![]() |
![]() |
![]() |
TESTO AGGIORNATO ALL'11 DICEMBRE 1997
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione congiunta dei
PRESIDENTE. Ricordo che nella seduta di ieri è iniziata la discussione congiunta sulle linee generali.
MARIO TASSONE. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, questa discussione generale sulla manovra economica, dopo la sua approvazione al Senato e dopo il lavoro svolto dalla Commissione bilancio alla Camera, dovrebbe avere qualche riscontro pratico; lo dico al di là di ogni considerazione di rito e formale, altrimenti anche questi due giorni che l'aula consacra al dibattito sarebbero perfettamente inutili. Credo allora sia un atto doveroso da parte del Governo tener conto dell'apporto, del contributo dei parlamentari, visto e considerato che della manovra economica del
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battaglia. Ne ha facoltà.
AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentanti del Governo, qualche giorno fa il cardinal Martini ha sviluppato una stimolante ed appassionata analisi su alcuni aspetti della società d'oggi, sul nesso tra questione sociale, atteggiamenti culturali e risposte della politica. Egli ha denunciato la frustrazione di quanti vivono l'esclusione nella società dei due terzi, siano essi anziani in stato di abbandono, lavoratori espulsi dalla produzione, famiglie che vivono povertà materiali e morali; ha individuato nell'approccio individualistico e liberistico - tanto nei comportamenti quanto ai problemi sociali di efficienza, del profitto e della competitività - la radice di fenomeni quali l'esclusione e la devianza copiosamente presenti e crescenti nel mondo di oggi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rasi. Ne ha facoltà.
GAETANO RASI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, la politica economica di questo Governo si divincola tra due posizioni sostanzialmente contraddittorie: da un lato, si caricano di rigore i conti pubblici attraverso il ripetuto inasprimento del carico fiscale, dall'altro non si tiene conto del fatto che l'Italia deve partecipare alla moneta unica in condizioni di autentiche capacità competitive. È chiaro che gravare i costi di produzione di un'alta fiscalità finisce per causare costi, e quindi prezzi, non in grado di affermarsi sul mercato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Taradash. Ne ha facoltà.
MARCO TARADASH. Signor Presidente, signori sottosegretari, intanto vorrei sapere di che cosa sto parlando. Questo è il primo dubbio; apprendo dai giornali che è in corso una trattativa con i lavoratori autonomi, una delle tante che hanno preceduto la discussione in Parlamento e che si sono succedute dall'inizio della discussione stessa.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Taradash. La Presidenza lo consente.
MARCO TARADASH. Abbiamo discusso in questi mesi dell'Europa come se il nostro ingresso fosse un fatto acquisito. Mi complimento con il Governo per la sua capacità di controllo dei mass media quasi totale, perché in realtà le poche voci dissonanti che dicevano: «Ci state prendendo in giro, perché l'Europa non ha preso ancora alcuna decisione e se andrà a leggere i vostri documenti di politica economica è difficile che possa accettare tranquillamente l'ingresso dell'Italia in Europa» sono state sempre tacitate ed è invalso il luogo comune per cui questo Governo già da oggi può vantarsi del merito di aver portato l'Italia in Europa. A parte il fatto che, come dice qualcuno, il problema vero è quello di portare l'Europa in Italia, o almeno di introdurre nell'economia di questo paese certi meccanismi di trasparenza e serietà, non è vero neppure il primo corno del problema: l'Italia ancora oggi è sotto esame.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Del Barone, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
FEDERICO ORLANDO. Signor Presidente, colleghi, onorevoli sottosegretari, fino a quando non realizzeremo l'auspicio del relatore Liotta e cioè che anche in Italia la manovra di bilancio diventi inemendabile e non sia ancora il collettore di aspettative lobbistiche, corporative, localistiche, fino a quando non accoglieremo l'invito del Presidente Violante di togliere dalla finanziaria tutto quello che non ha niente a che fare con il risanamento dei conti pubblici, sia consentito al deputato di un'area in ritardo di sviluppo, come dice la Comunità europea, il Molise, di richiamare qualche problema di quell'area, affinché la manovra si soffermi un momento di più a riflettere sulle esigenze di tutta l'Italia in ritardo di sviluppo, così come in queste ore si sta facendo tra Governo e lavoratori autonomi per questioni previdenziali e di altra natura.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Orlando.
DANIELE APOLLONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, è con vera soddisfazione che oggi, in quest'aula, mi accingo ad illustrare il libero pensiero di una fetta d'Italia che proprio in questi giorni ha già detto «no» al vostro regime pseudodemocratico e pseudoliberale. In questi giorni la forza, la vera forza genuina di questo è salita finalmente a galla per ribadire ciò che ha fatto una certa schiera di lavoratori in quel di Vancimuglio, e non solo lì. Da soli contro tutti, contro quelle stesse pseudoistituzioni che all'opinione dell'italiano medio vorrebbero sembrare democratiche, salde e stracolme di senso del diritto, ma che in realtà hanno dimostrato come la vostra democrazia si sia rivelata nel suo più feroce aspetto dittatoriale, tipico del più classico degli Stati di polizia.
PAOLO ARMAROLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A che titolo?
PAOLO ARMAROLI. Per un richiamo al regolamento, specialissimo.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PAOLO ARMAROLI. Certo, signor Presidente.
PRESIDENTE. Onorevole Macciotta, se lo riterrà, potrà rispondere eventualmente in sede di replica; per il momento fornisco io una risposta all'onorevole Armaroli, giacché ha fatto richiamo al regolamento, anche se la materia che ha trattato è ampiamente estranea al regolamento della Camera e dunque non posso entrare, in
PAOLO ARMAROLI. Se l'onorevole Macciotta lo ritiene, com'è suo diritto, a norma del regolamento, può prendere la parola; il che sarebbe opportuno.
PRESIDENTE. Onorevole Armaroli, le dovevo una risposta, poiché ha fatto un richiamo al regolamento. Naturalmente il sottosegretario Macciotta può intervenire in qualunque momento. In ogni caso, ha a sua disposizione il tempo per la replica; deciderà lui se intervenire subito oppure in un secondo momento.
GIORGIO MACCIOTTA, Sottosegretario di Stato per il bilancio e la programmazione economica. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIORGIO MACCIOTTA, Sottosegretario di Stato per il bilancio e la programmazione economica. Vorrei dire all'onorevole Armaroli che il Governo si accinge a presentare alcune proposte di modifica che vanno nel senso indicato dalla Commissione affari costituzionali e quindi nel senso testé indicato dall'onorevole Armaroli: mi riferisco alla precisazione ovvia del parere parlamentare ed a quella altrettanto ovvia dei tempi e delle modalità di esercizio del regolamento di delegificazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.
MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, posso tranquillamente riallacciarmi a quanto affermato dal collega Armaroli, poiché in relazione ai provvedimenti al nostro esame vi è una questione che definirei preliminare e che riguarda sostanzialmente il corretto rapporto tra l'esecutivo e le Camere. Tale rapporto purtroppo diventa spesso oggetto di interventi che non sono rispettosi - a nostro avviso - delle prerogative delle Camere, nel preciso istante in cui nei provvedimenti collegati alla legge finanziaria vengono inserite materie che ben poco hanno a che fare con i cosiddetti saldi di finanza pubblica. In buona sostanza, potremmo dire che oggi il collegato alla finanziaria rappresenta ciò che costituiva la vecchia legge finanziaria ante 1988, che consentiva purtroppo di approfittare di quel binario privilegiato per inserirvi una serie di modifiche ordinamentali alla legislazione che non erano strettamente connesse alle politiche di bilancio.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Martino. Ne ha facoltà.
ANTONIO MARTINO. Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, con il permesso di questa Assemblea vorrei dedicare il mio intervento non all'analisi dei contenuti della legge finanziaria, sulla quale si dilungheranno i colleghi del mio gruppo che mi seguiranno, ma ad alcuni problemi di carattere generale, della cui importanza sono profondamente convinto, e non da adesso, e ai quali ho dedicato gran parte della mia produzione accademica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gerardini. Ne ha facoltà.
FRANCO GERARDINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la manovra di finanza pubblica per il 1998 non può essere definita la solita manovra; sarebbe un giudizio miope, se non sbagliato. Né si può affermare che le politiche di stabilizzazione finanziaria attuate negli ultimi anni abbiano sostanzialmente compromesso lo sviluppo economico del nostro paese al punto di definirlo, come abbiamo sentito, desertificato o ritenerlo morto all'appuntamento con l'Europa.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Gerardini.
MASSIMO SCALIA. Presidente, la manovra economica sottesa ai provvedimenti che sono all'esame della Camera è la manovra più snella, più striminzita degli ultimi anni. Si tratta di una manovra di 25 mila miliardi, le cui proporzioni, dall'iniziale ripartizione proposta nel documento di programmazione economia e finanziaria (vale a dire 17 mila miliardi per riduzioni di spese e 8 mila miliardi per aumento del gettito), nel corso del dibattito e a seguito delle modifiche introdotte al Senato, si sono modificate (direi anche per volontà esplicita del gruppo dei verdi) nel seguente modo: 14 mila 500 miliardi per quanto riguarda la riduzione di spese e 10 mila 500 miliardi per quanto riguarda l'aumento del gettito.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Roscia. Ne ha facoltà.
DANIELE ROSCIA. Signor Presidente, anche quest'anno ci troviamo di fronte una finanziaria che dovrebbe sancire l'ultimo dei sacrifici e che, secondo l'opinione del «super ministro» del Tesoro e del bilancio, dovrebbe rappresentare la «quarta gamba» che dovrebbe sostituire le misure una tantum che - ahimé - erano contenute nella precedente finanziaria (la famosa finanziaria da 100 mila miliardi). Quella fu una finanziaria che venne sbandierata come la misura più incisiva per riportare la finanza pubblica in riga rispetto agli obiettivi che vengono a loro volta sbandierati ormai come obiettivi raggiunti: quelli dell'ingresso del «paese Italia» nell'unione monetaria. Di fronte ad alcune posizioni a volte arroganti (quali quelle assunte dal capo del Governo Prodi, che va a sbandierare in giro che ormai il paese ha sicuramente superato l'esame per l'ingresso in Europa; ogniqualvolta si tratta di approvare un provvedimento di finanza pubblica come l'attuale, si vede però rimarcare qualche preoccupazione in più), vorrei sottolineare che vi sono ancora alcuni ambienti tedeschi che non gradiscono giustamente quello che è stato fatto in Italia: un grande trucco contabile come quello della manovra da 100 mila miliardi, realizzato - guarda caso - con la norma stessa della finanziaria precedente che ha introdotto un vincolo di spesa di cassa al 90 per cento. Questa è la vera manovra che è stata fatta l'anno scorso e - guarda caso - essa viene riproposta in questa finanziaria.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Simone. Ne ha facoltà.
ALBERTA DE SIMONE. La manovra finanziaria per il 1998 in realtà completa e conclude il percorso coraggioso che abbiamo cominciato l'anno scorso con l'obiettivo di portare l'Italia dentro l'Unione monetaria europea fin dall'inizio.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pampo. Ne ha facoltà.
FEDELE PAMPO. Signor Presidente, cari colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, una manovra di bilancio seria,
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sbarbati. Ne ha facoltà.
LUCIANA SBARBATI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la manovra di finanza pubblica per il 1998 che stiamo esaminando prevede interventi mirati a ridurre la spesa pari circa a 13.886 miliardi di lire ed aumenti di entrate per 11.114 miliardi di lire. In tal modo cerchiamo di determinare una riduzione del fabbisogno tendenziale di 25 mila miliardi di lire. Per effetto di questa manovra, come è già stato detto in questa sede, il nostro deficit potrà raggiungere l'ammontare di 59.391 miliardi di lire, pari al 2,79 per cento del PIL. In tal modo non sfuggirà certamente ad alcuno che l'Italia si mette nella condizione fin da questo momento di poter aderire all'unione economica e monetaria e di concorrere nello stesso modo, così come il documento di programmazione economico-finanziaria ha previsto, alla formazione di queste nuove istituzioni, operando insieme a tutti gli altri paesi membri della Comunità nel definire le regole ed il funzionamento e nell'avviare la prassi che dovrà vedere un'Europa concepita in termini diversi non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello politico.
PRESIDENTE. Dispone di mezzo minuto per concludere.
LUCIANA SBARBATI. La pregherei di concedermi un po' più di tempo!
PRESIDENTE. Onorevole Sbarbati, in tal modo toglierebbe del tempo ai colleghi del suo gruppo, uno dei quali è il sottoscritto!
LUCIANA SBARBATI. Procederò allora con estrema rapidità.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Possa. Ne ha facoltà.
GUIDO POSSA. Signor Presidente, signor ministro, signori sottosegretari, onorevoli colleghi, preannunciata nel documento di programmazione economico-finanziaria, con un battage comunicazionale notevole, come la finanziaria che avrebbe finalmente affrontato e risolto il problema della riduzione della spesa previdenziale e assistenziale (welfare), presentata poi a fine settembre dal Presidente Prodi come la finanziaria «dello sviluppo e dell'occupazione», la legge finanziaria 1998 si dimostra nei fatti non dissimile da quella dell'anno precedente (con la quale si salda benissimo: complimenti, signor ministro!): è, cioè, una manovra principalmente centrata sulle entrate, soprattutto a carico dei ceti medi produttivi. Dico subito che il Governo si muove così in una direzione opposta a quella che noi abbiamo sempre auspicato.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Follini, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
SERGIO FUMAGALLI. Signor Presidente, colleghi, questa finanziaria si colloca a cavallo tra due fasi distinte della vita del paese e pertanto deve essere letta da due diversi punti di vista: quello del risanamento, finalizzato alla partecipazione da subito, in modo sostenibile, alla moneta unica europea; quello del rilancio del paese e quindi della riforma strutturale dei pilastri su cui tale rilancio deve poggiare.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pittella. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PITTELLA. Signor Presidente della Camera, colleghi, signori rappresentanti del Governo, la manovra finanziaria alla quale il gruppo della sinistra democratica dirà «sì» con piena convinzione è un nuovo, importante tassello nell'opera di ricucitura del rapporto di fiducia tra cittadini, Stato e politica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Valensise. Ne ha facoltà.
RAFFAELE VALENSISE. Onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo,
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Aprea. Ne ha facoltà.
VALENTINA APREA. Signor Presidente, colleghi, membri del Governo, la legge finanziaria che stiamo valutando è una replica delle precedenti, si basa sull'idea fondamentale che si possa risanare la finanza pubblica mediante correzioni marginali e provvedimenti cosmetici.
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Galati, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
GIOVANNI CARUANO. Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, credo che la manovra finanziaria ed economica che stiamo discutendo rappresenti la sintesi conclusiva di gran parte degli sforzi di rinnovamento che il nostro paese sta compiendo da più di un anno. Ed anche se non è ancora superato il tunnel del dissesto economico oggi il risanamento è visibile ed è raggiungibile. Il risanamento non è un concetto astratto ma costituisce un'opportunità per gli italiani e in particolare per il Mezzogiorno; un'opportunità di sviluppo e di crescita. Al riguardo è sufficiente pensare alla diminuzione dei tassi d'interesse bancari, all'abbattimento dell'inflazione, ai circoli virtuosi che stanno spostando energie dalla rendita agli investimenti, che insieme e in modo sinergico stanno innestando meccanismi positivi, di fiducia in tutti i settori produttivi del paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceremigna. Ne ha facoltà.
ENZO CEREMIGNA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la legge finanziaria per il prossimo anno è la seconda che, come parlamentari eletti nella XIII legislatura, siamo chiamati a discutere e ad approvare.
PRESIDENTE. Sospendo la seduta fino alle 14,30.
La seduta, sospesa alle 13,25, è ripresa alle 14,35.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Benetti. Ne ha facoltà.
LINO DE BENETTI. Nel provvedimento collegato al nostro esame (riguardo a quest'ultimo mi soffermerò su una questione che non reputo marginale) vengono introdotte per la prima volta nel nostro ordinamento - erano già state anticipate nel documento di programmazione economico-finanziaria - norme rientranti in quella che viene definita la fiscalità ambientale. Apparentemente si tratta di una introduzione settoriale nell'ambito di una legge finanziaria e in parte lo è, per il modo in cui sono state introdotte quelle norme nel provvedimento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armaroli. Ne ha facoltà.
PAOLO ARMAROLI. Signor Presidente, alleanza nazionale è molto preoccupata per questa manovra economica, per le misure sostanziali previste, ma soprattutto - mi si consenta per deformazione professionale - perché mentre al piano di sopra, nella sala della regina stavamo costruendo le nuove regole del gioco
PRESIDENTE. Onorevole Armaroli, per quanto riguarda il Governo, risponderà se e quando lo riterrà opportuno.
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, secondo uno studio del collegio nazionale dei dottori commercialisti, pubblicato di recente sulla stampa, la pressione fiscale reale nel nostro paese, nel 1997, è stata del 56,6 per cento, ben oltre quindi il dato ufficiale del 44 per cento. L'Italia raggiungerebbe così un poco invidiabile secondo posto in Europa, dietro la Svezia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.
CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi soffermerò solo su un aspetto di questa legge finanziaria, che è particolarmente importante: la scuola.
Constato l'assenza dell'onorevole Cambursano, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.
Governo si discute ovunque, in questa sede ma anche al di fuori dei palazzi dove risiedono le istituzioni.
Ho ascoltato ieri interventi di alcuni esponenti della maggioranza che indicavano come già raggiunto dal nostro paese il traguardo della moneta unica europea. Entreremo in Europa, ma anche lo scorso anno in sede di discussione del bilancio e della manovra finanziaria non era emersa alcuna preoccupazione e soprattutto alcuna riserva sulla possibilità del nostro paese di entrare nel mercato unico, nell'unione monetaria europea. L'unica preoccupazione che era sta avanzata e che noi ribadiamo anche in questo momento, considerata la filosofia, la cultura che sottintende questa manovra economica, è che arriveremo in Europa, ma che il rapporto tra debito pubblico e PIL deriva da una serie di calcoli che non sono reali, che sono artefatti e artificiosi. Infatti molte spese vengono rinviate al 2000, molti impegni da parte del Governo sono rinviati a futura memoria. La situazione, dunque, è pressoché fittizia, anomala.
L'interrogativo di fondo, allora, qual'è? Se noi creiamo una condizione di difficoltà nell'economia, se aumentiamo la pressione fiscale, come più volte abbiamo detto in quest'aula, se sconvolgiamo anche i presupposti su cui si fonda la convivenza civile, ma soprattutto se dilazioniamo nel tempo la possibilità occupazionale, non credo che il nostro paese possa andare in Europa e rimanerci. La preoccupazione è questa, a meno che il Governo non ci dica che tutto è finalizzato a questo particolare momento, che intanto entriamo in Europa e poi ci penserà qualcun'altro, visto e considerato che il Governo e la maggioranza hanno recuperato la presenza di Di Pietro. Di Pietro, come si sa, è il salvatore della patria e quindi sarà anche un impegno ed una scommessa per il futuro.
Questo forse è un dato sul quale possiamo discutere, visto che il paese e la stampa oggi non discutono della manovra economica e finanziaria né dei disoccupati o della pressione fiscale o ancora dei piccoli e medi imprenditori e nemmeno delle difficoltà che incontrano i cittadini per l'assenza di infrastrutture. Oggi si discute esclusivamente di Di Pietro e forse l'unica vera carta che il Governo ha per il futuro, per traghettare il paese verso l'Europa e verso il mondo, è questa. Tutto ciò, però - non vorrei fare torto a nessuno -, non è sufficiente; potrà esserlo per qualcuno, per esempio per il capo della maggioranza di Governo sarà sufficiente la presenza di Di Pietro, ma non lo è per noi.
Signor Presidente, con estrema tranquillità, come abbiamo già avuto modo di rilevare in occasione dell'esame del provvedimento sull'IVA, noi affermiamo che i comparti dell'agricoltura, dell'edilizia e dell'artigianato, a causa della pressione fiscale - anche se il Governo oggi ha fatto annunciare dalla sua stampa, dalla sua televisione e dalla sua radio che assumerà misure per i piccoli e medi ceti produttivi - non vivono un momento favorevole per quanto riguarda le prospettive di espansione dell'economia.
Onorevole Macciotta, vedo che mi sta ascoltando e la ringrazio per la sua cortesia; immagino che lei abbia raccolto il mio invito a non svolgere un dibattito formale, di routine (si viene qui a passare la giornata). Ebbene, lei si sarà accorto del clima di pesantezza che c'è anche per quel che attiene al futuro del nostro paese. Lei si sarà accorto che non vi è vitalità nonostante l'impegno di tutti; forse c'era vitalità nel passato, quando ci confrontavamo magari con molta vivacità ma sicuramente con grande serietà e serenità, almeno da parte nostra. Dunque, in economia e nel campo sociale regna un clima assai pesante e di grande preoccupazione. Lei noterà che non vi sono prospettive o quanto meno che la gente non avverte alcuna prospettiva per il futuro. Lei ritiene forse che il Mezzogiorno sia tranquillo in questa situazione? Lei si è anche espresso in merito; ho letto alcune sue interviste sul Corriere della sera, la seguo sempre con interesse e considerazione.
Non vi è dubbio che l'impostazione che si è data all'economia, anche per quanto riguarda il Mezzogiorno, non favorisca nulla. Infatti, nel momento in cui determiniamo
una compressione, sul fronte della stretta monetaria e dei residui passivi, senza inoltre conoscere realmente i conti del paese, non può esservi espansione produttiva né assorbimento occupazionale. Come può il Mezzogiorno risolvere i suoi problemi quando sappiamo bene come stiano andando i patti territoriali e gli accordi di area, senza alcun respiro, senza alcuna prospettiva? Per non parlare poi del disimpegno delle grandi industrie e dei grandi enti. Penso, per esempio, all'ENEL: l'altro ieri si sono recati in Calabria a prendere ancora in giro i calabresi Chicco Testa e Tatò: personaggi che ormai hanno smantellato in Calabria tutte le strutture dell'ENEL, annullando tutti i programmi di sviluppo nell'area del Mezzogiorno, con le ripercussioni che ciò determinerà nell'area del Mediterraneo. Ebbene, si tratta sicuramente di un dato preoccupante ed avvilente.
Non credo, quindi, che si risolveranno i problemi occupazionali né quelli dell'edilizia, dell'agricoltura o delle piccole e medie imprese. Ciò è emblematico, poiché non affrontando ma anzi aggravando tali problemi, si comprime una realtà vivace, forte, che potrebbe certamente essere il volano dello sviluppo del nostro paese. Concludo con un'altra osservazione riguardante la difesa e mi dispiace che non sia presente nessun rappresentante di quel Ministero. Sono comunque in aula i sottosegretari per il tesoro e le finanze, i quali credo avranno la possibilità di riferire ai responsabili politici della difesa.
Sottosegretario Macciotta, parliamoci chiaramente: così come è impostato il bilancio della difesa, potevate risparmiarvi i 26 mila o 31 mila miliardi, che diventano uno sforzo economico inutile perché non c'è alcun ritorno sul piano, diciamo così, produttivo. Non vi è un giusto rapporto tra costi e benefici. Vi sono certamente le spese fisse e vincolate, che però lasciano poco spazio agli investimenti ed all'ammodernamento del nostro sistema d'arma e che certamente non fanno nascere nei cittadini soverchie speranze od illusioni.
Vi sono allora indubbiamente appuntamenti mancati da parte della difesa, come quello di una semplice razionalizzazione, ed abbiamo uno strumento militare sempre più inaffidabile e sempre meno credibile. Tolte dunque le spese fisse (non c'è dubbio infatti che sia necessario pagare gli stipendi) tutto il resto potrebbe essere oggetto di contrattazione. Forse sarà soddisfatto solo il ministro della difesa il quale, peraltro, lo è sempre forse perché ritiene che una volta smantellato quello della difesa potrà cambiare ministero ed aspira a dicasteri più confacenti alle sue capacità ed attitudini.
Signor Presidente, vi è un tentativo di contrattazione tra maggioranza ed opposizione, stiamoci attenti. Vorremmo che questa finanziaria si snodasse in termini molto più pacifici, articolati e costruttivi. Evitiamo forzature che comprimerebbero ulteriormente le istituzioni e la libertà, giacché a forzature si risponderebbe con una indisponibilità. Credo che questo il Governo lo stia recependo e ci auguriamo che lo faccia fino all'ultimo.
Il cardinal Martini ha anche espresso preoccupazione per il rischio di omologazione
degli schieramenti politici ad una comune logica dei diritti privati e della conservazione dei privilegi, con l'affievolimento di rigore nel sostenere i diritti sociali di coloro che ancora non ne godono e che stentano a far sentire la loro stessa voce e, quindi, a trovare una rappresentanza politica.
In questo che è forse uno dei passaggi decisivi nell'azione di risanamento della finanza pubblica e dell'ingresso del nostro paese in Europa, compiremmo tutti un grave errore se non ci misurassimo con un richiamo così autorevole, se non ci chiedessimo se siamo realmente ad una svolta, al passaggio a quella fase, tanto attesa, del rilancio dell'occupazione, del dispiegamento di sforzi più concreti per la tutela delle fasce deboli e se, soprattutto, la fase di risanamento che ci stiamo mettendo alle spalle, con le sue necessarie durezze, non ci abbia fatto perdere di vista le ragioni e le aspettative di quegli strati sociali per i quali equità e solidarietà non sono un lusso, ma una quotidiana necessità.
Da questo punto di vista non vi è dubbio che la legge finanziaria ed il collegato contengano novità di rilievo. Non siamo certo ancora alla riforma organica del sistema di sicurezza sociale (questo non è certo compito della finanziaria), ma si cominciano a delineare criteri ed istituti innovativi, in particolare il fondo per le politiche sociali, che accorpa i finanziamenti delle leggi di settore per l'handicap, per l'infanzia e per la tossicodipendenza e che prevede disponibilità aggiuntive. Un passaggio importante che non elimina le politiche di settore, ma crea le condizioni per armonizzare questa prima fase di interventi, criteri di finanziamento, procedure ed avvia un processo che dovrà portare da qui al 2000 ad attribuire alle regioni una disponibilità di risorse che potrà essere gestita autonomamente nell'ambito delle linee di indirizzo e degli obiettivi fissati a livello nazionale.
Le risorse aggiuntive consentiranno di sperimentare il reddito minimo di inserimento, un nuovo strumento dello Stato sociale che dovrà dare la possibilità di intervenire sui nuclei familiari meno tutelati, dove magari nessuno lavora, ma ci sono bambini che vivono nell'indigenza e nel disagio.
Questo è lo zoccolo duro della povertà, la parte più disagiata di quell'11,9 per cento della popolazione italiana che vive ancora ai limiti o sotto il livello di povertà, dove non arrivano né gli assegni familiari, né le leggi di settore, né risultano sufficienti gli interventi dei comuni, dove c'è una complessa difficoltà sociale, culturale, psicologica, che non richiede una mera risposta di assistenza (che lascerebbe le cose come stanno), ma interventi innovativi che aiutino quelle famiglie e quelle persone a tirarsi fuori da una difficoltà estrema e a ritrovare le condizioni e le ragioni per un riscatto e per una emancipazione.
Si tratta di un primo passo importante che noi condividiamo e al quale ci auguriamo segua sollecitamente un secondo strumento innovativo, il fondo per gli anziani non autosufficienti. È questa la vera emergenza dei prossimi anni, un'emergenza legata all'aumento della durata della vita e all'inevitabile, progressivo aumento delle persone anziane non autosufficienti per causa di esiti di malattie invalidanti e degenerative.
Dopo il 2000 un quarto della popolazione in Europa avrà più di sessant'anni e tutte le società avanzate si stanno misurando in questo periodo con questo nuovo fenomeno che richiede innovazione. Fino ad ora il nostro sistema ha risposto con i ricoveri in istituti o in ospedali e con l'indennità singolare di accompagnamento. Sono strumenti inadeguati. La Germania ha istituito la quarta assicurazione ed i lavoratori tedeschi hanno rinunciato ad un giorno di ferie per una maggiore tutela in terza età. Altri paesi hanno individuato strade diverse. Noi dovremo decidere molto presto attraverso quali misure previdenziali, assicurative, mutualistiche, fiscali affrontare questa inedita emergenza sociale, ma istituire subito - ce lo auguriamo - a partire da questa finanziaria il fondo indicherebbe con certezza una direzione di marcia ed un impegno.
