna, nemmeno Gianni Agnelli ha perso il suo tempo prezioso per andare al Senato a votare la fiducia al Governo D'Alema-bis. Intanto, però, il bilancio di questi sacrifici per Cipputi e Brambilla è ben visibile: l'inflazione cresce, l'occupazione certo non aumenta in maniera rilevante, sempre che aumenti; aumentano invece le tasse, ed io vorrei ricordare l'apertura, che definirei a 360 gradi, all'aumento della tassazione sulla casa, a danno di quella «categoria cenerentola» del nostro paese che è costituita dai piccoli proprietari immobiliari, spesso lavoratori dipendenti che hanno investito nel bene della prima casa le loro povere liquidazioni. Avete aperto il varco agli aumenti degli estimi catastali indiscriminati, decisi da Roma senza controllo e spesso senza possibilità effettiva di difesa per i contribuenti.
Per non parlare delle regalie alle clientele del sud e degli sprechi vergognosi per il Giubileo, sui quali finalmente penso si potrà concentrare l'occhio della Commissione per Tangentopoli, alla quale indico due bei temi: gli sprechi del Giubileo, con le consulenze a pioggia ed incontrollate e gli appalti agli amici degli amici, e l'alta velocità, soprattutto nella Campania, con quel groviglio poco trasparente di interessi fra politica, affari e cooperative... Ringrazio il commesso che mi sta portando il bicchiere d'acqua, ma preferirei l'acqua pulita del nord...

PRESIDENTE. Allora gliela porti via, visto che non gli serve.

MARIO BORGHEZIO. Lì vanno a finire i sacrifici imposti a Cipputi e a Brambilla, mentre la razza furbona di Mediobanca & company ingrassa e si arricchisce grazie al primo Governo di sinistra del paese. Siamo al teatrino di Pulcinella, ma qui si gioca con le tasche dei padani, come nel caso delle privatizzazioni false. Il Presidente D'Alema ci ha invitati a parlare di cose concrete: ci parli lui del crollo del valore dei titoli ENEL, dopo il loro collocamento a sirene spiegate! Questo, per chiamarlo con il suo nome, è il nuovo, ennesimo inganno, la nuova, ennesima tosatura del parco buoi dei risparmiatori, padani e forse anche italiani in genere.
Qui abbiamo un Governo presieduto da chi ama rivestire i panni di Robin Hood, ma fa l'esatto contrario, prestandosi, in favore della razza padrona, allo sfruttamento di chi lavora e produce in Padania, con vantaggi soltanto per un vetero capitalismo logoro, che distrugge risorse a danno del sistema delle piccole e medie imprese.
Mi pare assolutamente evidente il giudizio negativo che si deve esprimere su questo Governo, perché visto dal nord il «D'Alema-bis» non convince. In primo luogo, infatti, si presenta con un bilancio totalmente fallimentare nella lotta alla criminalità, sulla quale aveva puntato tante delle sue carte: un fiasco completo, non per nulla avete mandato a casa l'ineffabile signora Rosa Jervolino Russo! Nel sud - ci smentisca il nuovo ministro dell'interno - intere regioni sono in mano alla criminalità: l'episodio terrificante dell'assalto ai furgoni blindati in Puglia lo ha dimostrato all'opinione pubblica internazionale e non solo a quella del nostro paese. Il nord è assediato da una criminalità urbana che noi non conoscevamo. Nei nostri paesi, nelle nostre vallate la gente lasciava la porta di casa aperta ancora qualche anno fa: adesso sono arrivati albanesi, sono arrivati extracomunitari clandestini, non quelli che lavorano,


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nei confronti dei quali noi padani non abbiamo alcun atteggiamento xenofobo, ma quelli che certe leggi, certi Governi, un certo buonismo culturale agevolano. Vi sono carabinieri costretti a tenere le stazioni chiuse, a fare l'orario della mutua: 8-14; dopodiché, chi ha necessità di essere assistito si sente dire cordialmente ed educatamente di passare il giorno dopo!
Il malessere delle forze dell'ordine non è mai esploso nella maniera così chiara come in questi anni, malessere dei carabinieri e della polizia. Ho avuto incontri con il Cocer dei carabinieri, con le rappresentanze sindacali: c'è un malessere profondo non solo legato a questioni economiche. È un malessere profondo, un malessere morale degli uomini delle forze dell'ordine. Non mi interessano le alte gerarchie, i prefetti, i questori, che sono notoriamente ben arruffianati con le alte leve del potere; mi interessa il malessere di chi si trova ad affrontare quotidianamente i problemi, come quello che denuncia oggi un giornale vostro amico, il quotidiano La Stampa di Torino, che titola: «Assolto un marocchino anche senza documenti», e denuncia un vuoto legislativo che dura da mesi. Ciò costringe i poliziotti a vedere andare via, belli come il sole, clandestini «pescati» e controllati, perché vi è incertezza sull'interpretazione dell'articolo 6 della legge che avete voluto approvare voi, la n. 40 del 1998, e che la Lega naturalmente vuole abrogare. L'articolo 6 imporrebbe una qualche piccola sanzione a carico di chi, clandestino, non ha i documenti; ora - scrive La Stampa e non la Padania - la semplice dichiarazione di non possederli dal momento dell'ingresso in Italia consente loro una subitanea assoluzione. Ebbene, bastava richiamare gli uffici legislativi dei Ministeri dell'interno e della giustizia e provvedere tempestivamente, interpretando meglio il dettato di una legge che fa acqua da tutte le parti e ricorrendo alla figura giuridica dell'interpretazione autentica, lo stesso strumento di cui il Governo si è avvalso recentemente mediante un decreto-legge (uno dei tanti) per meglio individuare la figura degli ausiliari del traffico. Vi occupate degli ausiliari del traffico quando il nord è assediato dalla criminalità extracomunitaria! Complimenti! Complimenti, Governo D'Alema!
Visto dal nord, questo Governo non può essere sostenuto, perché così prodigo anche di numeri di poltrone, di ministeri, di posti di sottosegretario per il sud - famelico anche di posti, anche di poltrone - non propone nulla al nord. Arrangiatevi, sembra dire lei, signor Presidente del Consiglio, sia a Brambilla che a Cipputi. Per il Brambilla delle piccole e medie imprese solo tasse, contribuzioni, balzelli, lacci e lacciuoli di una burocrazia ignorante ed ottusa, privazione di qualunque concreto accesso al credito agevolato, riservato solo agli amici degli amici. Questo mi pare molto grave, nel momento in cui una fonte, come il sistema informativo previsionale Excelsior, su un campione di cento mila imprese ha fatto emergere che il 92 per cento dei nuovi posti di lavoro sarà creato nelle imprese con meno di 50 dipendenti. Allora, è qui che andava sostenuto l'impegno, lo sforzo del nord, che lavora e che produce; invece, anziché favorire lo sviluppo vero, voi favorite - regalo di Natale del Governo all'INPS - assegni familiari agli extracomunitari anche per i parenti all'estero. Avete superato persino il dettato della legge che giustamente poneva un ostacolo di reciprocità, perché con un decreto del Presidente della Repubblica avete voluto regalare gli assegni familiari anche ai parenti all'estero, per cui le casse dell'INPS sono chiamate a pagare gli assegni familiari per i 10-15 parenti a carico di un extracomunitario che sono nel Maghreb.
Questi sono i regali che voi avete fatto ai lavoratori del nord: cassa integrazione, licenziamenti, niente posti di lavoro per i giovani disoccupati. Il nord saluta e non ringrazia (Applausi dei deputati del gruppo della Lega forza nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.


