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PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro della difesa.
CARLO SCOGNAMIGLIO PASINI, Ministro della difesa. Signor Presidente, il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, onorevole Mattarella, ha già esposto in quest'aula in modo esauriente ed analitico le vicende che hanno portato al precipitare della gravissima crisi nell'isola di Timor, dunque non ritengo necessario né opportuno in questa sede ripercorrere quelle vicende. Riprenderò invece il filo dell'esposizione che ha fatto qui il Vicepresidente del Consiglio per sottoporre al Parlamento la prosecuzione di quegli eventi e, soprattutto, per fornire al Parlamento tutti quegli elementi di carattere operativo, militare e politico che è necessario ed opportuno il Parlamento conosca.
e di garantire protezione e assistenza umanitaria alle popolazioni timoresi abbandonate a se stesse e alla campagna di terrore, di distruzione e di morte delle milizie filoindonesiane di cui è stata vittima anche una nostra concittadina a cui va il ricordo addolorato di questo Governo.
asiatico-pacifica. Siamo intervenuti in Kosovo perché volevamo difendere valori, ma lì vi era una minaccia ad interessi diretti dell'Italia. A Timor Est non vi sono interessi dell'Italia né di altri paesi europei, tuttavia sono presenti gli stessi valori in nome dei quali siamo intervenuti in Kosovo; una chiamata fuori da parte degli europei che sono in condizioni di farlo e dell'Italia sarebbe stata un tradimento ai principi per i quali abbiamo portato nel conflitto il nostro paese a fianco degli alleati e degli altri membri della comunità internazionale nel Kosovo.
della forza prevista. Ciò che hanno trovato a Timor ci è stato e ci viene mostrato anche dai mezzi televisivi: uccisioni crudeli e terribili, scene di indescrivibile distruzione e di morte, con città e villaggi completamente abbandonati e deserti. È dell'altro giorno la notizia dell'eccidio di nove laici e religiosi della diocesi di Baucau, nella parte orientale di Timor Est, in cui ha trovato la morte anche una suora italiana, la sorella Erminia Cazzaniga.
grazie sia ai blindati di protezione, sia alla mobilità assicurata dalla componente elicotteristica ed aerea, nonché dall'assistenza medica fornita dall'unità ospedaliera.
L'operazione militare è stata dunque avviata da parte italiana nella sua interezza, ma per ora consiste nell'approntamento della forza, nel suo trasferimento nell'area di dislocazione e preparazione in Australia, in prossimità dell'area operativa di impiego. La missione vera e propria, con l'entrata in teatro delle nostre forze a Timor Est, avverrà solo nelle prossime settimane e cioè dopo, tra l'altro, che il Parlamento avrà espresso il suo indirizzo sulla partecipazione del contingente italiano alla missione.
Nel quadro della gravissima crisi in cui la situazione di Timor era precipitata, si ponevano due problemi di grande rilevanza per la comunità internazionale: un problema umanitario ed uno politico. Il problema umanitario consisteva e consiste nell'urgente e disperato bisogno di portare aiuti umanitari alla popolazione di Timor Est, possibilità che presuppone la necessità di ricreare condizioni di sicurezza nell'isola, sicurezza che le forze dell'esercito indonesiano di fatto non garantivano e non garantiscono. Dall'altro lato, il problema politico consisteva nel sostenere la credibilità delle Nazioni Unite, le quali si erano fatte garanti nei confronti dei timoresi dell'Est di uno svolgimento pacifico, regolare ed in sicurezza del referendum, del suo esito e quindi dei suoi seguiti.
In questo caso, la NATO, com'è noto, non era utilizzabile: la NATO è e deve restare, secondo le nostre intenzioni, un'organizzazione regionale. Poteva a questo punto l'Europa - e con essa l'Italia - restare in silenzio oppure chiamarsi fuori dalla necessità di formare un contingente militare?
È stato detto in qualche intervento che l'Europa della difesa e della politica di sicurezza comune non esiste, ma noi auspichiamo che esista e alcuni Governi europei si sono condotti come se questa realtà già esistesse. È stato il lavoro che abbiamo svolto in comune, in particolare con il Governo inglese e con quello francese, che ha reso possibile che l'Europa, nella parte che era in condizione e che desiderava farlo, diventasse determinante nel far pendere la bilancia del Consiglio di sicurezza a favore dell'intervento. L'Europa ha dunque svolto un ruolo estremamente rilevante in questa vicenda politica di sostegno all'ONU; l'Italia l'ha svolta con l'Europa o con quei paesi europei che si sono sentiti di poterlo fare. Credo che si tratti di una circostanza di cui gli italiani e il Parlamento italiano possano andare giustamente orgogliosi.
