QUESTIONI PREGIUDIZIALI
La Camera,
considerato che:
l'articolo 76 della Costituzione statuisce espressamente che la possibilità di delega da parte del Parlamento al Governo è situazione eccezionale, dovendosi predeterminare tempo, oggetto e principi e criteri direttivi, a cui il delegato si dovrà obbligatoriamente attenere;
è opinione consolidata che l'inosservanza di tali limiti comporti l'illegittimità della legge delegata (Cervati in Legge di delegazione e legge delegata, in Enciclopedia del diritto, a pag. 946);
all'articolo 1, comma 1, lettera h), della legge delega 16 luglio 1997, n. 254, «Delega al Governo per l'istituzione del giudice unico di primo grado», si legge: «prevedere che il giudice per le indagini preliminari sia diverso dal giudice dell'udienza preliminare apportando le necessarie modifiche alle disposizioni dell'articolo 7-ter dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni»;
al comma 2 del medesimo articolo è enunciato il principio della necessità di coordinamento e di approntamento di norme transitorie per evitare ricadute correlate all'entrata in vigore della nuova normativa con relativa direttiva, che obbliga il Governo ad operare una pregnante valutazione della necessità o meno di intervenire in tal senso in ogni segmento della legge delegata;
sulla base di tale delega, della durata di sei mesi, il Governo ha emanato il decreto legislativo n. 51 del 19 febbraio 1998, recante «norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado» (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 66, supplemento ordinario n. 1 del 20 marzo 1998);
all'articolo 171 di tale decreto legislativo è previsto che, dopo il comma 2 dell'articolo 34 del codice di procedura penale, sia inserita una specifica incompatibilità, così come previsto dal già citato articolo 1, comma 1, lettera h), della legge delega;
la norma prevede: «il giudice che nel medesimo procedimento ha esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari non può emettere il decreto penale di condanna, né tenere l'udienza preliminare; inoltre, anche fuori dei casi previsti dal comma 2, non può partecipare al giudizio»;
la relazione illustrativa al decreto legislativo, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20 marzo 1998, supplemento ordinario n. 2, al paragrafo 4.2, «Disposizioni relative all'incompatibilità, all'astensione e alla ricusazione del giudice», così si esprime: «- parso pertanto rispondente a criteri di maggiore garanzia configurare
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la medesima come autonoma causa di incompatibilità, da aggiungere all'elenco di cui all'articolo 34 del codice di procedura penale (articolo 171 del decreto). D'altro canto, che questa fosse l'effettiva intenzione del legislatore delegante lo si desume, non solo dai lavori parlamentari, ma anche dal raffronto fra il testo licenziato dal Parlamento e il disegno di legge di iniziativa governativa, il quale prevedeva che la distinzione avvenisse soltanto "di regola"; (...) tale soluzione - per certi versi imposta dalla recente sentenza 21 novembre 1997, n. 346, che ha stabilito che non può emettere il decreto penale di condanna il giudice che ha ordinato di formulare l'imputazione all'atto di rigetto di una richiesta di archiviazione - evita invero i rischi insiti in una elencazione casistica, la quale potrebbe rivelarsi lacunosa e, proprio per questo, suscettiva di dare esca a nuovi interventi della Corte costituzionale motivati da irragionevoli disparità di trattamento. Il timore che tali soluzioni possano determinare difficoltà organizzative nei tribunali di medie e piccole dimensioni risulta d'altro canto fugato dalla possibilità di una adeguata organizzazione delle funzioni a livello tabellare (per cui, evidentemente, chi svolge funzioni di giudice per le indagini preliminari in un procedimento ben potrà svolgere funzioni di giudice dell'udienza preliminare in un altro)»;
l'articolo 247 del decreto legislativo prevede che l'entrata in vigore sia immediatamente successiva alla pubblicazione dello stesso, mentre l'efficacia è procrastinata correlandola al termine di cui all'articolo 1, lettera r), della legge delega, ovvero dopo 120 giorni;
l'incompatibilità tra il giudice delle indagini preliminari e giudice dell'udienza preliminare, perciò, avrebbe dovuto diventare legge dello Stato il 21 marzo 1998 con efficacia differita a 120 giorni;
