Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 499 dell'8/3/1999
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(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Tassone, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00339.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, insieme ad altri colleghi, ho presentato questa mozione il 14 gennaio scorso. In essa riteniamo di porre con puntualità tutta la problematica che riguarda la nostra struttura difensiva, con particolare riferimento alla leva.
Nel nostro paese si è discusso per molto tempo su questo argomento, lo si è fatto nel dopoguerra e anche in sede di Assemblea costituente allorché si approvò l'articolo 52 della Costituzione, ma il dibattito su questa problematica ha tenuto sempre desta l'attenzione del paese e delle forze politiche e sociali. Nel dopoguerra il paese si è «attestato» sulla leva obbligatoria ritenendola importante in ottemperanza alla visione strategica difensiva del nostro paese, il cui aspetto fondamentale era la difesa del nord-est del paese. Nell'area occidentale dell'Europa vi era una concentrazione di forze che si contrapponeva alle strutture del patto di Varsavia; era il periodo della guerra fredda, del confronto bipolare a livello internazionale, e non c'è dubbio che la leva avesse un proprio riferimento culturale


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e strategico. Prevaleva l'idea di un esercito di popolo e, secondo alcuni, la nostra Repubblica si reggeva anche su questa idea.
Oggi lo scenario è diverso: non c'è più confronto bipolare, non c'è la guerra fredda, non esiste l'Unione Sovietica, non esiste il patto di Varsavia e le nostre Forze armate hanno assunto, con il passare del tempo, nuovi compiti rispetto al mutato scenario internazionale.
Nel 1978, quando il Parlamento votò la legge sui principi di disciplina militare, si discusse anche della leva e della ristrutturazione delle nostre Forze armate. In quella occasione furono istituiti gli organismi di rappresentanza militare: il Cocer, la rappresentanza militare a livello centrale, il Coir, quella a livello intermedio e il Cobar. Si convenne, in quella occasione, sulla necessità di concentrare gli sforzi sulla leva che poteva rappresentare una grande occasione per il recupero della nostra gioventù. Si riconobbe che il servizio militare doveva avere anche una funzione educatrice e gli organismi rappresentativi dovevano consentire la creazione di relazioni tra le Forze armate ed il paese. Furono aperte le caserme, furono incoraggiati i dibattiti e fu avviato - come si disse allora - un processo di democratizzazione.
Quella legge ha funzionato, almeno nei primi anni, ma le vicende internazionali a cui ho fatto poc'anzi riferimento hanno sbilanciato la normativa rispetto ai nuovi interrogativi, alle nuove domande, alle nuove esigenze e ai nuovi compiti che vedranno impegnate le nostre Forze armate.
Oggi le nostre Forze armate non sono solo una struttura difensiva; esse non hanno soltanto un posizionamento stabile e statico, né hanno soltanto compiti di difesa dei confini.
Le nostre Forze armate svolgono un ruolo impegnativo a livello internazionale: mi riferisco alle missioni all'estero, che hanno visto i nostri soldati assolvere compiti importanti nella difesa e nel mantenimento della pace e per scopi umanitari.
Attualmente il nostro paese è impegnato come e molto più di altri in missioni all'estero sotto l'egida dell'ONU, in sintonia con gli impegni della NATO, dell'OCSE e della UEO: quando facciamo riferimento al Libano, al Kurdistan, alla Namibia, al Mar Rosso, al Golfo Persico, alla Somalia, al Mozambico, all'Albania ed all'ex Jugoslavia, vediamo che le Forze armate sono divenute un punto di riferimento importante della nostra politica estera.
La scorsa settimana, quando abbiamo approvato il disegno di legge sulle missioni internazionali, abbiamo avuto modo di indicare al Governo alcune esigenze: sarebbe bene, infatti, che il Ministero degli esteri - e il Governo nel suo complesso - dichiarasse quali sono stati gli obiettivi raggiunti grazie all'intervento delle nostre Forze armate, per evitare che l'approvazione dei provvedimenti riguardanti le missioni internazionali rappresenti semplicemente un adempimento burocratico amministrativo di approvazione di spese e di distribuzione delle risorse che il nostro paese destina a tal fine.
Oltre alle missioni all'estero, le nostre Forze armate sono state impegnate nell'assolvimento di funzioni di protezione civile: non ricorderò gli eventi drammatici riguardanti calamità naturali, che hanno visto le Forze armate svolgere un ruolo determinante ed impegnativo.
Esse sono state impiegate, altresì, in compiti di supporto ai fini dell'ordine pubblico: mi riferisco alle missioni «Vespri siciliani», «Riace» e «Partenope», che hanno visto i nostri soldati presidiare il territorio con compiti di integrazione e di supporto alle forze dell'ordine.
La domanda che ci poniamo in questo momento è se sia il caso di passare da un servizio di leva ad un servizio professionale e volontario. In merito il Parlamento ha già presentato alcune proposte: voglio ricordare che sul finire degli anni ottanta, la Commissione difesa, allora presieduta dall'onorevole Zanone, svolse una serie di audizioni per individuare un nuovo modello


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di difesa. La nostra esperienza in Commissione difesa era ancora precedente alla presidenza Zanone.
Anche allora avvertivamo l'esigenza di modificare la fisionomia delle nostre Forze armate, di farle uscire da una situazione pressoché incolore e conferire loro quella agilità e quella incisività che esse dovrebbero avere per fronteggiare tutte le richieste che provengono dal paese.
Dicevo, allora, che la Commissione presieduta da Zanone portò avanti un lavoro molto serio, nel quale si avvertiva l'esigenza del nuovo modello di difesa, tradotto poi in termini reali non esaltanti da parte dei vari Governi che si sono succeduti. Questi hanno proceduto all'assunzione di provvedimenti sincopati, provvisori, perdendo di vista la visione organica che invece era necessaria se si intendeva realmente procedere verso una trasformazione in senso moderno del nostro strumento difensivo.
L'interrogativo che ci ponevamo verso la fine degli anni ottanta ce lo poniamo ancora oggi. Riteniamo che per il ruolo che le Forze armate debbono svolgere nel nostro paese non sia più accettabile la leva obbligatoria e che si debba passare immediatamente ad un servizio volontario, professionale. Non ci sembra condivisibile l'ipotesi profilata dal gruppo verde di una riduzione della leva da dieci a sei mesi, che a nostro avviso non avrebbe alcun senso, considerato che è necessario un certo arco di tempo, sia pure minimo, per addestrare i giovani all'attività difensiva.
Se vogliamo sperperare denaro senza ritorno, possiamo anche proporre una riduzione della leva (una volta il partito democratico della sinistra propose di portarla ad otto mesi, ora si parla di sei mesi), ma a nostro modo di vedere questa è una strada sbagliata ed impraticabile. L'onorevole Giannattasio, che è uomo di armi ed è dotato di grande professionalità e serietà, può spiegarlo meglio di me e con dovizia di particolari. Non è però neppure necessario richiamarsi ai grandi generali per capire che prevedere una leva di sei mesi significa investire senza un ritorno e soprattutto senza avere uno strumento militare affidabile, nel momento in cui a livello internazionale ci viene invece chiesto di avere uno strumento militare credibile ed incisivo. Il gruppo verde, comunque, ha ventilato anche l'ipotesi di perlustrare la possibilità del servizio professionale: do atto di questo, anche perché ho constatato un processo di maturazione negli interventi svolti dai membri di questo gruppo - che io apprezzo per le posizioni che assume - in Commissione.
Signor Presidente, l'esigenza di dotare al più presto il nostro sistema militare di nuove realtà sul piano professionale si impone perché la legge sull'obiezione di coscienza è oggettivamente una brutta legge, al di là dell'impegno profuso dalla relatrice e dai colleghi. I giovani preferiscono essere obiettori di coscienza per le facilitazioni che, in questo modo, vengono loro accordate; a ciò, però, non corrisponde un servizio civile che funzioni. Infatti, vi è un aumento di domande da parte di obiettori di coscienza senza che vi sia un servizio civile, lo ripeto, che funzioni. Ciò perché la legge, per quanto riguarda il servizio civile, ha lasciato tutto a metà strada.
I giovani cercano di non fare il servizio militare non perché siano portatori dei valori propri dell'obiezione di coscienza, ma perché ciò consente loro di non andare fuori città e di svolgere, altresì, un servizio più leggero rispetto a quello che spetta ai giovani con le stellette.
Inoltre, registriamo una riduzione dei nati maschi. Ritengo pertanto giusto che anche le donne debbano essere coinvolte nel servizio militare, professionale e volontario.
Pertanto, ritengo sia necessario fare un atto di grande coraggio senza far passare troppo tempo; sia il Governo, sia il Parlamento devono assolvere all'impegno che viene loro richiesto.
Noi abbiamo chiamato il Governo alle proprie responsabilità con la presentazione di questa mozione, chiedendogli di presentare al Parlamento, entro sessanta


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giorni, una relazione in cui vengano definite le modalità per l'urgente abolizione della leva obbligatoria. Il ministro della difesa Scognamiglio, il 3 febbraio scorso - ricordo che la nostra mozione è stata presentata il 14 gennaio -, ha fornito una risposta positiva ai nostri quesiti. Ma quanto previsto dal ministro Scognamiglio ha tempi di realizzazione troppo lunghi: tre o cinque anni. Io penso, invece, che abbiamo bisogno di porre in essere atti concreti in tempi più brevi.
Dobbiamo ristrutturare il nostro apparato militare puntando su indirizzi irrinunciabili: la riduzione quantitativa (si può discutere se sia meglio passare ad un sistema con 213 mila o ad uno con 200 mila uomini che preveda professionisti e volontari a ferma prolungata); la professionalizzazione; l'acquisizione o il rafforzamento di una capacità di intervento esterno; il miglioramento qualitativo (che per noi costituisce l'elemento fondamentale della nostra proposta e che non può produrre effetti nel breve periodo di sei mesi, specie se saremo chiamati a partecipare ad organismi militari a livello europeo); la possibilità di operare in modo combinato e congiunto; l'integrabilità delle strutture di comando interne; l'integrabilità delle strutture di comando in complessi multinazionali ed interforze. Questi sono gli elementi sui quali abbiamo sempre richiamato l'attenzione del Parlamento.
C'è un ultimo aspetto su cui vorrei soffermarmi. Ho letto la mozione presentata dai rappresentanti del gruppo misto verdi-l'Ulivo, i quali hanno una grande preoccupazione in ordine alla spesa. Il ministro ha fatto una previsione di spesa di 350 miliardi l'anno per il completamento della riforma; i colleghi del gruppo verde sono preoccupati per una lievitazione dei costi. In proposito vorrei ricordare, signor Presidente, che il settore della difesa ha un bilancio di 31.500 miliardi, con un «ritorno» rispetto ai servizi e ai benefici - c'è sempre il problema del rapporto tra costi e benefici - del 20-30 per cento. Queste cose le dobbiamo dire al paese!

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, le faccio presente che ha superato il tempo a disposizione e sta utilizzando, diciamo, quello per la dichiarazione di voto.

MARIO TASSONE. Ho finito, signor Presidente.

PRESIDENTE. Gliel'ho detto perché lei possa regolarsi.

MARIO TASSONE. Indubbiamente dovremo contenere i costi ma non in termini nominali, perché ciò che è importante è soprattutto raggiungere un equilibrio tra i costi e i benefici.
Se andremo in questa direzione, potremo allora avere uno strumento credibile, più snello, quantitativamente più limitato e controllato e capace di darci una credibilità a livello internazionale.
Signor Presidente, è quanto volevamo dire con la nostra mozione. Il mio gruppo presenterà una propria risoluzione anche se ci auguriamo che nel dibattito sia possibile intenderci con gli altri gruppi e arrivare una risoluzione unitaria, che consenta al Governo di operare in tempi rapidi, per corrispondere alle attese del paese, soprattutto a quelle dei giovani, al fine di essere credibili, come dicevo poc'anzi, a livello internazionale relativamente al nostro impegno a favore dello strumento difensivo e delle nostre Forze armate che debbono avere un diverso riconoscimento e una diversa collocazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paissan, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00352.