In effetti le Nazioni Unite in quelle circostanze rischiavano ancora una volta di perdere la propria credibilità di responsabile primario della pace, della sicurezza internazionale e di garante del rispetto dei diritti dell'uomo.
Di fronte a questa situazione ed anche alla passività del Governo indonesiano e delle sue Forze armate era del tutto evidente che l'intervento di una forza multinazionale di pace sotto l'egida dell'ONU era il solo modo per poter configurare la condizione indispensabile per tentare di riportare la sicurezza sull'isola
L'Australia, potenza regionale nell'area asiatico-pacifica, paese direttamente interessato alla stabilità e alla sicurezza della regione, si era offerta di assumere la guida di una forza multinazionale di intervento, se questa fosse stata deliberata dal Consiglio di sicurezza e ove vi fosse il consenso all'intervento del Governo indonesiano.
Nelle due settimane che sono occorse tra lo svolgimento del referendum e la risoluzione n. 1264 del Consiglio di sicurezza si è giocata una drammatica partita politica e umanitaria. Da un lato le violenze e le uccisioni indiscriminate avvenute sull'isola e l'indignazione della comunità internazionale spingevano per una rapida decisione da parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU, dall'altra vi era la resistenza del Governo indonesiano a dare il proprio assenso all'intervento di una missione militare internazionale a Timor Est e la prudenza tradizionale di alcuni membri del Consiglio di sicurezza a votare una risoluzione di intervento che toccava il principio di sovranità di uno Stato membro delle Nazioni Unite.
Mi pare del tutto ovvio e forse inutile osservare che, se la forza di intervento non fosse stata realmente multinazionale, il consenso del Governo indonesiano mai sarebbe stato ottenuto.
Si riproponeva quindi la dicotomia e il confronto tra due principi dell'ordinamento internazionale: quello della sovranità e quello dell'intervento umanitario. Un confronto che coinvolge direttamente l'ONU ed il suo ruolo futuro al quale il Segretario generale Annan, rivolgendosi alla 54a Assemblea delle Nazioni Unite lo scorso 22 settembre, ha inteso dare una prima risposta di alto profilo con l'affermazione del concetto della sicurezza umanitaria e del valore primario della protezione dei diritti umani; un concetto innovativo che definisce, delimita e restringe lo spazio di azione finora intoccabile del principio di sovranità.
In questo quadro era evidente che la resistenza del Governo indonesiano e l'atteggiamento di attesa del Consiglio di sicurezza, o di alcuni suoi membri, avrebbero potuto essere superati solo se ci fosse stata la consapevolezza di un'ampia e concreta disponibilità da parte di un significativo numero di paesi membri capaci di intervenire - e disponibili a farlo - per concorrere alla formazione della forza multinazionale di pace invocata, come ho ricordato, in particolare dall'Australia, che se ne era fatta promotrice, dal Portogallo e da altri paesi della regione.
In questo preciso contesto il Governo italiano ha avvertito l'obbligo politico, ma anche morale, di sostenere la formazione della forza multinazionale di pace per Timor Est e di dare, quindi, la propria disponibilità a prendervi parte. Lo abbiamo fatto dopo esserci consultati con i nostri alleati europei ed avere acquisito la disponibilità di alcuni di essi a partecipare, in particolare dell'Inghilterra e della Francia, ma anche del Portogallo e, successivamente, della Germania unitamente ad altri paesi alleati quali il Canada e gli Stati Uniti.
Sono convinto che le disponibilità offerte da paesi europei quali l'Italia, l'Inghilterra e la Francia - che non hanno interessi diretti di sicurezza nella regione - a contribuire alla missione con forze militari di consistenza grosso modo equivalenti, come si vedrà, sia stato un passaggio importante che ha favorito e reso più agevole - o possibile - la decisione del Governo indonesiano di accettare una forza di intervento a Timor Est e, conseguentemente, ha permesso una rapida ed unanime adozione della risoluzione n. 1264 da parte del Consiglio di sicurezza.