il Parlamento, unico soggetto legittimato ad intervenire sul tempo, così come statuito dall'articolo 76 della Costituzione, con legge 16 giugno 1998 n. 188, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 141 del 19 giugno 1998, non ha modificato l'entrata in vigore, bensì è intervenuto sull'efficacia delle norme, procrastinandole al 2 giugno 1999;
costituisce, infatti, un limite logico, o, se si vuole, un limite istituzionale al potere del Governo, e quindi alla materia dei decreti legge, l'esclusione di ogni intervento che procrastini l'entrata in vigore di una legge di cui il Parlamento abbia determinato l'efficacia nel tempo, poiché la soluzione contraria avrebbe come effetto di subordinare la volontà del Parlamento alle scelte arbitrarie dell'esecutivo;
il Governo ha promulgato delle disposizioni correttive del decreto legislativo in questione mediante il decreto legislativo n. 138 del 4 maggio 1999, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 115 del 19 maggio 1999;
ciò ha fatto in applicazione dell'articolo 1, comma 4, della legge delega, che prevede che, entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, il Governo può emanare disposizioni correttive, nel rispetto dei criteri di cui al comma 1 e con la procedura di cui al comma 3;
il Governo, all'approssimarsi della scadenza del 2 giugno 1999, è poi intervenuto con il decreto-legge 24 maggio 1999, n. 145, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 119 del 24 maggio 1999, rinviando l'efficacia di alcune norme al 2 gennaio 2000, fra cui quella prevista dall'articolo 171 del decreto legislativo 51 del 1998;
il Governo, in data 7 giugno 1999, ha emanato il decreto legislativo n. 160, correttivo del decreto legislativo n. 51 del 1998, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 132 dell'8 giugno 1999, sempre in forza del citato articolo 1, comma 4, della legge-delega;
l'articolo 77 della Costituzione consente un intervento governativo in casi di straordinaria necessità ed urgenza e cioè in tutte quelle fattispecie
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in cui un iter parlamentare potrebbe, anche in astratto, comportare nocumento al Paese per una effettiva o supposta non celerità dell'iter;
il Governo ben conosceva la situazione degli uffici giudiziari quando ha emanato i decreti legislativi correttivi con i tempi e le scansioni previste dalla delega, e dunque con tale metodologia doveva intervenire, ove ne avesse ravvisato la opportunità;
nel caso in oggetto è il delegato stesso che interviene su materia che egli governa e sulla quale non poteva e non doveva far sì che si creassero situazioni di straordinaria necessità ed urgenza;
ricorre, in sostanza, un evidente conflitto fra l'applicazione dell'articolo 77, comma secondo, della Costituzione, rispetto all'articolo 76 della stessa;
l'unico modo per intervenire sul decreto legislativo, lungi dall'essere il non consentito decreto-legge, era da individuarsi nel comma 4 dell'articolo 1 della legge delega, ovvero con l'emanazione di disposizioni correttive con le procedure di cui al comma 3;
qualsiasi altra metodica é una violazione dei criteri dettati dalla delega;
ulteriore violazione si osserva nel procrastinare l'efficacia con decreto-legge che contrasta con la previsione della delega;
il termine di cui alla lettera r) dell'articolo 1, comma 1, della legge delega, così come modificato dalla legge n. 188 del 1998, è da individuarsi nel 2 giugno 1999 e questo attiene al tempo così come statuito dall'articolo 76 della Costituzione;
nessun intervento vi può essere da parte del delegato, su questo punto, che altrimenti surrettiziamente violerebbe uno dei punti cardine della delega;
il Governo ha violato l'articolo 76 della Costituzione, venendo meno sia al criterio temporale; sia al principio fissato dalla incompatibilità tra giudice delle indagini preliminari.e giudice dell'udienza preliminare, che era in vigore e doveva divenire efficace e sia venendo meno al criterio di utilizzare per eventuali correttivi lo strumento del decreto legislativo con incostituzionale promulgazione di un decreto-legge;
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 6201, approvato dal Senato della Repubblica il 6 luglio 1999, recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 maggio 1999, n. 145, recante disposizioni urgenti in materia di istituzione del giudice unico di primo grado.
n. 1. Pisanu, Pecorella, Mancuso, Vito, Prestigiacomo, Tarditi, Alessandro Rubino, Bertucci, Cosentino, Di Luca, Bruno, Frau, Leone, Misuraca, Becchetti.
