COMMISSIONI RIUNITE
X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
10a (INDUSTRIA, COMMERCIO E TURISMO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

INDAGINE CONOSCITIVA
SUL RIASSETTO DEL MERCATO ELETTRICO,
IN VISTA DELL'ESAME DELLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO
DI ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 96/92/CE


Seduta di martedì 12 gennaio 1999


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La seduta comincia alle 20.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Federelettrica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul riassetto del mercato elettrico, in vista dell'esame dello schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 96/92/CE, l'audizione di rappresentanti di Federelettrica (imprese locali dei servizi elettrici), nelle persone del professor Giovanni Del Tin, presidente di Federelettrica, del professor Enrico Cerrai, presidente dell'AEM di Milano, del dottor Fulvio Vento, presidente dell'ACEA di Roma, dell'ingegner Renzo Capra, presidente dell'ASM di Brescia, dell'ingegner Giuseppe Mastromauro, direttore dell'AMET di Trani, dell'ingegner Giorgio Soldadino, direttore di Federelettrica.
La seduta odierna costituisce una novità nel senso che siamo ricorsi all'indagine conoscitiva in funzione istruttoria rispetto ad uno schema di decreto legislativo. Il Presidente della Camera ha voluto questo nuovo modo di procedere per consentirci un approfondimento più ampio della materia, il che secondo me costituisce una soluzione corretta.
Nel ringraziare gli ospiti, do la parola al presidente della Federelettrica, professor Giovanni Del Tin, il quale è anche presidente dell'azienda elettrica municipale di Torino.

GIOVANNI DEL TIN, Presidente di Federelettrica. Desidero innanzitutto ringraziare le Commissioni parlamentari per l'opportunità offerta. La delegazione è stata composta tenendo conto delle indicazioni contenute nella convocazione tanto che sono presenti i presidenti delle aziende municipali di Torino, Milano e Roma, il direttore di un'azienda del sud, specificatamente di Trani, ingegner Mastromauro e l'ingegner Capra che oltre ad essere presidente dell'azienda municipale di Brescia presiede anche la commissione energia della nostra federazione.
Prima di procedere all'illustrazione della nota predisposta dalla federazione per l'audizione odierna, faccio presente che nella documentazione inviata vi è anche un commento allo schema di decreto legislativo redatto dal professor Caia, ed alcuni dati sintetici relativi al 1997 delle imprese elettriche degli enti locali.
Federelettrica, dopo aver esaminato attentamente lo schema di decreto legislativo di cui all'articolo 36 della legge n. 128 del 1998, esprime una valutazione sostanzialmente positiva anche se, come risulta dall'analisi da noi eseguita, ritiene necessario proporre alcune modifiche volte sia ad eliminare i dubbi interpretativi, sia a non compromettere la valorizzazione delle imprese elettriche detenute dagli enti locali.
Le modifiche che proponiamo interessano alcuni articoli dello schema di decreto;


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tra queste particolare importanza rivestono quelle riguardanti il comma 2 dell'articolo 1, relativo alla separazione societaria obbligatoria per le aziende pluriservizio che posseggano energia elettrica nei servizi gestiti. Riteniamo indispensabile non imporre tale obbligo perché da un lato non è previsto dalla direttiva comunitaria, dall'altro - specie per le piccole e medie aziende - introduce diseconomie gestionali attualmente inesistenti grazie alla unitarietà gestionale. Sul piano formale aggiungo che l'obbligo della separazione societaria per le aziende pluriservizio detentrici di energia elettrica creerebbe una disparità di trattamento tra queste imprese ed altre che operano negli stessi settori, ma non in quello elettrico.
Il comma 2 dell'articolo 1 secondo noi va riformulato facendo riferimento esclusivamente all'obbligo della separazione contabile ed amministrativa, come verrà stabilito dall'Autorità di regolazione dell'elettricità ed il gas.
All'articolo 2 dello schema di decreto riteniamo utile una precisazione, perché Federelettrica oltre alle 46 aziende propriamente dette rappresenta anche un centinaio di altre realtà imprenditoriali come i consorzi e le cooperative. È necessario, a nostro parere, riferirsi alle cooperative di produzione e distribuzione che operano in località disagiate, specie nel Trentino-Alto Adige e nella Valle d'Aosta, recuperando il concetto di autoproduzione indicato dalla direttiva comunitaria secondo cui autoproduttore è colui che produce energia elettrica «essenzialmente per uso proprio». Dunque, queste realtà aziendali dovrebbero essere considerate autoproduttori in quanto l'utilizzo dell'energia attiene ai consorziati o i soci delle cooperative.
Il comma 8 dell'articolo 3 lascia indeterminata la data di avvio del funzionamento dell'ente gestore della rete nazionale, mentre è necessario fissare una data certa per consentire di delimitare la durata del regime provvisorio e di assicurare un termine preciso per la costituzione ed il funzionamento dell'acquirente unico.
Per quanto riguarda l'adozione delle norme tecniche, sarebbe preferibile demandare tale compito al CEI (Comitato elettrotecnico italiano) piuttosto che all'Autorità di regolazione.
L'osservazione che riguarda l'articolo 4 consiste nell'individuazione di una garanzia affinché, fino all'avvio dell'acquirente unico, siano salvaguardati gli attuali contratti di fornitura per i clienti vincolati alle nostre società di distribuzione, al fine di non creare scompensi nell'applicazione della tariffa unica.
L'articolo 9 rappresenta il punto cruciale della normativa perché regola la metodologia per procedere alla razionalizzazione delle reti di distribuzione e permettere una maggiore liberalizzazione in questo segmento del servizio elettrico.
Con riferimento ai commi 1 e 2 è necessario coordinare la data di rilascio delle concessioni per il servizio elettrico con quella di presentazione dei progetti per la razionalizzazione delle reti di distribuzione promiscua. Lo schema di decreto, infatti, prevede che il rilascio delle concessioni avvenga entro il mese di settembre 1999 mentre la presentazione della proposta di ampliamento entro il dicembre 1999: a nostro avviso, occorre invertire le due date per far precedere la presentazione dei progetti rispetto al rilascio del disciplinare delle concessioni.
Quanto poi alle previsioni contenute nel comma 3 per giungere alla razionalizzazione della distribuzione nelle aree a distribuzione promiscua, Federelettrica ritiene che la scelta da operare tra le possibili opzioni spetti agli operatori interessati - cioè gli enti locali proprietari - nello spirito della direttiva comunitaria ed in osservanza delle regole di mercato.
Da più parti il Governo è stato sollecitato per l'individuazione della formula «società mista», quale soluzione obbligata, rispetto alla quale Federelettrica esprime dissenso perché reputa debba essere salvaguardata la libertà di scelta imprenditoriale dell'ente locale e la presa di posizione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato contenuta nel parere espresso sulla bozza di convenzione


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di concessione da rilasciare all'ENEL nel dicembre 1995. In quell'occasione, l'Autorità sancì, leggo testualmente, «per quanto concerne la materia dei rapporti tra ENEL spa e imprese elettriche di enti locali, l'Autorità concorda in ordine all'opportunità che la relativa disciplina sia intesa a favorire un processo di razionalizzazione dell'attuale assetto dei sistemi di distribuzione locale, ma ritiene ...omissis... che tale razionalizzazione sia perseguita in modo prioritario mediante interventi di ridefinizione delle zone di distribuzione e dei relativi bacini di utenza e procedendo, laddove necessario, ad opportuni trasferimenti di impianti, piuttosto che ...omissis... attraverso la costituzione di società o consorzi tra l'ENEL spa e le imprese concessionarie locali». Per inciso ricordo che in un documento inviato al ministro circa un anno fa si sottolineava come le imprese degli enti locali, che avevano presentato progetti di ampliamento, si fossero dichiarate disponibili all'acquisizione delle relative reti di distribuzione.
Per l'aggregazione, lo schema di decreto indica innanzitutto l'intesa tra gli operatori locali - l'ENEL spa e le aziende elettriche municipali - quale percorso da seguire e, come da noi auspicato, una seconda procedura qualora tale possibilità non venga o non possa essere perseguita che però noi non riteniamo percorribile.
Permettetemi di manifestare la preoccupazione delle aziende trasformate in società per azioni e quotate in Borsa e di quelle che saranno quotate tra qualche tempo, che lamentano la presenza di ostacoli e difficoltà nella concreta applicazione dei meccanismi operativi proposti. Ciò in quanto l'ente locale interessato deve mantenere in ogni caso - perché così è previsto negli statuti - il 51 per cento della proprietà aziendale. Questi apporti, così come è previsto nel decreto, in diversi casi, se non in tutti, renderebbero minoritario il comune, l'ente locale. Questo è un primo problema che va ad impattare con un vincolo dello statuto. D'altra parte, bisogna tener conto che la normativa del codice civile deve essere rispettata e noi riteniamo che quella procedura di fatto non la rispetti. Inoltre, abbiamo i vincoli imposti dalla legge n. 142 e dalle normative fiscali ad essa correlate.
Queste sono le difficoltà di applicazione di quella procedura. Per tali ragioni, Federelettrica ritiene preferibile arrivare alla razionalizzazione delle reti di distribuzione passando attraverso un'operazione di vendita degli impianti di distribuzione dell'ENEL all'impresa elettrica locale interessata; tutto ciò, naturalmente, a condizioni economiche eque e con la possibilità di pagamenti rateali - questo lo chiediamo -, mutuando quella procedura adottata nel 1962 al momento della nazionalizzazione.
Federelettrica ritiene che questo eventuale trasferimento debba avvenire in base ad accordi raggiunti tra gli operatori interessati; ma, ripeto, qualora questi operatori non raggiungano l'accordo riteniamo che sia possibile richiedere valutazioni ad un soggetto terzo, eventualmente nominato dal Ministero dell'industria, accettate sia dall'impresa elettrica, sia dall'ENEL. A tale riguardo, per altro, per fare una valutazione degli asset degli uni e degli altri, è importante definire meglio le procedure, le metodologie, i criteri per la determinazione della consistenza dei beni, del loro valore ed anche delle unità di personale da trasferire. Questo ci pare il punto più difficile e più importante da affrontare.
Un'altra osservazione riguarda il comma 5 dello stesso articolo 9, secondo cui le imprese elettriche degli enti locali che gestiscano al di fuori dei confini comunali altri servizi a rete possono predisporre un progetto per l'ampliamento e, quindi, per l'acquisizione della distribuzione elettrica nelle aree in cui sono già presenti con altri servizi. Il vincolo che pone il comma 5 è che per poter presentare questi progetti vi sia un limite minimo: l'azienda proponente deve avere un limite minimo di 100 mila utenti. Considerando le realtà aziendali interessate,


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sono pochissime, direi meno delle dita di una mano, quelle in grado di presentare i progetti.
Riteniamo invece più corretto - e lo auspichiamo - che a tutte le imprese che ritengono di poterlo fare (e quindi abbiano quelle condizioni essenziali rappresentate dall'esercizio della rete elettrica nel territorio comunale di competenza e da altri esercizi di reti esterne a quello) si lasci la possibilità di presentare i progetti. Queste imprese sono rimaste di piccole dimensioni non perché siano state incapaci di crescere, ma perché il loro ambito territoriale di azione è il risultato della legge di nazionalizzazione del 1962. Tra l'altro, sono imprese che si sono impegnate - e lo possiamo documentare - a compensare in questi anni le scarse, insufficienti economie di scala con economie di scopo, cioè diversificando le proprie attività e gestendo coordinatamente i servizi a rete.
Consideriamo questa proposta accettabile e ragionevole perché in realtà i progetti da presentare da parte delle aziende devono essere vagliati dal ministro competente, il quale avrà sempre l'ultima parola, nel senso che se il progetto presentato non è convincente e non garantisce quelle condizioni di sicurezza, qualità del servizio, economicità, può bloccarlo. Vi è quindi la possibilità di operare una scelta in modo ragionevole. Sulla base di queste considerazioni, riteniamo opportuno eliminare l'indicazione numerica per agevolare la presentazione. Tuttavia sembra anche qui opportuno che il ministro indichi i criteri ed i parametri che adotta sulla base delle sue valutazioni; ciò serve anche per preparare il progetto.
Infine, esiste un problema concernente l'articolo 12, in particolare i commi 7 e 8 che si riferiscono alla durata delle concessioni di grande derivazione idroelettrica. Evidentemente diverse nostre aziende sono interessate a questo problema. Come sapete, i commi 7 e 8 prevedono due durate diverse per le nostre imprese: la scadenza della concessione è al 2010, per l'ENEL è al 2030. A nostro avviso, è una disparità ingiustificata, non ne capiamo la motivazione, per cui chiediamo che le due date vengano equiparate per eliminare le differenze previste dall'attuale decreto.
Queste sono in sostanza, molto sinteticamente e forse anche disorganicamente, le valutazioni cui siamo pervenuti e che vi sottoponiamo. Siamo ovviamente disponibili per eventuali chiarimenti sia in questa sede sia nel prosieguo dei vostri lavori.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente di Federelettrica e do la parola ai colleghi che intendano formulare domande ed osservazioni.

