Seduta n. 428 del 2/11/1998

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Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 21 settembre 1998, n. 328, recante modifiche dei requisiti per la nomina dei giudici onorari aggregati da destinare alle sezioni stralcio istituite con la legge 22 luglio 1997, n. 276, e modifica dell'articolo 123-bis dell'ordinamento giudiziario, nonché disciplina transitoria della legge 3 agosto 1998, n. 302, in materia di espropriazione forzata (5237) (ore 16,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 21 settembre 1998, n. 328, recante modifiche dei requisiti per la nomina dei giudici onorari aggregati da destinare alle sezioni stralcio istituite dalla legge 22 luglio 1997, n. 276, e modifica dell'articolo 123-bis dell'ordinamento giudiziario, nonché disciplina transitoria della legge 3 agosto 1998, n. 302, in materia di espropriazione forzata.
Prego i colleghi della Commissione giustizia di prendere posto.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5237)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Carotti.

PIETRO CAROTTI, Relatore. Signor Presidente, vorrei innanzitutto rivolgere un saluto al nuovo ministro di grazia e giustizia, onorevole Diliberto, al quale va anche l'augurio di poter proseguire il lavoro di riforma che è già stato proficuamente iniziato: il gruppo al quale appartengo garantisce tutta la disponibilità e tutto il sostegno, per l'ulteriore viatico con il quale ci auguriamo di rendere la giustizia un pochino più conforme ai desideri dei nostri cittadini.
Venendo all'esame del provvedimento, ci troviamo in presenza di un disegno di legge che, sostanzialmente, deriva le caratteristiche dell'urgenza e della necessità dal fatto che la nomina dei giudici ordinari aggregati, prevista dalla legge n. 276 del 1997, ha avuto scarso successo. Si deve considerare che essa va comunque parametrata rispetto ad una tenaglia temporale che va dall'11 novembre prossimo, data in cui si prevedeva l'attuazione della riforma delle sezioni stralcio (che dovrebbero contribuire a deflazionare il carico dei processi civili fino all'aprile 1995), al 2 giugno 1999, data difficilmente prorogabile, che indica l'attuazione della riforma del giudice unico di primo grado.
È di tutta evidenza come un sistema che iniziasse la sua attività (pur in una visione semplificata di funzionalità della giustizia) soffocato dal perdurare di una mole delle pendenze che varia - per la verità, i dati sono alquanto incerti - da qualche centinaio di migliaia di procedimenti fino ad oltre un milione, non avrebbe vita lunga. È quindi assolutamente indispensabile che la presenza dei giudici aggregati onorari possa essere portata almeno al numero di mille, come prevedeva la legge n. 276 del 1997. I primi dati sono poco confortanti, perché nel 1997 vi sono state soltanto 276 assegnazioni rispetto alle mille previste e ciò ha reso necessario un nuovo intervento, soprattutto per rimuovere un ostacolo - di cui parlerò di qui a qualche momento -, nonché per estendere, sotto il profilo


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soggettivo, la possibilità di accesso alla magistratura ordinaria anche al mondo del notariato, che ha manifestato una disponibilità ufficiosa, attraverso contatti tra il Ministero di grazia e giustizia ed il consiglio nazionale, che indicava in 800 la possibilità numerica di assorbimento in questa istituenda categoria.
La prima parte del provvedimento di cui si chiede la conversione riguarda quindi la rimozione di alcuni ostacoli che vorrei definire di carattere pregiudiziale. La previsione di alcune incompatibilità rendeva infatti poco accessibile la carica da parte degli appartenenti a quelle categorie che possiamo considerare elettive, ossia quelle del mondo professionale e del mondo universitario.
Il decreto-legge di cui si chiede la conversione presenta anche altri due aspetti, che potrebbero sembrare disomogenei rispetto all'intera materia, ma che rappresentano un corollario di funzionalità rispetto all'obiettivo di rendere possibile la riforma del 1999 che, come ricordavo poc'anzi, dovrà avere attuazione a partire dal 2 giugno prossimo. Il primo aspetto è di carattere semplicemente organizzativo: essendo infatti prevista una fase di potenziamento della magistratura ordinaria, si è pensato di consentire, per le procedure di preselezione volte all'ingresso nella magistratura degli uditori giudiziari, di utilizzare per il prossimo triennio, in via del tutto transitoria, la sede di Roma e non la sede decentrata, come prevede invece la legge, perché questa non sarebbe dotata del supporto delle strutture informatiche, il che renderebbe estremamente difficoltosa la possibilità del ricorso all'assorbimento di nuovi uditori giudiziari. Vi è poi un'ultima parte riguardante una norma transitoria che diventa in parte anche norma ordinaria relativa alle espropriazioni forzate che hanno suscitato perplessità sotto il profilo della graduazione nell'applicazione e della certezza per l'entrata in vigore con riferimento a tutte le incombenze poste a carico delle parti, ma su questo argomento aggiungerò poche parole alla conclusione del mio breve intervento.
Per quanto riguarda la prima parte del provvedimento, il relatore è favorevole all'immediata conversione in legge con qualche modesta modifica che riguarda la possibilità non soltanto di estendere la platea soggettiva di coloro che avranno accesso alla categoria dei giudici onorari aggregati ma anche di rimuovere alcuni ostacoli che abbiamo potuto registrare nella prassi durante il breve periodo di vigore della legge n. 276 del 1997. Essi costituivano la maggiore difficoltà per la possibilità di accesso alla magistratura ordinaria da parte delle categorie forensi e del mondo accademico e universitario.
In buona sostanza, questa introduzione di compatibilità che riteniamo meno afflittivasi sostanzia in una identificazione ambientale che coincide con il distretto di corte d'appello, oppure con quello di sezione distaccata di corte d'appello nelle regioni in cui essa vi sia. Questo è teso a per far sì che, ferma restando la incompatibilità assoluta di esercizio dell'attività professionale all'interno di quel distretto nel quale eventualmente venga chiamato ad esercitare le sue funzioni il giudice onorario, vi sia invece la possibilità di svolgere l'attività professionale, in maniera ad avviso del relatore non lacerante rispetto al sistema e all'etica giudiziaria che si sente di condividere, con una incompatibilità ambientale che sostanzialmente coincide con l'ambito regionale, salvo eccezioni di non grande significato.
Anche i requisiti soggettivi di accesso sono stati ritoccati nel corso della discussione, tanto che, accogliendo anche un'indicazione del Comitato per la legislazione, il relatore proporrà di accogliere quella parte che sostanzialmente rende meno disomogenea la disciplina per i notai rispetto a quella per gli esercenti la professione forense, soprattutto in termini di età. Avevamo infatti una situazione che per la verità lasciava alquanto perplessi, in quanto si richiedeva un'età straordinariamente avanzata per l'avvocatura mentre si richiedevano condizioni ben diverse e più agevoli per chi esercitasse l'attività notarile. La rimozione di questa serie di incompatibilità, con un correlativo e simmetrico