MAURO PAISSAN. Presidente, il dibattito che abbiamo appena avviato qui in aula sulle mozioni riguardanti il servizio di leva in genere e l'organizzazione delle nostre Forze armate fa seguito ad una discussione già avviata in seno alla Commissione difesa, in questa legislatura; non dispongo delle informazioni necessarie per interloquire con il collega Tassone in


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ordine ai lavori svolti in seno alla Commissione difesa nelle precedenti legislature.
La discussione svoltasi in Commissione alla presenza del ministro della difesa Scognamiglio ci consente di svolgere in questa sede interventi sintetici. Parlerò quindi seguendo la traccia della mozione che ho presentato insieme al collega Leccese.
Partirò da alcune premesse, da alcuni dati di fatto concernenti aspetti della realtà, da alcuni punti fermi ai quali va, a nostro avviso, collegata la scelta tra la conferma del modello attuale, che è misto (una parte dell'esercito è professionale e l'altra è di leva), e quella (che attualmente è maggioritaria, almeno nel panorama europeo, anche se non raccoglie la totalità dei consensi, visto che vi sono alcuni paesi importanti, come la Germania, che non prevedono questa scelta) ...

MARIO TASSONE. È stata programmata.

MAURO PAISSAN. ...di un'integrale professionalizzazione delle Forze armate.
Partirò dunque da una premessa più data per acquisita soprattutto tra i giovani chiamati ad adempiere il servizio di leva e tra i quadri delle stesse Forze armate. L'inutilità del servizio di leva così come oggi è configurato è evidente anche rispetto ai compiti, in parte nuovi, che le Forze armate sono chiamate a svolgere.
Il servizio di leva è vissuto dai giovani italiani come un inutile spreco di energie, di tempi di lavoro e di vita. E allora, mentre discutiamo sulla riforma del servizio di leva e valutiamo la possibilità di giungere ad un'integrale professionalizzazione, riduciamo questo inutile spreco, o meglio, quello che è ritenuto un inutile spreco dai giovani che svolgono tale servizio e dai quadri che devono gestirlo e controllarlo! Da questa considerazione, onorevole Tassone, parte la nostra richiesta di ridurre, per ora, a sei mesi il servizio di leva. Ciò non deve costituire un modello di organizzazione delle nostre Forze armate, ma può rappresentare una misura immediata per non prendere in giro i nostri giovani.
Perché i giovani che stanno per essere chiamati oggi, l'anno prossimo, o fra due, tre o cinque anni al servizio di leva (comunque, fino a quando l'integrale professionalizzazione non andrà a regime) dovrebbero continuare a svolgere dieci mesi di servizio, con la prospettiva che i loro compagni un po' più giovani potrebbero non fare neanche un giorno? Ciò ci appare poco gestibile e, per questo, chiediamo un'immediata riduzione della durata della leva obbligatoria.
Una seconda valutazione riguarda l'obiezione di coscienza operata da molti giovani che scelgono il servizio civile. Non so quali elementi di conoscenza abbia il collega Tassone; conosco molti giovani obiettori che svolgono un servizio utile in associazioni per handicappati, presso i comuni, i beni culturali, le associazioni ambientaliste e le famiglie. Il servizio civile deve essere rispettato perché è una delle forme - lo dice la Corte costituzionale - di applicazione di quel dovere di servizio alla patria, che è sancito dall'articolo 52 della nostra Costituzione.
Una terza premessa (la prima - lo ricordo - è l'obbligo di leva; la seconda, la valorizzazione dell'obiezione di coscienza) da cui partiamo nella nostra mozione riguarda la necessità di un ridimensionamento dell'attuale struttura delle forze armate. Le attuali dimensioni, infatti, fanno seguito ad una fase politica che non esiste più, quella della guerra fredda, che ha portato a strutture inutilmente mastodontiche, burocratiche, dispendiose e, in ultima analisi, anche inefficienti, con un numero abnorme di quadri.
Il ministro Scognamiglio, in Commissione, parlando della scelta integralmente volontaria e professionale, ha citato numeri che rimangono altissimi, sempre superiori alle 200 mila unità, seppure di poco inferiori alle dimensioni attuali. È una dimensione del tutto esagerata, perché si va verso la necessità di una sempre più larga integrazione delle nostre forze armate alla dimensione europea.


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Non possiamo predicare, parlare o «cianciare» di Europa e poi, per quanto riguarda le forze armate, dire che ogni paese deve avere un esercito integralmente autosufficiente. Se andiamo realmente verso l'Europa, dovremo giungere ad un'integrazione europea anche delle forze armate.
Un ulteriore dato di realtà è che proprio il tipo di impegni militari richiesti ed attuati dalle nostre Forze armate, impegni internazionali sollecitati da organismi anch'essi internazionali, dall'ONU o da altri enti sovrannazionali, esige una preparazione professionale più elevata rispetto all'obbligo di leva: più elevata dal punto di vista militare, ma anche da quello culturale. Se partecipo ad una missione in Africa, nella ex Jugoslavia o altrove, ovviamente, ho bisogno di conoscere gli aspetti sociali, culturali, forse anche linguistici ed antropologici della realtà con cui vengo a contatto, conoscenze che certo è difficile trasmettere a chi fa sette o dieci mesi di servizio di leva. Da qui deve derivare la necessità di una nuova e maggiore professionalità delle future Forze armate. Peraltro, a mio avviso, la maggiore qualità si abbina alla necessità di un possibile, drastico ridimensionamento numerico delle stesse Forze armate. Tutto ciò - per noi questo è un aspetto importante - deve avvenire senza ulteriori aumenti di spesa. Non è a mio parere tollerabile, né economicamente e finanziariamente, né dal punto di vista politico e dell'opinione pubblica, un aumento degli investimenti in questo settore. Se dal punto di vista numerico riduciamo l'entità delle Forze armate, possiamo avere una loro maggiore qualificazione senza superare gli attuali livelli di spesa.
L'ultima premessa riguarda il tipo di incentivi da introdurre per la parte volontaria delle Forze armate (questo discorso, peraltro, assumerebbe valore ancora maggiore se dovessimo andare verso una organizzazione integralmente volontaria e professionale delle Forze armate).
Quello degli incentivi è un discorso assai delicato, perché attraverso una misura del genere non possiamo creare scompensi e penalizzazioni nel mercato del lavoro giovanile. In una situazione di fame di occupazione e di lavoro, non possiamo creare un canale superprivilegiato di accesso ad alcuni posti del pubblico impiego. Ciò per una questione di giustizia nei confronti di altri giovani ed anche per un problema che riguarda le pari opportunità. È infatti evidente che, pur prevedendo noi la possibilità di avere donne soldato, queste saranno una parte minoritaria nell'organizzazione complessiva, sicché l'accesso privilegiato continuerà a riguardare, in particolare, i maschi in cerca di occupazione.
Vi è poi un discorso che potremmo chiamare politico-culturale, perché non so se sia bene che in un paese chi accede alla Polizia di Stato, alla Guardia di finanza, alla polizia carceraria, in genere al pubblico impiego, debba necessariamente venire da un'esperienza di servizio militare, che determina anche un certo atteggiamento culturale in senso generale verso la realtà sociale. Dobbiamo stare molto attenti, dunque, all'uso di questi incentivi e, se dobbiamo introdurne, io preferisco incentivi di tipo economico, consistenti cioè nel pagamento, ad un certo livello, di questo tipo di servizio. Ritengo quanto meno ambiguo l'utilizzo dell'incentivo dello sbocco professionale. Per le motivazioni che ho appena illustrato ritengo sbagliato insistere su questo aspetto per indurre un giovane a svolgere un servizio di leva che, di per sé, non è particolarmente attraente.
Partendo da queste premesse invitiamo il Governo ad assumere alcuni impegni, affermando - ha ragione a sottolinearlo il collega Tassone - che noi non abbiamo una preclusione di tipo ideologico verso la prospettiva di una professionalizzazione dell'esercito di leva. Noi vogliamo fare una scelta politica, di merito, valutando gli aspetti, i pro ed i contro. Non partiamo da un atteggiamento culturale - che riteniamo vecchio - di osanna nei confronti del cosiddetto esercito di popolo, della componente popolare all'interno delle Forze armate.


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PRESIDENTE. Onorevole Paissan, desidero avvertirla che lei disponeva complessivamente di quattordici minuti, comprese le dichiarazioni di voto, e che ne ha già consumati dodici. Lo dico nel suo interesse, per consentirle di svolgere compiutamente il suo intervento.

MAURO PAISSAN. Signor Presidente, la ringrazio della sua comunicazione, senz'altro utile.
Ripeto, non abbiamo alcuna preclusione di tipo ideologico verso l'eventuale scelta della professionalizzazione, ma chiediamo al Governo un impegno preciso, ossia di presentarsi in Parlamento entro un certo tempo, sessanta o meglio novanta giorni - coincidenti con l'attuale fase politica -, con un piano di ridimensionamento e di riorganizzazione delle Forze armate che preveda un immediato vantaggio per i giovani e la riduzione dell'obbligo di leva. Tale piano deve prevedere le due ipotesi della conferma del sistema misto attuale, con la riduzione del periodo di leva, e dell'integrale professionalizzazione. Per ciascuna di esse si devono indicare le previsioni di spesa e le condizioni di professionalità del servizio, ovviamente in relazione alle nuove finalità che le Forze armate hanno nelle mutate condizioni internazionali in cui devono operare.
Sulla base di tali informazioni il Parlamento potrà deliberare, potrà scegliere, anche esaminando le cifre indicate dal ministro in Commissione. Tali cifre devono essere note all'intero Governo e dunque non devono essere a disposizione solo del Ministero della difesa ma anche del Ministero del tesoro; penso, infatti, che tali cifre siano sottostimate relativamente al reale costo della professionalizzazione.
Infine, signor Presidente, un'attenzione particolare va prestata al servizio civile, che oggi viene svolto da obiettori di coscienza, ossia da giovani che non ritengono di servire la patria in divisa. Venendo a mancare l'obbligo di leva, ovviamente, tale servizio non ci sarebbe più, mentre noi dobbiamo non soltanto mantenerlo, ma anche valorizzarlo e potenziarlo. Dobbiamo valutare, quindi, l'opportunità di prevedere anche per il servizio indicato le agevolazioni e gli incentivi di cui si parla per il servizio di leva, così da favorire l'attività che ragazzi e ragazze dovessero decidere di svolgere per un certo tempo al servizio del paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gasparri, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00354. Ne ha facoltà.

MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, colleghi, la prima considerazione contenuta nella nostra mozione riguarda il fatto che la destra politica, sia alla Camera sia al Senato, fin dal 1978 ha presentato proposte di legge affinché si passasse all'esercito professionale e si abbandonasse totalmente la leva obbligatoria. Avevamo anticipato, quindi, di ventun'anni un dibattito che si fa sempre più attuale alla luce delle prese di posizione - recenti e tardive - del Governo in carica e di alcuni settori politici che in passato hanno avversato duramente questa trasformazione delle Forze armate - mi riferisco alla sinistra - e che oggi, invece, dimostrano una maggiore apertura ed un maggior realismo.
Ripeto, ci sono voluti ventun'anni, e anche quello di oggi non è un dibattito decisivo; al riguardo, desidero ringraziare il collega Tassone che, avendo presentato per primo una mozione in materia, ha offerto a tutti l'occasione per riflettere e discutere ulteriormente.
Mi auguro che la discussione che stiamo svolgendo, che si concluderà con una votazione, possa sollecitare delle decisioni. Personalmente dirò qualcosa sulle motivazioni che ci spingono a sostenere l'ipotesi dell'abolizione della leva e dell'adozione di un sistema basato esclusivamente sul volontariato e sulla professionalizzazione della struttura militare, ma credo che sulle motivazioni si sia parlato talmente tanto che anche i non addetti ai lavori possono essersi fatti un'idea, al di là di quella facile da comprendere per i


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giovani relativamente alla cessazione di un obbligo francamente vissuto male; non è questo, però, il nostro scopo principale. Il problema è quello di arrivare al tempo della decisione. Quando, il 3 febbraio, l'attuale ministro della difesa Scognamiglio si è recato presso la Commissione difesa ad illustrare una posizione innovativa del Governo, che ha annunciato la presentazione di una proposta che prevede l'abolizione totale della leva e il passaggio ad un esercito di volontari, superando la concezione del modello misto, come obiettivo tendenziale (lasciamo perdere le transizioni che tutti sappiamo necessarie). Ebbene, alla mia domanda, riportata nel resoconto, con la quale chiedevo se vi sarebbe stata una proposta del Governo, egli ha risposto che sarebbe stata presentata dopo 15 giorni, senza fornire altre indicazioni. Pur tenendo conto dell'ambiguità della seconda parte della risposta, non si può non rilevare che sono passati 34 o 35 giorni, cioè più del doppio del termine indicato.
Per carità! Noi aspettiamo dal 1978, non sto qui a scandalizzarmi delle due settimane di ritardo rispetto al termine indicato dal Governo. Del resto, il ministro Scognamiglio non sa nemmeno lui se deve fare il ministro oppure no, né sa che gruppo appartiene, se di maggioranza oppure no.
Quando il ministro venne in Commissione difesa per l'audizione era reduce, ospite di Lerner, da una performance televisiva - che io mi ero permesso di ricordare - dove aveva affermato che pensava di dimettersi l'indomani. Perciò io gli chiesi chi fosse il ministro della difesa, non perché non fosse in carica, ma per conoscere le sue intenzioni.
Anche se in questo momento io non so se il ministro Scognamiglio continuerà o meno a ricoprire la carica di ministro della difesa, io dico che è tempo di decidere in merito a tale questione.
Le proposte che tutti abbiamo nuovamento avanzato prevedono un'ampia delega al Governo; anche la nostra è di tale tenore. In particolare, la nostra non è una proposta che scolpisce nel marmo come e cosa si debba fare: ci sono problemi di costi, di transizione, di rispetto di trattati internazionali (e quanto si discute in questi giorni di trattati internazionali anche per le ricadute giudiziarie spiacevoli e dolorose per tutti!) ma dobbiamo sapere dal Governo, come istituzione, nella sua continuità, che cosa si debba fare.
Il ministro Scognamiglio ha detto qualcosa, parlando della cifra di 350 miliardi di costi annui. Egli ha anche specificato che non si tratta di un costo definitivo ma di un costo che deriva dalla trasformazione che è già in atto, e alla quale stiamo assistendo, che prevede un maggior ricorso ai volontari ed una riduzione del ricorso alla leva. Egli dunque ha fatto riferimento, più che altro, alle trasformazioni in atto per quanto riguarda i costi. Personalmente, ritengo che essi siano maggiori e quindi i colleghi della sinistra e i verdi potrebbero trarre motivi di ulteriore perplessità.
Diciamo le cose come stanno: costituire un esercito professionale volontario non significa soltanto abolire la leva obbligatoria e cercare dei volontari, ma pagarli! All'obiezione che vi entrerebbero solo gli sfaccendati si risponde che, pagando i volontari, vi sarebbero molte persone disponibili a quell'impiego. I concorsi di arruolamento per la Polizia di Stato o nell'Arma dei carabinieri, del resto, sono eventi ormai biblici, poiché si presentano 4 o 500 mila persone per poche migliaia di posti perché c'è uno stipendio, anche se - come sanno bene gli agenti e i carabinieri dopo l'ultimo rinnovo del contratto - non è uno stipendio favoloso e si tratta di un'attività assai più rischiosa, mediamente, di quella che potrà essere l'attività militare volontaria, salvo quella relativa alle missioni internazionali, che eventualmente dovrà essere doppiamente volontaria.
Occorre dire con chiarezza che vi sono dei costi da affrontare. Non basta abolire la leva e istituire i professionisti, ma bisogna anche attrezzare tecnologicamente le forze armate!
Cari colleghi della sinistra, è inutile che scantoniamo nell'utopia! Apprezzo di più


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il realismo dell'obiezione antica - che nessuno fa più - dei golpisti e della monade chiusa e delle forze armate che diventano un pericolo per la democrazia. Nessuno sosterrebbe oggi degli argomenti che peraltro fino all'altro ieri o fino a ieri sono stati sostenuti, perché farebbero ridere. Dobbiamo però avere anche il coraggio di comprendere che l'uso della forza è una delle eventualità che la comunità internazionale si pone. Quando si deve far cessare un conflitto, certamente si possono mandare obiettori di coscienza - come sono andati nei territori della ex Jugoslavia - ed autorità religiose come quelle cattoliche (in altre parti del mondo ve ne sono altre che lanciano appelli) ma - ahimè! - questo non basta ad impedire i conflitti e quindi è necessario l'uso legittimo della forza, cosa che anche la sinistra ha iniziato a comprendere.
Si potrà poi discutere se il caso iracheno sia giusto oppure no, se il blocco totale sia giusto o no; tuttavia, anche nella carneficina della ex Jugoslavia e nell'attuale situazione del Kosovo ci troviamo di fronte a situazioni che non si possono dirimere solo con gli appelli, anche se ciò sarebbe molto meglio. Chi è contrario a risolvere i conflitti militari o interetnici con un semplice appello o con un fax piuttosto che inviando dei militari?
Premesso che siamo tutti d'accordo su questo, l'uso legittimo della forza è un'eventualità che nella comunità internazionale si pone. L'Italia, dagli anni ottanta ad oggi, ha partecipato ad una serie di missioni: non le elenco, perché non ho con me tutti i dati, ma ricordo, per esempio, la missione in Libano dei primi anni ottanta. Fu una missione importante e il suo comandante, il generale Angioni, acquisì una fama che lo porta tuttora ad essere richiamato, per così dire, in servizio, per occuparsi della questione albanese o di altri problemi, anche se non più con funzioni strettamente militari. Vi sono stati anche parlamentari che hanno avuto un'esperienza militare, per esempio il qui presente onorevole Giannattasio, che hanno seguito, dal Libano in poi, tante missioni. Ma vi è stata anche la partecipazione a conflitti: l'Italia, in Iraq, ha partecipato ad una guerra, anche se poi il nostro è uno strano paese nel quale tutti si commuovevano chiedendosi se Cocciolone sarebbe tornato a casa tutto intero oppure ferito. Un paese, però, deve anche correre dei rischi, se ritiene che a volte l'uso della forza possa servire a ripristinare la pace e il diritto.
Nessuno, in questa sede, è un guerrafondaio: non siamo qui ad urlare con Marinetti: «Guerra sola igiene del mondo»! Per carità, restino nei libri di letteratura queste invettive; tuttavia tale eventualità esiste. L'Italia, allora, si attrezzi: ogni qualvolta siamo chiamati a partecipare alle missioni internazionali, dal Libano all'Iraq, passando per il Corno d'Africa e tutto il resto, si pone il problema se servirsi di tre o quattro reparti, oppure si sollevano le polemiche, perché i militari della Folgore userebbero metodi un po' troppo drastici (recentemente si è proceduto ad un ulteriore accertamento della verità, anche da parte del generale Vannucchi, e si è giunti ad un ridimensionamento delle accuse). Riteniamo allora che servano Forze armate volontarie e professionali per avere uno strumento che ci metta in grado di partecipare alle missioni, augurandoci poi, naturalmente, che non ve ne sia bisogno e che non vi siano guerre nel mondo. Tuttavia, ahimè, ve ne sono ed allora occorre qualità ed occorrono investimenti, perché non bastano i volontari ed occorre segnalare che sono necessari, per esempio, anche gli aerei. Abbiamo poi bisogno di sistemi di puntamento moderni e di mille diavolerie necessarie per un'azione deterrente: chi le ha può indurre chi non le ha ad astenersi da comportamenti violenti.
Dobbiamo quindi procedere ad investimenti massicci e penso che non bastino 350 miliardi all'anno, ma che ne serviranno altri: diciamolo chiaramente! Chiediamo anche questo, quindi, con la nostra mozione e vogliamo, per esempio, avere un'indicazione sui tempi. Il ministro Scognamiglio ha indicato un termine di quindici giorni, che però è scaduto, sottosegretario


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Rivera! Con la nostra mozione, siamo disposti ad accettare un termine più lungo, perché, ripeto, aspettiamo da ventuno anni e non si tratta di un problema di qualche settimana: suggeriamo quindi trenta giorni mentre altre mozioni ne prevedono sessanta. I colleghi, però, sono ottimisti sulla durata del Governo: noi abbiamo previsto trenta giorni per prudenza, visto il contesto politico così variabile. Vogliamo dunque sapere quali siano le intenzioni reali per un'esigenza del paese che si può definire bipartisan, con un termine che non mi piace ma che viene frequentemente utilizzato.
D'altronde, si perde tempo rispetto a varie proposte di legge: noi abbiamo contrastato la legge sull'obiezione di coscienza e si dirà che abbiamo fatto perdere tempo e che si poteva votare prima, ma io chiedo: a che serve? Noi vogliamo abolire l'obbligo della leva e, se lo si abolisce, non vi è più l'obiezione. Chi vuole fare volontariato, assistere gli anziani e i poveri, deve poterlo fare ma in base ad altre leggi, che lo Stato deve approvare, sul non profit, sulla detassazione delle spese, sugli spazi per le amministrazioni locali e su tutto ciò che si deve fare per aiutare chi fa volontariato. Non si deve, però, dare manovalanza gratis, per esempio cento obiettori: quale competenza, quale vocazione, quale sentimento hanno? Al riguardo ho sempre ironizzato, osservando che, se avessi un nonno anziano, non lo affiderei ad un obiettore che vuole fare l'assistenza agli anziani se non è preparato e capace, perché altrimenti, probabilmente, me lo farebbe andare sotto le macchine facendolo passare con il rosso.
Attenzione, quindi: il volontariato è una cosa seria, parlo del volontariato civile, religioso o laico che sia; non può diventare un obbligo per chi non vuol fare il servizio militare di leva! Questa è stata la battaglia relativa alla legge sull'obiezione di coscienza, che noi abbiamo contrastato.
Tuttora si parla del servizio civile e voglio essere molto chiaro al riguardo: vogliamo l'abolizione della leva obbligatoria e qualcuno non si illuda di poter istituire un servizio civile obbligatorio, al quale sono nettamente contrario. Dobbiamo agevolare, come ho detto poc'anzi, tutte le forme di volontariato sociale, ma questo è un altro discorso: nel corso del dibattito in Commissione bicamerale, per esempio, abbiamo insistito sul concetto di sussidiarietà ed abbiamo visto una sinistra poco attenta o alcuni settori del centro avanzare alcune proposte e poi tirarsi indietro. Lo Stato, però, da certi ambiti si può ritirare: per quanto riguarda la tossicodipendenza, per esempio, funzionano meglio i SERT o le comunità terapeutiche? Ci sarà pure qualche SERT che funziona bene e qualche comunità che funziona male, ma credo che, mediamente, la storia italiana dimostri che la burocrazia pubblica non è stata in grado di dare quelle risposte che spesso, in un campo importante della vita sociale, sono venute dal volontariato laico e cattolico. Lei, d'altronde, sottosegretario Rivera, conosce queste realtà come e forse meglio di me.
Penso, allora, che dobbiamo evitare di confondere i due ambiti. È all'esame del Senato un disegno di legge sul servizio civile: che fine deve fare? Lo vogliamo archiviare o ritirare, visto che vi è stata anche una discussione caotica? Alla Camera discutevamo dell'obiezione di coscienza, al Senato era stato presentato un progetto di legge sul servizio civile, nel frattempo maturava il dibattito sull'abolizione della leva: allora, azzeriamo il contatore, cari colleghi! Le proposte più o meno ci sono, serve l'acquisizione di una coscienza per gli obblighi internazionali, al fine di eliminare l'obbligo di leva, oggi inutile, e raggiungere gli standard qualitativi necessari. È inutile parlare di quattro o di sei mesi di durata del servizio di leva, collega Paissan: occorre semmai una formazione di quindici giorni, perché se l'Italia dovesse essere invasa dai marziani, qualcuno deve pur sapere da quale parte del fucile escono i colpi. Tra l'altro, nel caso di conflitti che davvero coinvolgessero il nostro territorio, prima ancora di