GIOVANNI SAONARA. Mi limito a chiedere ai nostri ospiti due precisazioni. In relazione all'articolo 1, concernente la separazione societaria, se non ho inteso male si accetta l'idea della separazione contabile non quella societaria. Vorrei sapere se ciò prefiguri anche una indicazione di massima su una serie di altre materie che sono oggetto della nostra attenzione come linea di fondo (è stata citata la legge n. 142) o se invece si tratti specificatamente di un'osservazione puntuale e forte sullo schema di decreto legislativo e non sul complesso della questione.
Desidero porre alla vostra attenzione una seconda questione. Naturalmente credo che sarà compito e cura dei commissari riflettere a lungo sull'articolo 9, su cui non intervengo. Mi interessa invece il problema del recupero del concetto di autoproduzione, quindi l'osservazione sull'articolo 2, nonché la questione, che riprendete in relazione all'articolo 9, concernente il limite dei 100 mila utenti. In proposito vorrei sapere, nello scenario che avrete certamente prefigurato (perché lo conoscete, lo vivete, lo avete costruito tutti i giorni), quante società avranno la possibilità di essere realmente credibili? Non so se mi sono spiegato: questo non significa ledere la credibilità attuale delle società; mi domando, in uno scenario macroeconomico complessivo, quante società saranno effettivamente credibili con le due categorie che avete citato formulando


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osservazioni agli articoli 2 e 9? Credo che ciò sia importante per una chiarificazione complessiva da parte della Commissione.

GIOVANNI DEL TIN, Presidente di Federelettrica. Per quanto riguarda l'articolo 1, noi vediamo la separazione societaria con specifico riferimento a quel caso e la riteniamo, in quel contesto, non utile ai fini di garantire, così come credo sia nello spirito della proposta, ad esempio i finanziamenti incrociati. La separazione contabile ed amministrativa sarà invece obbligatoria, secondo i criteri che stabilirà l'autorità; quindi riteniamo che sia sufficiente ad evitare inconvenienti come quelli che citavo.
Sull'articolo9,sull'autoproduzione,semplicemente si chiede che nel testo del decreto il termine di autoproduzione abbia lo stesso significato che viene attribuito dalla direttiva europea. In questo caso, quelle aziende di cui parlavo ( in genere si tratta di consorzi o cooperative) ricadono nella fattispecie prevista degli autoproduttori in quanto sono consumatori dell'energia che producono.
Circa il comma 5 dell'articolo 9, relativo al limite, faccio presente quanto segue. Nell'indagine svolta un anno e mezzo fa per le nostre imprese, più della metà delle imprese interpellate, che hanno fatto il progetto, hanno redatto progetti di ampliamento (naturalmente, allora, in assenza della prospettiva che oggi si pone) con l'indicazione della disponibilità al reperimento dei finanziamenti per realizzare l'obiettivo. Certamente ci si può chiedere se tutte le realtà che ho citato siano nelle condizioni di farlo. Se oggi quelle imprese, nelle dimensioni attuali, hanno dimostrato efficienza ed efficacia sufficienti (sono imprese dalle quali gli enti locali traggono un utile, quindi sono in grado di stare in piedi); se immaginiamo che l'ampliamento dell'area di distribuzione migliori la loro economia di scala e pensiamo che quest'ultima si sostanzia con una economia di scopo, con la diversificazione e la gestione coordinata del servizio a rete, riteniamo che le proposte avanzate siano credibili. Come ho precedentemente osservato, la valutazione deve essere compiuta dal soggetto terzo, dal ministero; tuttavia credo che esistano le condizioni per farlo.

GIUSEPPE MASTROMAURO, Direttore dell'AMET di Trani. Intervengo anche perché ritengo sia utile conoscere l'esperienza dell'unica azienda elettrica del meridione. Soprattutto per quanto riguarda l'obiezione rispetto all'articolo 1 ci riconosciamo pienamente in quanto sostenuto dalla Federelettrica. La nostra azienda gestisce attualmente la distribuzione di energia elettrica; fino al 1942 si occupava anche della produzione, ma a seguito di un'offerta vantaggiosa dall'allora Società generale pugliese di fornitura, la produzione di energia elettrica cessò. Da allora siamo un'azienda distributrice, ma contestualmente alla distribuzione di energia elettrica gestiamo altri servizi, come la pubblica illuminazione - di alta qualità, premiata anche a livello europeo, - gli impianti semaforici e il trasporto urbano. Prima del decreto Bersani, che ci ha colto di sorpresa, avevamo progetti di ampliamento, per economie di scala, alla rete del gas metano, attualmente gestita da società privata, che pare - a detta dei cittadini - non garantisca lo stesso servizio qualitativo dell'azienda speciale. È in corso uno studio di fattibilità per tale riscatto. Vi è inoltre un progetto di unificazione con un'altra azienda speciale per l'igiene ambientale dettato non solo dalla possibilità di economie di scala, ma anche dalle sinergie connesse ai recuperi energetici da smaltimento rifiuti.
Lo schema di decreto va contro tendenza non solo rispetto alle nostre aspirazioni ideali, ma anche alle richieste formulate espressamente dai cittadini; non dimentichiamo infatti che nel 1908 questa azienda, come altre, fu municipalizzata sulla base di un referendum popolare, uno strumento che sembra attuale ma che in effetti è stato utilizzato già allora nel nostro paese. In questi novant'anni, assieme a tutte le altre aziende, abbiamo fatto l'esperienza del libero mercato.


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Forse si dimentica che abbiamo convissuto con il privato dal 1900 fino al 1962, che abbiamo convissuto anche con l'ente monopolista di Stato, uscendo sempre da tale confronto qualitativamente ed economicamente non dico vittoriosi (non disconosciamo i meriti dell'ENEL) ma in modo soddisfacente. Non per colpa dell'ENEL, forse per nostra fortuna, abbiamo dimostrato, come azienda locale, di essere più vicini ai consumatori, di riuscire a modulare i servizi secondo le esigenze particolari delle comunità che serviamo, ricevendo come riscontro un ampio consenso; non si tratta di populismo, tanto è vero che il riscatto del servizio metano ci è stato espressamente richiesto dai cittadini.
L'articolo 1 ci impone invece una divisione societaria, non solo impedendoci di fatto di porci come centro unico di servizio della comunità locale, a cui il cittadino si può rivolgere per soddisfare tutti i suoi bisogni di servizi, che sono molteplici in una comunità locale, ma privandoci anche della possibilità, ingabbiati in un territorio comunale, di disciplinare un'economia di scala secondo le regole della massima efficienza e del minimo esborso per il cittadino.
La nostra è una cittadina di 53 mila abitanti e noi distribuiamo energia elettrica solo per il civile e il terziario perché il comparto industriale è servito, per ragioni storiche risalenti addirittura a fine ottocento, da società private, alle quali è poi subentrata l'ENEL. L'ampliamento della nostra istituzione, per dare univocità al servizio dovrebbe avere meno vincoli rispetto a quelli posti nello schema di decreto. Siamo d'accordo che il bacino debba essere quello comunale, però i criteri di riscatto sono molto indeterminati ed addirittura (lo vedrete anche dalle osservazioni contenute nel parere legale allegato al documento di Federelettrica) pone in dubbio alcune procedure di vendita delle quote ENEL a soggetti terzi. La nostra è l'esperienza concreta di una azienda speciale che vuole andare avanti su questa linea, perché ciò è richiesto dalle comunità locali, certa di poter fornire un servizio di alta qualità; siamo tra i primi in Italia ad aver emanato una carta dei servizi assieme alle aziende consorelle, prima di tutti gli altri servizi pubblici, dando ogni anno resoconto sulla qualità stessa del servizio.

EDO ROSSI. L'esposizione del documento ci ha consentito di conoscere la vostra opinione sullo schema di decreto legislativo. Mi limiterò a porre tre brevi domande che non riguardano tanto il merito del decreto. Innanzitutto, quando sarà completata nel 2005 la liberalizzazione del mercato, così come prevede la direttiva dell'Unione europea, è secondo voi possibile attuarla mantenendo l'integrità dell'ENEL?
Come giudicate inoltre il modello di recepimento che è stato usato in Francia secondo il quale, a parte il parametro più basso, l'EDF rimane sostanzialmente integra, pur recependo la direttiva comunitaria? È vero, infine, che gli acquirenti che finora si sono mossi manifestando il proprio interesse, cioè gli acquirenti che entreranno nel mercato elettrico che si dovrebbe aprire fra qualche mese nel nostro paese sono di fatto quelli già esistenti, vale a dire Edison, Sondel (legali alla FIAT e alla Falk) e che, nel caso di imprese europee si tratta di EDF, RVE, ATEL? Conseguentemente, come esperti del settore, ritenete che le imprese che conquisteranno pezzi di mercato che attualmente non hanno, interverranno su tutto il territorio nazionale o solo - consentitemi di banalizzare la questione - sulle centrali del nord, le più interessanti e produttive?

GIOVANNI DEL TIN, Presidente di Federelettrica. Cercherò di dare una risposta sintetica, che i miei colleghi potranno eventualmente integrare. Quanto al raggiungimento degli obiettivi previsti dalla direttiva mantenendo l'integrità dell'ENEL, vorrei fare una considerazione. Parlo di liberalizzazione, distinguendo quindi nettamente la questione da quella della privatizzazione, che naturalmente la direttiva non chiede e che non entra nel


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merito di questo recepimento. Se si parla di liberalizzazione si deve presupporre l'esistenza o la creazione di una pluralità di operatori. Partendo da un mercato di tipo sostanzialmente monopolistico come l'attuale, credo sia difficile raggiungere quegli obiettivi mantenendo l'integrità dell'ENEL. Alcune precisazioni; la nostra Federazione rappresenta le aziende che hanno sulla distribuzione il 7 per cento del totale (il 93 per cento rimane quindi dell'ENEL). Rappresentiamo inoltre il 4 per cento della produzione nella quale, oltre all'ENEL, ci sono i privati. In questo caso la quota ENEL è già oggi inferiore. Se le nostre imprese (mi riferisco alla Federazione) realizzerano le ipotesi di ampliamento che hanno formulato, il 93 per cento dell'ENEL nella distribuzione potrà scendere, in tempi ragionevoli, all'85 per cento. In questo caso, per quanto attiene alla sola distribuzione, di fatto l'integrità dell'ENEL non verrà meno; una quota della distribuzione sul totale pario all'85 per cento mi sembra infatti comunque una percentuale consistente.
Altro è il problema della produzione, che peraltro nel nostro caso interessa meno perché le nostre imprese, fatte salve le principali, sono essenzialmente distributrici.
Per quanto riguarda il modello francese, le scelte di quel paese saranno nella direzione di mantenere integra l'EDF. Osservo però che il mantenimento dell'integrità dell'EDF deriva essenzialmente, al di là di ogni decisione politica, da una ragione oggettiva, ossia che il parco delle centrali francesi è un parco nucleare. Il 75 per cento dell'energia elettrica prodotta in Francia è di fonte nucleare; non credo quindi pensabile, sul piano tecnico e gestionale, una suddivisione. Altra cosa può essere invece la suddivisione del settore della distribuzione; ma quando il produttore deve mantenere necessariamente, per ragioni oggettive, quella quota, credo sia più difficile intervenire.
Rispetto agli acquirenti, posso fare riferimento ad alcune esperienze, anche dell'azienda che presiedo. Le imprese che concorrono, che hanno già manifestato interesse e che realisticamente possono concorrere all'acquisizione di quote, sono per lo più quelle da lei citate, anche se amplierei il campo perché vi sono anche imprese americane e belghe. Le eventuali imprese acquirenti avranno interesse solo per le centrali del nord o anche per quelle del sud? Ritengo che se il vettoriamento dell'energia sulla rete nazionale avverrà - come credo si preveda - con il cosiddetto metodo del francobollo, se cioè la trasmissione dell'energia elettrica e il costo del vettoriamento avverranno indipendentemente dalla distanza, la disparità di situazioni che oggi esiste tra nord e sud - l'interesse del sistema industriale o di tipo domestico, oggi certamente diverso - dovrebbe venire meno rendendo sostanzialmente analoghe ed equivalenti le due realtà sotto il profilo dei costi, non sotto quello fisico perché le perdite di energia si avranno comunque in relazione alla distanza.