Come ho anticipato, ritengo che in questa vicenda il ruolo degli europei, e dell'Italia con essi, sia stato del tutto determinante. Come ho detto, l'Italia non ha interessi diretti di sicurezza nell'area
Il Governo italiano è da sempre il sostenitore del ruolo più ampio e attivo dell'Europa nella politica internazionale; un ruolo volto a promuovere la pace e la stabilità e a contestare e reprimere le violenze di massa come quelle che hanno sconvolto prima il Kosovo e ora il territorio di Timor Est.
Il fatto che l'Unione europea in quanto tale non sia capace di svolgere in pieno questo ruolo, credo ponga semmai maggiori responsabilità sui singoli paesi europei e, in particolare, su quelli di maggiore rilevanza, qual è il nostro, che hanno maggiori potenzialità di risposta, anche in una prospettiva europea, ad emergenze così drammatiche e impellenti.
La partecipazione dei contingenti europei, cioè francesi, inglesi, italiani e di altri paesi membri dell'Unione in condizioni di offrire un contributo militare significativo anche a così grande distanza è una prima pagina - come ho avuto modo di dire - dell'emergente identità europea di sicurezza e di difesa. In altri termini, con questa decisione, che mi auguro sia pienamente condivisa dal Parlamento, abbiamo anticipato quella che desideriamo fortemente essere la prossima pagina e la prossima svolta politica dell'Europa e cioè la costruzione di un'identità europea di sicurezza e di difesa.
La forza multinazionale a comando australiano sarà composta di circa 8 mila uomini; faccio presente che il territorio di Timor ha grosso modo l'estensione del Kosovo dove sono presenti 50 mila uomini, mentre a Timor sono meno di 10 mila. Qualunque contributo, dunque (a parte quello che, come ho detto, è stato decisivo, degli italiani e degli europei), è e sarà utile. Stiamo sollecitando alcuni Stati della comunità internazionale perché confluiscano a loro volta nella formazione di questo contingente.
La forza multinazionale sarà articolata su due brigate, una (di cui farà parte l'unità italiana) a guida australiana e l'altra guidata dalla Thailandia. Si tratta dei due paesi che forniscono il maggior contributo, l'Australia con 4.500 uomini e la Thailandia con oltre mille. Come è noto, il comandante della forza è il maggior generale australiano, Peter Cosgrove, il quale avrà un vice thailandese.
Ad Interfet partecipano, oltre l'Australia e la Thailandia, anche la Nuova Zelanda (con 800 uomini), la Gran Bretagna (600 uomini), la Francia (con 600 uomini, cioè il livello del nostro contingente), il Canada (anch'esso con 600 uomini), gli Stati Uniti (con 200 uomini), nonché le Filippine, Singapore e la Malesia.
Anche altri paesi - quali la Germania, il Brasile, le Isole Fiji, la Norvegia, il Pakistan e la Svezia - hanno espresso il loro intendimento a partecipare con forze di varia tipologia, in via di definizione. Come ho detto, stiamo esercitando qualche pressione su altri paesi della NATO perché vi sia anche da parte loro un contributo.
È da notare - perché riveste un significato politico particolare - anche la disponibilità della Cina a partecipare a questa azione con un contingente di protezione civile, mentre il Giappone - che non può inviare truppe all'estero - ha assicurato un contributo finanziario.
La forza multinazionale ed in particolare gli australiani - sia per la loro vicinanza geografica, sia per il loro ruolo guida - hanno iniziato già il dispiegamento sull'isola, a partire dal 20 settembre.
Ad oggi risultano schierati sull'isola oltre 4.500 uomini, cioè più della metà
La forza multinazionale ha continuato ad estendere il proprio controllo sulla capitale Dili e nei dintorni, mentre procedeva il progressivo ritiro delle forze indonesiane da Timor Est.
Lunedì scorso il grosso dell'esercito indonesiano ha lasciato Timor Est, ad eccezione di una piccola aliquota di circa 1.500 uomini, ed è avvenuto il trasferimento de facto ad Interfet della responsabilità del controllo della sicurezza nella parte orientale dell'isola.
Per quanto concerne le milizie antindipendentiste, negli ultimi giorni si sono registrate numerose circostanze di confronto ed anche di scontro. Da parte della forza multinazionale sono stati catturati diversi appartenenti alle milizie, tra cui uno dei capi, i quali sono stati consegnati alle autorità militari indonesiane.