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rendersene conto, scoppierebbero bombe che annienterebbero la vita umana e tutte le nozioni apprese sarebbero inutili. Occorre guardare la realtà, compresi i rischi; non ha senso nemmeno l'idea di una mobilitazione popolare perché le guerre napoleoniche non esistono più e mi auguro non ve ne siano altre di nessun genere. Gli schieramenti armati, che si scontrano frontalmente, esistono forse solo in Barry Lindon di Stanley Kubrick. Prima citavo la guerra dell'Iraq, nella quale l'Italia si impegnò con gli aerei, così come tutte le altre forze armate mondiali: anche in quel caso non si sono visti i fanti che attraversavano il deserto!
Altro sono la coscienza di appartenenza ad una nazione ed il sentimento nazionale, che si sviluppano attraverso la lingua, la cultura, la scuola, e che devono essere difesi. Il servizio di leva obbligatorio ha svolto sicuramente una funzione storica e sociale perché per molti rappresentava l'unica esperienza di vita; in passato non esistevano gli aerei, né i treni pendolini, non c'era la televisione, né Internet ed il cinema era un evento. Oggi lo studio delle lingue e quant'altro non rende più necessario quel rito quasi iniziatico della vita civile, che era il servizio di leva. A volte, da zone di campagna o di montagna, si partiva per fare il servizio militare che era, se non l'unica, la più importante avventura nella vita di una persona. Oggi, la situazione si è modificata, non so se in peggio o in meglio, forse in peggio, ma il «piccolo mondo antico» non torna più, anche se qualcuno lo volesse. Oggi da casa ci si connette con qualsiasi banca dati del mondo ed anche un bambino di cinque anni può avere addirittura un surplus di notizie.
Tuttavia, oggi non dobbiamo discutere di questo; chiediamo, invece, al Governo dati, precisazioni, quantificazioni di costi, intenzioni reali, possibilità di dismissioni. Ho parlato dei costi per essere sincero relativamente alle implicazioni di adeguamento tecnologico, di acquisto di mezzi, di modernizzazione della marina e dell'aeronautica, ma ci sono cose che il paese deve fare, a meno che non si dica che non abbiamo strutture e non ci vogliamo difendere. Non ci si venga a dire, poi, che non devono esistere le basi americane in Italia: o deleghiamo ad altri la nostra difesa, facciamo un bel leasing con gli americani o qualche altro popolo, oppure ci facciamo carico della quota non solo di difesa del suolo, ma di partecipazione alla politica attiva, di polizia internazionale, come è stata definita. Riteniamo che si debba finalmente voltare pagina. Tutto ciò fa parte di una discussione nella quale non si può essere ecumenici perché riguarda il nostro ruolo di nazione, in un'epoca in cui si parla di Europa, di globalizzazione.
Ho citato missioni compiute sotto l'egida delle Nazioni Unite, o comunque di cartelli di nazioni (anche le operazioni in Albania che ci hanno visto molto impegnati erano portate avanti da cartelli anche occasionali di paesi più interessati di altri). L'Italia non può non essere all'altezza delle sollecitazioni della comunità internazionale - per fortuna non si fanno più le classifiche delle potenze mondiali, altrimenti Ciampi avrebbe da ridire sulle amare verità che ogni tanto Fazio ci ricorda - visto che è una nazione che svolge un ruolo nel contesto internazionale: abbiamo ambizioni, tradizioni e storia. Dobbiamo partecipare con strumenti adeguati, senza aggressività, senza eserciti professionali, per imporre chissà cosa ad altri; dobbiamo fare una politica di pace e di presenza nel Mediterraneo.
Discutiamo spesso del caso albanese in questa sede: a volte anche mettere a disposizione di quel paese forza legale, d'accordo quel Governo, serve ad evitare che si realizzi una Colombia nel Mediterraneo. Tutti abbiamo contatti con i politici albanesi, sia di governo, sia di opposizione, socialisti e democratici e conosciamo la situazione precaria di quel paese. I nostri soldati si vedono portar via scafi e gommoni dai banditi e da altri; ritengo che sarebbe opportuno, invece, contribuire alla crescita civile dell'Albania, utilizzando una forza di legalità. Esiste, quindi, un problema di ruolo e di interesse nazionale. Tempo fa Jean Le Jean,


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presso il centro studi della difesa, aveva promosso un convegno sul concetto di interesse nazionale, difficile ed oggi labile. Tuttavia, anche oggi, nell'epoca dell'Europa e della liberalizzazione, alla quale mi dichiaro ancora una volta favorevole, i tedeschi, i francesi ed altri guardano al loro interesse nazionale. La competizione si sposta, quindi, sui sistemi nazionali in una coesistenza europea.
Può sussistere, quindi, l'interesse nazionale come quando, ad esempio, tanti anni fa De Benedetti ha cercato di scalare la Société Générale de la Belgique ed il Belgio ha messo in campo perfino la monarchia per difendere il suo scrigno o quando la Pirelli voleva comprare la Continental. Invece, da noi non si sa cosa succederà della Telecom, se i telefonini della Olivetti diventeranno tedeschi o chissà cosa.
Non vogliamo autarchie, né accostare gli eserciti e le Forze armate all'economia. Tuttavia, nella nozione di interesse nazionale vi è un progetto della nazione sul fronte dell'economia e dei settori produttivi che vanno incoraggiati e stimolati ed anche sulla disponibilità di uno strumento militare che non offenda e minacci nessuno, ma che la renda credibile.
In un mondo completamente pacificato, senza conflitti, integralismi, fondamentalismi, terrorismi e follie arriveremo a mettere fiori nei nostri cannoni, come si raccontava nelle canzoni trenta anni fa, e a chiudere completamente e definitivamente le caserme, a fondere gli aerei e le navi e farne strutture per il cemento armato, che servirà a costruire case, scuole e biblioteche. Ma, ahimè, purtroppo l'opzione della forza fa parte della storia dell'umanità: anche Caino e Abele erano due e uno se la prese con l'altro, pur avendo tanto spazio e tante occasioni per crescere sereni insieme, ma nella natura umana - così ci insegnano le scritture - è sempre insita una spinta alla violenza.
Riteniamo, quindi, che si debba respingere tale istinto, ma anche essere attrezzati, come nazione, ad affrontare le emergenze internazionali con strumenti adeguati: è questo il senso, caro rappresentante del Governo, della nostra rinnovata iniziativa, cioè di questa mozione che vuole stanare, colleghi, le posizioni di tutti.
Alcune mozioni vanno in questa direzione: non parlo, ovviamente, solo di quella dell'onorevole Tassone e di altri colleghi, che per prima ha rinnovato l'occasione di confronto, ma anche di quella dei democratici di sinistra, che in qualche modo apre alla questione, dando tre mesi di tempo, con un ottimismo ancora maggiore da parte dei DS (ma ci mancherebbe che il gruppo parlamentare di D'Alema non fosse ottimista sulla durata del Governo!
Tuttavia, non si capisce cosa significhi l'istituzione del servizio civile volontario e vorremmo che fosse fatta chiarezza in proposito. Noi vogliamo parlare dell'obbligo della leva che finisce e di un esercito volontario; per quanto riguarda i servizi civili volontari, esiste l'associazionismo: perché lo Stato deve pervadere tutto e tutti? Lo Stato aiuti il volontariato, le strutture, il territorio, i comuni e le regioni. Non siete più federalisti, decentratori, fautori della sussidiarietà?
Si vuole creare una struttura burocratica nazionale, cioè il servizio volontario nazionale, che fornisca gratuitamente volontari a chi è amico del Governo di turno, ma i Governi cambieranno prima o poi. Parliamo, quindi, anche contro il nostro futuro interesse, perché non governerete sempre e soltanto voi: qualche volta potrà capitare perfino a noi.
Riteniamo che in tale settore lo Stato debba regolare, creare spazi ed occasioni, fornire incentivi economici, ma non decidere con il servizio nazionale chi sia un volontario sociale adeguato e quali strutture debbano avere il permesso necessario. Ci sembra che si tratti di un approccio sbagliato e contrario al concetto stesso di volontariato sociale.
Vi chiediamo, quindi, di superare queste utopie e di rinunciare all'obiezione di coscienza, perché ci avete fatto perdere due anni con quella legge che non serve a niente. Se anche voi volete l'abolizione


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della leva, a cosa serviva quella legge, ce lo volete dire? Era una bandierina ideologica, cari colleghi della sinistra, perché si erano delusi gli elettori della sinistra per i tanti traguardi non raggiunti, come quello dell'occupazione che, con tanti governi di centro-sinistra - D'Alema si è giustamente richiamato ad una continuità dal Governo Ciampi ad oggi; quindi, tranne sei mesi di interruzione, è stato sempre dominante il centro-sinistra negli ultimi anni in Italia -, non si è riusciti a creare.
La situazione non è certamente migliorata in relazione agli obiettivi strategici e storici della sinistra e, quindi, si è data questa bandierina dell'obiezione di coscienza ed il popolo della sinistra è contento, ma che cosa ha ottenuto, a che serve? È una cosa del passato, mentre noi vi diciamo di guardare avanti, di andare oltre questi retaggi.
Se la leva obbligatoria è superata, lo è anche l'obiezione di coscienza e le battaglie pacifiste in suo favore sono superate dal realismo, anche da quello del Governo attuale. Non mi pare, infatti, che il Presidente del Consiglio D'Alema in certe vicende - le ha gestite tutte male, per la verità: da quella di Ocalan a tante altre, come quella irachena - parli con il linguaggio che usava dieci anni fa, perché le responsabilità di Governo, i trattati internazionali e le crisi che si verificano, in un luogo o nell'altro, obbligano almeno ad un linguaggio e ad un'apparenza diversi, mentre la sostanza è quella che sappiamo (lungi da me giudicarla positivamente). Tuttavia, le responsabilità costringono ad una maggiore dose di realismo.
Concludo perché mi sembra che rimangano ancora pochi minuti per le dichiarazioni finali...

PRESIDENTE. Se vuole riservarli per la replica...

MAURIZIO GASPARRI. Chiedevo solo alla Presidenza di indicare il tempo residuo per ulteriori interventi.
Riteniamo che finalmente sulla questione si debba giocare a carte scoperte. Abbiamo accolto con favore le dichiarazioni del ministro Scognamiglio; siamo indulgenti sul termine non perentorio. Si fa riferimento ad un'audizione in Commissione, figuriamoci! Basti pensare che in Italia non valgono neppure le sentenze definitive (vedi caso Sofri) e si ridiscute tutto, figuriamoci se può essere intesa come legge una presa di posizione di un ministro in Commissione! Diciamo chiaramente quello che vogliamo fare.
Ritengo che sia una riforma istituzionale, civile e morale, molto importante, forse più di tante altre, perché riguarda la vita del paese. Una risposta comunque va data ai ragazzi.
Mi fermo qui perché bisognerebbe parlare dell'obbligo della leva, di chi fa il militare e di chi no, degli esuberi...

MARIO TASSONE. Di quelli che stanno a cento chilometri!