RENZO CAPRA, Presidente dell'ASM di Brescia. L'azienda di Brescia ha chiesto, con un progetto trasmesso al ministro dell'industria nel giugno scorso dal comune di Brescia, l'estensione per la distribuzione in media e bassa tensione (quindi, solo agli utenti obbligati) a tutta la provincia di Brescia. Attualmente abbiamo 115 mila utenti e arriveremmo a circa 400 mila. Ovviamente, si tratta di una proposta che deve essere esaminata in maniera articolata. Prendere un ramo d'impresa non è una cosa nuova. Dall'impresa del gas abbiamo preso, in un gruppo solo, sei comuni non molti anni fa; si prende un ramo d'impresa e si prendono anche gli immobili ed il personale. È un trasferimento che avviene in modo molto combattivo sul piano dei costi ed anche della valutazione, che richiede una perizia severata, normalmente mista, di tipo patrimoniale e reddituale, secondo le regole che si concordano con la controparte.
Questa è una funzione che avviene spesso. Per la parte elettrica, riteniamo di dover estendere fortemente la distribuzione nella provincia in cui siamo già presenti con altri servizi a rete. In una


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provincia che comprende 200 comuni siamo presenti in più di 100. Abbiamo chiesto l'estensione per la rete di distribuzione in media e in bassa tensione perché è inutile chiedere l'alta tensione, che alimenta le utenze leggibili, libere. È inutile comperare queste utenze perché esse rimarranno asservite al mercato; quindi, rispetto a tali utenze si procederà di volta in volta.
Vorrei soffermarmi brevemente sull'esperienza che stiamo cercando di imparare per le utenze leggibili, libere, basandoci sul fatto che l'azienda di Brescia ha tra le quattro e le sei utenze, a seconda di quanto prevederà il cosiddetto decreto legislativo Bersani. Inoltre vendiamo a due città, Bressanone e Vicenza, in alta tensione circa il 40 per cento sul totale dell'energia prodotta. È un'esperienza molto nuova, ma dobbiamo farla se vogliamo rimanere nel campo, così come dobbiamo acquisire la dimensione adeguata ai fatti finanziari, che diventano pesanti, soprattutto da quando ci siamo svincolati (dal 1o luglio siamo una società per azioni) dal «biberonaggio» che prima poteva fare il comune padrone. Questo rende molto importante il fatto di avere una dimensione che permetta di stare sul mercato, che diventa sempre più finanziario.
Per le utenze leggibili vi è un interesse da parte di stranieri, tedeschi ma anche francesi ed austriaci, perché l'azienda di Brescia è membro del cosiddetto minisistema (di cui anzi è il punto centrale), una rete ad alta tensione che interconnette le aziende municipalizzate del nord, a cominciare dalla AEM (rappresentata in questa sede dal professor Cerrai), fino a Vicenza e Rovereto. Questo fatto rende più facile l'esercizio della funzione di broker, perché chi è già del mestiere ha utenze grosse e può anche integrare con la sua produzione la propria rete, naturalmente fatte le debite proporzioni rispetto all'ENEL. Noi rappresentiamo lo 0,5 per cento dell'ENEL; non vorrei che la nostra dimensione suscitasse ilarità o sorrisi, ma è la nostra dimensione e dobbiamo difenderla. Gli stranieri sono molto interessati ad usarci come intermediari ed hanno potenza da vendere; inoltre, garantiscono prezzi molto interessanti. Fare impresa vuol dire assumere un rischio e noi impegneremo con lettere d'intenti una certa potenza per poter espandere il nostro mercato. Dal momento che la media e la bassa tensione che abbiamo chiesto di estendere nei comuni adiacenti potrebbe non venire, vogliamo comunque rimanere sul mercato. Questa è la nostra funzione.
Recentemente sono stato in Germania, dove da sei mesi, precisamente in aprile, è stata pubblicata la legge in materia. Sono già stati stabiliti i prezzi, anche quelli di pedaggio, nonché quelli per i servizi ancillari, che sono usati da noi per le simulazioni di quell'importazione. Bisogna tenere presente che in Germania le aziende municipalizzate sono tante e rappresentano il 40 per cento della distribuzione, ma 12 comuni hanno deciso di vendere le loro aziende finché valgono, perché o si rimane sul mercato e lo si difende oppure si vende prima di fare debiti. È possibile fare questa importazione; naturalmente, ci sono dei vincoli, come per esempio il destino obbligato del franco. Come sapete, la rete elettrica è una cosa difficile da trattare e per farlo bisogna avere un minimo di dimensione, saper interloquire con l'estero, saper fare il dispacciatore. Poche aziende in Italia, oltre all'ENEL, hanno un embrione per fare questo ed io posso dirvi che sarà difficile. Ho cominciato a fare il mio mestiere qualche anno prima che ci fosse l'ENEL ed ora ritorniamo indietro. Ma, se il Parlamento ed il Governo lasceranno che questa esperienza (che anche a Brescia ha superato i novant'anni) continui, noi la porteremo avanti con molta caparbietà. Questa è la nostra missione. È il proprietario, il comune, azionista per ora al 99 per cento, che ce lo deve dire.

ATHOS DE LUCA. Premetto che condividiamo le richieste da voi avanzate in quanto abbiamo sempre ritenuto, anche in una fase precedente a quella attuale, che il patrimonio delle aziende municipalizzate


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e degli altri soggetti che rappresentate sia un patrimonio di professionalità radicato sul territorio che ha un significato importante. Voglio anche precisare che noi non abbiamo una posizione ideologica rispetto alla liberalizzazione e riteniamo che con regole certe si possa, aprendo al mercato, determinare un vantaggio sia per i consumatori sia per l'ambiente. Questo discorso vale anche per i trasporti; abbiamo visto infatti che i sistemi di monopolio non sempre hanno dato buoni risultati.
Questa è la grande sfida che abbiamo di fronte. In questo senso, volendo essere molto realistici e approfittando della vostra presenza per capire un po' meglio, vorrei porre una prima questione. Con riferimento alle dimensioni modeste, piccole, di cui ci avete fornito i numeri, voi pensate che con le richieste di modifica che avete avanzato si creeranno le condizioni per far sì che la vostra non continui ad essere una piccola testimonianza locale, legata ad un ruolo sociale, ad una tradizione, ai novant'anni di storia? Ritenete che le modifiche da voi richieste vi consentano di svolgere un ruolo da protagonisti in questo nuovo scenario? Altrimenti, pur con tutto il rispetto per il passato, si potrebbe dire che è inutile mantenere questi piccoli «orticelli» di testimonianza, pur molto importanti per il personale che ad essi è legato e perché fanno parte del DNA delle collettività. Tra l'altro, la sfida è economica, quindi è una sfida importante. Noi possiamo dare tutte le garanzie, ma se poi non si sta sul mercato lo sforzo che possiamo fare nel modificare il decreto non darà i suoi frutti e il mercato farà giustizia di tutto. Mi rendo conto che la mia domanda è rivolta a voi, che siete qui per darci delle notizie, ma questa è anche una sede di confronto. Non stiamo facendo dei comizi, stiamo solo cercando di capire, partendo dal presupposto che auspichiamo che queste realtà, con tali ulteriori garanzie, possano crescere e diventare importanti.
La seconda questione che voglio porre riguarda un aspetto che ci sta particolarmente a cuore e che è già stato recepito nel decreto. Vorrei una vostra opinione, in qualità di enti che avete operato, su due aspetti. Il primo è quello relativo alle fonti rinnovabili, che nel decreto sono presenti in modo molto importante per la prima volta (di questo dobbiamo dare atto al Governo) e che aprono delle prospettive nuove. Il secondo aspetto è anch'esso presente nel decreto; noi ci siamo impegnati ed esso è stato recepito. Dobbiamo preoccuparci non solo del fatto che si venda l'energia come se si trattasse di patate ma anche del fatto che si vendano tecnologie, sistemi di distribuzione ma anche di uso dell'energia efficienti e razionali, che portino ad un risparmio energetico. Si tratta cioè di ottimizzare l'energia che produciamo e di suggerire ai nostri acquirenti di energia quali sono le tecnologie e gli alti rendimenti che consentono un uso razionale delle risorse, di risparmiare inquinamento e di avere un bilancio energetico positivo. Occorre quindi fare un salto di qualità.
Perché noi crediamo che voi possiate essere degli interlocutori importanti in questo delicato momento di passaggio? Perché liberalizzando il mercato una regola che potrebbe prevalere è quella per cui più si vende energia più si guadagna. È come vendere le patate! A nostro avviso, invece, si deve affermare un'altra cultura, quella secondo la quale, insieme all'energia, si vendono la tecnologia e i nuovi sistemi, perché questo è lo scopo che lo Stato deve porsi nell'interesse della salute dei cittadini...

EDO ROSSI. Per fare questo ci vuole la ricerca! Se l'ENEL viene distrutta, la ricerca non la fa più nessuno. Senza l'ENEL bisogna vedere chi farà ricerca a quel livello.

ATHOS DE LUCA. Sono queste le due domande politiche che volevo porvi per avere un contributo da parte vostra.

GIOVANNI DEL TIN, Presidente di Federelettrica. Per quanto riguarda la prima domanda, sono realisticamente


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orientato a rispondere di sì. Per quale ragione? Innanzitutto, bisogna tenere conto del fatto che le nostre imprese operano (perché così si è storicamente verificato) all'interno dell'ambito urbano. Non dobbiamo dimenticare che in questo ambito è concentrato all'incirca il 75 per cento della popolazione e si consuma grosso modo il 75 per cento dell'energia. Anche a livello di Unione europea, in questi anni si è attribuito un ruolo alle città in relazione al principio di sussidiarietà. Se i consumi, e di conseguenza anche gli impatti ambientali, sono prevalentemente concentrati nelle città, è in queste che occorre operare.
Credo che nelle realtà urbane nelle quali oggi operiamo si sia data prova di sensibilità verso l'ambiente e verso la cittadinanza. Non dobbiamo dimenticare che le nostre imprese non sono solo del comune (quindi, abbiamo un'interazione stretta con l'amministrazione comunale); noi siamo gli interlocutori primi dei cittadini, che sanno benissimo dove abita il padrone da un lato e il sindaco dall'altro. Questo è un fatto che certamente ha affinato la sensibilità di cui sto parlando. Faccio un solo esempio. Se andiamo a vedere quale è oggi la situazione delle nostre aziende, ci si chiede, ad esempio, chi ha fatto riscaldamento urbano e cogenerazione. Credo che le nostre aziende siano state le prime, per quanto riguarda la cogenerazione civile, a realizzare impianti di cogenerazione e ad effettuare teleriscaldamento. La generazione combinata di energia elettrica e calore fa risparmiare energia, ma anche ambiente.
Ritengo che intervenendo su questi temi noi abbiamo la possibilità di operare, con le condizioni poste dal decreto. Le condizioni naturalmente migliorano nella misura in cui si amplia l'ambito, ma bisogna tenere conto che anche le economie di scala non presuppongono, per essere accettabili, che vi siano 10 milioni di utenti. Quindi si va a saturazione: questo lo abbiamo verificato. La dimensione ha il suo peso, ma, ripeto, è possibile farlo.
Desidero fare un'altra considerazione in merito alla prima parte del discorso. Ricordo che il nostro paese è impegnato nell'adempimento degli impegni assunti a Kyoto e di non facile realizzazione. Allora, se dobbiamo raggiungere la riduzione del 6,5 per cento del CO2 entro il 2010, è necessario utilizzare tutte le risorse industriali e manageriali di cui disponiamo, tutto il patrimonio esistente; da questo punto di vista, credo che le nostre aziende rappresentino una realtà interessante. Tra l'altro, la stessa Conferenza nazionale dell'energia e dell'ambiente, quindi il Governo, nel documento conclusivo ha dichiarato la volontà di promuovere l'integrazione orizzontale, da un lato per garantire sul piano dell'economicità ipotesi ottimali di gestione, di riduzione dei costi e conseguentemente delle tariffe, dall'altro per realizzare attraverso la gestione coordinata dei servizi a rete, così come è detto nel documento, quella gestione della domanda cui si faceva prima cenno - il demand management - che è una delle condizioni per ridurre i consumi ed ottimizzarli rispetto all'utenza (non riguarda la produzione). Proprio la caratteristica attuale, non futura, delle aziende consente di realizzare la molteplicità dei servizi presso l'utenza, la fornitura non solo del vettore energetico, ma anche del servizio energia, al quale tra l'altro ci stiamo preparando.
Per quanto riguarda il problema della tecnologia e della ricerca, dobbiamo distinguere: esiste una ricerca tecnologica che non siamo chiamati e non abbiamo attitudine a fare, ma possiamo diventare sperimentatori dei sistemi di gestione e della gestione di nuove tecnologie. Nelle nostre imprese sono state compiute sperimentazioni su sistemi nuovi, che vanno dal fotovoltaico alle celle a combustibile, alla microcogenerazione diffusa e quant'altro. È importante questo ruolo, questa parte della ricerca consistente nella gestione di progetti dimostrativi e di tecnologie; è certamente rilevante quella tecnologica, ma altrettanto rilevante è la sperimentazione sul territorio in scala reale. Anche da questo punto di vista, le


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nostre imprese, a mio avviso, hanno dato prova di volerla e saperla fare e a maggior ragione in questo contesto possono impegnarsi a farla.