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obbligo di astensione, o possibilità di ricusazione delle parti, ovviamente corredato e confortato anche dall'inevitabile previsione di non poter esercitare patrocinio nei gradi successivi e meno che mai nel grado di competenza quando vi siano interferenze tra attività giudicante e attività professionali, ha portato ad un risultato che il relatore ritiene largamente accettabile.
L'eliminazione del collocamento fuori ruolo senza assegni, che era prevista precedentemente per l'attività di professore e ricercatore universitario, consente anche a questi soggetti un più facile ed accattivante accesso alla categoria dei giudici che verranno a comporre le sezioni stralcio. Come accennavo, vi è anche una norma transitoria relativa alla recentissima legge sull'espropriazione immobiliare che viene interpretata innanzitutto in termini di novella, per cui viene ad esservi un articolo aggiuntivo alla legge n. 302 del 1998, con ciò accogliendo una delle istanze e delle segnalazioni provenienti dal Comitato per la legislazione. Si eliminano così dei dubbi che erano già sorti negli uffici competenti a proposito del quid iuris sui procedimenti di espropriazione forzata immobiliare già pendente quando sia già stata avanzata istanza di vendita, che aveva portato a due teorie: una che prevede l'impossibilità di applicare la disciplina ai procedimenti in corso, l'altra che prevede l'entrata in vigore dalla data di conversione del decreto-legge.
Crediamo di avere risolto quest'ultimo problema attraverso una previsione graduata dell' entrata in vigore e dei termini a seconda del grado di anzianità dell'istanza di vendita già presentata, ponendo una norma che certamente chiarisce qual è la data di entrata in vigore e a quali procedimenti si fa riferimento. Abbiamo altresì recepito alcune notazioni, che provenivano sempre dal Comitato per la legislazione, riguardanti alcuni perfezionamenti di coordinamento con la legislazione vigente ed abbiamo anche accolto una delle osservazioni mosse dalla I Commissione permanente, relativa alla nomina a giudice onorario aggregato per il circondario di Bolzano, che ha caratteristiche di bilinguismo assolutamente peculiari. La seconda osservazione, invece, pur meritevole di attenzione da parte dell'Assemblea, ad oggi non appare al relatore tale da modificare il suo giudizio sull'intera impalcatura del provvedimento.
Altro punto di non secondaria rilevanza va identificato nella possibilità di prevedere, così come viene segnalato, lo stesso regime o un regime simmetrico, che pur tenga conto della differenza esistente tra le due categorie, quella notarile e quella degli esercenti la professione forense, a proposito della incompatibilità ambientale. Vi è infatti una indicazione che lascerebbe prevedere la possibilità di accogliere una incompatibilità almeno all'interno del distretto di appartenenza, con il che probabilmente verrebbe meno una delle censure.
Raccomando all'Assemblea la sollecita conversione in legge di questo decreto, anche perché ci troviamo in una situazione veramente emergenziale. Il decreto-legge decadrà il prossimo 23 novembre e non può essere ulteriormente prorogato il termine del 2 giugno per l'attuazione della riforma del giudice unico di primo grado. Se non rendiamo operative le sezioni stralcio e quindi se non riusciamo a decomprimere il sistema, liberandoci del pregresso sino al 1995, che sino ad oggi è restato congelato in attesa proprio del varo del presente disegno di legge, probabilmente ci troveremo in gravi difficoltà rispetto allariforma più significativa sulla quale sino ad oggi questo Parlamento sta lavorando.
Pertanto, chiedo all'Assemblea di approvare il disegno di legge in esame, riservandomi di intervenire in sede di replica al termine della discussione generale ed anche quando si entrerà nel dibattito sugli emendamenti già presentati.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

OLIVIERO DILIBERTO, Ministro di grazia e giustizia. Mi riservo di intervenire in sede di replica.


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PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Marino. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARINO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, credo che questo sia il primo dibattito sulla giustizia al quale partecipa il ministro Diliberto dopo la sua recentissima nomina. Debbo rivolgerle, signor ministro, l'augurio che lei possa svolgere un'opera veramente proficua, con serenità, con saggezza, con equilibrio, affinché possa essere veramente rasserenato l'ambiente della giustizia, perché i cittadini possano guardare al giudice come giudice e perché questi faccia davvero il giudice.
Abbiamo letto che ella ha inviato una lettera ai magistrati e il presidente Frigo della Camera penale ha detto: «Ma a noi avvocati il ministro non ha mandato lettere». Penso che certamente il ministro di grazia e giustizia tenga ben presente che anche gli avvocati rappresentano una parte non secondaria...

OLIVIERO DILIBERTO, Ministro di grazia e giustizia. Ho fatto una telefonata. Non gli ho mandato una cartolina.

GIOVANNI MARINO. Sì, lo abbiamo letto. Ho voluto riprendere questo argomento perché certamente il ministro era ben lungi dal fare una discriminazione tra avvocati e magistrati.
Speriamo che scompaiano certi segni inquietanti, come quello che abbiamo colto qualche settimana fa, quando - ella ricorderà, signor ministro - il dottor Almerighi, da poco eletto presidente dell'associazione nazionale magistrati, ebbe a rilasciare una intervista al Corriere della Sera che per la verità determinò anche la reazione di buona parte dei magistrati, tant'è che il dottor Almerighi si dimise.
Auguri quindi perché ella possa rasserenare questo ambiente, nell'interesse di tutta la collettività nazionale.
E ora veniamo alla legge in discussione. Con la legge 22 luglio 1997, n. 276 vennero approvate alcune disposizioni - cito testualmente - per la «definizione del contenzioso civile pendente» e all'uopo venne prevista la istituzione di sezioni stralcio nei tribunali ordinari e la nomina di giudici onorari aggregati.
Fu allora manifestata una serie di perplessità, soprattutto da parte nostra, per questo massiccio ricorso alla magistratura onoraria, che non credo abbia sempre dato prove eccellenti nel passato (anzi, talvolta ha suscitato allarme ed anche timore).
La magistratura onoraria non può essere la regola, ma soltanto l'eccezione. Non è possibile consentire che un vicepretore onorario o un viceprocuratore onorario, per esempio, esercitino nella stessa sede l'attività professionale forense. I consigli dell'ordine hanno reagito contro questo sistema, ma mi pare con scarsissimo risultato.
Si disse allora che il ricorso alla magistratura onoraria era necessario a causa dell'imponente numero di processi civili pendenti: occorreva quindi un rimedio straordinario. Se non ricordo male, la Camera approvò un ordine del giorno in base al quale il Governo si impegnava ad adottare gradualmente provvedimenti per l'estinzione della magistratura onoraria. Fino ad oggi non mi pare che sia stato assunto alcun provvedimento in questa direzione.
All'atto dell'approvazione della legge 22 luglio 1997, n. 276, si disse che il reclutamento straordinario di giudici onorari era dovuto ad una situazione di emergenza. Si stabilì quindi il numero massimo di mille giudici onorari, con la possibilità di chiamare a questo importante ufficio avvocati, magistrati in pensione e professori universitari, cioè le tre categorie previste dall'articolo 2, lettere a), b) e c).
Alcuni salutarono la nuova legge con un certo entusiasmo. Io appartengo a coloro che la salutarono con minore entusiasmo e che guardarono criticamente ai criteri stabiliti dalla disciplina. Con il decreto-legge oggi in esame il Governo - allarmato dall'esiguità delle domande presentate per la nomina a giudice onorario aggregato - ritiene di far fronte alla nuova emergenza, per alcuni imprevista.