La Camera,
considerato che:
l'articolo 34, comma 2-bis, del codice di procedura penale, inserito dall'articolo 171 del decreto legislativo n. 51 del 1998, che ha introdotto una nuova causa di incompatibilità del giudice, stabilisce che «il giudice che nel medesimo procedimento ha esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari non può tenere l'udienza preliminare»;
la menzionata nuova norma in tema di incompatibilità del giudice tutela un principio fondamentale dell'ordinamento processuale, quale quello dell'imparzialità del giudice;
non può ritenersi imparziale, e cioè non soggetto al condizionamento di precedenti valutazioni compiute nei confronti dello stesso imputato nel medesimo procedimento, il giudice che abbia già valutato il merito delle accuse formulate nei confronti dell'imputato;
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il principio dell'imparzialità del giudice tutelato dalla nuova norma ex articolo 34 comma 2-bis del codice di procedura penale garantisce princìpi costituzionali di rango supremo, che fondano la nozione del giusto processo più volte affermata dalla Corte costituzionale quali:
a) il diritto di difesa inviolabile in ogni stato e grado del procedimento ex articolo 24 della Costituzione, inteso anche come diritto di difendersi provando, mediante l'esercizio del contraddittorio in condizioni di parità con l'accusa e dinanzi ad un giudice che non abbia già in precedenza giudicato fondata la tesi sostenuta dall'accusa;
b) la presunzione di innocenza o di non colpevolezza ex articolo 27 della Costituzione, che esclude tutte le situazioni processuali, appunto codificate come cause di incompatibilità, nelle quali il giudice sia animato o possa essere animato nel proprio operato dal convincimento, maturato in precedenti atti compiuti nel procedimento, circa la colpevolezza dell'imputato;
c) il diritto ad un processo dinanzi ad un giudice che sia o debba comunque essere ritenuto imparziale, indipendentemente da situazioni contingenti, imprevedibili ed indipendenti dalla volontà dell'imputato, quali appunto quelle derivanti dal compimento di precedenti atti nel procedimento, come l'emissione di provvedimenti custodiali cautelari, da cui derivi la presenza di un giudice non più imparziale in quanto già condizionato da precedenti giudizi circa la responsabilità penale dell'imputato e in questa prospettiva viene in rilievo il principio di uguaglianza con il suo corollario del principio di ragionevolezza, anch'esso più volte considerato dalla Corte costituzionale, ex articolo 3 della Costituzione;
la Corte costituzionale, nella sentenza n. 131 del 1996, ha ritenuto che: «il giusto processo, formula in cui si compendiano i principi che la Costituzione detta in ordine tanto ai caratteri della giurisdizione, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, quanto ai diritti di azione e difesa in giudizio - comprende l'esigenza di imparzialità del giudice: imparzialità che non è che un aspetto di quel carattere di "terzietà" che connota nell'essenziale tanto la finzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice distinguendola da quella di tutti gli altri soggetti pubblici e condiziona l'effettività del diritto di azione e di difesa in giudizio»;
ancora nel medesimo senso, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 155 del 1996, ha precisato che: «tra i principi del "giusto processo" posto centrale occupa l'imparzialità del giudice, in carenza della quale le regole e le garanzie processuali si svuoterebbero di significato. L'imparzialità è perciò connaturata all'essenza della giurisdizione e richiede che la funzione del giudicare sia assegnata ad un soggetto "terzo", non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto, ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia da decidere, formatesi in diverse fasi del giudizio in occasione di funzioni decisorie ch'egli sia stato chiamato a svolgere in precedenza»;
lo stesso legislatore ha garantito il principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione secondo i dettami della Corte costituzionale, introducendo appunto la norma che vieta al giudice che abbia svolto funzioni di giudice per le indagini preliminari di condurre l'udienza preliminare;
l'articolo 3-bis della legge di conversione del decreto-legge 24 maggio 1999, n. 145, prevede che l'articolo 34, comma 2-bis, del codice di procedura penale, inserito dall'articolo 471 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, non si applica ai procedimenti nei quali l'udienza preliminare è in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione;
risulta del tutto irragionevole e palesemente contrario al principio di uguaglianza ex articolo 3 della Costituzione, che l'applicazione di una norma di diretto rilievo costituzionale, quale appunto quella di cui al comma 2-bis dell'articolo 34 del codice di procedura penale, posta a tutela