RENZO CAPRA, Presidente dell'ASM di Brescia. Se mi è consentito intervenire, mi sembra che una precisazione sia stata sollecitata dal senatore De Luca.
Siamo fra i sostenitori meno scatenati dello «spezzatino» dell'Enel. Non lo abbiamo mai proposto; anzi, forse non vedremmo favorevolmente - ma sono posizioni personali - neppure una separazione societaria eccessiva. Ci interessa molto il punto della trasmissione e del dispacciamento, questo sì.
La separazione societaria può essere benissimo evitata se si fa bene quella amministrativa o gestionale. La direttiva europea permette la nomina di un gestore, la legge francese indica bene ciò che questo deve fare e come deve essere scelto; se darete un'occhiata a questa normativa, vedrete che cosa si deve fare.
Comunque sia, le nostre aziende sono in una fase di grossa trasformazione. Il centralismo con cui prima venivano gestite viene superato, si cerca la divisionalizzazione, la corporate governance, come è stato già fatto nell'Enel. Non siamo diversi, perché anche la semplice separazione contabile importa un riposizionamento dell'azienda.
La separazione societaria non è imposta senza un motivo; a Brescia stiamo separando i trasporti perché sono in deficit; ci metteremmo insieme ai privati per fare qualcosa di diverso, non tanto perché li consideriamo più bravi di noi quanto per il fatto che gestiscono le reti suburbane ed occorre fare integrazione gestionale.
Il discorso è molto articolato, specialmente per le aziende che hanno una dimensione relativamente grande perché si occupano di tante cose (credo che quella di Brescia sia l'ottava come dimensione proprio perché ha «appiccicato» tante cose l'una all'altra).
È una fase di grande riflessione, che ovviamente si potrà affrontare se ci sarà un futuro; credo che l'obiettivo indicato dal presidente Del Tin di passare dal 7 al 14 per cento sia un grosso augurio.

GUIDO POSSA. Mi associo per la mia parte politica ai ringraziamenti già espressi rispetto agli interventi dei rappresentanti di Federelettrica e al documento sottoposto alla nostra attenzione, che abbiamo apprezzato per la sua proprietà e precisione.
Al riguardo vorrei chiedere alcuni chiarimenti. Nell'importante comma 5 dell'articolo 9 dello schema di decreto legislativo si parla esplicitamente di «ambiti territoriali contigui». Già prima si accennava ad un'interpretazione estensiva (quella dell'intero territorio della provincia di Brescia); comunque, vorrei sapere se voi abbiate interpretato questa espressione piuttosto ambigua. Si tenga presente che il comma 5 dell'articolo 9 si colloca al di fuori delle indicazioni date dal Parlamento in sede di recepimento della direttiva comunitaria, per cui il punto è abbastanza delicato.
Vi è poi un'altra considerazione. In molti centri italiani non esistono le aziende municipalizzate; qualora i comuni che a suo tempo hanno avuto la fortuna di avere tali aziende riuscissero ad espandere la loro attività, non sarebbe illegittimo da parte degli altri, come quello di Napoli, chiedersi il motivo di questa diversità di situazione. In effetti, non ci sono grandi giustificazioni; essendo una cosa avvenuta a suo tempo, cosa fatta, capo ha.
In ogni caso, la domanda è volta a sapere se esista una interpretazione precisa da parte di Federelettrica dell'ambigua espressione «ambiti territoriali contigui».
Nel precedente articolo 7 si parla di piccole reti isolate, cui si dà un particolare trattamento. Domando: le reti di trasmissione delle aziende Federelettrica sono ritenute tali da ricadere in questo ambito oppure no?
Al comma 4 dell'articolo 9 si prevede che la vendita obbligata da parte dell'Enel alle aziende elettriche municipali, tra l'altro


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in parte in corso di privatizzazione, deve essere fatta ai valori di mercato. Vi è qui un'istanza di maggiore precisazione, ma è difficile legiferare in tale ambito perché intere biblioteche sono dedicate al modo in cui devono essere fatte queste valorizzazioni; il Parlamento ha dato unicamente l'indicazione di non procedere forzosamente. Mi sembra che lo spirito dell'organo legislativo quando ha ritenuto che nelle aggregazioni urbane ci dovesse essere l'unica concessione fosse quello della valorizzazione al fine di consentire il massimo vantaggio al consumatore. Da qui nasce la domanda che tra l'altro in qualche modo è stata vagamente recepita come istanza da chiarire in un breve accenno del professor Del Tin: quali sono, a vostro avviso, le saturazioni delle economie di scala nella distribuzione cittadina? In effetti, il vantaggio per l'utente è la guida fondamentale in queste aggregazioni; possiamo pensare di consentire un obbligo di vendita a carico dell'Enel unicamente in presenza di questo esplicito vantaggio, che nel caso di reti locali di entità modesta non si vede assolutamente come, funzionando ancora presumibilmente le economie di scala, si riesca ad avere con la vendita forzosa. Da qui la disposizione del comma 4, il quale prevede un processo di aggregazione, che ritengo voi consideriate interessante; alcune parole dette dall'ingegner Capra di stima nei confronti dell'Enel fanno capire che nella distribuzione di questo ente ci sono filosofie imprenditoriali le quali, confluendo con le vostre filosofie imprenditoriali di distribuzione, potrebbero essere di effettivo vantaggio per l'utente.

GIOVANNI DEL TIN, Presidente di Federelettrica. Certamente è difficile dare un'interpretazione all'espressione «ambiti territoriali contigui». Quella che io darei è comunque funzionale rispetto ad un certo tipo di obiettivi da raggiungere, quindi non è un'interpretazione di tipo strettamente giuridico: seguendo quanto previsto nello schema di decreto legislativo, tutte le volte che esiste la coesistenza di più servizi a rete, anche se l'ambito territoriale non è contiguo ma l'azienda offre comunque servizi a rete di altro tipo nel comune posto al di là di quello più prossimo, può essere legittimo fare il progetto di acquisizione. Questo è coerente con l'indicazione del Governo contenuta nel documento conclusivo della Conferenza nazionale dell'energia e dell'ambiente, quella di incentivare l'integrazione orizzontale perché in tal modo si favorisce anche l'economicità della gestione, che vuol dire ridurre i costi e quindi avere potenzialmente la capacità di trasferire queste riduzioni sulle tariffe.
Mi sembra che il criterio debba essere di tipo economico, di qualità del servizio nei confronti dell'utenza e, laddove è possibile, anche di ottimizzazione sotto il profilo ambientale. Mi pare che questo possa essere il criterio, certamente contestabilissimo, che attiene alla sostanza.
Per quanto riguarda la situazione dei comuni che dispongono di aziende municipalizzate e di quelli che ne sono privi, la storia passata è quella che è, noi rappresentiamo coloro che hanno queste aziende. Abbiamo anche chiesto in altra sede di consentire collaborazioni con i comuni che non hanno la distribuzione elettrica ma aziende che offrono altri servizi. Comunque, questa è la storia passata; secondo noi nella situazione attuale tale disparità non si elimina facilmente e comunque è importante lavorare per valorizzare quello che c'è e intervenire dove è possibile; tuttavia - ripeto - le circostanze oggi non lo consentono.
In merito ai tratti di linea di alta tensione (superiore ai 220 KWH), le nostre aziende non hanno una posizione univoca, essendoci realtà diverse: credo che alcune non abbiano difficoltà a conferirla nella rete nazionale e che altre, per ragioni tecniche legate essenzialmente alla continuità del servizio, preferiscano mantenerla sotto la gestione aziendale.
Per quanto riguarda il comma 4 dell'articolo 9, ossia i valori di mercato, esistono criteri misti di valutazione, patrimoniale e reddituale, adottati dagli advisor per la quotazione delle nostre aziende, che potrebbero valere anche per


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le reti di distribuzione, ferma restando la loro definizione e l'uniformità metodologica per evitare discriminazioni a livello nazionale.
I vantaggi per il consumatore devono rappresentare l'obiettivo principale della razionalizzazione del sistema: la promozione del pluriservizio garantisce un servizio più efficace all'utenza e la gestione coordinata di più servizi permette di minimizzare i costi e gli impatti ambientali.
L'unicità della concessione a livello comunale crea notevoli vantaggi. Per essere più chiari citerò un esempio: le nostre aziende costituite più di 90 anni fa, fino al 1962 sono state in concorrenza con l'azienda comunale e con i privati con il risultato di una distribuzione a macchia di leopardo, ciò che non corrisponde esattamente a criteri di razionalità. Ancora oggi ad ogni rinnovo di rete, anche di media tensione, si eseguono scavi senza alcun coordinamento degli interventi che invece, se realizzato, consentirebbe di economizzare centinaia di chilometri di rete con risparmi di circa 100 miliardi in un decennio.

ENRICO CERRAI, Presidente dell'AEM di Milano. È chiaro che per la situazione in cui versano le AEM spa di Milano la questione posta con l'articolo 9, comma 4, dello schema di decreto è fondamentale. Lo è sia per la società, sia per il comune azionista, con il 51 per cento, sia per gli azionisti i quali attendono di capire se il mercato della distribuzione di Milano si espanderà pur restando nelle mani di AEM spa. È vero, le dimensioni delle nostre aziende - compresa AEM - rispetto ad ENEL non sono rilevanti, ma i vantaggi locali in ambito urbano possono essere enormi.
Per parlare di liberalizzazione occorre definire innanzitutto dei punti essenziali, come il concetto di scambiare e approvvigionarsi liberamente di energia in termini di economicità, il che comporta che il vettoriamento energetico sia regolamentato in modo tale da non impedire il suo trasferimento se non pagando importi incompatibili. Il punto nodale è il collegamento, il trasporto dell'energia.
L'eventuale spezzettamento dell'ENEL riguarda una valutazione generale e politica oltre che un discorso di ottimizzazione; tuttavia, se vogliamo compiere un passo avanti rispetto ad un principio che sembrerebbe acquisito (la concessione unica sul territorio nazionale e una riduzione sia pur minima del mercato che dal 1962 ad oggi è stato appannaggio dell'ENEL) in direzione della liberalizzazione o, meglio, della generazione di una pluralità di soggetti più significativi, occorre risolvere il problema almeno nelle tre metropoli in cui la rete, in condizioni di obiettiva diseconomia, è divisa in due oltre ad essere a macchia di leopardo, come ha detto il professor Del Tin.
Si può pensare ad un programma nazionale senza espropriare nessuno e valutando in termini di mercato, che unifichi, con un progetto dettagliato, i sistemi di Milano, di Torino e di Roma, per conseguire sinergie, economie, affidabilità e presenza (con ciò unificando la carta dei servizi per esempio di Milano che per metà è in mano ad ENEL). Questo implica avere punti di riferimento certi, regole chiare e ricorrere ad un negoziato per consentire alla società dell'ente locale di acquisire questa parte di asset che, dal punto di vista di ENEL, significa la cessione di un ramo di azienda. Con ciò l'ENEL non è affatto vulnerata, perché sommando la distribuzione delle tre città (Milano, Torino e Roma) potrà distribuire l'80-85 per cento di energia rispetto all'attuale 93 e, elemento non secondario, si sarebbe compiuto un passo avanti nei confronti di un sistema in cui operano più soggetti. Questi ultimi, a loro volta, potranno aggregare realtà più piccole della stessa natura, di origine comunale, generando un nuovo tessuto che si confronta con l'ambito di operatività dell'ENEL. Questo deve essere il ragionamento da sviluppare per il futuro; se invece si continuerà ad insistere in una situazione in cui da una parte vi è l'ENEL e dall'altra le municipalizzate storiche, non si sarà compiuto alcun passo in avanti.