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Sostanzialmente si consente ad altri soggetti - i notai - di essere chiamati all'ufficio di giudice onorario aggregato.
Le novità fondamentali del decreto-legge sono due: l'ampliamento ai notai del novero delle categorie interessate alla disciplina e la eliminazione del divieto assoluto di esercitare l'attività forense per gli avvocati chiamati a rivestire questo ufficio.
In sede di Commissione abbiamo già espresso la nostra contrarietà alla scelta operata dal Governo, che ritiene in tal modo di poter arrivare alla quota mille e di far fronte così all'emergenza. Ad oggi i dati su questo tipo di magistratura sono i seguenti: entro lo scorso agosto sono stati nominati dal Consiglio superiore della magistratura 257 giudici onorari (non 276, onorevole Carotti: forse lei si è confuso con il numero della legge del 22 luglio 1997). Si prevedeva - ma al riguardo non abbiamo avuto più alcuna notizia - che altre duecento persone sarebbero state nominate entro breve termine. Caro onorevole Carotti, sul punto non sappiamo niente e, visto che lei non ci ha detto niente, ritengo che neanche lei sappia nulla, altrimenti qualche notizia avrebbe potuto darcela. Forse il ministro potrà fornire qualche chiarimento, quando prenderà la parola.
Allo stato, secondo i dati in nostro possesso, abbiamo soltanto 257 giudici onorari aggregati e, in ogni caso, onorevole Carotti, l'11 novembre le sezioni stralcio partiranno, sia che si approvi sia che non si approvi il provvedimento. Decolleranno forse lentamente, ma decolleranno, perché comunque l'eventuale mancata conversione del decreto-legge non bloccherà l'operazione.
Onorevoli colleghi, vorrei ora chiarire per quale motivo non ci soddisfa il previsto ricorso ai notai, i quali hanno certamente una notevole preparazione nelle materie di loro competenza, ma mi chiedo quale esperienza possano avere nel campo della giurisdizione civile e quale contributo possano dare nella definizione dei processi civili pendenti. Non mi pare, infatti, che abbiano al riguardo competenza specifica.
Ci sembra dunque che, forse, pur di fare le sezioni stralcio, si ricorra ai notai prescindendo dalla preparazione specifica. Questo è, signor ministro, un errore fondamentale che potrebbe anche costare caro.
Occorre inoltre tenere presente che agli avvocati che aspirino all'ufficio di giudice onorario aggregato si richiedono almeno quindici anni di patrocinio nel settore civile. Sono troppi, a nostro giudizio, e mi pare che sia stato presentato qualche emendamento per proporne la riduzione. Quindici anni significa pretendere che chi andrà a rivestire la carica di giudice onorario aggregato abbia una preparazione specifica e sia dunque in grado di offrire un contributo notevole.
Diverso è il discorso per i notai che, come dicevo, possono essere bravissimi e coltissimi - per carità -, ma non hanno alcuna preparazione specifica, perché la loro professione è altra: il notaio fa il notaio. Spesso hanno svolto le funzioni di vicepretori onorari, ma altra cosa è fare il giudice onorario aggregato in tribunale. Ecco, dunque, perché diciamo che sarebbe un errore ricorrere ai notai.
Signor ministro, ho letto nella relazione fatta dal suo predecessore al disegno di legge di conversione che il consiglio nazionale notarile avrebbe assicurato all'allora ministro Flick che già ottocento notai sarebbero pronti a fare i giudici onorari aggregati. Consentitemi di essere un tantino incredulo, perché mi pare difficile che per i notai, i quali notoriamente non soffrono il problema della disoccupazione e lavorano a tempo pieno, l'ufficio di giudice onorario aggregato possa costituire un motivo di attrazione. Mi pare strano che possano bloccare la loro attività per andare a fare i giudici onorari aggregati! Staremo a vedere (e mi auguro non dovremo subire un'ulteriore delusione).
Ecco dunque i motivi per i quali manifestiamo le nostre perplessità su questo decreto-legge, segnatamente in ordine


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alla previsione che anche i notai possano essere nominati giudici onorari aggregati. C'è di più: non solo i notai possono essere chiamati a fare i giudici onorari aggregati ma per essi non è prevista, signor ministro, alcuna incompatibilità: il che è assurdo.
Sempre nella relazione che accompagna il disegno di legge ho letto una cosa che definirei veramente strana (penso che lei mi ascolterà attentamente perché non mi pare che si possa condividere quanto in essa è stato scritto). Si dice tra l'altro: «Non si è ritenuto di prevedere per i notai cause di incompatibilità collegate al territorio nel cui ambito hanno la sede dell'attività, per una serie di ragioni legate sia alla natura delle funzioni natarili sia al fatto che si tratta di una particolare categoria di professionisti dotati di specifica preparazione, serietà e affidabilità e selezionati mediante concorso per l'esercizio di una pubblica funzione caratterizzata da imparzialità e terzietà».
Signor ministro, come è possibile scrivere queste cose? Le altre categorie non sono assistite da questa presunzione di preparazione; per l'avvocato, ad esempio, si pretendono quindici anni di esercizio di attività civile. Ma perché si parla poi di serietà e di affidabilità? Il fatto che una persona sostenga un concorso pubblico significa di per sé garanzia della sua preparazione, serietà e affidabilità? Questa presunzione non può esserci; non è sufficiente, ad esempio, conseguire la patente per essere capaci di guidare bene un automezzo.
Questa presunzione alla quale ricorre il Governo in questa sua relazione per giustificare la non applicabilità di nessuna causa di incompatibilità per i notai mi sembra che debba essere abbandonata, perché a mio avviso ciò può risultare anche offensivo per le altre categorie che sono invece disposte a rispondere a questo appello del Governo per conseguire la nomina di giudici onorari aggregati.
Non è prevista alcuna incompatibilità né assoluta né negativa. Il notaio può uscire dal suo studio e recarsi al tribunale (che magari si trova soltanto a 50 metri di distanza) per indossare la toga di giudice e amministrare la giustizia! Penso che ciò non sia né ammissibile né giusto.
In ordine a tale aspetto penso che sarà necessario riflettere attentamente nella fase dell'esame degli articoli e degli emendamenti presentati, alcuni dei quali, concernenti una certa incompatibilità sia pure relativa per i notai, verranno ripresentati con l'obiettivo di scongiurare il rischio di un sospetto di non perfetta imparzialità. In particolare, in un emendamento si dice che i notai possono essere nominati giudici onorari aggregati soltanto per un distretto di corte d'appello diverso da quello in cui si esercita la professione di notaio. Per la precisione mi sto riferendo all'emendamento presentato dall'onorevole Parrelli.

PIETRO CAROTTI, Relatore. Il relatore ha detto di accogliere...

GIOVANNI MARINO. Esatto! Do atto all'onorevole Parrelli che si tratta di un aspetto veramente importante.
Passiamo ora agli avvocati. Qui il discorso diventa un po' più delicato e serio. Lasciamo stare il termine dei quindici anni che mi pare sinceramente, diciamo così, astronomico. Quindici anni di esercizio dell'attività in campo civile mi pare una durata veramente enorme, anche perché credo che i requisiti per accedere alla Corte di cassazione siano, per certi aspetti, meno rigorosi. Se poi per caso si esercita anche in campo penale il discorso cambia. E ciò è spiegabile: le sezioni stralcio infatti servono per smaltire il pregresso civile e non quello penale anche se, come lei sa, signor ministro, quest'ultimo accumula arretrati in maniera paurosa e i reati che si prescrivono sono migliaia in tutta Italia.
Onorevoli colleghi, signor ministro, per l'avvocato era prevista una incompatibilità assoluta. In altre parole, nel momento in cui, ad esempio, si è nominato o si fa la domanda per essere nominato giudice onorario aggregato ci si deve cancellare dall'albo e non si può esercitare l'attività forense.