MAURIZIO GASPARRI. ...di quelli che stanno a cento chilometri, di quelli che fanno i ricorsi al TAR. È diventata una buffonata! Come tanti politici, vengo investito del problema di coloro i quali prestano servizio militare a 180 chilometri da casa ma, per la verità, non prendo a cuore questi casi perché dieci mesi lontani da casa sono sopportabili. La legge prevede il ricorso al TAR, per cui si è creata una situazione davvero penosa, mentre noi dobbiamo rispettare la funzione militare, altrimenti sarebbe meglio chiudere baracca e burattini, come si suol dire.
Proprio perché abbiamo rispetto delle istituzioni militari, non vogliamo guerre ma vogliamo che esse siano a presidio della pace internazionale, le vogliamo modernizzare, riqualificare, cambiare. È una grande scelta di modernizzazione del nostro paese che è in ritardo rispetto a quasi tutto il mondo. La Spagna che ci ha superato in tanti aspetti - come scoprì Prodi quando dovette rifare i conti in una nottata - ci sta superando sulle politiche della sicurezza e su quelle militari. Tralascio tutti i paesi che ci stanno «staccando» da anni ed anni. Chiedo buon senso e concretezza, carte scoperte anche


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da parte del Governo. Facciamo una buona riforma: occorreranno anni per attuarla ma, se non si parte, non si arriva mai!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Chiavacci, che illustrerà anche la mozione Ruffino n. 1-00356, di cui è cofirmataria.

FRANCESCA CHIAVACCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, illustrerò brevemente la mozione di cui sono cofirmataria perché sul tema interverranno anche altri miei colleghi di gruppo. Le premesse della mozione concordano con quelle svolte dai colleghi di altri gruppi, la prima delle quali è che la discussione di queste problematiche non debba essere assolutamente sottovalutata ma che debba rappresentare un momento molto importante del lavoro parlamentare. Ecco il motivo per cui abbiamo pensato di ricorrere ad una mozione da discutere in aula e piuttosto che a una discussione in Commissione su proposte di legge che peraltro prevedono deleghe al Governo. Siamo convinti infatti della necessità di dare a questo dibattito una risonanza in tutto il paese.
Anche noi siamo infatti consapevoli che negli ultimi anni le Forze armate hanno vissuto una fase di grande trasformazione. Come hanno già detto i colleghi che mi hanno preceduto, il protagonismo molto più ricco ed intenso del nostro paese nella politica internazionale (voluto dai governi e in qualche modo imposto dalle crisi drammatiche che hanno investito l'area dei Balcani, ma non solo) ha modificato il ruolo delle nostro Forze armate, che è diventato importante ed estremamente attivo. Oggi sono divenute uno strumento indispensabile della politica estera italiana e quindi della vita nazionale. Contemporaneamente si è avviato un processo di ristrutturazione interna nelle stesse Forze armate anche se lentamente, attraverso leggi e decreti legislativi delegati che hanno modificato la struttura dei vertici, le organizzazioni operative territoriali, il sistema degli arsenali e degli stabilimenti militari, le stesse norme sul reclutamento (in realtà già modificate), l'uso civile dei beni non più necessari.
Vi sono due leggi al Senato - sulla rappresentanza militare e sul reclutamento volontario femminile - che attendono l'approvazione definitiva.
Si sono, dunque, accentuate le capacità operative e si è modificato il bilancio della difesa, cercando di elevare la parte dedicata all'ammodernamento e ad una prospettiva di maggior funzionalità rispetto ad un bilancio che è composito e che serve anche ad altre esigenze del Ministero della difesa.
Tuttavia, sino ad oggi, il modello di difesa è rimasto ancorato ad una scelta di reclutamento misto: si è mantenuto l'obbligo di leva pur aumentando l'impiego dei volontari. Questa situazione, però, ci ha allontanati sempre di più sia dal comune sentire dell'opinione pubblica nazionale, sia dalle scelte di gran parte dei nostri alleati.
Lo stesso Ministero della difesa, ogni anno, commissiona alcuni sondaggi all'archivio disarmo, secondo i quali l'opinione pubblica è passata - anche se lentamente - da una larga condivisione dell'obbligo di leva, che è arrivata sino all'inizio degli anni ottanta, ad una decisa propensione per la professionalizzazione delle Forze armate, dettata non solo dall'esigenza di svolgere servizi umanitari, ma anche da una consapevolezza diversa del ruolo che le Forze armate devono ricoprire, dovuta agli sconvolgimenti e agli stravolgimenti dello scenario internazionale; nelle verifiche effettuate negli ultimi anni tale propensione si è confermata.
Nello stesso tempo, tutti i nostri alleati - con l'eccezione della Germania - hanno avviato o compiuto la trasformazione delle Forze armate in senso professionale: ultimi sono la Francia e la Spagna, che concluderanno tale processo nei primi anni del nuovo secolo.
Pertanto, anche rispetto al momento in cui - come ci ricordava l'onorevole Gasparri, il quale spesso sembra riferirsi ad un interlocutore che in realtà non ha mai


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affermato le cose che lui dice - la destra presentava proposte di legge di abrogazione della leva obbligatoria, sono cambiate molte cose nel mondo, che hanno indotto a cambiamenti di analisi e di riflessioni.
Il crollo del patto di Varsavia ha reso inutile per i paesi europei disporre di Forze armate di grandi dimensioni, la cui consistenza poteva essere assicurata soltanto dal sistema della leva obbligatoria. Sono divenute sempre più frequenti, invece, le missioni militari in zone di crisi - nei Balcani e non solo - portate a termine con contingenti internazionali, che richiedono ai singoli paesi un contributo limitato nei numeri, ma caratterizzato da una alta capacità operativa, che viene resa possibile solo da uno specifico addestramento degli uomini e da dotazioni sempre più sofisticate; una capacità operativa diversa e composita, talvolta da definirsi non solo militare e, comunque, integrabile con competenze civili; una capacità operativa diversa rispetto a quella che, tradizionalmente, le nostre Forze armate hanno avuto.
Nell'attuale scenario internazionale, il nostro territorio, fortunatamente, non sembra esposto - almeno a medio termine - a minacce che possano richiedere una mobilitazione di massa; tale scenario richiede, dunque, la disponibilità di forze militari decisamente meno numerose, di buona qualità e - in una percentuale significativa - pronte ad un rapido impiego. È per questo che molti altri paesi europei hanno trasformato le loro Forze armate; si deve tener conto di ciò nella ristrutturazione delle nostre, anche nella prospettiva di una sempre maggiore integrazione europea del sistema di difesa.
È divenuto impossibile non porsi l'interrogativo se sia ancora necessario, o meno, costringere i nostri giovani alla leva obbligatoria. L'obbligo di leva è, senza dubbio, una risorsa qualificata ed a basso costo per le Forze armate, ma è oggi forse inutile anche per le Forze armate stesse; soprattutto, rappresenta un grave costo sociale per i giovani che lo svolgono, sia in termini di più lento inserimento nell'attività professionale (e, quindi, in termini di anni di lavoro e di redditi andati perduti), sia per l'eventuale ritardo nel completamento degli studi e nella formazione delle famiglie. Ciò, di per sé non è grave solo per questi giovani, ma lo è perché spesso il servizio militare rappresenta ancora oggi il momento cruciale in cui un giovane italiano incontra lo Stato, incontra ciò che dovrebbe essere cittadinanza, incontra la pubblica amministrazione.
Sempre di più, di fatto, questa occasione di incontro con lo Stato viene vissuta in maniera molto negativa, non perché vengano fatte delle imposizioni, che rientrano logicamente nel principio di gerarchia, ma perché tale momento di incontro viene considerato inutile ed è molto grave che i giovani reputino inutile ciò che sono chiamati a fare. Dobbiamo, quindi, fare in modo che tale servizio venga percepito il più possibile come qualcosa di utile. Dico questo anche in risposta a tutte le obiezioni che vengono mosse al servizio civile sostitutivo, che viene vissuto come rifiuto del servizio militare perché percepito comunque come più utile. Inviterei quindi i colleghi a riflettere anche su quanto danno possa essere provocato da un servizio militare fatto in questo modo. Non si può non ammettere che il sacrificio rappresentato dalla coscrizione obbligatoria ha delle alternative efficaci e che forze armate professionali rappresentano uno strumento più adeguato ai compiti che devono essere svolti.
Anche noi riteniamo che la proposta di una riduzione a sei mesi della leva obbligatoria non sia convincente (anche se ovviamente rispettiamo l'ipotesi formulata nella mozione dei verdi), prima di tutto perché manterrebbe a carico dei giovani un onere che non è più necessario e in secondo luogo perché non assicurerebbe alle esigenze della difesa il numero di addetti necessario, provocando oltre tutto uno squilibrio tra i tempi dell'addestramento e quelli del possibile impiego.
Tradizionalmente sono state mosse obiezioni diverse alle forze armate di mestiere. L'onorevole Gasparri si riferiva


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anche a queste, la più comune delle quali è quella connessa ai pericoli per la democrazia: alla luce, però, dell'esperienza dello sviluppo di regimi non democratici in paesi in cui le forze armate erano basate sulla leva obbligatoria, tale obiezione appare infondata. Egualmente infondata appare l'osservazione relativa all'incostituzionalità di un simile sistema, perché siamo convinti - come credo tutti i presentatori delle mozioni - che comunque i cittadini manterrebbero l'obbligo di difesa del paese in caso di bisogno, quindi non si violerebbe il dettato costituzionale.
Vi è poi un'altra obiezione, alla quale credo di aver già risposto: ossia quella relativa alla perdita del valore educativo del servizio militare. Tale osservazione forse poteva valere in tempi passati, ma oggi appare assai discutibile.
C'è invece, a nostro paese, un'obiezione fondata alla quale hanno fatto riferimento, sia pure da posizioni diverse, tutti i colleghi: quella relativa al notevole aumento delle spese legate alla professionalizzazione delle Forze armate. Non c'è dubbio, infatti, che a parità di parametri gli eserciti di mestiere costano sensibilmente di più, perché gli addetti devono avere un salario competitivo e soprattutto perché si deve pensare ad infrastrutture adeguate e ad una formazione qualificata. Tuttavia, è evidente che oggi è possibile programmare una forte riduzione delle dimensioni quantitative, lasciando quindi inalterato il bilancio della difesa o sostenendo un contenuto aumento, come diceva il rappresentante del Governo, nella fase di transizione: è questo ciò che ha fatto la Gran Bretagna negli anni sessanta e che ha programmato la Francia. La diminuzione del numero degli uomini sarà dell'ordine del 30-35 per cento.
Noi però abbiamo un problema particolare da risolvere a questo proposito, in quanto le nostre Forze armate sono sempre state numericamente molto ampie, ma con disponibilità finanziarie non adeguate alle necessità di ammodernamento, di addestramento, quindi di reale funzionamento. I bilanci di questi anni hanno cominciato ad introdurre, come ho detto in precedenza, un'inversione di tendenza, ma lo squilibrio è in gran parte ancora da sanare.
Per questi motivi chiediamo certezze al Governo e in particolare al ministro della difesa, anche se non è esplicitamente previsto nella nostra mozione, rispetto alla questione relativa alla riduzione quantitativa. Nel corso di un'audizione in Commissione difesa, il ministro Scognamiglio ha parlato di 215 mila unità: noi gli chiediamo di verificare al meglio questi numeri perché siamo convinti che si debba arrivare ad operare una riduzione più decisa evitando, in tal modo, il verificarsi di quanto previsto da alcuni colleghi (l'effettiva possibilità di gestire il bilancio del Ministero della difesa e la necessità di avere dotazioni e tecnologie adeguati ai normali standard dei paesi più industrializzati, proporzionalmente più bassi alle 215 mila unità).
Nella proposta di legge presentata da alcuni colleghi del mio gruppo, si fa riferimento ad una cifra complessiva che si aggira tra le 160 mila e le 180 mila unità: una cifra decisamente inferiore a quella prospettata dal ministro. La cifra da noi indicata è stata, altresì, prevista in proposte di legge presentate dai gruppi dell'opposizione.
Resta da verificare quale sia il sistema di incentivi necessario ad assicurare un numero adeguato di volontari. È certo, però, che le condizioni attualmente proposte a coloro che hanno già scelto di praticare questa strada non hanno consentito il soddisfacimento delle loro esigenze. È logico, quindi, che tali condizioni andranno modificate altrimenti nessuno vorrà fare una scelta di questo tipo. In relazione a ciò, abbiamo chiesto al Governo un particolare approfondimento della questione, sollecitandolo con la nostra mozione.
Cercherò di spiegare brevemente, in quanto sono stata chiamata in causa dall'onorevole Tassone e dall'onorevole Gasparri, per quale motivo abbiamo inserito nella nostra mozione il riferimento all'istituzione del servizio civile volontario, che l'onorevole Gasparri ci ha chiesto di