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del principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione in sede di udienza preliminare, venga a dipendere da un fatto contingente ed arbitrario, quale la fissazione del calendario di udienza da parte del giudice procedente;
in sostanza, in funzione del ritmo processuale impresso alle udienze, il giudice procedente potrebbe a discrezione rendersi o meno incompatibile rispetto ad una determinata udienza preliminare e rispetto ad un determinato imputato;
in definitiva, l'applicazione di una norma già contemplata dall'ordinamento processuale e direttamente funzionale al principio di rango costituzionale della imparzialità-terzietà della giurisdizione finirebbe per essere condizionata da un fatto extraprocessuale contingente e di natura meramente organizzativa, per di più insindacabile dall'imputato, quale la fissazione da parte del giudice procedente di un calendario di udienze strumentalmente predisposto al fine di negare all'imputato medesimo il diritto ad un giudice imparziale e terzo;
in altri termini, il meccanismo di slittamento quanto alla data di applicazione del generale regime di incompatibilità tra giudice per le indagini preliminari e giudice dell'udienza preliminare lascia al totale arbitrio del singolo giudice la scelta se far valere di fronte a se stesso il principio di imparzialità-incompatibilità; infatti è il giudice per le indagini preliminari di fronte al quale è in corso l'udienza preliminare, mediante la libera scansione dei tempi del procedimento, colui che potrà decidere con totale arbitrio se dichiarare chiusa la discussione prima del 2 gennaio del 2000, e quindi ritenersi non incompatibile per decidere egli stesso tra sentenza di non luogo a procedere e, all'opposto, decreto che dispone il giudizio o invece procedere a tale chiusura dopo tale data e quindi constatare la propria incompatibilità;
una grave lesione del principio costituzionale di uguaglianza-ragionevolezza si realizza se l'applicazione della norma processuale ex articolo 34, comma 2-bis, del codice di procedura penale, direttamente funzionale al principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione, viene ad essere di fatto condizionata dalle decisioni, contingenti, discrezionali ed insindacabili con le quali il giudice procedente regola la tempistica del processo;
in ogni caso, l'articolo 3-bis del disegno di legge di conversione determina una evidente disparità di trattamento tra coloro la cui udienza preliminare è in corso alla data di entrata in vigore della legge, e coloro la cui udienza é fissata in epoca successiva, e ciò in violazione del principio di ragionevolezza stante che la compatibilità di un giudice con una specifica funzione o esiste o non esiste;
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 6201, approvato dal Senato della Repubblica il 6 luglio 1999, recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 maggio l999, n. 145, recante disposizioni urgenti in materia di istituzione del giudice unico di primo grado.
n. 2. Pisanu, Pecorella, Mancuso, Vito, Prestigiacomo, Tarditi, Alessandro Rubino, Bertucci, Cosentino, Di Luca, Bruno, Frau, Leone, Misuraca, Becchetti.
La Camera,
considerato che:
l'incompatibilità tra giudice per le indagini preliminari e giudice dell'udienza preliminare è conseguenza necessaria del fondamentale principio costituzionale dell'imparzialità e terzietà del giudice e che tale principio esigendo che il giudice sia, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 155 del 1996: «non solo scevro da interessi propri ... ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia del decidere, formatesi in diverse fasi del giudizio in occasione di
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funzioni decisorie che egli sia stato chiamato a svolgere in precedenza», é l'unico che possa dar senso e giustificazione allo stesso principio dell'indipendenza funzionale del singolo giudice;
l'incompatibilità in questione è principio o, se si vuole, valore di livello supremo in quanto la migliore dottrina (come ad esempio Crisafulli e Paladin), lo connette strettamente al diritto alla difesa ed alla sua effettività; ma appunto il diritto alla difesa è assolutamente inviolabile e fa parte di quei principi supremi intangibili, secondo la dottrina e la Corte costituzionale, da parte della stessa revisione costituzionale, e che sono anche tali da rappresentare un limite insuperabile alla cessione di sovranità del nostro Stato a favore del diritto comunitario;
il principio del giudice naturale, oltre a trovare la sua principale e prioritaria giustificazione nell'interesse delle parti in giudizio, e specialmente dell'imputato, tanto che in dottrina molti parlano di un vero e proprio diritto al giudice naturale, gioca nel senso della imparzialità-incompatibilità in quanto la «preventiva individuazione del giudice ... deve postularsi legata a criteri di obbiettività ed imparzialità», come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 146 del 1969, nonché essa tutela le garanzie «di obbiettività ed imparzialità di giudizio». come affermato dalla medesima Corte costituzionale nella sentenza n. 117 del 1973. Detto principio, quindi, assume una doppia valenza garantistica, anzitutto nei confronti delle parti processuali come sostenuto, ad esempio, da Crisafulli e Paladin. Il principio del giudice naturale, invece, non può essere invocato del tutto a rovescio, nel senso di limitare la, o di contrapporsi alla imparzialità-incompatibilità, come si è preteso di fare in alcuni interventi svolti nel dibattito al Senato;