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PIER PAOLO CENTO. Credo che il ragionamento che dobbiamo fare in un'occasione come quella odierna, al di là dell'esprimere un voto di consenso e dunque l'adesione dei Verdi al nuovo Governo D'Alema, sia quello di capire come da questa vicenda sia possibile costruire le condizioni per rafforzare un'alleanza politica e una prospettiva politica in vista delle scadenze di Governo, parlamentari ed elettorali dei prossimi mesi.
Certo, la vicenda politica dopo le elezioni europee è stata una vicenda incomprensibile per gran parte dell'opinione pubblica e credo che il centrosinistra dovrà lavorare molto per rimotivare le ragioni di un consenso che non è solo un consenso di una parte contro le destre, ma anche un consenso che deve trovare radici programmatiche, ideali di una coalizione che nello stare insieme deve valorizzare le diverse culture politiche e programmatiche che le danno vita. Sarà necessario un recupero di fiducia da parte di un elettorato fortemente demotivato che è anche e soprattutto elettorato di centrosinistra, il quale ha manifestato nelle ultime scadenze elettorali, con un'astensione crescente, una critica alla politica e al modo con cui quest'ultima è stata interpretata dal centrosinistra nel corso di questi ultimi mesi. Sulla capacità di saper allargare in termini programmatici ed ideali il consenso di questa fase politica, si gioca la sfida per il futuro.
Certo, sarà importante la scelta del Premier e sarà importante ciò che porteremo come risultato di questi anni di governo di centrosinistra a livello nazionale, ma penso che non si possano sottovalutare le ragioni della necessità di rimotivare dal punto di vista ideale e programmatico un popolo di centrosinistra che senza dubbio non comprende e a volte rimane anche attonito. È quanto è accaduto, ad esempio, dinanzi alla scelta - che credo sia stata un errore, lo voglio sommessamente dire in questa sede - di indicare tra i sottosegretari, per un posto di rilievo ed importante qual è quello di rappresentante del Ministero della difesa, il senatore Misserville. Lo dico con riferimento alla sua storia politica che non c'entra niente con il centrosinistra e che credo contribuisca a creare elementi di confusione, di non convincimento e di disaffezione verso la politica; non se ne comprendono le ragioni di carattere politico, programmatico. Del resto la storia di ognuno - giustamente - pesa e, nel caso specifico, è difficilmente conciliabile con le ragioni programmatiche, ideali, le storie delle persone, degli uomini e delle donne che compongono invece in maniera meritoria anche questo Governo rinnovato.
Noi abbiamo sempre detto - l'ha fatto bene Paissan, presidente del gruppo, durante la discussione sulle dimissioni, poi avvenute, del Presidente del Consiglio D'Alema, e l'ha fatto bene la coordinatrice Francescato - che ci interessa fortemente che da questa crisi politica incomprensibile almeno emerga una rinnovata capacità di guardare ai contenuti ambientali ed ecologisti non come ad una aggiunta o ad un paragrafo di un programma più complessivo ma ad un valore capace di «attraversare» le scelte economiche e sociali. Su questo si registra un ritardo; c'è un ritardo nelle dichiarazioni programmatiche fatte ieri al Senato dal Presidente del Consiglio. Non è importante dire che la parola «ambiente» non viene mai o quasi mai citata, quanto piuttosto il fatto che manca in tutta la visione programmatica la capacità di saper cogliere anche ciò che è successo con il fallimento del vertice del WTO; fallimento che non rappresenta solo un evento positivo a giudizio di noi Verdi, ma anche, in termini internazionali, sulle regole del mercato, sugli effetti della globalizzazione rispetto alla devastazione del territorio e della natura, sul rapporto con l'agricoltura, una cosa che non può non incidere e non guardare anche in maniera significativa alle politiche di programma e di Governo del centrosinistra in Europa e quindi anche in Italia. Credo che su questo punto vi sia un limite culturale che il centrosinistra, come coalizione, deve essere in grado di superare. Vi è la


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necessità di far sì che la questione ecologista diventi elemento di rinnovamento di un'economia basata solo sullo sviluppo quantitativo, che oggi non è in grado di rispondere alla crisi sostanziale di uno «sviluppismo» che non garantisce occupazione né qualità delle merci né qualità della vita.
Questo ritardo emerge dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio e dalla cultura politica di tutta la coalizione. Le questioni della sicurezza alimentare, dell'agricoltura pulita, di un'economia incentrata sul futuro sostenibile e sulla qualità della vita non solo di chi lavora, ma anche dei consumatori delle merci, rappresentano una grande sfida che può consentire al centrosinistra, a questa alleanza e a questo Governo la possibilità di andare oltre i confini del consenso elettorale tradizionale e di guardare ad altri settori significativi della società sia della produzione sia del consumo. Il ritardo che ancora si manifesta in termini di elaborazione culturale e programmatica è preoccupante e mi auguro che il lavoro di questi mesi del Governo D'Alema e di questa maggioranza sia in grado di recuperarlo per farne un elemento di forza e non di debolezza (Applausi dei deputati del gruppo misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rizzi. Ne ha facoltà.

