Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 499 dell'8/3/1999
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(Discussione sulle linee generali - A.C. 3484)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Maccanico.

ANTONIO MACCANICO, Relatore. Signor Presidente, la proposta di legge costituzionale oggi all'esame dell'Assemblea fu approvata all'unanimità dalla Commissione affari costituzionali nel lontano 23 luglio 1997. Questa proposta nacque da due iniziative convergenti dell'onorevole Jervolino Russo e dell'onorevole Piscitello, sottoscritte da numerosissimi colleghi appartenenti a tutti i gruppi parlamentari.
Per il rilievo del tema, l'onorevole Jervolino allora presidente della I Commissione, volle assumersi l'onere di riferire all'Assemblea. Ho ritenuto doveroso seguire il suo esempio ed ereditare questo compito.
L'iniziativa legislativa propone una modifica dell'articolo 27 della Costituzione, quarto comma, che recita: «Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra». Si propone la soppressione dell'eccezione alla norma fondamentale che esclude dal nostro ordinamento penale la pena di morte, costituita dall'espressione: «se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra».


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Devo innanzitutto ringraziare il Presidente della Camera per aver voluto porre all'ordine del giorno questa iniziativa legislativa, in un momento nel quale la discussione sulla pena di morte, all'interno e in ambito internazionale, è divenuta di nuovo attuale, per le notizie di esecuzioni o di minacciate esecuzioni, nonché della violazione dei diritti umani in quasi tutti i continenti. Paesi ad ordinamento democratico e paesi autoritari, sia pure con garanzie processuali diverse, sono spesso accomunati in questa grave aberrazione giuridica.
La discussione ed approvazione di questa iniziativa, al di là del suo significato giuridico elettorale, avrà una forte e chiara valenza simbolica che consoliderà il ruolo che l'Italia finora ha svolto e che intende continuare a svolgere, in difesa dei più elementari diritti umani a livello europeo e internazionale.
Come è noto, la situazione normativa attuale è alquanto paradossale. Con la legge 13 ottobre 1994, n. 589, è stata disposta l'abolizione della pena di morte dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra. Il nostro ordinamento ha, quindi, escluso in modo pieno dal nostro sistema penale la pena di morte, per cui l'eccezione prevista dal quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione è divenuta priva di riferimento nel diritto positivo. È, tuttavia, necessario adeguare il testo costituzionale alla nuova realtà normativa, non solo per un'esigenza di armonia formale tra normativa costituzionale e legge ordinaria, ma anche per evitare che in futuro, in circostanze particolari, si possa reintrodurre, sulla base della norma costituzionale, qualche ipotesi criminosa per la quale sia prevista la pena di morte nelle leggi militari di guerra.
Il rifiuto della pena di morte deve essere assoluto e definitivo nel nostro ordinamento, perché essa è contraria al primo tra gli inviolabili diritti umani: il diritto alla vita, come sancito dalla nostra Corte costituzionale in due storiche sentenze: la n. 54 del 1979 e la n. 223 del 1996.
Richiamavo prima il ruolo che l'Italia ha svolto e intende svolgere nella difesa dei diritti umani e, in particolare, nella battaglia per l'eliminazione della pena di morte nell'arena internazionale. È da ricordare a questo riguardo l'azione svolta nella Commissione delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo, riunitasi a Ginevra il 18 aprile 1987, nella quale l'Italia è riuscita a far approvare una proposta di moratoria nelle esecuzioni capitali, in attesa dell'abolizione definitiva della pena di morte. Va pure ricordato il successo ottenuto nella conferenza intergovernativa di Amsterdam per l'inserimento di una dichiarazione nel testo del trattato di rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo, quali sono garantiti dalla Convenzione europea firmata a Roma il 4 novembre 1950, convenzione che prevede appunto l'abolizione della pena di morte.
Nella relazione della Commissione dei settantacinque all'Assemblea costituente, onorevole Presidente, in riferimento all'articolo 27 della Costituzione si dice testualmente che «a quella disposizione sottende un principio che in molti sensi può dirsi italiano».
È così, onorevoli colleghi: il rifiuto della pena di morte è un principio della civiltà giuridica italiana ed ha validità universale. La nostra Corte costituzionale lo ha riconosciuto - come si ricordava prima - in due occasioni, con la sentenza n. 54 del 1979 e con la sentenza n. 223 del 1996, dichiarando l'incostituzionalità delle norme attuative dei trattati di estradizione con la Francia e con gli Stati Uniti nelle parti nelle quali si consentiva l'estradizione di persone incriminate di delitti punibili nei due ordinamenti con la pena di morte, anche in presenza di assicurazioni e di impegni dei due Governi a non dare corso a sentenze capitali. La decisione per quanto riguarda la sentenza n. 54 del 1979 riguardava cittadini stranieri. In omaggio al principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della nostra Costituzione e per la validità universale del principio del rifiuto della pena di