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Con questo decreto-legge, invece, si introduce un'incompatibilità relativa, perché l'incompatibilità verrebbe ad essere limitata soltanto all'ambito territoriale in cui l'avvocato esercita la sua attività; nella relazione si parla dell'introduzione di una meno afflittiva incompatibilità relativa, riferita all'ambito territoriale del distretto dell'esercizio della professione forense.
Signor ministro, poco fa le ho detto come la magistratura onoraria abbia sempre suscitato grossi problemi. Allora le chiedo: è mai possibile che si possano profilare certe situazioni allarmanti, per cui un giorno si è giudici e un giorno si è avvocati? Oppure che si è giudici a Palermo, per esempio, e avvocati a Messina? È inconcepibile. Bisogna che le scelte siano chiare: o si è giudici o si è avvocati. Insomma, signor ministro, la figura dell'avvocato-giudice è qualcosa di inaccettabile. Noi dobbiamo assicurare al cittadino la imparzialità effettiva dell'amministrazione della giustizia. Dobbiamo persino eliminare il sospetto che possa esserci imparzialità. E i tempi che corrono sono molti tristi, signor ministro. Lei sa come addirittura tante volte il sospetto travolga alcuni settori della magistratura ordinaria. Immaginiamoci quello che potrà accadere con la magistratura onoraria. Fondati o infondati che possano essere questi sospetti, sta di fatto che il sospetto non deve esserci, se vogliamo rasserenare il cittadino. Quando quest'ultimo è interessato ad un processo civile - e di civile qui stiamo parlando - deve essere tranquillo, deve sapere che vi è un giudice imparziale, che vi è un giudice preparato e che non serva di contorno, come per esempio avviene nelle aule delle corti d'assise: lei sa, signor ministro, che vi sono due giudici e sei galantuomini, i quali - poveretti! - decidono; immaginate quale notevole contributo questi giudici popolari possono dare o danno nelle camere di consiglio su problemi che hanno, per esempio, un carattere prettamente giuridico! Anche in questa direzione, forse, il Governo dovrebbe porre attenzione per riadottare determinati rimedi.
Comunque, intendiamo dire che noi respingiamo l'incompatibilità relativa, perché si crea una situazione di ulteriore confusione e di ulteriore allarme tra la pubblica opinione. Chi, infatti, può dare al cittadino garanzia assoluta di imparzialità, di serietà, di preparazione? Giustamente, il giudice togato. Possono esserci anche delle deviazioni, e ci sono state, ma questo è un altro discorso. La regola è che il giudice togato assicura l'imparzialità e una amministrazione della giustizia fatta con grande competenza e con grande serenità.
Mi pare, dunque, che bisogna evitare le assurdità alle quali ci porta questa legge per quanto riguarda sia i notai sia gli avvocati.
Avevo suggerito - e qualche collega aveva ripreso questa mia opinione in Commissione giustizia - di elevare l'età massima, che nella legge istitutiva è prevista a 67 anni, in modo da poter avere la possibilità di reclutare un maggior numero di persone disposte a fare il giudice onorario aggregato. Mi sembra che ciò non costerebbe niente e che consentirebbe di poter trovare un maggior numero di soggetti disposti a fare il giudice onorario aggregato.
Signor ministro, l'onorevole Vitali - se non erro - in Commissione giustizia ha detto qualcosa sulla quale la prego di voler dare un chiarimento in occasione della replica. Ha detto che in effetti i processi pendenti sono in numero inferiore rispetto a quello che era stato in un primo tempo previsto dal Ministero di grazia e giustizia. Credo che ciò lo ricordi l'onorevole Corleone, che allora era presente. Su questo punto ritengo che sia opportuno un chiarimento, perché se non sappiamo quanti sono i processi pendenti, evidentemente siamo un po' fuori strada nell'assumere posizioni che invece vanno prese con grande chiarezza.
Signor ministro, in questo momento esprimiamo sul decreto-legge in esame un giudizio certamente non positivo; attendiamo


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gli ulteriori sviluppi dell'esame in Assemblea degli emendamenti per affermare poi, nella sede consueta, cioè quella della dichiarazione di voto, la nostra posizione: allo stato essa è negativa. Riteniamo che la via maestra per affrontare i problemi della giustizia sia quella dell'allargamento degli organici e dei concorsi: quella è la strada che bisogna percorrere; altrimenti tutto si ridurrà all'uso di mezzi e mezzucci che certamente non risolveranno il problema e che ci faranno trovare di fronte in ogni momento a nuove emergenze.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Parrelli. Ne ha facoltà.

ENNIO PARRELLI. Signor Presidente, signore colleghe - che non sono presenti - e signori colleghi - che pure non sono presenti, ad eccezione dell'onorevole Marco Susini, che ringrazio per la sua involontaria presenza -, signor ministro: le rivolgo un personale apprezzamento, onorevole Diliberto, questo sì per la sua presenza in aula, anche se questa è un'occasione «desertica», per così dire; però l'occasione è anche straordinariamente importante e debbo interpretare la sua presenza come un segno di particolare attenzione per la giustizia civile e per il grosso problema dei suoi arretrati, finalmente.
Dunque, è con un senso di profonda amarezza che prendo la parola sulla parte principale della conversione del decreto-legge n. 328 del 21 settembre 1998, cioè sul problema delle sezioni stralcio. Come è a tutti noto, il tema è quello dei processi civili cosiddetti arretrati, che sono arenati in primo grado da 7-8 anni, e che hanno dinanzi a loro, oltre alla definizione appunto in primo grado (che si prevede, con la legge che abbiamo a suo tempo varato, occuperà altri 6-7 anni), altri 7-8 anni per l'appello e per l'eventuale grado di Cassazione.
Nel nostro paese si sta così consumando in silenzio una catastrofe del processo civile o, se si vuole, una specie, inimmaginata fino ad oggi, di amnistia civile: è come se lo Stato avesse decretato che i processi civili in atto non si faranno più. A ciò hanno contribuito massicciamente i giudici togati, neghittosamente interpretando le sezioni stralcio (i famosi GOA) e rinviando sine die anche i processi relativi alle vecchie cause che erano pendenti davanti a loro per la semplice decisione; si trattava cioè di processi già istruiti, per i quali erano state precisate le conclusioni: all'udienza collegiale si operava un rinvio - udite udite! - tecnico. Si rinvia, in attesa dei famosi giudici onorari aggregati.
Non sarà mai sufficiente ribadire le responsabilità gravissime dei precedenti Governi e delle precedenti legislature, che per decenni hanno sempre ignorato i problemi della giustizia civile, in particolare quello degli arretrati che si andavano accumulando. Il precedente Governo dell'onorevole Prodi lodevolmente ha cercato un rimedio con il reclutamento di mille giudici onorari aggregati, in sigla detti GOA (sigla che sa molto di ex colonia portoghese in Estremo Oriente).
Il Parlamento fece la sua parte e fu varata la legge n. 276 del 22 luglio 1997, nell'ottimismo dell'allora ministro e nel mio pessimismo, ricordando per entrambi la definizione che dell'ottimista e del pessimista ha dato a suo tempo Bernanos.
Con la precisazione che il mio pessimismo ha avuto il malaugurato vantaggio del riscontro fattuale. E invero nel mio intervento in aula, svolto in sede di discussione generale di quella che è poi diventata la richiamata legge n. 276 del 1997, rilevavo la bontà dell'impianto non senza sottolineare alcuni limiti di fondo che potevano rivelarsi - e poi si sono rivelati - esiziali. Innanzitutto il modesto numero di giudici (solo mille) che, rapportato al numero dei processi - che non sono alcune centinaia, onorevole Carotti...