Altre misure segnano positivamente il taglio sociale di questa legge finanziaria. Tra di esse vi è l'aumento di 595 miliardi per gli assegni familiari a sostegno dei nuclei familiari più disagiati, quelli con portatori di handicap, quelli più numerosi e monoparentali; i 40 miliardi per l'integrazione al minimo delle pensioni di reversibilità, che interesseranno le donne anziane; l'incremento del fondo sanitario, una vera e propria inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni; le misure per l'occupazione; le agevolazioni fiscali e gli interventi a favore delle persone handicappate e delle loro famiglie con i 300 miliardi per l'attuazione della legge n.104.
Queste ultime misure vanno a rafforzare un'azione efficace per l'attuazione della legge-quadro sull'handicap sviluppata dal dipartimento per la solidarietà sociale con la consulta delle associazioni ed il comitato interministeriale; un'azione che ha cominciato a dare in questi mesi concreti risultati, come il finanziamento della legge n.13, che ha sbloccato migliaia di pratiche presso i comuni, per l'accessibilità agli edifici privati, come i due importanti disegni di legge per l'assistenza agli handicappati gravi e l'amministratore di sostegno, gli stanziamenti per la riforma del collocamento obbligatorio (ormai in dirittura d'arrivo) ed i mutui in corso di approvazione per l'eliminazione delle barriere architettoniche nel settore pubblico.
Le maggiori disponibilità della legge finanziaria sulla legge n.104 consentiranno di trasferire ai comuni maggiori risorse per interventi innovativi, per la vita indipendente ed il sostegno a quelle famiglie che lungo l'arco della vita si accollano il pesante carico di lavoro di assistenza di un handicappato grave.
Sono scelte importanti, come lo è quella di applicare l'aliquota fiscale minima per ausili e presidi riabilitativi, compresi i mezzi di trasporto, che per la prima volta vengono estesi anche ai familiari. Avremmo voluto, però, maggiore coraggio in questa direzione, con l'estensione delle agevolazioni ad altre situazioni di grave difficoltà, non solo motoria, che rendono difficile l'utilizzo del mezzo pubblico, ma anche con la previsione di maggiori detrazioni delle spese per l'assistenza e l'esclusione dell'alloggio di residenza dal computo del reddito per il diritto alla reversibilità; così come avremmo voluto che nella delega sui prepensionamenti nei lavori usuranti si fosse cominciato a prendere in considerazione anche la situazione di quei lavoratori che al lavoro in ufficio o in fabbrica sommano quotidianamente quello altrettanto pesante di assistenza ad un congiunto handicappato grave.
Dobbiamo agevolare in tutti i modi, con le nostre scelte, la permanenza del soggetto non autosufficiente nel nucleo familiare, perché questo porta benefici innanzitutto sul piano sociale, per la vita di quelle persone, ma anche sul piano del contenimento della spesa.
Naturalmente siamo consapevoli che in questo settore non sono mancati abusi e li abbiamo combattuti con convinzione; per questo non abbiamo difficoltà a sostenere il piano dei centomila accertamenti delle invalidità, una misura chiara, non vessatoria, che evita ulteriori autocertificazioni, che hanno prodotto pochi risultati e tanta confusione, e misure sommarie quanto ingiuste, quali l'introduzione del limite di reddito per l'indennità di accompagnamento.
Con soddisfazione apprezziamo che quest'anno per la prima volta si abbandona definitivamente questa strada. Qualcosa però si deve migliorare nelle procedure di controllo. Occorre rigore ma anche gradualità, diffidare chi non invia le informazioni, sottoporre a visita e revocare il trattamento in mancanza dei requisiti. Così si potranno eliminare i disguidi che hanno caratterizzato l'applicazione delle disposizioni del 1996, che in alcuni casi hanno colpito invalidi veri e gravi che non avevano spedito l'autocertificazione soltanto perché non informati o incapaci di farlo.
Si risparmia con una politica di rigore; ma si risparmia anche e di più promuovendo integrazione, formazione e lavoro.
Per questo condividiamo il nuovo approccio all'integrazione scolastica contenuto all'articolo 35, con la possibilità per i provveditori di assegnare risorse e mezzi aggiuntivi per le specifiche esigenze formative di portatori di handicap gravi e complessi. Ma il rapporto insegnanti di sostegno-alunni, fissato in 1-150, ci pare un po' alto, maggiore di quello attuale, che è 1-138; questo andrebbe quanto meno mantenuto se non vogliamo far scadere la qualità dell'integrazione.
Più attenzione sollecitiamo anche per l'occupazione delle persone con handicap, che hanno perso negli ultimi anni ben 70 mila posti di lavoro. C'è una legge di riforma in corso, ma noi dobbiamo ancora dare seguito alle norme del decreto legislativo n.29, che con l'articolo 42 pose fine allo scandalo delle assunzioni clientelari dei falsi invalidi nella pubblica amministrazione. Abbiamo tutti condannato quel fenomeno. Una solerte commissione ministeriale ha lavorato in questi anni, ma da tutto ciò i veri invalidi non hanno tratto ancora alcun beneficio. Ed allora quando all'articolo 34 prevediamo la programmazione triennale del fabbisogno di personale delle amministrazioni pubbliche, credo sia un dovere morale per il Parlamento stabilire che lì ci deve stare anche la quota dei lavoratori handicappati, quelli che per anni sono stati discriminati.
Infine, poche considerazioni sulla partecipazione alla spesa sanitaria e sui criteri di valutazione del reddito; misure necessarie, di moralizzazione, importanti. Ma dobbiamo stare attenti e chiarire che devono essere pienamente tutelate le prestazioni sanitarie per le persone con gravi invalidità e che non possono essere considerati tra le prestazioni sociali agevolate i servizi per la sopravvivenza, l'autonomia, la vita indipendente, l'integrazione sociale dei soggetti deboli, onde evitare la pericolosa deriva di servizi orientati alla sola assistenza ai poveri. Questo sarebbe in contrasto con gli obiettivi del DPEF e con la stessa finanziaria, con l'obiettivo di sviluppare una politica sociale di ampio respiro, moderna e solidale.
Il momento difficile e la delicatezza della materia sociale sconsigliano qualsiasi trionfalismo. La mole di problemi è tale che le misure contenute nel provvedimento sono decisamente positive se significano l'avvio di un percorso di riforma che richiederà fin dal prossimo anno impegni anche finanziari ben più consistenti. Ma non c'è dubbio che la manovra avvii una fase nuova e si muova nel segno di una maggiore equità, nella direzione auspicata da quanti, come il cardinal Martini, hanno a cuore le sorti di chi non è tutelato.
L'attuale politica del Governo non è quella giusta per giungere vivi e vitali nel mercato unico europeo. Anche con questa finanziaria, delle due strade che il Governo poteva seguire si è scelta quella del maggior rastrellamento fiscale invece della strada della riduzione della spesa pubblica. In tale maniera si sono sottratte alle attività direttamente produttive risorse tali da non favorire gli investimenti e quindi non si sono causati maggiori redditi né maggiore occupazione e quindi, ancora, non si sono procurate le condizioni per una maggiore capacità contributiva ad aliquote invariate.
La visione che il Governo ha dell'entrata dell'Italia nella moneta unica è di breve periodo; una visione che si limita a un fatto congiunturale. Tale impostazione è confermata dalle intenzioni manifestate
l'altro ieri dal Presidente Prodi, quando ha detto: una volta che io ho portato l'Italia in Europa ho esaurito il mio compito e quindi mi dimetterò. In sostanza, Prodi ci ha detto: non importa come si arriva in Europa; per il dopo, si arrangi chi verrà dopo di me.
Ma la vita dei popoli, signor Presidente, onorevoli colleghi, e la dinamica dei sistemi economici non è fatta di segmenti né di periodi limitati e conclusi. La vita dei popoli è un continuo fluire di fatti e di eventi estremamente concatenati.
La recente polemica relativa all'accusa fatta al Tesoro di un aggiustamento dei conti pubblici italiani nel 1997 in base ad espedienti ci conferma proprio che si tratta di una politica di corto respiro. Mi riferisco in particolare agli interventi del tesoro sulla gestione di cassa dei bilanci dello Stato e degli enti decentrati. È chiaro che è mancato il coraggio politico di ridurre gli stanziamenti, per cui il tesoro si è limitato a chiudere i rubinetti della cassa, spingendo il sistema produttivo pubblico e privato ad indebitarsi per svolgere la propria attività.
Il sottosegretario per il tesoro, professor Giarda, ha cercato di giustificare questo comportamento facendo una distinzione tra residui passivi e disponibilità liquide esistenti presso settori ed enti decentrati. La distinzione però è capziosa perché si è trattato in ogni caso della mancata erogazione di importi già stanziati, ossia relativi ad impegni presi. Le somme non pagate, infatti, costituiscono obblighi da assolvere più avanti.
Vi è poi un altro aspetto che, pur facendo parte della patologia del sistema di spesa della pubblica amministrazione - patologia che noi continuiamo a rilevare - ha però un'influenza sulla liquidità generale dell'intero sistema-paese. Ne parlo perché ciò influisce sia sul costo che sulla disponibilità del denaro a favore delle imprese. Il professor Giarda dice: la misura della riduzione delle autorizzazioni di cassa è in stretta connessione con le disponibilità di cassa degli enti. D'accordo, è lapalissiano; ma ciò ha avuto una precisa conseguenza sulla disponibilità di liquido delle tesorerie periferiche, che non sono altro che gli istituti bancari del nostro paese i quali usano abitualmente la liquidità non utilizzata dagli enti per impieghi presso la propria clientela.
Gli effetti pertanto sono stati quelli di ridurre la circolazione bancaria in un momento di recessione, di ridotti investimenti e di ridotti consumi. Il sottosegretario Giarda ci dice che ai conti degli enti periferici sono pervenuti importi inferiori al 1996 di circa 50-60 mila miliardi. Ciò significa che si sono ridotti di pari importo gli impieghi bancari alternativi alla spesa. Quindi, non solo i vari enti periferici - regioni, USL, enti locali, università, ANAS, poste e Ferrovie dello Stato - non hanno pagato i propri fornitori, ma anche le banche non hanno avuto disponibilità per finanziare i crediti delle imprese fornitrici di quegli enti ed eventualmente anche di altre imprese.
Ripeto: questo del finanziamento del medio circolante è l'aspetto virtuoso di una causa patologica - sono d'accordo, vedo che il sottosegretario assente - ma che comunque è esistita e per la quale in alternativa bisogna ora trovare una politica monetaria al fine di evitare fenomeni di reflazione. Di questo tipo di intervento, però, non abbiamo notizia.
Il sottosegretario Giarda fa passare come positivo il fatto di riportare al Parlamento il potere di controllo dei flussi di cassa, riducendo in corrispondenza il potere del controllo amministrativo del Tesoro. Si tratta tuttavia di uno specchietto per le allodole; mai e poi mai può essere attribuita al Parlamento la responsabilità amministrativa della spesa, sia perché il Parlamento costituzionalmente non ha affatto questo compito, sia perché questo non avrebbe la corrispondente capacità né di valutazione né di intervento. La politica monetaria è compito che va diviso secondo ruoli e competenze tra il Tesoro, il bilancio e la Banca d'Italia. La manovra di finanza pubblica nelle moderne economie deve contenere precisi elementi capaci di sviluppare le attività imprenditoriali e la capacità di reddito dei cittadini.
Questo Governo, invece, insiste in un'attività legislativa convulsa proprio in materia fiscale. Assistiamo così alla perversa volontà politica di collegare oltre limiti ragionevoli leggi fiscali alla legge finanziaria e, per di più, nella forma della delega.
In conclusione, da un lato denunciamo le misure della finanziaria caotiche e cariche di vincoli burocratici, dall'altro ne constatiamo il contenuto vessatorio e deprimente dell'espansione fisiologica della produzione. Mentre la concentrazione della spremitura tributaria è duratura nel tempo, contemporaneamente il precario, artificioso rallentamento della spesa pubblica si traduce in un ulteriore spiazzamento delle attività direttamente produttive (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Abbiamo passato alcuni giorni molto piacevoli, dal mattino presto alla sera tardi, alla Commissione bilancio con i sottosegretari e mentre noi ritenevamo di dover esaminare il provvedimento collegato del Governo, abbiamo scoperto che si discuteva il collegato di una maggioranza piena di idee e di iniziative, che ha reso ulteriormente di difficile attuazione il compito del Governo di portarci in Europa, introducendo una serie di nuove norme di spesa estranee al senso della finanziaria, di carattere ordinamentale. Alla fine abbiamo votato - noi dell'opposizione contro, i colleghi della maggioranza a favore - un documento molto cambiato rispetto all'impostazione iniziale, infarcito di nuove norme che non c'entrano nulla con il risanamento dei conti dello Stato.
Abbiamo quindi una finanziaria che era già impostata e alla fine si è definita come una finanziaria di tipo neodoroteo; l' assalto alla diligenza è continuato per l'intera discussione in Commissione e sta continuando tuttora, con nuove categorie che giustamente protestano perché si sentono ulteriormente penalizzate non soltanto dall'assenza di risanamento, ma anche dal fatto che è stata costruita una rete infinita di privilegi all'interno della finanziaria.
Potrei leggere tutta una serie di disposizioni, ma preferisco chiedere alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto stenografico di alcuni dati che integrano il mio intervento.
Ieri i sottosegretari Giarda ed altri sono dovuti andare a Bonn per persuadere i nostri partner europei delle ragioni con cui hanno cercato di convincere l'opposizione, ad esempio, sulla questione dei residui passivi. Non so se a Bonn il sottosegretario, che è persona amabile e spiritosa, abbia potuto dire ai suoi partner
che erano incompetenti o «cacadubbi» se continuavano a dubitare del fatto che i residui passivi potevano essere ammucchiati senza che mai qualcuno venisse a chiedere un rendiconto. Ci è stato detto che, grazie al fatto che le amministrazioni pubbliche italiane sono inefficienti, abbiamo la possibilità di non fare alcun risanamento. Questa è una tesi molto singolare: dato che hanno messo da parte nel materasso della tesoreria dei soldi che avrebbero dovuto investire, possiamo contare sul fatto che i residui passivi non saranno utilizzati, perché si andranno a mettere le mani nel materasso.
Credo che l'Europa e gli italiani di buona volontà si aspettino dal Governo non lo sfruttamento fino all'osso della polpa accumulata in un passato di spese folli, clientelari e irresponsabili rispetto alla gestione dei conti, ma una modifica della struttura della spesa della pubblica amministrazione, servizi efficienti e qualcuno che dica al Governo: «Avete fatto male, quindi ve ne andate». Invece no, il Governo dice: «Avete fatto male, non avete speso i soldi che avete nel materasso, allora utilizzateli come volete». Non si mette in discussione la struttura della spesa pubblica o il fatto che in certi settori dello Stato ci sia personale in esubero che andrebbe trasferito e meglio utilizzato o magari sostituito; non si mette in discussione il fatto che le opere progettate non servano e non siano portate a compimento. Si dice soltanto: «Non vi diamo più soldi perché li avete; continuate a spenderli e fate come vi pare». Questa non è politica di risanamento, così come non lo è quella sulle pensioni. Possiamo continuare a dirci che questo paese è quello del bengodi e che i problemi ce li risolveranno gli altri, ma non ci spiegate qual è la politica grazie alla quale chi è disoccupato oggi possa trovare lavoro invece di vedere le risorse disperse nell'improduttività, nel parassitismo di aziende che non producono o di persone che hanno deciso di godere della cuccagna e quindi di ritirarsi dal lavoro quando viene legalmente consentito, anche se non lo è economicamente. Ci dite che possiamo fare quello che nessun altro paese al mondo sta facendo, cioè consentire di andare in pensione a cinquant'anni a spese di tutti. Se voi ci dite che l'Italia lo può fare, cercate di spiegarlo a Bonn!
Voglio proprio vedere in che modo noi entreremo in Europa. Voi sapete benissimo che in Europa noi ci entriamo soltanto se il calcolo degli interessi politici od economici degli altri paesi dimostra che è più costoso tenere fuori l'Italia che farla entrare. Ma certamente noi non ci andiamo da paese dignitoso, da paese che sappia essere orgoglioso della sua economia, del suo diritto, delle sue filosofie di fondo, da paese che sappia offrire delle alternative a coloro che oggi si sentono davanti alla muraglia cinese creata dalla grande impresa pubblica e privata, creata dal grande sindacato della triplice, creata da un diritto che è fatto apposta per escludere, per mantenere l'emarginazione di chi è fuori! La solidarietà liberale è una cosa seria! La solidarietà liberale dice che chi è disoccupato deve trovare l'opportunità di lavorare e che chi è in difficoltà deve avere l'aiuto. La solidarietà liberale è opportunità per i meriti ed è aiuto ai bisognosi. Invece, voi ci proponete un solidarismo d'accatto, cattocomunista o clerico-fascista, fatto non di riduzione del fisco, non di più concorrenza, non di più flessibilità sul mercato del lavoro, ma fatto invece di privilegi per chi riesce ad ottenerli e di negazione del merito per tutti: aiuto a tutti, negazione del merito per tutti, rete di privilegi che si accumulano e tentativi disperati di restare in equilibrio in questa situazione.
Così, cari amici, cari colleghi, caro Governo, non ci portate dentro nessuna Europa. Possiamo attaccarci al tram, ma, come dice il vostro nuovo leader, l'uomo della Provvidenza e della previdenza, Di Pietro, prima o poi verrete presi a calci nel sedere!
È iscritto a parlare l'onorevole Orlando. Ne ha facoltà.
In base a parametri costruiti su logica territoriale anziché sociale, alcuni sgravi contributivi alle attività produttive di regioni in ritardo di sviluppo sono stati perduti qualche anno fa. La penalizzazione per la mia regione fu sancita in un decreto del Governo Berlusconi, firmato Mastella, che dava corpo all'intesa fra il ministro del bilancio Pagliarini e il commissario europeo Van Miert. Il Governo Prodi ha manifestato la volontà di trasferire alle regioni così penalizzate risorse compensative che quelle regioni potranno investire in infrastrutture a favore delle attività produttive e intanto ha concesso un credito d'imposta a piccole e medie imprese situate in alcune aree dell'obiettivo 1 - appunto, in ritardo di sviluppo - dei fondi strutturali comunitari, concessione che la Commissione bilancio ha esteso all'Abruzzo. La stessa Commissione ha poi esteso all'Abruzzo e al Molise, nel capitolo della fiscalizzazione degli oneri sociali, lo sgravio totale per un anno relativamente ai nuovi assunti. Di ciò io ringrazio sia il Governo sia la Commissione bilancio.
Ma mi sia anche permesso di rilevare che questi ricostituenti, graditissimi, arrivano in terre sottoposte per anni a cura di cavallo, la cosiddetta razionalizzazione della spesa, con tagli per scuola, INPS, INAIL, poste, ENEL, Telecom; razionalizzazione che si è aggiunta alla ricordata perdita degli incentivi alle imprese. Così, razionalizzazione diventa sinonimo di desertificazione.
La razionalizzazione necessaria per il risanamento del nostro paese e per il nostro ingresso in Europa è l'obiettivo direi più nobile e supremo di questa maggioranza, ma ripeterei quanto disse Cervantes: «Attenti, con giudizio», altrimenti nelle aree in ritardo di sviluppo c'è un effetto boomerang che stabilizzerà il ritardo invece di accelerare il superamento, e la cosiddetta questione meridionale continuerà ad incancrenire.
Nella scuola, le agevolazioni fiscali per l'introduzione di computer favoriranno sì l'avvio degli studenti a più moderne conoscenze, ma vorrei chiedermi se serviranno a qualcosa ove continuassero a mancare insegnanti che conoscono i linguaggi telematici, e soprattutto se nelle aree in ritardo di sviluppo la chiusura di scuole in sovrannumero continuerà prescindendo da quegli ammortizzatori, come il carattere montano delle aree, che fin qui ne hanno attenuato l'impatto. Senza scuola, lo sappiamo, non c'è sviluppo futuro, così come senza energia non c'è oggi sviluppo materiale.
Sono stato eletto in un collegio (quello di Campobasso) nel quale quando cade la neve - e ne cade tanta! - la corrente elettrica va via; un minuto di interruzione dell'erogazione significa per le aziende un'ora di fermata. In queste condizioni l'ENEL, invece di potenziare impianti dopo aver ridotto il personale, si preoccupa di chiudere le direzioni regionali che sono il cervello pensante del sistema. Questa politica di desertificazione inconciliabile con la volontà di superamento del ritardo di sviluppo è una cura che somiglia molto all'eutanasia. Credo che l'ENEL invece di contrastare il passaggio dell'energia dal monopolio al mercato, dovrebbe occuparsi di assicurare a tutto il sistema produttivo l'energia di cui ha bisogno e non ritornare alla logica degli industriali elettrici pre-nazionalizzazione,
dei quali si diceva che non erano imprenditori ma percettori di bollette; quelle bollette che dovrebbero ora consentire all'ENEL di accaparrarsi, in nome delle sinergie tra distribuzione energetica e telefonia, una grossa quota di telefonia mobile e fissa, una joint venture da 12 mila miliardi, ricavati dalle bollette delle famiglie e delle imprese, con tanto di golden share a favore del monopolio che rilutta, come dicevo, alla privatizzazione e alla liberalizzazione.
Signor Presidente, prima di concludere vorrei fare un cenno all'ordine pubblico. Il Ministero dell'interno ha prodotto analisi e studi importantissimi nel corso di quest'anno sul ruolo della malavita organizzata di massa nel ritardo dello sviluppo. Nel patto territoriale del Molise centrale abbiamo recepito - primo caso in Italia - il ruolo delle forze dell'ordine tra i fattori dello sviluppo. Vorrei sapere se il bilancio di previsione del Ministero dell'interno consentirà veramente di rafforzare la presenza dissuasiva dello Stato o se la razionalizzazione boomerang si estenderà anche alle forze di polizia, visto che invano i nostri prefetti e questori invocano da anni una pattuglia in più.
Mi auguro che il Governo che sta portando brillantemente l'Italia in Europa sia sempre più convinto che l'Europa è fatta sì di parametri ma anche di ordine pubblico, amministrazione efficiente e corretta, scuole faticose e d'avanguardia, garanzia di europeizzazione per tutto il paese, anche di quella sua parte sprofondata nel Mediterraneo.
È iscritto a parlare l'onorevole Apolloni. Ne ha facoltà.
Con questo, signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio dire che la lega nord per l'indipendenza della Padania è qui per testimoniare e rappresentare gli oppressi. La Padania è una realtà più che mai viva ed è qui per ricordarvi come la pazienza non sia una virtù che si esercita senza confini e limiti.
Come gli allevatori a Vancimuglio, noi padani oggi in quest'aula ci battiamo contro questa manovra finanziaria, che ha lo stesso amaro retrogusto dell'oppressione operata con i manganelli ai danni di stinchi, femori e crani dei coltivatori diretti, di una delle fasce di lavoratori più deboli e indifesi: lavoratori che si sono ribellati a ragione, a sacrosanta ragione.
Noi oggi non stiamo certo discutendo di un'oppressione fisica, almeno per il momento, ma di una manovra che introduce una futura e prossima oppressione fiscale senza precedenti.
Non vi rendete conto che, anche se non fisica, l'oppressione che esercitate attraverso la manovra che vi accingete ad approvare non rappresenta altro se non un nuovo mattone posto sulla barriera che vi divide dal popolo dei lavoratori contribuenti? La prossima volta questo mattone potrebbe essere quello che divide voi da un'altra categoria produttiva, magari quella dei commercianti e degli artigiani. Allora anche loro si ribelleranno e voi sarete costretti ad adottare gli stessi metodi incivili che avete adottato pochi giorni fa. Non dubitiamo infatti che a questi ultimi episodi se ne aggiungeranno di ulteriori. E allora quando metaforica
mente avrete mandato tutti all'ospedale, quali saranno le vostre vittime di turno?
Signor Presidente, onorevoli colleghi, la finanziaria 1998 presenta - ahimè - significative analogie con la manovra dello scorso anno, in primo luogo per la testardaggine con cui il suo Governo nasconde cocciutamente fino all'ultimo il fatto che l'Italia è un paese ad un passo dal collasso. Ma non lo avete voluto nascondere solo a noi che seguiamo con attenzione e con altrettanta costanza e preoccupazione l'andamento del debito pubblico, lo avete voluto nascondere anche ai partner europei. Inoltre, il Governo, attraverso i suoi organi di informazione di Stato o privati, come la RAI, l'Unità o il Corriere della sera, lo ha nascosto anche ai lavoratori contribuenti.
La lega nord per l'indipendenza della Padania si chiede, anzi vi chiede, visto che i colpevoli siete solo voi assieme ai complici occulti del Polo, perché il Governo taccia sul drammatico stato della finanza pubblica italiana e perché il Governo taccia sulle cifre stratosferiche, che ammontano a milioni di miliardi, tuttora mancanti dalle casse dello Stato. Perché il Governo tace sul fatto che l'erario paga in interessi l'equivalente di cinque milioni di lire all'anno per ogni italiano, che è un po' meno di quello che spende per l'assistenza e per la previdenza sociale per ciascuno di noi? Perché il Governo tace sul fatto che accumula cifre spaventose solo per pagare gli interessi sui titoli pubblici, BOT e CCT? Perché il Governo tace sul fatto che il debito ogni anno aumenta a livelli vertiginosi, dal momento che cresce di ventuno miliardi all'ora, di trecentocinquanta milioni al minuto, di cinquantotto milioni circa al secondo?
Lo sappiano gli amici di Radio radicale! Sappiano quali sono i veri dati, i veri numeri che governano l'Italia!
Signor Presidente, onorevoli colleghi, poc'anzi ho introdotto l'argomento Europa, che è alla Padania e ai padani molto cara, come hanno dimostrato con i fatti, vale a dire con i miliardi che quotidianamente sborsano. L'argomento Europa è caro, molto caro alla repubblica della Padania indipendente. L'obiettivo Europa è un obiettivo padano; un obiettivo ragionato, calcolato sotto più punti di vista: economico, finanziario, del lavoro e dell'occupazione. Siamo noi padani i veri cultori dell'idea europea, siamo noi che ci preoccupiamo della salute della nostra economia, che deve fare i conti con finanziarie assassine come quella che vi accingete ad approvare.
Dopo la farsa delle sue dimissioni, operata dalla «bufala» di rifondazione comunista, la sua credibilità ha fatto sogghignare i nostri partner europei. Più precisamente la lega nord per l'indipendenza della Padania fa riferimento ai cinque punti fondamentali del Trattato di Maastricht uno dei quali - guarda caso - non viene mai preso in considerazione, quello relativo allo stock del debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo, che ammonta al 120 per cento, mentre voi vorreste farlo passare al 60 per cento. Fino al 1998 rimarrà in vigore il SEC 79, che prevede la contabilizzazione degli interessi di cassa secondo il principio vigente della contabilità italiana; a partire però dal 1999, con riferimento ai conti del 1998, entrerà in vigore il SEC 95, che introduce il principio della contabilizzazione per competenze. Adottando questo nuovo criterio, le voci relative alle spese per interessi, indicate per il triennio 1998-2000, riporteranno dati economici completamente «sballati» e falsi, come «sballati» e falsi sono i dati che concernono il prodotto interno lordo che si vorrebbe far intendere aumentato al 2 per cento nel 1998, al 2,5 per cento nel 1999 e addirittura al 2,7 per cento nel 2000. Il tasso di inflazione, in maniera inversamente proporzionale al PIL, scenderebbe addirittura, secondo voi, all'1,8 per cento già a partire dal 1998 e all'1,5 per cento l'anno successivo, per rimanere tale anche nel 2000. Il tasso di disoccupazione dovrebbe incredibilmente scendere entro un anno e mezzo sotto il 10,5 per cento.
