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PRESIDENTE. Proseguiamo pertanto la discussione sulle linee generali.
CESARE PREVITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la questione delle minoranze etniche è stata da sempre quasi esclusiva dell'Europa centrale ed orientale: nell'Europa occidentale, infatti, la maggior parte dei confini di Stato, definiti per lo più da secoli, coincideva quasi esattamente con i confini nazionali. Ben diversamente si è sempre posta la questione riguardo alla parte centrale ed orientale del nostro continente. In modo particolare, tale situazione è stata per secoli caratteristica principale di uno dei più potenti Stati europei, l'impero asburgico. Anche sui territori italiani dell'impero, tale convivenza di diverse etnie fu sempre presente.
riconobbe alla regione una forma autonoma di statuto speciale, ciò sia in considerazione della presenza di popolazioni di lingua diversa, sia in riferimento alla peculiarità di Trieste che il governo astro-ungarico - con una brillante intuizione del ministro del commercio, il barone Bruch - trasformò in un importantissimo snodo commerciale sviluppandone il porto al fine di creare uno sbocco sul Mediterraneo dall'Europa centrale, che con ciò veniva sottratta alla dipendenza del Danubio. Tutto ciò ha fatto di Trieste effettivamente la più europea delle città italiane!
le motivazioni che oggi alcuni della sinistra espongono a sostegno che sembrano, invece, voler riaprire ferite da poco rimarginate e voler approfondire nuovamente il solco ancora latente di una non completa pacificazione storica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armaroli. Ne ha facoltà.
PAOLO ARMAROLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, prima di entrare in medias res mi sia consentita una premessa di carattere procedurale. Come i colleghi sanno, la scorsa settimana al Senato molte voci, anche autorevoli, della maggioranza si sono scagliate contro l'opposizione perché - è stato detto - le ritarderebbero l'iter legislativo. Molto opportunamente a queste critiche della maggioranza ha risposto il presidente dei senatori di alleanza nazionale Giulio Maceratini, ricordando un grande poeta Ezra Pound il quale diceva che coloro che non sanno difendere le loro idee o valgono poco loro o valgono poco le loro idee. Intendo dire che i provvedimenti della maggioranza sono a carico innanzitutto della maggioranza medesima.
nel Friuli-Venezia Giulia e ricordo che siamo giunti alla discussione in aula senza che la Commissione affari costituzionali potesse esaminare il testo con un minimo di attenzione e tutto questo provoca disagio. Infatti, arriviamo in aula senza probabilmente avere le idee chiare, tanto più che in Commissione si è svolta una sorta di pantomima, perché il Governo e la maggioranza tenevano levata in avanti la mano destra mentre con la sinistra nascondevano il coltello. Dico questo perché, mentre un po' tutti i deputati della Commissione e della maggioranza si dichiaravano disponibili al dialogo con l'opposizione, in realtà, sia il Governo sia esponenti della maggioranza nella Conferenza dei presidenti di gruppo avevano già chiesto che l'esame del provvedimento fosse calendarizzato per l'Assemblea. Adesso, quindi, ci troviamo in aula in una condizione di disagio, perché la Commissione non ha svolto quell'istruttoria che pure il regolamento, nelle sue novazioni, prevede.
del Governo - che la Repubblica italiana approvi, nel corso di questa legislatura, la legge di tutela globale della minoranza slovena, la quale da decenni attende l'adempimento degli impegni assunti dall'Italia con il trattato di Osimo. Ma come si permettono di auspicare - e l'auspicio non è tale - alcunché dal Parlamento italiano?
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.
CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, so che a questa proposta di legge sono stati presentati più di mille emendamenti. Noi del centro cristiano democratico ne abbiamo presentato uno solo, ma che ritengo di grande rilevanza.
relazioni che ci sono state fin dal tempo dell'impero austro-ungarico tra gli italiani, gli sloveni e i croati, con le assonanze, le aspirazioni comuni e poi le divisioni, le tragedie del fascismo, la guerra e quella che è stata una prova generale di pulizia etnica, dal 1943 al 1945. Ho letto recentemente un libro di Gaetano La Perna, documentatissimo, in cui si racconta - per la verità mi era sfuggito - come tutte le brigate garibaldine di ispirazione comunista che operavano nel 1943-1945 al di là del confine subirono una sorta di annientamento da parte degli slavi, a causa di quello che allora era un sentimento nazionalistico.
i piani di programmazione economica, sociale e urbanistica e la loro attuazione devono tendere alla salvaguardia delle caratteristiche etniche dei territori stessi. A tal fine, negli organi competenti deve essere garantita un'adeguata rappresentanza della minoranza slovena».
l'Europa unita), debbano essere assunte magari andando a tirare per la giacca l'uno o l'altro dei componenti il comitato, per arrivare ad una maggioranza, più o meno risicata, per cui a seconda di come si orienta uno degli eletti si decide il futuro di città importanti come quelle di cui discutiamo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caveri. Ne ha facoltà.
LUCIANO CAVERI. Signor Presidente, come lei sa, ho solo tre minuti di tempo a disposizione, pertanto la prego di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di alcune considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente.
LUCIANO CAVERI. Signor Presidente, cosa c'entra un valdostano con gli sloveni? C'entra, perché fallite tutte le Internazionali, se ce n'è una che funziona: è quella delle piccole nazionalità d'Europa, che fra loro hanno da tempo un dialogo e mantengono contatti, a dimostrazione che sotto le ceneri non cova un pericoloso micronazionalismo, ma semmai esiste una logica federalista che le accomuna. È la ragione per la quale il movimento politico cui appartengo, l'Union valdotaine, mantiene da tempo un rapporto molto stretto con l'Unione slovena, in lingua slovena Slovenska Skupnost. Naturalmente ci ritroviamo nelle parole pronunciate dal Papa proprio ieri in Slovenia. Egli ha ricordato come nell'Europa di domani vi dovrà essere una piena comprensione per tutte le nazionalità, ma ciò potrà avvenire solo in una logica di pace, che naturalmente condividiamo. Peraltro, le nostre minoranze sono il trait d'union naturale, perché la situazione di quelle zone di frontiera possa essere sdrammatizzata dall'integrazione europea, anche attraverso la nostra presenza come ponte culturale fra differenti realtà.
delle minoranze linguistiche in qualcosa che appartiene alla destra o alla sinistra, o di quest'ultima contro la prima e viceversa. Ebbene, credo si tratti di un'impostazione sbagliata. In questi mesi in Europa abbiamo seguito vicende drammatiche, riguardanti i curdi, i kosovari e attualmente, fuori dall'Europa, di Timor est; credo che il diritto internazionale debba tutelare in modo ancora più forte le minoranze linguistiche per gli elementi di ricchezza che esse rappresentano per tutta l'umanità. Talvolta ci commuoviamo, giustamente, per gli indios della foresta amazzonica che rischiano di scomparire e non vorremmo consentire di parlare la propria lingua a coloro che parlano lingue diverse, i quali, invece, arricchiscono il nostro modo di essere in Italia. Ciò avviene secondo una logica presente in tutto il paese dal nord al sud.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gasparri. Ne ha facoltà.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, il gruppo di alleanza nazionale invita tutta l'Assemblea ad un'attenta riflessione sul provvedimento in esame. Prima qualcuno minimizzava la questione, portando esempi sulle minoranze di altre parti del pianeta di cui ci si occuperebbe - sicuramente alcune sacche del mondo politico per snobismo si occupano degli argomenti più strani - mentre noi saremmo qui a vessare minoranze linguistiche che risiedono nel nostro paese.