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morte, la Corte sanciva l'incostituzionalità delle norme che autorizzavano l'estradizione.
Con la rapida approvazione di questa iniziativa di revisione costituzionale si ribadirà la posizione ferma e rigorosa del Parlamento italiano in difesa del diritto alla vita e dei diritti inviolabili dell'uomo e sarà dato nuovo impulso alla lotta per cancellare definitivamente dagli ordinamenti di tanti paesi l'istituto incivile costituito dalla pena di morte.
Su questo tema non possono esservi distinzioni od eccezioni. Quello della cancellazione della pena di morte è un imperativo assoluto, valido in tutti i paesi ed in tutti i continenti, qualunque sia il loro stadio di sviluppo civile e democratico. È questo il significato dell'unanimità con la quale questa iniziativa è stata approvata nella I Commissione della Camera, unanimità che mi auguro si riproduca anche in questa Assemblea.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIOVANNI RIVERA, Sottosegretario per la difesa. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. La prima iscritta a parlare è l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.

GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, numericamente molto pochi, anche se ciò si comprende in una giornata di lunedì, in cui come sempre la presenza è molto scarsa e mi dispiace che sia così in considerazione dell'argomento al nostro esame. Peraltro, come ha ricordato il presidente Maccanico, relatore, il provvedimento è già stato approvato all'unanimità in quest'aula, benché non nella sua veste di modifica costituzionale, ma attraverso l'accoglimento della legge che ha abolito la pena di morte nel codice penale militare di guerra; mi riferisco alla legge 13 ottobre 1994, n. 589. In quell'occasione fu compiuto sicuramente un passo molto importante, anche se nel nostro ordinamento la pena di morte, seppure permessa, non era mai stata applicata.
In ogni caso, ci troviamo ora a dover abolire il quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione, il cui terzo comma recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Ciò è in netta contraddizione con quanto affermato nel quarto comma, ove si dice che: «Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra». Se la pena di morte è - com'è - una violazione del diritto alla vita, lo è sempre e non solo in tempo di pace; essa non può in alcun caso costituire uno strumento di vendetta da parte dello Stato nei confronti di un singolo.
Nel nostro paese, peraltro, già da due secoli, dai tempi di Cesare Beccaria e della sua opera Dei delitti e delle pene, si è posta la questione, di enorme importanza, della pena di morte, e si è manifestata una indicazione di contrarietà ad essa. Ciò non può che riempirci di orgoglio se paragonato ad altri paesi che possono essere certamente considerati «civili e democratici», ma nei quali la pena suddetta è prevista non solo in ambito militare ma anche civile, il che, se è grave allo stesso modo, è però ancor meno giustificabile, se si può usare un termine di questo genere.
Nella rapida approvazione di tale provvedimento non credo vi saranno problemi; esso, peraltro, ha natura costituzionale, necessita di quattro letture e quindi di tempi tecnici di un certo tipo (Camera e Senato impiegheranno almeno quattro mesi); pertanto, sono contenta che il provvedimento sia stato iscritto all'ordine del giorno oggi, così da poter essere approvato da entrambe le Camere prima dell'estate, come mi auguro.
Colgo l'occasione - lo faccio con un senso non di imbarazzo ma di solidarietà (la parola è forse troppo lieve rispetto a quanto si sta verificando nel mondo occidentale, il cosiddetto mondo civile) - per ricordare la notizia relativa ad una