Con la partenza della quasi totalità delle forze regolari indonesiane la situazione ha assunto contorni di grande incertezza e di rischio, in attesa di capire le intenzioni delle forze paramilitari che, secondo fonti di intelligence, si starebbero riorganizzando nella parte occidentale di Timor Est.
Le azioni condotte dalle forze del contingente australiano con largo impiego di elicotteri contro roccheforti della milizia filoindonesiana a Liquica, ad ovest di Dili ed a Com, nella parte orientale, denota come il rischio sia ancora molto elevato.
Per quanto riguarda l'Italia, il giorno 15 veniva dato l'avvio all'attuazione delle misure di pianificazione e di preparazione necessarie alla partecipazione del contingente italiano. Il giorno 16 veniva inviato in Australia, presso il comando della forza, una squadra di ricognizione di otto ufficiali per la raccolta delle informazioni indispensabili alla pianificazione della missione multinazionale e per partecipare a quella pianificazione.
Sulla base delle informazioni così acquisite è stato definito ed approntato il quadro del contributo italiano, che consiste, come è noto, in circa 600 uomini, che è basato su queste componenti: un gruppo tattico operativo di 250 uomini circa della brigata paracadutisti Folgore, inclusa un'aliquota di 50 carabinieri paracadutisti del reggimento Tuscania; un'unità navale anfibia, il San Giusto, per il trasporto degli equipaggiamenti e dei mezzi blindati per la mobilità e la protezione del nostro personale schierato sul terreno. Il San Giusto assicura anche il supporto logistico in zona di operazioni e fornisce sostegno operativo e di mobilità aerea con una componente tattica di 4 elicotteri imbarcati, componente che, nelle caratteristiche del teatro, è evidentemente particolarmente preziosa, anzi indispensabile. Sulla nave San Giusto è installata una unità ospedaliera polispecialistica, inclusa una sala chirurgica. La nave San Giusto dispone, inoltre, di adeguate capacità di trasmissione, di comando e di controllo, impegnando complessivamente circa 300 uomini.
Il nostro contributo comprende, poi, una componente aerotattica da rischierarsi in Australia con compiti di trasporto interteatro, basata su un nucleo di due G222; questo nucleo partirà dall'Italia domani. Tenuto conto del nostro rilevante contributo nei Balcani e della partecipazione ad altre missioni ONU ed internazionali, per un complesso di oltre 10 mila uomini, la scelta che abbiamo fatto per le esigenze di Timor Est è quella di un contingente di non grande dimensione - come ho detto un po' più di 600 uomini - ma di elevata qualità, ben equipaggiato, con una significativa capacità di sostegno logistico, indispensabile per la distanza di 16 mila chilometri che ci separa dal teatro, ed in grado di esprimere sul terreno una preziosa capacità operativa
È stata predisposta poi, a scopo precauzionale, una fregata della classe Maestrale, che potrebbe intervenire in un secondo tempo se ciò fosse ritenuto necessario come supporto operativo di comando e di controllo.
Il contingente è in grado di operare in piena autonomia, con una alimentazione logistica, per un periodo di circa sei mesi, la durata che ipotizziamo per la missione Interfet, a conclusione della quale si prevede il passaggio a un controllo diretto della missione da parte delle Nazioni Unite con Unamet.
La grande distanza dall'Italia e, di conseguenza, i lunghi tempi occorrenti per il rischieramento del personale ed il trasporto dei mezzi, ma anche il tempo occorrente - e non abbreviabile - per completare l'indispensabile ciclo vaccinale di circa trenta giorni contro le malattie tropicali presenti nella zona, hanno imposto l'attuazione di misure immediate per l'avvicinamento delle nostre forze verso il teatro operativo. Il giorno 21 sono partiti alla volta dell'Australia, che costituisce per l'operazione Stabilize l'area di assembramento e di sostegno della forza - esattamente come l'Italia ha fatto nel caso della crisi dei Balcani -, due C130 con una prima aliquota limitata di mezzi militari; il 22 settembre è salpata la San Giusto, che trasporta il grosso dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti di supporto, che raggiungerà l'Australia entro un mese. Prima di quella data giungerà per via aerea anche il grosso del gruppo tattico di circa 150 uomini, che si ricongiungerà al nucleo iniziale dei 50 uomini della Folgore, che sono partiti il 23 settembre via aerea alla volta di Townsville. Su richiesta del comandante australiano, ho disposto l'anticipazione della partenza del restante contingente dell'unità operativa, che raggiungerà l'Australia, quindi, ben prima della San Giusto; tuttavia, esso non potrà essere impiegato nel teatro per le ragioni di carattere sanitario precauzionale che ho già ricordato.