e tutta una serie di cose reali, e non soltanto teoriche, che esistono e che nessuno - tanto meno noi - ritiene debbano essere messe in discussione.
nostro territorio una vita ampiamente integrata a tutti i livelli. Tra l'altro in questo modo si creerebbero situazioni di ingiustizia.
colleghi: quella del rispetto sostanziale della lingua, della cultura, delle biblioteche, dei centri culturali e delle appartenenze etniche, a differenza di quello che i signori che parlano la stessa lingua di questa minoranza fanno nei propri paesi nei confronti dei cittadini di lingua italiana.
In caso contrario questa legge, se verrà approvata, costituirà un altro capitolo delle cose che dovremo rimettere in piedi quando ci sarà - ci auguriamo - un'alternanza di Governo: certamente, in quelle zone sarà ben difficile, all'insegna del bilinguismo forzoso, che alcuni settori politici abbiano il consenso di chi il bilinguismo non lo vuole e, semmai, vorrebbe veder riconosciuti diritti ed identità.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Nardini. Ne ha facoltà.
MARIA CELESTE NARDINI. Signor Presidente, per noi è invece importante che questa legge venga approvata al più presto. Essa detta norme a tutela della minoranza slovena della regione Friuli-Venezia Giulia e si ispira, evidentemente, ai principi della Carta europea, dando ad essa seguito. Essa è sicuramente significativa in questa fase di fine secolo in cui sono stati grandi i cambiamenti, per tante ragioni. Mi riferisco soprattutto ai cambiamenti geopolitici. Sono due, a nostro parere, gli elementi di più grande rilievo. Uno è rappresentato dalla NATO e mi sarebbe piaciuto sentire il collega Armaroli dire della NATO la stessa cosa che ha affermato a proposito del trattato di Osimo: egli ha detto che non esiste più la Jugoslavia e che, quindi, non ha più ragione di essere il trattato. Mi sarebbe allora piaciuto sapere cosa pensi di questo fatto: non esiste più il patto di Varsavia, ma noi continuiamo a mantenere viva la NATO. La NATO con il suo allargamento è un elemento di rilievo, non estraneo a questa discussione; con la recente guerra, collocandosi nella zona danubiano-balcanica, si è posta e si pone oggi come garante della stabilità degli assetti politici e sociali, ma anche come tutore dell'espansione di quel capitale finanziario e dei suoi interessi (penso al corridoio 5, in questo caso, ma anche al corridoio 8).
di tipo nazionalistico, frammentazioni in etnie. Sono due fondamentali elementi che non hanno consentito, dopo la caduta del muro, la nascita di un nuovo ordine, se non quello voluto dagli Stati Uniti d'America.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Previti. Ne ha facoltà.
Per ciò che attiene alla zona del Friuli-Venezia Giulia, la convivenza delle diverse etnie italiana e slovena fu resa particolarmente difficile dalla politica asburgica: essendo infatti considerata Trieste come una zona oggetto dell'irredentismo italiano, la dinastia asburgica protesse sempre in modo evidente la minoranza slovena, così acuendo un conflitto che già era latente nelle condizioni di vita ed ambientali delle due etnie, visto che gli sloveni costituivano la base contadina della popolazione, prevalentemente con insediamenti suburbani, mentre gli italiani erano per lo più rappresentanti dello Stato urbano. A ciò, comunque, si aggiungeva una predominanza quantitativa evidente della popolazione italiana, che nei censimenti effettuati dallo Stato asburgico nel 1880 e nel 1910 era quantificata a Trieste in 89 mila e 119 mila abitanti, a fronte dei 26 mila e 50 mila sloveni. Dopo la fine della prima guerra mondiale ed il definitivo crollo dell'impero astro-ungarico, con il trattato stabilito dalla conferenza di Parigi il Trentino - sino al passo del Brennero - e Trieste vennero assegnati all'Italia.
La questione adriatica e la presenza di diverse etnie nel Friuli e nella Venezia Giulia si ripresentò con drammaticità al termine della seconda guerra mondiale quando le frontiere italiane furono drasticamente ridotte nel tentativo, perpetrato dagli alleati, di rispecchiare fedelmente le frontiere etniche. La questione delle frontiere orientali dell'Italia fu una delle più drammatiche affrontate dal governo alleato, in quanto la Jugoslavia ed il generale Tito, spalleggiato dall'Unione sovietica, reclamarono Trieste che era abitata da popolazioni in fortissima percentuale italiana. Il trattato di Danzica del 1949 fece di Trieste un territorio libero; sistemazione di fatto inoperante in quanto venne sabotata sia dal Governo italiano che da quello Jugoslavo. Solo in seguito alla rottura di Tito con Stalin, le potenze occidentali, con atto unilaterale del 1954, diedero la città di Trieste all'Italia ed alla Jugoslavia il resto del territorio libero.
Le peculiarità della regione friulana e della Venezia Giulia furono riconosciute dallo Stato italiano che, come per le altre regioni di confine in cui esistevano gruppi etnici e linguistici diversi da quello italiano,
Rispetto alle popolazioni di lingua slovena, lo Stato italiano ha riconosciuto loro una serie di diritti regolamentati da leggi di tutela della minoranza linguistica, con il riconoscimento di associazioni culturali e di categoria, teatri, istituzioni per lo spettacolo, gruppi sportivi. Sono stati inoltre assegnati alla popolazione di lingua slovena una serie di edifici per manifestazioni culturali e previsti dei programmi televisivi della RAI in lingua slovena, nonché scuole statali con lingua ed insegnamento sloveno. Sottolineo altresì che lo Stato eroga un finanziamento triennale di 24 miliardi di lire a favore della popolazione di lingua slovena.
Ricordiamo che oggi particolari diritti e garanzie sono riconosciuti dallo Stato italiano ad alcune minoranze linguistiche, come quelle di lingua tedesca in Trentino-Alto Adige e di lingua francese in Valle d'Aosta. La particolarità di queste situazioni consiste nell'essere zone di effettivo bilinguismo con altissime percentuali di popolazioni di lingua non italiana; basti considerare che al termine della prima guerra mondiale, con l'annessione all'Italia del sud Tirolo, circa 250 mila austriaci di lingua tedesca vennero inclusi nei territori italiani.