PIETRO CAROTTI, Relatore. Migliaia!

ENNIO PARRELLI. Infatti, secondo il Ministero sono 900 mila. Si dà il caso che lo stesso ministero precisa che tale numero è stato depurato in vario modo


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perché il realtà si arriverebbe alla cospicua cifra di 2 milioni. Se poi pensiamo che sono in arrivo al giudice unico anche i processi del pretore, Dio ce ne scampi e liberi dalle cifre che fornisce il ministero! Anzi, signor ministro, ponga ben attenzione a come funziona il suo Ministero perché credo che vi siano annidate persone che, nel proporre leggi, sono guidate dal motto hegeliano che ho già ricordato in passato e cioè che il diritto - come lei mi insegna, essendo professore universitario - rappresenta l'ingresso di Dio nel mondo, ma con la rappresentazione e la precisazione per l'Italia che è un dio bacchico il quale, in preda all'eros e ai fumi del vino, ha creato queste situazioni. Mi rivolgo anche a lei, Presidente Acquarone, perché esercita da tanti anni quella che ancora possiamo chiamare la «nobile arte», ma solo per paragonarci alla boxe e a nient'altro.
Nel mio intervento dicevo che il numero era inadeguato per definire in tempi accettabili i processi pendenti che superano di gran lunga il milione. Per inciso chiedo se l'attuale ministro intenda porsi il problema delle ragioni per cui si è determinato il cumulo degli arretrati e di quello che si sta già verificando per le cosiddette nuove cause; se, per esempio, non ritenga che siano pochi i 2.283 giudici togati che si occupano di tutto il settore civile, dai decreti ingiuntivi alle procedure fallimentari, alle cause di lavoro - alle quali stanno sopraggiungendo anche quelle amministrative -, all'infortunistica e via dicendo. Chiedo inoltre se, quale non ultima concausa, non si pongano i ritmi di lavoro degli stessi magistrati togati che non sembrano, almeno per la maggior parte, proprio stakanovisti ma piuttosto «acchiappa lumache».

FILIPPO MANCUSO. Quindi velocissimi!

ENNIO PARRELLI. Sì, perché ci vuole molto tempo per raggiungere la lumaca. Preciso che non parlo della tartaruga achillea.
Un altro limite della legge è la vile retribuzione preventivata alla bisogna e ripartita in una miseranda quota fissa di 20 milioni l'anno, più un inarrivabile cottimo di 200 cause da definire all'anno, mentre la media nota delle sentenze pro capite dei magistrati togati è di circa 60 l'anno con una progressione appiattita, come si deduce dall'andamento progressivo della produttività (di cui ho qui uno schema) che non so come definire per non offendere i magistrati per molti versi molto rispettabili.
Tutto questo mi induceva allora a ritenere che i migliori sarebbero stati dissuasi dal concorrere all'ufficio, per cui non si sarebbe neppure raggiunto il numero di mille GOA.
A siffatte considerazioni si aggiungeva il rilievo che il bacino dal quale attingere per il reclutamente dei GOA era preventivamente limitato nell'assurda età minima di anni 65. Bisognava e bisogna, cioè, essere avvocati pensionati o maturarne il diritto nei cinque anni successivi all'assunzione dell'incarico. Questo avrebbe almeno certamente evitato una eventuale aspirazione «pressoria» di giovani GOA per entrare preferenzialmente nei ruoli dei magistrati ordinari, con conseguente ed indubbio inquinamento delle toghe. Gli effetti furono immediatamente avvistabili ed avvistati; tanto è vero che il 15 maggio 1998 ho presentato una documentata proposta di legge (la n. 4888) sullo stato che si andava verificando e su «che cosa fare» per porre rimedio al fallimento in corso. Questa mia proposta di legge prevedeva l'ingresso di 2.500 GOA; stabilisce una decorosa retribuzione, pur conservando il principio del parziale legame alla produttività (magari questo principio venisse stabilito anche per il magistrato ordinario!).
Il pregio di tale proposta di legge era ed è che essa non comporta oneri per lo Stato, perché è previsto un autofinanziamento con l'adeguamento per quelle cause proporzionale della tassa di iscrizione al ruolo ricollegata al valore delle cause stesse. Ricordo però che il ministro allora in carica preferì varare il decreto legge oggi al nostro esame.


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In sede di Commissione ho presentato una serie di emendamenti, non insistendo poi con la quasi totalità di essi perché mi fu detto che non bisognava ritardare la conversione in legge di questo provvedimento, quale rimedio progettato per far funzionare almeno i sospirati 1.000 GOA.
Con questa legge chiediamo oggi soccorso alla benemerita categoria dei notai; è benemerita - si intende - per il notorio contributo dato fino ad oggi al buon funzionamento della giustizia e per quello che darà con la delega loro concedibile e concessa per le esecuzioni immobiliari. Ben vengano, allora, i notai!
Abbiamo però conservato un titolo preferenziale per gli avvocati, anche dello Stato, ovvero agli iscritti negli albi speciali e a coloro che abbiano esercitato funzioni giudiziarie, benché onorari. Con ciò si è inteso valutare la specifica competenza processualistica civile, tenendo conto del requisito dell'età avanzata che è richiesto agli avvocati e della pertinente trattazione di cause civili negli ultimi 15 anni, che pure è condizione sine qua non per accedere all'ufficio del GOA posto a carico, appunto, dei soli avvocati. Siffatta modifica risponde, a mio avviso, sostanzialmente al rilievo mosso dal Comitato per la legislazione, avanzato sotto il profilo della disparità dei trattamenti in relazione all'età delle diverse categorie, per reclutare i GOA, poiché questo mio emendamento spiega e riequilibria siffatta disparità di età.
Resterebbe ancora, a mio parere, l'opportunità di recepire l'ulteriore suggerimento relativo alle incompatibilità delle funzioni. Al riguardo sarà necessario far «rivivere» almeno un mio emendamento presentato in Commissione (l'1.13), che così recitava: «I notai possono essere nominati giudici onorari aggregati solo per uffici giudiziari non ricompresi nel distretto notarile nel quale esercitano la professione di notaio». Ho avanzato tale proposta perché appare singolare - come ha già rilevato il collega che mi ha preceduto - che, mentre poniamo delle incompatibilità per l'avvocato, non si debba prevedere che queste incompatibilità vengano prese in considerazione anche per i notai. Badate bene, colleghi: si è tentato di giustificare la cosa dei notai e si è fatto riferimento ai duplici concorsi e ai giudici particolarmente bravi aggiungendo che hanno una posizione di pubblico ufficiale e di terzietà. Qualsiasi chierico sa che il notaio è sì pubblico ufficiale, ma lo è per alcune funzioni specifiche; in realtà, è un professionista regolarmente pagato da una parte e risponde per colpa, per dolo o per negligenza nell'esercizio dell'attività professionale, tant'è vero che vi sono pacchi di sentenze nelle quali i notai sono chiamati regolarmente in causa per rispondere sul piano della responsabilità professionale.
Questo emendamento, allora, che è stato proposto almeno in via subordinata e che impone ai notai di non esercitare la funzione del giudice onorario aggregato nel distretto notarile - si badi bene, non nel distretto della corte d'appello - consente di evitare almeno l'immediato reticolo di interessi dei clienti da loro assistiti e degli avvocati che si sono introdotti nei loro uffici per trattare le pratiche personali.
In linea di principio, condivido la preoccupazione che il giudice deve essere solo giudice, perciò noi avevamo assunto una posizione molto rigorosa; in fondo questi «Fregoli» che cambiano cappello, che un momento sono giudici, e nella stessa sezione, come abbiamo visto, sono pretori onorari, purtroppo sono stati anche necessari, insostituibili, tappabuchi. In alcuni casi hanno retto addirittura intere sezioni delle preture, quindi hanno anche acquistato meriti, ma si tratta di una distorsione del nostro ordinamento.
Signor ministro, se sogno qualcosa per la giustizia civile - ma è un'espressione abusata perché ben altri e in altre occasioni hanno utilizzato quest'immagine retorica - e poiché è stato sempre negato un dibattito al riguardo mi perdoni se mi soffermo su questo aspetto, vorrei che intanto si aumentasse il numero dei giudici, sia pure progressivamente e tenendo conto delle compatibilità. Si stanzi allora qualcosa di più di quella miseranda percentuale,