Oggi, dunque, mentre sto parlando, sono presenti in Australia 70 uomini, alcuni dei quali sono inseriti nello staff del comando multinazionale, un velivolo C130, con relativo equipaggio e personale tecnico di sostegno, mentre la San Giusto naviga nel mar Rosso dopo aver già attraversato il canale di Suez. Come ho già avuto modo di dire, la missione è delicata e difficile perché l'ambiente nel quale ha luogo è definibile tendenzialmente non permissivo. È per questo motivo che la missione Stabilize, in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite che autorizza anche l'uso della forza quando è necessario, si è data regole di ingaggio da definire «robuste».
Interfet non è una missione rivolta contro qualcuno; certamente non lo è contro le forze militari regolari indonesiane, il cui governo ha dato l'assenso allo spiegamento della forza multinazionale, e non lo è contro la milizia filoindonesiana, se questa cesserà le azioni di distruzione e di violenza contro la popolazione civile e non farà azioni di contrasto all'azione militare.
La forza multinazionale ha il compito di assolvere il mandato assegnatole dalle Nazioni Unite, quello cioè di riportare sicurezza e stabilità a Timor Est e di facilitare l'opera di assistenza umanitaria alla popolazione. Per questo Interfet è autorizzata ad usare la forza non solo per autodifesa, ma anche - se è necessario - per l'assolvimento del proprio compito, cioè per la protezione del personale Unamet delle Nazioni Unite, delle organizzazioni di assistenza umanitaria, della popolazione civile disarmata e, ovviamente, per la difesa dei materiali e degli equipaggiamenti sensibili della stessa forza multinazionale.
In questo quadro l'uso della forza dovrà essere sempre esercitato al livello più basso possibile, in funzione delle circostanze e in misura proporzionale alla situazione di pericolo in atto.
Vi è un altro aspetto che vorrei toccare, quello relativo alla collaborazione nel campo dei materiali di armamento con l'Indonesia (un aspetto che viene sollevato in qualche mozione). In questo settore non vi sono contratti di fornitura in corso; al momento la vendita di armi e la collaborazione militare sono sospese sia in coerenza con la legge nazionale - che non consente di autorizzare la vendita di armamenti a paesi coinvolti in situazioni di conflittualità - sia in rispetto dell'orientamento comune preso in questo senso dall'Unione europea.
Anche l'accordo di cooperazione militare, a suo tempo firmato, non è stato presentato al Parlamento per la ratifica. Anche in questo settore, quindi, il Governo si sta muovendo in modo corretto e trasparente in sintonia con la sensibilità espressa dal Parlamento.
Signor Presidente, il Governo ha dato la propria disponibilità a partecipare alla missione Interfet e si è preparato ad intervenire a Timor Est avvertendo l'esigenza di riaffermare la primaria importanza dei valori dell'uomo, della difesa dei diritti umani, dell'assistenza umanitaria e la necessità di sostenere e rafforzare il ruolo delle Nazioni Unite nel contesto internazionale.
Ci siamo anche mossi nella consapevolezza delle necessità per l'Europa domani e per gli europei oggi di svolgere un ruolo più attivo e partecipe e di assumersi le proprie responsabilità sulla scena internazionale a favore della pace e dei valori umanitari di libertà, di democrazia e di giustizia. Lo avevamo fatto in Kosovo e lo facciamo in Kosovo; lo faremo e lo stiamo facendo per Timor Est! La vita umana non ha valori diversi a seconda della località geografica cui ci si riferisce.
È sulla base di questa convinzione che chiediamo un sostegno ed un assenso pieno e forte da parte di quest'Assemblea all'intenzione del Governo e alla decisione di contribuire alla forza multinazionale Interfet, che è autorizzata dalla risoluzione n. 1264 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
È con questa convinzione che il Governo accoglie con soddisfazione le mozioni che oggi sono state poste in discussione, recependone l'indirizzo a partecipare con un nostro contingente alla missione di pace a Timor Est sotto l'egida delle Nazioni Unite, nell'ambito dei compiti e delle modalità fissate dalla risoluzione stessa.