Seduta n. 491 del 23/2/1999

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Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni (10,03).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

(Fusione BNL-Banco di Napoli)

PRESIDENTE. Cominciamo con le interpellanze Cola nn. 2-00940 e 2-01025, Piccolo n. 2-01155 e Tassone n. 2-01256 e con le interrogazioni Gambale n. 3-02076, Piccolo n. 3-03470, Lucchese n. 3-03471, Di Nardo n. 3-03473 e Volontè n. 3-03472 (vedi l'allegato A - Interpellanze ed interrogazioni sezione 1).
Tali interpellanze e interrogazioni, vertendo sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente.
Avverto che gli onorevoli Cola e Piccolo hanno rinunciato ad illustrare le interpellanze n. 2-00940, n. 2-01025 e n. 2-01155.
Prendo altresì atto che gli onorevoli Tassone e Volontè rinunciano ad illustrare l'interpellanza n. 2-01256.
Il sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica ha facoltà di rispondere.

ROBERTO PINZA, Sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con decreto del 23 gennaio 1998, ha disposto che l'alienazione della partecipazione detenuta dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica nella Banca nazionale del lavoro venga effettuata sia mediante offerta pubblica di vendita, sia mediante trattativa diretta, anche al fine di costituire un azionariato stabile.
Il Tesoro, nel periodo intercorrente tra l'aprile ed il giugno 1998, ha proceduto alla selezione di soggetti bancari e finanziari allo scopo di costituire il nucleo di azionisti di riferimento della BNL.
Nel giugno 1998 l'Istituto nazionale delle assicurazioni Spa ed il Banco Bilbao Vizcaya hanno presentato un'offerta. Essendo stata ritenuta inammissibile l'offerta dell'INA, il Tesoro ha proseguito le trattative con il Banco di Bilbao, la cui offerta è stata invece ritenuta ammissibile.


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Il Banco aveva la facoltà di aggregare alla propria offerta ulteriori parti con quote minoritarie di azioni, al fine di completare l'azionariato stabile della BNL.
Il 12 settembre 1998 la Banca popolare vicentina Spa e l'INA si sono aggregati al Banco Bilbao Vizcaya per costituire il nucleo di azionisti di riferimento della BNL una volta completata la privatizzazione della stessa. Il Banco di Bilbao, la Banca popolare vicentina e l'INA hanno concordato i principi che regoleranno i loro patti sociali con l'intesa di definirli in un'apposita convenzione. I patti riguardano la composizione degli organi sociali della BNL, le modalità di esercizio del diritto di voto, il trasferimento delle azioni e la gestione della BNL.
Per quanto concerne poi l'interesse della BNL di acquisire una partecipazione nel Banco di Napoli, va precisato che nel dicembre 1996 la BNL e l'INA hanno sottoscritto una lettera di intenti per acquistare la quota del Banco di Napoli messa in vendita dal Ministero del tesoro. L'operazione è stata poi effettuata attraverso una società denominata Gruppo bancario Banco di Napoli Spa, le cui azioni sono detenute, come è noto, per il 51 per cento dall'INA e per il 49 per cento dalla BNL. Gli accordi sottoscritti dalla BNL con l'INA prevedevano anche la possibilità di fondere la BNL ed il Banco di Napoli.
Nel giugno 1998 il Tesoro ha giudicato inammissibile l'offerta di partecipazione al gruppo di azionariato stabile presentata dall'INA in sede di trattative private di vendita del gruppo BNL. Pertanto, le trattative relative alla fusione si sono interrotte. Di conseguenza, il processo per la privatizzazione della BNL è proseguito soltanto con riferimento alla banca stessa.
In proposito è opportuno segnalare che la normativa vigente sulla vigilanza prevede che i vantaggi ed i costi connessi con le operazioni di fusione siano analizzati nel quadro di un progetto industriale che rappresenti gli assetti tecnico-organizzativi e le strategie operative del soggetto bancario risultante dalle operazioni medesime.
Va altresì segnalato che al momento non vi è alcun accordo o intesa fra il Ministero del tesoro, il gruppo BNL, l'INA o il Banco di Napoli in ordine a qualsivoglia forma di integrazione o associazione tra la BNL ed il Banco di Napoli. Infatti, il Tesoro ha annunciato il 25 agosto 1998 che la prevista ipotesi di fusione è divenuta inattuabile nei tempi originariamente previsti. Qualunque futura decisione su una fusione o creazione di altro vincolo partecipativo con il Banco di Napoli dipenderà dai fatti o dalle circostanze del momento e richiederà il consenso degli azionisti interessati, con le maggioranze statutarie.
Per quanto riguarda, poi, l'evoluzione reddituale delle due banche, va segnalato che per l'esercizio 1998 le relazioni semestrali al 30 giugno 1998, al momento disponibili, indicano che la BNL ha registrato un utile netto di 21 miliardi e il Banco di Napoli di 134 miliardi.
Va infine segnalato che le risultanze degli accertamenti ispettivi di vigilanza, condotti presso la BNL dal 22 aprile 1997 al 3 aprile 1998, sono state portate a conoscenza degli organi della banca fin dal 2 luglio 1998.