il principio della imparzialità-incompatibilità, dato il suo carattere assolutamente fondamentale e supremo, non può in nessun caso ed in nessuno modo essere sacrificato o limitato in nome di principi aventi natura e valore nettamente diversi ed inferiori come quello della perpetuatio jurisdictionis o competentiae, dato che quest'ultimo, ammesso che esista, sarebbe collocabile solo al livello delle leggi ordinarie e non già costituzionali; e neppure può essere sacrificato o limitato in nome di esigenze organizzative e/o ordinamentali, di qualunque entità sia la loro consistenza quantitativa;
l'efficacia e la valenza del principio costituzionale di imparzialità-incompatibilità non può essere in alcun modo derogato anche solo da un punto di vista temporale, così da valere da una certa data in poi ma non prima, e cioè non per le udienze preliminari già incardinate. Infatti è nella ferrea logica dei principi costituzionali che essi implichino la invalidità originaria (ex tunc) delle norme ordinarie che con essi confliggano e quindi l'incostituzionalità funditus del loro eventuale contenuto temporalmente derogatorio. Non a caso le sentenze d'accoglimento della Corte costituzionale debbono sempre valere ex tunc e non ex nunc, con la sola salvaguardia delle sentenze passate in giudicato ma neppure di tutte queste, se di condanna penale;
il giudizio davanti al giudice per le indagini preliminari deve essere considerato un vero e proprio «giudizio» ai sensi e per gli effetti della locuzione «giudizio» contenuta nell'articolo 34 del codice di procedura penale. Per esso, quindi, deve valere in maniera piena ed integrale il principio dell'incompatibilità quale principale ed effettiva garanzia dell'imparzialità del giudice. A tal fine si rileva che il giudizio in questione ammette l'interrogatorio dell'imputato; che implica un vero e proprio contraddittorio; che esige una valutazione delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono come è normativamente stabilito per il decreto che dispone il giudizio e che, infine, il decreto ora detto è da ritenere che esiga una qualche motivazione. Ecco quindi come e perché il giudizio davanti al giudice dell'udienza preliminare rivela appieno e sotto ogni profilo la sua natura giurisdizionale, nonché come
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e perché le attività e le decisioni che lo caratterizzano implicano valutazioni che riguardano anche il merito del tema processuale. Perciò il giudizio nella o della udienza preliminare è qualcosa che può essere od apparire pregiudicata dai precedenti atti o attività che siano stati compiuti da giudice per le indagini preliminari che sia la stessa persona fisica;
l'incompatibilità in questione risalta a dismisura, ad esempio, nel caso di un giudice per le indagini preliminari che abbia voluto adottare misure cautelari limitative della libertà personale, o che sia stato chiamato a decidere su richieste di incidente probatorio o similari;
non vale invocare, contro l'incostituzionalità fin qui rilevata, due ordinanze le nn. 24 e 232 del 1996, con le quali la Corte costituzionale ha rigettato quali manifestamente infondate questioni di legittimità costituzionale concernenti l'incompatibilità tra giudice per le indagini preliminari e giudice dell'udienza preliminare. Infatti, e in primo luogo, si tratta di decisioni di rigetto, come tali giuridicamente incapaci di creare nuovo diritto, nonché di produrre una qualche forma di vincolo sia per i giudici di merito che per la stessa Corte costituzionale: se cosi è non si vede come e perché possano essere invocate a giuridico sostegno di soluzioni legislative che pretendono di escludere l'incompatibilità. In secondo luogo, si tratta di decisioni dotate di una motivazione molto sommaria, che non si dà carico di valutare gli elementi normativi prima accennati dai quali deve dedursi che quello davanti al giudice dell'udienza preliminare è un vero e proprio giudizio anche di merito: comunque la motivazione di tali ordinanze di rigetto non può assumere quel particolare rilievo e valenza anche precettivi e di integrazione del dispositivo che invece sono propri della motivazione delle sentenze di accoglimento, specie se additive, manipolative o interpretative;