CESARE RIZZI. Signor Presidente, colleghi, signor Presidente del Consiglio, ho ascoltato con attenzione il suo discorso e devo dire che diversi punti mi lasciano perplesso. Alcuni argomenti da lei trattati sono sicuramente validi, come del resto sono lodevoli le intenzioni. Purtroppo, ho l'impressione, anzi sono convinto, che rimarranno propositi fini a se stessi senza trovare una risposta concreta.
In primo luogo, lei ha accennato alla possibilità di istituire una Commissione parlamentare d'inchiesta sul finanziamento illegale della politica. Sarebbe finalmente ora - ribadiamo noi della Lega nord - di fare luce su questioni illegali che non fanno altro che creare, più che partiti, vere e proprie multinazionali con ampi poteri sottaciuti.
I gravi fatti emersi in questi giorni sulla compravendita dei deputati creano confusione, disaffezione e giusto sdegno da parte degli elettori che non si sentono più rappresentati degnamente.
Non lamentiamoci poi del crescente assenteismo alle urne: non si può pretendere fiducia dagli elettori, se si è poi i primi a tradire le loro attese schierandosi, una volta eletti, in una fazione opposta mantenendo, per giunta, la posizione in Parlamento. È sicuramente una grave mancanza di coerenza e, soprattutto, di rispetto nei confronti di chi ci ha eletto. Se poi aggiungiamo che emerge una preoccupante nonché insistente compravendita di deputati con offerte di denaro o di sicuri seggi elettorali o di altro che ben dista da ideali politici, ci accorgiamo di essere in una situazione disastrosa e veramente squallida.
Signor Presidente del Consiglio, l'intenzione del suo Governo è di trattare determinati argomenti architettando teatrini simili a quello di questi giorni. Mi riferisco naturalmente all'istituzione del giurì d'onore per il caso Bampo-Bagliani e alla sua relativa conclusione. Certamente, non ci meravigliamo più di tanto, ma così facendo non si indaga, si lavano i panni sporchi in famiglia e chi ne esce con le ossa rotte è solo qualche piccolo personaggio coinvolto in affari più grossi di lui. Sono queste grosse entità che vanno fatte emergere, che vanno indagate ed eliminate; queste entità di cui tutti presuppongono l'esistenza, elettori compresi, che nessuno, però, ha il coraggio di scovare e di combattere.
Lei, caro Presidente D'Alema, ha parlato poi di riforma federalista dello Stato, ma solo pochi giorni fa si è svolta in aula la discussione generale sul federalismo, nella quale il sottoscritto è intervenuto anche se, in verità, potevo farne a meno, visto lo scarso interessamento manifestato dall'Assemblea. In aula, signor Presidente, c'era solo la Lega.
Signor Presidente del Consiglio, sono convinto che lei passerà alla storia perché


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è un abile prestigiatore. Solo lei poteva gestire la guerra come ha fatto. È proprio vero d'altra parte che «il diavolo fa le pentole ma non i coperchi». Non più di quindici giorni fa sono stato a Bruxelles, alla NATO e il generale Clark ha fatto i complimenti all'Italia perché siamo stati i primi ad intervenire. Questo quando lei veniva in aula e dichiarava che il nostro paese, la nostra multinazionale, i nostri militari, i nostri bombardieri - tanto per farci capire - dovevano svolgere un'azione solo difensiva e non offensiva. Però, guarda caso, il generale Clark si è complimentato. Io a mia volta mi complimento con lei, perché ha gestito il conflitto, ha creato un ministro della guerra e poi lo ha scaricato. Si trattava del ministro che doveva fare la guerra.
Un'altra domanda che ho rivolto alla NATO, a Clark, riguarda gli ordigni scaricati. Non dimentichiamo infatti (mi risulta che lei sia un uomo di mare) che nel nostro paese, nel lago di Garda e nell'Adriatico ci sono ancora degli ordigni. Ho letto su dei giornali che la NATO si darà da fare, mentre il generale Clark mi ha risposto - ed io per ben due volte a Bruxelles gli ho posto la domanda - che per loro, ormai, è tutto concluso.
Fortunatamente, a me piace prendere il sole sulla spiaggia, ma non uscire in barca: mi auguro che un domani il nonno ed il nipotino che in Padania vanno a pescare sul lago di Garda non si ritrovino poi appesi su una pianta a dirsi che è scoppiato un ordigno della guerra di qualche anno fa.
Signor Presidente del Consiglio, io sono uno che parla chiaro: sinceramente di lei avevo più fiducia, perché la ritenevo una persona seria, ma purtroppo...

PRESIDENTE. Onorevole Rizzi, il passaggio è interessante, ma il suo tempo si è concluso. Veda un po' lei...

CESARE RIZZI. Solo un momento, Presidente.
Signor Presidente del Consiglio, lei passerà alla storia non solo per la guerra e questo non per ciò che ha fatto, ma per quello che le hanno fatto fare, perché lei si è venduto agli Stati Uniti. È questo che mi dispiace. Si ricordi che un domani l'unica cosa che le rimprovereranno i suoi figli è che lei non abbia fatto: le hanno fatto fare (Applausi dei deputati del gruppo della Lega forza nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crema. Ne ha facoltà.

GIOVANNI CREMA. Signor Presidente del Consiglio, i socialisti dello SDI le esprimono il loro giudizio negativo per come è stata condotta la crisi e per come è stata risolta. Dal radicale chiarimento da lei giustamente invocato è uscito un rimpasto che ha indebolito il suo Governo, nonché la componente riformista e quella socialista della sua maggioranza; quel che è più grave, ha indebolito la portata strategica del centrosinistra.
L'accelerazione che ella ha impresso alla crisi dopo il congresso del mio partito è dovuta al nostro giudizio, conseguente alla riflessione sullo stato del centrosinistra e sulle sue prospettive; giudizio critico e preoccupazioni che oggi rimangono tutte per intero, se non addirittura accresciute.
In tutta questa fase politica, onorevole D'Alema, non ci ha mosso alcuna pregiudiziale nei suoi confronti. Al compagno e amico Folena voglio ribadire che non vi è alcuna odiosa pregiudiziale verso la sinistra e la sua persona, in primo luogo perché, onorevole Folena e onorevole D'Alema, noi siamo un partito della sinistra, un partito storico della sinistra italiana, e, siccome non abbiamo formulato, in relazione a tali esigenze, una pregiudiziale nei confronti di alcuno, abbiamo solo interesse a rafforzare la componente riformista del centrosinistra per l'oggi e per il domani.
A lei, onorevole D'Alema, rivolgo un'espressione di meraviglia perché per noi socialisti rimarrà sempre un mistero il motivo per il quale a Fiuggi, al nostro congresso, non abbia svolto i ragionamenti e le proposte che, invece, ha avanzato ieri al Senato e che, in parte, ha ripreso oggi in quest'aula.