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che poi si riduce allo 0,60 per cento perché la maggior parte delle spese è assorbita per altri titoli. Sogno quindi un numero più congruo di giudici ordinari ed a fianco una massiccia presenza di giudici di pace, però diversi da quelli che in modo abnorme sono stati concepiti. Per questi ultimi, infatti, sono state previste tutte le pastoie processualistiche dei giudici ordinari: appello, Cassazione e quant'altro, come avveniva per il conciliatore, che aveva competenza per 50 o 5 mila lire iniziali. Abbiamo un rispetto sacrale, quasi talmudico delle norme processuali.
Quindi occorrerebbe un gran numero di giudici di pace che decidano con equità, vicini alla popolazione, che giudichino alla svelta, salvando il principio del contraddittorio, che facciano a meno degli avvocati, vorrei dire quasi una sorta di giudici di quartiere. Si avrebbe così una dicotomia straordinaria, riducendo, con una serie di accessi e filtri alla giurisdizione ordinaria quella che è stata un'invasione, una crescita elefantiaca della volontà di «giurisdizionalizzare» un po' tutto.
In Giappone - mi pare di averlo detto in altre occasioni - quando due persone si presentano in tribunale a litigare, per prima cosa viene fatta pagare una multa ad entrambi, dopodiché ci si accerta di cosa si tratti. Perché questo? Perché non sono cittadini corretti, perché non sanno adempiere alle proprie obbligazioni con lealtà reciproca come dovrebbe essere. Non dico di arrivare a questo, ma riesumare l'articolo 96 del codice di procedura civile come deterrente, non per le condanne simboliche o, come fanno adesso i giudici per 300 mila lire, bensì per condanne salate che si possono addirittura prevedere al 10 per cento della somma liquidata. Il ricavo, per esempio, può contribuire al finanziamento della difesa dei non abbienti. Quindi si stia ben attenti, a cominciare dagli avvocati, a presentare azioni infondate o a resistere con colpa grave o, peggio, con dolo. So, purtroppo, che questo lo vedrò solo nei miei sogni.
Infine, per tornare al tema, non sarebbe male che l'obbligo di astensione e ricusazione, di cui all'articolo 6 della legge n. 276 del 1997, venisse esteso anche al notaio che abbia partecipato al ricevere o formulare atti per una delle parti od uno dei rispettivi difensori. Non si capisce infatti perché tale obbligo debba sussistere per l'avvocato e non per il notaio, per il quale vige questo privilegio aureo, questa turris eburnea, da cui discende che il notaio, non appena vinto un concorso, può fare il giudice mentre noi - dico noi perché io di professione continuo ad essere e sarò sempre avvocato - dobbiamo passare attraverso una sorta di forche caudine e, giustamente, dimostrare che per quindici anni ci siamo occupati di cause civili. Infatti, di che cosa andiamo a parlare se non conosciamo la procedura civile?
Nella parte conclusiva del mio intervento in sede di discussione sulle linee generali della legge ebbi a dire: «Si può dunque approvare il disegno di legge pervenutoci dal Senato senza entusiasmo e non turandosi il naso; senza entusiasmo, ma con convinzione da un lato perché l'impianto è buono e, dall'altro, perché l'entrata in vigore del provvedimento non può assolutamente essere ritardato, se non si vuole che la giustizia civile affondi definitivamente».
Oggi il giudizio conclusivo sul decreto-legge non è diverso e debbo dire che voterò questa conversione in legge per le stesse ragioni di cui dicevo, ma con un aumentato senso di amarezza. Sono invece pienamente convinto, e senza amarezza, per quanto riguarda l'articolo 4 del decreto-legge, così come modificato dalla Commissione perché esso corrisponde ad una sentita esigenza pratica per lo scaglionamento dei tempi per il deposito della documentazione nei processi esecutivi, che minacciava di affogare e perire nella strozzatura di un termine eccessivamente breve.
Ho presentato un ordine del giorno per la corretta interpretazione dell'articolo 1 della legge n. 263 del 1997 che spero verrà approvato. Esso, infatti, concerne la riconduzione sotto il potere del ministro del coordinamento delle tariffe notarili,


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così come previsto nel contesto generale della legge stessa. Ciò ad evitare che i cittadini cadano dalla padella nella brace di pesanti oneri tariffari notarili, come dimostra il modesto calcolo che è stato fatto. Con riferimento alle procedure esecutive immobiliari pendenti davanti al tribunale di Bologna è stato calcolato che, per le misure catastali, un normale visuratore, di media diligenza, per tutti i 500 pregressi sarebbe costato 130 milioni mentre, le tariffe notarili, se applicate integralmente, ammonterebbero a 950 milioni.
Per i motivi che ho esposto mi pronuncio quindi favorevolmente rispetto al provvedimento con le modifiche che ho proposto e, scaramanticamente, incrocio le dita sperando in un risultato fattuale positivo e, signor Presidente, signor ministro, colleghi, che Dio aiuti questa negletta giustizia civile.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marotta. Ne ha facoltà.

