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MAURO PAISSAN. Per quanto riguarda la presenza femminile nel mondo militare o addirittura in situazioni di conflitto, va detto che vi è sempre stata, nei diversi ruoli di mogli di soldati, partigiane, crocerossine ausiliarie. Non c'è dunque ragione per la quale non debbano assumere, qualora lo desiderino, un ruolo più diretto.
elaborazione del nuovo modello di difesa e delle politiche delle Forze armate. Per esempio, la presenza delle donne nelle aree di conflitto e di crisi si è rivelata particolarmente importante per l'instaurazione di rapporti collaborativi e di fiducia con le popolazioni civili.
Nessun limite dunque nella carriera, nei compiti di combattimento e accorgimenti per garantire che alle donne sia consentito da subito l'accesso a tutti i livelli della gerarchia al fine di accelerare l'integrazione del personale maschile e femminile delle Forze armate.
Ma non c'è solo questo. Come ha detto la ministra per le pari opportunità, Laura Balbo, nella audizione tenutasi presso la Commissione difesa del Senato «va sottolineato che le donne manifestano nei confronti della carriera militare una motivazione legata ad una spinta emancipativa, all'idea di sfida connessa allo svolgimento di una professione da sempre considerata tipicamente maschile, ma anche un'aspirazione allo svolgimento di un compito di rilievo dal punto di vista storico-sociale, nella quale è presente una forte componente solidaristica. Questa motivazione va raccolta e valorizzata come fattore innovativo e potenziale riformatore della cultura e dell'ordinamento delle Forze armate.
Basta guardare alle numerose esperienze, in particolare a quelle maturate in aree di crisi, dove la competenza e la capacità femminile hanno indicato percorsi nuovi, utili anche nel processo di
Se andiamo verso un modello di difesa nel quale i ruoli di ristabilimento e mantenimento della pace connessi con il concetto di «peace keeping diventano ruoli fondamentali, è importante che si valorizzi appieno la cultura delle donne, che è cultura della relazione, capacità di muoversi, anche in un terreno di conflitto, tenendo insieme gli ambiti della sopravvivenza e quelli dell'aspirazione alla pace.
Per fare tutto questo e cioè, in una parola, fare sì che le donne possano sviluppare il potenziale innovatore nelle Forze armate, è necessario che esse non siano omologate ad un modello maschile unico ed esclusivo».
Nella prospettiva di un ruolo paritario uomo-donna, c'è anche un aspetto non secondario, che è quello della partecipazione delle donne alla gestione del bilancio della difesa e all'acquisto di armamenti che è una componente rilevante di questo bilancio, nonché del totale della spesa statale destinata all'acquisto di beni e servizi (circa due terzi del totale, secondo una stima della Corte dei conti frequentemente ricordata). Anche se soggette al controllo parlamentare, queste decisioni vengono normalmente assunte dalle gerarchie militari, dalle quali le donne sono escluse. Entrare nelle Forze armate significa dunque anche gestire denaro pubblico.
Ma perché le donne siano portatrici di valori diversi o di cambiamenti sostanziali nelle Forze armate, la loro presenza non dovrà essere numericamente marginale, come già è negli altri paesi dove le donne sono da tempo entrate nelle Forze armate. Le percentuali dei paesi NATO sono comprese tra il 4-5 e il 10 per cento. L'Italia si deve attestare sui livelli più alti.
Affinché però le donne non subiscano discriminazioni, è necessario che sia loro consentito, fin dall'inizio dell'attuazione della legge, l'accesso a tutti i gradi, qualifiche, specializzazioni ed incarichi, inclusi quelli dirigenziali.
Come abbiamo già detto non intendiamo entrare nel merito delle scelte e delle opinioni di ognuno o di ognuna rispetto alle Forze armate, né intendiamo approfondire qui la discussione sul ruolo presente e futuro delle Forze armate. Ma c'è un punto certamente importante: i fatti stanno dimostrando che, almeno agli attuali livelli di retribuzione, l'inserimento di personale volontario qualificato in vista di una graduale professionalizzazione, totale o parziale è più difficile del previsto. È uno dei temi centrali per una riforma delle Forze armate che non può essere attuata con facili aumenti di spese militari, una sorta di nuova tassa per le Forze armate, né attraverso un ampliarsi di accessi privilegiati al pubblico impiego che finirebbe per cancellare la logica dei concorsi.
In questi anni la domanda è sempre stata di gran lunga inferiore all'offerta nonostante le campagne pubblicitarie per il reclutamento. C'è sicuramente disaffezione nei confronti del servizio militare: i numeri dell'obiezione di coscienza aumentano ogni anno.
Anche le statistiche sulla disoccupazione parlano chiaro: quella femminile è maggiore di quella maschile - e in particolar modo quella giovanile: nel 1997, il 39,2 contro il 29,2 per cento. Certo è che le donne risultano in media più qualificate degli uomini, anche quelle disoccupate.
Le donne rappresentano più della metà della popolazione di questo paese e tuttavia la presenza femminile nel mondo lavorativo e politico è ancora esigua, la partecipazione delle donne alla gestione della cosa pubblica è ancora molto limitata.
Questi dati rafforzano la necessità che l'istituzione del servizio militare volontario femminile, o meglio la possibilità di accesso alle donne nella carriera militare avvenga nella pienezza dei diritti e nella totale parità. Altrimenti aggiungeremmo discriminazione a discriminazione.
Aprendo oggi la possibilità per le donne di accedere ai ruoli militari si pone il nodo di aprire alle donne anche il servizio civile, sempre su base volontaria. Ricordo che un principio di questo tipo è stato già riconosciuto esplicitamente dal disegno di legge n. 4090 su «Disposizioni temporanee per agevolare gli interventi ed i servizi di accoglienza del Grande Giubileo del 2000», che prevede che le donne possano partecipare alle attività di cui al servizio sostitutivo di leva, proprio «al fine di favorire la piena realizzazione delle pari opportunità».
Lo stesso provvedimento prevede inoltre che a tale servizio si applichino le disposizioni della legge 8 luglio 1998, n. 230 che è quella sull'obiezione di coscienza, sottolineando ancora una volta come il servizio militare e quello civile abbiano pari dignità e siano strettamente correlati.
È un tema presente nella legge sul servizio civile che noi chiediamo venga affrontato in concomitanza con la riforma delle Forze armate. La legge sul servizio civile è ferma oggi presso la Commissione difesa del Senato. Il Governo ha annunciato un disegno di legge per la riforma della leva, già discusso dal Consiglio dei ministri, che indubbiamente avrà conseguenze sull'obiezione di coscienza e sull'attuale servizio civile. È il momento di riaprire il dibattito con un iter legislativo che ponga al centro la necessità di un servizio civile volontario di ragazzi e ragazze come parte di un contributo fattivo alla comunità e come momento formativo per i giovani e le giovani delle prossime generazioni.