Quanti condizionali, signor Presidente! Però il condizionale che disgusta me e i colleghi padani è quello che vedrebbe una sola manovra finanziaria da 25 mila
miliardi. Noi non ci crediamo, perché con 25 mila miliardi non ci comprate nemmeno la carta per scrivere gli articoli della vostra manovra! La serietà del vostro Governo continua a vacillare sempre più, e per serietà intendo la capacità di adottare una manovra finanziaria che preveda reali aumenti di entrate e reali riduzioni della spesa pubblica, una manovra che non prenda in giro il popolo dei lavoratori e dei contribuenti, degli artigiani, dei commercianti e delle piccole e medie imprese, vere forze trainanti dell'economia. In ogni caso, anche supponendo l'efficacia di tutte le misure adottate nella manovra, non potrebbe essere conseguito un rapporto tra fabbisogno e PIL nella misura del 3 per cento, come richiesto dal Trattato di Maastricht.
La definizione del fabbisogno del comparto statale non corrisponde ai criteri adottati in sede europea che fanno riferimento al settore aggregato di tutte le pubbliche amministrazioni, in considerazione del quale il valore del suddetto rapporto tra fabbisogno e PIL arriverebbe addirittura al 4,7 per cento.
Non dimentichiamoci poi delle aliquote IRPEF ed IRPEG; anzi, a proposito di IRPEF, vorrei ricordare che proprio lei, signor Presidente del Consiglio, poco prima di essere eletto volle specificare nel suo programma elettorale che si sarebbe impegnato a mantenere inalterata, per il triennio 1996-1998, la pressione fiscale. Proprio lei, signor Presidente, nel suo discorso programmatico, quando si è presentato alla Camera il 22 maggio 1996, sostenne che in questa situazione il Governo si sarebbe impegnato a mantenere la pressione fiscale invariata rispetto ai livelli del 1995 per il tutto il triennio 1996-1998. A questo fine precisava: «Dovranno essere presi provvedimenti per sostituire il gettito dei prelievi una tantum». E continuava promettendo l'alleggerimento dell'IRPEF nella seconda parte della legislatura. E invece, cosa abbiamo ottenuto grazie al vostro malnato Governo? Che la pressione fiscale è aumentata, e con essa l'IRPEF e l'IRPEG, a seguito della revisione dei valori catastali, per non parlare dell'IRAP, nuovo balzello che andrà a tassare il costo del lavoro e gli interessi passivi.
La rivalutazione dei cespiti catastali avrà effetti anche nei prossimi anni, per cui sarà matematicamente impossibile diminuire nella seconda parte della legislatura le aliquote IRPEF.
Grazie al suo Governo, invece, otteniamo che la stangata dell'IRPEF arrivi puntuale più che mai perché i comuni potranno anticipare dal 2000 al 1999 l'aumento dello 0,3 per cento in tre anni dell'addizionale IRPEF. Così ha deciso la V Commissione bilancio che ha accolto, si fa per dire, un emendamento della sinistra democratica.
Visto che poc'anzi abbiamo parlato di Europa, permettetemi una parentesi a proposito della tassa per l'Europa che abbiamo finito di pagare solo ora.
Per quanto riguarda i beni immobiliari appare strano che il Governo rivolga una così particolare attenzione ad un'attività professionale spesso e volentieri snobbata dalle istituzioni italiane, quella dell'amministratore di condominio. Con l'articolo 18, commi 10 e 14, oltre a disporre la variazione della misura della ritenuta d'acconto per le prestazioni di lavoro autonomo, s'intende ricondurre quest'ultima a tassazione. In materia di disposizioni per il recupero dell'imponibile, la figura dell'amministratore di condominio starebbe per diventare sostituto d'imposta, ovvero s'individua nel condominio stesso e non nell'amministratore la figura da investire con la qualità di sostituto d'imposta. Tutto lascia dunque presagire che essi saranno obbligati ad effettuare le ritenute IRPEF alla fonte sia sulle retribuzioni erogate ai dipendenti che prestano la loro opera nel condominio sia sui compensi erogati a professionisti per consulenze sia sui propri compensi professionali per l'attività di amministrazione svolta.
Con riferimento alle circolari del Ministero delle finanze n.25 del 1979 e 77 del 1992, l'amministratore di condominio è un lavoratore autonomo che svolge professionalmente la propria attività. Se questa disposizione dovesse andare in
porto, l'amministratore si troverà a dover presentare il modello 770 con commistione tra ritenute alla fonte effettuate nei confronti dei soggetti che hanno diretta attinenza con la sua attività professionale, dipendenti e collaboratori di studio nonché professionisti di cui si sia avvalso per l'espletamento della propria attività, e ritenute alla fonte effettuate nei confronti dei soggetti che hanno invece diretta attinenza con la gestione dei servizi e l'osservanza delle norme condominiali (portieri, addetti alle pulizie, giardinieri come dipendenti del condominio, geometri, periti, ingegneri, consulenti del lavoro).
Evidentemente chi ha avuto la presunzione di stendere le suddette proposte non sa o fa finta di non sapere che l'amministratore è un soggetto che svolge un'attività professionale la quale per tipologia e struttura di costi presenta valore aggiunto decisamente inferiore rispetto alle altre attività professionali. La ritenuta del 20 per cento sui compensi indurrebbe quindi inevitabilmente gli stessi amministratori ad una situazione strutturale di credito d'imposta. Mi auguro che si trovi una soluzione adeguata, per esempio mirata a prevedere una ritenuta del 20 per cento commisurata ad una percentuale di compensi complessivi, mutuando tale eventuale disposizioni dalla normativa prevista dall'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n.600 del 1973 per gli esercenti attività di agenzia, mediazione e rappresentanza di commercio, perché questo consentirebbe di allargare la base imponibile portando automaticamente a tassazione IRPEF i redditi percepiti dai dipendenti del condominio, i compensi percepiti dai professionisti per consulenze prestate al condominio, il compenso percepito dall'amministratore del condominio sia esso inquadrato come lavoratore autonomo, professionista o collaboratore.
Ma, al di là di speranze o proposte varie, mi chiedo perché solo ora lo Stato italiano si desti e si accorga che non è mai stata prestata molta attenzione alla materia condominiale, lasciata nel dimenticatoio di pochi articoli del codice civile, sollevata da migliaia di sentenze dei tribunali e della Cassazione, che dice tutto e il contrario di tutto. Perché solo ora volete a tutti i costi che i condomini con più di quattro unità immobiliari debbano obbligatoriamente avere l'amministratore, come del resto l'articolo 1129 già sancisce da oltre cinquant'anni? Perché siete rimasti con pochi spiccioli in tasca (ve lo dico io)! E già questo è il primo segnale, il primo campanello d'allarme, che rivela in una parola sola l'attuale e catastrofico stato di salute di questo Governo e di questo Stato italiano.
Il secondo segnale gravissimo ci è dato dalle scandalose pensioni facili (facilissime, direi) per i ferrovieri, che conservano fino al 2001 i privilegi della riforma Dini. Si tratta di una scelta vergognosa e della logica conseguenza di chi dovrebbe terminare i propri giorni in galera per aver permesso che si creasse un tale esubero di ferrovieri-dipendenti statali. Spero che gli amici di Radio radicale possano essere testimoni di queste mie parole, perché si sappia che in pratica già l'anno prossimo (ovvero, tra tre settimane) potrebbero andare in pensione i ferrovieri con solo ventiquattro anni di contributi. Nel 1999 saranno necessari venticinque anni: capirai, un solo anno in più!
Allora, quel vecchio e disonesto vizio di favorire fino all'inverosimile l'apparato statale, ovvero il prototipo del sistema che ha sempre regnato in Italia, non ve lo siete tolto.
Mi sapete dire che differenza vi è tra questo caso e quello degli insegnanti baby pensionati? Credo che non riceverò mai una risposta da voi, ma ciò mi è sufficiente a ribadire il mio convincimento; mio e dei miei colleghi sostenitori della causa che porterà all'indipendenza della Padania.
Leggo, poi, i commi 5, 6, 7 e 8 dell'articolo 11, i quali introdurrebbero una disposizione agevolativa consistente in un minore versamento in sede di liquidazione dell'IVA in favore degli esercenti di attività di commercio al minuto, di prodotti tessili, di abbigliamento e di calzature, in modo da consentire loro un
recupero - per il mese di dicembre 1997 e per l'intero 1998 - dell'aumento dal 16 al 20 per cento dell'aliquota IVA, applicabile agli stessi prodotti. Vale a dire che questo Governo prima alza di un notevole 4 per cento l'aliquota IVA e, poi, fa il magnanimo e il generoso. Chi volete prendere in giro?
Un'altra ciliegina sulla torta, signor Presidente, è quella in materia di pubblico impiego. Ciò che è previsto all'articolo 32 risulterà di fatto una delle innovazioni meno azzeccate di questi ultimi anni: mi riferisco più precisamente al rafforzamento della fonte contrattuale nel pubblico impiego e all'attribuzione di trattamenti economici.
Che dire poi delle disposizioni dell'articolo 48, commi 15, 16, 17, 18 e 19, dirette ad elevare l'aliquota contributiva a carico degli artigiani, dei commercianti, dei lavoratori titolari di collaborazioni coordinate e continuative, dei lavoratori iscritti a fondi sostitutivi INPS, nonché ai contributi INAIL per lavoratori autonomi e agricoli?
Signor Presidente, l'INPS rappresenta un vero «buco nero» che finora ha causato un qualcosa come 2 milioni di miliardi di debito pubblico!
E, poi, signor Presidente, vi è la disastrosa situazione del Mezzogiorno, per la quale anche questa finanziaria fa capire perfettamente come si vorrà continuare a favorire la crescita dei consumi, senza tuttavia voler finalmente dar vita ad un sistema atto a favorire la crescita dei consumi, ad uno sviluppo autonomo. Ecco, signor Presidente, un'altra malnata caratteristica di questo malnato Governo. Tra le piaghe di questa manovra si prevede ancora una volta che al sud ci saranno agevolazioni fiscali per le imprese che investono e creano nuova occupazione, mentre per il nord non è prevista alcuna agevolazione, solo tasse e controlli della finanza.
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio senso di giustizia mi impedisce di considerare questo documento una legge finanziaria. Io la finanziaria non la intendo di certo così; una finanziaria che è lievitata per andare incontro sempre e solo al Mezzogiorno, per salvare l'altro enorme, clamoroso, buco finanziario della Sicilcassa, all'indomani di quello del Banco di Napoli! Che altro dire, signor Presidente, onorevoli colleghi? Che l'economia italiana ristagnerà ancora per chissà quanto, che presto ci sarà una nuova manovrina da 20-25 mila miliardi o che già dal 1998 dovranno essere varati provvedimenti di riduzione del deficit pubblico per 25 mila miliardi.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, la lega nord per l'indipendenza della Padania conferma coerentemente il proprio voto contrario. Credo che questa finanziaria non vada affatto incontro a quelle che sono le esigenze reali del paese, o meglio delle realtà che trainano questo paese dominato dalla mafia e dal Vaticano; realtà che hanno assoluto bisogno di entrare in Europa, nella moneta unica europea, perché ne va della possibilità di rimanere ancorati ad un mercato al di fuori del quale l'involuzione del nostro sistema sarebbe inevitabile.
Per l'ennesima volta, signor Presidente, onorevoli colleghi, ripeto che l'unico modo per risolvere in fretta la situazione è ricorrere ad una separazione consensuale, in cui la Padania usi la moneta euro, cosa che i concittadini del sud potrebbero fare una volta sistemato il loro sistema economico e produttivo.
Mi permetto di ricordarle, onorevole Armaroli, che il tempo che lei utilizzerà per il richiamo al regolamento verrà sottratto al tempo contingentato assegnato al suo gruppo.
Il mio richiamo al regolamento, dicevo, è specialissimo, perché si configura anche come un richiamo alla Costituzione. Mi fa molto piacere che in quest'aula, tra pochi intimi, ci sia il sottosegretario Macciotta, che certamente queste cose le sa, e l'onorevole Martino, che è un superesperto in materia.
Forse per la prima volta nella storia di questi cinquant'anni il Governo è stato ammonito sia dalle opposizioni, sia dalla maggioranza, sia dallo stesso Presidente della Camera e i moniti sono caduti finora assolutamente nel vuoto. Il Presidente della Camera, nella seduta del 24 novembre scorso, dava ragione all'onorevole Calderisi, riconoscendo che vi sono numerose materie estranee nel collegato alla finanziaria. «Tra l'altro segnalo all'attenzione dei colleghi» - rilevava il Presidente Violante - «che ce n'è una che addirittura riguarda - come dire - le funzioni interne del Parlamento in ordine alla possibilità di chiedere alcuni pareri a determinate Commissioni. Insomma vi sono delle materie estranee, non c'è dubbio!».
Il Presidente della Camera, inoltre, proprio ieri richiamava il Governo a fare la sua parte e a mettersi in regola. Peraltro la Commissione affari costituzionali la scorsa settimana esprimeva sì un parere favorevole, ma condizionato; e le condizioni, lunghe come lenzuola, sono cadute nel vuoto. Il Presidente della Camera ha anche scritto al presidente della Commissione bilancio, Solaroli, che, da quel galantuomo che è, si è fatto parte diligente e non solo ha letto ai commissari il testo della lettera del Presidente Violante, ma ha anche rappresentato al Governo le ragioni per le quali si doveva cambiare registro. Anche questo è caduto nel vuoto.
Vengo al punto e concludo brevemente. Di che cosa si tratta? L'anno scorso, signor Presidente, il Governo con la manovra economica ha richiesto 34 deleghe e proposto 14 delegificazioni. Questa volta ha presentato 13 richieste di deleghe e 9 di delegificazioni. È un modo, come dire, per alleggerire il lavoro del Parlamento, se vogliamo usare un eufemismo o, per dirla tutta, per spogliare delle sue prerogative il Parlamento.
Ci sono due modi per spogliare il Parlamento: lo si può fare da galantuomini, cioè rispettando le regole, oppure lo si può fare in maniera più o meno banditesca, cioè non rispettando le regole. Si tratta, signor Presidente, di deleghe che non prevedono il parere delle Commissioni parlamentari competenti, nonché di tutta una serie di delegificazioni in riferimento alle quali, in certi casi, mancano quattro requisiti su quattro: la determinazione delle norme generali regolatrici della materia; il termine per l'emanazione del regolamento; l'indicazione delle norme abrogate; la previsione del parere parlamentare. Si può pertanto affermare che non solo è violata la legge n.400 del 1988, ma sono violate anche molte disposizioni costituzionali: gli articoli 76 e 97, nonché forse l'articolo 113.
Concludo, signor Presidente, dicendo che alleanza nazionale preannuncia la presentazione di una questione pregiudiziale di costituzionalità, costruita in guisa tale per cui la Presidenza della Camera dovrà considerarla ammissibile. Si chiederà infatti che la Camera non si pronunci sul provvedimento collegato alla legge finanziaria nel modo in cui è stato congegnato dal Governo. Tale annuncio rappresenta l'ennesimo monito al Governo affinché nelle prossime ore batta un salutare colpo e ci dica se voglia mettersi in regola con la legge e con la Costituzione oppure se ritenga di continuare in questo modo barbaro, stigmatizzato dall'opposizione, dalla maggioranza e dallo stesso Presidente della Camera (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
base al regolamento, nell'ambito richiamato.
È invece pertinente l'annuncio della presentazione di una questione pregiudiziale. In linea di principio, onorevole Armaroli, si è già stabilito nella giornata di ieri - l'ho fatto io e poi è stato ribadito con molta più autorevolezza dal Presidente Violante - che le questioni pregiudiziali non sono ammissibili. Naturalmente, però, la valutazione non può prescindere dall'oggetto; pertanto, nel momento in cui verrà presentata la questione pregiudiziale preannunciata, il Presidente Violante potrà esprimersi sul merito.
Per il momento ritengo che si possa proseguire nella discussione.
Questa che appare come una questione troppo sottovalutata ha implicazioni che riguardano i rapporti, ma anche la correttezza tra maggioranza ed opposizione.
Mi spiego meglio. Quando nel collegato alla finanziaria vi sono disposizioni come, tanto per citarne una, l'articolo 9, che fa riferimento ad interventi in materia di demanio marittimo, nonché di tassa e sovrattassa di ancoraggio, il pensiero dell'opposizione va giustamente alle due proposte di legge avanzate dall'opposizione stessa, che avevano ottenuto la cosiddetta procedura d'urgenza e che non sono mai state iscritte all'ordine del giorno delle competenti Commissioni. È evidente che nel preciso istante in cui il Governo approfitta del collegato alla finanziaria per scavalcare le richiamate iniziative legislative per dettare una disciplina che supera quelle proposte di legge, obbligando ad accantonarle, nonostante i parlamentari che le avevano presentate avessero per primi posto all'attenzione della Camera le questioni ad esse sottese, è
evidente che vi è una questione di correttezza istituzionale tra l'intervento del Governo ed il rispetto nei confronti dell'iniziativa legislativa delle Camere.
Se a questo riguardo nulla hanno a che fare - come è pacifico - i problemi relativi ai saldi di finanza pubblica e, quindi, l'inserimento della materia cui si faceva riferimento non ha una spiegazione logica e perfettamente coerente con la disciplina dei collegati alla finanziaria, la questione ovviamente va posta sotto il profilo politico. Quindi, quando l'opposizione fa dei richiami al regolamento e cita - tanto per indicarne uno - l'articolo 118 del regolamento, non fa altro che dire all'Ufficio di Presidenza che, a suo avviso, il Governo ha violato quelle disposizioni. Nel preciso istante in cui quel binario privilegiato tipico rappresentato dal collegato alla finanziaria consente una discussione che in qualche modo lascia da parte l'iter normale e, quindi, la dialettica parlamentare, riteniamo di dover segnalare questo aspetto come questione di libertà, oltre che di correttezza.
Come se non bastasse (anche se a questo proposito la Commissione bilancio, accorgendosi del problema, ha tentato di porre rimedio), non può essere elusa la questione che l'esecutivo ha inserito nel collegato originario presentato al Senato e rimesso da quest'ultimo alla Camera, la disposizione di cui all'articolo 15, che conteneva la delega per la revisione della disciplina concernente l'imposta sugli spettacoli. È infatti ormai noto che la Commissione finanze della Camera aveva iniziato l'esame delle proposte di legge dell'opposizione concernenti queste modifiche. Anche in questo caso, dunque, i rapporti di correttezza tra l'iniziativa legislativa del Governo e le prerogative della Camera non solo sono oggetto di censura, ma soprattutto pongono una questione di libertà, in quanto denotano l'intenzione - tipica dell'esecutivo - di scavalcare queste iniziative legislative.
Queste non sono questioni di poco conto, perché, come sappiamo, la Commissione finanze aveva già iniziato l'iter legislativo delle proposte richiamate ed aveva anzi accettato una richiesta di sospensione, avanzata proprio dal dicastero competente per consentire gli opportuni accertamenti in merito alle variazioni che si sarebbero avute sull'entrata tributaria per quanto concerne lo svolgimento dell'iter dei provvedimenti e l'eventuale successiva approvazione della normativa in questione.
Anche questa è una questione politica che non può essere sottovalutata.
Quando poi andiamo a leggere le disposizioni riferite alle dismissioni delle attività pubbliche, non solo denunciamo l'assoluta imperizia di chi le ha formulate (penso, in particolare, all'ultimo comma che estenderebbe le disposizioni dell'articolo 14 della legge n.59 del 1997, concernente appunto il riordino degli enti pubblici nazionali, a tutte le trasformazioni delle strutture anche a carattere aziendale), ma rileviamo che la questione si pone anche in relazione alla vicenda dei monopoli.
Quando il Governo, signor Presidente, presenta un emendamento nelle Commissioni competenti nel tentativo di attribuire a se stesso una delega ulteriore per saltare la decisione della Commissione competente - che, nel caso di specie, aveva già affrontato l'articolo 1 con un colpo di mano forse poco piacevole per la maggioranza -, ancora una volta si apre una questione politica sulla correttezza dei rapporti tra Governo e Parlamento e sul rispetto da parte del primo dell'iniziativa del secondo e dei membri dello stesso.
Non sono questioni secondarie queste, sono questioni che si collocano al centro di rapporti istituzionali. Esse indubbiamente consentono di affrontare tematiche relative alla libertà: infatti la libertà dell'iniziativa parlamentare non può essere superata dal Governo!
Mi chiedo, signor Presidente, in attesa delle modifiche regolamentari che, come lei mi insegna, entreranno in vigore il 1 gennaio 1998, se in tutti i casi in cui l'iniziativa legislativa delle opposizioni costringe il Governo ad un dibattito su questioni importanti, possa essere sufficiente saltare a pié pari tale iniziativa,
assicurando un binario privilegiato, come il collegato alla legge finanziaria, alle iniziative del Governo.
Da ultimo, signor Presidente, e concludo, mi rammarico per l'iniziativa governativa perché, nonostante tutti gli indicatori in materia ci abbiano dimostrato che i parametri di Maastricht sono assicurati, essa colpisce con ulteriori imposizioni di carattere contabile e tributario sia le libere professioni - i lavoratori autonomi che diventano sostituti d'imposta - sia gli amministratori di condominio, trasformati in veri e propri commissari politici. Invito tutti i colleghi a leggere le disposizioni normative dedicate a queste categorie, e in particolare quella che consente agli uffici di richiedere agli amministratori di condominio negli edifici dati, notizie e documenti relativi alla gestione condominiale o, peggio, l'altra che obbliga gli amministratori di condominio negli edifici a comunicare annualmente all'anagrafe tributaria l'ammontare dei beni e servizi acquistati dal condominio ed i dati identificativi dei relativi fornitori.
Chiedo - e concludo davvero, Presidente - se questa sia la legislazione italiana per l'unione monetaria europea. Chiedo se questi aspetti non debbano essere censurati con forza perché dimostrano, secondo noi, incapacità di legiferare ed odio nei confronti di alcune categorie che ormai trasuda dai testi legislativi (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
Questa legge finanziaria rappresenta la prosecuzione, con piccole variazioni sul tema e con piccole modifiche, di un metodo antico di politica economica denunziato nella sua efficacia alla fine del secolo scorso da economisti che si chiamavano Vilfredo Pareto e Knut Wicksell e in questo secolo da economisti che si chiamavano Luigi Einaudi e da studiosi di scienze delle finanze che si chiamavano Ezio Vanoni.
Il metodo consiste nel tentativo, ripetutamente dimostratosi vano, di risanare la finanza pubblica inseguendo con aumenti delle imposte un aumento della spesa pubblica di cui si è perso il controllo.
Questo metodo, per limitarci a tempi recenti, è stato seguito in Italia immancabilmente ogni anno almeno a partire dal 1980. Ogni anno una volta o, più spesso, due volte ci è stato detto che dovevamo fare sacrifici necessari per rimettere in ordine i conti dello Stato. I sacrifici sono stati fatti, i dati della contabilità nazionale al riguardo parlano un linguaggio che non è suscettibile di interpretazioni. Il rapporto fra le entrate totali del settore pubblico ed il prodotto interno lordo nel 1980 era del 34,6 per cento. A furia di manovre, manovrine e finanziarie volte ad accrescere le entrate dello Stato, nel 1997 le entrate totali del settore pubblico dovrebbero attestarsi sul 49 per cento. Dico «dovrebbero attestarsi», perché l'anno scorso è scomparso il settore pubblico, che è stato sostituito dalle amministrazioni pubbliche in conformità a quanto deliberato in sede europea. Ma se si tiene conto della vecchia definizione, le entrate totali dovrebbero attestarsi al 49 per cento. Questo significa che, malgrado l'aumento del prodotto interno lordo, le entrate del settore pubblico sono cresciute tanto rapidamente e tanto più rapidamente del reddito nazionale da accrescere la loro incidenza di ben 15 punti nell'arco di tempo considerato.
Questo non è bastato. Nel 1980 le spese del settore pubblico rappresentavano il 43,5 per cento del prodotto interno lordo. Oggi, con tutte le cautele del caso per le
ragioni che dicevo prima, il settore pubblico dovrebbe spendere ben oltre il 52 per cento del prodotto interno lordo; un altro incremento di grandissime dimensioni.
Quali sono state le conseguenze di questa crescita affannosa delle entrate e delle spese sull'economia italiana? Nel 1980 il tasso di crescita era pari al 4,9 per cento in termini reali, oggi dovrebbe attestarsi sull'1,6 per cento. Nel 1980 il tasso di disoccupazione era pari al 7,6 per cento, adesso marciamo intorno al 13 per cento. Del resto, la storia del ventennio precedente conferma questa analisi. Nel periodo che va dal 1961 al 1980 la spesa pubblica sul prodotto interno lordo ha di poco superato il 38 per cento; avevamo un tasso di sviluppo reale di poco inferiore al 6 per cento, un tasso di disoccupazione del 4,3 per cento. È cresciuta poi la spesa pubblica, siamo passati ai valori che dicevo; si è dimezzato prima, e ridotto a valori insignificanti poi, il tasso di sviluppo e la disoccupazione è esplosa.
Il Governo mena vanto per il fatto che nel corso di quest'anno si dovrebbe riuscire ad ottenere un tasso di sviluppo, come dicevo prima, che potrebbe toccare l'1,6 per cento. Quel risultato è davvero poco edificante se si guarda alla storia del nostro paese. Dal 1950 ad oggi, negli ultimi 47 anni, il tasso di sviluppo del reddito in Italia è stato superiore al valore di quest'anno ben 41 volte; il risultato di quest'anno è il quarantaduesimo peggior risultato su 47. Soltanto in cinque anni abbiamo fatto peggio di quanto ha fatto il Governo Prodi.
Vorrei ricordare a questa Camera la strabiliante coincidenza di risultati ottenuti da diversi istituti di ricerca canadesi e americani, i quali, con la collaborazione di 47 istituti di ricerca di tutto il mondo, hanno compilato una graduatoria dei paesi in base all'indice di libertà economica. Le metodologie variano, come è comprensibile; la libertà economica può essere misurata in vario modo, ma il risultato è uno solo, è lo stesso per tutti e tre gli studi cui faccio riferimento: l'Italia si colloca fra il cinquantacinquesimo e il cinquantasettesimo posto a seconda dello studio considerato, a pari merito con paesi come la Colombia, l'Ecuador e la Lituania. Nell'Unione europea noi siamo penultimi; quanto a libertà economica superiamo solo la Grecia.
La cosa non stupisce, data la crescita affannosa, come dicevo prima, della fiscalità, del disavanzo e dell'intervento pubblico nell'economia. La politica fiscale di questo Governo (e uso il termine senza eccessivi intenti polemici ma avvedutamente) può essere qualificata soltanto come reazionaria. È una politica di reazione: il Governo, essendo incapace di controllare la spesa pubblica, reagisce a questa sua incapacità accrescendo le imposte, cercando affannosamente di reperire i mezzi per finanziare una spesa che non controlla, un po' come versare acqua in un secchio sfondato. Ma la politica fiscale del Governo è anche reazionaria perché ha delle conseguenze recessive per l'andamento dell'economia italiana. Per troppo tempo questo Governo e quelli che lo hanno preceduto hanno considerato i lavoratori autonomi, la base produttiva di questo paese, come base imponibile, come una mucca da mungere. Li hanno additati al pubblico ludibrio come evasori; li hanno colpiti con balzelli e hanno finito per determinare lo scontento generalizzato delle categorie.
Vorrei che il Governo riflettesse su un fatto. Senza lavoratori autonomi non ci sono occasioni di lavoro per i lavoratori dipendenti. Questi ultimi hanno un lavoro in quanto esiste un lavoratore autonomo - professionista, artigiano, commerciante, piccolo imprenditore - che procura opportunità ed occasioni di lavoro per i lavoratori dipendenti. Colpire i lavoratori autonomi, quindi, colpire il ceto produttivo del paese, significa colpire anche e soprattutto i lavoratori dipendenti, i quali si vedono così negate occasioni di lavoro e l'ingresso nel mondo produttivo. Senza sorpresa abbiamo visto che questa politica ha fatto aumentare enormemente la disoccupazione.