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rassegna curata dall'ONU e dal suo stesso presidente, Kofi Annan, concernente il problema della morte inflitta nel mondo su esseri umani, anche se non in esecuzione di una pena. Proprio oggi che è l'8 marzo, la giornata in cui la donna viene festeggiata in tutto il mondo, ho letto dati agghiaccianti per quanto riguarda l'uccisione di donne nel mondo per le ragioni più svariate. Nel rapporto si afferma che, alle soglie del terzo millennio, la violenza sulle donne uccide quanto il cancro. Può apparire fuori tema, ma non credo che lo sia. Oggi parliamo di un qualcosa che ci riempie di orgoglio - vorrei anche dire che nel nostro ordinamento è quasi scontato - e che rappresenta un passo molto importante, perché non essendo stato tolto quell'inciso dal quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione, ipoteticamente e realisticamente o magari irrealisticamente, qualcuno potrebbe reinserire una legge che potrebbe comminare la pena di morte nei casi di guerra. Non è un fatto solo formale, ma sostanziale l'eliminazione di quel quarto comma dell'articolo 27 dalla Costituzione.
Ritornando al rapporto reso noto dall'ONU, si afferma che per 365 giorni all'anno le donne di questo pianeta subiscono violenze, massacri e uccisioni e che avvengono stupri, violenze familiari, prostituzione forzata e obbligata, abusi sessuali sulle bambine, molestie sessuali sul lavoro e tante altre forme di violenza che attraversano tutte le frontiere culturali e religiose per colpire le donne. Oggi l'ONU ha organizzato per questa ricorrenza una serie di eventi in varie parti del mondo affinché le donne di tutto il mondo, quelle che ancora lo possono fare, perché sono ancora vive (ne sono state ammazzate tantissime), raccontino le loro tragiche esperienze.
Io ritengo che non ci siano parole adeguate per condannare tali pratiche. Addirittura, questo rapporto rivela che 100 milioni di donne sono sparite dalle statistiche mondiali. Che cosa significa questo se non aver subito una pena di morte? Addirittura, alcune vengono ammazzate appena nate.
Le donne che sopravvivono ai genocidi in alcuni paesi - il rapporto citava il Ruanda - sono state comunque violentate. Questo è il mondo che abbiamo davanti a noi e che tutti quanti insieme dovremo cercare di cambiare con una azione politica attenta presso gli organismi internazionali dove si possono denunciare questi crimini e dove si può levare alta la nostra voce. Non dobbiamo compiere interventi retorici o discorsi di circostanza, ma intraprendere un'azione veramente concreta partendo dall'Europa. Essa deve levare alta la sua voce non solo in termini di economia e finanza internazionale ma anche e soprattutto nel campo dei diritti dell'uomo, della parità e dell'osservanza di questi diritti umani e del rispetto dei diritti in tutte le parti del mondo.
Qui non si fa un ragionamento nei confronti di singoli paesi, si deve levare un monito con una valenza di 360 gradi per tutti i paesi del mondo.
Ho letto nel resoconto stenografico del 27 luglio 1997 l'intervento dell'onorevole Selva, il quale ha fatto dei distinguo (del che mi sono dispiaciuta), sostanzialmente perché in quell'occasione si richiamava il caso, che era molto attuale, di O'Dell: questi, in quel momento, era ancora vivo mentre oggi, purtroppo, come tutti sappiamo, non lo è più, perché è stata eseguita la sua condanna a morte nonostante gli appelli proferiti dal Papa, dal nostro Presidente della Repubblica e da tutta la comunità internazionale. Naturalmente, allora, il caso di O'Dell era stato simbolicamente assunto per contrastare, combattere e condannare quella pratica in qualunque parte del mondo: questa condanna deve essere chiara nella coscienza di ognuno di noi, questo messaggio deve essere forte e gridato sempre!
Credo inoltre che episodi di quel genere debbano servire da monito quando, anche nell'ambito della nostra società e della nostra vita quotidiana, vi siano occasioni che possano prestarsi a richieste, a volte generali e generiche, spesso qualunquistiche, di condanne esemplari. Al riguardo, penso che si debba


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riflettere molto attentamente: si tratta di appelli che ingenerano violenza nel cittadino, il quale, sostanzialmente, può essere indotto a perseguire un desiderio di vendetta piuttosto che di giustizia. Tale eventualità, a mio avviso, deve essere bandita con tutta la nostra forza e tutto il nostro impegno, proprio perché diventi un fatto di coscienza radicato nella nostra società l'inaccettabilità della caccia al diverso, all'emarginato, comunque alla persona che sta peggio. Presidente, non so quanto tempo ancora ho a disposizione.