Relativamente alle altre minoranze linguistiche, il Parlamento italiano ha già ratificato la convenzione quadro europea sulla protezione delle minoranze linguistiche nazionali ed è in fase di approvazione la legge quadro sulla protezione delle minoranze linguistiche e storiche presenti nel nostro paese.
È evidente che per la popolazione di lingua slovena che raggiunge - come ricordato, secondo l'ultimo censimento effettuato - una consistenza nel comune di Trieste pari al 5,7 per cento e nel comune di Gorizia all'8,2 per cento, non dovrebbe essere ipotizzabile pensare a forme di tutela quali quelle previste per le popolazioni di lingua tedesca dell'Alto Adige o francese della Valle d'Aosta. D'altronde, è opportuno sottolineare che in alcune zone di questo territorio, dove la popolazione di lingua slovena è pari al 25 per cento, sono da sempre applicate norme che prevedono il bilinguismo integrale.
Questa legge appare pertanto in larga parte una fuga in avanti; infatti, le disposizioni previste dalla legge quadro e l'applicazione della convenzione europea del 1997 dovrebbero costituire un quadro normativo di riferimento sicuramente efficace. Purtroppo, il dibattito su questa proposta di legge risulta profondamente avvelenato da comportamenti esterni ed interni al Parlamento che hanno contribuito a distogliere l'attenzione dall'effettiva materia in oggetto.
È difficile mantenere un atteggiamento obiettivo quando a molti parlamentari l'approvazione di questa legge appare, più che una decisione autonoma del Parlamento italiano, una forma di doveroso ossequio al diktat giunto dal Parlamento di Lubiana.
È profondamente sbagliato impostare un dibattito sui diritti da riconoscere ai nostri concittadini se ancora - come purtroppo si è ascoltato in quest'aula - ciò viene indicato da alcuni colleghi della sinistra come un debito dello Stato italiano che risale al dopoguerra e come una bandiera della sinistra che vuole ottenere una legge frutto di rivendicazioni politiche che ricordano tristemente i tempi superati di un'Europa divisa tra paesi occidentali e paesi comunisti.
Alla base delle critiche a questa legge non vi è certo una forma di nazionalismo o di prevaricazione sulle minoranze; sono
La tutela verso i cittadini italiani di differente etnia e con un patrimonio storico e culturale diverso dal nostro dovrebbe necessariamente essere considerata non solo come un dovere nei confronti di questi cittadini, ma soprattutto come una forma di accrescimento per tutta la nazione. Tutelare la conservazione di identità culturali diverse deve essere inteso come un riconoscimento che arreca un importante valore aggiunto alla stessa tradizione e cultura italiana. La tutela delle minoranze deve costituire uno strumento ulteriore di aggregazione e di osmosi culturale e non un segno esclusivamente di diversità.
La legge-quadro che il Parlamento si appresta ad emanare e che è un segno di civiltà per il nostro paese dovrà garantire proprio tale arricchimento della tradizione culturale italiana, oltreché una forma di riconoscimento nei confronti dei nostri concittadini che, nonostante la nostra medesima appartenenza allo Stato italiano, giustamente non vogliono rinunciare alle loro peculiari tradizioni storiche e culturali. Se spesso si parla delle popolazioni del confine italiano settentrionale non bisogna però dimenticare, ad esempio, le comunità albanesi localizzate nel sud d'Italia che allo stesso modo delle altre mantengono vivo il ricordo delle loro radici culturali.
Approvare questa legge oggi nei confronti della comunità di lingua slovena, proprio mentre è in corso di definitiva approvazione la legge-quadro di tutela delle minoranze linguistiche, significa ridurre di molto il contenuto e la valenza di quest'ultima: se occorre, infatti, una legge specifica per le popolazioni di lingua slovena o vuol significare che la maggioranza dà a questa proposta specifica una particolare valenza simbolica, o vuol dire riconoscere in partenza che la legge-quadro, ancor prima della sua definitiva approvazione, è considerata insufficiente; in ciascun caso questo atteggiamento non è accettabile (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Perché ho ricordato queste vicende della scorsa settimana? Perché alla Camera dei deputati abbiamo approvato disposizioni regolamentari in larga parte innovative ed abbiamo previsto un'istruttoria legislativa in Commissione piuttosto ben redatta, nonché degli spazi per l'opposizione. Fatto sta, però, che se si guarda, per così dire, al preventivo ed al consuntivo, per quanto riguarda gli spazi dell'opposizione nelle Commissioni si riscontra che, in realtà, i numeri non tornano. Molto spesso, infatti, delle proposte dell'opposizione in Commissione non si discute effettivamente, anche perché spesso vengono iscritte agli ultimi punti dell'ordine del giorno. Aggiungo che molto spesso anche il question time di Commissione latita.
Ricordo questi dati perché la tendenza è quella, molto italica, dei due pesi e delle due misure. Stiamo parlando di un provvedimento di tutela della minoranza slovena
Il relatore, onorevole Maselli - al quale formulo personalmente ed a nome del gruppo di alleanza nazionale i più affettuosi auguri di pronto ristabilimento -, nel suo primo intervento nella seduta del 23 luglio scorso, poneva a se stesso ed ai colleghi una domanda pienamente legittima. Diceva l'onorevole Maselli: «Se esiste una legge di prossima approvazione riguardante tutte le minoranze storiche stanziali del nostro paese, perché fare per il gruppo linguistico sloveno una legge particolare?». Egli continuava: «Non potrebbero bastare le tutele previste per tutti i ceppi linguistici non italici presenti nel nostro paese? Mentre quella legge costituisce certamente un quadro di riferimento valido in tutto il paese» - concludeva l'onorevole Maselli - «esistono gruppi linguistici qualificati nelle regioni a statuto speciale che godono di particolari diritti». Egli concludeva: «La legge che presentiamo in questo momento non si sovrappone dunque alla legge quadro, ma la integra e l'accompagna».
Queste dichiarazioni dell'onorevole Maselli vanno lette alla luce dell'eccellente relazione di minoranza del collega di alleanza nazionale Roberto Menia, il quale si chiede, anche alla luce dell'articolo 3 della Costituzione, se, nella fattispecie, il principio di uguaglianza sia rispettato, stante il fatto che avremmo, appunto, due pesi e due misure. Quindi, il principio di uguaglianza di una legge particolare, che crea un privilegio sostanziale per una minoranza linguistica ai danni degli italiani di lingua italiana, determina evidentemente una disparità di trattamento che si pone in irriducibile contrasto - sostiene l'onorevole Menia ed io sono d'accordo con lui - con l'articolo 3 della Carta costituzionale. Se fossi il dottor Pangloss o se fossi d'accordo con lui sul fatto che questo è il migliore degli universi possibili - non è vero perché, non se ne dolga il signor Presidente del Consiglio, il nostro non è un paese normale, bensì paranormale - potrei perfino, onorevole Menia, non darle pienamente ragione perché, in fin dei conti, la tutela delle minoranze è un principio sacrosanto di civiltà giuridica, prima ancora che di diritto costituzionale scritto. Purtroppo però, onorevole Menia - non lo dico a lei, ma ai colleghi della maggioranza -, questo non è il migliore dei mondi possibili e, di qua e di là della frontiera, vi sono trattamenti diversi.