PRESIDENTE. L'onorevole Cola ha facoltà di replicare per le sue interpellanze nn. 2-00940 e 2-01025.

SERGIO COLA. Signor Presidente, resto allibito dalla risposta del sottosegretario per una serie di ragioni. Anzitutto, essa non mi sembra corretta nei confronti di chi, sin dal marzo 1998 (le mie interpellanze datano, rispettivamente, 9 marzo e 3 aprile 1998), ha rappresentato una situazione allarmante sotto tutti i punti di vista, con il richiamo a dati di fatto inequivoci. La situazione era allarmante non solo per le condizioni della Banca nazionale del lavoro, ma anche per i pericoli che correva il Banco di Napoli con la fusione - si parlava di trasferimento della sede e di un assorbimento - e, soprattutto, per la mancata conoscenza dei risultati dell'ispezione compiuta dalla Banca d'Italia in relazione alle voci circa


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una condizione di decozione della BNL; si trattava di una condizione di enorme sofferenza che, tra l'altro, era stata consacrata anche dall'attività della Standard and Poors, una società americana internazionale di controllo delle attività bancarie (per la verità i risultati di tale indagine sono successivi alla data di presentazione della mia seconda interpellanza).
La risposta è deludente sotto tutti i punti di vista perché, in effetti, non ci dà conto di quel che è avvenuto. Il 9 marzo 1998 rappresentavo, solo per sentito dire, la situazione di sofferenza della Banca nazionale del lavoro; con l'interpellanza del 3 aprile scendevo più nel concreto, forse sollecitato dai rilievi che provenivano da più parti, certamente non da me che riferivo notizie apprese. In quest'ultima interpellanza davo per scontato un accadimento verificatosi poco tempo prima e cioè che la Banca nazionale del lavoro, forse a seguito di tali sollecitazioni, aveva approvato un bilancio per l'esercizio 1997 dal quale risultava che le perdite sfioravano i 3 mila miliardi. In questa interpellanza affermavo, sulla scorta di elementi indiscutibili, che tali dati erano sicuramente in difetto e non in eccesso e prospettavo la possibilità che nel caso di specie, con un'impunità degna di miglior sorte - sono veramente fortunati coloro che riescono a sottrarsi alle maglie della giustizia -, si fossero posti in essere comportamenti costituenti inequivocabilmente falso in bilancio.
Affermavo tutto ciò solo a livello di sospetto ma poi, attraverso un esame molto più approfondito del bilancio, ho potuto constatare che nella sostanza tale falso in bilancio sussisteva.
Le preoccupazioni che ho segnalato a suo tempo sono state fatte proprie anche dall'onorevole Piccolo, il quale è il primo firmatario di un'interpellanza che, però, reca una data un po' diversa da quella dell'interpellanza da me presentata.

SALVATORE PICCOLO. Ce ne sono altre precedenti.

SERGIO COLA. Ce ne sono altre precedenti, ma oggi discutiamo anche di un atto che hai presentato nel gennaio 1999. D'altra parte, dalla lettura della tua interpellanza, risulta che essa è analoga alla mia almeno in ordine alle comuni preoccupazioni che abbiamo espresso sulla sorte del Banco di Napoli e che rimangono tuttora. Signor sottosegretario, tali preoccupazioni rimangono anche sulla scorta di alcune considerazioni ineccepibili del seguente tenore: mentre il Banco di Napoli, considerata una cenerentola e una banca nell'occhio del ciclone, si è ripreso bene - tant'è vero che sia per l'esercizio passato sia per quello attuale risultano determinate attività -, neanche a farlo apposta la Banca nazionale del lavoro - che avrebbe dovuto assorbire o ha assorbito il Banco di Napoli sulla scorta di una «possanza» di carattere finanziario e della possibilità di dare tutte le garanzie necessarie - versa in una sofferenza spaventosa! Non solo, ma le attività, oppure la limitazione di quelle sofferenze, sono tra l'altro coperte da comportamenti sicuramente illeciti sotto il profilo penale, costituenti dei veri e propri falsi in bilancio.
Sottolineo, tra l'altro, che le considerazioni che sto svolgendo hanno rappresentato oggetto di un'altra interpellanza presentata dal senatore Novi presso l'altro ramo del Parlamento. In quest'ultimo documento, per la verità, si è entrati molto più nel merito della questione in maniera ineccepibile e incontestabile.
Devo dire che mi sarei atteso dal sottosegretario Pinza, invece della risposta laconica e telegrafica che ci ha fornito, una risposta in merito ai risultati delle indagini svolte dalla Banca d'Italia. Forse si vuole stendere un velo pietoso sull'intera vicenda! In ogni caso, noi siamo qui non solo per rimuovere questo velo pietoso, ma anche e soprattutto per tutelare gli interessi di tanti piccoli azionisti che si vedono sottoposti ad una serie di attività illecite, che provocano gravissime conseguenze anche di aggiotaggio; infatti, quando si compiono dei falsi in bilancio e si fanno apparire come positive delle