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Da tempo noi socialisti, gli amici del partito repubblicano e gli amici del Presidente Cossiga avevamo chiesto un chiarimento con lei e con le forze politiche della vecchia maggioranza su punti precisi, anzitutto la giustizia. Voglio ribadire, poiché le strumentalizzazioni su di noi sono ormai di maniera e - queste sì - insopportabili ed odiose, che quando affrontiamo il problema della giustizia lo facciamo con la cultura anglosassone dei parlamentari inglesi che si sentono difensori civici del loro popolo: abbiamo voluto dar voce a milioni di italiani che non sono insoddisfatti dell'amministrazione della giustizia penale - si parla sempre e soltanto di questa - ma dell'amministrazione della giustizia civile, fiscale, amministrativa, che è lenta, insopportabile, vetusta ed ingiusta. Abbiamo sollevato i problemi della giustizia, universalmente riconosciuti come la grande problematica del mondo di oggi.
La riforma dello Stato sociale per abbattere i privilegi, come lei ha avuto occasione di dire a Fiuggi, al nostro congresso, e come dicemmo diciassette anni fa nel corso del convegno programmatico di Rimini, intende andare incontro e risolvere il problema delle nuove ingiustizie e delle nuove povertà; tale riforma serve a trovare le risorse per il rilancio dell'occupazione e della nostra economia le cui condizioni, a nostro avviso, sono molto più preoccupanti e meno rosee di quanto ella ha avuto occasione di tratteggiare nel suo intervento svolto al Senato della Repubblica.
Abbiamo posto come urgente ed indilazionabile il tema della nascita di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della corruzione politica per una «operazione verità», per una grande operazione di chiarezza civile ed appassionata, per chiudere la transizione che ha diviso il nostro paese e che ha lasciato grandi lacerazioni nel centrosinistra, tra le forze politiche, ma, quel che più ci preme, tra gli uomini ed i militanti della sinistra italiana.
Abbiamo posto il problema dell'ammodernamento dello Stato, dell'attuazione del progetto federale; lo ponemmo e lo abbiamo posto con le stesse preoccupazioni che ella ha avuto occasione di esprimere al nostro congresso, in quest'aula quando si dimise e questa mattina: la grande preoccupazione è che con la riforma dell'elezione diretta dei presidenti delle giunte regionali e con la mancata riforma dello Stato, alla fine, si faccia crollare lo Stato stesso e si producano problemi di democrazia e di stabilità democratica nel nostro paese.
Abbiamo posto, infine, il problema della grande riforma, dell'ammodernamento dello Stato, della forma di Governo e della legge elettorale. Voglio essere franco: non tollereremo mai l'imposizione al paese ed al Parlamento di una legge elettorale di stampo maggioritario con l'unico scopo di riprodurre in via definitiva l'egemonia di una cultura politica sia nel polo di centrosinistra, sia in quello a noi avverso.
Abbiamo lavorato solo per il rilancio dell'azione del Governo e della coalizione di centrosinistra per il grande appuntamento del 2001; tuttavia, la verifica radicale, nel merito, non vi è stata.
Ho ascoltato invece, onorevole D'Alema, nelle parole da lei pronunciate al Senato, un radicale cambiamento di giudizio rispetto a ciò che la sinistra comunista ha sempre sostenuto su gran parte degli anni della storia repubblicana e del centrosinistra senza di voi. La sua proposta di istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul finanziamento illecito della politica, nelle parole che lei ha usato, è la nostra proposta, formulata da noi socialisti in questi anni e che, per le finalità, la qualità e l'alto livello morale, è contenuta esemplarmente nei progetti di legge da noi già presentati.
Nessun processo ai processi, nessun processo ai magistrati, nessuna interferenza con i processi in corso, ma chiediamo una grande operazione civile di verità al paese. Noi vogliamo misurarci con una proposta concreta e solo allora, signor Presidente, ci sarà il nostro giudizio e il nostro eventuale impegno.


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Ritengo importanti le sue dichiarazioni nei confronti delle posizioni del Trifoglio e del nostro partito e auspico che si passi in fretta dalle parole ai fatti perché ella fino ad ora ha rifiutato di aprire un confronto reale sulla riforma di questo paese di cui ha veramente bisogno e che è non più dilazionabile.
Rilanciare il centrosinistra, a nostro avviso, con questa crisi, voleva dire mettersi al lavoro sui temi che avevamo indicato e che ho ricordato all'inizio del mio intervento. Non è stato così, purtroppo, e quindi la nostra presenza in maggioranza non era più possibile.
In questa occasione, signor Presidente, mi sia consentito di esprimere ai parlamentari del Trifoglio che hanno ricoperto incarichi di Governo, in modo particolare ai deputati e ai parlamentari socialisti, al ministro Piazza, all'onorevole La Volpe e al collega Schietroma, il ringraziamento dei parlamentari socialisti e del partito per la lealtà verso il suo Governo e per il lavoro svolto nei confronti del paese.
Il nostro sarà un voto di astensione, onorevole D'Alema, un'astensione autonoma, non concordata, che consentirà al suo Governo di nascere. È un Governo che nasce debole e privo dell'autorevolezza necessaria per affrontare le riforme più importanti. Oltretutto, il Presidente del Consiglio ha scelto di non aprire - lo ripeto - il confronto con noi sulla necessità di mettere fine alla transizione con l'elezione diretta del Premier sul modello dei comuni, delle province e delle regioni. Di questo maggiormente ci dogliamo. Ci asteniamo in considerazione della nostra collocazione (per questo ci asteniamo) di partito di sinistra e nel centrosinistra e in ragione del nostro interesse per la stabilità e la governabilità del paese.
Onorevole D'Alema, il Governo sa di non avere una maggioranza precostituita; quindi, dovrà cercare il nostro consenso, sempre se lo vorrà, su ogni singolo provvedimento. In noi non c'è né rancore, né livore, ma la certezza che a sinistra non ci sia più tempo né di incertezze né di ipocrisie. Il nostro è un gruppo dirigente diverso, forse, da quello che lei ha conosciuto nei decenni scorsi. Anche per questo mi onoro di rappresentarlo in quest'aula (Applausi dei deputati dei gruppi misto Socialisti democratici italiani e misto-CDU e del deputato La Malfa - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dozzo. Ne ha facoltà.

GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, con il suo discorso programmatico pronunciato ieri al Senato mi ha deluso, purtroppo, per la seconda volta. Le spiego perché.
Un anno fa, nell'ottobre del 1998, quando lei era stato designato primo ministro, mi sono detto tra me e me: vuoi vedere che D'Alema imita sul serio questa volta il suo collega inglese Tony Blair? Mi riferisco, per esempio, a quanto ha fatto il primo ministro inglese sul vero federalismo, alla devolution che ha concesso al popolo scozzese. Poi, visto allora e sentito allora il suo discorso programmatico, mi sono detto: molto probabilmente è la prima volta, diamo un po' di tempo al primo ministro affinché segua quel percorso indicato dal suo collega inglese.
Ho visto purtroppo, con il passare del tempo e con la legge sulla riforma costituzionale da lei presentata, ancora una volta, che di federalismo non c'è proprio la minima ombra. Purtroppo, ieri, nel suo discorso programmatico, è arrivato a parlare, anziché di federalismo, di mero decentramento: lei così fa torto, signor Presidente, a personaggi come Altiero Spinelli, Cattaneo, Hamilton, che del federalismo hanno fatto la loro principale ragione di vita. Non si permetta più, quindi, di coniugare il termine federalismo, che dovrebbe corrispondere ad un patto fra i popoli, con il termine che lei ha usato, che riguarda un piccolo decentramento. È quel decentramento che si dovrebbe attuare attraverso le leggi delega da lei volute e mantenute costantemente nei cassetti ministeriali: altro che 2000, signor Presidente, come anno in cui attuare quelle leggi delega! Non è assolutamente


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vero, e lei sa meglio di me che le leggi delega non saranno attuate nemmeno nel 2000.
Il progetto federalista, che in quest'aula soltanto il gruppo della Lega forza nord per l'indipendenza della Padania porta avanti, è stato da lei ancora stravolto, come sempre! Voglio fare riferimento, inoltre, all'ordine del giorno riferito alla legge finanziaria appena approvata, con il quale si chiedeva semplicemente una nuova formulazione del testo della Costituzione per affermare che l'Italia è una Repubblica federale: non avete accettato nemmeno questo. Le chiedo, quindi, signor Presidente del Consiglio, una cortesia personale: non parli più di federalismo, perché non può farlo! Ha fatto poi riferimento alla legge elettorale, puntando ancora sul maggioritario, ben conscio dei guasti che questo sistema ha prodotto: un'ulteriore frammentazione delle forze politiche, le quali sono anche nate virtualmente all'interno dell'aula; e lei, in questo Governo, ha anche nominato ministri rappresentanti di quelle forze politiche. Si tratta, però, di forze politiche che non si sono mai scontrate nell'agone elettorale e che sono nate solamente per trasmigrazione di deputati da una posizione all'altra.
Vede, signor Presidente del Consiglio, lei si rammarica del fatto che vi sia un astensionismo così alto: ebbene, in tutti gli Stati in cui vige il sistema elettorale maggioritario, l'astensionismo è alle stelle. Ed è questa la strada che voi volete percorrere affinché la maggioranza dei cittadini, quelli che ogni giorno si alzano e vanno a produrre, sia sempre più distaccata da queste aule, dal suo Governo e da tutto ciò che lo Stato rappresenta. Lei parla dei traguardi raggiunti dal suo Governo: ebbene, l'occupazione a cui lei si riferisce è virtuale, perché gli occupati in più derivano da contratti a termine e part-time, per cui, una volta finito l'assistenzialismo, quei posti di lavoro andranno in fumo. Lei si è riferito anche alla fiducia delle imprese: ebbene, io, che provengo dal Veneto, le ricordo che ogni giorno le nostre imprese migrano verso paesi esteri, in particolare dell'est, dove impiantano le loro fabbriche, lasciando a casa gli operai. Lei, in questo anno, non ha fatto nulla per invertire il trend!
Lei ha poi richiamato il diritto alla salute, ma si è dimenticato un aspetto prioritario in questo ambito: la sicurezza alimentare. Lei, infatti, non ha citato assolutamente lo spinoso tema delle biotecnologie, si è dimenticato ancora una volta dell'agricoltura e di quanto ne consegue. Inoltre, non ha assolutamente tracciato un percorso chiaro di contrasto alla criminalità, non ha fatto cenno all'immigrazione clandestina: molto probabilmente per lei l'immigrazione clandestina è un dato di fatto a cui non ci si può sottrarre.
Signor Presidente, concludo, visto che lei sta leggendo il giornale e non la voglio disturbare...

MASSIMO D'ALEMA, Presidente del Consiglio dei ministri. Sto ascoltando.

GIANPAOLO DOZZO. Ho la netta sensazione che, quando fra un paio di mesi le forze che compongono la sua maggioranza saranno nuovamente in ebollizione - questa volta sono stati il Trifoglio e i socialisti, la prossima saranno altre forze parlamentari - per lei sarà l'ultima volta, la fine del mandato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.

ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi, rappresentanti del Governo, i Verdi hanno seguito con attenzione e soprattutto con difficoltà l'attuale fase di verifica, fin dal momento nel quale, incontrando il Presidente D'Alema, avevamo posto l'accento sui punti della discussione programmatica che ritenevamo e riteniamo importanti. Riteniamo che la mancanza di alcuni riferimenti nel discorso al Senato sia dovuta al fatto che alcuni temi erano già stati richiamati nel discorso del Presidente D'Alema in quest'aula precedentemente alle sue dimissioni.