Ma il dato più preoccupante non è l'aumento della disoccupazione quanto il calo dell'occupazione. Fra il 1990 e il 1996 - secondo dati ufficiali dell'ISTAT - sono stati distrutti oltre un milione di posti di lavoro e la diminuzione del numero degli occupati è andata ulteriormente aggravandosi nel corso di quest'anno. Abbiamo un triste primato: per i maschi tra i 54 e i 65 anni di età siamo il paese che ha la più bassa percentuale di occupazione. Abbiamo anche un altro triste primato: il numero degli occupati in Italia rappresenta soltanto il 35,4 per cento della popolazione totale. Lavoriamo troppo poco, almeno nell'economia ufficiale, perché viene impedito di creare posti di lavoro da questa politica fiscale reazionaria, che non solo ha fatto aumentare la disoccupazione ma ha anche drasticamente ridotto - almeno nell'economia ufficiale - l'occupazione complessiva.
La verità è che dovremmo cambiare prospettiva e perseguire una strategia di risanamento diametralmente opposta. Vorrei ricordare a questa Camera che la strategia di risanamento alla quale sto facendo riferimento venne enunciata con grande chiarezza e linearità nel 1982 dal governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, quando, nella relazione di quell'anno, egli indicò come criterio per il risanamento della finanza pubblica uno che egli definì facile da enunciare e ancor più facile da applicare, e cioè che le spese totali del settore pubblico crescessero ad un tasso inferiore a quello della crescita del prodotto interno lordo.
Se quel criterio facile da enunciare e facile da applicare fosse stato accettato in quel momento e seguito da quella data fino ad oggi, l'Italia sarebbe il paese più virtuoso dal punto di vista finanziario dell'intera Unione europea. Avremmo un attivo totale di bilancio (non un avanzo primario), che in Italia non si verifica dal 1931, di oltre 60 mila miliardi ed avremmo un debito pubblico che rappresenterebbe soltanto il 13 per cento del PIL, invece di oltre il 120 per cento.
Signor Presidente, confesso che ho una certa nostalgia del governatore Ciampi. Non so dove egli sia andato, ma ho l'impressione che la sua saggezza sia andata smarrita. Non abbiamo seguito quel criterio e ci troviamo oggi a seguire un metodo di risanamento della finanza pubblica che non soltanto non è efficace ma è anche fortemente controproducente per l'economia reale.
E, a proposito del debito pubblico, non posso passare sotto silenzio alcuni dati recenti dell'OCSE, secondo i quali se si tiene conto degli impegni pensionistici il nostro debito pubblico non rappresenta soltanto il 120 per cento del prodotto interno lordo, ma supera il 400 per cento; il che dovrebbe indurci a riflettere sulla sensatezza di una politica economica che finge di ignorare la gravità del problema pensionistico, incapace com'è di adottare delle soluzioni adeguate.
Colleghi, in passato nell'immaginazione collettiva il Parlamento era diviso in due parti: da un lato c'era il partito del cambiamento, delle riforme, il partito del cambiamento rivoluzionario che sedeva a sinistra; dall'altro, viceversa, c'era il partito di coloro i quali volevano difendere lo status quo, difendere l'esistente, impedirsi al cambiamento, e l'immaginazione popolare riteneva che sedesse a destra. Oggi a me sembra che i fatti mostrino una situazione rovesciata: abbiamo nelle sinistre il partito dello status quo, coloro i quali si oppongono, cercano di impedire il cambiamento, vogliono proseguire con il metodo fallimentare che è stato seguito per tanti anni ed ha portato l'Italia alla disperata situazione attuale.
Una volta nell'immaginazione collettiva si riteneva che a sinistra sedessero i partiti che difendevano gli interessi e i diritti dei lavoratori, che difendevano il lavoro e sempre nella propaganda delle sinistre si sosteneva che a destra fossero quanti viceversa difendevano gli interessi del capitale. A me sembra che la situazione ancora una volta sia oggi rovesciata, perché è qui nel centro-destra che siedono coloro i quali si battono per il lavoro, per la crescita dell'occupazione, per lo sviluppo economico (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale),
mentre a sinistra siedono rappresentanti illustri, come il Vicepresidente del Consiglio onorevole Veltroni, il quale mena vanto dell'aumento delle quotazioni dei titoli azionari. La borsa cresce e un esponente della sinistra è contento che questo accada, ma, come è stato ricordato in quest'aula, la borsa non si cura delle piccole e delle medie imprese perché non sono quotate in borsa; la borsa non si cura dei disoccupati perché non sono quotati in borsa; la borsa non si cura del Mezzogiorno perché non è quotato in borsa. Che razza di sinistra è quella che trae motivo di godimento dall'aumento delle quotazioni dei titoli azionari!
Concludo, signor Presidente, con una considerazione che non è direttamente collegata alla finanziaria, ma ha a che fare con le contraddizioni di questa maggioranza. Si riteneva nell'immaginazione popolare che a sinistra sedessero i libertari, i garantisti e che a destra si collocassero i difensori della legge e dell'ordine. Oggi è esattamente il contrario: i garantisti siedono al centro-destra, mentre a sinistra siedono coloro i quali hanno approvato un Governo delle sinistre del quale si può dire soltanto che è leggermente manesco; un Governo che ha approvato la bastonatura dei tifosi inglesi, degli studenti, degli allevatori, il trattamento - direi - abbastanza sbrigativo nei confronti dei clandestini albanesi, di coloro i quali tentavano di entrare e sono stati condannati ad una morte orrenda venerdì scorso.
Credo proprio che si sia ribaltato il rapporto tra destra e sinistra, signor Presidente: è il centro-destra a battersi oggi per le cause una volta attribuite alla sinistra (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale - Molte congratulazioni).
È una lettura distorta della realtà, viziata da un modo di ragionare e di fare opposizione da parte di alcuni colleghi demagogico, arretrato, questo sì non europeo, non affatto corrispondete ad un'analisi oggettiva dei parametri sociali, economici e finanziari attuali.
Certo, restano aperti alcuni grandi questioni a cominciare dall'occupazione - chi potrebbe negarlo? - che rimane un problema pressante, peraltro quasi esclusivamente concentrato nel Mezzogiorno e certamente non appartenente al solo nostro paese, per il quale non si può dire - come ho sentito da parte di alcuni colleghi dell'opposizione - che non si è fatto nulla, ancora una volta in modo falso.
Numerosi invece sono i provvedimenti presi in materia di incentivi alle imprese, di avvio di interventi infrastrutturali, di ristrutturazione finanziaria, di nuovi strumenti di concertazione socio-economica, di semplificazione burocratica della macchina amministrativa, i quali devono ancora dispiegare tutte le loro potenzialità positive, i loro benefici sul tessuto economico e sociale del nostro paese. Alcuni di questi hanno peraltro bisogno di un tempo di maturazione, coinvolgendo vari livelli istituzionali, a cominciare dagli strumenti della programmazione negoziata, come i patti territoriali, i contratti d'area che in questi mesi hanno mobilitato e stanno mobilitando risorse pubbliche e private per una nuova importante stagione di collaborazione finalizzata allo sviluppo economico ed occupazionale.
Nonostante il poco tempo avuto a disposizione per valutare l'intera portata dell'azione governativa, è sufficiente leggere l'ultimo rapporto Prometeia sull'andamento della domanda interna, sul tasso di crescita del prodotto interno lordo e della produzione industriale, sull'andamento
del tasso d'inflazione, anche alla luce della recente modifica delle aliquote IVA, per accorgersi che questo paese ha superato la sua fase più critica ed è ormai avviato sulla strada del pieno rispetto dei parametri di Maastricht.
Anche il recente rapporto dell'Unioncamere ha segnalato un'inversione di tendenza molto significativa: per la prima volta dopo molto tempo nascono più imprese di quante ne muoiano. Un fenomeno particolarmente accentuato al sud.
Le premesse per essere un po' più ottimisti ci sono. Questo Governo e la sua maggioranza politica hanno dovuto fare un vero e proprio massaggio cardiaco alle moribonde finanze pubbliche del nostro paese, ad un'economia in ginocchio per le conseguenze velenose di Tangentopoli e per una terribile fase di instabilità politica, di emergenza istituzionale che ha caratterizzato il paese in questi anni. Un paese che ha compreso dopo alcuni momenti di incertezza la validità e la necessità di partecipare da subito alla moneta unica europea, condividendo l'azione del Governo rigorosa ed efficace, tale da contribuire a ricostruire una credibilità internazionale, obiettivo reso ancor più difficile per il fardello dell'immagine negativa di un passato di sperperi e corruzione che l'Italia porta sulle spalle e che rende i nostri partner europei ancora oggi non pienamente convinti sul futuro ruolo italiano in Europa.
Abbiamo convinto però in questi mesi tanti euroscettici di casa nostra, alcuni dei quali vere e proprie Cassandre (ne abbiamo sentiti alcuni poco fa), se rileggiamo gli interventi di alcuni deputati dell'opposizione in relazione al dibattito sulla finanziaria 1997 ai quali consiglierei pacatamente oggi qualche compressa per il mal di testa.
Convinceremo con i fatti anche i nostri interlocutori europei sulla capacità del nostro paese non solo di entrare ma anche di restare in Europa.
Questa manovra finanziaria, che è stata giustamente definita lo sprint finale per l'Europa, è quindi più importante delle altre proprio perché deve farci raggiungere due finalità fondamentali e irrinunciabili: completare il risanamento finanziario e, nella stabilità finanziaria, riavviare lo sviluppo e garantire la partecipazione del nostro paese alla nuova fase dell'unione economica e monetaria europea.
Il collegato alla finanziaria contiene interventi che presentano un più elevato grado di certezza ed efficacia rispetto ai provvedimenti assunti nel passato e con un loro carattere strutturale in grado di incidere a termine sugli equilibri delle spese e delle entrate pubbliche. È molto difficile non ammettere questo.
Inoltre, la percentuale di interventi i cui effetti saranno limitati ad un anno è circa del 7 per cento, una percentuale definibile fisiologica che conferma l'ormai consolidato risanamento della finanza pubblica. In sostanza, si sta uscendo da una lunga fase di finanza straordinaria iniziata nel 1990 per entrare in un periodo di stabilità finanziaria i cui benefici sono evidenti (basti pensare alla diminuzione del costo del denaro), mentre contemporaneamente si è impegnati in un'azione di cambiamento delle vecchie regole dello Stato sociale, regole non più attuali alla luce delle repentine trasformazioni socio-economiche causate in particolare dalla globalizzazione dell'economia, dal calo demografico, dal cambiamento dei cicli vitali di uomini e donne.
Questi fattori hanno determinato una crisi drammatica per lo Stato sociale, ma anche per la società con la creazione di due categorie: quelli che stanno dentro e godono dei vantaggi dello Stato sociale e quelli che ne sono fuori, esclusi dai benefici e spesso anche dal lavoro.
Abbiamo quindi di fronte a noi un compito storico che è quello di garantire un futuro migliore a questa società, in cui si affermino le ragioni di equità tra le categorie e tra le generazioni, costruendo uno Stato sociale adeguato ai nuovi bisogni ma soprattutto moderno ed in grado di essere un volano di sviluppo.
Questo vuol dire prima di tutto sconvolgere una cultura corporativa, che è dilagata in questi anni e di fronte alla
quale nessuno può dire di essere privo di colpe, e che non può ogni volta riaffiorare e rappresentare vere e proprie mine dilanianti di percorsi ragionati oggettivi (io li definirei europei) che devono ormai caratterizzare le scelte nazionali nei settori dell'economia, della previdenza e della sicurezza sociale.
È veramente poco credibile chi oggi parla di tagli non strutturali della manovra, quando sappiamo che ogni riforma che non ha il presupposto del consenso sociale finisce per causare un effetto boomerang a causa della prevedibile e forte conflittualità sociale che scatenerebbe, con conseguenti alti costi per il paese e per la sua tenuta democratica.
Lo spartiacque per ogni riforma è quindi rappresentato dalla sua sostenibilità, dalla ragionevolezza delle decisioni, dalla capacità di essere innovativi senza introdurre nuove e pericolose contraddizioni che affosserebbero - queste sì! - le speranze delle nuove generazioni di avere una migliore qualità della vita. Nuove generazioni verso le quali abbiamo l'obbligo di essere sinceri e seri e non di inondarle di politichese o frasi demagogiche vuote e fuorvianti, come spesso abbiamo sentito dai banchi dell'opposizione.
Per concludere, credo che questa manovra finanziaria rappresenti un importante passo in avanti per il nostro paese, per la sua credibilità internazionale, per la costruzione di un sistema Italia più competitivo ed avanzato nello scenario globale. I fatti ci daranno ragione. Grazie, Presidente.
Constato l'assenza degli onorevoli Fabris e Boccia, iscritti a parlare: si intende che vi abbiano rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Scalia. Ne ha facoltà.
Queste misure, questi numeri vanno collocati all'interno di un contesto generale nel quale i fondamentali dell'economia, come spesso vengono definiti, mostrano segnali tutti positivi per il paese: da un'inflazione che è ormai stabilmente al di sotto del 2 per cento al conseguimento di quel famoso 3 per cento come rapporto tra il debito pubblico del comparto statale e prodotto interno lordo, che è uno dei parametri di Maastricht, che questa manovra conferma e conserva per gli esami, diciamo così, che vi saranno nel prossimo mese di maggio.
Vale anche la pena ricordare - è un dato di questi giorni - il fabbisogno statale che si attesta intorno a una cifra che è di oltre 58 mila miliardi inferiore a quella corrispondente dell'anno scorso. Nonostante questi dati sicuramente positivi, i falchi hanno ripreso a volare. Hanno ripreso a farlo in primo luogo in Germania, dove la stampa riporta perplessità e giudizi che rimettono in discussione la credibilità italiana come partner dell'euromoneta fin dal primo giro. Analoghe perplessità, pur con toni diplomatici, sono state espresse anche dalla Francia ed hanno trovato un'eco nelle parole dell'onorevole Marzano. Io non definirei mai un falco un collega dall'aspetto garbato come l'onorevole Marzano, ma le sue parole fanno da eco a quei voli. Egli, svolgendo un compito ormai quasi storico, ci ripropone una visione diacronica degli ultimi quarant'anni e ravvisa elementi di continuismo, a suo modo di vedere deteriore e negativo, nell'azione di questo Governo rispetto a quella operata nei
decenni precedenti. In realtà, così facendo, si attenuano fortemente le eventuali colpe del Governo, e l'accusa più convincente, tra le molteplici critiche che il collega Marzano ha mosso è quella di un sostanziale continuismo del Governo, che non sarebbe riuscito a invertire la rotta del nostro sistema economico, caratterizzato da un rapporto, in continua rincorsa, tra crescita della spesa pubblica e crescita del gettito come imposizione fiscale.
Francamente non mi sembra che le cose stiano così. Ancor meno mi convince quella ardita inversione, che mi ricorda, in chimica, l'inversione dello spettro dell'ammoniaca, per cui la destra rivestirebbe il ruolo di forza di cambiamento, di forza innovatrice e propulsiva, che si interessa dei problemi dell'occupazione e del mondo del lavoro, mentre la sinistra sarebbe ormai conservatrice ed opererebbe scelte dagli effetti perniciosi come la disoccupazione nel paese.
È un po' la storiella del pazzo che si credeva un chicco di grano e che, dichiarato guarito dal medico, chiedeva allo psichiatra che lo aveva seguito se anche i polli fossero al corrente della sua guarigione. Non si tratta tanto di proporre all'Assemblea questa inversione di ruoli tra le sinistre e le destre, che sono variegate e numerose in quest'aula, ma di riuscire a convincere il paese di ciò.
Vorrei dire però, a proposito di continuismo, che la prudenza del Governo è molto ben rappresentata dalla figura del Presidente del Consiglio. Non a caso una caricatura che compare abitualmente sui giornali fa indossare al Presidente del Consiglio i panni di un parroco che richiama molto don Abbondio. Possiamo dire che Romano Prodi non è un leone né di Damasco né di altre regioni, ma è persona di estrema cautela. Noi verdi fatichiamo molto nel vedere elementi significativamente riformistici ed innovativi nell'azione di questo Governo. E credo che la fatica non dipenda da una carenza visiva.
Vorrei però soffermarmi ora su quali sono i frutti della manovra economica disegnata dal provvedimento collegato e dalla finanziaria. La critica che il collega Marzano ma anche tanti altri colleghi avanzano cozza contro un muro molto solido, quello dei fatti. Questa manovra, che forse non vale nemmeno la pena definire un fatto storico, rappresenta il passo conclusivo che ci consentirà di superare, con buona pace di tutti i falchi europei e forse anche italiani, quei famosi esami di ammissione all'euro al primo turno.
Questo è il senso fondamentale della manovra, anche se molte critiche possono essere avanzate dalla stessa maggioranza, in particolare dai verdi. Non si può negare però il fatto che la manovra consenta all'Italia di essere ammessa al «primo giro» dell'euro.
Non voglio neppure ricordare i motivi per cui questo dato è importante, in particolar modo per i ceti più deboli. Troppe volte infatti abbiamo ripetuto che assai alto sarebbe il prezzo di un ritardo dell'ammissione dell'Italia alla moneta unica, un prezzo che sarebbe pagato da chi in questo paese sta peggio. E, ritornando sulla questione di chi sia conservatore, veniamo ad un fatto di questi giorni. La scarsa capacità innovatrice della destra si misura anche sull'argomento oggetto del Consiglio dei ministri di questa mattina, vale a dire il varo definitivo del decreto per l'istituzione dell'IRAP e la revisione delle aliquote IRPEF. È vero che in materia fiscale ogni riforma viene guardata con sospetto, spesso giustificato, ma è poco coerente predicare (quasi con l'accordo universale) l'esigenza di un federalismo (alcuni parleranno di fortissimo decentramento, mentre noi restiamo fedeli ad un'ipotesi di federalismo) senza poi ritenere necessario procedere ad una modifica dell'ordinamento relativo al prelievo fiscale, dando spazio alle regioni. In questo senso è stata ideata l'IRAP ed è di conforto pensare che l'analisi di un istituto qualificato come l'ISPE riconosca che il confluire dei contributi sanitari nell'IRAP fornisce una sovracompensazione a quella maggiore percentuale di
IRPEF che i contribuenti dovranno pagare in seguito alla revisione delle aliquote.
Tornando al collegato, desidero solo ribadire il compito dei verdi. È quello di cercare di attribuire maggiori risorse alle politiche ambientali, dalla protezione dei parchi e delle aree naturali, alle riserve marine, alla difesa dei suoli (concetto che con fatica siamo riusciti a far comprendere ai nostri colleghi), alle opere di depurazione, alla questione dei rifiuti? Certo, ma nell'ambito del collegato, l'impegno fondamentale dei verdi è quello di tentare di «contaminare di verde» le grandi scelte dell'economia. Forse non è sbagliato ricordare all'Assemblea che, se oggi il collegato contiene articoli, come l'1 e il 3, i quali prevedono incentivi fiscali per il recupero edilizio e la ristrutturazione urbana, ciò è dovuto all'opera dei verdi che per un decennio hanno denunciato come politica economica vecchia (non mi riferisco solo al collega Marzano) quella che ha sempre individuato nelle grandi opere pubbliche (strade, autostrade, dighe, ponti) il «volano dell'economia». Infatti era questa l'espressione usata nei diversi documenti di politica economica, a partire dal documento di programmazione economico-finanziaria.
Registriamo con sollievo che il «verbo verde» si è diffuso, dal momento che nel collegato le agevolazioni e gli sgravi contributivi sono non più legati alle opere nuove da costruire, alle opere pubbliche del cemento e del mattone, bensì, in una versione più innovativa e moderna, ad una cantieristica di restauro più avanzata e sofisticata rispetto a quella vecchia del cemento armato e della cazzola.
Siamo già riusciti al Senato ad introdurre, per quanto riguarda gli incentivi fiscali alle piccole e medie imprese, una serie di connotazioni di tipo ambientale di grande rilevanza (come il rispetto dell'Ecoaudit e dell'Ecolabel) e di normative di valenza europea che qualificano la capacità di coniugare la presenza sul mercato con quel rispetto dell'ambiente che porta un valore aggiunto di modernità. Lo abbiamo fatto anche attraverso le modifiche introdotte nel corso dell'esame presso la Commissione bilancio della Camera, che fanno decadere dagli incentivi chi non rispetti il decreto legislativo n.626 del 1994 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Questo configura il contributo dei verdi a quella contaminazione di verde di cui la nostra economia ha bisogno se vuole procedere in senso innovativo e sempre più moderno.
Pongo al Governo due problemi, approfittando della presenza del ministro Visco. Il primo è come in generale i nuovi strumenti di programmazione economica fissati dal provvedimento collegato alla finanziaria dello scorso anno (contratti d'area, patti territoriali, accordi di programma) possano avere una particolare attenzione ambientale. Al Senato siamo riusciti ad introdurre il concetto che i progetti presentati all'interno dei patti e degli accordi siano muniti di una valutazione di impatto ambientale. Credo che questa debba diventare non la lardellatura che ostinatamente riusciamo ad inserire nel polpettone della politica economica di Governo, ma al contrario la sensibilità nuova che il Governo deve avere se vuole un'economia che si muova nel senso dell'ecosostenibilità - punto considerato prioritario nella risoluzione con cui si è approvato il documento di programmazione economico-finanziaria - e al tempo stesso in quello della modernizzazione.
Proprio oggi siamo alle ultime battute della conferenza di Kyoto sui mutamenti del clima globale: il secondo punto che sottolineiamo al Governo è la improcrastinabilità della questione della fiscalità ecologica soprattutto per quanto riguarda due aspetti. Il primo è colpire, con la necessaria gradualità e tenendo conto di un contesto internazionale di competizione e di mercato, tutti quei combustibili che sono i maggiori produttori di CO2, a tutt'oggi l'elemento di gran lunga dominante tra i gas di serra. Al tempo stesso potremmo procedere anche su un terreno ormai maturo, visto che altri paesi europei come la Germania si comportano in questo modo, come quello dell'imposizione sulle emissioni sonore laddove si superino i limiti previsti dalle leggi vigenti.
Sono solo due esempi, ma in una visione di delega al Governo per normare questa materia, la questione della fiscalità ecologica orienta l'economia nel senso dell'ecosostenibilità e al tempo stesso induce atteggiamenti virtuosi e un'innovazione tecnologica che è elemento di compatibilità ambientale ma anche chiave di possibili rilevanti incrementi occupazionali.
Passando infine all'esame della legge finanziaria, vorrei sottolineare che non si può considerare un fatto ragionevole che, per il rifinanziamento della legge n.10 del 1991 sull'uso efficiente dell'energia e sulla promozione delle fonti rinnovabili, si vada - certo, per insistenza dei verdi - ad introdurre un nuovo finanziamento, francamente risibile, di 15 miliardi per il 1998, quando proprio attraverso il ricorso ai dispositivi di questa legge potremmo andare ad incentivare tutto quel comparto di tecnologie innovative avanzate che riguarda ad esempio il solare, il solare fotovoltaico e l'eolico, che rappresenta uno degli elementi fondamentali per combattere l'effetto serra.
A proposito di conservazione, abbiamo constatato l'esistenza di un atteggiamento puramente da «contentino» da parte del Governo, che non va bene. Credo che anche la posta che siamo riusciti ad inserire per la legge sul trasporto rapido di massa, che pure ha un grande ruolo da svolgere per la mobilità in tutte le grandi città italiane, debba essere riconsiderata.
Credo che in generale questo Governo, se vuole fare uno sforzo di innovazione e di riforma economica reale, debba puntare con molta più attenzione a tutte quelle strade della ecosostenibilità, che da anni i verdi stanno indicando e che, molto lentamente ma attivamente, stanno permeando anche la politica economica di questo esecutivo e le grandi scelte relative agli indirizzi economici di questo paese (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).
Non so se i colleghi - tanto assenti in quest'aula - siano consci degli effetti concreti che si sono prodotti a livello di istituzioni periferiche - cioè di comuni, enti locali e regioni - sui bilanci familiari e su quelli delle aziende. È uno scenario che è profondamente cambiato e che con questa finanziaria sicuramente andrà peggiorando. Io parlo anche nella mia veste di sindaco di una piccola città di 3 mila abitanti e constato che queste finanziarie scellerate vedono coinvolti tanti comuni -
soprattutto i più piccoli - nel sopportare oneri che a loro non spetterebbero.
Vorrei ricordare che anche in questa finanziaria, ahimè, le amministrazioni periferiche stanno sopportando i veri tagli. Il documento di programmazione economico-finanziaria, invece, in ordine ai 25 mila miliardi della manovra finanziaria prevedeva un taglio di 15 mila miliardi, poi aspramente smentito nelle trattative delle settimane passate. Viene quindi rimandato il taglio, quello che doveva essere un peso insormontabile delle spese sociali, dovendo ad un certo punto andare incontro alle necessità della concertazione sociale.
Le associazioni sindacali hanno trattato questi tagli - che in parte ci sono stati e in parte non sono tali, ma aumenti di entrate, di contributi previdenziali - che hanno riguardato soprattutto i lavoratori autonomi, i quali, fino a qualche giorno fa, fino a qualche ora fa, hanno subito supinamente un atteggiamento penalizzante nei loro confronti. Quest'anno c'è una doppia penalità e non so se il Governo vorrà correggere nel passaggio alla Camera l'innalzamento dell'età pensionabile da 57 a 58 anni e l'aumento contributivo, che a nostro avviso non è sopportabile in questo particolare momento, quando la transizione non è ancora ben delineata.
Non sarei così ottimista, come molti colleghi della maggioranza, che ormai danno per scontato l'ingresso in Europa, che danno per scontato il vantaggio sui minori interessi passivi pagati dallo Stato per il debito pubblico. Vorrei ricordare che quest'anno tale riduzione ha comportato un vantaggio di meno di 7 mila miliardi e ci si aspetta il grosso nel 1998 e nel 1999. Questo margine di riduzione di spese correnti dovuto a interessi passivi che lo Stato deve pagare non viene utilizzato sicuramente per le spese di investimento. Anche in questa finanziaria c'è questa grossa carenza. Non so se i colleghi rappresentanti del Governo girino sul territorio in modo da osservare che quasi tutte le spese pubbliche, gli interventi pubblici sulla viabilità, sulle scuole, sugli ospedali, sono fermi, anzi addirittura rallentati là dove esiste estrema necessità. Cosa risponderanno agli utenti che giustamente non vedranno soddisfatte necessità ormai ben soddisfatte in altri paesi europei?
Ammesso e concesso che il nostro paese superi l'esame, ormai hanno tutti capito che tale esame è di carattere politico, in quanto all'Europa è stato detto che in Italia esiste il serio pericolo di una rottura del paese, derivante dal debito pubblico, che non è sotto controllo, che secondo le previsioni governative dovrebbe deflettere, anche se con una percentuale decimale. Queste indicazioni le sento ripetere ormai da ben quattro anni; questa tendenza a voler ridurre il debito pubblico, che è una tendenza minimale, è poi sempre sconfessata negli anni successivi.
Il Governo, quindi, ha impostato tre grandi riforme, che io non considero tali. Innanzitutto la riforma fiscale, che a mio avviso dovrebbe, nella revisione delle aliquote IRPEF, avere un aggancio a quella che era l'eurotassa. Rimodulare le aliquote IRPEF sicuramente andrà a raccogliere il minor gettito di un'imposta una tantum. Questa è una delle riforme strutturali che sicuramente verrà approvata da questa maggioranza. E questo quando ormai negli Stati Uniti, paese che è stato criticato in passato per la politica di riduzione dell'imposizione, in questi giorni si discute di riduzione dell'aliquota dell'imposta sui redditi dal 30 al 25 per cento. Ciò è avvenuto in un paese in cui si è raggiunto l'obiettivo non dico della piena occupazione ma quasi, grazie ad una politica fiscale che ormai è considerata importante da tutti i centri studi ed anche dal nostro governatore Fazio che ogni anno, in occasione della discussione sui documenti di bilancio, ammonisce i governi italiani affinché intraprendano tali grandi riforme nella direzione della riduzione dell'imposizione, che è l'unico vero strumento di lotta all'evasione ed all'elusione fiscale. A tale scopo, non serviranno certo i 3.500 impiegati laureati in più, (misura che risponde alle necessità di una maggioranza composita che va da rinnovamento italiano a rifondazione comunista,
la quale ha posto l'accento sulla lotta all'evasione quale fonte di un probabile gettito, che definirei virtuale, poiché sicuramente non verrà prodotto grazie a tali assunzioni, almeno nel 1998. Il ministro Visco, infatti, sa benissimo che gli accertamenti fiscali producono gettito, se ne producono, non nell'anno di accertamento ma negli anni successivi. Vedremo quali altre misure il ministro riuscirà a trovare in vista di tali obiettivi.