RAFFAELE MAROTTA. Signor Presidente, illustre signor ministro, egregi colleghi, colgo l'occasione della presenza dell'eccellentissimo ministro per dire anch'io qualcosa in via generale sul problema della giustizia.
L'amministrazione della giustizia è un servizio, ma non è un servizio automobilistico (non so se rendo l'idea). Il diritto è un categoria dello spirito, non devo dirlo io ad un illustre docente di diritto romano. Al di là dei problemi che pongono i massimi sistemi, al di là degli universali, noi oggi constatiamo che la giustizia, purtroppo, è in stato comatoso. La situazione è drammatica, signor ministro: la gente lamenta che per veder risolta una vicenda civile deve attendere decenni; lamenta, la gente, che, sottoposta ad indagini in campo penale, non vede risolta la situazione se non dopo anni, con danni irreversibili. Non so se ho reso l'idea.
Risolvere il problema della giustizia è una condizione di sopravvivenza della democrazia, signor ministro, ed io mi permetto di rivolgerle, a nome personale e del mio gruppo, i migliori auguri affinché ella riesca in questo compito. Questo sarebbe veramente un merito eccezionale, perché ritengo che qui si giocano le sorti della nostra democrazia. Ricordo che, quando ero in Cassazione, dopo vent'anni dall'inizio della causa giungeva a noi la sentenza di secondo grado: ebbene, se presentava qualche vizio, determinava in noi una grave preoccupazione, perché ci rendevamo conto che se l'avessimo cassata avremmo aperto un altro decennio di attesa. Questa è la sacrosanta verità. Ora, io non sono dell'avviso che i giudici siano dei neghittosi (certo, ci sono le eccezioni, ma sono convinto che anche in paradiso ci sia qualcuno che non dovrebbe esserci). Il problema, invece, è un altro, signor ministro, lo dico per la modesta esperienza che ho in questo campo, avendo fatto il magistrato per quarant'anni ed il vicepretore onorario per tre. La verità è che le nostre forze sono impari: come si spiegherebbero, altrimenti, le quote del 15-20 per cento di posti scoperti negli uffici giudiziari della Sicilia? L'organico è assolutamente insufficiente. Tutti gli aspetti che oggi vengono lamentati, da destra e da sinistra, tutto lo sfascio e l'inutilità dei provvedimenti legislativi che abbiamo adottato già da un anno con la creazione di queste sezioni stralcio, dimostrano che la via intrapresa non è giusta. Lei, signor ministro, potrà ispirarsi al suo illustre predecessore e progenitore, dal punto di vista ideale ed ideologico. Scusate, ma non è meglio studiare il modo di assumere in via straordinaria dei magistrati con procedure particolari? Naturalmente è necessario espletare un concorso, una strada diversa sarebbe impraticabile dal punto di vista costituzionale: ma chi dice che il concorso si debba fare come avviene oggi e non in un modo diverso? Si potrebbe pensare ad un colloquio e ad un esame per titoli: il 110 e lode, per esempio, o la pubblicazione della tesi. Scusate, ma queste cose valgono o non valgono? Il merito vale o no? Cerchiamo di seguire questa strada. Il suo illustre predecessore non esitò ad assumere magistrati in base a questi titoli ed io ne


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conosco qualcuno che è stato veramente illustre, anche senza aver fatto il concorso che noi abbiamo fatto.
La soluzione proposta nel provvedimento al nostro esame, signor ministro, è invece un rattoppo, ha dimostrato tutta la sua inutilità. Oggi si pensa di allargare la platea dei pretendenti ai notai: ma un notaio non può fare il giudice, è inutile che noi evitiamo di stabilire per legge una incompatibilità che comunque esiste di fatto. O si fa il notaio, guadagnando le cifre che conosciamo, o si fa il magistrato a tempo pieno. Analogo discorso vale per gli avvocati: per quale motivo, altrimenti, sarebbero state presentate così poche domande? Addirittura, in Commissione vi era chi pretendeva che il numero dei giudici così nominati venisse portato a duemila (se ne ricorderà il sottosegretario Corleone): noi dicemmo che sarebbe stata una fortuna riuscire ad averne mille e infatti non ci si è riusciti. Questo è il punto. Non possiamo fare violenza alle cose, perché poi le cose si vendicano.
La via retta da seguire, allora, è quella di un ampliamento dell'organico dei magistrati. Si dice che non ci sono le risorse: ebbene, si devono trovare, altrimenti il problema, signor ministro, non si risolverà. Lo dico per l'esperienza che ho, dimostrata dai miei capelli bianchi: il problema non si risolverà, non c'é niente da fare. Non è vero che i giudici siano neghittosi. Ricordo che in Cassazione facevamo cento sentenze civili all'anno e non credo che una sentenza civile in Cassazione sia cosa da poco: si deve dire l'ultima parola e dirla bene, in modo che sia ben compresa dal giudice di rinvio, nei casi di annullamento.
Questo significa fare una sentenza ogni due giorni: come sarebbe a dire che i magistrati, tutti, in generale, sono dei neghittosi? Questo lo devo dire a difesa della categoria, anche se che vi sia un 5-6 per cento di magistrati neghittosi è nell'ordine fisiologico delle cose, come per tutte le categorie.
Signor ministro, non devo ripetere quello che hanno già detto egregiamente l'onorevole Marino ed anche l'onorevole Parrelli dalla parte opposta: anche noi siamo critici rispetto a questo provvedimento. Certo, le sezioni stralcio, ormai, sono state istituite per legge e non c'è niente da fare: l'onorevole Marino giustamente osservava che entreranno in funzione l'11 novembre, che si converta in legge o meno il decreto in esame. Le sezioni stralcio andranno in funzione a scartamento ridotto, i giudici saranno 257 e non mille, i tribunali che avrebbero dovuto avere tre sezioni stralcio ne avranno una, i tribunali che ne avrebbero dovuto avere una con tre giudici avranno un solo giudice: questa è la situazione!
Certamente non possiamo pretendere di risolvere il problema con i notai: su questo non vi è dubbio. Qualche volta sono entrato in uno studio notarile e mi è sembrato di entrare in un ministero: chi correva di qua, chi correva di là. Come si può fare riferimento ai notai? Dobbiamo essere onesti, non possiamo ignorare la realtà: il notaio, beato lui, guadagna fior di quattrini facendo il suo mestiere; come potrà fare il giudice a tempo pieno? Non potrà certamente farlo. Per i docenti universitari valgono considerazioni analoghe: a parte l'esiguità degli emolumenti, l'attività scientifica - non devo dirlo a lei, signor ministro - richiede un impegno continuo, perché guai a trascurarla per un periodo di qualche mese, o addirittura per anni! A meno che i giudici onorari non debbano soltanto mettere delle firme, penso che questa incompatibilità tra le diverse attività sia nei fatti: possiamo prevederla o meno in una norma, ma l'incompatibilità è nei fatti! Su questo non vi è dubbio: non risolviamo alcun problema.
Mettiamoci in testa una buona volta e per sempre che i problemi della giustizia non si possono risolvere con questi rattoppi. Il giudice deve fare il suo mestiere e nient'altro: altrimenti, come si può spiegare che il giudice togato non deve svolgere alcuna altra attività, mentre l'avvocato, il notaio, il professore universitario possono farlo? Questi ultimi non faranno bene né l'una né l'altra attività: su questo non vi è dubbio. Lo dico con