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Avendo intrapreso un percorso diverso non dobbiamo ora fermarci in mezzo al guado; lo dico con una certa preoccupazione perché avendo creduto agli indirizzi del Parlamento per la distribuzione ed il potenziamento delle centrali di produzione, specie di Milano, con il consenso e la benedizione di tutti siamo andati sul mercato borsistico. Una intenzione questa contenuta anche in documenti pubblici perché siamo una società che si è posta nell'ottica della liberalizzazione. Siamo stati creduti al di là delle aspettative tant'è che i reporter parlano di noi come di una azienda vitale che può acquisire sul territorio un mercato crescente e può essere destinataria di ulteriori capitali. Il comune di Milano, detenendo il 51 per cento, ha una capitalizzazione doppia di quella posseduta all'epoca in cui aveva l'intera azienda. Facendo operazioni corrette e senza rubare niente a nessuno, si può rivitalizzare e valorizzare le aziende degli enti locali. Sono lieto di parlare della situazione di Milano perché siamo i più avanzati e non vogliamo essere traditi strada facendo. Per le altre regioni rappresentiamo la punta avanzata perché siamo in Borsa e vogliamo proseguire in coerenza con il sistema.
All'amico di vecchia data onorevole Possa, dico che potremmo parlare a lungo della ricerca e di quella dell'ENEL! Speriamo di far rinascere la ricerca.
Il discorso relativo alle piccole imprese è vero, ma che ne sarà di loro? Se queste aziende saranno multiservizio - e l'esempio di Trani è illuminante - potranno trattare a livello comunale l'estensione della rete, rilevando le reti del gas o dell'acqua; piano piano potranno costruire un tessuto perché sono imprese multiservizio radicate sul territorio, a stretto contatto con i cittadini, il che si sposa con un'altra questione, ossia che il sistema urbano grande produttore di rifiuti solidi urbani deve essere in grado di valorizzare, con l'ausilio dell'azienda locale, una produzione energetica rispettosa dell'ambiente e sicura. Essa deve essere capace di restituire energia ai cittadini senza consumare altre fonti più pregiate, con un bilancio di CO2 meno sfavorevole per l'essere umano. La presenza delle aziende multiservizio sul territorio avrebbe una efficacia ed una sinergia maggiori delle loro stesse dimensioni. Vi ringrazio per l'attenzione.

GIORGIO SOLDADINO, Direttore di Federelettrica. Intervengo per precisare un aspetto all'onorevole Possa. La Federelettrica chiese a suo tempo di poter espandere la nostra presenza nel sud per dare a quell'area geografica la possibilità di costituire società per la distribuzione di energia elettrica.
L'articolo 14 dello schema di decreto indica alcune categorie di operatori cui è conferita la qualifica di cliente idoneo, il che rappresenta una potenzialità da valutare attentamente. Riteniamo che i grandi comuni del sud d'Italia dovrebbero poter costituire società ad hoc da qualificare clienti idonei, capaci di gestire direttamente i contratti di fornitura di energia elettrica. Ho ben presente la realtà del comune di Napoli, il quale, se mette assieme tutti i propri fabbisogni elettrici (le scuole, gli impianti di depurazione e così via) nonché tutta la rete di illuminazione pubblica, può costituire una società ad hoc per la gestione di tutti questi servizi elettrici e può diventare cliente idoneo, quindi può trattare direttamente le forniture di energia elettrica. Queste, a nostro giudizio, possono essere in nuce le future società che in uno sviluppo futuro potrebbero ampliare la loro presenza nel settore elettrico italiano.
Un'ultima considerazione riguarda la qualità ambientale. Secondo me la realtà dell'azienda di Brescia, che ha degli impianti che funzionano a carbone e dei desolforatori, è un esempio magnifico da prendere come punto di riferimento per comprendere cosa una nostra impresa possa realizzare in termini di qualità ambientale. In Giappone ho visitato delle centrali a carbone nelle quali i giapponesi ci facevano entrare con il camice bianco e i guanti bianchi; in questo modo ci mandavano il messaggio secondo cui il carbone era trattato in modo tale da non


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creare problemi. Devo dire che ho vissuto una analoga esperienza nella centrale di Brescia, quindi i giapponesi non sono solo in Giappone ma anche nel nostro paese!

FULVIO VENTO, Presidente dell'ACEA di Roma. Formulerò soltanto alcune brevi osservazioni. La prima riguarda un quesito di carattere generale che più volte è stato sollevato ed al quale preferirei rispondere come rappresentante della confederazione dei servizi. È stata sollecitata la nostra attenzione sul problema del giusto ed ottimale dimensionamento delle aziende di servizio. Mi limito a richiamare la vostra attenzione sul fatto che il provvedimento di cui stiamo discutendo questa sera ha un'intima connessione con altri provvedimenti relativi alla riforma dei servizi pubblici locali, dei quali si sta occupando il Parlamento. In estrema sintesi, la nostra idea è che probabilmente è vero che a livello nazionale esiste una dimensione micro, un eccesso di polverizzazione, cioè troppe aziende di non eccelsa qualità e troppo poche aziende di buona qualità. Il nostro obiettivo strategico è quello non di imitare il modello francese (cioè un mercato sostanzialmente monopolistico, duopolistico od oligopolistico) ma di essere più vicini al modello tedesco, in cui esistono, tanto per dire, un centinaio di buone aziende in grado di competere sul proprio territorio ed anche extra moenia; si tratta di qualificare un pool di eccellenza, partendo dall'assunto che non è un mercato saturo, perché come è noto il Mezzogiorno d'Italia - tema già richiamato da alcuni di voi - esprime una domanda ad oggi profondamente insoddisfatta.
Siamo assolutamente favorevoli ad una forte spinta del Parlamento verso processi di aggregazione della domanda e dell'offerta di servizi pubblici. In questo senso, ci apparirebbe contraddittorio lo «spezzatino» applicato al sistema delle aziende locali nel momento in cui si esclude un eccesso di frammentazione nel caso dell'ENEL. Badate: il fatto che in alcuni casi si vada ad holding multiservizi è estremamente positivo. Quando, ad esempio, in Toscana cinque aziende sane, buone, di quelle che piacciono agli utenti, decidono di unirsi, formano una holding, erogano servizi a 800 mila cittadini oggi, e magari domani si uniscono con Firenze, acquistano massa critica, e ciò consente loro di guardare con maggiore attenzione all'ambiente e alla ricerca, questo è un evento salutare. Che poi per legge si stabilisca se si debba fare la holding e le società operative, probabilmente questa è una forzatura che peraltro sarebbe difficilmente praticabile in modo omogeneo per le aziende degli enti locali, cioè pubbliche, e per quelle private. In quel caso è probabilmente necessaria una certa flessibilità e magari qualche misura di incentivazione più che la cogenza legislativa.
Il terzo richiamo desidero farlo invece nella mia veste di presidente dell'ACEA di Roma. È stata formulata una domanda relativa ai vantaggi per l'utenza. Anche nel nostro caso abbiamo svolto un lavoro congiunto ACEA-ENEL, neutro rispetto alle finalità: comunque finisca la partita, vediamo se effettivamente vi sono vantaggi. Da questo studio, di carattere essenzialmente tecnico, è emerso che in una città come Roma si risparmierebbe una cifra non inferiore ai 300-350 miliardi, si avrebbe un dimezzamento degli scavi necessari per i completamenti e gli adeguamenti della rete, si eviterebbero le macchie di leopardo di cui si è parlato prima. Non voglio esagerare dipingendola come il paese di Bengodi, però sarebbe certamente una situazione con ampi ritorni per il cittadino.
Esprimo un'ultima riflessione. Il caso nostro è analogo, per esempio, a quello dell'azienda di Milano, però è diverso per quanto riguarda le date. Il 22 dicembre, dopo due anni di travaglio, il consiglio comunale di Roma ha partorito una delibera che prevede il collocamento del 49 per cento delle azioni e vincola tale decisione al mantenimento del 51 per cento delle azioni. Ammettiamo che il decreto sia approvato così come è e che quindi rimanga l'articolo che prevede quello strano, curioso meccanismo di transito del patrimonio ENEL con aumento


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di capitale. Di fatto si viene a creare una situazione in cui, almeno su questo ramo di azienda, il comune non ha più il 51 per cento.

GUIDO POSSA. Per qualche mese, per due mesi.

FULVIO VENTO, Presidente dell'ACEA di Roma. Ma si crea una situazione delicatissima, che nella migliore delle ipotesi porta, almeno nel caso nostro, che non è di poco conto, ad un robusto rinvio della data prevista per il collocamento, con danni piuttosto rilevanti per quanto riguarda l'ente proprietario. In questo caso mi permetto di fare il rappresentante non dell'azienda - che è il mio mestiere - bensì dell'ente proprietario, a cui comunque tengo come cittadino romano. Francamente non se ne vedono le ragioni; o meglio, si capisce chiaramente nell'estensione del decreto una finalità giustissima da noi condivisa, cioè la valorizzazione delle aziende degli enti locali, tuttavia lo strumento prescelto probabilmente non è il più idoneo per perseguire quel fine, oppure non è stato sufficientemente valutato che quel tipo di strumento presenta una serie di controindicazioni piuttosto pesanti rispetto alla loro effettiva agibilità.
Aggiungo che è stato chiesto se siano i soliti noti a comprare: è bene che il Parlamento abbia presente che in aziende come quelle di Milano, Torino, Genova, Roma sono state compiute scelte tendenti a privilegiare fortemente l'azionariato diffuso, il modello public company, per cui nel nostro caso credo che si debba considerare che quando si parla di valorizzazione degli enti locali si sta anche sperimentando una forma nuova di capitalismo non familistico applicato al federalismo nei servizi locali.

RUGGERO RUGGERI. Ringrazio anch'io i rappresentanti di Federelettrica per questo incontro che a mio avviso è molto positivo. Mi limiterò ad alcune specifiche domande.
A vostro giudizio, il decreto legislativo cerca di gestire questa prima fase di liberalizzazione, cioè cerca di gestire il rischio - se secondo voi esiste - di assalto alla diligenza? La presenza di un doppio mercato e di un mercato di clienti idonei, di un mercato libero, riduce già nelle vostre municipalizzate, ma anche nell'ENEL, i clienti del 30-40 per cento, perché sono clienti liberi. Esiste quindi un rischio, che riguarda poi i piani di investimento, la rateizzazione dell'acquisto delle reti o delle strutture dell'ENEL?
Vi rivolgo una seconda domanda. Voi avete chiesto di diminuire il vincolo dimensionale dei 100 mila utenti. Noi possiamo considerare soltanto gli utenti di energia elettrica o anche i clienti delle municipalizzate? In quel caso potremmo superare anche questo tetto.
Terza domanda. A vostro giudizio esiste il rischio di svuotare la tariffa unica? Infatti, se esiste un doppio mercato e noi cercheremo di abbassare i vincoli all'entrata nel mercato idoneo, ovviamente il mercato vincolato si ridurrà sempre di più, e la tariffa unica è relativa solo a questo mercato. In definitiva andiamo anche a svuotare un principio di sussidiarietà, obiettivo che è ancora nel cuore di una politica industriale energetica.
Da questo punto di vista, vi chiedo se non sussista anche un rischio da parte delle municipalizzate, per problemi di costi. Sto parlando della prima fase, in cui succederà un po' di tutto (ciò è avvenuto in Gran Bretagna, negli Stati Uniti), in cui magari si presenteranno soggetti senza capacità imprenditoriali ma che avranno energia da vendere. Le municipalizzate non corrono il rischio (l'esempio di Napoli è lampante) di essere soltanto un canale per vendere energia che importiamo? Da aziende di produzione, anche multiservizi, si trasformano cioè in aziende di vendita e basta, in punti di vendita.
Voi avete indicato due punti strategici da rettificare e da inquadrare. Il primo riguarda l'integrazione orizzontale, sul cui venir meno non siete affatto d'accordo, per problemi di efficienza economica, magari di aggancio al tema della domanda.