Assistiamo poi ad una mistificazione più generale quando si vanno a verificare i gettiti reali derivanti dalle misure fiscali contenute anche in questa legge finanziaria. Sicuramente, essi vengono sottostimati così da consentire ai ministri di affermare, negli anni successivi, che il gettito fiscale è andato oltre le previsioni. Però, quante piccole imprese andranno nel sommerso; questo sarà infatti il risultato dell'aumento dell'IVA che si è determinato con il decreto-legge, convertito recentemente in legge, che è parte fondamentale della manovra finanziaria. Inoltre, cosa accadrà a seguito dell'inasprimento delle imposte sulle imprese, anche a seguito dell'introduzione dell'IRAP, che sta generando panico tra tutte le categorie produttive, dagli agricoltori, agli artigiani, ai commercianti?
Per non parlare poi dei palliativi previsti nell'attuale legge finanziaria, come i contributi per la ristrutturazione dei negozi. Il ministro Visco dovrebbe sapere - e mi auguro che lo sappia - che nel settore dell'edilizia le ristrutturazioni rappresentano quella parte in cui l'evasione fiscale ormai raggiunge l'80 o il 90 per cento. Pensate forse che cittadini, che hanno grande difficoltà di bilancio familiare, chiedano la fattura perché possono avvalersi della riduzione del 41 per cento in cinque anni? Chi crede ancora a queste sciocchezze? Purtroppo però il Governo di sciocchezze di questo tipo ne sta facendo tante, pur sapendo benissimo che certe entrate non ci saranno. Tuttavia, per la prima volta, ammette che occorre un sostegno all'economia. Guarda caso, però, il Governo, a fronte di una misura introdotta precedentemente con la legge Tremonti, va a sostenere i consumi e non gli investimenti. Tuttavia, il ministro Visco si avvantaggia di quella misura che oggi produce i suoi effetti con un aumento della capacità produttiva. Conosco bene i settori economici della Padania e nel nord d'Italia più in generale; so che, grazie alla legge Tremonti, molti imprenditori - non so se oggi si siano pentiti - hanno investito cospicue risorse nelle imprese, nei beni strumentali e negli immobili proprio per aumentare la capacità produttiva. Ciò si è verificato in particolare nelle aree economicamente più forti del nord-est. Si tratta di imprese che ormai rivolgono le loro produzioni ai paesi dell'est europeo; paesi ai quali adesso guardano con rammarico per non aver in essi investito a suo tempo.
Allora, ci troviamo in uno scenario in cui il ministro Ciampi va sbandierando le tre riforme: quella fiscale, quella del bilancio (non so quali vantaggi produrrà in termini di gettito o, meglio, di efficienza dell'apparto burocratico) e quella della pubblica amministrazione, in riferimento alla quale, con i provvedimenti in discussione, vengono apportati correttivi. A quest'ultimo proposito, ho anche ascoltato il parere di molti sindaci pidiessini o di area di centrosinistra, che si erano dimostrati entusiasti di alcune deleghe che poi, a distanza di un anno, non si sono ancora verificate.
Voglio ricordare la legge Bassanini n.59, che non ha ancora dispiegato i suoi effetti perché tradurre in atti e norme operative quelle deleghe è abbastanza difficile in un paese che non vuole accettare quella che dovrebbe essere la riforma di fondo, ossia la riforma di un sistema centralista che ormai non regge più; lo sanno tutti, anche i sassi, ma il federalismo promesso da questa maggioranza si è tradotto in norme del tipo della legge Bassanini, oppure di quelle relative ai tagli ai trasferimenti per gli enti locali.
Nella legge n.669, cioè la legge finanziaria dello scorso anno, era stata addirittura introdotta, su richiesta dell'ANCI, una delega per il riordino dei tributi locali e dei trasferimenti che lo Stato eroga agli
enti locali. Ebbene, nell'attuale finanziaria abbiamo visto i tagli, ma la promessa accolta viene posticipata perché è difficile, signori miei, tagliare a Napoli 500 miliardi su 1.200 quando si tengono le elezioni amministrative; è facile vincere a Roma con il Giubileo o a Venezia (non faccio distinzioni territoriali quando i fatti oggettivi sono così evidenti). È facile vincere nelle grandi città quando si ha un sindaco, molto ascoltato a Roma, il quale serve come vetrina per le politiche del centro-sinistra.
Allora, signori miei, si vincono le elezioni e si sostiene che il centro-sinistra ha raccolto i consensi della maggioranza dei cittadini, nonostante la diserzione dal voto. Questo, certo, anche per incapacità dell'opposizione. Possiamo benissimo riconoscere, con forte autocritica, che vi è stata l'incapacità di proporre qualcosa di alternativo.
Tornando ai contenuti della finanziaria, direi che essa aspetta la riduzione degli interessi passivi ed il beneplacito all'ingresso del nostro paese nell'Europa; una riduzione degli interessi passivi che dispiegherà i suoi effetti nel medio e lungo termine, in quanto si è seguita una politica di allungamento del debito pubblico quando le aliquote erano alte. Aspettiamo però questa riduzione degli oneri per fare cosa? Bisognerebbe anche capire questo.
In questi giorni vi è stata la presa di posizione del Polo delle libertà per una riduzione delle aliquote, ma ciò a mio avviso non è sufficiente di fronte alla necessità di porre in essere, invece, grandi e radicali riforme.
Visto che è in atto un percorso costituzionale che potrebbe benissimo accogliere questi indirizzi, mi chiedo se, per sistemare le questioni di finanza pubblica, vogliamo veramente attribuire certe competenze - e, conseguentemente, le relative risorse - alle regioni ed agli enti locali.
Invece attuiamo le misure di contenimento della spesa pubblica, inducendo - non so come in concreto - una riduzione del 3 per cento del personale della scuola e dell'1 per cento di quello della pubblica amministrazione - queste sono le misure proposte - quando si sa che questa macchina amministrativa è fortemente inceppata ed avrebbe bisogno di altro, come si fa in qualsiasi azienda, dove non ci si limita a dire che, a fronte di mille dipendenti, ne sono necessari 500, ma si ridisegnano le organizzazioni, i percorsi, le procedure. Ciò, invece, non avviene neppure in questa finanziaria e, dunque, si spera ancora nello «stellone» italiano, nella grande capacità di sopportazione dei tagli ai bilanci familiari. Quella posta in essere dal Governo di centro-sinistra è una stretta di una scientificità molto sottile, attuata con il sostegno delle organizzazioni sindacali.
Provate ad immaginare se un Governo di centro-destra o di centro avesse fatto un'operazione come questa sulle pensioni del pubblico impiego (che, fra l'altro, non ha ancora equiparato i trattamenti di anzianità e di previdenza del settore privato)! Immaginate cosa sarebbe successo: vi sarebbero state sicuramente manifestazioni, e non di una sola giornata, come è avvenuto nel 1994. Si sarebbe verificato, in parte, quello che si è verificato in Francia.
Qui invece le organizzazioni sindacali sono completamente al servizio della maggioranza. Altro che concertazione! Questa non è concertazione! Si cerca solo di garantire una carriera politica ai vertici sindacali: è quanto è avvenuto negli anni passati. Li abbiamo qui i Bertinotti e i Marini, i primi responsabili del disastro economico e finanziario italiano. Ed ora sono addirittura alla guida di gruppi politici che incidono fortemente nelle scelte che vengono fatte in questo paese.
Vorrei invitare i tanti lavoratori ad aprire gli occhi. Mi ricordo quando Bertinotti sbandierava di aver salvato le categorie dei lavoratori di Brescia. Io sono di Brescia, appunto, e lì sono molti quelli che hanno cominciato a lavorare a 15 anni: quando ne avranno 53 ed avranno raggiunto i 35 anni di contribuzione, cosa faranno? Dovranno smettere di lavorare ed inserirsi nel mercato in nero oppure dovranno aspettare di compiere 40 anni di contribuzione? Questa è l'aritmetica, questa
è la garanzia data da una formazione politica che non ha avuto il coraggio di sostenere tesi legittime, una formazione politica che, ahimè, si ispira ad un sistema sociale ormai in piena crisi in tutto il mondo.
Quel movimento politico sostiene riforme alla legge Dini, ma nel 1995 non l'aveva votata! Ne sono cambiate di cose ed il senso di occupazione del potere investirà anche questa formazione che nei prossimi mesi vedremo al Governo.
Vorrei fare un riferimento ai partiti di centro, che in Commissione hanno cercato di difendere i lavoratori autonomi, i quali risultano fortemente penalizzati da questa finanziaria. Mi auguro che almeno sul contenimento dell'aumento dell'aliquota vi sia spazio per una trattativa. Lo stesso vale per l'età anagrafica: dalle mie parti molti lavoratori autonomi hanno preso decisioni, sicuri che questa misura non sarà definitiva, ma che verrà accentuata negli anni futuri. Infatti è ormai diventato un metodo di questo Governo dichiarare che le misure punitive che si varano sono le ultime, salvo poi prevedere provvedimenti marginali per incentivare lo sviluppo economico.
Vedremo se le formazioni di centro saranno in grado di sostenere in questo delicato passaggio una correzione che inevitabilmente avrà riflessi sui saldi e si dovrà trovare una compensazione - vedremo su quali comparti - per salvaguardare l'entità della manovra. Vengono indicate coperture che sono ormai palliativi per mistificare la reale portata della manovra davanti ai partner europei.
Quanto alla previdenza, oltre a segnalare il peggioramento dell'azione nei confronti dei lavoratori autonomi, vorrei tornare ai lavoratori dipendenti e a quelli pubblici. Sappiamo benissimo che le proiezioni degli anni prossimi, che non sono fortemente negative rispetto alle attuali, comporteranno comunque ulteriori sacrifici.
Vorrei ricordare come mai vengono reintrodotte misure quali la proroga della fiscalizzazione degli oneri sociali al sud per un importo di 2.400 miliardi, oppure il contributo alle nuove assunzioni. Sicuramente mancano le opportunità di investimento. Le multinazionali non investono più neanche una lira nel Mezzogiorno d'Italia; ci sono ancora dei romantici industriali del nord, forse un po' meno romantici perché utilizzando le forti contribuzioni e le esenzioni fiscali per investimenti al sud cercano di calmierare la fortissima imposizione al nord.
Vorrei capire come possa essere aggiustata la misura relativa ad un maggiore gettito contributivo introducendo queste forme che avrebbero dovuto essere abbandonate in base ad accordi stipulati a Bruxelles; ora questi vengono smentiti e le misure vengono prorogate per qualche anno, ma sicuramente verranno mantenute vita natural durante finché non si produrrà veramente una rottura nel paese. Ritengo infatti che le condizioni di rottura siano determinate da queste decisioni, dall'incapacità di adottare misure radicali. Al sud gli imprenditori non hanno la possibilità di fare investimenti in quanto esiste una sicurezza sociale che ormai è al limite di quella dei paesi latino-americani, e addirittura si pongono in essere grandi azioni di riscoperta di imponibile. Qui, anche grazie a denunce da parte del mio gruppo, è emerso che interi quartieri o fette di città non risultano nelle mappe catastali. Sappiamo che il catasto non sta funzionando e questo ritardo, a mio avviso, non è dovuto a ragioni di carattere tecnico, ma è un ritardo voluto per mantenere una forma di evasione generalizzata, che logicamente aiuta a sostenere - si dice - famiglie o ceti sociali che altrimenti non riuscirebbero a sopportare questo maggiore costo fiscale.
Sono molto curioso di vedere cosa faranno al riguardo i tanti sindaci delle grandi città, come Bassolino, che sicuramente conosceva questo fenomeno, se daranno veramente attuazione a questo controllo fiscale che dovrebbe produrre gettito anche per le città, perché gli imponibili degli immobili riguardano anche l'imposta comunale sugli immobili. Staremo a vedere se questi grandi amministratori -
Bianco, Bassolino - riusciranno ad utilizzare tali strumenti. Lo speriamo, perché altrimenti la riforma dei tributi locali, contenuta in una delega di questa finanziaria, verrà rimandata sine die a chissà quale scadenza.
In questo momento ci troviamo a dover approvare una finanziaria - si dice sulla carta - di 25 mila miliardi. Sicuramente la misura introdotta in ordine al contenimento dei conti di cassa, così come è stata drammaticamente e drasticamente attuata quest'anno, si ripeterà e giustificherà abbondantemente la mancanza di misure concrete che giustificano i 25 mila miliardi. Quello che succederà nei prossimi anni è tuttavia ancora difficile da decifrare. Alcuni autorevoli commentatori l'hanno già compreso quando parlano di aumenti dei residui passivi per un importo di 140 mila miliardi.
Vorrei ancora ricordare come l'anno scorso, con l'introduzione della possibilità di detassare gli investimenti in titoli dello Stato, si sia dato inizio ad un notevole flusso di capitali in uscita . Sono circa 150 mila i miliardi posseduti da cittadini veramente stranieri; la restante parte - per un importo che alla fine del 1996 raggiungeva quasi mezzo milione di miliardi - è posseduta da cittadini italiani che, utilizzando i moderni strumenti finanziari, hanno portato i capitali all'estero, magari reinvestendoli poi negli stessi titoli di Stato e non pagando l'imposta sugli interessi del debito pubblico, pari al 12,50 per cento.
Sono convinto che questi fenomeni saranno ancora accentuati. Ma ciò che preoccupa di più è l'ingresso del nostro paese, così com'è, nell'unione monetaria. Se questo processo non dovesse essere accompagnato da misure radicali come la riduzione dei contributi sociali (vorrei ricordare che essi viaggiano intorno al 50 per cento, quando la media europea è del 30 per cento) e la riduzione di almeno dieci punti percentuali della tassazione (e dalle dichiarazioni noto la mancanza di volontà da parte di questa maggioranza di cambiare e di accettare questa impostazione), vedremo che quasi tutte le imprese, anche quelle ben strutturate e che hanno fatto investimenti per aumentare la produttività, emigreranno nei paesi vicini come la Slovenia, la Bulgaria, la Romania, l'Ungheria, la Polonia. È un fenomeno già in fase di forte accentuazione.
Se questo Governo pensa di andare in Europa solo per ricondurre il peso degli oneri finanziari ad una percentuale accettabile e ad una misura tale da dargli un margine di utilizzo di queste risorse per mantenere quel livello di spese correnti che nessuno Stato moderno e democratico riesce a sostenere, allora ci troveremo - grazie a questa maggioranza - in una situazione di separazione del paese che sarà molto più drammatica rispetto ad una separazione consensuale che tutti auspichiamo e che penso sia nell'interesse dei cittadini padani e non solo padani.
Abbiamo raggiunto risultati importanti, al di là - si è detto - delle previsioni delineate nel DPEF. Difatti l'inflazione cala dal 4 all'1,6 per cento ed il nostro paese guadagna in stabilità; il rapporto tra l'indebitamento della pubblica amministrazione ed il PIL passa dal 7 al 3 per cento e si trova in sintonia con i criteri di Maastricht. I tassi di interesse ed il tasso di cambio mutano in positivo; diventiamo dunque credibili sul piano europeo: possiamo entrare nell'euro.
Soprattutto, abbiamo corretto un'abitudine perversa, tutta nostra: quella di governare l'economia con incosciente disinvoltura, finanziando la spesa pubblica con i debiti ed il deficit ed arrivando ad indebitare la vita delle future generazioni. Per troppo tempo in Italia si è speso il 10 per cento in più della ricchezza prodotta. Troppi interessi hanno gravato sul debito, lo hanno appesantito e reso intollerabile.
In questa situazione, aver guadagnato in soli 18 mesi l'Europa ed insieme aver risanato e riequilibrato i conti pubblici mi pare un'opera non piccola. Le manovre del 1997 sono state durissime, ma il Governo ha saputo tuttavia salvaguardare le fasce sociali più deboli, proteggendole. E questo spiega come sia potuto accadere che leggi finanziarie di tale peso siano passate in realtà senza grandi conflitti sociali; anzi, se un movimento di protesta forte nell'opinione pubblica c'è stato, esso si è verificato quando ha aiutato a risolvere positivamente la crisi e la grande tensione politica esplosa nella coalizione di Governo nel mese di ottobre. Dunque, noi attraversiamo un momento favorevole in cui abbiamo ritrovato stabilità e possiamo iniziare a pensare allo sviluppo. L'attività economica dà anzi i primi netti segni di risveglio e le previsioni per l'anno prossimo sono di un aumento del PIL del 2 per cento.
C'è già un primo quadro di riforme - quella del fisco, quella del bilancio, quella della pubblica amministrazione - che possono rendere il nostro sistema più efficiente, più rapido e possono ridurne gli sprechi.
Rimangono a mio parere due grandi problemi: la necessità di rimanere in Europa completando la riforma dello Stato sociale e la necessità impellente di affrontare il problema dell'occupazione e del Mezzogiorno. Proprio da quest'anno io credo che, una volta liberati dall'assillo delle politiche di rientro, potremo concentrarci di più e meglio su una valutazione selettiva delle politiche pubbliche. Questo perché il bilancio non è da intendere come un elenco di aride cifre i cui segni positivi o negativi inducono al pessimismo o all'ottimismo; il bilancio è l'anima di un paese. Una collettività destina i suoi beni, sposta le sue risorse da un capitolo ad un altro in base ad un criterio di priorità; il bilancio è dunque lo specchio dentro il quale si riflettono i valori che consideriamo fondamentali e centrali.
D'ora in avanti l'obiettivo di una sana politica economica e finanziaria dovrà tener conto di almeno due problemi che riguardano strettamente, entrambi, il futuro di questo paese, la qualità del futuro di questo paese. Un paese non è florido se vi è un calo delle nascite se maternità e partenità si vivono poco e male; un paese non ha futuro se non dà speranza ai giovani disoccupati.
Le previsioni più ottimistiche danno per l'anno 2001 un tasso di disoccupazione che cala al 10,5 per cento dal 12 attuale. A me pare troppo elevato, tanto più se pensiamo che l'altra faccia di questa medaglia si chiama lavoro nero, caporalato, sfruttamento minorile.
La prima parte del collegato alla finanziaria che stiamo approvando rafforza iniziative di incentivazione dello sviluppo che sono a mio avviso molto importanti; ad esempio, incentiva il settore dell'edilizia mediante detrazioni fiscali fino al 41 per cento, prevede meno imposte sui mutui per l'abitazione principale, fa crediti d'imposta alle imprese piccole e medie operanti nelle aree dei patti territoriali e nelle zone urbane svantaggiate, potenzia la ricerca, prevede incentivi per le aree interessate dai contratti d'area, prevede crediti d'imposta per le imprese commerciali per l'acquisto di beni strumentali e - ancora - crediti d'imposta per l'acquisto dei mezzi per le persone handicappate.
È vero che l'utilizzo dei fondi comunitari è passato in diciotto mesi dall'8 al 30 per cento, ma è altrettanto vero che il 70 per cento rimane inutilizzato e che è lunga la strada che dobbiamo ancora percorrere, perché questo spreco in Italia non possiamo permettercelo.
Si è creato un nuovo rapporto con gli enti locali che ha favorito il decentramento e la responsabilizzazione, ma gli strumenti della programmazione negoziata non sono ancora partiti, neanche quelli che sono stati approvati.
Sono stati erogati i fondi della legge n.488 e il commissario europeo Van Miert ha accettato il ripristino della fiscalizzazione degli oneri sociali nel Mezzogiorno, ma sui patti territoriali, contratti d'area, contratti di programma vi
sono troppi passaggi burocratici, troppe lentezze, troppi pesi che noi non possiamo permetterci di portare sulle spalle.
Dobbiamo liberare risorse a favore dell'attività produttiva, dobbiamo, senza sottovalutare le cose importanti contenute nel collegato e nella finanziaria che stiamo per approvare, arrivare quanto prima ad una politica meridionalista, ad interventi per il Mezzogiorno che lo aiutino a fare da sé, fuori dal vecchio schema clientelare, ma anche fuori dalle logiche di zone contrapposte alle altre. Bisogna pensare ad interventi diffusi sull'intero territorio meridionale, ad un'azione vigorosa pari a quella sostenuta per il risanamento del bilancio e delle finanze dello Stato. Occorrono incentivi, occorrono sperimentazioni, che assomiglino, ad esempio, alla rottamazione, che creino lavoro, diano la sensazione di un'imparzialità, offrano forme di aiuto eguali per tutti e lontane dai vecchi schemi assistenziali.
Infine, a me pare che un nuovo quadro di politiche economiche debba guardare con maggiore attenzione alla persona umana e alla sua dignità. La riforma dello Stato sociale richiede una presa d'atto dei grandi mutamenti che sono intervenuti negli ultimi decenni nella società italiana. Le analisi demografiche continuano a parlare di invecchiamento della popolazione, formula di rito che non spiega che prima di questo fenomeno c'è stato un mutamento profondo nel mercato del lavoro. La massiccia entrata delle donne, la domanda di lavoro delle donne hanno mutato il nostro modo di vivere e hanno posto sul tavolo della politica il problema di una conciliazione possibile tra i due ambiti della vita e della soggettività femminile, quello della produzione e quello della riproduzione. Le donne lavorano o domandano di lavorare. Le liste di collocamento sono composte per più del 60 per cento da giovani donne. Le donne studiano, affollano le università e ottengono ottimi risultati. Le donne hanno cambiato il segno e la composizione per sesso di alcune alte professioni. Quali risorse destiniamo perché sia organizzato diversamente il rapporto tra tempi di vita e tempi di lavoro, perché sia favorita un'idea, un'organizzazione capace di conciliare l'ambito della maternità e della paternità e quello della produzione e del lavoro?
Anche qui, l'articolo 48 del collegato alla finanziaria prevede una serie di interventi in materia di assistenza, previdenza, solidarietà sociale, sanità che non vanno assolutamente sottovalutati. Voglio sottolineare che per la prima volta si istituisce il fondo per le politiche sociali e voglio sottolineare l'azione del Ministero per la solidarietà sociale nella direzione di andare incontro alle situazioni di disagio o di favorire una diversa organizzazione sociale. Voglio sottolineare che per la prima volta si prevede il reddito minimo di inserimento nell'ambito del fondo per le politiche sociali. Ma l'attenzione data all'infanzia, l'attenzione data ai bambini fin dalla nascita, l'accoglienza di chi viene al mondo, la cultura dell'accoglienza lasciano, a mio parere, molto a desiderare. Una società moderna, una famiglia in cui c'è spazio solo per padre e madre che lavorano e per figli che vanno a scuola, una famiglia che espelle da sé i bambini, gli anziani e i non autosufficienti, una società che espelle da sé questi soggetti non è civile.
Per la prima volta stiamo ponendo nella finanziaria un quadro di risorse e di nuova attenzione alla famiglia e all'infanzia, alle giovani coppie, e lo stiamo facendo proprio nel momento in cui l'opinione pubblica nazionale è stata scossa nel profondo dal caso di Silvestro Delle Cave, mentre una nuova barbarie sembra precipitare in forme violente sulla testa di troppi bambini. Ma quante poche risorse, quanta fatica! Sembra che tutto questo sia un problema di donne, invece è il problema che ha dinanzi a sé l'Italia, è il problema del futuro di questo paese.
mirata ed efficace è quella rivolta a dare risposte adeguate e concrete ai problemi del paese. Da anni il PIL non raggiunge l'indice auspicato, da tempo ormai il debito pubblico è fuori controllo e in netta ascesa, da tempo l'imposizione fiscale sale, mentre la disoccupazione in alcune zone del paese ha raggiunto percentuali da capogiro. Il tutto mentre il nostro paese registra insormontabili ritardi. Errori del passato? Certamente. Indici di sviluppo sbagliati? Sicuramente. Ma non c'è alcun dubbio che gli indirizzi di politica economica e sociale dei Governi di centro-sinistra si sono rivelati fallimentari per l'Italia e - perché no - per l'Europa e per tutti i paesi del mondo in cui la sinistra ha governato.
Non è male ricordare, in questa fase di discussione della manovra di bilancio per il 1998, i devastanti effetti procurati all'economia nazionale dai Governi di centro-sinistra. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: debito pubblico che ha raggiunto i 2 milioni 265 mila 798 miliardi di lire con un aumento, tra il mese di agosto e il mese di settembre di quest'anno, pari a 18 mila 820 miliardi; disoccupazione al 14 per cento; divario tra nord e sud preoccupante; servizi pubblici da terzo mondo; politica industriale fallimentare; previdenza sociale asservita ai voleri del regime e portata a falsificare i propri bilanci giacché paga con i soldi della previdenza l'assistenza imposta dai governi; investimenti pubblici bloccati da anni; sanità incapace di assolvere i doveri di prevenzione e di cura; edilizia pubblica fatiscente; un sistema fiscale che erode oltre il 50 per cento del prodotto interno lordo; ordine pubblico inesistente e chi più ne ha, più ne metta!
In compenso però le scelte, i metodi, gli indirizzi voluti ed adottati dai Governi di centro-sinistra sono risultati utili alle grandi lobby, all'alta finanza e al mondo della speculazione.
Signor Presidente, non c'è alcun dubbio che negli ultimi dieci anni le manovre di bilancio portate a termine dai Governi di centro-sinistra hanno contribuito soltanto ad alimentare la spesa pubblica, ad appesantire il già gravoso sistema fiscale, a contribuire ad allargare il divario tra le regioni ricche e le regioni povere, così come non vi è dubbio alcuno che le scelte operate dai Governi di centro-sinistra, ieri come oggi, si sono rivelate a tutto danno degli italiani onesti che lavorano, che producono e che pagano le tasse.
Non ci meravigliamo di quello che è accaduto nel decorso decennio, così come non ci stupiremo più di tanto se anche la manovra di bilancio del Governo Prodi pervenisse agli stessi risultati. La filosofia ispiratrice è la stessa e le indicazioni non divergono sicché i risultati non possono che essere un ulteriore aumento del debito pubblico, nuove tasse, inasprimenti fiscali contro i ceti produttivi, disoccupazione crescente e divario sempre più elevato tra nord e sud.
Non mutano gli indirizzi e quindi non cambia la logica della manovra; mancano scelte strutturali forti ed adeguate alla realtà: le scelte forti di cui l'Italia, soprattutto in questo momento, avrebbe avuto bisogno per entrare nel sistema della moneta unica, per soddisfare i parametri dell'accordo di Maastricht.
Tutto ciò richiede un'economia nazionale in espansione, che purtroppo invece non registriamo né ci pare sia voluta da questo Governo. L'esecutivo di centro-sinistra - lo sappiamo bene - mena vanto per taluni risultati raggiunti, ma noi riteniamo che gli stessi siano fittizi perché non si perviene al risanamento economico con operazioni contabili. Senza reali tagli strutturali non si risana un bel niente! Tant'è che molti economisti già parlano della inevitabile necessità di una manovra aggiuntiva di 20 mila miliardi.
È la politica di sempre, la politica degli assestamenti delle manovre correttive, la politica delle scelte diverse che però non hanno risolto nessuno dei problemi di cui soffre l'Italia.
Non ha altra ratio la manovra al nostro esame se non quella di rastrellare denaro. La stangata prevista dalla finanziaria graverà infatti su ogni famiglia almeno per 550 mila lire, mentre permarrà il blocco delle assunzioni nel pubblico
impiego, non si crea sviluppo, non si registrano investimenti pubblici per utili infrastrutture, non si incentivano strutturalmente le imprese, e mentre si impone un fisco «superiore» a tutti i paesi della Comunità economica.