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Mi riferisco ad alcuni temi a noi particolarmente cari; i Verdi hanno rilanciato una vera e propria riorganizzazione e rifondazione di un partito, al fine di renderlo non genericamente articolato sulla materia ambientale, ma attento ai problemi quotidiani della gente e radicato sul territorio.
Uno dei principali riguarda la sicurezza alimentare e la lotta alle manipolazioni genetiche, in sostanza tutto ciò che è venuto alla ribalta e che era disatteso solo dai disattenti. Ricordo che le manifestazioni a Seattle sono state tra le più grandi della storia recente degli Stati Uniti d'America e del mondo occidentale. Il problema fondamentale è l'attenzione che i cittadini rivolgono all'evoluzione di questo gigantesco sistema che si chiama globalizzazione. Non siamo contrari, ma auspichiamo una globalizzazione democratica, al fine di intuire meccanismi di «liberismo equo», come lo definirei provocatoriamente. Non so se i due termini possano stare insieme oppure no, ma sicuramente non può trattarsi di un liberismo selvaggio quale quello che, a livello internazionale, difende gli interessi delle multinazionali piuttosto che quelli delle comunità, dei cittadini e dei popoli. Più volte abbiamo sostenuto che, in campo agricolo, ci troviamo in una situazione nella quale il marchio della Coca cola è più tutelato del made in Italy perché tutti possono imitare e usare il nome del nostro paese, mentre ovviamente è vietato utilizzare quello delle aziende. A questo punto, credo che il protezionismo delle multinazionali debba essere combattuto, così come è stato fatto per il protezionismo degli Stati; occorre, pertanto, stabilire i diritti e le libertà.
Credo quindi necessario un riferimento esplicito - che mi auguro di ascoltare nella replica del Presidente D'Alema - alla centralità della sicurezza alimentare, dell'agricoltura, dal momento che, per la prima volta, nel disegno di legge finanziaria è stata introdotta una tassa sui pesticidi più pericolosi, sui mangimi di origine animale. Si tratta di un segno positivo dato dal Governo precedente, visto che la legge finanziaria era sotto quell'egida, così come, sempre nell'ambito di temi globali, è stata fondamentale la decisione di ridurre il debito dei paesi del terzo mondo verso il nostro paese.
Tuttavia, anche per quanto riguarda la composizione della compagine governativa, abbiamo sottolineato che riteniamo importante che il ministro per le politiche agricole e forestali proseguisse la sua opera perché con noi aveva assunto un impegno. Mi riferisco all'importanza di negare l'autorizzazione ai 240 campi di sperimentazione di sostanze geneticamente manipolate sul nostro territorio nazionale.
Non solo per la nostra parte politica, ma per l'interesse dell'intero paese, riteniamo importante che l'Italia si attesti come paese che difende la qualità e non le mostruosità che, a volte, si stanno realizzando nel settore della sperimentazione. Ciò non significa voler essere contro la tecnologia, perché esistono una tecnologia buona e applicazioni cattive, ma vi sono alcuni aspetti importanti che meritano attenzione. Il tema che ho citato è centrale perché riguarda i cittadini, la gente comune, che giustamente è preoccupata perché noi dobbiamo difendere, innanzitutto, il benessere dei nostri concittadini.
Un altro grande tema che non può non essere citato riguarda la catastrofe di Cervinara, l'ennesima, che in questi giorni ha provocato morti; ciò è dovuto all'estrema fragilità del nostro territorio che impone che il Governo consideri la messa in sicurezza del territorio nazionale come la più grande opera pubblica dei prossimi anni. È un problema importante, perché la più grande infrastruttura del nostro paese è il territorio. Credo che il discorso della sicurezza vada sviluppato in senso globale: non vi è solo la sicurezza che mira ad evitare che una persona venga scippata dai «microscippatori», quando poi magari le cade addosso una casa o le può franare addosso una collina.
Credo che si debba andare verso una sicurezza globale del cittadino, che riguardi i problemi della criminalità, della


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sicurezza alimentare e di quella ambientale. Da questo punto di vista l'impegno del Governo precedente e dei Governi di centrosinistra è stato importante e significativo nel segnalare ed identificare i comuni a rischio; ma purtroppo vi sono ancora enormi limiti, dovuti in gran parte anche alle difficoltà burocratiche, poiché vi è la questione centrale di superare il nodo delle difficoltà burocratiche, che è un problema enorme del nostro paese.
Vi sono ancora pochissime opere preventive di messa in sicurezza, come poco si sta facendo per quanto riguarda il check up del cemento armato, ben sapendo che molte opere costruite negli anni cinquanta e sessanta in cemento o in calcestruzzo possono presentare profili di difficoltà. Credo che ciò vada fatto in chiave preventiva, per non dover successivamente affrontare difficoltà e proclamare stati di emergenza.
Un'altra considerazione importante riguarda la Commissione d'inchiesta, Presidente. Io ero tra i parlamentari che, alla fine del 1992, presentarono la prima proposta di legge per la costituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta su Tangentopoli. L'Assemblea di Montecitorio approvò nel luglio del 1993 quella Commissione, ma purtroppo il Senato non la volle mai fare.
Noi dobbiamo tornare alla logica secondo la quale la Commissione deve riguardare esattamente l'illecito finanziamento ed il rapporto tra corruzione e affari, quindi, il mondo della politica e la corruzione. Credo che la Commissione debba essere di elezione parlamentare, ma composta da persone possibilmente estranee al Parlamento: a tale proposito, ritengo che gli ex presidenti della Corte costituzionale andrebbero benissimo.
Se invece la presidenza va affidata, come qualcuno sostiene, a personaggi della politica come Cossiga, allora a mio avviso è meglio indicare Emma Bonino, che almeno, insieme alla storia dei radicali, ha sempre condotto una battaglia di grande dignità: contro la partitocrazia in certi periodi, e a difesa di quelli che loro ritenevano perseguitati ingiustamente in altri periodi. Francamente a tutt'oggi non ho ancora prove dell'esistenza di questo «partito dei magistrati», mentre molte volte in questo Parlamento vi sono stati i «partiti degli inquisiti»; ciò nonostante, credo che proprio una persona come la Bonino sia al di sopra delle parti per aver condotto battaglie contro il finanziamento pubblico dei partiti, anche quello lecito, in molti casi.
Credo che l'importante sia fare presto e, soprattutto, evitare che si ipotizzi invece una Commissione parlamentare che abbia come unico compito quello di dare spettacolo di risse reciproche e di vendette, che darebbero veramente una pessima immagine.
In conclusione, dichiaro che, ovviamente, i deputati Verdi sosterranno il Governo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, noi come repubblicani e come componente del Trifoglio non avevamo particolarmente sollecitato una crisi di Governo, anche se ritenevamo che vi fossero molte materie che richiedevano una messa a punto.
Non l'avevamo particolarmente sollecitata nei mesi scorsi, al tempo del congresso del partito Popolare e in relazione alle interviste degli esponenti del gruppo dei Democratici, perché abbiamo presente il valore a cui il Presidente della Repubblica Ciampi credo abbia richiamato tutti i suoi interlocutori in questi giorni: il valore della stabilità politica, che si accompagna nella valutazione internazionale al ritrovato valore della stabilità economica. Eravamo stati espliciti nell'indicare le preoccupazioni e le critiche, ma anche prudenti per il modo in cui queste potessero tradursi in un nuovo Governo e il Presidente Cossiga aveva spesso sostenuto: «se ci sono difficoltà, rimanga il Governo precedente». Insomma, non possiamo prenderci la responsabilità di avere provocato una crisi e il suo svolgimento.
Il Presidente del Consiglio lealmente ha detto che serviva un profondo chiarimento