Innanzitutto, come noi sospettiamo, non è concepibile l'ingerenza di uno Stato straniero nei nostri confronti. Nella sua pregevole relazione di minoranza, l'onorevole Menia ricorda che il Presidente sloveno Drnovsek - per l'esatta pronuncia chiedere ad Alberto Ronchey - ha affermato che «agli esuli italiani non restituiremo né una casa né un mattone». L'onorevole Menia ricorda, poi, che la «commissione Cassandro», della quale sono stato componente, finì i suoi lavori senza conclusioni, proprio per i condizionamenti della controparte. Potrei continuare con l'ingerenza, giustamente definita inammissibile dall'onorevole Menia, del Parlamento sloveno, che si permette di inviare a Roma una sua risoluzione in cui auspica - questo «auspica» altro non è che un eufemismo, signor rappresentante
La seconda considerazione che intendo svolgere è che da queste parole sembra quasi che noi siamo coloro che omettono di sancire un principio di uguaglianza mentre loro, le anime belle e candide, sarebbero perfettamente a posto con la loro coscienza, con il diritto internazionale e con il diritto costituzionale italiano.
Non è così. Il provvedimento in esame, tra le altre storture che presenta, è caratterizzato dal fatto che il principio di reciprocità, che dovrebbe sempre valere, in tal caso non vale. Noi saremmo gli inadempienti, mentre l'onorevole Menia, che conosce come pochi altri la realtà del Friuli-Venezia Giulia e segnatamente di Trieste, ricorda nella sua relazione alcune cose che gli immemori della maggioranza - Brunori o Cannella non si sa, ma sono degli «smemorati di Collegno» - sembrano aver dimenticato; in particolare, egli ricorda che lo Stato da anni e anni profonde fior di miliardi alla minoranza slovena e che - in Italia c'è qualcuno che vuole essere più uguale degli altri - la regione Friuli-Venezia Giulia ha fatto ancora di più. Nonostante tutto ciò, che rappresenta una disparità di trattamento, si arriva fino al sostanziale bilinguismo, negato a parole dal rappresentante del Governo in Commissione ma che, in realtà, verrebbe attuato con questo provvedimento, che penalizzerebbe profondamente gli organi dello Stato e i rappresentanti delle forze dell'ordine (i finanzieri e quant'altro), i quali sarebbero costretti a conoscere perfettamente la lingua slovena mentre, come ricorda l'onorevole Menia, tutti o la maggior parte dei cittadini italiani di lingua slovena conosce perfettamente l'italiano fin dalla nascita, fin dai primi anni di età. Di fronte a queste cose, alleanza nazionale, direi il Polo, ha assunto una posizione critica in Commissione, che ribadisce in aula con tranquilla coscienza.
Dunque, si prevede una tutela molto forte da parte dello Stato ed un'erogazione di fondi da parte delle regioni, ma oltre a ciò qui dobbiamo parlare anche del criticatissimo trattato di Osimo. Un personaggio storico famoso avrebbe parlato di «cupidigia di servilismo». Ma il trattato di Osimo - onorevole Menia, lei lo sa meglio di me - fu stipulato tra la Repubblica italiana e la Repubblica jugoslava, che oggi non esiste più e, mancando uno dei due contraenti, praticamente il trattato di Osimo è come se non esistesse, come se non fosse stato scritto. Allora, non capiamo per quali motivi di carattere internazionale noi saremmo tenuti ad adempiere clausole, spesso iugulatorie, che non hanno più ragion d'essere.
Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, potrei a lungo continuare nel formulare critiche e riserve a questo testo. La dialettica in Commissione non ci ha permesso di arrivare ad un punto di incontro tra maggioranza e opposizione. Mi auguro che, terminata la discussione generale, entrando nel vivo dei singoli articoli e degli emendamenti, si possa migliorare un testo che, oggi come oggi, alleanza nazionale per nessuna ragione al mondo può sottoscrivere o condividere (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia e misto-CCD).
È certo che su un provvedimento di questo tipo bisognerebbe avere ore di tempo a disposizione per parlare delle vicende storiche e culturali, della lettura degli avvenimenti di questo secolo in una terra di confine, di tutto lo sviluppo delle
Insomma, una storia molto intricata, molto sofferta, con conseguenze che sono state impresse a fuoco nelle carni di quelle popolazioni, gli sloveni e i croati, convinte - e non a torto - di aver subito torti di tipo storico da parte degli italiani durante il ventennio fascista, durante gli anni del nazionalismo, così come li hanno subìti gli italiani negli anni terribili 1943, 1944 e 1945, con le foibe e la pulizia etnica.
Insomma, stiamo trattando una materia che è ancora incandescente. Gli anni sono passati, fortunatamente; sopra il fuoco adesso c'è uno strato di cenere, però è anche vero che stiamo parlando di vicende che hanno coinvolto persone che sono ancora vive, che hanno ancora l'età per essere testimoni oculari di quegli avvenimenti. Per fortuna, siamo in una situazione di superamento delle divisioni e degli odi storici, ma sempre all'interno di realtà che sono ipersensibili a determinati argomenti.
Alcune argomentazioni che ha sviluppato adesso il collega Armaroli mi convincono meno. Nell'ambito di una comune casa europea, se il parlamento sloveno auspica qualcosa nei confronti del Parlamento italiano, non mi sento particolarmente offeso o scavalcato; anzi riterrei giusto e doveroso che non solo il Governo italiano, ma anche il Parlamento si rivolgessero al Parlamento croato o sloveno per chiedere che agli italiani che sono rimasti in Istria, nel litorale della Slovenia, fosse assicurato lo stesso trattamento e quella stessa esaltazione della loro identità culturale, della loro lingua e della loro presenza che noi vogliamo sia garantita ai cittadini italiani di lingua slovena che si trovano nel nostro paese. Di questo, dunque, non mi scandalizzo.
Inoltre, credo che la generosità in politica paghi. Ci sono tanti articoli di questo progetto di legge che, forse da un certo punto di vista, possono essere segno di una eccessiva disponibilità, di una particolare attenzione da parte italiana, sia alla restituzione di immobili, sia al finanziamento di istituzioni culturali, musicali, o cooperative; ma anche questo non mi scandalizza - lo ripeto - perché parto dal principio che qualsiasi minoranza linguistica o etnica che sia all'interno di uno Stato lo arricchisce.
Il collega Menia ha detto molto bene di quello che era Trieste agli inizi del secolo: un crogiolo in cui vivevano persone, cattoliche, ebree, ortodosse, slave, italiane e tedesche. La grandezza di Trieste era di essere una grande città con alle spalle la mitteleuropa, una città cosmopolita dove, prima che i demoni dei nazionalismi si svegliassero, la convivenza era di altissimo livello. Lo ritengo una ricchezza.