PRESIDENTE. Lei ha superato il tempo a sua disposizione, ma in omaggio all'8 marzo l'ho lasciata proseguire.

GABRIELLA PISTONE. Presidente, mi scusi, pensavo di avere 48 minuti a disposizione...

PRESIDENTE. Onorevole, la componente di rifondazione comunista...

GABRIELLA PISTONE. Presidente, io sono del gruppo comunista: sapevo di avere a disposizione 48 minuti, che comunque non credo di usare totalmente; comunque, la perdono per questa volta!

PRESIDENTE. Mi fa piacere sapere che la sua benevolenza non mi è venuta meno: attenuanti generiche e minimo della pena!

GABRIELLA PISTONE. Dalla sottoscritta non vi è dubbio.

PRESIDENTE. Ne sono convinto: fra l'altro, l'avevo erroneamente considerata della componente di rifondazione comunista, ma non era un'offesa!

GABRIELLA PISTONE. Non lo è nella maniera più assoluta, solo che ho fatto un'altra scelta.

PRESIDENTE. Le chiedo scusa; prego, onorevole Pistone.

GABRIELLA PISTONE. Uno dei problemi che abbiamo di fronte è quello di prestare una forte attenzione a ciò che può essere veicolato nella società e nel sentire comune rispetto a battaglie che vanno condotte per restituire il senso della realtà agli eventi che si verificano. Bisogna evitare che il cittadino chieda (o addirittura operi, come è avvenuto nell'ultimo periodo rispetto a molti eventi) di farsi giustizia da solo: questo è un capitolo che appartiene non alla giustizia ma alla vendetta.
Quest'ultima va sradicata dalla cultura che mi auguro non sia dominante nella nostra società perché si tratta di un reale pericolo dei tempi che viviamo. È chiaro che le giovani generazioni devono superare tutto ciò, anche se io ritengo che sentano molto nobilmente i valori della solidarietà, della fratellanza, dell'accettazione del diverso da sé, perché solo così si può crescere in un mondo che sia ancora più grande dal punto di vista dei livelli culturali, sociali e di scambio tra generazioni. Solo così si può far grande un paese, far grande una società, evitando di istigarla alla violenza, alla vendetta o alla repressione del diverso, solo perché è più debole. Occorre pensare in grande, pensare sempre, soprattutto quando si parla di leggi repressive che, tuttavia, sono necessarie perché - lo ripeto sempre - in certi casi la certezza della pena sarebbe la strada migliore. Diversamente si creano delusioni per il singolo cittadino che, poi, scaturiscono in altri pensieri molto più drammatici dal punto di vista degli effetti sulla cultura del nostro paese e della società del 2000 in generale. Vorrei che il 2000 aprisse davvero il millennio della pace e non delle vendette, delle guerre o della pena di morte.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piscitello. Ne ha facoltà.

RINO PISCITELLO. Signor Presidente, colleghi, intervengo nel dibattito con una certa emozione perché mi occupo di questioni relative all'abolizione della pena di morte ormai da tanti anni. Nella XI