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situazioni negative sotto tutti i punti di vista, non si può che esprimere critiche estremamente decise e ferme, se non si vuole poi andare oltre ricorrendo ad una denuncia penale.
Dico questo anche perché quella interpellanza del senatore Novi (che io condivido totalmente) costituisce, a mio avviso, il presupposto per una indagine della magistratura molto profonda.
Vorrei a questo punto ricordare il dato preciso relativo alla sofferenza per il 1997 della Banca nazionale del lavoro: si è trattato di una cifra di 2.965 miliardi! Solo che - al riguardo non mi è stata fornita alcuna risposta - nel bilancio si calcolano in perdita solamente gli interessi di mora su crediti inesigibili, incautamente riportati a profitto negli anni precedenti. Non solo, ma non viene fatto alcun tipo di valutazione o alcuna revisione del portafoglio dei crediti, degli immobili e delle partecipazioni. Non si è inoltre provveduto ad alcun adeguamento dei fondi-rischi sui crediti!
Se vogliamo prendere in esame i particolari relativi a tale questione, non si devono assolutamente dire parole fumose e vuote, che potrebbero costituire aria fritta, ma fare affermazioni molto specifiche. Vorrei innanzitutto sapere - anche su tale aspetto non abbiamo ricevuto risposta dal rappresentante del Governo - se i criteri che hanno caratterizzato l'ispezione svolta presso il Banco di Napoli dalla Banca d'Italia siano stati gli stessi che hanno caratterizzato quella effettuata alla Banca nazionale del lavoro. Signor sottosegretario, ribadisco e sottolineo che anche su tale aspetto lei non ci ha fornito alcuna risposta e alcun particolare. Ciò mi costringe a reiterare gli inquietanti interrogativi formulati da più parti. In particolare, vorrei sapere se sia corretto che gli stessi clienti, classificati «in sofferenza» o ad «incaglio» dal Banco di Napoli, vengano classificati in bonis dalla Banca nazionale del lavoro. La risposta a tale quesito - lo ripeto - non è stata fornita, anche se essa avrebbe rappresentato il presupposto per configurare quel falso in bilancio al quale ho fatto riferimento in precedenza.
Un altro particolare: il Banco di Napoli è stato costretto dagli ispettori della Banca d'Italia a trasferire ad una bad bank tutti i crediti verso i paesi in via di sviluppo in quanto considerati di dubbia esigibilità. Gli stessi crediti presenti nel portafoglio della Banca nazionale del lavoro sono stati lasciati tra i crediti vivi, senza nemmeno aumentare il grado di copertura fino a quando non è esplosa la crisi dell'economia russa. Come si spiegano questa anomalia e questa contraddittorietà di comportamenti se non facendo riferimento a comportamenti che chiaramente - a mio modo di vedere - hanno rilevanza penale? Eppure, stranamente, non vengono rilevate.
La Banca nazionale del lavoro subisce sofferenze per altri 2.550 miliardi di crediti verso l'Iraq o verso l'America latina, ma tali crediti rimangano in portafoglio senza essere stati opportunamente svalutati. Tutto questo naturalmente non si è verificato con il Banco di Napoli ma con la Banca nazionale del lavoro.
Vi è di più: arriviamo all'assurdo della verifica in tema di copertura dei rischi per la quale vi sono dati ineccepibili e a fronte dei quali io non ho ricevuto alcuna risposta. Infatti è allarmante e inquietante che si possano coprire situazioni del genere: la Banca nazionale del lavoro ha un ridicolo grado di copertura rischi del 22 per cento che è la metà rispetto a quello del sistema bancario e addirittura è al di sotto della metà rispetto a quello che la Banca d'Italia ha imposto al Banco di Napoli, e cioè il 51 per cento rispetto al 22 per cento! Come si possono giustificare anomalie del genere?
Potrei andare avanti all'infinito e aggiungere, ad esempio, che la Banca nazionale del lavoro ha una partecipazione della Banca d'Italia del 2,83 per cento che viene valutata in 226 miliardi e 600 milioni, mentre il Banco di Napoli gode di una partecipazione del 6,33 per cento della Banca d'Italia che viene ad essere valutata in soli 251 miliardi e 500 milioni,