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esasperazione dopo avere speso una vita intera nell'attività di magistrato: constatare il collasso, la situazione comatosa procura dolore, sofferenza morale. Eppure, a mio avviso, non ci vorrebbe molto a risolvere il problema: bisognerebbe stanziare, come osservava l'onorevole Parrelli, anziché poco più dello zero per cento il 3-4 per cento. D'altronde è o no un servizio primario? Si tratta o no di un fondamento primario della Repubblica democratica?
Riferisco un episodio che ho letto: un cittadino si recò a reclamare da Napoleone per il fatto che non veniva pronunciata la sentenza che lo riguardava, per cui Napoleone convocò il giudice che doveva redigere la sentenza dicendogli che allo Stato interessava che la questione fosse risolta, in un senso o nell'altro poco interessava; il giudice, allora, rispose che in tal caso bastava prendere una moneta e lanciarla: se fosse uscita croce avrebbe vinto Tizio, se fosse uscita testa avrebbe vinto Sempronio! Voglio dire che non è così che si possono risolvere i problemi della giustizia, pensando soltanto a fare presto: il diritto è una categoria dello spirito, è un bene essenziale per la convivenza! Non è sufficiente risolvere una questione giudiziaria in un modo o nell'altro, occorre risolverla nel modo più giusto possibile: è chiaro che non esiste l'infallibilità, ma bisogna dare al magistrato il tempo necessario perché possa risolvere la questione di sua competenza nel modo migliore. Allora, tutti questi tentativi, questi rattoppi, secondo me, non possono approdare assolutamente a niente e quello che è successo per le sezioni stralcio lo dimostra in maniera evidente.
Mi associo alle considerazioni svolte dagli onorevoli Marino e Parrelli per quanto riguarda gli emendamenti da apportare, perché la disparità di trattamento tra avvocati e notai è assolutamente inconcepibile. Condivido le parole con cui l'onorevole Marino ha criticato il punto della relazione in cui si mette in evidenza che il notaio è un professionista, e così via, mentre non si dice la stessa cosa dell'avvocato. Qui si pongono problemi, oltre che di ordine morale, anche di ordine costituzionale. Come è possibile che non si stabilisca una incompatibilità per il distretto nel quale il notaio esercita la sua funzione? Ma scusate, può fare il giudice nel suo stesso distretto notarile? Non credo. Bisogna stornare il sospetto che poi il cliente vada dal notaio che sia anche giudice; non so se ho reso l'idea. Su questo, penso che non ci siano dubbi.
Quindi, mi associo a tutte le osservazioni che hanno sollevato i colleghi in ordine alla necessità che il provvedimento sia emendato per quanto riguarda le sezioni stralcio.
Per quanto riguarda l'altra parte del provvedimento, quella che riguarda le espropriazioni immobiliari, sono dell'avviso che debba essere approvata. Peraltro, è una modifica di pochissimo conto: si tratta di prevedere un termine scaglionato nel tempo per i procedimenti esecutivi pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 302 del 1998. Qui apro una parentesi. In Commissione stiamo esaminando un altro provvedimento sulla espropriazione immobiliare, che, se approvato, vanificherà la legge che abbiamo approvato il 3 agosto 1998, il che dimostra la schizofrenia con la quale noi operiamo: fabbrichiamo e «sfabbrichiamo». L'onorevole Carotti conosce quella legge?

PIETRO CAROTTI, Relatore. Sono molte più le cose che non so di quelle che so, ma questa la so.

RAFFAELE MAROTTA. Ripeto che per la seconda parte del provvedimento - almeno io, ma credo anche il mio gruppo - non sollevo alcuna obiezione, anche perché si tratta di modifiche di nessun conto, che rispondono ad alcune esigenze.
Per quanto riguarda la prima parte, noi siamo stati contrari al provvedimento sulla istituzione delle sezioni stralcio. Ma tant'è: le sezioni stralcio, purtroppo - dico purtroppo per le ragioni già evidenziate -, sono state istituite con la legge n. 276 del 1997. Quella legge, però, non è operativa. Fra l'altro, abbiamo scadenze immediate: il giudice unico opererà -


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perché la legge è in vigore, ma la funzione del giudice unico non è ancora attivata - dal 2 giugno 1999 e il buon esito delle sezioni stralcio è funzionale alla piena operatività del giudice unico, che non deve partire oberato da una massa di cause nel campo civile. Non è vero che siano un milione, non è vero! Le cause pendenti sono 3 milioni, perché ci sono anche quelle presso le preture, che saranno destinate al giudice unico. Parliamoci chiaro: le preture scompariranno e tutte quelle centinaia di migliaia di cause pendenti presso le preture andranno al giudice unico. Non ne parliamo!
Quindi, signor ministro, la situazione presenta aspetti molto delicati. A mio giudizio, lei si deve preoccupare di questo. C'è il tavolo delle discussioni sui massimi sistemi, sul problema degli universali (ante rem, post rem o in rem), su questo siamo d'accordo; però, tenga presente, signor ministro, e glielo dice uno che ha fatto il magistrato per 43 anni, che il problema è gravissimo.
La gente non tollera di dover attendere decenni per veder risolta una questione di giustizia civile; la gente non tollera che - sottoposta ad indagine, magari penale - debba attendere anni o decenni per vedere risolta la propria posizione in un senso o nell'altro (molte volte con esito positivo). Questa è la verità.
Il dilemma è cornuto, signor ministro. Delle due l'una: o i magistrati non fanno niente - e allora lei intervenga secondo necessità - oppure sono insufficienti dal punto di vista numerico. Io sono di quest'ultimo avviso: occorre che si provveda per aumentare gli organici. È una cosa ovvia. Ma il problema diventa irrisolvibile se facciamo passare decenni senza affrontarlo. Se lasciamo per anni un tribunale cosiddetto periferico, minore (per modo di dire, perché non è certo minore in rapporto all'organico) senza un giudice o due su un totale di cinque o sei, lo abbiamo distrutto. Ecco la verità.
Sono queste le cose che mi permetto di raccomandare all'eccellenza vostra. Quello della giustizia è un problema molto delicato; ed io ne parlo con animo accorato.
Fra l'altro ne va di mezzo l'istituzione democratica. Chi non lo capisce? Si deve vedere come risolvere la questione, perché si tratta di un servizio essenziale, una conditio sine qua non. Non sono io a doverlo ricordare al signor ministro, che è un docente di diritto romano (per me la massima categoria, alla quale ho sempre guardato quasi con invidia, è quella dei professori universitari). Vogliamo sperare che lei, con la sua preparazione e con il suo impegno, metta mano alla soluzione del problema della giustizia, ma per le vie giuste, non attraverso scorciatoie che poi si vede che fine fanno e che non portano da nessuna parte. Ricordo che abbiamo approvato il provvedimento sulle sezioni stralcio nel luglio 1997: è passato quasi un anno e mezzo e non si sa che fine faranno, quale apporto daranno.
Per quanto riguarda il giudice di pace, abbiamo creato una figura professionalmente qualificata: è necessario che i candidati abbiano superato gli esami da procuratore legale, cioè da avvocato. Penso che per le cose «bagattellari» quella figura vada bene, sia per la competenza in materia civile sia per quella in materia penale. In realtà quest'ultima ancora non è stata sancita: il provvedimento è all'esame del Senato; occorre ora sollecitare e far sì che si arrivi all'approvazione.
Resta da rivedere e da ordinare la situazione concernente la magistratura ordinaria nelle sue articolazioni (tribunali, corti d'appello, Corte suprema di cassazione). Per esempio, una Cassazione che nella materia civile debba far fronte a 15 mila ricorsi all'anno per me ha poco a che vedere con una Corte suprema. Sul piano legislativo e costituzionale possiamo abolire l'appello, ma non il giudizio di Cassazione. Vedremo come fare, ma sta di fatto che l'esigenza primaria è quella del funzionamento della giustizia. L'Italia viene condannata dalla Corte europea per le sue lungaggini, voi lo sapete: è la dimostrazione che sono questi i veri problemi della giustizia.


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In conclusione, ribadisco che il nostro atteggiamento è critico sulla prima parte del provvedimento; alcuni emendamenti sono indispensabili, come ha riconosciuto lo stesso avvocato Parrella. Sulla seconda parte, invece, concordiamo.
Ringrazio e chiedo scusa per il tono accorato, forse non usuale in questa Assemblea.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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