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Ma esiste anche l'altro punto strategico, concernente i criteri di valutazione dei beni, quindi la necessità di un terzo soggetto. Vi chiedo di suggerire qualche altro criterio da inserire eventualmente nel decreto legislativo.
Per ciò che concerne il controllo, qui si parla del 51 per cento. Secondo voi esiste differenza se nel 49 per cento entrano soggetti che sono enti gestori oppure se vi entrano solo imprese finanziarie? Noi ci preoccupiamo infatti di avere quattrini e di mantenere comunque un controllo (e non abbiamo ancora ben capito di che cosa). Alla fine, nella guerra fra municipalizzate ed ENEL può uscire anche un terzo o un quarto, proprio per quell'idea dei clienti idonei. Immaginiamo di abbassare la soglia del cliente idoneo: sto pensando alle grandi città, dove abbiamo complessi di condomini, dove abbiamo la possibilità che gli attuali clienti diventino liberi ed acquistino dove vogliono, cioè da chi pratica un prezzo inferiore, o addirittura che con lo sviluppo della tecnologia si autoproducano l'energia per le proprie necessità.

SERGIO FUMAGALLI. Mi limiterò a rivolgere quattro semplici domande. Innanzitutto, non ho ritrovato nei documenti la vostra posizione rispetto alla liberalizzazione dell'attività di vendita. Mi piacerebbe sapere come valutate questo aspetto, se ritenete fondate le preoccupazioni di chi ritiene che tale liberalizzazione deresponsabilizzi il venditore rispetto al servizio nei confronti dell'utente e che alla fine tutto si risolverà in un degrado della situazione. Anche nel merito del riassetto del mercato, rispetto ai comuni in cui ci sono due fornitori o due distributori vi sono voci autorevoli secondo cui il cliente finale dovrebbe restare dell'attuale distributore e solo la distribuzione sarà ceduta. Vorrei conoscere il vostro parere in proposito.
Una seconda domanda è attinente al riassetto tariffario. Avete compiuto simulazioni sull'impatto del mantenimento della tariffa unica, richiesta espressamente e in modo tassativo dalla delega al Governo, sui vostri conti? La tariffa unica, a fronte di una disparità geomorfologica di densità elettrica del territorio comporterà inevitabilmente meccanismi di conguaglio; come distributori nelle grandi città servite un territorio prezioso e privilegiato. Siete in grado di fare una simulazione per capire quanto arriverà ad incidere sul vostro conto economico tale onere aggiuntivo rispetto a quello attuale?
Il terzo punto riguarda le città con il doppio distributore. Vorrei conoscere la vostra valutazione, nei comuni in cui le aziende vengono privatizzate, in merito all'ipotesi (che potrebbe risolvere anche il problema della ACEA) che a fronte del possesso transitorio delle azioni venisse riconosciuto all'ENEL un diritto di voto non superiore al massimo previsto dalle regole di privatizzazione, se cioè l'ENEL potesse essere uniformato ad un altro sottoscrittore del capitale azionario delle società privatizzate. Mi pare che l'AEM di Milano abbia posto, in sede di privatizzazione, un limite massimo all'acquisto di azioni per un singolo soggetto. Mi domando se in tale processo possa essere slegata la proprietà delle azioni dal diritto di voto e quest'ultimo possa essere comunque vincolato ad un tetto massimo; comunque la proprietà delle azioni, entro tale tetto, potrebbe essere mantenuta anche oltre i 180, 200 o 300 giorni.
L'ultima questione che desidero affrontare riguarda la ricerca, che attualmente rappresenta un elemento importante ma anche un debito rilevante, soprattutto per l'ENEL; in termini di occupazione, poi, è un grande problema. La ricerca ha quindi una valenza strategica da un lato, ma è anche un onere rilevante dall'altro. A fronte del mutare delle regole, a fronte dell'ipotesi di conferire l'attività di ricerca dell'ENEL ad un'unica società e di chiedere a tutti i soggetti che beneficeranno o entreranno a far parte del nuovo mercato liberalizzato dell'energia, di sottoscrivere quote proporzionali di tale società di ricerca, vorrei conoscere la vostra valutazione e la vostra disponibilità o meno.


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PRESIDENTE. Mi pare che l'onorevole Ruggeri abbia posto più direttamente quello che rappresenta il problema politico. Siamo in una sede squisitamente politica - Camera dei deputati e Senato della Repubblica -; mi chiedo allora (è una domanda volta a comprendere) quale sia la differenza nella gestione delle vostre aziende, fermo restando quello che ci diranno i vostri colleghi che parteciperanno all'audizione dopo di voi, esponenti delle aziende private. Cosa vuol dire oggi essere azienda municipalizzata? Ha senso oppure non lo ha più?

GIOVANNI DEL TIN, Presidente di Federelettrica. Le domande poste dall'onorevole Ruggeri sono piuttosto articolate e considerata la ristrettezza dei tempi a nostra disposizione mi limiterò a rispondere in modo molto sintetico; ho comunque preso nota di tutte le osservazioni e potremo fornire successivamente alle Commissioni risposte più puntuali.
Per quanto riguarda «l'assalto alla diligenza» ritengo che in questa fase lo schema di decreto e i provvedimenti conseguenti che dovranno essere assunti non prefigurino un eventualità di questo tipo.
Rispetto alla questione dei clienti idonei, in questo momento, per le nostre aziende, essi non sono una grande preoccupazione ma un obiettivo interessante da raggiungere; non dobbiamo comunque dimenticare che nelle aree urbane del nord abbiamo registrato una forte delocalizzazione industriale. Quelli che erano clienti idonei all'interno della cinta daziaria in questi ultimi anni si sono spostati all'esterno e li abbiamo quindi persi come clienti. La questione in questo momento non deve preoccupare; quello di acquisirli deve rappresentare un incentivo, ma abbiamo attualmente un numero di clienti idonei molto limitato. Diventa largamente predominante, ma in misura non certamente paragonabile, la quantità dei clienti obbligati, essenzialmente di quelli domestici.
Per quanto riguarda il vincolo dei 100 mila utenti ha senso, per le pluriservizi, fare una considerazione rispetto non solo all'utente elettrico, ma anche a quello dei diversi servizi gestiti.
Un altro punto trattato è quello della tariffa unica. Ritengo che la gestione della tariffa unica a livello nazionale in questa fase non sia un problema; se vi sarà una regolamentazione non credo che in questo processo di avviamento a regime vi saranno problemi per il mantenimento. Per potersi però pronunciare sulla questione è certamente importante disporre di indicazioni più precise da parte dell'autorità.
Sono poi convinto che per le nostre imprese, soprattutto piccole e medie, sia importante un'operazione di coordinamento. Credo sia anche interessante un'opera di tutoraggio anche nei confronti di quelle aziende che stanno crescendo a livello locale. Le opportunità che la legge ci offre in questo caso dovranno essere perseguite; a tale proposito ritengo che il supporto delle nostre aziende funzionanti possa avere una certa utilità.
Condividiamo, come si è detto, l'integrazione orizzontale. I criteri di valutazione dei beni possono certamente essere diversi. Gli advisor delle nostre imprese hanno finora utilizzato un metodo ritenuto il più affidabile, quello della valutazione reddituale e patrimoniale. È questo uno dei problemi da valutare.
Un'osservazione riguardava il controllo del 49 per cento. Nell'impostazione data fino ad ora tutte le realtà trasformate in società per azioni prevedono il mantenimento del 51 per cento; il 49 per cento è rappresentato da azionariato diffuso con i limiti di possesso di azioni che sono stati stabiliti a Milano e a Roma. A Torino la situazione è diversa e si prevede di destinare il 25 per cento all'azionariato diffuso (il minimo flottante consentito) e il 23 per cento ad un partner industriale e non finanziario. Ritengo che questa sia una delle soluzioni possibili. So di non aver risposto in modo completo a tutte le questioni poste, ma ribadisco il nostro impegno a fornire in un secondo momento osservazioni più precise e dettagliate.


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Quanto alla questione posta dall'onorevole Fumagalli in merito alla liberalizzazione dell'attività di vendita devo dire che è stata divisa la fornitura in distribuzione (che resta un monopolio naturale) dalla vendita. Credo che il processo di liberalizzazione della vendita sarà lento, ma che tendenzialmente si andrà in quella direzione.
Per quanto riguarda le simulazioni alle quali ha accennato, non me la sento di dare una risposta per due diverse ragioni. Innanzitutto perché sulle tariffe abbiamo bisogno di una definizione puntuale dei contributi alla tariffa totale dovuti a generazione, trasporto, distribuzione e così via; in secondo luogo, sui costi di distribuzione abbiamo constatato che le diverse realtà hanno situazioni significativamente diverse (stiamo anche studiando i motivi di tale diversità nell'ambito della nostra esperienza ed in confronto con quella dell'ENEL). La varietà di situazioni non consente quindi di fornire una risposta univoca.
È poi importantissimo per lo sviluppo tecnologico che in Italia venga mantenuta un efficiente attività di ricerca. Ritengo sia utile pensare ad un ente di ricerca, come avviene per esempio negli Stati Uniti, cui partecipino tutti coloro che si occupano di energia elettrica; si tratta a mio avviso di una proposta da accogliere e da valutare positivamente.
Il presidente ha poi chiesto quale differenza vi sia tra la gestione di una azienda municipalizzata e quella di una azienda privata. Ho verificato la differenza esistente tra la gestione di un'azienda municipalizzata e quella di una società per azioni; la gestione di quest'ultima consente al consiglio di amministrazione e al manager in generale una maggiore libertà di azione. Nel nostro caso questa maggiore libertà di azione è sempre condizionata dalla natura del proprietario; la nostra missione è in fondo quella di gestire un servizio tenendo conto della soddisfazione dell'utenza. Non dobbiamo dimenticare infatti che i nostri utenti sono anche elettori comunali, concetto che le nostre proprietà hanno ben presente. Inoltre, ogni gestore delle aziende municipalizzate sa che l'utile che deriva da una buona gestione verrà, fatto salvo il 5 per cento di cui a riserva di legge, incamerato dall'ente proprietario. Questa è una caratteristica che oggi, con l'attuale situazione delle spa, ciascuno di noi ha presente. Quando nella compagine azionaria entreranno soggetti terzi, non credo che cambieranno sostanzialmente gli obiettivi di gestione manageriale, se sono ad un buon livello; certamente cambierà il modo di ripartire gli utili. L'effetto della compresenza di altri azionisti si farà sicuramente sentire, questo è evidente. La nostra cultura, oggi, è che comunque quello che si raggiunge come obiettivo è un obiettivo che soddisfa le esigenze dell'ente proprietario. Questo non si discute.