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quasi la stessa cifra a fronte di un rapporto di uno a tre. Come è possibile tutto questo? Che tipo di giustificazione può trovare un assetto così diverso?
A dire il vero, pro bono pacis, nella mia interpellanza n. 2-00940 - il discorso non è indirizzato al sottosegretario qui presente ma all'intero Governo - ho denunciato siffatte anomalie che hanno rilevanza penale circa un anno fa, cioè il 9 marzo 1998, chiedendo al Governo informazioni sui risultati dell'ispezione della Banca d'Italia presso la Banca nazionale del lavoro. Immediatamente dopo le mie interrogazioni sono state trasmesse per competenza al governatore Fazio e alla Consob e ho avuto delle risposte concertate che affermavano che fino a quel momento non si avevano notizie ma che il Governo avrebbe predisposto una comunicazione al Parlamento non appena entrato in possesso dei dati necessari.
Quindi ho sollevato tale questione un anno fa, ma dopo un anno il Governo risponde in due parole dicendo che è stata fatta l'ispezione della Banca d'Italia, senza fornire alcun chiarimento in ordine alle inquietanti problematiche che avevo prospettato solo genericamente in quella interpellanza perché non avevo elementi più validi dal momento che l'ispezione della Banca d'Italia non era ancora terminata.
Dopo aver acquisito alcuni elementi utili, ho manifestato in modo particolareggiato il mio pensiero fornendo anche delle cifre, senza prospettare, per ipotesi, che le sofferenze della Banca nazionale del lavoro non possano essere di 3 mila miliardi ma di 10 o 20 mila miliardi; viceversa, sono andato nel concreto, ho parlato degli interessi di mora e della differenza di trattamento e di valutazione del Banco di Napoli rispetto alla Banca nazionale del lavoro per i crediti verso i paesi in via di sviluppo, verso l'Iraq e verso la Russia. Ho parlato anche della differenza di valutazione della partecipazione della Banca d'Italia nella Banca nazionale del lavoro rispetto a quella del Banco di Napoli fornendo elementi concreti: se un pubblico ministero - non dico il Di Pietro vecchia maniera - li avesse avuti a disposizione, non avrebbe esitato, nemmeno per un istante, a promuovere un'azione penale con l'emissione di una ordinanza di custodia cautelare; mentre lei - signor sottosegretario - che cosa mi viene a dire? Mi viene a dire che la Banca d'Italia ha fatto l'ispezione: è nulla rispetto alle problematiche che io ho prospettato! È veramente, a mio modo di vedere, indecoroso! Non voglio usare altre espressioni, voglio essere eufemistico nel rappresentare la mia reazione a siffatto modo di comportarsi e manifesto qui, proprio sulla scorta di queste mie osservazioni - sperando che il resoconto stenografico dia in pieno il senso di questa vergogna - una sdegnata insoddisfazione per la sua risposta.

PRESIDENTE. L'onorevole Piccolo ha facoltà di replicare per la sua interpellanza n. 2-01155 e per la sua interrogazione n. 3-03470.

SALVATORE PICCOLO. La risposta del Governo arriva quando ormai sono maturati eventi come la mancata fusione, tali da rendere evidentemente alquanto superati i ragionamenti che sviluppavamo in diverse interrogazioni e interpellanze. Il sottosegretario Pinza, in particolare, conosce la questione per aver seguito, devo dire, con grande attenzione il problema del Banco di Napoli fin dal decreto di salvataggio, concorrendo certamente a dare una mano per vincere le resistenze anche trasversali che si manifestavano in Parlamento, partendo dalla lega ma diffondendosi anche ad altri schieramenti (in particolare, voglio ricordare quello di forza Italia), quando verso il salvataggio del Banco di Napoli sussisteva una rigida pregiudiziale che portava a ritenere che bisognasse metterlo in liquidazione.
Pur avendo sviluppato in certi momenti riflessioni fortemente critiche sul preventivato processo di fusione, non posso non riconoscere che il ministro Ciampi e il sottosegretario Pinza, con delega al credito, si sono battuti perché si mutasse un orientamento che, quando iniziò questa legislatura, sembrava quasi