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eliminare nel caso in cui si proceda alla discussione di una risoluzione unitaria. Noi siamo convinti che tale questione sia molto importante, seppure diversa da quella concernente l'abolizione della leva obbligatoria. Infatti, sappiamo bene che, nel momento in cui non dovesse più esserci la leva obbligatoria, non avrebbe più senso parlare di obiezione di coscienza. Noi però facciamo una valutazione profondamente diversa del servizio civile sostitutivo rispetto a quella dei colleghi intervenuti prima di me, eccetto l'onorevole Paissan. La nostra è una valutazione positiva dell'operato di centinaia di migliaia di giovani; pertanto, pensiamo che potremmo sentire la mancanza di una risorsa di tal genere se si dovesse abolire la leva obbligatoria: non sarebbe possibile, infatti, imporre il servizio civile ad alcuno. È per questo che pensiamo all'istituzione di una sorta di servizio civile volontario aperto ai giovani di entrambi i sessi, opportunamente incentivato dallo Stato.
Cercherò di spiegare il concetto molto brevemente. Ci troviamo nella seguente situazione legislativa. Abbiamo approvato la legge sull'obiezione di coscienza che rappresenta il riconoscimento di un diritto, come abbiamo detto; ma abbiamo altresì affermato, in Commissione difesa, che al Senato giace un disegno di legge concernente l'istituzione di un servizio civile presentato dal precedente Governo che, a questo punto, ci sembra essere poco in sintonia con quanto stiamo discutendo. C'è un dato politico che riguarda in questo caso più il Parlamento che il Governo ed è il seguente: qui alla Camera abbiamo lavorato in maniera approfondita sulla riforma del servizio di leva mentre al Senato ciò non è avvenuto.
Nella nostra mozione chiediamo al Governo un impegno per la realizzazione di un servizio civile volontario che, a nostro parere, potrebbe rappresentare un'enorme opportunità formativa ed educativa.
Colgo l'occasione per ricordare, seppure brevemente, che uno di quei paesi che vantano una antica tradizione per quanto riguarda il servizio militare volontario, gli Stati Uniti d'America, ha promosso recentemente - con l'amministrazione Clinton - programmi per l'istituzione di un servizio civile volontario, introducendo incentivi economici di una certa rilevanza, ovviamente non pari a quelli previsti per il servizio militare, agevolazioni per il diritto allo studio e la possibilità di acquisire una qualificazione utile per l'inserimento nel mondo lavorativo. Coloro che hanno potuto partecipare a questi programmi hanno in qualche modo acquisito professionalità in settori che sono quelli tradizionalmente di impegno nel servizio civile (servizio alla persona, recupero dei beni culturali e ambientali), orientati e diretti però dall'amministrazione pubblica: il che è qualcosa di diverso rispetto a ciò a cui ha fatto riferimento l'onorevole Gasparri. Noi pensiamo infatti che lo Stato debba svolgere un ruolo importante.
Ricordo altresì che esiste un programma di servizio civile volontario europeo. Ho letto sulla stampa di questi giorni che un ministro del nostro Governo, l'onorevole Turco, ha previsto, per progetti di servizio civile sperimentali da parte delle ragazze, fondi da erogare gestiti dagli enti locali. Si rimane quindi nel pubblico, diciamo così, ma in collaborazione con il privato sociale!
Esistono potenzialità enormi soprattutto nel servizio civile prestato all'estero (scambi all'interno dell'Europa, possibilità di svolgere lavori in altri paesi e via dicendo). Tutto ciò rappresenta un qualcosa di importante perché configura una scelta utile per il nostro paese, che a nostro avviso l'amministrazione pubblica e il Governo devono orientare, promuovere e dirigere, investendo in questi progetti risorse economiche e soprattutto energie.
Mentre discutiamo della leva obbligatoria non dobbiamo però perdere di vista il patrimonio a cui ho fatto testé riferimento; cerchiamo invece di prenderne il meglio, di qualificarlo ulteriormente. È quanto chiediamo non soltanto al Ministero della difesa ma anche al Governo nel suo complesso.


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Chiedo scusa ai colleghi se mi sono particolarmente soffermata su questo punto, ma l'ho fatto perché mi sono sentita chiamata in causa. Sono queste, molto sinteticamente, le motivazioni che ci hanno indotto a presentare la mozione n. 1-00356, la quale si affianca ad altre, alcune delle quali sostanzialmente convergono, quanto agli obiettivi, con la nostra.
Abbiamo chiesto al Governo di impegnarsi a presentare alla Camera entro tre mesi una relazione sui temi che ho qui illustrato. Riteniamo che il Governo abbia bisogno di un po' di tempo per affrontare approfonditamente il tema in oggetto. In questo modo, il dibattito che successivamente si svilupperà potrà basarsi su un'ipotesi concreta e sufficientemente dettagliata.
Siamo pienamente consapevoli che si sta aprendo un dibattito che dovrà essere molto ampio e approfondito e da cui emergeranno sicuramente delle differenze, delle preoccupazioni e degli interessi diversi. Crediamo che si debbano dare a tutti la stessa attenzione e una risposta. Pensiamo, però, che tale scelta, in questa legislatura, possa rappresentare un momento di unità e di comune impegno nazionale per gran parte delle forze politiche di questo Parlamento.
Chiediamo, quindi, al Governo una particolare attenzione nel rispondere e nel preparare la sua relazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rizzi, che illustrerà anche la mozione Comino n. 1-00358, di cui è cofirmatario.

CESARE RIZZI. Signor Presidente, da molti anni si discute sulla riforma delle Forze armate o, quanto meno, di un radicale rinnovamento del servizio militare. Mi sembra strano che, in questi giorni, il presidente della Commissione difesa, onorevole Spini, voglia accelerare l'accesso delle donne al servizio militare - sottolineo che la lega non ha nulla in contrario - secondo una logica che appare inopportuna per la legge attuale.
La lega nord ha sempre ribadito che l'attuale servizio militare è insufficiente e poco serve al paese. Non dimentichiamo che esso incide sul bilancio dello Stato in misura pari a circa 30 mila miliardi all'anno: troppi per i risultati e l'efficienza delle nostre Forze armate!
Passo ora ad illustrare la mozione, di cui sono cofirmatario. È a tutti noto che le Forze armate italiane necessitano di una radicale ristrutturazione e di un deciso rinnovamento e che tale processo deve riguardare uomini, mezzi e organizzazione. All'elemento quantitativo, al numero inteso come potenza, all'esercito di popolo di derivazione napoleonica, occorre infatti aggiungere l'elemento qualitativo, ispirato da concetti quali la professionalità e l'efficienza, entrambi cardini essenziali di una moderna politica militare della difesa e della sicurezza.
Il servizio di leva non deve concretizzarsi solamente nella partecipazione ad un servizio armato all'interno di una struttura militare, ma anche nel concorso alla realizzazione della funzione di tutela e sorveglianza del territorio.
Le Forze armate, nell'attuale contesto, non dovrebbero essere formate totalmente su base professionale e volontaria, ma composte anche da personale di leva a coscrizione obbligatoria, per una durata inferiore agli attuali dieci mesi. Tale personale dovrebbe essere giustamente motivato, radicato sul territorio, con compiti difensivi e, soprattutto, dovrebbe rappresentare un punto di forza per fare fronte alle ricorrenti emergenze, come quelle dovute al dissesto idrogeologico del territorio italiano.
Ho sentito prima che il collega Tassone è contrario ad una riduzione a sei mesi del servizio di leva.

MARIO TASSONE. Non vale niente!

CESARE RIZZI. Sì, caro Tassone! Ma dieci, sei o dodici mesi non cambiano nulla! La lega è stata sempre contraria a inviare militari a sostegno di questo o quel paese o a difesa di qualcosa che non abbiamo mai capito. Non vi è nessuna differenza ad inviare militari in Namibia, nel mar Rosso o nel golfo Persico, sia che


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abbiano svolto un servizio militare di sei, dieci o dodici mesi. Ritengo che essi debbano essere preparati bene perché non è facile capire le leggi, la mentalità e le differenze tra le etnie di quei paesi. L'argomento ci richiama alla mente la questione delicata dei militari in Somalia che ha rappresentato una grossa pecca dell'esercito italiano.
Con questa mozione intendiamo impegnare il Governo a presentare al Parlamento, entro tre mesi, una relazione che delinei le modalità per riformare le Forze armate verso un sistema cosiddetto misto, che concepisca la coesistenza di un nucleo centrale interoperativo e flessibile, qualitativamente e tecnologicamente all'avanguardia, composto da personale di carriera, volontario e retribuito, con un corpo militare costituito da personale di leva, giustamente motivato, a coscrizione obbligatoria, della durata di sei mesi. Impegna altresì il Governo ad equiparare ad esso il servizio sostitutivo civile, con compiti spiccatamente difensivi e di natura territoriale, distribuito e radicato sul territorio di origine e di residenza dei coscritti. Si impegna inoltre il Governo a dare attuazione pratica ed immediata all'articolo 46 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, in modo da permettere agli enti locali di usufruire nel miglior modo possibile delle proprie risorse umane, integrando il maggior numero di coscritti all'interno di corpi e forze di polizia municipale e provinciale.
Si impegna infine l'esecutivo ad adoperarsi in modo più razionale ed efficiente, anche in politica estera, per dare attuazione ad un modello di difesa europeo (non come indicato dalla collega Chiavacci, la quale si ispira al modello americano; noi siamo in Europa e dobbiamo dar vita ad un esercito per l'Europa, dobbiamo difendere il nostro paese e l'Europa; gli americani stiano dove sono, non hanno niente a che fare con noi; se dobbiamo costruire l'Europa, l'America stia dov'è), slegato da quelle iniziative di polizia internazionale più volte intraprese da alcuni paesi membri della NATO, anche all'interno dei confini dell'Europa stessa.
All'onorevole Tassone - il quale oltre ad essere collega, sia pure di altra forza politica, è anche un amico - dico, in merito alla contrarietà alla riduzione del servizio di leva, che non succede niente, a meno che ad un soggetto non si facciano fare tre anni, così da formarlo in modo tale che, in qualsiasi parte del mondo lo si manda, sia preparato, non vada all'arrembaggio. L'impressione, infatti, è che quando abbiamo inviato militari in Albania, Bosnia o, come ricordavo prima, in Somalia, abbiamo mandato degli avventurieri: questa gente è stata caricata su un aereo e scaricata in un altro paese di cui non conoscevano niente, né le abitudini, né il modo di vivere né la religione, che è molto importante. Non dimentichiamo, infatti, che quando si va in determinati paesi, bisogna sapere anche dove si finisce. Pertanto, che il servizio sia di sei mesi, di otto o di un anno, non cambia assolutamente niente.
Ritengo dunque che un modello misto sia quello che si integra di più in un'eventuale riforma radicale del servizio militare nel nostro paese. Ben venga un esercito di professionisti: vorrà dire che, quando arriveranno, costoro saranno già preparati, cosicché anche se faranno sei mesi di servizio militare, potranno essere mandati in qualsiasi parte del mondo senza fare certe figure.
Nutro invece sempre dei dubbi sul servizio militare normale e civile, che potrebbe durare anche due anni. Però, mi si faccia capire: non dimentichiamo che, fino a qualche anno fa, i militari si mandavano il più lontano possibile da casa, dicendo che così avrebbero preso conoscenza di tutto il paese: il ragazzo di Milano veniva mandato a Palermo e viceversa. Adesso le cose sono molto cambiate perché al giorno d'oggi con un'ora di volo si riesce a vedere e capire tutto il paese.
Pertanto, ben vengano i professionisti, un esercito con una parte di professionisti, gente preparata, laureata, che conosce le lingue, il che è molto importante.