Quali che siano le ragioni che inducono Prodi e compagni a menare vanto per i risultati raggiunti, un dato è certo: il debito pubblico aumenta, la povertà supera tutti gli indici precedenti, la disoccupazione cresce, gli occupati diminuiscono, molte piccole e medie imprese chiudono i battenti. Ed allora ha ragione chi parla di economia drogata. Ha ragione da vendere l'economista di sinistra Spaventa quando giudica che le scelte operate dal Governo Prodi bloccano gli investimenti pubblici e non consentono una politica di sviluppo mirata all'occupazione.
Il CER (Centro Europa Ricerche), l'istituto del professor Spaventa, ha stimato... Presidente, mi avvio a concludere. Ciò che soprattutto voglio dire è che questo Governo non dà risposte adeguate ai problemi del Mezzogiorno e dell'occupazione. L'osservatore della Confindustria afferma che in Europa sono stati investiti 350 mila miliardi, ma di questa ingente somma solo una piccolissima parte in Italia e una infinitesimale nel Mezzogiorno. Non poteva che essere così. A tutto ciò si devono aggiungere arretratezza, criminalità, costo eccessivo del denaro e soprattutto mancanza di infrastrutture per il Mezzogiorno e mancanza di risposte complete ai giovani.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, il Mezzogiorno ha bisogno di un piano strategico a breve, medio e lungo termine, un piano mirato ad eliminare gli elementi di arretratezza; al riguardo è sufficiente pensare ai gap infrastrutturali tra nord e sud.
La manovra di bilancio presentata d questo Governo non prevede alcunché, anche se non è difficile prevedere che i tagli stabiliti per le ferrovie finiranno per bloccare il completamento della costruzione del doppio binario delle tratte ferroviarie Bari-Lecce e Bari-Taranto, con grave danno per l'economia dell'intera regione Puglia, che in termini di prelievo di PIL non è certamente all'ultimo posto della graduatoria.
Voglio sperare che il dibattito chiarisca questi dubbi, cosa che non credo, anche se lo spero per questo paese, per i giovani disoccupati, per il mio Mezzogiorno (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Questa manovra nel suo complesso rappresenta un consolidamento di quella vasta ed ampia opera di risanamento della finanza pubblica e contiene anche elementi significativi per riqualificare in un certo modo lo Stato sociale ed incentivare nel contempo lo sviluppo economico e l'occupazione.
Per quanto mi riguarda e per quanto è di mia più stretta pertinenza, considerato che
altri membri del mio gruppo interverranno su appositi capitoli in modo specifico, mi atterrò ad una valutazione del capitolo scuola, università e ricerca. Rispetto a questo capitolo, contenuto nel provvedimento collegato, una serie di riserve è già stata esposta da parte mia e dell'onorevole Mazzocchin nella Commissione cultura della Camera. Intendo ribadirle in questa sede anche perché, al momento dell'espressione del parere, non ho potuto votare a favore dello stesso. Ho dichiarato in quella occasione che, per parte mia, nello specifico, vale a dire per quanto riguarda la scuola, dal momento che non intendo soffermarmi sull'interno complesso della manovra sulla quale siamo favorevoli, ma nello specifico della scuola e dell'università il nostro voto sarà favorevole a condizione che almeno qualcuno degli emendamenti che abbiamo presentato venga recepito, perché reputiamo che essi siano emendamenti di qualità e quindi migliorativi del testo.
Debbo dire ancora una volta e con un certo rincrescimento che registriamo qualche segnale di novità nel capitolo che riguarda la scuola, ma accanto ai segnali di novità registriamo un atteggiamento di tipo ragionieristico, che non fa altro che penalizzare ancora una volta la scuola.
La riduzione della spesa è pari a 13.886 miliardi, dei quali circa 2.671 miliardi verranno dal comparto scuola, un comparto che paga forse più di ogni altro il prezzo dello Stato sociale. È quanto è avvenuto nelle scorse finanziarie ed è quanto avviene ormai da troppo tempo. Pertanto, rispetto alla somma di circa 17 mila miliardi risparmiati sul comparto della scuola dal 1992 ad oggi, neanche una lira è stata reinvestita nella scuola in progetti di qualità.
Auspichiamo che il Governo, come ha fatto in questa manovra, riesca a riversare sul comparto scolastico almeno parte dei risparmi che vengono effettuati sulla scuola, con grande sacrificio soprattutto della qualità dell'insegnamento oltre che degli insegnanti, delle classi e delle scuole che vengono chiuse. Si tratta di un sacrificio rispetto alla qualità, perché non mi si venga a dire che, nel momento in cui vengono soppresse classi, cattedre e via dicendo, non sono poi gli alunni quelli che ci rimettono. Questi infatti continuano a vedere la sarabanda degli insegnanti sugli organici. Non si attua poi quel criterio di flessibilità previsto dalla legge n.59, predisposta dal ministro Bassanini, perché non si può realizzare una flessibilità quando manca il personale.
Per entrare nel merito del provvedimento, mi preme osservare che ancora una volta, secondo un vecchio stile tipico di tutti i Governi (a chi tocca tocca), si approva una legge finanziaria nella quale a favore della scuola vengono assunte decisioni per la cui attuazione si rimanda a successivi decreti ministeriali o interministeriali.
Qui si afferma che è previsto un taglio del 3 per cento sull'organico di tutto il personale scolastico, ma contemporaneamente si afferma che si tenterà di salvaguardare il principio contenuto nella legge finanziaria n.662, relativo alla progressiva riduzione del numero degli alunni per classe. Il ministro Berlinguer potrà essere anche un abilissimo funambolo, ma non posso credere ad una ipotesi assolutamente improbabile; la matematica non è un'opinione per cui, se si tagliano le classi, sarà molto difficile che si possa garantire un contenimento degli alunni per classe o una progressiva riduzione. Per di più, tutto questo è affidato all'emanazione di una serie di decreti interministeriali, di cui oggi ancora non conosciamo né il contenuto né la logica politica né la filosofia di intento, mirata comunque alla riduzione del debito pubblico e quindi a far sì che anche la scuola paghi un proprio conto allo Stato sociale. Con questi decreti verranno determinati gli organici del personale, la formazione e il numero delle classi e delle cattedre nonché le supplenze brevi, sempre nell'ambito dell'obiettivo tendenziale della riduzione del numero degli alunni per classe. Devo dire che ci vuole davvero un bel coraggio nel fare una simile affermazione, dal momento che quanto previsto al
primo comma dell'articolo del collegato relativo alla scuola è mirato ad un'operazione brutale di taglio.
Contemporaneamente si attua un'operazione ancor più brutale nei confronti di chi è più debole. Mi riferisco ai commi 1 e 3, sempre dell'articolo del collegato riferito alla scuola, che si possono definire delle vere e proprie «perle» circa la sensibilità che vorremmo dimostrare nei confronti dello Stato sociale, in particolare verso i disabili. Infatti nel comma 1 è assicurata, ai sensi della legge n.104 (ci mancherebbe altro che in una legge finanziaria non si tenesse conto della legge n.104, forse una tra le migliori d'Europa in tema di integrazione scolastica!), compreso il ricorso all'ampia flessibilità organizzativa e funzionale delle classi, prevista dall'articolo 21, commi 8 e 9, della legge n.59 (legge Bassanini). I citati commi 8 e 9, però, non aggiungono alcunché a quanto oggi si sta facendo, nel senso che prevedono quanto di fatto già avviene e che cioè il capo d'istituto ed il collegio dei docenti si rimboccano le maniche per adire a quella flessibilità che consente di «mettere delle toppe» alle mancanze dell'amministrazione proprio in relazione alla legge n.104 (quindi all'handicap grave e gravissimo), per cui non vengono quasi mai date le ore di sostegno necessarie.
Sappiamo tutti che il rapporto di uno a quattro nei confronti degli alunni portatori di handicap è tendenziale, quindi riveste carattere generale; sappiamo anche però che la legge prevede per casi gravi e gravissimi deroghe che non vengono date. Ora che la responsabilità, in base alla legge finanziaria dello scorso anno, è stata affidata all'amministrazione periferica, quindi in toto ai provveditori agli studi, questi ultimi si guardano bene dall'attivare le deroghe, anche perché la Corte dei conti, se le cose non funzionano secondo le regole e se la certificazione non è conforme, imputa la spesa (nel caso in cui fosse superiore al budget fissato) ai provveditori medesimi.
Lascio a tutti immaginare poi le difficoltà che si incontrano per definire un handicap «grave» o «gravissimo».
Già abbiamo difficoltà, per gli invalidi civili, a mettere in piedi commissioni efficaci sul piano professionale. Ho denunciato in quest'aula l'episodio di un medico di una certa commissione di una certa USL che, di fronte ad una ragazza di vent'anni con sindrome down, ha chiesto alla mamma quando fosse insorta la malattia. Lascio quindi capire a tutti cosa possa significare mettere insieme commissioni raffazzonate in questo modo che non garantiscono la certificazione né la qualità. Vi sono poi disparità perché alcune USL certificano anche in presenza di casi di semplice disagio sociale, altre invece si rifiutano di diagnosticare situazioni di grandissimo handicap visibili anche all'uomo della strada.
La posizione nei confronti del mondo dell'handicap, quindi, si complica perché mentre si dice che si può ricorrere alla legge n.59 - che di fatto nulla aggiunge a quanto si sta facendo e dà solo direttive generiche per una presunta flessibilità che ogni buon capo d'istituto o collegio dei docenti riesce a mettere in piedi perché, come sempre, la scuola di fronte a queste difficoltà ha fatto da sé, facendo probabilmente meglio delle leggi che sforniamo - contemporaneamente si stabilisce che di fronte all'handicap gravissimo i capi d'istituto possono operare assunzioni a contratto a tempo indeterminato per docenti di sostegno in deroga al rapporto 1 a 4 indicato dalla legge.
Vorrei capire questo cosa significhi nel momento in cui c'è un taglio del 3 per cento del personale della scuola, che incide quindi anche sugli insegnanti di sostegno, nel momento in cui si dice che i posti di sostegno verranno consolidati in organico in misura pari all'80 per cento e si dice che verrà rivisto il criterio di assegnazione dei docenti di sostegno alle classi con un rapporto da 1 a 150 alunni normali frequentanti la provincia. Si è fatta una brillantissima operazione di facciata: diamo la possibilità di fare assunzioni con contratto a termine e nello
stesso tempo il salasso più forte riguarderà proprio i docenti di sostegno. Infatti con l'abrogazione degli articoli 72, 315, 319 comma 3, articoli 1, 2, 3, 4 e 43 del testo unico delle disposizioni riguardanti la scuola si andrà a rideterminare complessivamente la materia degli organici, dell'assegnazione del personale alle classi ivi compresi i docenti di sostegno. Questi ora sono in rapporto di 1 a 4 per la scuola secondaria e hanno finora consentito quindi uno spazio certo a cui far riferimento.
Ora questo non c'è più, perché con i decreti di cui al comma 1 di questo articolo si deciderà come dovranno essere determinati gli organici di sostegno che passeranno all'80 per cento dei posti in organico per il personale in servizio, ma che verranno tagliati del 3 per cento, non avranno l'assegnazione per classi con 20 alunni e che vedranno modificato il rapporto attualmente esistente di 1 su 100 alunni della provincia a 1 su 150. Noi abbiamo presentato un emendamento che ripristina il rapporto di 1 a 100 nei confronti del quale non si può scherzare. Anche l'osservatorio nazionale per l'handicap costituito dal Ministero della pubblica istruzione, e rinnovato da questo ministro, ha esercitato una pressione forte per ripristinare il vecchio rapporto perché in questo modo non si può fare integrazione. Mentre ci occupiamo di Stato sociale, consideriamo un attacco gravissimo nei confronti dei più deboli operare questa riduzione d'organico in nome di una presunta flessibilità che non si sa come né quando poter attuare, considerato anche che l'autonomia non decolla per tutti nello stesso momento, che soltanto 150 scuole la stanno sperimentando quest'anno e che il detto del ministro secondo cui ciò che non è vietato si può fare, vale solo per chi ha le risorse, i mezzi, gli strumenti. Siamo chiari fino in fondo.
Presidente, di quanti minuti ancora dispongo?
Detto questo, ritengo che non si possa continuare, con questo tipo di filosofia, ad includere in una finanziaria obiettivi di carattere generale il cui raggiungimento poi viene rinviato a decreti, dei quali le Camere non conoscono né la filosofia né l'impianto. Pertanto, noi abbiamo anche chiesto che quei successivi decreti passino al vaglio delle competenti Commissioni parlamentari.
In conclusione, sottolineo che si fa un taglio agli organici del personale ATAC di 3.900 unità e di 4.500 unità per quanto riguarda quello ausiliare. Non è assolutamente un'operazione accettabile, anche perché se noi deliberiamo l'affidamento in appalto di servizi di pulizia dei locali scolastici purché si riduca il personale, non vedo come questo possa avvenire nelle scuole che hanno il personale direttamente dalla provincia e che si trovano in situazioni gravissime di sotto organico (si registra infatti un rapporto percentuale di un bidello per 600 alunni); non vedo come si possa fare a meno dell'unico bidello e attivare una convenzione esterna. Mi chiedo, a quel punto, chi farà la vigilanza sui minori, che è fondamentale tra le attività del personale ausiliario! Nell'assenza di bidelli e con una compagnia esterna che non può assumere questa responsabilità, i ragazzi verranno pressoché abbandonati a se stessi, quando non sono sotto il controllo degli insegnanti, nei tempi morti o nei tempi - per così dire - «vivi» del decreto.
Nella manovra in esame vi è un dato di fondo positivo: quel risparmio, che per circa il 60 per cento è a regime, potrà essere reimpiegato per incentivare il personale e soprattutto la qualità dello stesso.
Un altro elemento importante è quello delle verifiche, che fino ad oggi non sono
mai state effettuate. È quindi opportuno che si facciano!
Pur rilevando che abbiamo ritrovato un minimo di cambiamento nella filosofia e nell'impianto generale seguiti per «aggredire» i problemi della scuola, il nostro voto sui provvedimenti finanziari sarà favorevole nella misura in cui verranno accolte almeno due delle nostre proposte di modifica che vanno nella direzione di un recupero vero di uno Stato sociale ai limiti della soglia minima. Quindi, noi voteremo a favore soltanto se verranno accolte queste nostre proposte; altrimenti, non potremo farlo (Applausi dei deputati del gruppo di rinnovamento italiano).
Le disposizioni che incidono sulle entrate sono numerosissime. Purtroppo, in molti casi non vi è stata comunicazione da parte del ministro delle finanze o da parte del Governo circa l'entità del maggiore gettito conseguente a tali disposizioni. Sarei molto lieto se ci venisse fornita questa comunicazione, per esprimere una valutazione sull'entità stessa delle misure. Sono sicuro, peraltro, che le simulazioni che si fanno in sede di Ministero delle finanze potrebbero essere indicative al riguardo. Purtroppo, non abbiamo avuto queste indicazioni. Il servizio bilancio ci ha fornito taluni elementi ma per noi, che siamo una forza di opposizione che sottolinea il carattere oppressivo di queste manovre fiscali, sarebbe molto importante venire a conoscenza anche dei termini quantitativi della manovra.
Mi sia consentito comunque elencare alcune delle principali disposizioni sulle entrate, con alcune brevi note di commento. Intendo procedere in questo modo, anche per far emergere in tutta la sua pervasività ed ampiezza il disegno complessivo.
La disposizione più rilevante - che da sola si prevede porterà nelle casse dello Stato nel 1998 oltre 5.800 miliardi - è costituita dal provvedimento sull'IVA, che è stato recentemente approvato. Quest'ultimo - come sappiamo - era articolato nell'innalzamento delle aliquote ordinarie dell'IVA al 20 per cento, nell'eliminazione dell'aliquota del 16 per cento e nella riattribuzione delle tre aliquote rimaste alle varie tipologie di prodotti e servizi esistenti sul mercato.
Abbiamo già avuto modo di segnalare in quest'aula qualche giorno fa la nostra totale contrarietà al provvedimento in questione, in particolare per i suoi effetti inflattivi. L'aumento dei prezzi al consumo è stimato dal governatore Fazio pari allo 0,7 per cento già nel 1998 e questo aumento, che riguarda solo i prezzi in Italia e non negli altri paesi europei, avrà un effetto determinante anche sui tassi a breve e sul tasso unico di sconto, quindi influirà parecchio sullo sviluppo dell'economia nel 1998.
Inoltre, vi è un effetto depressivo dei consumi delle famiglie. Questo effetto è stato sottolineato in particolare per i settori dell'abbigliamento, calzaturiero e vinicolo. C'è una divaricazione del regime IVA italiano da quello dei regimi IVA di vari importantissimi paesi europei, come la Germania, che ha il livello dell'aliquota massima, quella ordinaria, al 15 per
cento, la Gran Bretagna che ha l'aliquota al 17,5 per cento e la Spagna al 16 per cento.
Altri duemila miliardi di maggiori entrate verranno determinati dal Governo con il decreto-legge preannunciato per fine anno. Si ripete la storia dell'anno scorso, alla faccia delle prescrizioni di legge secondo le quali la legge finanziaria dovrebbe essere presentata alle Camere da parte del Governo entro il 30 settembre, definita in ogni sua parte!
Una cospicua attenzione è dedicata al potenziamento dell'azione della Guardia di finanza. In deroga al generale principio di austerità adottato per la riduzione del personale dipendente dall'amministrazione dello Stato (meno 1 per cento), nel 1998 l'organico della Guardia di finanza verrà aumentato di ben 2.400 unità. È singolare questo aumento nell'epoca dei computer! A queste nuove assunzioni vanno aggiunte, per completare il quadro, le nuove assunzioni previste per l'attività di vigilanza e controllo per gli ispettorati del lavoro (più 300 persone) e per l'INPS (più 300 persone).
Presentata poi come una semplificazione a vantaggio per tutti, l'eliminazione della tassa sulle concessioni governative per le patenti di abilitazione alla guida, nonché l'eliminazione di varie altre imposte, tra cui il canone di abbonamento all'autoradio e televisione, si tradurrà in effetti in una maggiore imposizione fiscale complessiva di non meno di 100 miliardi. A pagare tutto saranno i soli possessori di automobili, che verranno ad essere così gravati di un'apposita maggiorazione della cosiddetta tassa di proprietà dell'automobile (ex tassa di circolazione). È in sostanza il ceto medio produttivo ad essere particolarmente colpito. Questa tassa, oltre al resto, verrà resa dipendente unicamente dalla potenza del motore, assumendo una marcata connotazione di tassa progressiva sul consumo. A questo si aggiunga, sempre per le automobili, che vi è un provvedimento che prescrive 450 miliardi di maggiori entrate, sempre fiscali, innalzando da 6,5 ad 8,5 per cento l'aliquota fiscale a favore del servizio sanitario nazionale circa le polizze assicurative RC auto. Anche questa imposizione graverà in particolare sui ceti medi.
Nella finanziaria per il 1998 c'è poi un'innovazione fiscale assoluta in Italia: la tassa sulle emissioni in atmosfera di agenti inquinanti, cioè anidride solforosa e ossidi di azoto. Le caratteristiche di tale prelievo fiscale - non mi dilungo su di esse - non tenderanno verosimilmente a produrre comportamenti più virtuosi da parte di alcuno. Non ci sono alternative da preferire, si tratta quindi di un puro e semplice prelievo impositivo, che alla fine verrà pagato dai consumatori.
Sono inoltre previsti molti altri provvedimenti di incremento del gettito. Tra questi ricordo brevemente l'istituzione di un'addizionale comunale all'IRPEF; il raddoppio della tariffa dell'imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni; la riduzione delle esenzioni ai fini IVA relativa ad alcune prestazioni socio-sanitarie non erogate direttamente da enti pubblici; la riconduzione a tassazione ai fini IVA delle cessioni di beni in occasione di concorsi e di operazioni a premi; l'introduzione di un'imposta sostitutiva su taluni redditi di capitale; la modifica, nel senso dell'aumento del gettito ovviamente, del regime tributario delle plusvalenze e dell'ammortamento dei beni immateriali e la modificazione delle norme che riguardano la deducibilità dei costi relativi ai mezzi di trasporto. Di particolare importanza è poi la delega conferita al Governo dall'articolo 15 per la revisione della disciplina concernente l'imposta sugli spettacoli.
A partire dal 1998 sono previsti maggiori prelievi previdenziali per le varie categorie di lavoratori autonomi: più 2 per cento (dal 10 al 12 per cento) per i professionisti senza altra assicurazione previdenziale obbligatoria, più 0,8 per cento per i commercianti ed artigiani. Si tratta di un evidente prelievo parafiscale.
Il disegno di legge finanziaria per il 1998 prevede, come già la precedente legge finanziaria, varie norme fiscali che renderanno più complicata la vita del lavoratore autonomo. In particolare, le
persone fisiche che esercitano arti e professioni nonché gli amministratori di condominio saranno tenuti ad effettuare la ritenuta d'acconto anche nei confronti di compensi corrisposti per prestazioni di lavoro autonomo ed anche nei confronti di compensi corrisposto a se stessi. A carico degli amministratori di condominio sono poi previsti, al fine di far emergere eventuali lavori in nero, adempimenti di carattere informativo sulla propria attività.
Faccio un ultimo cenno al comma 14 dell'articolo 48 che reca un divieto parziale per il cumulo tra pensione e reddito da lavoro autonomo. Tale disposizione colpisce in particolare i lavoratori autonomi.
Dallo scarno e limitato elenco che ho fatto, risulta che la manovra sull'entrata, operata da questa finanziaria, è veramente imponente, superiore ai 10.500 miliardi indicati dal Governo. Vedremo, a consuntivo, se il prelievo fiscale a favore delle pubbliche amministrazioni sarà, per il 1998, inferiore di mezzo punto percentuale del PIL rispetto al 1997, come appunto il Governo ha garantito (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
È iscritto a parlare l'onorevole Sergio Fumagalli. Ne ha facoltà.
Non si tratta di punti di vista contrastanti fra loro, ma certo il secondo richiede una lettura della realtà ed un'immagine del futuro più ampie e profonde, che non necessariamente il primo punto di vista riflette.
In ogni caso, l'ingresso da subito ed in modo sostenibile nell'euro rappresenta un passaggio fondamentale e prioritario, che deve costituire l'obiettivo primario della manovra finanziaria, visto che qualsiasi prospettiva futura ed ulteriore sarebbe seriamente e comunque pregiudicata da un fallimento su questo fronte.
La finanziaria per il 1998 va in tale direzione ed è finalizzata all'obiettivo indicato, sperando che i contrasti ed i conflitti dell'ultimo momento non lo vanifichino; per tale motivo merita di essere votata.
Aggiungo che tale legge rappresenta il coronamento di una prima fase del Governo Prodi, che ha conseguito importanti risultati sul fronte dell'inflazione, la cui riduzione costituisce di per sé un aspetto significativo della manovra, del disavanzo e della credibilità internazionale del nostro paese.
Il risanamento, peraltro, non è cominciato con il Governo Prodi, ma almeno cinque anni fa, con il Governo Amato e poi con i Governi che si sono succeduti. Nel dire questo è forse giusto ricordare altri due momenti importanti sulla via del risanamento del nostro paese, anche se più lontani. Il primo è il referendum sulla scala mobile, che pose la premessa per l'abbattimento dell'inflazione e, con questo, della tutela dei redditi da lavoro dipendente e delle pensioni. L'altro è l'abolizione del voto segreto che costituì la premessa di politiche rigorose in Parlamento.
Va comunque dato atto al Presidente Prodi ed al ministro Ciampi nonché al Governo nel suo insieme, dei successi di questi anni; successi sui quali nessuno a priori avrebbe scommesso.
La manovra, però, aveva anche l'ambizione, forse impropria visti gli obiettivi che la Costituzione affida alla legge di bilancio, di definire un quadro organico di riforma della spesa sociale nel nostro paese. Riguardo a ciò, è evidente che le difficoltà sono più ampie perché una riforma organica ed economicamente rigorosa ed equa tocca inevitabilmente interessi vasti, più ampi dello stesso orizzonte
della concertazione con il sindacato; orizzonti che richiedono il coinvolgimento diretto del Parlamento e dell'intero paese nonché un progetto innovatore per il futuro del nostro paese.
Rispetto a tale tema, sono opportune alcune riflessioni sintetiche. La prima: l'anomalia della nostra spesa sociale non consiste nella sua entità, che è anzi di poco inferiore a quella di altri partner europei, ma nella sua ripartizione. È infatti una spesa sociale che esaurisce gran parte delle sue risorse in pensioni e sanità. Vale ricordare che anche gran parte della spesa sanitaria è destinata alla stessa platea di utenti che usufruiscono anche della spesa pensionistica, come peraltro è giusto e normale che sia. Da ciò deriva il fatto che si tratta di una spesa sociale molto caratterizzata generazionalmente. Essa, cioè, è tarata sui bisogni e sulle aspettative degli uomini e delle donne che negli ultimi trent'anni hanno lottato per averla e che oggi ne godono meritatamente i frutti.
La seconda considerazione è che la nostra spesa sociale dimentica - comunque trascura o non dà ad essi risposte adeguate - i bisogni, le aspettative ed anche le nuove sensibilità di coloro che oggi si affacciano sul mondo del lavoro, che è molto cambiato ed ha regole diverse; di chi, comunque, al mondo del lavoro si è affacciato negli ultimi 15-20 anni, diciamo dopo gli anni settanta.
La terza considerazione che ritengo opportuno svolgere riguarda il fatto che pensando alla riforma della spesa sociale del nostro paese non possiamo evitare di tenere conto del fatto che sui nostri conti grava un debito pubblico imponente, superiore di 2 milioni di miliardi al prodotto interno lordo; un debito pubblico che è un vero incubo delle finanziarie di questi anni ed il cui servizio continua a prosciugare un avanzo primario rilevantissimo.
Alla luce di queste tre considerazioni, ritengo che oggi, quando siamo proprio all'inizio di un processo di riforma della spesa sociale e quindi non è tardi, sia il momento giusto per levare un grido di allarme.
La mia generazione e quelle che la seguono non fruiranno di una legislazione pensionistica favorevole come quella che c'è stata fino a pochi anni fa e che per certi versi continuerà ad esserci. Nel contempo, queste generazioni dovranno pagare un debito pubblico che non hanno contribuito, se non marginalmente, ad accumulare. Subiranno, cioè, i due aspetti negativi del problema, mentre una fetta della società continuerà a godere dei due aspetti positivi. In questo è impossibile non vedere la premessa di un conflitto generazionale potenziale di dimensioni rilevanti, che potrebbe sommarsi alle contrapposizioni territoriali che già oggi conosciamo e dividono il paese.
È allora necessario ed urgente porre mano a questo problema perché i conflitti siano gestiti in anticipo e le fratture evitate, ma è necessario farlo subito e con la consapevolezza che questo problema non si risolverà senza trasferire ricchezza dai padri ai figli, come è stato autorevolmente scritto di recente. Non si risolverà, cioè, a costo zero, neppure se si volesse ricorrere ad un improponibile aumento del carico fiscale (questo del carico fiscale rilevante è un problema in sé che andrà affrontato), perché un tale aumento colpirebbe di nuovo il mondo produttivo, chi ci lavora e, dunque, soprattutto i giovani che di questo mondo hanno bisogno, non certo chi ne è fuori.
In questo senso ho presentato un emendamento - che ripresenterò in Assemblea - che trasferisce risorse dalle pensioni (per la precisione dalla contingenza delle pensioni baby e, con un modestissimo contributo di solidarietà, dalle pensioni al di sopra di una certa soglia) alla scuola, senza impatto sul saldo dei conti dello Stato, finalizzando queste risorse agli obiettivi di nuova alfabetizzazione tecnologica nella scuola media e di alfabetizzazione europea, cioè allo studio della lingua, nella scuola elementare, programmi che sono già attivi ma che non hanno risorse adeguate e che comunque sono essenziali perché quello dei nostri ragazzi non sia un futuro di emarginazione da un mondo che parlerà di Internet
e da un'Italia che sarà integrata in Europa e nella quale conoscere due lingue sarà un prerequisito per accedere a tutte le nuove opportunità di lavoro a livello continentale. Questi programmi sono essenziali soprattutto per quei ragazzi e quei giovani che non hanno alle spalle opportunità familiari forti e precostituite, comunque garantite, che facilitano ed aiutano.