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acquisito, vale a dire quello della liquidazione del Banco di Napoli. Ricordo anche i tentativi fatti dal Governo Prodi, in particolare dal sottosegretario Pinza e dal ministro Ciampi, per trovare partner adeguati, investitori privati che potessero concorrere in un processo di salvataggio che tutti declamavano come necessario, ma che trovava difficoltà di realizzazione, perché oltre a quello che si chiedeva allo Stato di investire non si riuscivano ad individuare investitori che volessero puntare sul Banco di Napoli. Operazioni trasversali della grande finanza italiana: le responsabilità appartengono in maniera significativa anche a quel mondo. Il tentativo di integrazione con il Banco ambrosiano veneto saltò per precise scelte politiche fatte da una certa finanza nel nostro paese.
Di fronte a tutto questo, devo riconoscere al Governo che, rispetto alla situazione del Banco di Napoli, c'è stata un'attenzione e un'iniziativa, che poi si è concretizzata in un decreto-legge, convertito in legge, che sostanzialmente ha consentito di salvare il Banco di Napoli attraverso una ristrutturazione che il Banco stesso ha fatto con rigore e con serietà. I lavoratori del Banco di Napoli hanno pagato un giusto prezzo per concorrere al riequilibrio dei conti aziendali. Voglio ricordare la riduzione dei costi del lavoro, che è pesata essenzialmente sui lavoratori del Banco, e la revisione del sistema pensionistico: una ristrutturazione integrale dell'azienda, che ha consentito negli anni successivi di portare anche a risultati di bilancio positivi. Questo significa che il Banco di Napoli ha trovato, con il concorso dell'azione del Governo, una strada per mantenere la sua posizione nel mondo del credito e soprattutto per conservare la sua esistenza nell'economia meridionale.
Noi abbiamo sempre insistito su questo aspetto. Noi pensiamo che il processo di concentrazione delle banche sia un dato essenziale nell'Europa unita.
Non è immaginabile che singoli istituti di credito, singole aziende possano stare decentemente e dignitosamente sul mercato se la concorrenza è non solo aggressiva, ma spietata. I colossi del credito, gli incroci che oggi stanno avvenendo non consentono ad aziende deboli, sia pure risanate, di mantenere una possibile, proficua e reale competitività sul mercato.
Siamo sempre stati convinti che il Banco di Napoli, una volta risanato, come è avvenuto, dovesse partecipare necessariamente a un processo di integrazione con altri soggetti. Mi riferisco, innanzitutto, alla BNL, l'unica azienda di credito che aveva ritenuto di investire sul salvataggio del Banco di Napoli, insieme con l'INA, costituendo un'apposita holding della quale l'INA possedeva il 51 per cento e la Banca nazionale del lavoro la restante percentuale. Si è andati avanti su una strada che portava ad un processo di integrazione sicuramente necessario nell'attuale scenario dei mercati finanziari, in particolare nel settore del credito.
Mi dispiace che l'amico Cola sia uscito dall'aula, non ho intenzione di fare l'elenco delle interrogazioni per vedere chi le ha presentate prima o dopo, ma per spirito di cronaca faccio presente che oggi ne esaminiamo alcune, mentre altre risalgono addirittura al 1997. Non bisogna fare demagogia perché l'unica cosa che conta è risolvere il problema. La questione fondamentale, infatti, è che il processo di integrazione avrebbe dovuto essere condotto con modalità che non portassero all'assorbimento del Banco di Napoli, ad una fusione per incorporazione nella Banca nazionale del lavoro, che ne cancellasse l'identità. Non si trattava di un fatto di romanticismo per un'azienda di credito che risale al 1500, ma di una necessità: salvare un'identità in un'economia meridionale dove il circuito del credito è ormai fortemente soffocato, dove le iniziative indigene sono state ormai quasi completamente polverizzate, in quanto le aziende di credito del Mezzogiorno sono state quasi tutte assorbite in processi che hanno portato i vertici decisionali al centro-nord. Ritenevamo che anche in un mercato telematico, moderno, fosse importante avere un centro decisionale nel Mezzogiorno, proprio per la particolarità