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e, quindi, si è aperta una discussione che francamente speravo si affrontasse con maggiore ampiezza di contenuti politici e programmatici. Questa discussione è molto breve ed è un peccato che il dibattito sulla fiducia - non le dichiarazioni di voto - sia così strozzato, perché se il Parlamento non può discutere a fondo dei problemi, non si sa poi come porli all'attenzione di un Governo che nasce.
Signor Presidente del Consiglio, noi abbiamo ad esempio una differenza di valutazione molto forte sui problemi dell'economia. Per dirla in brevissima sintesi, lei sembra ritenere che l'opera di risanamento positivamente condotta in questi anni, le riforme legislative e burocratiche che sono state fatte, siano di per sé tali da innestare quello che si può definire un circolo virtuoso, cioè un periodo di sviluppo molto forte dell'economia italiana che ci faccia riconquistare - lei ha detto ieri sera - quella distanza di sviluppo che esiste tra noi e gli altri principali paesi europei.
La mia valutazione è diversa: così come per molti anni le forze politiche principali di questo paese, tra cui quella in cui lei ha militato, hanno sottovalutato i rischi che avrebbe comportato una politica disattenta ai problemi dell'equilibrio finanziario del paese (i meccanismi dell'inflazione, della spesa pubblica corrente), e quindi hanno portato l'Italia a dover fare in tutta fretta e con conseguenze molto gravi una politica di avvicinamento ai parametri di Maastricht, così oggi le stesse forze politiche (e, mi dispiace dirlo, lei e il suo Governo) sottovalutano le conseguenze strutturali che ha la partecipazione dell'Italia all'euro, i vincoli molto pesanti che questo comporta.
Non ho mai considerato immorale il fatto che l'Italia svalutasse nel corso degli anni; le svalutazioni erano una parte delle politiche economiche o delle conseguenze degli errori di politica economica. Noi abbiamo rinunziato definitivamente, entrando nell'euro, a questo strumento di aggiustamento, ma dobbiamo trarne le conseguenze. Quelli che lei vede sono sintomi di ripresa, ma quelli che secondo me lei non vede sono i sintomi di deterioramento stabile della posizione competitiva dell'industria italiana che si stanno manifestando. Io sono stato eletto nel nord-est e so questo che cosa voglia dire per l'industria dell'abbigliamento, per esempio. Quando vediamo le imprese di quelle zone che vanno tutte in paesi come la Romania e l'Ungheria, assistiamo a cose che alla lunga sono destinate a determinare conseguenze strutturali di indebolimento dell'economia italiana.
A questi problemi e a quelli che riguardano il Mezzogiorno non credo che questo Governo...

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole La Malfa.

GIORGIO LA MALFA. Concludo con una brevissima considerazione politica, signor Presidente.
Lei, onorevole D'Alema, è stato in un certo senso costretto ad una maggioranza ristretta. Quando, immediatamente dopo la crisi, sette partiti hanno detto questa è la maggioranza di Governo, lei è stato costretto ad una maggioranza ristretta. Nel colloquio che ha avuto con noi del Trifoglio le abbiamo chiesto esplicitamente, onorevole D'Alema, quale fosse il rapporto che voleva instaurare con il Trifoglio. Le abbiamo chiesto: ma il Governo lei lo fa senza di noi? La sua risposta è stata: il Governo non lo faccio contro di voi - non ci sarebbero i numeri - ma lo faccio anche senza di voi; se vi astenete, ci basta.
Bene, le conseguenze di questa astensione, che lei avrà, sono il Governo che lei ha fatto. Pensi il paradosso: un Governo che ha meno componenti politiche ha 65 sottosegretari, tra i quali l'onorevole Misserville, alla faccia dello spirito dell'Ulivo di cui lei ha parlato! Chieda almeno le dimissioni di quello, onorevole D'Alema!
Quel Governo ha 65 sottosegretari perché è più debole e perché anche lei è più debole rispetto a quella maggioranza di sette in cui lei sa vi sono molti che pensano con desiderio alla possibilità del


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nuovo accordo. Questa crisi - ho concluso, Presidente, mi scusi - ha fatto nascere una componente politica in questa Camera, il Trifoglio. È una componente politica del centrosinistra e lei, che coglie gli aspetti politici, perché si rivolge a noi cercando di...

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, non mi metta in difficoltà.

GIORGIO LA MALFA. Noi, oggi, non possiamo andare oltre il voto di astensione nella fiducia. Ma, Presidente D'Alema, spero che questo nostro dialogo possa continuare nell'interesse del paese (Applausi dei deputati dei gruppi misto-Federalisti liberaldemocratici repubblicani e misto-Socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. Passiamo ora agli interventi a titolo personale, ai quali è riservato un tempo complessivo di quindici minuti: sono previsti quattro interventi, di quattro minuti ciascuno.
È iscritto a parlare, a titolo personale, l'onorevole Rebuffa. Ne ha facoltà.