Però, ritengo nel contempo che sotto la cenere il fuoco ci sia ancora. Allora, noi dobbiamo stare attentissimi a non fare gli apprendisti stregoni e a non mettere in moto meccanismi di rigetto in una società e in città (ho in mente particolarmente Trieste e Gorizia) dove, se fossero applicate norme presenti in questa legge, si creerebbe sicuramente una situazione di grande imbarazzo.
Il relatore non c'è (ho capito che è indisposto e gli auguro pronta guarigione): dirà che in questa legge non c'è scritto proprio così. Anch'io ho visto, all'articolo 4, che si applicheranno le disposizioni di questa legge alle località che verranno prescelte da un comitato. Il problema è che nelle località che verranno scelte da questo comitato si applicherà veramente un bilinguismo perfetto con norme quale questa: «Nei territori di cui all'articolo 4» - mi vengono in mente Trieste e Gorizia - «l'assetto amministrativo, l'uso del territorio,
Dunque, a San Floriano del Collio, a Duino-Aurisina, nei paesi della cintura di Trieste rivolti verso il Carso, storicamente, è presente una minoranza slovena, che talvolta è anche maggioranza, e ci mancherebbe altro se non venisse applicato, anche in base a questa legge, un bilinguismo perfetto non soltanto a tutela degli interessi sociali, economici ed ambientali, ma anche della necessità, in quei paesi, di avere un'amministrazione pubblica e operatori di polizia che siano in grado di adeguarsi ad una realtà che è di fatto di bilinguismo.
Se però, con il provvedimento in esame, introduciamo determinate norme in comuni come Trieste e Gorizia (che hanno una percentuale di abitanti nella fattispecie sloveni ancora e storicamente esigua rispetto al totale della popolazione), creiamo problemi là dove oggi non ne esistono. Rischiamo infatti di mettere in moto un meccanismo, che è stato necessario ed utile, per esempio, in Alto Adige, dove vi è una massiccia presenza di popolazione di lingua tedesca, ma che diventa fonte inevitabile di vivissime tensioni se, per soddisfare le esigenze collegate al meccanismo che consente di inserire anche Trieste e Gorizia nell'ambito delle zone di cui all'articolo 4, stabiliamo che debbano esservi, per esempio, assunzioni garantite per un gruppo linguistico di minoranza. Bisognerà quindi bandire concorsi a posti per accedere ai quali bisogna conoscere l'italiano e lo sloveno, mettendo in moto un meccanismo di concorrenza tra due gruppi etnici di cui fino ad oggi, per la verità, non si è sentito il bisogno. Si potrebbe dunque giungere a paradossi che già esistono in altre parti d'Italia, forse necessari in relazione a quelle realtà, per cui, magari, non si riesce a coprire certi posti fino a che non si trova un cittadino di lingua tedesca che abbia le caratteristiche richieste, anche se vi sono tantissimi cittadini di lingua italiana che le avrebbero (questo avviene, per esempio, nei tribunali).
Ho quindi presentato, come già accennavo, un emendamento in base ad una certa logica. Un anno fa, d'altronde, la Camera ha licenziato un provvedimento per la tutela delle minoranze linguistiche, che nel nostro paese sono tantissime (greche, ladine, occitane, albanesi, eccetera), ma su alcuni aspetti di quella legge continuo a mantenere delle riserve: non ho ancora capito, per esempio, perché i friulani ed i sardi vengano considerati minoranze linguistiche, mentre i bergamaschi ed i veneti no (spero che il Senato riveda queste definizioni). In quella sede, avevamo fissato il 15 per cento come limite al di sotto del quale le previsioni della legge non vanno applicate (compresa, per esempio, la possibilità di parlare nei consigli comunali nella propria lingua con l'ausilio di un traduttore, quindi attraverso una sorta di dialogo non diretto tra consiglieri, perché nel caso del Friuli o della Sardegna i dialetti sono tantissimi). È stato però fissato tale limite del 15 per cento: dunque determinate norme, come quella che ricordavo, verrebbero applicate nei comuni in cui effettivamente vi sia una presenza molto forte di una certa minoranza, per cui diverrebbero credibili e sostenibili maggiori forme di garanzia e di rappresentanza.
Chiedo, quindi, che nel provvedimento al nostro esame venga previsto un limite e che non si rimanga in una sorta di limbo; d'altronde, siamo realisti: da cosa dipenderà la decisione da prendere? Dalla composizione dell'apposito comitato? Ho visto che si tratta di un comitato composto con il bilancino (tanti di lingua italiana, tanti di lingua slovena, tanti di nomina governativa, tanti di nomina del consiglio regionale), ma non mi sembra che decisioni così importanti, che riguardano centinaia di migliaia di persone, due città capoluogo, sensibilità che covano ancora sotto la cenere (e che non credo debbano essere nuovamente evocate nel momento in cui si cerca di realizzare
Mi sembra, invece, che si tratti di decisioni che devono essere assolutamente assunte dal Parlamento. Quindi, per quanto ci riguarda, come centro cristiano democratico, se il nostro emendamento (o uno analogo di altri colleghi) verrà accolto, anche se il provvedimento contiene alcuni aspetti che possono essere per certi versi eccessivi, non avremo difficoltà nel votare a suo favore; se invece rimarrà un'inaccettabile ambiguità e la legge potrà aprire la porta ad un nuovo contenzioso, creando situazioni di disagio nelle realtà interessate (in sostanza, se i nostri emendamenti verranno respinti), preannuncio che il nostro voto sul complesso del provvedimento sarà contrario (Applausi del deputato Armani).
Sappiamo quanto sia attesa questa legge: lo è da cinquant'anni, ma le norme e le leggine, presenti un po' ovunque, non danno conto della necessità di una nuova legge per gli sloveni e di una sua organicità. È molto importante che in questa sede e nel Comitato dei nove vi sia una negoziazione con l'opposizione, tuttavia riteniamo che ciò non debba avvenire in una logica di ribasso. La normativa, infatti, deve essere salvaguardata nelle sue linee generali e a tal fine presenterò alcuni emendamenti a singoli punti. Il «sì» o il «no» di questa Assemblea sarà molto importante, una cartina di tornasole del senso di civiltà rispetto ad alcune opzioni che potranno inserire contenuti nel provvedimento oppure no.
Qualcuno ha detto che l'Unione slovena ha fatto pressione sul parlamento sloveno perché vi fosse una sollecitazione nei confronti di quello italiano e ciò è stato visto come un attentato alla sovranità nazionale. Ebbene, ritengo che si tratti di una sollecitazione giusta da parte degli sloveni rispetto alla comunità slovena in Italia. D'altra parte, in ripetute occasioni, questa Camera si è occupata delle problematiche degli italiani in Slovenia e in Croazia con ordini del giorno e prese di posizione del tutto legittime. Si tratta di uno scambio di cortesie e di informazioni fra parlamenti.