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della situazione economica. Immaginavamo, quindi, che un processo di integrazione, che pure ritenevamo necessario, volto ad abbattere costi e anche personale potesse essere condotto con modalità diverse, quali ad esempio quelle adottate con Banca Intesa. Ciò avrebbe consentito una integrazione e quindi una economizzazione di costi e di attività, ma avrebbe lasciato in piedi l'identità sul territorio e una presenza forte del Banco di Napoli. Esso è stato, infatti, un riferimento e il suo radicamento forte è indiscusso. Mi meraviglio che molte aziende di credito non abbiano valutato adeguatamente l'affare Banco di Napoli, perché esso è radicato, lo ripeto, in maniera formidabile e non è surrogabile da altre aziende di credito. Ricordo che nel momento più devastante per il Banco di Napoli, quando sulla stampa e in televisione si parlava del suo fallimento, l'azienda è riuscita a mantenere, per l'alto grado di fidelizzazione della clientela, una percentuale di raccolta del risparmio molto elevata, che non è stata intaccata perché un vasto bacino di utenza è ancora legato al Banco di Napoli.
Pensavamo e pensiamo, quindi, che il Banco di Napoli non possa reggere da solo, come del resto nessun'altra azienda di credito, e che vi sia bisogno di un processo che porti ad una concentrazione.
Certamente non è il Governo a dettare le soluzioni, le regole del mercato sono quelle che sono, tuttavia ho sempre immaginato che nel nostro paese potessimo arrivare a tre grandi poli del credito, uno dei quali con sede nel Mezzogiorno. Certo, mi si eccepirà, fondatamente, che ciò non è determinato dalla volontà del Governo in un libero mercato, ma dipende certamente anche dagli indirizzi e dall'influenza che l'esecutivo può avere nel creare certi equilibri. Che il Governo non sia direttamente responsabile, in un mercato come quello italiano o europeo, dei processi che avvengono nel settore finanziario è certamente vero, ma è anche vero che l'esecutivo non è indifferente rispetto a ciò che si determina in materia economica e, soprattutto, finanziaria, potendo incidere anche attraverso forme indirette.
È stata, quindi, superata questa fase, sventata grazie a circostanze forse anche casuali, perché il fatto che non sia andata in porto la fusione ritengo sia dipeso da un concorso di circostanze, di cui alcune non prevedibili. La preoccupazione che nutrivamo, e che avevamo denunciato, che la BNL fosse un'azienda di credito che presentasse forte criticità, era un dato reale.
Nella mia interpellanza ho richiamato l'attenzione del Governo e del Tesoro, anche nella loro funzione di vigilanza e di indirizzo, che non spetta solo alla Banca d'Italia, denunciando il rischio che la fusione tra la BNL e il Banco di Napoli fosse un pateracchio. Al di là della polverizzazione e della scomparsa dell'identità del Banco di Napoli, chi ha esaminato attentamente, come ho fatto io, i bilanci della BNL del 1997 - non arrivo a dire le cose che ha detto il collega Cola sul falso in bilancio e sarei molto cauto in queste affermazioni - ha potuto rilevare che in quell'anno la situazione della BNL era complessa: le criticità aziendali erano rilevantissime, la quantità delle sofferenze era di rilievo e preoccupante, la percentuale di copertura era prevista in bilancio largamente al di sotto della media delle grandi aziende di credito.
Ho temuto anche che questa operazione, dopo un anno o due, non reggesse e che, probabilmente, si sarebbero scaricate sul Banco di Napoli alcune difficoltà della BNL. Il Banco di Napoli, infatti, aveva provveduto ad una operazione di tagli di esuberi, mentre la BNL ne aveva e ne ha ancora: in un processo di assorbimento risulta poi difficile stabilire dove siano gli esuberi e quali tagli debbano essere effettuati. Il rischio era che gli esuberi fossero pagati dai dipendenti del Banco di Napoli e non sto qui a ragionare in termini tecnici anche di altri aspetti più propriamente attinenti ai conti delle due aziende.
In fin dei conti, ritengo sia stato positivo, per questi presupposti e per le modalità con cui l'operazione stava andando avanti, che la fusione sia saltata. Certo, non isso il vessillo, dicendo che


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adesso il Banco di Napoli resta solo e, quindi, si è salvato. Continuo ad essere preoccupato per le ragioni che ho detto in premessa: il Banco di Napoli oggi, nonostante sia risanato, ha bisogno di partecipare ad un processo di integrazione. Mi auguro che il Tesoro possa spingere in questa direzione, ma immaginando un processo in cui sia salvaguardata l'identità del Banco di Napoli e, soprattutto, la funzione e il ruolo che esso ha svolto e può ancora svolgere nel Mezzogiorno d'Italia.