ENRICO CERRAI, Presidente dell'AEM di Milano. Effettivamente il meccanismo più semplice (possiamo anche dire teorico) per raggiungere l'accorpamento delle due mezze reti e la gestione ed il possesso unico sotto una sola concessione (e, noi diciamo, sotto la responsabilità della società e dell'ente locale) è, come si è detto, quello per il quale l'ENEL dismette un ramo d'impresa, con tutte le regole del gioco e le adeguate valutazioni, e lo vende. L'alternativa a cui si fa cenno (credo che l'onorevole Fumagalli si sia riferito a questo) è quella di un conferimento. Nel momento in cui il patrimonio viene conferito, si vede in quale società ciò avviene. Nella multiservizi attuale (la AEM attuale), con il gas, la produzione, la distribuzione, il teleriscaldamento, le attività di servizio, viene conferito un patrimonio di dimensioni tali da squilibrare (anche al livello in cui siamo nel «malloppone») la distribuzione del possesso del capitale, il quale viene squilibrato immediatamente fuori dai limiti statutari, perché lo statuto consente il 6 per cento di possesso e non più del 5 per cento di voto, tranne che per il comune di Milano, che può avere il 51 per cento e votare per il 51 per cento.
Ciò significherebbe modificare lo statuto risalendo all'atto costitutivo, figlio di una delibera del consiglio comunale secondo


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la quale in base alla legge n. 142 si realizza una spa con il 51 per cento, cioè mantenendo la maggioranza dell'ente locale. Questo è un meccanismo che certamente, se fosse proposto anche in assemblea, solleverebbe obiezioni da parte di molti azionisti, perché in un certo senso cambia le carte in tavola. Essi infatti chiederebbero perché l'ENEL deve fare questo piccolo andirivieni creando squilibrio. D'altro canto, anche affermare che un ente come l'ENEL entra con un conferimento di quella portata e poi vota solo per una «fettina» probabilmente non è neppure legittimo. È difficile sostenere questo perché si potrebbe dire, allora, di cambiare lo statuto e di far votare tutti per quello che hanno; vi sarebbero infatti sicuramente altre componenti che avrebbero la possibilità di arrivare al 6 per cento. Quindi, si tratta di un meccanismo che può essere studiato ma che è molto difficile da attuare.
Quanto a come cambia la gestione, posso aggiungere qualcosa, perché siamo giunti ad un altro stadio, e non è soltanto la società che è diventata spa. Tra l'altro, le nostre società hanno ereditato i consigli di amministrazione. A Brescia è stato nominato un consiglio di amministrazione nuovo non appena si è creata la spa, mantenendo però come presidente Renzo Capra e con l'ingresso di qualche nuovo componente. Non credo tuttavia che la situazione sia stata grandemente turbata. Il problema ancora una volta (mi scuso se parlo per noi milanesi) è questo. Il consiglio di amministrazione in essere è quello che ha portato al terzo esercizio e il codice civile consente ai consigli di amministrazione delle spa di rimanere in carica solo tre anni, quindi tre esercizi. Pertanto, esso deve presentarsi alla prossima assemblea di aprile con la proposta di bilancio e con la rimessione del mandato affinché siano nominati i nuovi consiglieri. In questo momento, dato che lo statuto stabilisce che chi ha la maggioranza del comune abbia quattro consiglieri su un totale di sette, gli altri devono nominarne tre, che saranno eletti con voti di liste nell'assemblea. Per rispondere anche alla giusta osservazione del presidente sulla gestione, gli altri tre consiglieri che escono dall'assemblea (quattro sono di fiducia dell'ente locale) vengono eletti da un insieme di azionisti e, al limite, quelli che hanno più azioni possono votare per il 5 per cento. Le associazioni dei piccoli azionisti stanno già sommando le loro azioni. Quindi, il meccanismo dell'azionariato diffuso apre in Italia la strada ad esperienze nuove. L'idea di andare in assemblea senza un consiglio preconfezionato, di fare le elezioni dopo la pubblicazione sui giornali delle liste e di vedere come si scelgono i consiglieri è una grande novità.
È difficile dire, quindi, come cambia la gestione. Quello che possiamo dire noi, che proveniamo dalla matrice dell'ente (sono in AEM da quasi 25 anni), è che queste società, comunque siano, sono società di servizio pubblico, di interesse pubblico, in cui è prioritario il servizio universale, la garanzia per l'utente, l'affidabilità, il rispetto dell'ambiente. Quest'anno abbiamo anche predisposto un bilancio ambientale ( se vi interessa, ve lo faremo avere), come hanno fatto del resto molte nostre società. Questo, insieme al vincolo che siamo sotto la sorveglianza dell'autorità, sotto la carta dei servizi e sotto le associazioni dei consumatori (che oggi hanno voce in capitolo molto più di prima), comporta che certamente non si può scherzare.
Un altro aspetto è che le tariffe sono sottoposte all'analisi dell'autorità, quindi non si può scherzare neanche su questo. Il problema, dunque, non è che il cittadino viene derubato o deve comperare l'energia sotto ricatto; il cittadino del mercato vincolato continuerà a comprare energia alle tariffe stabilite dopo l'analisi dell'autorità.
Il mercato libero si amplia se l'energia è più conveniente, non solo in termini di prezzo ma anche in termini di qualità. Non può allora esserci uno «scalzacani» qualunque che offre ad un utente un'energia non pregiata, non regolata, non garantita: l'energia deve avere delle caratteristiche molto complesse di stabilità, affidabilità, continuità, flessibilità e disponibilità


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a rispondere al carico con una certa rapidità. Ecco qual è il vantaggio dei bacini idroelettrici.
Per la ricerca l'Italia è stata un esempio formidabile, perché alla fine del 1949 le società elettriche, insieme con società inizialmente private ma dopo poco pubbliche e con società chimiche e meccaniche di grosso nome, fondarono una società di ricerca (l'onorevole Guido Possa la conosce benissimo perché vi abbiamo operato insieme per decenni), il CISE (centro informazioni studi esperienze), per gli studi sull'energia. È stato il laboratorio di avanguardia che ha prodotto, nel campo delle tecnologie energetiche e ambientali, le cose migliori, insieme a tecnologie di tipo elettronico e spaziale. L'ENEL, subentrata alle società elettriche nel 1992-1993, ha acquisito nel 1994 la partecipazione del CISE, che è stato dell'ENEL insieme con il comune di Milano e con l'AEM di Milano. Purtroppo, a questo punto l'ENEL ha fatto uscire i soci e sta valutando che cosa fare del CISE. Io personalmente (aderisco quindi senz'altro al discorso che è stato fatto) ho suggerito più volte che un gruppo di noi proponga di resuscitare la società CISE (che a Segrate ha ancora delle installazioni, che abbiamo sudato per mettere in piedi), affinché sia un patrimonio di tutti. L'AEM spa è affidata a Lepri, a cui dà qualche miliardo per ricevere quello che riceve. Questo è tutt'altro che spregevole, però avrebbe potuto essere affiliata al CISE, di cui era socia e al quale chiedeva anche di partecipare al capitale con qualche percentuale in più.
Vi ringrazio comunque per il suggerimento, che raccogliamo e di cui faremo motivo per avanzare una proposta.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

MARIO LUCIO BARRAL. Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori. Per equità nei confronti di tutti e visto che la prima audizione si è protratta per due ore e venti minuti, ritengo che l'Unapace, per motivi di democrazia e di opportunità dovrebbe poter disporre di un tempo analogo. Quindi, o le Commissioni sono d'accordo a svolgere l'audizione per lo stesso tempo oppure propongo, se i rappresentanti dell'Unapace sono d'accordo, di rinviarla ad altra data, anche perché l'ora è tarda, siamo stanchi e molti colleghi sono già andati via. In tal modo i nostri ospiti avrebbero la possibilità di essere ascoltati con la dignità che meritano.

RUGGERO RUGGERI. Per quanto riguarda la distribuzione dei tempi, ritengo che potremmo cercare di autolimitare i nostri interventi. Tra l'altro, mi sembra che nella prima audizione tutti i colleghi si siano limitati a porre solo delle domande. Sono quindi favorevole allo svolgimento dell'audizione.

LEONARDO CAPONI. Presidente della 10a Commissione del Senato. Sono presidente della Commissione industria del Senato da due anni e mezzo e, a memoria d'uomo e di atti parlamentari, non sono stati mai stabiliti tempi uguali per le audizioni. Le audizioni durano quanto è necessario. Mi scusi la franchezza, onorevole Barral, ma la sua mi sembra una proposta non condivisibile perché, ripeto, la durata delle audizioni dipende dalle esigenze che emergono dalla discussione.

MARIO LUCIO BARRAL. Ho fatto solo una proposta!

LEONARDO CAPONI. Presidente della 10a Commissione del Senato. Nelle audizioni possono esserci degli argomenti che meritano qualche minuto di più ed altri che meritano qualche minuto di meno, per cui si procede in base a questo. Se stabilissimo un tempo predeterminato uguale per tutti, probabilmente, pur mettendo gli auditi su uno stesso piano di rispettabilità e di autorevolezza, concederemo qualche minuto in più magari a chi, non per la sua figura ma per il tema trattato, «non se lo merita» e qualche minuto in meno a chi invece dovrebbe avere maggiore spazio.


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Non mi porrei quindi un problema di questa natura, andrei avanti, anche perché sono quasi le 23.

PRESIDENTE. Mi pare che sia stata avanzata la proposta di continuare e che lo stesso presidente della Commissione del Senato abbia questo orientamento. Altri colleghi, invece, propongono di rinviare; naturalmente bisogna verificare anche la disponibilità dei nostri ospiti, ascoltare il parere delle persone che hanno aspettato fino ad ora, che ringrazio e alle quali rivolgo le nostre scuse.

MAURIZIO MIGLIAVACCA. Mi riallaccio a quello che diceva poc'anzi il presidente Caponi. Credo che in astratto il suo ragionamento sia fondato, ma che nel concreto si debba valutare anche il fatto che diamo inizio alla seconda audizione ad un'ora così tarda - sono le 23 - e con una presenza dimezzata da parte dei membri delle Commissioni.
Non sono contrario a proseguire ora; affermo che quanto è capitato questa sera impone, visto che probabilmente saremo costretti a un tour de force del genere, la fissazione di alcune regole. Nella condizione concreta in cui siamo costretti ad operare, credo che si debba stabilire il principio per cui ogni audizione deve essere posta nelle condizioni di svolgersi alla presenza dei membri delle Commissioni, in un orario accettabile, in modo tale che tutti gli interlocutori abbiamo grosso modo le stesse opportunità.

MARIO LUCIO BARRAL. Oltretutto questo non è un primo precedente. Se al Senato avete altri comportamenti, qui alla Camera non è così!

PRESIDENTE. Domani sera le due Commissioni ascolteranno al Senato l'associazione dei consumatori, un solo organismo, per cui probabilmente il problema si porrà in misura minore. Oggi si è configurato più seriamente perché i lavori della prima audizione si sono protratti più del previsto; d'altra parte, era difficile anche dal punto di vista della nostra conoscenza, essendo presenti i presidenti di alcune importantissime aziende ex municipalizzate, interrompere i lavori (non ho ritenuto opportuno farlo). Sono le 23.

EDO ROSSI. Vorrei avanzare una proposta di mediazione

PRESIDENTE. È strano che l'onorevole Rossi avanzi una simile proposta! Lo ascoltiamo con estremo interesse.

EDO ROSSI. Ho sempre fatto proposte di buon senso.

PRESIDENTE. Non mi permetterei mai di discutere il buon senso; mi riferivo alla mediazione.

EDO ROSSI. La mia è una proposta di mediazione perché tutte e due le esigenze sono legittime: bisognerebbe sentire i diretti interessati per verificare se nella serata di domani sarebbe possibile svolgere l'una e l'altra audizione, sapendo però che non potremo farli aspettare un'ora e mezza. Forse domani sera nel corso dell'audizione dei consumatori l'interesse sarà minore, per cui anche i nostri interventi saranno più brevi.

GIUSEPPE GATTI, Presidente di Unipace. Siamo a disposizione della Commissione.

PRESIDENTE. La proposta di mediazione dell'onorevole Rossi mi sembra seria, lo dico con grande piacere.

MARIO LUCIO BARRAL. Non sono un mediatore, ma ho l'impressione che l'onorevole Rossi abbia avanzato la mia stessa proposta!

LEONARDO CAPONI. Presidente della 10a Commissione del Senato. Allora, avanzo una ulteriore proposta di mediazione: direi di iniziare l'audizione ed ascoltare i nostri ospiti; poi, anche sulla base della loro esposizione e di alcuni primi interventi, valuteremo se sarà possibile andare fino in fondo questa sera o


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se risulterà opportuno aggiornare i nostri lavori. Cominciamo, poi valuteremo strada facendo!

GUIDO POSSA. Mi associo alla proposta del presidente.

ROCCO LARIZZA. Il problema è capire a che cosa servono le audizioni. Poiché abbiamo svolto una riunione preparatoria delle due Commissioni, credo che sia interesse prevalente - non me ne vogliano i colleghi - ascoltare le eventuali proposte di modifica allo schema di decreto legislativo che i nostri interlocutori intendono produrre, sollecitando eventuali delucidazioni su aspetti non chiari. Questa sera abbiamo svolto un convegno! Sono stati illustrati i dettagli della gestione delle aziende municipalizzate; se qualcuno di noi è interessato, può andare dal presidente dell'azienda e farseli spiegare, ma ritengo sia sbagliato svolgere in questo modo i lavori delle Commissioni.
Quello che è stato è stato. Condivido la proposta di avviare questa sera la seconda audizione; valuteremo se il tempo sarà sufficiente, altrimenti ci aggiorneremo. Spero tuttavia che le successive sedute abbiano un andamento un po' diverso da quello dell'audizione appena conclusa, che era indubbiamente interessante; non voglio sottovalutarla, ma ritengo sia stata sviluppata in modo eccessivo rispetto all'obiettivo da perseguire.