Ho presentato questo emendamento per dare un segnale di come si debba pensare una politica di riforma dello Stato sociale e l'ho fatto nella convinzione che una misurata e compatibile azione oggi possa prevenire un conflitto che potrebbe esplodere domani e che magari potrebbe anche diventare giusto provocare, un domani, per riavvicinare generazioni di giovani che altrimenti si distaccano dalla politica e dalla democrazia, in assenza di quelle risposte e quelle attenzioni che questo Governo, questa maggioranza e questa sinistra deve imparare e riuscire a dare.
Solo qualche anno fa questa trama si era così sfilacciata da lasciare pochi margini alla speranza di risalire la china. Oggi le scelte che ci propone il Governo sono l'ulteriore consolidamento di una politica che ha preso il paese sull'orlo del baratro e lo porta in Europa nel gruppo di testa. Oggi queste scelte sono il frutto di un'intesa storica con il sindacato sui temi della riforma dello Stato sociale, un'intesa che ha ottenuto l'85 per cento dei consensi tra i lavoratori. Oggi anche queste scelte sono ragioni forti che portano la maggioranza degli italiani a confermare alla coalizione di centro-sinistra la guida delle grandi città e della maggior parte degli enti locali.
Parto da questa affermazione non per abbandonarmi ad uno stucchevole trionfalismo o ad una sciocca piaggeria verso il Governo, che peraltro non ne ha bisogno, ma per fare alcune considerazioni propositive che riguardano ciò che ancora non è stato fatto, ciò che oggi si può fare proprio grazie all'azione compiuta in questo periodo dal Governo.
Si tratta di riempire di contenuti quella che è stata chiamata la «fase due» del Governo Prodi. Di questi contenuti mi accingo a parlare limitatamente a quanto può riguardare il Mezzogiorno.
Il quadro che oggi offre il Mezzogiorno vede la presenza di alcune positive novità: un nuovo protagonismo locale; la sperimentazione di strumenti di concertazione tra centro e periferie e tra i soggetti economici, sindacali ed istituzionali; nuove forme di sostegno al lavoro autonomo in forma singola o associata; anche significative esperienze di distretti industriali con capacità di esportazione.
Davanti a noi, voglio dire, non c'è il Mezzogiorno indistinto tutto povertà e miseria, ma si intrecciano diverse velocità e diverse modalità di sviluppo. Ciò che tuttavia appare chiaro è che, mentre emergono segnali nuovi, permangono vizi antichi: spesso l'inefficienza del sistema pubblico, la marcata inadeguatezza delle infrastrutture, la difficoltà di affermare la cultura del rischio e della competitività e, sullo sfondo, il peso della criminalità organizzata.
Un Mezzogiorno a macchie di leopardo, dunque, in cui si sommano contraddizioni tipiche di una fase di transizione dal vecchio al nuovo. Io penso la «fase due» del Governo come momento nel quale emerga con nettezza una politica per il sud che sappia stare nel mezzo tra assistenza ed assenza e che non si affidi alle sole capacità taumaturgiche del nuovo ciclo di crescita, perché da solo quest'ultimo non sarà in grado di ridurre gli squilibri territoriali, anzi potrebbe addirittura moltiplicarne ed incrementarne il dualismo.
Credo che dovremo cimentarci in questo lavoro, evitando di commettere i classici errori del passato: innanzitutto quello di cominciare sempre tutto daccapo, senza riflettere sulle esperienze compiute e poi quello di iniziare dalle strutture e dai loro organigrammi prima di averne specificato le funzioni. Tutto si deve fare, a mio giudizio, salvo che ripescare una vecchia impostazione centralistica che reintroduca dalla finestra ciò che è uscito dalla porta.
Allora indico tre punti. Primo punto: pensare ad interventi generalizzati a tutto il Mezzogiorno, modulati per indice di sofferenza economica e relativi ad incentivi di natura fiscale, contributiva e finanziaria, soprattutto sul versante della detassazione dei redditi d'impresa che vengono reinvestiti per creare nuove attività e nuovi posti di lavoro.
Secondo punto: rafforzare gli interventi rimessi al protagonismo locale, puntando sull'innovazione, la qualità, la competitività del sistema delle piccole e medie imprese. In questi mesi sono stati approvati prevalentemente accordi di programma che riguardano progetti di grandi imprese, sono stati fatti passi in avanti sui patti territoriali ed i contratti d'area e sono state avviate intese istituzionali che garantiranno una programmazione concertata tra regioni e Stato. Ma permangono ritardi; li ha già ricordati l'onorevole De Simone. Basti pensare, per fare un solo esempio che concerne la mia regione, la Basilicata, che vi sono da tempo in quella regione le condizioni e la necessità di un accordo di programma sul petrolio, che stenta a decollare, che vi sono candidature di patti territoriali sulle quali la regione ha offerto la disponibilità di assicurare fondi di sponda, che vi è una sufficiente intelaiatura di proposte per realizzare l'intesa istituzionale e che vi è un lavoro preparatorio, molto prezioso, svolto dai sottosegretari Macciotta e Sales, che inspiegabilmente non trova approdi definitivi. Sono certo che il Presidente Prodi, che ha annunciato da tempo una sua visita in Basilicata, abbia sinora tardato perché intende suggellare con la sua presenza la definizione di queste importanti intese.
Aggiungerei, tra le iniziative tese a rafforzare il protagonismo locale, lo sviluppo di una rete di collaborazione e di trasferimenti di attività produttive, di know how, di assistenza tecnica e tecnologica tra distretti del sud e distretti del nord, come previsto peraltro dalla recente intesa tra Governo e sindacato.
Terzo ed ultimo punto: esiste un problema di razionalizzazione delle strutture che operano per il Mezzogiorno dal centro. Condivido l'opinione espressa recentemente da alcuni colleghi, in particolar modo dall'onorevole Barbieri, sulla materia: nessuna riedizione della Cassa per il Mezzogiorno; riposizionamento strategico di tali strutture e loro più stretto coordinamento; funzioni esclusivamente di progettazione, di servizi reali e finanziari, formazione e ricerca; totale assenza di lavori pubblici tra le missioni da affidare a tali agenzie e creazione di un fondo di investimento alimentato da risorse pubbliche e private.
Concludendo, penso che non vi sia antinomia, onorevoli colleghi, fra i tre punti che ho indicato. Primo punto: interventi generalizzati a tutto il sud sul versante fiscale, contributivo e finanziario. Secondo punto: interventi di rafforzamento del protagonismo locale e degli strumenti di concertazione. Terzo punto: superamento della frammentarietà dei soggetti che hanno resistito in modo autarchico alla fine della Cassa per il Mezzogiorno e che vanno ricondotti ad unitarietà e a funzioni compatibili con lo sviluppo dal basso.
Credo, onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, che la discussione su questi temi sarà decisiva per il decollo della fase due del Governo Prodi (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).
questa finanziaria 1997 è strana per molti versi, ma presenta alcune anomalie sulle quali vale la pena soffermarsi. Una delle anomalie o degli aspetti insoliti che vanno sottolineati, anche affinché il Governo, se lo ritiene, possa rispondere o possa provvedere, è quella relativa ai pareri delle Commissioni di merito. Come è noto, le Commissioni di merito, a norma del nostro regolamento, devono esprimere il parere, possono formulare relazioni sul testo della legge finanziaria e del collegato e possono limitarsi ad un parere di approvazione o disapprovazione o ad un parere con contenuti.
In questa occasione, noi abbiamo accertato, come è facilmente riscontrabile dagli atti parlamentari che precedono il testo della legge finanziaria, che le Commissioni hanno espresso pareri con adempimenti che sottopongono al Governo ed ai quali adempimenti il Governo dovrebbe rispondere. La Commissione affari costituzionali ha posto due condizioni, ma se si leggono le condizioni che tale Commissione ha posto nell'attenta lettura che ha fatto degli atti, ci si preoccupa delle risposte che il Governo vorrà dare. Infatti la Commissione affari costituzionali si è preoccupata degli aspetti di rilievo costituzionale, anzi di rilievo incostituzionale che sono contenuti nel testo della legge. Ma le due condizioni sono accompagnate addirittura da sedici osservazioni, che non sto a ripetere perché contenute nello stampato della Camera, e che sono relative al contenuto della normativa al nostro esame. Ci sono osservazioni che riguardano il merito delle disposizioni che il Governo propone all'approvazione della Camera.
E ancora, la Commissione esteri ha posto una condizione (è da leggersi), la Commissione difesa pone otto condizioni, la Commissione finanze cinque criteri e dieci osservazioni (anche da un punto di vista numerico sono precisazioni importanti); la Commissione cultura pone dodici osservazioni, la Commissione ambiente e territorio quindici osservazioni, la Commissione trasporti due condizioni, la Commissione attività produttive dieci osservazioni, la Commissione lavoro due condizioni e sedici osservazioni, la Commissione affari sociali trentadue condizioni e tre osservazioni; finalmente, la Commissione agricoltura pone quattro osservazioni ed una condizione. La Commissione per le politiche dell'Unione europea si è astenuta da qualsiasi formulazione di osservazioni o condizioni.
La domanda che rivolgiamo al Governo è la seguente: in quale momento il Governo stesso terrà conto delle condizioni e delle proposte contenute nei pareri (che non posso leggere per ragioni di tempo perché siamo con i minuti contati) delle Commissioni? Quando il Governo si accorgerà della necessità di far funzionare questo meccanismo parlamentare (il Parlamento si compone delle Commissioni e dell'Assemblea)? Le Commissioni sono titolari di un diritto di esame e di espressione di parere sancito dal regolamento che, come è noto, non è una normativa secondaria ma essenziale per il procedimento legislativo affinché quest'ultimo abbia contenuti che si adeguino alla necessità di sintonia che dovrebbe esserci tra parere delle Commissioni e deliberazione della maggioranza.
Il punto politico su cui voglio brevemente soffermarmi è che quanto le Commissioni osservano nel merito è materia che rivela che nelle Commissioni stesse la maggioranza ha un opinamento diverso da quello compatto, tutto favorevole, senza critiche né correzioni, manifestato in Assemblea. È un punto che presenta aspetti giuridici, ma che soprattutto evidenzia un aspetto politico che vale la pena sottolineare: noi lo facciamo con forza, nella speranza che il Governo, prima della fine dei lavori, ci faccia sapere il suo opinamento.
In passato si è verificato che vi fossero dissensi espressi dalle Commissioni attraverso osservazioni o condizioni; ma l'ampiezza con cui questi fenomeni di patologia del procedimento legislativo si sono verificati quest'anno non trova riscontro nel passato, almeno nella mia memoria. A prescindere poi dal dato quantitativo, pongo alla cortesia dei nostri interlocutori
di Governo una domanda: poiché le Commissioni hanno formulato pareri, osservazioni e condizioni essenziali, in che sede il Governo riterrà di poterli accettare o meno e quando ci dichiarerà che cosa intende fare dei pareri medesimi? Essi non possono considerarsi carta straccia. Se la Commissione affari costituzionali o le Commissioni di merito formulano certi indirizzi non ci si può nascondere, tanto più che siamo in seconda lettura, cioè nella fase finale del procedimento legislativo.
Il Governo ha quindi il diritto-dovere di rispondere; può anche non farlo e non sono previste sanzioni nell'ordinamento, ma esiste una sanzione di natura politica che riteniamo il Parlamento dovrà considerare. Finora ci siamo risparmiati il facile esercizio delle pregiudiziali di costituzionalità. È pronta una serie di pregiudiziali di costituzionalità che sono in corso di valutazione, ma voglio ricordare talune «perle giapponesi» che riguardano l'opinabilità costituzionale di talune norme.
Mi riferisco alla disposizione secondo la quale gli amministratori di condominio - ne hanno parlato altri colleghi che mi hanno preceduto - dovrebbero trasformarsi da mandatari dell'assemblea dei condomini in ispettori del fisco; questi mandatari regolati da norme del diritto civile dovrebbero diventare persone che devono riferire tutte le operazioni economiche realizzate dal condominio.
Un altro problema di costituzionalità potrebbe essere costituito dalla previsione relativa al contributo diretto ad aumentare la disponibilità del fondo di garanzia a favore di cooperative dei consorzi costituiti da soggetti operanti nel settore del commercio e del turismo. La cooperazione è un bene tutelato dalla Costituzione, ma ha carattere di mutualità ed è senza fini di speculazione privata; qui si fa addirittura il rimpinguamento di un fondo per facilitare determinati settori della cooperazione, il che mi sembra in contrasto con l'articolo 45 della Costituzione.
L'articolo 22 del provvedimento in esame prevede un regolamento che determini la struttura ordinativa del corpo della Guardia di finanza. Devo ricordare l'articolo 97 della Costituzione che prevede il contrario, stabilisce cioè che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. La forma del regolamento non è prevista per la regolazione degli ordinamenti dei corpi amministrativi come l'importante corpo della Guardia di finanza.
I contratti di locazione non sono legibus soluti, devono essere regolati nell'ambito dei principi generali della tassazione, che sono la progressività, la gradualità, la proporzionalità. Qui si prevedono tassazioni a quota fissa, che sono in conflitto con i principi della Costituzione.
Signor Presidente, ritengo che il Governo sia nel dovere di rispondere a questi nostri quesiti, di rispondere di fronte a queste lacerazioni del tessuto costituzionale che non solo la nostra parte politica, ma soprattutto le autorevoli espressioni delle Commissioni che hanno dato il loro parere ai documenti finanziari hanno evidenziato allegando le relative osservazioni agli atti. Altrimenti, il procedimento legislativo diventa inutile, diventa una forma vacua con gravissima lesione per il Parlamento e gravissimo pericolo per la libertà. Non si governa in questo modo (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia - Congratulazioni).
Il problema dell'economia italiana è invece quello di una riforma strutturale del sistema dei trasferimenti. È insensato, infatti, sperare di risanare stabilmente la finanza pubblica e rilanciare l'economia
lasciando invariato il sistema dei trasferimenti alle imprese, la struttura dello Stato assistenziale, l'eccesso di regolamentazione, l'inefficienza della pubblica amministrazione e, per di più, accrescendo la pressione fiscale. L'articolo 35 del provvedimento in esame, che si riferisce al personale della scuola, conferma queste caratteristiche di fondo con qualche contraddizione aggiuntiva, perché si pretende di far coesistere la vecchia gestione amministrativa con nuove logiche improntate ai principi di responsabilità e di efficienza; in particolare riemerge sotto mentite spoglie il vecchio centralismo ai danni delle autonomie, che pure si proclama di voler promuovere.
Risulta intollerabile l'infima qualità dell'intervento legislativo sulla scuola proposto dalla maggioranza in questa finanziaria. Le ragioni di questo giudizio sono le seguenti: si ripetono leggi già in vigore con una strana coazione a ripetere, indice di una sostanziale impotenza nella gestione del sistema (le norme sulle supplenze, sugli organici funzionali e altro). Si usa continuamente un linguaggio oscuro, pleonastico, ricco di formule abituali, pieno di ammiccamenti a questo o a quel settore corporativo come per addolcire la pillola di un'impellente necessità di mettere i conti a posto, senza mai un minimo di coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Si usano gli strumenti gestionali che si sono già dimostrati inefficaci, come la pianificazione dirigistica dei vincoli finanziari, sistema - vorrei ricordare - utilizzato già in modo palesemente disastroso e fallimentare nei regimi sovietici ad economia amministrata. La conseguenza è che, in sede di consuntivo, la responsabilità di eventuali insuccessi diventa irreperibile. Nessuno deve essere chiamato a rispondere del mancato raggiungimento dei risultati.
Questo modo di legiferare è vittima di un diffuso pregiudizio, duro a morire, frutto almeno di tre elementi convergenti. In primo luogo, un sistema scolastico centrato sull'offerta monopolistica di Stato per cui il decisore politico tende a considerare il settore dell'istruzione come esonerato dalle leggi del mercato ed anche dai vincoli che ne conseguono (costi, efficienza, profitto, eccetera). In secondo luogo, la subcultura familistica che detta le scelte di bilancio dell'istruzione e che potrebbe essere sintetizzata nella frase «per i figli non si bada a spese». È questa la ragione per cui si sprecano da ogni parte appelli ed annunci sull'incremento delle risorse e sulla necessità di investimenti, senza però che nessuno si preoccupi di verificare come e con quale profitto si spendono o si sprecano quelli attuali, peraltro ingenti. In terzo luogo, l'applicazione alla scuola di quella che i sociologi chiamano «ignoranza opportunistica», cioè l'occultamento consapevole o meno delle informazioni sui meccanismi, le regole, i criteri, compresi quelli economici, che governano il funzionamento delle scuole. L'assenza di un sistema di valutazione indipendente ne è la dimostrazione più significativa.
L'insieme di questi tre fattori della subcultura scolastica italiana ha avuto una conseguenza prevedibile: la perdita di autonomia economica ma anche politica, difficoltà a decidere da parte del Parlamento e del Governo e quindi mancanza di autonomia funzionale del sistema.
In sostanza, il modo scriteriato con cui si è gestito il patrimonio non solo finanziario ha avuto l'effetto di delegare risorse al tesoro, che funziona come il saggio tutore di un minorato. Non è il ministro Berlinguer che decide la politica dei finanziamenti nella scuola, come da anni non lo sono i ministri della pubblica istruzione. Se il Parlamento non prenderà coscienza del fatto che anche la scuola è centro di spesa cui si debbono applicare i criteri di efficienza e di efficacia di tutti gli altri servizi pubblici, la scuola non avrà mai modo di emanciparsi dalla ferrea tutela dei vincoli imposti dall'esterno e l'autonomia resterà un miraggio. Una seria analisi degli attuali meccanismi che presiedono all'economia dell'istruzione è l'unico modo per superare la crisi di un'infanzia inconsapevole che molti si sforzano di protrarre all'infinito.
Passando al merito dell'articolo 35, al comma 1, molta enfasi è stata data alla riduzione del 3 per cento del personale prevista entro la fine del 1999. In realtà, una misura presentata come una scelta di rigore all'interno di una logica di risanamento pubblico alla quale tutti i settori di spesa debbono dare il loro contributo, si riduce, in effetti, alla pura e semplice registrazione di una dinamica oggettiva, rappresentata dal calo demografico in corso, nonché dal turn over del personale con relativi pensionamenti.
Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla maggioranza al Senato e alla Camera, la politica dei tagli delle classi e dei plessi scolastici continua, con la novità negativa che il ministro pretende questa volta di avocare completamente la decisione sui criteri e le modalità degli organici funzionali di istituto, della formazione delle cattedre e delle classi, in una parola della razionalizzazione, anticipando nella finanziaria una logica centralistica che lo scorso anno era stata messa in atto successivamente alla medesima.
Così, Ciampi decide, Berlinguer esegue, i provveditori si dovranno adeguare, le autonomie scolastiche saranno chiamate ancora una volta a portare la croce per tutti, anziché a decidere.
A questa sconfortante continuità si deve ascrivere l'ennesima rilegificazione della materia delle supplenze, che data fin dalla finanziaria del 1993, Jervolino regnante. Sorgono legittime alcune domande. In che misura tale rilegificazione inciderà sulla normativa vigente? Quali garanzie saranno date ai capi di istituto sul sistema del budget? Le eventuali economie di gestione realizzate a fine esercizio per le supplenze brevi potranno ancora essere utilizzate dall'istituto?
Sempre in merito al comma 1, due questioni emergono di particolare rilevanza: quella delle deroghe al rapporto insegnanti-alunni previste per l'integrazione degli handicappati e quella dei contratti per prestazione d'opera.
Sulla seconda debbo esprimere l'apprezzamento per questa scelta del Governo che apre, sia pur timidamente, uno spiraglio alla chiamata diretta, da noi sostenuta quale forma di reclutamento del personale delle scuole autonome. Sono costretta a notare tuttavia che la maggioranza al Senato ha tentato di circoscrivere la portata dell'innovazione, limitandola ad ambiti sperimentali e straordinari. Pertanto, noi abbiamo presentato un emendamento soppressivo, finalizzato al ripristino del testo originario del Governo.
Sulla questione dell'handicap è visibile un'incoerenza tra il comma 1 e il comma 3. Il primo allarga la possibilità di deroghe al rapporto ufficiale, fissato in un insegnante di sostegno per quattro alunni portatori di handicap. Il comma 3 fissa nuovi parametri di rapporto su base provinciale, che riportano drasticamente al rapporto ufficiale sopra ricordato. Infatti, l'applicazione del parametro di un insegnante di sostegno su 150 alunni non consentirebbe alcuna deroga. In realtà, l'intero settore è caduto nell'anarchia più totale. Per esempio, a Roma, il rapporto su base provinciale è di un insegnante di sostegno ogni due portatori di handicap; a Milano, uno su tre; a Caserta e Messina, uno su uno.
Quanto alla permanenza nelle scuole dei soggetti portatori di handicap, in alcuni casi si raggiungono i nove anni in uno stesso ordine di scuola, spesso in quelle secondarie superiori. Ciò perché oltre la scuola non si dà nessun'altra forma di integrazione né sociale né tanto meno produttiva. Così l'assistenza dovuta ai portatori di handicap finisce per essere affidata, quale compito improprio, alla sola scuola. Va aggiunto poi che esistono numerosi casi documentati di falso handicap.
Ora, il Governo tenta di scaricare il disordine e le inadempienze dell'amministrazione sul Parlamento, proponendogli di approvare delle restrizioni che vanno a colpire i soggetti più deboli, cioè i portatori di handicap, senza tuttavia eliminare le disfunzioni strutturali del settore. Ciò che è grave è che con questa legge finanziaria, che è solo una legge applicativa del bilancio dello Stato, si finisce per sconfinare nel campo dell'organizzazione
della didattica e dell'integrazione dei portatori di handicap, che deve rimanere di competenza degli istituti scolastici, a norma della legge-quadro n.104 sull'handicap. L'amministrazione è chiamata a fare il proprio mestiere nell'ambito di tale legge, restringendo le indebite interferenze del ministro del tesoro, fondate su una lettura puramente quantitativa dei dati statistici concernenti il personale addetto al settore.
Dal momento che il tempo a mia disposizione è scaduto, avrò modo, nella fase della discussione degli emendamenti, di illustrare le proposte emendative all'articolo 35, che sono numerose. Poiché non abbiamo la certezza che le nostre proposte saranno accolte, preannuncio fin d'ora un voto contrario a tale articolo (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Colleghi, poiché è prevista la sospensione di un'ora dei nostri lavori, orientativamente intorno alle 13,30, giunti a questo punto, dopo gli interventi degli onorevoli Caruano e Ceremigna, sospenderò la seduta.
È iscritto a parlare l'onorevole Caruano. Ne ha facoltà.
Dobbiamo però ancora recuperare decenni di abbandono e di ritardi; dobbiamo ancora disarticolare completamente, nel Mezzogiorno in particolare, vecchi sistemi di potere e vecchie logiche che ancora resistono. Questo provvedimento può però segnare l'avvio delle riforme che il paese chiede da molto tempo e offrire una speranza ai giovani meridionali. Perciò questa manovra, seppure ancora migliorabile, deve essere poi discussa con i lavoratori, i giovani, le imprese, nelle città.
Vorrei ora riferirmi a quanto previsto in materia di agricoltura. Da sempre una concezione assistenzialistica o peggio clientelare ha inteso relegare questo settore ad un ruolo di subalternità nell'economia complessiva del paese. È il momento quindi di seppellire definitivamente questa concezione e dare vigore ad una piena consapevolezza delle potenzialità del settore agricolo italiano. Registriamo quindi positivamente e con soddisfazione le norme sul cosiddetto contributo per la rottamazione delle macchine agricole o attrezzature analoghe, la riduzione dell'aliquota IVA al 10 per cento per i fiori recisi (anche se dovrebbero essere riviste le aliquote del vino e della plastica delle serre, che sono troppo alte), le agevolazioni tributarie per la proprietà contadina, che sono state confermate.
Vanno poi registrate positivamente queste decisioni, così come va registrato positivamente quanto previsto dall'articolo 48 del collegato che delega il Governo ad armonizzare, entro quattro mesi, i costi di produzione in agricoltura a quelli medi europei.
È dunque un provvedimento importante soprattutto se questa «armonizzazione» avverrà in una logica di attenzione particolare nei confronti delle piccole imprese contadine che spesso sono a conduzione familiare. Se tutto questo avverrà in una logica che mette l'agricoltura al centro della rinascita economica, in tutto il paese e al sud in particolare, gli effetti positivi si avranno subito.
Armonizzare i costi di produzione a quelli medi europei significa ridare competitività alle aziende, alla commercializzazione dei nostri prodotti. Le direttive europee d'altra parte fanno chiaro riferimento alle difficoltà dei territori periferici che devono essere messi in condizione di competere sui mercati europei. Dobbiamo quindi partire da lì. I costi energetici, dei trasporti, del lavoro, fiscali, contributivi, previdenziali, del denaro sono costi oggi troppo elevati in un settore agricolo che è complessivamente in difficoltà. Rischiamo quindi di andare fuori mercato se non interverremo tempestivamente.
Puntare sul settore agroalimentare non è quindi velleitario o un'ipotesi nostalgica, ma costituisce un progetto vincente perché discende dalla consapevolezza di una ricchezza che attende di essere valorizzata, tanto più se si pensa che, ad esempio, per creare un posto di lavoro in agricoltura si spende molto meno della metà che in altri settori.
Per il sud quindi non servono formule magiche, è sufficiente puntare sulla ricchezza che c'è. In agricoltura vi sono comparti quali quelli degli agrumi, delle serre, dei fiori, dell'ortofrutta, che hanno vissuto e sono cresciuti da soli contro burocrazie mostruose e clientele politiche fameliche. Ora c'è bisogno di un indirizzo generale, nazionale e preciso a sostegno di queste realtà che possono costituire il volano della crescita economica complessiva di tutto il Mezzogiorno, a partire dai sottosettori, per esempio, ad alto tasso di impiego di mano d'opera o dal recupero della contribuzione in agricoltura, che è stata discussa e posta all'attenzione delle Commissioni, ma che non ha avuto un adeguato riscontro.
Quindi, contenere i costi di produzione significa liberare le energie imprenditoriali di chi vive a contatto con contraddizioni ed iniquità che si sono stratificate negli anni. Sono incredibilmente alti i costi delle sementi, della plastica, del denaro, del trasporto e dell'energia. Le colture protette, come, per fare un esempio, la sericoltura, non godono neanche di aiuti comunitari. Pertanto, chiediamo al nostro Governo di sostenere anche in Europa una inversione di tendenza della politica agricola comunitaria, che riconosca il lavoro ed il livello occupazionale dei settori agricoli quali principi prevalenti nel riconoscimento degli aiuti comunitari.
La produzione ortofrutticola italiana, per esempio - siamo ancora il primo paese produttore - ottiene riconoscimenti risibili dalla Comunità europea, soltanto dell'ordine dell'8 per cento. Né si può pensare che accordi commerciali con i paesi extracomunitari possano essere ratificati a spese del settore primario. Quindi, le prospettive, il cosiddetto pacchetto agricoltura, e le questioni di merito che questi provvedimenti pongono all'attenzione degli italiani sono buoni.
Gli emendamenti che sono stati presentati dalla XIII Commissione possono dare un più ampio respiro e maggiore valore a questi provvedimenti, soprattutto individuando importanti scelte di valore strategico, come, ad esempio, le agevolazioni all'imprenditoria giovanile, di sostegno al credito, l'aiuto alle esportazioni, l'attenzione alla agricoltura con alto tasso di impiego di mano d'opera, la sicurezza alimentare. Questi interventi possono rompere l'isolamento dell'agricoltura e consentire che si percorra la giusta strada dell'alleanza tra consumatore, agricoltura ed ambiente.