PRESIDENTE. L'onorevole Volonté ha facoltà di replicare per l'interpellanza Tassone n. 2-01256, di cui è cofirmatario, per l'interrogazione Di Nardo n. 3-03473, di cui è cofirmatario, e per la sua interrogazione n. 3-03472.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, signor sottosegretario, sono parzialmente soddisfatto. Non vi è dubbio che gli strumenti di sindacato ispettivo in questione, presentati quasi un anno fa, risultano datati alla luce dell'evoluzione della situazione della BNL e dello stesso Banco di Napoli, trattandosi di vicende che si intrecciano e di cui occorre conoscere l'evoluzione.
Tutta la politica delle privatizzazioni, al di là delle risorse ottenute, più per far cassa che per un disegno complessivo di arretramento dello Stato dall'economia, risulta incerta. La vicenda di Telecom di queste ore ne è un chiaro esempio. Ma su questo tornerò successivamente.
BNL e Banco di Napoli hanno preso, per ora, due strade diverse. Anche se in entrambi i soggetti riscontriamo la presenza dell'INA - che è palese per il Banco di Napoli e palese ed occulta per la BNL -, per conoscere la vera entità e la vera dimensione della presenza INA in BNL occorre aspettare i tempi dovuti, anche se sappiamo che vi è stato un rastrellamento di azioni sul mercato.
Per BNL vi è stata la privatizzazione, la nomina del presidente Abete, la costituzione di un nocciolo duro con tre azionisti di riferimento che hanno rilevato il 25 per cento del capitale distribuito: il 10 per cento per il Banco di Bilbao, il 7,75 per cento per la Banca popolare vicentina e il 7,25 per cento per l'INA.
I nuovi azionisti sono rappresentati, dunque, in una banca particolarmente rivolta verso l'America latina, da una realtà vincente nel nord-est italiano, protagonista di un forte sviluppo economico. Vengono coniugate così le possibilità di sviluppo nel settore banca assurance con una azienda di credito in grado di offrire servizi adeguati nei settori del credito all'esportazione.
Il capitale del Banco di Napoli è ora suddiviso tra il 51 per cento all'INA e il 49 per cento alla BNL.
La fusione del Banco di Napoli con la BNL sembra per ora accantonata. È importante, però, dare indicazioni sulla scelta dell'assetto definitivo. La strada migliore sembra quella percorsa da Banca Intesa, che ha costituito una holding mantenendo il marchio per la Cariplo e per le altre banche partecipanti. Ciò consente di mantenere le specificità, giovando a tutto il gruppo bancario e, soprattutto, di confermare le vocazioni delle singole aziende di credito che, nel caso del Banco di Napoli, hanno rappresentato un elemento determinante per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Non va dimenticato che lo sforzo di razionalizzazione del Banco di Napoli ha portato a risultati di bilancio positivi nell'ultimo biennio, di cui occorre tenere conto.
Ma vi sono altre ragioni che debbono essere attentamente valutate rispetto al processo di privatizzazione e, in particolare, sul piano industriale del rilancio dell'azienda bancaria BNL, considerato che l'azionista Banco di Bilbao può aver fatto un investimento esclusivamente finanziario, mi riferisco al suo scarso interesse ad accrescere il peso nell'azienda e, quindi, alle responsabilità nella gestione che potrebbero essere non collimanti con la vocazione della BNL e, soprattutto, alla difficoltà nel realizzare sinergie, sia nei


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prodotti che nelle strutture e nelle filiali, in mondi completamente diversi come quelli italiano e latino-americano.
Tutto ciò riporta al metodo usato nella privatizzazione della BNL, che ha visto certamente la realizzazione di un nucleo stabile, ma anche la presenza di azionisti privati nella forma di fondi istituzionali e, soprattutto, la forte presenza di un capitale polverizzato sottoscritto dai dipendenti e che, pur nella sua rilevanza, non è rappresentato nel consiglio di amministrazione come avrebbe dovuto, se non si vuole che i dipendenti perdano fiducia nelle privatizzazioni e guardino esclusivamente ad un capital gain di breve periodo.
Le nostre preoccupazioni riguardano poi l'offerta pubblica d'acquisto del 45 per cento della cordata INA, Banco di Bilbao, Credit Suisse-First Boston.
Le nostre preoccupazioni riguardano anche la vicenda Telecom ed i lati oscuri di una offerta pubblica d'acquisto totalitaria. Leggiamo proprio oggi su diversi quotidiani italiani, i riassunti dei colloqui tra il presidente Bernabè ed il Presidente del Consiglio dei ministri: cercheremo poi di capirne di più in occasione di un'altra interrogazione.
Con tutte queste preoccupazioni non vorremmo che si ripetesse la storia della Buitoni, caro sottosegretario: una storia non bella, di finanzieri d'assalto che fanno cassa e abbandonano rapidamente il campo.
Sono, dunque, parzialmente soddisfatto perché vorremmo richiamare, non tanto il sottosegretario - di cui conosciamo la grande attenzione -, ma i suoi uffici ad una maggior attenzione ai tempi di risposta a tali atti di sindacato ispettivo che vengono bruciati quindicinalmente dai fremiti che percorrono la Borsa e ad una maggior precisione sui contenuti e sulla veloce evoluzione delle situazioni finanziarie e del mercato borsistico - ma anche delle reali intenzioni del Governo sulle privatizzazioni - in modo da rendere più chiaro il quadro agli interpellanti e al paese; come affermava poc'anzi l'onorevole Cola, è necessario comunicare ai cittadini e ai piccoli risparmiatori non solo le intenzioni del Governo, ma anche notizie che possano rassicurarli.

PRESIDENTE. L'onorevole Gambale ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n. 3-02076.