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legislatura presentai, come primo firmatario, raccogliendo le firme di oltre la metà dei componenti l'Assemblea, un progetto di legge per l'abolizione della pena di morte dal codice penale militare di guerra. Quel progetto venne avviato alla discussione dell'Assemblea, ma non arrivò al Senato perché la legislatura terminò anticipatamente, ma venne ripreso nella successiva e partendo da quell'atto importante, nella scorsa legislatura, venne abrogata la pena di morte dal codice militare di guerra.
In tanti avevamo pensato che fosse rimasto solo il riferimento nella Costituzione, quindi, anche se si trattava di una battaglia simbolica molto rilevante, la questione non venne ritenuta così importante. Entrando nuovamente a far parte di questo Parlamento nella XIII legislatura, mi ripromettevo di presentare tale progetto di legge, fino al giorno in cui lessi sul Corriere della Sera il caso di Joseph O'Dell, un uomo che stava combattendo contro la pena di morte in un carcere della Virginia.
Mi appassionai alla vicenda e, insieme con alcuni amici, iniziai a pensare che forse era il caso di dare un segnale forte nel nostro paese. Nel febbraio del 1997 mi recai negli Stati Uniti, insieme con l'onorevole Danieli, il senatore Occhipinti ed il dottor Luciano Neri, responsabile del nostro gruppo, che si occupava delle questioni relative all'abolizione della pena di morte, ed andai a trovare Joseph O'Dell in quell'orribile carcere. Un carcere per condannati a morte è un'immagine spaventosa. Ricordo la sensazione che ebbi incontrandolo: l'idea di conoscere un condannato a morte, di parlare con una persona che non ci sarà più, perché verrà soppressa, l'idea di una persona che conosce la data della sua morte è spaventosa. Joseph O'Dell aveva una forza straordinaria; credo che fosse innocente, ma ciò non ha più assolutamente alcuna importanza in questa battaglia, se non per la riabilitazione della sua memoria.
Fu quella la molla che mi spinse, tornando in Italia dopo questa esperienza, a chiedere ai colleghi di presentare insieme a me un progetto di legge per abolire l'ultimo riferimento alla pena di morte presente nella nostra Costituzione.
Ho presentato il progetto raccogliendo le firme di 140 colleghi ed in questa battaglia parlamentare alcuni di essi si sono distinti in modo particolare. Si tratta, peraltro, di colleghi di tutti i gruppi ed è questa la grande ricchezza del nostro paese: nessun gruppo parlamentare presente in questa Camera è estraneo alla presentazione della proposta di legge, ma tutti in modo unanime - e credo anche sentito - l'hanno firmata. Vorrei ricordare, tra gli altri colleghi - mi permetto di farlo perché in questo momento presiede l'Assemblea -, il Vicepresidente Biondi, che ha partecipato molto all'impegno e alla battaglia contro la pena di morte in Parlamento, così come tantissimi altri colleghi di tutti i gruppi.
Appena tornato dagli Stati Uniti, ho elaborato il testo del progetto di legge, sottoponendolo a tutti i colleghi, e il 26 marzo abbiamo presentato la proposta di legge, firmata da 140 deputati.
Da quel giorno è iniziata una grande battaglia per la vita di Joseph O'Dell, che simbolicamente rappresentava centinaia di condannati a morte nel nostro pianeta. Joseph O'Dell veniva ucciso il 23 luglio 1997: per me, e forse per pochi altri, moriva quel giorno un amico, assassinato da un meccanismo barbaro. Non mi permetto di dire che si tratti di un sistema barbaro perché ho un giudizio molto positivo del sistema giudiziario degli Stati Uniti (Commenti del deputato Pistone) ...proprio per questo, proprio a partire dalla tragedia della pena di morte, che, comunque, ha una grande valenza negli ordinamenti giuridici e costituzionali del pianeta: su questo non vi è dubbio.
Non si tratta di un paese privo di sistema costituzionale, ma di uno dei paesi all'avanguardia sul piano del diritto. Certo, la pena di morte è prevista in tantissimi Stati ed è applicata in alcune sentenze, ma il problema delle sentenze è un fatto collettivo. Anche la sentenza del Cermis, pur essendo uno scandalo sul piano giudiziario, ha poco a che fare con


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quel sistema giudiziario: una sentenza è, come tale, contestabile, ma un sistema giudiziario deve essere valutato e giudicato in base ad altri parametri.
Il 23 luglio 1997, quindi, per me e per pochi altri, forse moriva un amico. Quello stesso giorno la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati licenziava condividendola all'unanimità la proposta di legge da noi presentata e la inviava all'Assemblea per la sua approvazione definitiva. Troppo tempo è passato, per i tanti problemi che abbiamo avuto: ciò non vuole essere una critica nei confronti di nessuno, ma sono passati comunque quasi due anni. Finalmente questa Assemblea sta discutendo un provvedimento di profonda civiltà giuridica. In cosa consiste? Nel togliere l'ultimo riferimento, eliminando le parole: «se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra» dall'articolo 27 della Costituzione. Sopprimendo queste parole, non salviamo vite umane, nel senso che in Italia, come ricordava la collega Pistone, l'esistenza della pena di morte nel codice penale militare di guerra non ha mai determinato condanne a morte, ma lanciamo un segnale straordinario a tutto il pianeta.
Nel campo dei diritti umani l'Italia è sempre stata all'avanguardia e mi corre l'obbligo di ricordare al Governo in carica e anche al precedente un grandissimo impegno al riguardo, come ha sottolineato il presidente Maccanico nella sua relazione particolarmente approfondita. Lo voglio ringraziare anche perché su questo provvedimento non ha nominato un relatore ma è venuto egli stesso in aula a svolgere tale funzione per dimostrare l'importanza del provvedimento, e di ciò gli siamo grati. Dicevo che, anche se saranno necessari alcuni mesi per l'approvazione, noi lanciamo un segnale straordinario a tutto il mondo. Dicevo anche che il nostro Governo si è impegnato ampiamente su queste tematiche, come dimostra il fatto che nel Trattato di Maastricht si fa divieto ai paesi aderenti di ricorrere alla pena di morte. Questo è un principio fondamentale perché in molti dei paesi in «lista d'attesa» vige ancora la pena di morte.