GIORGIO REBUFFA. Nei quattro minuti, solleverò una questione al minuto. La prima riguarda il giudizio che lei ha dato sulla crisi. È stata una crisi vera, ha detto; e allora perché è stata risolta propagandisticamente, per l'obiettivo di dire che è stata la crisi più breve della Repubblica?
Non credo che si sia trattato di questo, onorevole D'Alema; credo che si sia trattato di fare di questo un Governo natalizio che ha un obiettivo forse diverso da quello dichiarato. È solo una congettura, quindi, non gliela attribuisco; la attribuisco a me stesso. L'obiettivo è quello di chiudere rapidamente questo ciclo parlamentare. Se fosse così, lei questa mattina - promettendo il referendum agli amici Calderisi e Taradash - forse li sta ingannando.
Mi chiedo, sempre sulla base di questa crisi, che cosa sarebbe successo se un suo predecessore avesse presentato una struttura di Governo come quella di oggi. Io non avrei detto nulla ma ai vecchi tempi si sarebbe invocato il manuale Cencelli, mentre oggi forse abbiamo il «manuale D'Alema». È anche questo un modo per passare alla storia!
Ho ascoltato questa mattina l'intervento dell'onorevole Folena che ha parlato di una base politica più forte. Diciamo la verità: non so se la base politica sia più forte per qualità, perché è difficile da dire, ma credo che non sia più forte per quantità, e purtroppo in una democrazia parlamentare ciò che conta sono i numeri.
La seconda questione, che lei ha posto ieri in modo forte nel suo intervento al Senato, è quella della Commissione d'inchiesta su Tangentopoli. È un'antica richiesta che si agita in questo Parlamento, in questa legislatura, non da oggi e io sono molto contento che ci siamo arrivati. Dobbiamo però essere chiari: all'inizio del mese di gennaio, quando riprenderanno i lavori parlamentari, vogliamo i testi scritti. Il diavolo, in queste cose, si annida nei dettagli ed è per questo che vogliamo vedere il testo scritto, firmato dalla maggioranza dei sette, e su quel testo scritto ci confronteremo; se sarà la vera Commissione d'inchiesta sugli illeciti finanziamenti alla politica, lo si vedrà. Credo che lei sia impegnato a questo fine, ma sappiamo che i suoi impegni si sono scontrati molto spesso con parti della sua base parlamentare e di partito molto riottose. Mi auguro che questa volta lei abbia la forza politica per combattere queste riottosità che in altre occasioni non ha avuto.
La terza questione riguarda la legge elettorale, sulla quale dobbiamo essere molto chiari. Faccio ancora una volta riferimento all'intervento dell'onorevole Folena che, provenendo da un autorevole esponente dei Democratici di sinistra, ritengo paradigmatico oltreché pesante dal punto di vista politico. E dico a me, prima che agli altri, che qui dobbiamo toglierci le illusioni che abbiamo coltivato con il maggioritario, e io le allontano con dolore! La legge elettorale alla quale penso non deve dare, in mancanza di evoluzione della prassi (risparmio la spiegazione di questa espressione perché, signor Presidente


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del Consiglio, lei sa che mi riferisco ai comportamenti pratici dei partiti politici, alla loro evoluzione, alla loro realtà), ad un partito di minoranza all'interno di una coalizione un ruolo egemone e preponderante.
Infine, le chiedo la cortesia personale di non confondere le due cose, anche perché ne abbiamo discusso tante volte: il problema della forma di Governo è collegato alla legge elettorale, ma la questione politica conseguente non verte sulla forma di Governo bensì sulla legge elettorale. Lei ricorderà una vecchia metafora che abbiamo usato insieme: in una delle versioni del Don Giovanni il convitato di pietra riesce a trascinare Don Giovanni all'inferno quando è finita la fascinazione di quest'ultimo; mi auguro che in questo caso lei abbia ancora qualche risorsa di fascinazione ma riguardo alla legge elettorale e, più specificatamente, a quel problema, nessuno è disposto a farsi soffocare né in questo lato dello schieramento politico né in quell'altro!
In conclusione, mi permetta di affrontare una questione di stile. Se fossi al suo posto, nella sua collocazione politica, lascerei stare gli appelli d'entente, come quelli che faceva il più nobile - se mi consente, ma credo che sia d'accordo - Umberto Terracini nel 1956, del tipo «eravamo insieme nella stessa casetta o nella stessa sezione»; qui si pone un problema politico, cioè, il problema storico della sinistra italiana. Io l'affronterei con più coraggio e determinazione, soprattutto dopo il fallimento di processi politici che pesano su questa vicenda, quali quello della «Cosa 2». Lei sa che a gennaio si aprirà un periodo molto difficile per la maggioranza che avrà questo svolgimento: su ogni questione, su ogni voto non sarà più come prima, bisognerà decidere volta per volta (Applausi dei deputati del gruppo misto-Rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Sgarbi e Ciapusci, iscritti a parlare a titolo personale: si intende che vi abbiano rinunziato.
È iscritta a parlare, a titolo personale, l'onorevole Malavenda. Ne ha facoltà.

MARA MALAVENDA. Grazie signor Presidente. Proprio lei, Presidente D'Alema, insieme ai suoi, ama definire modernità quel che è stato determinato in questi anni; per noi - ho avuto modo di dirlo altre volte - rappresenta solo il Medioevo. Avete approvato finanziarie in deroga alle leggi di controllo per non incappare nelle inchieste della magistratura. Svendete, dietro tangenti economiche e politiche, aziende di pubblica utilità, patrimonio immobiliare dello Stato e beni di interesse storico e artistico alla speculazione affaristica e finanziaria.
Presidente D'Alema, tagliate migliaia di posti di lavoro, le pensioni e la sanità. Finanziate la scuola privata; avete legalizzato i 350 mila miliardi annui di evasione fiscale; dimezzate le tasse ai padroni e, allo stesso tempo, le raddoppiate ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Siete il prodotto dell'intreccio tra ceto politico, alta burocrazia statale e mondo affaristico-finanziario, ufficiale e sommerso, legale e illegale. Perseguite politiche di rapina sociale, diffondendo le nuove povertà e l'aumento della disoccupazione. Rendete il lavoro un miraggio irraggiungibile per i giovani e i disoccupati. Distruggete le leggi a tutela del lavoro dipendente, conquistate con decenni di lotta operaia. Ora, rottamate i lavoratori poco più che quarantenni, in cambio di qualche manciata di assunzioni flessibili di giovani affittati, ricattati e malpagati! Avete riconsegnato a CGIL, CISL e UIL la dittatura sindacale, dopo che milioni di lavoratori e cittadini si espressero per l'abolizione del monopolio confederale con i referendum del 1995: questo è bene non dimenticarlo!
Rappresentate nei fatti un vero e proprio comitato d'affari, quello dei padroni, in un Parlamento ormai trasformato in una vera e propria associazione a delinquere contro i lavoratori e la povera gente. Rilanciate e legalizzate Tangentopoli


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facendo, addirittura, apparire Craxi un ladro di caramelle in confronto a tutto ciò.
È per questo che noi, i lavoratori e la povera gente non ci aspettiamo proprio niente di buono.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
Vorrei informarvi che sono giunte alla Presidenza da parte di colleghi, come è evidente per molte ragioni, numerose richieste di anticipare il proprio turno di voto. Ho ritenuto opportuno respingerle tutte, tranne quelle - tre o quattro - documentate con certificati medici, o altra documentazione indiscutibile, anche perché è evidente che sono molti i colleghi che, per giuste ragioni, vorrebbero votare prima. Tuttavia, ciò non è possibile anche perché se le sommassimo tutte, si finirebbe di nuovo a votare secondo il normale turno.

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