GIUSEPPE GAMBALE. Signor Presidente, certamente, come è stato già sottolineato dai colleghi che mi hanno preceduto, la risposta del Governo, per quanto soddisfacente, arriva con molto ritardo rispetto alle questioni che erano state poste.
Mi limito a dire, per non ripetere quanto già affermato dall'onorevole Piccolo, che dal Governo ci attendiamo non solo che continui a mantenere la sua azione di vigilanza nei confronti di operazioni che a volte possono essere spregiudicate o pericolose per il futuro di alcuni istituti bancari, ma soprattutto che mantenga costante, pur nella libertà del mercato e dell'iniziativa dei privati, la vigilanza sugli istituti bancari del Mezzogiorno, in particolare sul Banco di Napoli. Noi consideriamo quest'ultimo una risorsa per l'imprenditoria meridionale, per tutta un'azione, che ha preso avvio dai sindaci e dagli enti locali, volta ad un nuovo sviluppo di Napoli e della Campania, come di tutto il Mezzogiorno. Consideriamo quindi fondamentale che tale istituto di credito mantenga la sua direzione strategica a Napoli e nel sud. Riteniamo indispensabile che non solo a nord di Roma vengano prese decisioni importanti per quanto riguarda l'imprenditoria ed il mondo della finanza, ma, ripeto, che al sud rimanga questo importante istituto di credito e la sua direzione strategica. Questo ci attendiamo dal Governo e siamo certi che, come è avvenuto finora, il Ministero e segnatamente il sottosegretario Pinza, che segue con particolare attenzione tali questioni, continueranno a fare la loro parte.

PRESIDENTE. L'onorevole Lucchese ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n. 3-03471.


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FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor Presidente, signor sottosegretario, mi pare che di risposte simili non si possa essere soddisfatti, quindi ritengo abbastanza ovvio dichiararmi insoddisfatto, per tanti motivi, in primo luogo perché la risposta è arrivata molto in ritardo, quando ormai gran parte degli argomenti affrontati sono superati: come dire, il tempo è galantuomo, quindi si aspetta che gli eventi si evolvano e poi si dà una risposta. Tra l'altro non capisco, in questa logica, perché il sottosegretario oggi sia venuto a rispondere, visto che non aveva molto da dire: poteva aspettare un altro po' (è già passato qualche anno, potevano passarne altri). Per di più, le notizie che ci ha fornito sono molto meno approfondite di quelle che possiamo acquisire dalla stampa, neppure da quella specializzata, ma addirittura dai quotidiani comuni. Sono, insomma, notizie abbastanza ovvie e, se sono state preparate nelle segrete stanze, mi sembra che ci sia da preoccuparsi. Signor sottosegretario, io licenzierei il funzionario che mi preparasse una relazione del tipo di quella che lei è venuto a leggere in questa sede. Il Parlamento vuole sapere qualcosa di più; ma se io volevo ricevere qualche informazione aggiuntiva, dalla sua relazione non ne ho avuta nessuna, per cui non so che cosa dire: debbo arrampicarmi sugli specchi e fare tesoro delle cose che ho appreso dalle mie letture, per fare qualche considerazione. In effetti la sua è stata una lectio brevis, se così vogliamo dire, però piuttosto arrogante, perché in sostanza in essa si dice «Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare».
La sua relazione è stata un po' ampliata, se così si può dire, dagli interventi degli onorevoli Piccolo e Volontè, che ne hanno fatto un'integrazione, come una specie di difesa d'ufficio: fanno parte della maggioranza e quindi, pur dichiarandosi moderatamente soddisfatti - quindi, insoddisfatti -, hanno avuto l'ardire di svolgere una relazione integrativa della sua, per coprire un po' ciò che lei non aveva detto o aveva detto male.
Si sarebbe dovuto parlare del risultato dell'ispezione della Banca d'Italia, cui lei non ha assolutamente accennato. Si sarebbe anche dovuto dire se le sofferenze siano veramente quelle ipotizzate o se ce ne siano altre, il che può accadere, nel momento in cui si iscrivono in bilancio le partite dubbie. Lei avrebbe dovuto chiarire se si sia proceduto ad un risanamento attraverso la vendita di immobili o delle partecipate. Non abbiamo avuto una risposta su questo e quindi non sappiamo cosa accadrà.
Che la situazione rimanga incerta è chiaro perché mi sembra che il Governo, con questa reticenza, non abbia voluto dire tutto quanto invece vi sarebbe stato da dire. Concludo, pertanto, rimandando a settembre il sottosegretario Pinza perché avrebbe dovuto dare un altro tipo di risposta. Lo rimando a settembre perché è impreparato: ma forse la cosa più semplice che potrei dire è che egli è in malafede.

PRESIDENTE. Avverto che, a seguito dello svolgimento delle interpellanze e delle interrogazioni testé trattate, devono considerarsi esaurite anche le interrogazioni Piccolo ed altri nn. 3-02075 e 3.03469, vertenti sullo stesso argomento.

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