l'articolo 3-bis del decreto legge in conversione, nel testo trasmesso dal Senato, deroga al principio normativo che in via generale stabilisce l'incompatibilità tra giudice per le indagini preliminari e giudice dell'udienza preliminare; infatti, la norma in questione, nel momento stesso in cui accoglie il principio dell'incompatibilità, pretende di stabilire che l'incompatibilità stessa non si applichi ai procedimenti nei quali l'udienza preliminare è in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione;
già il fatto ora rilevato evidenzia che la suddetta norma di deroga non dispone in via generale e astratta, ma invece provvede in riferimento ad una serie più o meno ampia di casi concreti e, sotto questo profilo, la norma legislativa in questione deve essere considerata come una forma di «legge-provvedimento». Infatti i casi per i quali la norma in questione pretende di avere efficacia sono, essendo già concretamente ed effettivamente esistenti al momento della formulazione e dell'eventuale entrata in vigore della norma stessa, intrinsecamente e perfettamente determinati e determinabili. In particolare, sono perfettamente determinati e determinabili gli imputati ai quali la norma in discussione pretende di sottrarre la garanzia dell'imparzialità del giudice;
pertanto, la norma in questione, in quanto manca di ogni profilo di astrattezza, quale ripetibilità tendenzialmente infinita, e prevedibilità dell'applicazione del diritto a tutti gli indeterminati eventuali accadimenti, rientra in quell'ipotesi che la dottrina definisce come «norma del caso concreto»: già tale qualità di per se stessa solleva rilevanti problemi di legittimità costituzionale;
gli aspetti di illegittimità costituzionale si accentuano perché tale norma del caso concreto addirittura si risolve in una deroga del tutto eccezionale rispetto alla normativa generale e astratta. quella che stabilisce l'incompatibilità tra giudice per le indagini preliminari e giudice dell'udienza preliminare, con la quale pretende di coesistere;
per tali ragioni la norma si rivela pienamente quale norma che implica una
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forma di «privilegio odioso» e quindi, come tale, entra in rotta di collisione con il precetto dell'articolo 3, comma 1, della Costituzione, specie per quanto riguarda il divieto per la legge di effettuare distinzioni relative alle condizioni personali. Molta autorevole dottrina (come ad esempio Mortati) ritiene tali norme di privilegio incostituzionali in quanto tali; altra dottrina esige comunque che la deroga-privilegio (odioso) debba subire un controllo particolarmente intenso quanto agli eventuali elementi capaci di offrire una giustificazione totalmente adeguata, giustificazione che però non può non essere ricercata nei principi e nei precetti della stessa Costituzione;
nel caso dell'articolo 3-bis, simile giustificazione non sembra assolutamente possibile poiché infatti non può valere chiamare in causa esigenze organizzative ed ordinamentali che non hanno valenza costituzionale, oppure princìpi meramente ordinari quale forse può essere quello della perpetuatio jurisdictionis poiché è precluso dalla necessità di rispettare principi inviolabili e supremi quali quello dell'imparzialità e del giudice naturale, nel senso e per le ragioni indicate;
per rafforzare ulteriormente il profilo d'incostituzionalità per violazione dell'articolo 3, primo comma, della Costituzione della deroga-privilegio (odioso) che si tenta di introdurre con l'articolo 3-bis, bisogna infine considerare che la ratio, la reale motivazione della norma in questione è quella di negare l'imparzialità-incompatibilità ad un determinato imputato individuabile con nome e cognome, per cui nel dibattito al Senato si è diffusamente parlato di norma fotografia;
in base a tutto ciò, ed a conclusione sul punto della violazione costituzionale prospettata, può dirsi dunque che ci troviamo di fronte ad una norma di «privilegio odioso», per di più, almeno probabilmente, motivata dallo scopo di privare un determinato imputato di una fondamentale garanzia: norma che, ancora peggio, affida il potere di farsi effettivamente valere, nel senso della compatibilità, all'esclusivo ed incontrollabile arbitrio proprio di quel determinato giudice per le indagini preliminari che viene direttamente e concretamente chiamato in causa per effetto appunto di una norma fotografia;
tenuto conto della natura e del livello dei princìpi costituzionali gravemente intaccati, e del perverso meccanismo giuridico previsto e/o consentito dalla norma in questione, può quindi dirsi che ci troviamo di fronte ad una gravissima ed aberrante rottura della Costituzione, perché l'evidente violazione costituzionale viene posta in essere da una norma ordinaria gemmata da un decreto-legge:
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 6201, approvato dal Senato della Repubblica il 6 luglio 1999, recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 maggio 1999, n. 145, recante disposizioni urgenti in materia di istituzione del giudice unico di primo grado.
n. 3. Pisanu, Pecorella, Mancuso, Vito, Prestigiacomo, Tarditi, Alessandro Rubino, Bertucci, Cosentino, Di Luca, Bruno, Frau, Leone, Misuraca, Becchetti.