GABRIELLA PISTONE. Compresa la Turchia!

RINO PISCITELLO. Sarei arrivato anche alla Turchia, non avrei omesso di citarla.
La commissione delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo, che si è riunita a Ginevra dal 10 al 18 aprile del 1997 ha approvato, su proposta dell'Italia, la moratoria delle esecuzioni capitali in vista della definitiva abolizione della pena di morte. Il nostro Governo ha fatto tutto questo e noi continuiamo lungo la stessa strada con il provvedimento oggi in esame che, lo ripeto, anche se non ha un'influenza diretta, consente di lanciare un messaggio straordinario a tutto il pianeta, a quei paesi del terzo mondo non solo dove ancora vige la pena di morte per numerosissimi reati, compresi quelli che da noi sono puniti da sanzioni amministrative, ma dove l'esecuzione di tale pena è gestita in modo barbaro.
Ne cito tre, signor Presidente: la Cina, prima di tutto, paese con il quale l'Italia ha scambi importanti. Non dobbiamo dimenticare che in Cina i condannati a morte vengono caricati su camion, sono fatti scendere uno per volta e poi vengono uccisi uno ad uno da un solo soldato che spara loro in testa. Poi vi sono l'Arabia Saudita e l'Afghanistan dove vengono violati profondamente i diritti delle persone e dove si registrano casi di lapidazione da parte dei parenti delle vittime. È nostra intenzione lanciare un segnale anche a quei paesi dell'occidente dove la pena di morte è ancora in vigore. Mi consenta, Presidente, di citare qui la Turchia. Nelle scorse settimane abbiamo vissuto il caso del leader curdo Ocalan, che in questo momento è in Turchia. Al di là del giudizio che si dà su questa persona, essa è sottoposta a giudizio in un paese che ancora prevede, per i reati di cui è accusata, la pena di morte. Il segnale che inviamo alla Turchia è importantissimo.
Voglio citare anche gli Stati Uniti, che sono uno dei nostri maggiori punti di riferimento, sul piano delle alleanze politiche e su quello delle alleanze militari.


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Lanciamo questo messaggio a tutti i nostri alleati, a cominciare dagli Stati Uniti d'America, che già tanti segnali hanno avuto. Voglio ricordare le parole del Santo Padre, che in tante circostanze ha condannato la pena di morte e che in occasione delle più recenti esecuzioni - come ad esempio, quella di Joseph O'Dell - ha inviato un messaggio straordinario, concernente il diritto alla vita ed il valore profondo ed insopprimibile della persona umana.
Concludo, ricordando di nuovo Joseph O'Dell. Sono andato a trovarlo nella sua prigione ed il 24 luglio 1997 - il giorno successivo alla sua esecuzione - sono tornato negli Stati Uniti d'America per esaudire il suo ultimo desiderio, per me, il desiderio di un amico: essere seppellito a Palermo. Ho preso ed ho portato con me la sua salma e l'ho fatta seppellire a Palermo, grazie anche alla straordinaria disponibilità del sindaco di quella città, Leoluca Orlando.
Signor Presidente, vorrei dedicare il mio lavoro ed il mio impegno, piccolo e parziale, nella battaglia contro la pena di morte nel mondo, al mio amico Joseph O'Dell.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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