Signor Presidente, nel dibattito ho colto il tentativo di trasformare la tutela
Signor Presidente queste sono le ragioni per le quali chiediamo che il provvedimento venga varato al più presto (Applausi).
La relazione dell'onorevole Menia rappresenta per tutto il nostro gruppo, e ci auguriamo per vasti settori del Parlamento, un punto di riferimento chiaro. In proposito diversi colleghi, anche di altri gruppi, hanno avanzato osservazioni puntuali ed altre ne avanzeranno.
Devo rilevare anche il modo discutibile in cui si è svolto il dibattito, perché in Commissione non si è consentito di discutere con tempi congrui e con le modalità consuetudinarie e normali.
Si tratta di scelte di fondamentale importanza, che in alcuni territori possono determinare anche particolari stati emotivi e alle quali, caro Caveri, non fa da contrappeso un atteggiamento responsabile e serio da parte di nuove nazioni - lasciamo perdere la ex Jugoslavia, che non esiste più - che sono sorte nel contesto europeo. Per carità, la nostra democrazia è più avanzata e, quindi, dobbiamo stare un passo avanti, ma mi chiedo quali siano la volontà e la concretezza di Governi quali quello sloveno o croato rispetto al riconoscimento dei diritti, all'uso della lingua, al recupero dei beni, alla tutela delle minoranze di lingua italiana che nella ex Jugoslavia sono diventate tali non a causa di un'immigrazione dovuta ad obiettivi di ricchezza, ma perché vi è stata una strage sistematica, c'è stato l'«infoibamento» di migliaia di italiani, un massacro che nei libri di scuola viene ignorato. Si riformano i cicli, le scuole e i corsi, ma tuttora, quando si parla delle foibe, la gente guarda meravigliata, perché, salvo sporadiche e periodiche discussioni, come quelle che si sono svolte anche in quest'aula su tali vicende, molti ragazzi e studenti ignorano completamente una pagina tragica, che invece va ricordata e studiata non per fomentare odi, ma per chiedere almeno la reciprocità, la parità di condizioni e il riconoscimento di diritti, soprattutto in vista di ulteriori allargamenti dell'Unione europea, in taluni casi decisi in maniera affrettata e superficiale, visto che si tratta di uno dei temi di fondo dell'Unione stessa.
Tale questione non è secondaria, cari colleghi; non si tratta di un partito nazionalista che, da posizioni «di retroguardia» - tra virgolette -, si attesta nella difesa dell'italianità. Noi riteniamo che esistano già norme di ampia garanzia delle minoranze slovene residenti in Italia.
La relazione di minoranza dell'onorevole Menia, alla quale ho già fatto riferimento, scandisce con grande chiarezza e concretezza quali siano gli istituti culturali, le altre prerogative, come le biblioteche
Riteniamo, invece, che vi siano aspetti eccessivi in questa normativa e che le leggi vigenti vadano riordinate; pertanto, abbiamo proposto - e lo riproponiamo e sosteniamo - di approvare una legge-quadro. Si stanno riscrivendo tante norme; con le deleghe previste dalla legge Bassanini si fanno riforme importanti riguardanti pezzi dello Stato, alcune delle quali sfuggono persino a noi parlamentari (ho appreso che le prefetture non si chiamano più così, ma «uffici territoriali del Governo»: si tratta di bizzarrie e particolarità, ma tutto ciò si fa attraverso provvedimenti delegati). Pochi giorni fa è stata istituita una Commissione parlamentare per rivedere la qualità, l'omogeneità e la leggibilità della produzione legislativa. Si tratta di un grosso problema, che tutti denunciamo nei comizi, ricordando il gran numero di leggi, ma dobbiamo risolverlo in questa sede, altrimenti non so chi debba farlo: forse i cittadini?
Un testo unico su tale materia servirebbe anche a fare una ricognizione seria delle norme esistenti e delle garanzie sancite e ciò dimostrerebbe, cari colleghi, che non siamo di fronte a minoranze vessate, ma a realtà che hanno un riconoscimento ampio e concreto. Riteniamo, quindi, che non vi sia la necessità di passi ulteriori.
Vi è anche il problema del bilinguismo, su cui poco fa l'onorevole Giovanardi ha richiamato l'attenzione, a dimostrazione che non si tratta di un problema di un segmento, per quanto importante, della vita politica, ma di una preoccupazione diffusa. Riteniamo che esso possa portare, anche da un punto di vista emotivo, dell'identità profonda di un popolo, a valutazioni fortemente critiche - non voglio usare termini più forti - da parte della popolazione, che in buona parte, cari colleghi, a Trieste e nelle zone limitrofe è formata anche da persone che sono state protagoniste di un esodo forzato, dai sopravvissuti o dai loro discendenti, i quali vivono ancora oggi sulla loro pelle una condizione di discriminazione e di mortificazione. Certamente, la situazione è un po' migliorata, poiché fino a qualche anno fa taluni cittadini italiani residenti a Trieste non potevano nemmeno andare a Capodistria o in altre città, perché ciò era loro vietato o quantomeno era pericoloso, se non chiaramente interdetto; adesso quanto meno si possono andare a vedere le mura e le case di quelle città, ma accampare diritti, che pure ci sono, è cosa purtroppo ancora molto lontana.
Riteniamo che imporre una logica bilingue, che peraltro, come è stato rilevato in altri interventi, già esiste in molti comuni della provincia, incluso il capoluogo, Trieste, non significherebbe tutelare una minoranza linguistica, ma creare una supertutela, una discriminazione al contrario, secondo il modello tipico della sinistra italiana, che inverte le cose, per cui talune minoranze e taluni gruppi sono più tutelati di altri. È il caso della polemica sviluppatasi a Roma a proposito degli alloggi per i rom. Non ce l'ho affatto con la popolazione rom, ma quando vedo che la regione Lazio destina non so quanti miliardi per fare un certo numero di case per i rom, secondo la tipica architettura rom, mentre vi sono a Roma persone senza casa e sfrattate, delle quali credo vi sia presso il comune l'elenco, penso che a queste ultime dovrebbero essere assegnate almeno alcune di queste abitazioni, che si dovrebbe perlomeno fare un po' per ciascuno.
Come dicevo, si crea una cultura di supertutela di taluni per dimostrare che si è davvero al passo con i tempi e ci si dimentica poi della massa delle persone. Quindi, con queste norme sul bilinguismo non commetteremmo soltanto un attentato nei confronti dell'identità nazionale e dell'integrità nazionale, che pure si potrebbe rilevare, ma si approverebbero anche norme che giustamente sono state definite inutili. Infatti, la minoranza slovena, che è quella che potrebbe avvalersi del bilinguismo, usa correntemente e senza problemi l'italiano, conducendo sul
Da tempo parliamo di quello che si verifica in altre parti d'Italia, ad esempio nella provincia di Bolzano, dove, con sistemi di quote riservate, se non si coprono i posti in un certo modo, secondo una centellinata distribuzione tra gruppi linguistici ed etnici, si lasciano i posti scoperti, con la conseguenza che, se un italiano di lingua italiana volesse concorrere a quel posto o avere assegnata una casa, non potrebbe. Questo si verificherebbe perché altri gruppi etnici sono meno interessati all'impiego pubblico o alla casa popolare in quanto si dedicano al commercio, al terziario e, per le capacità che hanno dimostrato, sono meno interessati ad attività di un certo tipo.