La Camera
considerato che l'articolo 3-bis del disegno di legge n. 6201, approvato dal Senato della Repubblica il 6 luglio 1999, prevede l'inapplicabilità, ai procedimenti nei quali l'udienza preliminare è in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione, dell'articolo 34, comma 2-bis, del codice di procedura penale, inserito dall'articolo 171 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51;
ritenuto che la norma è incostituzionale, in quanto la disciplina delle incompatibilità, introdotta dal decreto legislativo
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che si intende modificare, intende assicurare la genuinità e la correttezza del processo formativo del convincimento del giudice e si ricollega alla garanzia costituzionale del giusto processo;
considerato altresì che la norma consentirebbe una duplicità del giudizio di merito sullo stesso soggetto;
delibera
che del provvedimento in esame non debba discutersi.
n. 4. Benedetti Valentini, Marino, Fragalà, Armaroli, Anedda.
La Camera,
considerato che l'articolo 3-bis del disegno di legge n. 6201, approvato dal Senato della Repubblica il 6 luglio 1999, prevede l'inapplicabilità, ai procedimenti nei quali l'udienza preliminare è in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione, dell'articolo 34, comma 2-bis, del codice di procedura penale, inserito dall'articolo 171 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51;
ritenuto che la norma è incostituzionale con riferimento ai parametri costituzionali dei principi della soggezione del giudice soltanto alla legge e della sua precostituzione rispetto all'oggetto del giudizio, per violazione degli articoli 25 e 101 della Costituzione, poiché tali principi infatti garantiscono l'indipendenza del giudice e la sua necessaria estraneità rispetto agli interessi coinvolti nel processo;
delibera
che del provvedimento in esame non debba discutersi.
n. 5. Armaroli, Marino, Benedetti Valentini, Fragalà, Armaroli.
La Camera,
considerato che l'articolo 3-bis del disegno di legge n. 6201, approvato dal Senato della Repubblica il 6 luglio 1999, prevede l'inapplicabilità ai procedimenti nei quali l'udienza preliminare è in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione dell'articolo 34, comma 2-bis, del codice di procedura penale, inserito dall'articolo 171 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51;
ritenuto che la norma è incostituzionale per violazione degli articoli 25 e 101 della Costituzione;
delibera
che del provvedimento in esame non debba discutersi.
n. 6. Armaroli, Marino, Benedetti Valentini, Fragalà, Anedda.
La Camera,
considerato che l'articolo 3-bis del disegno di legge n. 6201, approvato dal Senato della Repubblica il 6 luglio 1999, prevede l'inapplicabilità ai procedimenti nei quali l'udienza preliminare è in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione dell'articolo 34, comma 2-bis, del codice di procedura penale, inserito dall'articolo 171 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51;
ritenuto che la norma è incostituzionale per violazione dell'articolo 3 della Costituzione,
delibera
che del provvedimento in esame non debba discutersi.
n. 7. Armaroli, Anedda, Benedetti Valentini, Marino, Fragalà.
La Camera
considerato che l'articolo 3-ter del disegno di legge n. 6201, approvato dal
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Senato della Repubblica il 6 luglio 1999, prevede riduttivamente i casi di incompatibilità e lascia non regolamentate fattispecie altrettanto importanti;
ritenuto che la norma è incostituzionale in quanto la disciplina delle incompatibilità, introdotta dal decreto legislativo che si intende modificare, intende assicurare la genuinità e la correttezza del processo formativo del convincimento del giudice e si ricollega alla garanzia costituzionale del giusto processo;
considerato altresì che la norma consentirebbe una duplicità del giudizio di merito sullo stesso soggetto;
delibera
che del provvedimento in esame non debba discutersi.
n. 8. Benedetti Valentini, Fragalà, Armaroli, Anedda, Marino.