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Non ho approfondito la questione, ma mi piacerebbe sapere quanti militari inviati in missione all'estero sapevano parlare la lingua del paese ove sono stati mandati; si tratta di un fatto certamente importante.
Per tali ragioni siamo favorevoli ad un modello misto, formato in parte da militari civili e in parte da professionisti, sempre facendo riferimento all'Europa e ai nostri problemi. Di problemi, infatti, ne abbiamo già molti e non abbiamo bisogno di prendere lezioni dagli Stati Uniti; Clinton e compagnia bella se la vedano da soli. Non abbiamo niente a che fare con gli Stati Uniti, considerati anche gli ultimi avvenimenti e le risposte che ci vengono da tale paese. Noi non vogliamo diventare una colonia americana mentre, in questa fase di globalizzazione, ho l'impressione che lo stiamo diventando; come cittadino italiano mi rifiuto di far parte di una colonia capeggiata da tali personaggi, di una colonia dei cosiddetti Stati Uniti d'America.

PRESIDENTE. Onorevole Rizzi, la sovranità nazionale non è in discussione, altrimenti saremmo i primi ad affermare i valori dell'unità della nazione.
È iscritto a parlare l'onorevole Giannattasio. Ne ha facoltà.

PIETRO GIANNATTASIO. Signor Presidente, come avrà notato, forza Italia ha preferito elaborare una risoluzione anziché una mozione, considerato che anche il regolamento prevede che dopo aver discusso su più mozioni si giunga ad una risoluzione.
Ho ascoltato con vivo interesse quanto è stato affermato e ringrazio soprattutto il caro amico Tassone, che ha fatto un excursus storico sul servizio militare dal dopoguerra ad oggi, che io ho vissuto in corpore vili, perché dal 1950 al 1991 ho portato le stellette. Devo dire che quanto è stato detto risponde esattamente alla verità, all'evoluzione che vi è stata, sia nel paese sia nella vita militare, e che ci sta portando, nel quadro del mutamento della politica internazionale, a chiedere il passaggio dalla coscrizione obbligatoria, dall'esercito di popolo derivante dalla rivoluzione francese, dal service du drapeau - il servizio alla bandiera, come dicono i francesi - a un'efficiente struttura militare legata al volontariato e al professionismo.
Da tutti gli interventi odierni emerge la fretta di arrivare a una conclusione. Attenzione! L'esercito inglese ha impiegato nove anni prima di congedare l'ultimo soldato di leva.
Si tratta di passaggi lenti, che vanno approfonditi e meditati proprio per evitare privilegi, differenze di trattamento tra il volontario professionista e il militare di leva; inevitabilmente, sarà necessario del tempo per svuotare le caserme dai coscritti e riempirle di professionisti. Nel frattempo, bisognerà ridurre le differenze di compenso tra coloro che prestano il servizio obbligatorio e quelli che prestano il servizio volontario e fare in modo che non vi siano reparti misti formati da militari di leva e da professionisti. A questi ultimi, poi, deve essere assicurato un futuro affinché non si crei un nuovo precariato, come sta avvenendo con gli attuali volontari a ferma prolungata che, dopo tre anni di servizio, durante i quali percepiscono un mensile di un milione e 300 mila lire al mese - «mangiati, pagati, vestiti e dormiti», come si suol dire - tornano in mezzo a una strada. Sono molte le considerazioni da fare: senz'altro quello è l'obiettivo da raggiungere e senza dubbio bisogna cominciare perché altrimenti se non si comincia non si finisce.
Come è stato detto da molti, il ministro Scognamiglio è venuto a presentarci questa sua idea, perché non è un'idea del Governo, e ci ha posto di fronte ad un problemino molto semplice affermando che si inizia con 350 miliardi all'anno.
Onorevoli colleghi, dai dati presentati dal ministro Scognamiglio, noi, quando saremo a regime, dovremo pagare, soltanto per gli stipendi, 3.680 miliardi di lire! Attenzione, dunque, a come tale cifra inciderà sul bilancio della difesa.
Vorrei, anche, richiamare l'attenzione sul fatto che qualsiasi ristrutturazione


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costa. Non esiste una ristrutturazione di qualsiasi impresa, sia pure civile, senza costi! Non è possibile pensare che si arrivi ad un esercito composto da professionisti pagando l'operazione con i risparmi che si generano dal fatto stesso di costituire un esercito di professionisti. L'esercito di professionisti costerà perché bisognerà pensare - come è stato detto da tanti colleghi - alle infrastrutture necessarie per il trattamento dei professionisti. Non facciamoci illusioni: non potremo tenere il professionista sui letti a castello biposto o triposto, come avviene oggi!
Il capo di stato maggiore dell'esercito invita i comandanti di corpo a fare propaganda perché i soldati di leva rimangano e firmino la domanda di volontariato. Se però lasciamo i volontari in queste caserme, c'è poco da fare! La risposta attuale dei volontari e dei professionisti è molto scarsa. Non ci possiamo fare illusioni che, usando la bacchetta magica, essi firmeranno la domanda di rafferma se gli riserveremo il trattamento del soldato di leva che rimane solo dieci mesi.
Circa la riduzione del servizio di leva, lo si potrà esaminare in futuro, trattandosi di un principio simile a quello dei vasi comunicanti per cui, a mano a mano che aumenta il numero dei professionisti, potrà diminuire il numero dei soldati di leva e si potrà vedere come ridurre la durata del servizio di leva. Bisogna ricordare - come ha fatto la collega Chiavacci - che nella ferma di dieci mesi vi è un periodo di ferma istruttiva e un periodo di ferma operativa. Poiché la chiamata è mensile, dura dieci mesi, ed ogni mese entra un decimo della forza bilanciata, ad un certo punto - scusatemi il riferimento poco rispettoso alla pubblicità di una grappa - se togliamo la coda e la testa, quello che rimane è il cuore, cioè la parte migliore della grappa! Il primo periodo di leva è un periodo di ferma istruttiva dove il soldato non è operativo. Nel momento in cui si arriva alla coda, possiamo verificare che nei dieci scaglioni mensili di chiamata solo la parte centrale è operativa. Quindi, sì e no, solo un terzo dell'esercito sotto le armi è operativo. Questo fa parte della meccanica della leva. Bisogna tenerne conto.
Tutto questo potrà essere evitato quando verrà costituito un esercito di professionisti perché potremo contare su un minimo di permanenza almeno di tre anni, se non di cinque. Quando il sistema arriverà a regime, noi disporremo di un sistema veramente efficiente ed operativo. Questo costerà in termini monetari per pagare i soldati, gli ufficiali, l'ammodernamento delle infrastrutture, delle caserme, l'ammodernamento dei mezzi, perché ad un esercito di volontari e di professionisti non potremo dare lo stesso fucile che viene dato oggi in dotazione. Dovremo sempre migliorare la qualità dei sistemi d'arma proprio nel quadro di quella integrazione europea che viene richiesta e nel quadro di quelle missioni internazionali che ci vedono impegnati continuamente, a partire da quella del Libano del 1982 quando, dopo gli accordi di Camp David, ci siamo trovati ad andare a Beirut, fino all'intervento in Albania dopo una delibera dell'ONU e così via. Tutte queste missioni internazionali ci mettono a confronto con gli altri Stati e ci impongono una interoperabilità non solo a livello umano e di professionalità umana ma anche di sistemi d'arma e di comando.
In primo luogo, non, è un'operazione no cost. In secondo luogo, è un'operazione che va seguita attentamente per evitare che ci siano differenze di trattamento enormi tra i professionisti e coloro che rimangono in servizio di leva fino al compimento dell'operazione. In terzo luogo, non è un'operazione che può essere effettuata in breve tempo: dobbiamo guardare ad essa tenendo presente che avremo di fronte a noi almeno sei anni di fasi successive in cui dovremo assolutamente tenerne sotto controllo l'evoluzione. Quindi noi, senz'altro favorevoli fin dalla costituzione di forza Italia ad un servizio professionale aperto anche alle donne, chiediamo al Governo di presentare entro trenta giorni un documento che definisca scopi, modalità, tempi e risorse finanziarie


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atte al conseguimento di uno strumento difensivo su base volontaria e professionale, esteso anche alle donne e dotato di mezzi idonei a realizzare l'interoperatività con le Forze armate di altre nazioni, nel quadro delle alleanze previste e delle missioni di pace decise e condivise con le organizzazioni internazionali cui l'Italia si onora di appartenere.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Romano Carratelli. Ne ha facoltà.

DOMENICO ROMANO CARRATELLI. Signor Presidente, non ho avuto la possibilità di ascoltare l'intero dibattito, che ho però seguito in parte su Radio radicale mentre raggiungevo l'aula, ed ovviamente conosco i documenti che sono stati presentati. Nell'iniziare il mio intervento, voglio ricordare che anche il gruppo dei popolari aveva presentato, tra la fine del 1996 e l'inizio del 1997, una propria mozione, alla quale ovviamente ci richiamiamo. Essa tuttavia ha avuto poi un seguito più incisivo nella presentazione di una proposta di legge che, allo stato, è all'esame della Commissione difesa: quest'ultima, come è noto, si sta occupando della materia dopo aver svolto un'indagine conoscitiva sulla leva che è durata parecchio tempo, è stata approfondita ed ha consentito di elaborare una serie di documenti che credo diano già una risposta al quesito che ci poniamo.
Vorremmo però tentare, anche se rapidamente, di offrire una visione organica, per quanto ci riguarda, di questo che consideriamo un grande problema, uno dei punti nodali per la modernizzazione del paese, anche perché, fra l'altro, riguarda tutte le famiglie italiane: possiamo quindi capire quanto esso sia sentito ed incida nella vita quotidiana del paese e delle famiglie italiane. La leva, come è stato osservato (lo ribadisco solo per memoria espositiva), è uno strumento di cui lo Stato si serve per la sua difesa: nasce immediatamente dopo la rivoluzione francese e viene utilizzato al massimo durante il periodo napoleonico, per diventare poi eredità comune di tutti gli Stati moderni europei. Prima della leva, si utilizzava l'esercito mercenario, per cui il soldato veniva pagato: ovviamente, quando nell'esercito diventano importanti i numeri, che devono essere di grande entità, non essendo gli Stati più in grado di sopportarne il costo, attraverso il famoso decreto di Cormot, viene introdotto il sistema della leva obbligatoria.
Questo sistema è stato ereditato anche dal nostro Stato e, nel momento in cui nasce l'Italia, il ricorso alla coscrizione obbligatoria diventa norma e, successivamente, nella Costituzione repubblicana, l'articolo 52, dedicato appunto alla leva, sancisce l'obbligo del cittadino di servire la patria come suo sacro dovere (torneremo poi brevemente su questo concetto, perché è uno dei punti nodali che bisogna affrontare rispetto alla questione della leva). Il paese, come più colleghi hanno avuto modo di ricordare, ha attualmente un sistema misto: in effetti, dopo il 1970, è stato introdotto il cosiddetto nuovo modello di difesa; l'allora ministro della difesa, Rognoni, varò la relativa riforma, per la quale si addivenne ad un esercito formato in parte da professionisti ed in parte da giovani di leva (sostanzialmente il 50 per cento). Tale modello, in fondo, è stato l'ispiratore di tutte le politiche della difesa, almeno fino all'arrivo del ministro Scognamiglio, il quale ha posto prepotentemente il problema, dichiarando che è tempo di passare ad un esercito di professionisti. La posizione del ministro non è né isolata, né nuova perché il concetto era maturato nella coscienza del paese e del Parlamento, anche attraverso il lavoro delle Commissioni e, dunque, il discorso di superamento dell'esercito misto era già patrimonio comune delle forze politiche, salvo alcune che sul tema continuano ad assumere una posizione favorevole al mantenimento della coscrizione obbligatoria.
Tale posizione è stata ribadita in una audizione del ministro presso la Commissione difesa in data 3 febbraio 1999, nel corso della quale egli ha annunciato che il Governo presenterà al Parlamento un