Noi ci troviamo in una nazione nella quale in una provincia d'Italia, la provincia di Bolzano, se non si è residenti da un certo numero di anni, non si può votare, il che è ridicolo. In Parlamento giacciono proposte che non condividiamo, volte a concedere il diritto di voto alle elezioni amministrative agli stranieri residenti in Italia, ma se un cittadino si trasferisce a Bolzano, città d'Europa - è in atto l'integrazione europea, non ci sono le frontiere e si allargano i confini dell'Europa ai paesi dell'est -, non può votare e, non si sa perché, deve aspettare quattro anni prima di esercitare tale diritto. Forse qualcuno teme che si mandino treni di italiani ad infoltire le schiere di elettori dell'onorevole Mitolo o dell'onorevole Frattini che pure sono stati ugualmente eletti. Sono situazioni davvero assurde che si potrebbero riproporre in qualche misura per quanto riguarda l'accesso al pubblico impiego. In tal caso l'obbligo di bilinguismo di fatto potrebbe discriminare molti italiani che non hanno dimestichezza con lo sloveno, idioma rispettabilissimo ma che non mi pare di grande diffusione. Si parla tanto del mondo di Internet, del mondo globale, ma, ahimè - lo dico non solo in ragione della mia estrazione politica, ma anche come persona che, per la sua formazione personale, tiene in grande considerazione la cultura nazionale e la nostra lingua - non vi è dubbio che oggi come oggi non conoscere l'inglese è un grave handicap. Nelle mie caselle di posta elettronica ho visto - sarà successo anche ad altri colleghi - in questi giorni che la nuova Commissione europea manda messaggi e-mail in inglese per fornire informazioni sul Parlamento europeo. Si tratta di una attività lodevole, giusta ed importante. Bisogna però capire cosa c'è scritto e quindi anche noi - che, pur essendo in qualche misura la classe dirigente, siamo spesso i più pigri nella modernizzazione linguistica e nell'acquisizione di conoscenze indispensabili, perché leggere una risoluzione della Commissione europea è utile per la nostra attività - dobbiamo conoscere un po' di inglese.
Per quanto riguarda i problemi linguistici delle minoranze come dobbiamo regolarci? Non dico di far studiare a tutti l'inglese, per carità, non è obbligatorio, ma forse è più utile abituare alcuni pubblici impiegati italiani e noi stessi a studiare maggiormente l'inglese che, ahimè, piaccia o no, è la lingua più diffusa, almeno in certi circuiti, benché lo spagnolo sia molto diffuso per ragioni demografiche in altre parti del mondo, ma non con l'incidenza, la rilevanza e l'utilità pratica che ha l'inglese. Invece, faremo fare corsi di sloveno agli impiegati di Trieste perché sarà poi giustamente necessario dare risposte in sloveno, qualora si presentasse anche una sola persona che ha diritto a quel tipo di risposta.
Tutto ciò è inutile, non soltanto per l'uso corrente che fanno dell'italiano gli sloveni; è una discriminazione, per cui alla fine lo sloveno che ha imparato l'italiano potrà essere avvantaggiato nei concorsi pubblici e nell'accesso a determinati impieghi rispetto agli italiani che non conoscono bene lo sloveno. È, inoltre, un grave spreco di risorse economiche; pensiamo a tutti i costi che si moltiplicheranno a livello burocratico per una questione francamente marginale in termini quantitativi e, soprattutto, alla luce della premessa fatta da me e da altri
Oltre tutto, così facendo, creeremmo in tutta la Venezia Giulia situazioni antistoriche, nonché incomprensioni, tensioni e polemiche. Vorrei sapere come risponderà il Governo italiano a tutti i cittadini in attesa di un risarcimento, che spesso ha più un valore morale e storico, nel senso nobile del termine, piuttosto che materiale: credo che nessuno, oggi, ritornerebbe in certe zone se non per rivedere le case, i luoghi, le famiglie, i propri cari sepolti e i pochi vivi che sono rimasti. Il riconoscimento sarebbe, quindi, di ordine morale. Tale riconoscimento non viene fatto, anzi, viene osteggiato: vi sono state poche iniziative legislative, sollecitate proprio dai parlamentari triestini del Polo - ricordo l'impegno dell'onorevole Menia, in tale direzione - e, invece, vi sono state tante disattenzioni, tanto disinteresse e tanta superficialità da parte dei vari governi! Ricordo, invece, l'atteggiamento dei nostri Governi - non soltanto di quest'ultimo - nei confronti della Slovenia o della Croazia: il senatore Cossiga, grande frequentatore di quelle zone, potrebbe spendere qualche parola presso i «dittatorelli» che va a visitare! Si tratta, tra l'altro, di zone pericolose, visto che si è rotto anche una gamba! Se restasse in Italia, sarebbe meno sfortunato; invece, frequentando Tudjman e non so chi altri, ancora fatica a riprendersi e si appoggia a D'Alema o a Mastella, a seconda della giornata.
Quindi, abbiamo tutto il diritto di chiedere una riflessione seria: vi sono state argomentazioni giuridiche, ma non abbiamo potuto, cari colleghi e caro Presidente della Camera, esprimerle compiutamente nella Commissione affari costituzionali: una volta arrivati all'articolato - mi sembra fossimo arrivati all'esame dell'articolo 4 - si è detto che il provvedimento sarebbe stato portato in aula. Ciò è stato fatto, tra l'altro, con un fare arrogante; infatti, si era nella fase estiva e ci si stava avviando verso la chiusura dei lavori parlamentari: una fase in cui una certa tregua - se non altro per ragioni di calendario - vi sarebbe potuta essere. Quindi, si poteva e si doveva tornare in Commissione per un approfondimento di quelle questioni.
Riteniamo, dunque, che vi siano dei privilegi di carattere elettorale - mi riferisco alla vicenda del seggio garantito - e che vi sia uno squilibrio: non siamo di fronte alla tutela di una minoranza vessata, bensì all'imposizione del bilinguismo a moltissimi italiani che non ritengono ciò giusto e dovuto; allo stesso tempo, non facciamo nulla per esigere il rispetto su ben altri piani per le nostre popolazioni e le piccole - non poi tanto - minoranze residenti in quelle zone o per le grandi maggioranze che sono andate via da quelle terre. Su tali vicende avemmo uno scontro - vi era all'epoca il sottosegretario che oggi è alla pubblica istruzione - su questioni riguardanti le foibe o altre vicende che, evidentemente, questo Ministero e questo Governo considerano minori. Non voglio rinnovare le forti polemiche che vi furono in quell'occasione e che videro, però, attribuire la ragione alle mie tesi persino da parte del giornalista Pansa sulle colonne de L'Espresso (certamente, si tratta di una testata e di un giornalista ben lontani dalle posizioni del Polo); egli, all'epoca disse che io avevo fatto bene ad inveire con un certo vigore - lo riconosco - nei confronti di un Governo che su queste questioni ha sempre minimizzato.