Perciò i provvedimenti nel loro complesso risultano equilibrati anche nella prospettiva di dare un sostegno agli altri settori che sono in difficoltà, come l'edilizia, il commercio, le piccole e medie imprese in particolare del meridione.
Dal punto di vista della semplificazione, era stato presentato in Commissione un emendamento volto a modificare l'articolo 6 della legge n.92 del 1979, che riguarda l'inquadramento dei lavoratori agricoli. Intendevamo in tal modo annullare un contenzioso tra sindacato e imprenditori, che è ormai inestricabile. Chiedo quindi al Governo di effettuare una valutazione del problema.
Quel che è certo è che nel Mezzogiorno rimangono ancora i nodi strutturali rappresentati dai ritardi esistenti, dalla mafia,
dalla criminalità organizzata, che ostacolano una ripresa più veloce. Ma oggi lo Stato c'è. E il risanamento, i valori dell'equità sociale, la stabilità, le riforme sono obiettivi e strumenti di ripresa, ma anche di lotta alla mafia residua.
In conclusione, desidero rivolgere un appello perché, al più presto, la vicenda parlamentare del provvedimento che riguarda la metanizzazione del Mezzogiorno si avvii a soluzione. In tal modo si colmeranno ritardi di decenni, si salveranno difficili situazioni amministrative di tanti comuni, piccoli e grandi, si creeranno lavoro e migliori servizi nelle città. Quante migliaia di posti di lavoro attiverebbe questo provvedimento, Presidente? Se non si farà presto, si rischierà la sterilizzazione dei suoi effetti e del suo stesso significato.
Questa manovra porterà l'Italia in Europa, correggendo anche le storture dello Stato sociale, ed avvierà la seconda fase dell'attività del Governo dell'Ulivo: quella dello sviluppo e del lavoro. Per questo, per le innovazioni e per le discontinuità previste da questa manovra, la sinistra democratica sosterrà in modo convinto, coerente e responsabile l'iter del provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).
Ricordo bene il corso travagliato delle discussioni che accompagnarono l'anno passato la definizione legislativa della nostra prima legge finanziaria; si trattava di decisioni pesanti, di enorme rilevanza, di forti sacrifici che sarebbero stati richiesti ai cittadini, di un'assunzione di responsabilità da parte dei parlamentari della maggioranza, che certo comportavano, oltre ad ovvie preoccupazioni ed ansie soggettive, un oggettivo grado di impopolarità. Tuttavia, vi era in noi la consapevolezza che da uno sforzo straordinario e tenace volto al risanamento il paese potesse uscirne con rinnovato slancio verso la possibile ripresa, verso un futuro di crescita e di sviluppo, verso un riconoscimento di rango nel concerto delle grandi nazioni che si apprestavano a dar vita alla costruzione della moneta unica europea.
Ho richiamato brevemente l'esperienza dell'anno passato, perché ritengo che non solo idealmente la presente finanziaria si colleghi in una non soluzione di continuità con l'altra, in quanto ne rappresenta il naturale sviluppo, tende a rafforzarne le intime coerenze, impegna a realizzare il transito dal risanamento alla crescita mediante un processo in cui sono riconoscibili più opportunità, maggiore equità e trasparenza, consolidato rigore.
Le analisi dei dati macroeconomici della nostra situazione-paese dimostrano che è possibile procedere con la dovuta determinazione lungo l'itinerario di un risanamento duraturo e, dunque, di una crescita non effimera. È in questa chiave di lettura che, a mio avviso, deve essere interpretato il complesso della legge finanziaria al nostro esame. Ho avvertito invece, negli interventi dell'opposizione che in questo dibattito mi hanno preceduto, lo sforzo a criticarne il contenuto semplicemente negandone i presupposti. In sostanza, mi pare di aver capito, poiché ci sarebbe stato un finto risanamento, non potrebbe esservi che un finto sviluppo.
È vero, l'opposizione fa il suo mestiere: niente da dire. Mi permetto solo di suggerire di tenere sempre presente il confine esile che esiste tra l'attacco alle posizioni altrui ed il rischio di scadere nel puro e semplice autolesionismo. Dico questo perché ritengo più appassionante e più produttivo misurarsi concretamente nella sfida a realizzare i contenuti positivi della finanziaria, misurarsi cioè sulle condizioni necessarie, non solo sul piano economico, ma anche su quello istituzionale, amministrativo, burocratico, sulle leggi di riforma capaci di accompagnare e rendere efficaci le misure della manovra finanziaria per il prossimo anno. C'è, fra queste
condizioni, la prosecuzione dell'opera di ammodernamento e di riforma della pubblica amministrazione e ci sono i provvedimenti relativi al nuovo stato sociale. Questi ultimi, frutto di un confronto e di un concerto con le parti sociali che li rende impegnativi e che hanno acquisito valore dopo il consenso delle assemblee e il voto di milioni di lavoratrici e lavoratori, possono rappresentare il punto di svolta della nuova stagione del welfare che la maggioranza ed il Governo di centro-sinistra hanno posto tra i capisaldi a base del programma della coalizione dell'Ulivo.
Perno di questo programma era e resta il tema dell'occupazione e anche su questo tema noi pensiamo che la finanziaria per il 1998 contenga importanti provvedimenti relativi all'incentivazione della crescita e delle opportunità di lavoro. I settori della piccola e media impresa, del commercio, dell'edilizia, della ricerca saranno privilegiati in modo mirato e qui si dovrà esercitare maggiormente una verifica del rapporto di causa ed effetto tra incentivi, forme di agevolazione ed opportunità flessibili ma non per questo precarie di occupazione e lavoro.
È una finanziaria che presenta potenzialità rispetto alle quali dobbiamo porci ciascuno in termini propositivi, che si potrà avvantaggiare di ulteriori miglioramenti della nostra economia già da oggi prevedibili o in cantiere e che potrà contare su una stabilità della maggioranza e del Governo che già oggi viene considerata come uno dei dati di maggiore affidabilità del nostro futuro, anche relativamente alla situazione economica del paese.
È per questo complesso di ragioni che esprimo il giudizio favorevole dei deputati socialisti sulla legge finanziaria e sul provvedimento collegato posto al nostro esame in questa sessione di bilancio (Applausi).
Vorrei ora evidenziare alcuni fatti che consentono di far comprendere quanto questo tipo di strumento della leva fiscale incida in maniera significativa e, a volte, molto forte sullo sviluppo del paese.
Gli interventi in questione introdotti nel provvedimento collegato sono quattro.
Il primo è contenuto all'articolo 3 (ribadisco che è stato inserito per la prima volta in questi provvedimenti: voglio salutarlo con soddisfazione, essendo anche in armonia con quanto avviene negli altri paesi dell'Unione europea) e concerne l'introduzione di crediti di imposta per le aziende che abbiano aderito, nell'ambito del sistema comunitario, a tutti i sistemi di ecogestione o di gestione ambientale: mi riferisco all'ecolabel, all'ecoaudit, ai livelli di qualità ecologica previsti nei regolamenti comunitari. Questo è il primo ambito di intervento.
Il secondo ambito di intervento assai significativo è quello relativo ai contratti d'area laddove - al comma 4 dell'articolo 5 - vengono previste agevolazioni fiscali per garantire la qualità ambientale e lo sviluppo sostenibile, che contengono un migliore impatto ambientale. Rilevo peraltro che la norma in questione è poco chiara, nonché poco praticabile e concreta: essa necessita quindi di una specificazione
anche dal punto di vista attuativo.
Il terzo tipo di intervento introdotto nel provvedimento collegato concerne norme di incentivazione fiscale - dal punto di vista ecologico - per il settore dei trasporti, attraverso agevolazioni sulle autovetture che hanno un migliore impatto inquinante e sugli autoveicoli azionati con motori elettrici a gas metano. Anche in questo caso si sarebbe potuto intervenire fondamentalmente sul trasporto pubblico: è un'occasione che questa volta si è persa, ma mi auguro che in sede di esame degli emendamenti si possa rimediare.
Il quarto tipo di intervento previsto dal provvedimento collegato riguarda tutto il complesso delle tassazioni basate sul principio del «chi inquina paga», nell'ambito delle emissioni delle aziende. Questa è fino ad ora la tassa ambientale maggiormente applicata in ambito europeo; essa infatti è stata già introdotta da diversi anni da paesi come la Svezia, la Germania - in parte -, l'Olanda ed altri.
Questi provvedimenti sono già molto: essi infatti costituiscono l'ingresso normativo dell'Italia in questo settore.
Tuttavia è ancora poco rispetto al necessario. Al riguardo voglio ricordare che la Commissione finanze della Camera e la Commissione politiche dell'Unione europea avevano approvato, la prima nel giugno scorso e la seconda nell'ottobre scorso, risoluzioni intese a dare un ordinamento più complesso a questa materia. Constato con soddisfazione che parte di queste risoluzioni che impegnavano il Governo e che furono approvate quasi all'unanimità delle Commissioni è stata accolta nella legge finanziaria.
In conclusione vorrei sottolineare due aspetti. Innanzitutto molti settori sono assenti. Non sono previsti, per esempio, incentivi al turismo, alla valorizzazione dei beni ambientali, agevolazioni fiscali intese a favorire le migliori tecnologie disponibili; mancano incentivi nell'ambito dell'agricoltura ecocompatibile ed in altri settori. Pertanto, occorre superare il concetto per il quale la fiscalità ambientale viene ancora considerata come tassa-balzello, come imposta in più; non si tratta di questo, si tratta di una cosa ben diversa.
Ormai in ambito comunitario e scientifico chi segue la materia sa - e credo che il Governo ne convenga - che la fiscalità ambientale ha tre criteri: quello della progressività del reddito, quello della neutralità e quello secondo il quale il gettito fiscale debba rimanere invariato, quindi, per intenderci, a somma zero. Non si tratta quindi, ripeto, di una tassa o di una imposta in più. Voglio anche ribadire il concetto per il quale occorre passare dal principio del «chi inquina paga», al principio del «first comers», dei primi venuti, cioè degli incentivi allo sviluppo. Chi adotta tecnologie e sistemi che diminuiscono gli impatti e favoriscono un diverso tipo di sviluppo è premiato attraverso incentivi. Quindi si tratta di un riorientamento del mercato che favorisce lo sviluppo e lo aumenta.
Questo principio, che manca ancora nel nostro ordinamento, agevolerebbe maggiormente le imprese, ridurrebbe gli oneri sociali e sicuramente nei tempi medi, non lunghi ma neanche brevi, aumenterebbe anche la possibilità di occupazione come intervento strutturale e come conseguenza di interventi che non cadono nello spazio di pochi mesi o di pochi anni.
Volevo sottolineare questi aspetti, salutando i provvedimenti contenuti nel collegato come un fatto assolutamente nuovo, importante e positivo nel nostro ordinamento, nonostante le lacune e le ombre che ho segnalato.
costituzionali, in quest'aula, già l'anno scorso con i collegati alla finanziaria e quest'anno, vi è stato un sensibilissimo trasferimento di poteri dal Parlamento al Governo. C'è un sensibilissimo trasferimento di poteri per quanto riguarda le deleghe e la delegificazione.
Signor Presidente, noi siamo allarmati per il fatto che la nostra forma di governo, che sulla carta è parlamentare, in realtà si va modificando. La forma di governo, infatti, si qualifica anche per i rapporti che intercorrono tra Parlamento e Governo. Mentre la forma di governo parlamentare presuppone che Governo e Parlamento, secondo le loro responsabilità, siano sullo stesso piano, qui abbiamo un Governo che è sempre più in alto come produttore di norme giuridiche di carattere legislativo e un Parlamento che invece tende a declinare, a fronte di responsabilità sempre maggiori del Governo.
Questo non ci piace. Ci auguriamo quindi che nel corso dell'esame degli emendamenti il Governo si faccia parte diligente ed operi una scrematura per quanto riguarda le deleghe e le delegificazioni.
A parte questo aspetto, che è di decisiva importanza, ve n'è un altro. Il Governo - ne ho parlato già questa mattina con un richiamo al regolamento in presenza del sottosegretario Macciotta - a fronte di un sostanziale esproprio - mi rendo conto che la parola è grossa, ma non ne trovo altre nel dizionario della lingua italiana - del Parlamento, ha la pretesa di farlo con giochi di prestigio che non ci piacciono, perché non sono conformi né alla legge n.400 del 1988 né a svariati articoli della Costituzione, a cominciare dall'articolo 76.
Diciamo questo perché, signor Presidente, in molte deleghe legislative non sono previsti i pareri delle Commissioni parlamentari competenti; inoltre, nelle varie delegificazioni - sono moltissime - talvolta manca la determinazione delle norme generali regolatrici della materia; in altri casi, manca il termine per l'emanazione del regolamento; in altri ancora, manca l'indicazione delle norme abrogate; o ancora, manca la previsione del parere regolamentare. Ma ciò che è più grave, signor Presidente, spesso e volentieri mancano tutti e quattro i requisiti previsti dall'ordinamento giuridico.
Signor Presidente, questa mattina, a nome di alleanza nazionale, ho annunciato la presentazione di una pregiudiziale di costituzionalità; il sottosegretario Macciotta, prendendo brevemente la parola, ha fornito vaghe assicurazioni in proposito; pertanto noi presenteremo tale questione pregiudiziale e ci auguriamo che la Presidenza questa volta, a differenza di quanto è accaduto ieri, la consideri ammissibile. Nutriamo tale convincimento, che è più di una speranza, perché facciamo nostre le preoccupazioni del Presidente della Camera, dell'opposizione e della maggioranza parlamentare che, in Commissione affari costituzionali, ha dato «disco verde» sub condicione; le condizioni indicate sono moltissime e nessuna di esse è stata ottemperata da parte del Governo.
Signor Presidente, noi presenteremo la pregiudiziale di costituzionalità, presumo insieme al collega Teresio Delfino, e siamo convinti che la Presidenza la dichiarerà ammissibile per le ragioni formali che riassuntivamente ho segnalato. Noi saremmo anche disposti a rinunciare a discutere ed a votare tale questione pregiudiziale a condizione che il Governo non fornisca vaghe promesse, ma venga in Assemblea a dirci che quanto stabilito dalla Commissione affari costituzionali sarà pienamente recepito, punto per punto. A fronte di tali condizioni, ci faremo parte diligente e ritireremo la nostra questione pregiudiziale.
Per quanto riguarda la Presidenza, mi farò carico di riferire quanto da lei annunciato al Presidente Violante, il quale deciderà nella sua autonomia.
È iscritta a parlare l'onorevole Prestigiacomo. Ne ha facoltà.
A questo paese, strangolato dalla fiscalità, il Governo oggi, con la legge finanziaria, regala nuove tasse. A questo paese, soffocato dalla disoccupazione, una disoccupazione che cresce invece di diminuire, il Governo propone una ricetta che drena altre risorse dall'Italia e si abbatte come una mannaia sulle piccole imprese, sugli artigiani, sui commercianti, sui professionisti, su tutti coloro i quali dovrebbero creare nuovo lavoro.
È questa una finanziaria che individua il ceto medio come un nemico da ridurre all'impotenza, vanificando così ogni proposito di equità e rendendo inverosimile, se non risibile, ogni ambizione di risanamento dei conti pubblici.
Questo Governo sta sfidando l'intelligenza oltre che le tasche degli italiani, aiutato in questo dai molti mass media che decidono di non vedere e non sentire e men che meno di fare i conti della spesa pur di rimanere allineati e coperti all'ombra del potere dell'Ulivo. Come spiegare altrimenti l'enfasi con cui si sono sbandierate le recenti promesse del ministro Visco, il quale, mentre chiama il Parlamento a votare nuove imposte, osa parlare di una prospettiva di attenuazione della pressione fiscale di ben due punti?
Il troppo è troppo e se ne stanno accorgendo anche osservatori solitamente non teneri con il Polo, i quali cautamente cominciano a dire ciò che noi ripetiamo da tempo, che la politica della sinistra, il suo conservatorismo, la difesa dell'esistente, dei privilegi di anziani e garantiti a discapito dei giovani e dei non garantiti rischia di portare l'Italia in malora. Finalmente c'è chi sottolinea da una tribuna non sospetta che le sinistre scommettono sulla forza degli interessi consolidati e delle lobby più o meno potenti che li difendono.
Come non pensare alle corporazioni dei protetti quando il Governo, dopo aver presentato tagli allo Stato sociale, già assolutamente insufficienti (meno della metà di quelli che lo stesso Prodi aveva annunciato nel DPEF) annulla ogni ipotesi di rigore ed ogni pretesa di equità dinanzi ai ferrovieri, che potranno andare in pensione con 24 anni di contributi, ma anche ai piloti, ai bancari ed agli insegnanti.
Che credibilità può avere un Governo che fa la faccia triste ed indossa il vestito della durezza con i produttori di latte che bloccano le autostrade e protegge i lavoratori che bloccano treni ed aerei?
Questa non è una legge finanziaria, è un'accademia delle ambiguità e delle contraddizioni di questa maggioranza, il vademecum per scoprire quali sono i figli illegittimi nell'Italia del centro-sinistra. Questa finanziaria è un messaggio - nemmeno troppo sofisticato - di tipo politico-clientelare. Vi si dice «Chi è con noi sarà protetto e difeso, anche nei suoi privilegi più vergognosi, chi è contro di noi sarà tartassato».
Questo Governo, questi uomini e donne di centro-sinistra, sarebbero i portatori di una visione di Stato etico? Sono questi i paladini di una filosofia politica che tutela la collettività, contrapposti invece a noi liberisti che ci battiamo per il disimpegno dello Stato dall'economia e, in generale, dalla vita dei cittadini in tutte le situazioni in cui ciò è possibile?
Noi di forza Italia riteniamo questa finanziaria sbagliata e dannosa per il paese, antitetica alle nostre impostazioni politiche, che richiedono una società più moderna, più libera, più equa. Questa finanziaria nega lo sviluppo, come è inevitabile se si persegue una strategia di continuo incremento della pressione fiscale; colpisce i ceti medi ed i lavoratori autonomi, fallisce dolosamente l'obiettivo delle riforme strutturali della spesa pubblica, passaggio obbligatorio se si vogliono
risanare i conti pubblici e se quindi, in prospettiva, si vuole diminuire la pressione fiscale.
Consideriamo questa finanziaria strumento di iniquità, provvedimento capace di aggravare, anziché risolvere, i mali del nostro paese e soprattutto delle aree depresse del Mezzogiorno, che non di nuove tasse e di nuova disoccupazione hanno bisogno, ma di un coraggioso progetto di sviluppo che liberi le energie sane dell'economia e sia capace di attrarre investimenti e stimolare nuovo lavoro.
Il nostro progetto è alternativo a quello del Governo, ma abbiamo il dovere democratico di cercare di migliorare questo testo impedendo gli errori più gravi, di evitare le iniquità più intollerabili.
Abbiamo presentato pochi emendamenti mirati a tre obiettivi fondamentali: promuovere lo sviluppo e l'occupazione; realizzare una maggiore equità sociale; ampliare gli spazi dell'area privata dell'economia rispetto a quella pubblica.
In sintonia con queste finalità chiediamo il ripristino della legge Tremonti sulla detassazione degli utili reinvestiti, l'introduzione del silenzio-assenso per velocizzare le richieste di nuovi insediamenti produttivi, premi per le nuove assunzioni, la riduzione delle aliquote IRPEF a due sole, rispettivamente del 20 e del 35 per cento, un'unica aliquota IRPEG al 33 per cento.
Chiediamo inoltre la sospensione delle deleghe che introducono l'IRAP, imposta che, tassando indebitamente la manodopera anziché i guadagni, di fatto spinge le imprese a trasferire all'estero interi pezzi di produzione ed appare vessatoria nei confronti di quelle piccole aziende che non hanno alternativa all'indebitamento bancario come forma di finanziamento. Una vessazione che al sud si somma a quelle di tassi di interesse molto maggiori rispetto al resto del paese e che rappresenta un potente incentivo non allo sviluppo, ma alla recessione di tutto il sistema produttivo meridionale.
In materia di welfare le nostre proposte riguardano soprattutto l'aumento delle pensioni sociali finanziabili attraverso l'equiparazione delle regole previdenziali di operai ed impiegati, la riduzione dei contributi degli autonomi e l'abbassamento dell'età pensionabile a 57 anni, in quanto appare davvero intollerabile la discriminazione di cui questo comparto è vittima oggi da parte del Governo. Chiediamo la restituzione al fondo di artigiani e commercianti dei contributi trasferiti presso il fondo dei lavoratori dipendenti dell'INPS.
Queste correzioni, colleghi, queste modifiche rappresentano il rimedio possibile ad una finanziaria-salasso, che prima toglie a tutti - è stato previsto, infatti, che la stangata per una famiglia media sarà di almeno 500 mila lire tra IVA, bollo auto, assicurazioni, telefoni e canone RAI, tariffe ENEL e per altri consumi primari - e che restituisce ad alcuni sotto forma di privilegi, mentre ad altri - i ceti medi produttivi, gli autonomi, le piccole imprese - toglie ancora di più con l'IRAP, bocciata anche dal Fondo monetario internazionale, e con ulteriori carichi previdenziali e discriminazioni pensionistiche.
Il salasso - è inutile dirlo - sarà più gravoso ed innescherà maggiori contraccolpi sociali laddove il reddito medio è più basso (le recenti statistiche ci dicono quanto alto sia il differenziale di reddito tra le zone più ricche e quelle meno avvantaggiate del paese).
Concludo, Presidente. Questa è l'Italia nell'era dell'Ulivo, questo è il paese diseguale e patrigno che il Governo Prodi alimenta, questa è la finanziaria che Prodi propone e contro la quale noi condurremo la nostra battaglia dura, puntuale e responsabile in difesa degli italiani, di tutti gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Ormai, da quando è nato l'attuale Governo di scuola si parla quasi tutti i giorni ed io ho amabilmente definito il ministro Berlinguer come uno straordinario venditore di tappeti per la sua capacità di comunicazione verso l'esterno. Il ministro parla il linguaggio del suo interlocutore e quindi tutti, quando escono da un colloquio con lui, sono assolutamente soddisfatti.
Rimane però il fatto che dopo un anno e mezzo - questa è la seconda finanziaria - le promesse del ministro Berlinguer sono rimaste lettera morta. Non solo, questa legge finanziaria ribadisce la linea della non decisione: le risorse per la scuola sono scarse, qualcosa in più si prevede per i fondi già esistenti per la scuola non statale (materna, elementare e media), ma rimane irrisolto il nodo della parità scolastica.
Quest'ultima rappresentava una grande occasione per il nostro paese per creare una scuola più efficiente e concorrenziale, per dare alla famiglia la possibilità di scegliere e per permettere allo Stato di risparmiare risorse da utilizzare, eventualmente, in investimenti nella scuola pubblica.
Torno però al ragionamento che il ministro Berlinguer ha fatto in quest'aula. Qui bisogna dire la verità: la parità scolastica dovrà essere rigorosamente dispari, in quanto il ministro, per sua stessa dichiarazione, è tenuto a preparare un posto per ogni studente.
Se 200 mila sono gli studenti, 200 mila saranno i posti che il ministro della pubblica istruzione deve preparare.
Faccio riferimento al ragionamento su cui si fondano giustamente la richiesta delle famiglie, la libertà di scelta e il risparmio per lo Stato. Se uno studente costa 8 milioni all'anno allo Stato le famiglie che scelgono la scuola non statale possono avere un credito di imposta di 4 milioni perché sia effettiva la libertà di scelta, ed ogni famiglia che sceglierà la scuola non statale farà risparmiare 4 milioni allo Stato; invece di 8 gliene farà spendere soltanto 4. Infatti il sistema a regime, come in tutta Europa, sarà un sistema dove esistono la scuola statale e la scuola non statale, in concorrenza tra di loro, ed il sistema sarà modulare, perché saranno le famiglie, sulla base delle esigenze educative dei figli, a scegliere il tipo di scuola che riterranno più efficiente, in grado di preparare i loro figli, certamente in un sistema di controllo statale ferreo sia sulle scuole statali sia su quelle private per quanto riguarda la qualità, i curricula degli studi, la professionalità degli insegnanti, eccetera.
Questo ragionamento, che noi riproponiamo in questa finanziaria con il credito d'imposta, cade davanti all'impostazione data dal ministro Berlinguer. Infatti, se la spesa per la scuola statale è rigida, se comunque bisogna spendere 8 milioni per ogni ragazzo, anche se questi non frequenta la scuola statale, è chiaro che i conti non tornano più dal punto di vista economico, ma non tornano neanche dal punto di vista della libertà di scelta, della libertà di insegnamento. E di passaggio in passaggio, dopo un anno e mezzo siamo ancora fermi alle promesse, siamo ancora fermi alle bozze che sono circolate e continuamente cambiate, siamo ancora fermi ad un disegno di legge presentato dal Governo che non trova la strada della discussione né in Commissione né in aula, perché ci sono settori della maggioranza che si oppongono fermamente a che passi questo principio. Si oppongono all'entrata in Europa dell'Italia, perché noi entriamo in un'Europa in cui questo sistema misto di scuola statale e non statale è già realtà da decenni. Pertanto segnamo il passo.
Segniamo il passo anche dal punto di vista degli stanziamenti, perché il progetto di parità è nebuloso, è costituito solo da interventi parziali e settoriali. E mentre si continua a discutere, le scuole non statali chiudono una dietro l'altra, non potendo più sopportare gli oneri; e le famiglie evidentemente non possono più far fronte ad una scuola che rischia di diventare inevitabilmente di classe, perché solo le famiglie ricche se la possono permettere. È chiaro poi che gli esponenti della nomenklatura di sinistra, quelli che si oppongono alla parità tra scuola statale e
scuola non statale, vanno a studiare all'estero, nelle scuole prestigiose (basta vedere i loro curricula). Nella loro visione sono i figli dei poveri che devono frequentare obbligatoriamente la scuola pubblica. Chi si oppone? L'onorevole La Malfa, il quale - senza offesa - non si è specializzato in Italia, ma è andato all'estero, ha frequentato scuole private prestigiose; poi viene qui a sostenere che invece i figli dei poveri sono obbligati a scegliere quello che passa loro il convento e null'altro.
Dobbiamo risolvere queste contraddizioni. Le dobbiamo risolvere dal punto di vista della parità, dal punto di vista di un'effettiva revisione dei cicli che non sia quella proposta dal ministro, che scardina scuole elementari, medie e licei in un progetto assolutamente confuso e controproducente, contro il quale noi ci batteremo con forza, perché non consente alla scuola italiana di compiere alcun passo in avanti, anzi scardina e distrugge quello che c'è di buono in essa. Inoltre, il ministro perde molto tempo ad emanare le circolari su Gramsci, anche se ultimamente dice di essere pentito e che non l'avrebbe fatto; si preoccupa molto dei problemi della disciplina alla rovescia, nel senso che la governabilità della scuola italiana, anche dal punto di vista dei diritti e dei doveri (perché esistono anche i doveri) degli insegnanti e degli studenti, si perde in una concezione qualche volta sessantottina, qualche volta che applaude all'intervento della polizia, quindi non si capisce bene su quale parametro si voglia porre in realtà.
La seconda finanziaria di questo Governo delinea quindi un quadro desolante, dove non ci sono certezze: non ci sono certezze di tipo strutturale, non ci sono certezze sulla via che questo Governo vuole invocare.
Nessun tipo di rimprovero può essere rivolto a questo proposito al Polo o ai cristiano democratici. Abbiamo detto più volte, alto e forte, che i nostri voti in Parlamento sono a disposizione per rendere effettivo questo diritto e per una vera parità scolastica che passi attraverso le famiglie (queste ultime beneficiarie dei contributi affinché sia resa effettiva la libertà di scelta). Se le contraddizioni della maggioranza continuano e se Berlinguer vuole insistere nel chiudersi nel fortino autosufficiente dell'Ulivo e di rifondazione comunista, ho paura che questa riforma non si farà mai perché abbiamo sentito in aula con quanta veemenza ed accanimento rifondazione comunista, la collega Sbarbati ed altri settori si oppongono ad essa.
Ecco uno dei motivi per cui la nostra posizione su questa finanziaria è decisamente critica (Applausi dei deputati del gruppo del CCD).