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provvedimento in materia. Si tornerà a discutere, quindi, in Commissione di un tema già affrontato e che aveva portato all'unificazione di circa diciassette proposte di legge in materia; tra l'altro si era già pervenuti alla stesura di una relazione - io ero relatore - nonché alla costituzione del Comitato ristretto per elaborare un testo base sul quale confrontarsi. Ovviamente, la posizione del ministro blocca il suddetto iter e la Commissione sospende i propri lavori, in attesa del testo del Governo. Il tempo previsto per la realizzazione dell'esercito di professionisti diventava, comunque, da quel momento in poi, un obiettivo concreto, un'ipotesi da realizzare in tempi brevi. Nel corso dell'audizione il ministro parlava di cinque anni; personalmente mi ritrovo di più nella posizione espressa dal collega Giannattasio perché ritengo che cinque anni siano pochi; a mio avviso il tempo minimo per arrivare all'esercito formato da professionisti deve essere di almeno sette anni.
Per quanto riguarda i costi, devo dissentire da quanto affermato dal collega Giannattasio, perché essi sono stati indicati dal ministro in una cifra che oscilla fra i 350 e i 400 miliardi annui, fermo restando che, a regime, si sarebbe dovuto verificare il costo complessivo in quanto il ministro ha sostenuto che non è possibile fare previsioni di bilancio di questo genere nel medio termine. Pertanto, la cifra di 350-400 miliardi annui è solo orientativa per il breve periodo e si riferisce alla spesa aggiuntiva occorrente per tutte le voci legate all'esercito di professionisti: paghe dei soldati, strutture, ricerca e così via. L'ipotesi ministeriale prevede che una parte cospicua della suddetta cifra venga destinata alle spese per il personale; allo stato, il paese spende l'1 per cento del PIL per il sistema difesa, ma, per una previsione di bilancio, appare l'1,5 per cento. In realtà, per lo scorporo delle voci, la spesa reale si riduce all'1 per cento, poiché sono incluse nell'1,5 per cento anche alcune somme relative, ad esempio, all'obiezione di coscienza, mentre negli anni ottanta essa era già intorno all'1,6 per cento del PIL. Si tenga presente che la media europea relativa al sistema difesa dei vari paesi è di 1,5-1,8 per cento del PIL. Secondo tali previsioni di spesa, un volontario verrebbe a costare al paese circa 30 milioni annui. Bisognerà, poi, assumere in questo esercito di professionisti circa 60 mila fra uomini e donne.
Perché si va verso l'esercito di professionisti; quali sono le valutazioni che mi spingono, insieme alla quasi totalità del gruppo cui appartengo, a sostenerlo? Vi sono motivi interni, vi è un problema di coscienza del paese, che non accetta più il servizio militare: le indagini compiute, tutti i sondaggi, nonché i risultati in Commissione difesa delle innumerevoli audizioni di tutte le voci sociali e civili del paese dimostrano che una percentuale degli interpellati che oscilla tra l'80 e il 90 per cento è contraria al servizio militare, che ritengono una corvé inutile.
Vi è poi un altro aspetto, cioè il fatto che l'esercito di leva è programmato in base ad alcuni parametri numerici - 290 mila uomini, poi ridotti con il sistema misto a 270 mila -, ma deve fare i conti con una realtà del paese che si va modificando: da un lato vi è il decremento demografico; dall'altro vi sono le nuove leggi. Nel momento in cui approviamo in Parlamento la legge sull'obiezione di coscienza, stabiliamo le nuove regole sulle dispense, approviamo la legge sui 100 chilometri, che mira sostanzialmente alla regionalizzazione delle Forze armate, si capisce chiaramente come il vecchio sistema - prima interamente basato sulla coscrizione, poi divenuto un sistema misto tra volontari e militari di leva - diventi sostanzialmente di difficile mantenimento. Quindi, anche le leggi che il Parlamento ha prodotto negli ultimi due anni rendono difficile il mantenimento del sistema misto.
Vi è poi un costo sociale che il paese affronta: si tratta di un concetto elaborato in Germania dai sociologi tedeschi, poi recepito e sostanzialmente fatto proprio anche dalle altre nazioni interessate al problema, secondo il quale il periodo che il giovane perde nell'effettuazione della


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leva, che può essere quantificato mediamente in un tempo di due o tre anni, colpisce il ragazzo e viene pagato nel momento in cui il giovane tenta di realizzare la sua creatività, cioè di costruire un'ipotesi di lavoro ed il suo inserimento nella società.
Ciò significa privare il giovane ed anche il paese di questo tempo, pari al 15-20 per cento del tempo cosiddetto di creatività. Evidentemente, in un sistema di globalizzazione dell'economia e di competizione forte con gli altri paesi europei, una cosa di questo genere diventa penalizzante. Quindi, anche il costo sociale della leva determina una diminuzione delle possibilità per il paese di realizzare il proprio sviluppo e per il giovane appare quasi come una tassa, un'imposta, un obbligo che paga sulla sua pelle.
Il risultato di un'indagine sull'avvio al lavoro dei giovani dimostra che le ragazze riescono a trovare un'occupazione intorno al venticinquesimo anno di età, mentre i ragazzi vi riescono intorno al ventottesimo anno di età: si tratta proprio del dato legato alla leva.
Vi è poi il contesto europeo: ormai in quasi tutta Europa - è stato detto, ma lo voglio ribadire - si sta affrontando la questione. Addirittura in Gran Bretagna si ipotizza il ritorno all'esercito mercenario, cioè si pensa di affidare alcuni servizi propri dell'esercito professionista - il primo introdotto in Europa - a squadre esterne, cioè ad una specie di soldati privati che dovrebbero svolgere alcuni compiti troppo onerosi per lo Stato.
In Belgio, in Olanda, negli Stati Uniti, in Francia, in Spagna e nella stessa Germania, che pure, per motivi legati alla sua storia, ha fatto una determinata scelta, indicata in Costituzione, si sta mettendo in discussione il mantenimento della leva e si pensa - se non nell'immediato, certamente nel breve periodo - di andare verso un esercito di professionisti.
Vi è poi la questione dell'integrazione europea.
La difesa del paese ormai non si realizza più attraverso l'esercito, come siamo stati abituati nel passato a considerare, e cioè l'esercito in armi che difende il paese sulla linea di Gorizia o su quella del Piave. La difesa di un paese come l'Italia e tutti gli altri paesi europei, legati all'alleanza della Nato, si basa proprio sul sistema delle alleanze. Se qualcuno dovesse attaccare l'Italia (o la Francia o l'Inghilterra), scatterebbe un meccanismo di solidarietà e di copertura totale, per cui nessuno al mondo potrebbe avviare un'azione del genere (solo Gheddafi tentò di inviare un missile che finì miseramente nelle acque di Lampedusa, come ricordo per i turisti che desiderano fare escursioni subacquee). Il sistema della difesa del paese non è basato sull'esercito ma - lo ripeto - sulle alleanze e sui trattati. Basti pensare a quello di Maastricht, che viene visto solo dal punto di vista dell'euro ma che è importante anche sotto il profilo della difesa, o al trattato di Amsterdam. In sostanza, l'Italia si trova in un ambito nel quale tutti hanno operato la scelta a favore delle Forze armate professioniste perché l'esercito è diventato uno strumento della cooperazione internazionale e deve essere adeguato ai compiti che le alleanze - dalla NATO all'OSCE - tutti richiedono. In fondo oggi l'esercito viene utilizzato per risolvere le questioni inerenti ai punti di crisi, per effettuare le missioni di pace (come in Bosnia e Albania), quale strumento di prevenzione e dissuasione. Raccordarsi al sistema Europa diventa un'esigenza prioritaria per il paese, se non se ne vuole rimanere fuori.
L'adeguamento della difesa italiana a quella europea richiede anche l'adeguamento al piano delle tecnologie operative, addestrative, al comando, agli investimenti, alla ricerca. Si tratta di problemi strettamente connessi a questa realtà della quale facciamo parte e a favore della quale abbiamo firmato, documenti e trattati che non possiamo ignorare.
Si è parlato dell'articolo 52 della Costituzione che recita: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino». Spesso si è affermato che questo articolo rende obbligatoria la leva. Ritengo che ciò non sia vero perché nella coscienza comune


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si tratta di un concetto ormai superato, tanto più che il secondo comma dello stesso articolo 52 così recita: «Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge». Ovviamente ciò significa che la legge può stabilire altre forme. A tale proposito, penso alla proposta di legge presentata dal gruppo dei popolari (ma vi sono anche altre proposte di legge presentate da gruppi diversi) che prevede la sospensione e non la soppressione dell'obbligo di leva. Sospensione significa che la leva può essere riattivata solo nei casi di guerra (articolo 78 della Costituzione), di crisi internazionale o di emergenze interne: nell'ordinarietà la leva obbligatoria non dovrebbe esistere più. Ormai i tempi sono maturi per passare ad un esercito di professionisti.
Le obiezioni espresse dal collega Giannattasio devono invitare ad una riflessione. Sarà possibile realizzare l'esercito di professionisti solo se lo Stato si farà carico dei vari problemi connessi che richiedono, fra l'altro, il riconoscimento e la costruzione di un prestigio dovuto alle Forze armate, che rappresentano un punto cruciale e nodale dell'esistenza dello Stato. Abbiamo grande rispetto per coloro i quali svolgono questo lavoro, sapendo che oggi le Forze armate non hanno una funzione di aggressione - e, d'altra parte, è il nostro sistema, è la nostra Costituzione che non le intende in questo modo - ma di rappresentanza del paese e di partecipazione alla soluzione delle crisi internazionali, che sono considerate mezzo di costruzione di pace ed elemento di dissuasione da attivare nei momenti di emergenza critica nazionale ed internazionale.
Si pone, quindi, la necessità di conferire un grande prestigio alle Forze armate e di dare risposte sul piano della qualità della vita di questi giovani, dalla paga alla vivibilità nelle strutture - che non possono essere certamente quelle dei militari di leva -, agli incentivi: se un ragazzo cede al paese tre, cinque o sette anni della sua vita - in un periodo di creatività in cui gli altri occupano tale tempo per realizzare la costruzione della loro condizione nella società - non può, una volta terminato il servizio militare, finire sbandato.
Occorre, quindi, far luogo ad una serie di previsioni legislative che permettano a questi giovani di avere un futuro e di potervi pensare con serenità e tranquillità.
Ho tentato di spiegare la posizione espressa dal mio gruppo, che è riportata anche nella mozione presentata il 21 novembre 1996, agli atti della Camera: per quanto ci riguarda, siamo per un esercito di professionisti da realizzare in tempi brevi, con i numeri che sono noti e che, con una legge delega, vorremmo affidare al Governo.
Chiediamo, pertanto, che il Governo presenti immediatamente al Parlamento un documento, in cui illustri le linee di tendenza del fenomeno ed i suoi obiettivi; ma, anche, un disegno di legge da affidare all'esame delle Commissioni e da portare successivamente all'attenzione dell'Assemblea.
Al riguardo, il contributo che le Commissioni parlamentari e l'Assemblea potranno dare sarà definitivo ed esaustivo e ci consentirà di dare una risposta che il paese aspetta da tempo.

PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Ruffino e Ruzzante, iscritti a parlare: si intende che vi abbiano rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Avverto che è stata presentata la
risoluzione Giannattasio n. 6-00075 (vedi l'allegato A - Risoluzioni sezione 2).

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