Minimizzando sulla storia di ieri si arriva, poi, agli iperdiritti e ai cedimenti di oggi che, ritengo, non saranno facilmente digeriti dalla popolazione di Trieste. Mi auguro che su questa legge vi siano momenti e motivi di riflessione e che vi sia un ripensamento da parte della maggioranza: si vada prima a vedere quali sono le leggi vigenti e si faccia un testo unico, poi si valuti se vi è qualcosa da aggiungere.
Per queste ragioni, Presidente, colleghi, invitiamo tutti a riflettere seriamente: non è questione di poco momento. In questa fase, in Parlamento si stanno discutendo questioni importantissime: il progetto di legge sulle minoranze linguistiche al nostro esame, lo stravolgimento della scuola, alcune vicende relative alle differenze sessuali affrontate con superficialità e rozzezze che fanno quasi sembrare che le minoranze debbano diventare modello da indicare e non settori da non comprimere o da non denigrare. Insomma, si stanno portando avanti progetti di legge che modificano nel profondo alcune realtà del paese: può darsi che la sinistra di questo sia convinta e sia lieta, per carità, ma noi abbiamo tutto il diritto di contrastare lecitamente in Parlamento questo indirizzo complessivo e di invitare molti parlamentari a riflettere - presidente Cananzi - sulle scelte che si stanno operando. Mi rivolgo soprattutto ad alcuni settori del Parlamento che verso certe tradizioni e radici della cultura italiana dovrebbero avere una cautela, un'attenzione maggiore. Lo dico con la serenità di questi dibattiti del lunedì pomeriggio - che non sono rivolti a «megaplatee», ma si svolgono, per così dire, tra di noi -, ma con la stessa passione che potrei profondere se dovessi parlare a cinquemila triestini, se mai venissero ad ascoltare, perché credo si tratti di questioni importanti e di fondo, in cui va individuato un punto di equilibrio. Ebbene, quello proposto non è un punto di equilibrio, ma di squilibrio, che innesca reazioni, preoccupazioni e non aiuta l'Italia e l'Europa a crescere in un determinato modo. Noi su questo invitiamo tutti alla riflessione, riservandoci nel prosieguo del dibattito parlamentare di dire e fare tutto ciò che il regolamento parlamentare e la leale ed aperta, ma decisa e convinta battaglia democratica ci consentiranno di dire e di fare (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia e misto-CCD).
L'altro elemento di grande rilievo cui facevo riferimento è costituito dalla globalizzazione dell'economia. La richiamo perché evidentemente l'espansione dell'economia occidentale nei paesi dell'est, per il modo in cui è venuta affermandosi, ha provocato enormi terremoti sociali, nuove forme di conflitto di classe, reazioni
L'Italia, per la sua collocazione, deve cercare con i paesi confinanti relazioni e occasioni di elaborazione politica, cercando sempre di creare aree di convivenza ai confini, per l'affermazione di una società multietnica e interculturale. La comunità slovena in Italia è parte di questo fermento e riceve quindi spinte dall'interno e dall'esterno. La comunità slovena è ben integrata e presente in maniera differenziata su tutto il territorio regionale: vi sono l'unione culturale ed economica slovena; il consiglio delle organizzazioni slovene; circoli culturali; realtà economiche, artigianali e commerciali slovene ed anche molta «ricchezza» sul versante delle associazioni cattoliche e non cattoliche. Sono inoltre presenti realtà importanti come il quotidiano Primorski Dnevnik (scusatemi per la difficoltà della pronuncia); il teatro stabile sloveno; la scuola di musica e l'istituto di ricerca slovena, che sono tutte realtà che ricevono sovvenzioni e tutela specifiche con questa legge.
Vi sono inoltre la biblioteca nazionale slovena degli studi con le sezioni di storia ed etnologia; la casa dello studente sloveno, che svolge un ruolo importantissimo anche nel campo dell'assistenza ai minori immigrati da paesi extracomunitari; la scuola parificata di San Pietro al Natisone.
Vi sono altresì delle associazioni operanti nell'ambito del privato-sociale, come le comunità Trstina, Famiglia e Mircovic e molte altre ancora che operano in vari settori di quegli enormi contenitori rappresentati dai settori culturale e sociale. Si tratta dunque di una vera e propria ricchezza!
È un fatto positivo che finalmente la legge sia giunta all'esame dell'Assemblea. Per questo dobbiamo ringraziare sia il Presidente della Camera, sia i relatori ed i colleghi che hanno collaborato alla sua elaborazione. Sappiamo però che vi è stato e vi è ancora un tentativo di ostacolare il suo iter! Sottolineo, peraltro, che questa è una di quelle leggi sulle quali, ovviamente, orientamenti culturali e politici si scontrano; ed è bene che sia così, cioè che emergano le differenze!
Non è passato molto tempo dall'affermazione dell'onorevole Fini sulla intollerabilità del bilinguismo, anche se questa - tengo a sottolinearlo nuovamente - non è la legge sul bilinguismo; noi riteniamo, invece, che sia una grande ricchezza ed un patrimonio culturale!
Ci pare che il problema, nel modo in cui viene affrontato nella legge, solleciti un contesto di solidarietà e pure di forte idealità, perché la difesa e lo sviluppo delle differenze (e quella etnica e culturale è una tra le principali) va sempre considerata come una ricchezza, perché opera contro la omologazione esistente e quindi contro la subalternità ad una cultura dominante.
Spesso abbiamo sentito «alitare» - soprattutto nel territorio regionale, sui giornali e negli interventi di alcuni nostri colleghi - preoccupanti accenti di rigurgito nazionalista. La legge di tutela deve essere improntata soprattutto a garantire, invece, un'adeguata tutela degli sloveni nel futuro; tuttavia, l'approvazione di questa legge rappresenta davvero anche un atto dovuto da parte dello Stato dopo più di quarant'anni di legittime rivendicazioni, puntualmente disattese dai vari governi che si sono succeduti nel tempo. Approvare questa legge, che riconosce e tutela la minoranza slovena nei suoi diritti e nelle sue tradizioni culturali, rappresenta quindi uno spiraglio di luce e non una fuga in avanti su quella parte del mondo - l'Europa - in cui ancora, tragicamente, è possibile negare identità, lingue e culture (penso evidentemente ai popoli curdo e kosovaro). Ecco perché ritengo che quella al nostro esame sia una proposta di legge che ci consentirà di fare passi in avanti nelle relazioni tra diverse comunità, facendo della nostra posizione geografica non una «difficoltà», ma una fertile possibilità di scambi e di relazioni.
Il seguito del dibattito, con le repliche, è rinviato ad altra seduta.