PRESIDENTE. Mi permetto di dissentire totalmente dalla sua impostazione.
Ritengo opportuno, sulla base delle considerazioni espresse, che l'audizione dei rappresentanti di Unapace abbia inizio.

Audizione di rappresentanti di Unapace.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul riassetto del mercato elettrico, in vista dell'esame dello schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 96/92/CEE, l'audizione dei rappresentanti di Unapace.
Do immediatamente la parola al presidente di Unapace, Giuseppe Gatti.

GIUSEPPE GATTI, Presidente di Unapace. Desidero anzitutto precisare che sono con me presenti il dottor De Luca, direttore generale, e l'ingegner Livrieri, direttore tecnico dell'associazione.
Vorrei ringraziare in termini non formali i presidenti delle Commissioni e le Commissioni stesse per aver offerto ad Unapace, che unisce circa 200 produttori industriali italiani di energia elettrica che garantiscono oltre il 20 per cento della produzione nazionale, la possibilità di esporre le proprie valutazioni e le proprie proposte in ordine alla riforma del sistema elettrico italiano in attuazione della direttiva comunitaria 96/92.
Non è un ringraziamento formale, perché riteniamo di grande rilievo questa occasione per esprimere in una sede istituzionale il nostro giudizio e cercare di offrire il nostro contributo. Spero che questa occasione non sia neppure l'ultima, che possa soprattutto svilupparsi quel confronto diretto con il Governo, che a nostro giudizio è stato largamente insufficiente in tale prima fase di predisposizione dello schema di decreto legislativo e potrebbe contribuire a migliorarne quanto meno la formulazione tecnica, rendendo più efficace l'impianto normativo proprio in ordine agli obiettivi che il Governo stesso si propone.
È abbastanza singolare che non vi sia una grande distanza tra le nostre posizioni e quelle dell'Esecutivo rispetto alle intenzioni e alle finalità; pur non trovandoci assolutamente lontani negli obiettivi e nelle finalità, dobbiamo sollevare una serie di rilievi critici su alcuni punti nodali del testo predisposto dal Consiglio dei ministri.
Credo a questo riguardo che se la concertazione con il Governo fosse stata più intensa e approfondita, le critiche


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sarebbero minori e soprattutto avremo un testo più funzionale agli stessi obiettivi del Governo.
Premetto ancora che quando parliamo di concertazione non intendiamo riferirci ad una pratica neocorporativa in cui ciascuna componente trovi soddisfazione ai propri interessi, ma un metodo in cui Parlamento e Governo, esercitando le proprie responsabilità, definiscono le scelte politiche e concordano poi con le parti sociali modalità e percorsi per il raggiungimento degli obiettivi che gli organi politici hanno deciso.
Questo secondo momento di definizione dei percorsi e degli strumenti è stato sinora carente, ma credo possa cominciare ad esprimersi a partire proprio da tale audizione.
Come dicevo, rispetto agli obiettivi vi è larga concordanza con gli intendimenti del Governo. Innanzitutto anche noi pensiamo, per usare una espressione più volte utilizzata dal ministro Bersani, che la riforma del sistema elettrico non debba essere fatta contro qualcuno. Non pensiamo in sostanza ad una controriforma rispetto alla nazionalizzazione del sistema elettrico, da cui è nato l'ENEL, ente pubblico economico.
Molto semplicemente 36 anni ci separano da quel momento, che aveva le sue ragioni, le quali però ormai, a nostro avviso, si sono pienamente compiute. Molti di noi, a partire da chi vi parla, sono stati convinti fautori della nazionalizzazione dell'energia elettrica, per almeno tre essenziali motivi: garantire l'universalità del servizio, assicurare l'interconnessione delle reti e - non ultimo - sconfiggere un oligopolio che utilizzava la propria forza economica per esercitare una pesante interferenza politica priva di legittimazione democratica.
Nei primi anni sessanta la nazionalizzazione e l'intervento pubblico erano, a mio avviso, le risposte necessarie ad un processo di crescita sociale ed economica del nostro paese.
Del resto, vorrei precisare che Unapace non è l'erede delle società elettro-commerciali degli anni cinquanta. Al di là dei nomi che a volte ritornano per le vicende societarie, l'Unapace (che nasce nel 1946 in rappresentanza degli autoproduttori e dei grandi consumatori) già a quel tempo era antagonista di quella che era la Edison di allora, della SADE, della Romana Elettricità, della SME, della SIP, di quelli che Ernesto Rossi chiamò «baroni dell'elettricità».
Oggi l'elettrificazione del paese è da tempo compiuta, il servizio è universale, il radicamento democratico del sistema politico è sufficientemente robusto anche rispetto ai cosiddetti poteri forti, per cui è giunto il momento di riconsiderare le ragioni storiche che hanno indotto al monopolio pubblico ed all'assetto del sistema elettrico che ne è conseguito.
Credo in sostanza che, indipendentemente dall'obbligo che ci deriva dall'appartenenza all'Europa e quindi dal dover dare attuazione alla direttiva del Consiglio e del Parlamento europeo del dicembre del 1996, dobbiamo considerare se oggi sia più funzionale ad una prospettiva di sviluppo del nostro paese mantenere un assetto monopolistico o entrare in un sistema di mercato concorrenziale, regolato e tutelato da autorità indipendenti e forti, in grado di migliorare il posizionamento competitivo del nostro sistema industriale, che in molti comparti risente in misura determinante dei costi dell'energia, sia essa l'elettricità o il gas.
Questa, del resto, è una delle motivazioni di fondo della direttiva europea 96/92, insieme con quella di creare un mercato interno integrato dell'energia (anche qui dell'elettricità e del gas).
Dobbiamo peraltro notare - vorrei sottolineare questo punto con forza - come nel breve-medio periodo questo specifico obiettivo della direttiva, la creazione cioè di un mercato europeo dell'energia elettrica, non sia di fatto raggiungibile, per la debolezza del sistema infrastrutturale di interconnessione tra i diversi sistemi elettrici nazionali, oltreché per le politiche energetiche sinora seguite dai diversi paesi. Soltanto per offrirvi un dato, nel 1997 l'interscambio europeo di


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energia elettrica non ha superato il 7 per cento dei consumi interni all'Unione.
L'Italia, che dopo aver abbandonato il nucleare è tra i paesi che più importano energia elettrica dall'estero (e soprattutto da fonte nucleare), ha un interscambio relativamente elevato, che comunque non supera il 14 per cento del suo consumo interno. L'obiettivo di un mercato europeo è affidato ad un potenziamento degli elettrodotti di interconnessione che, quand'anche venga deciso rapidamente, richiede anni per essere realizzato e dunque nell'orizzonte davanti a noi abbiamo ancora mercati nazionali, separati tra loro e da rendere concorrenziali ad uno ad uno, senza farsi confondere da fallaci confronti internazionali. In altre parole, quello dell'energia elettrica non è e non sarà un mercato globalizzato ancora per molti anni.
La liberalizzazione dei mercati deve quindi riguardare innanzitutto ogni singolo mercato, senza sperare che possa esservi una concorrenza a livello europeo in grado di eliminare le posizioni dominanti che si sono storicamente costituite all'interno di ciascun paese.
Sotto questo profilo vi è da parte nostra un apprezzamento per la posizione espressa prima dal governo Prodi e ripresa dal Ministero D'Alema per ristabilire una corretta sequenza tra liberalizzazione e privatizzazione. Anzitutto liberalizzazione e regolazione e poi si discuterà di privatizzazione. Non siamo certo noi - vorrei fosse chiaro - a volere il subentrare di monopoli privati a monopoli pubblici e quindi non poniamo come un prius la privatizzazione dell'ENEL, ma un assetto competitivo di tutto il sistema elettrico, dalla generazione alla vendita, attraverso la distribuzione.
Venendo ora più direttamente allo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri, dobbiamo anzitutto chiederci quanto le sue disposizioni siano funzionali ad introdurre un sistema compiutamente competitivo nelle diverse fasi del servizio elettrico.
Una prima obiezione riguarda l'appesantimento di obbligazioni procedurali e burocratiche. Sono previsti oltre 70 adempimenti (con tempi il più delle volte incerti), sicché la data di effettiva entrata a regime del nuovo sistema, nella migliore delle ipotesi, si colloca tra il 2001 ed il 2003. Una transizione a nostro avviso troppo lunga e soprattutto incerta nelle scadenze iniziali, anche perché non è oggi determinabile quando si cominci ad avere un inizio di sistema effettivamente concorrenziale.
Un esempio per tutti: pur essendo definiti con estrema chiarezza nel decreto i requisiti per essere cliente idoneo, sarebbe necessaria una declaratoria dell'autorità dell'energia elettrica e il gas per ottenere questo riconoscimento, quando utilizzando la cosiddetta legge Bassanini potrebbe essere sufficiente un'autocertificazione, essendo chiaramente comprovabili i consumi necessari per accedere alla soglia di idoneità. Se si raggiungono i 30 GWH all'anno, questo risulta chiaramente dagli adempimenti fiscali, dalle bollette, dalla fatturazione dell'ENEL; non comprendiamo la necessità di un'ulteriore declaratoria dell'autorità.
Uno sfrondamento di inutili appesantimenti burocratici ed una semplificazione delle procedure è il primo intervento di miglioramento del decreto che riteniamo essenziale.
Nell'ambito di una semplificazione e razionalizzazione degli adempimenti e delle procedure si colloca anche una più funzionale ripartizione delle competenze e delle attribuzioni tra ministero, in particolare quello dell'industria, ed autorità di regolazione, che si presenta nel testo attuale alquanto casuale e sovente ridondante (decreti ministeriali su proposta dell'autorità).
Mentre si sono assegnati all'Autorità compiti francamente inutili appesantendo le sue incombenze - un solo esempio: affidare all'Autorità l'adozione di regole tecniche «in materia di progettazione e funzionamento degli impianti di generazione» quando le direttive europee e la legislazione nazionale assegnano la regolamentazione tecnica agli enti di normazione e quindi, per l'Italia, ad UNI e CEI


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-, non si è sufficientemente considerato che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas è stata istituita nel 1995, in un contesto ancora pienamente monopolistico, e che il passaggio ad un assetto competitivo richiederebbe una più precisa definizione del suo ruolo di regolazione, con il conferimento di adeguate competenze per incidere sugli assetti di un mercato in divenire.
La configurazione attuale dell'Autorità, con poteri forti in materia tariffaria - perché derivanti dalle precedenti competenze del Comitato interministeriale dei prezzi - e deboli e incerti nella regolazione degli assetti, non è la più idonea a gestire la transizione dal monopolio alla concorrenza contrastando ogni possibile passaggio alla collusione oligopolista. Per citare un esempio, ricordo che nel 1996 l'Autorità inglese ha imposto alle due principali produttrici di energia elettrica di dismettere rispettivamente 4 mila e 2 mila megawatt perché ritenute in posizione dominante. Questa è una Autorità in grado di incidere sugli assetti del mercato!
Quanto alla struttura del nuovo sistema elettrico che si ricava dallo schema di decreto, rinuncio a ritornare ancora una volta sulla figura dell'acquirente unico. È stata questa una scelta del Parlamento di cui continuiamo a non comprendere ragioni e finalità, che rischia da un lato di ridurre e mortificare l'imprenditorialità delle imprese elettriche degli enti locali, e dall'altro di essere prigionieri della società di vendita derivata dall'ENEL, che acquisterà oltre il 90 per cento dell'energia di cui l'acquirente unico si approvvigionerà. E un fornitore che dipende per il 90 per cento da un solo cliente è tutto fuorché un soggetto libero. Come ho già affermato, rinuncio a ritornare ancora una volta sulla figura dell'acquirente unico perché accetto la decisione del Parlamento.
Per dare un minimo di ruolo a questa figura, che altrimenti rimane una ridondanza che appesantisce inutilmente il sistema, si stabilisca almeno che i contratti con i produttori debbono essere stipulati sulla base di gare e che prima dell'entrata in funzione dell'operatore del mercato, cioè della Borsa elettrica, tali contratti hanno durata non superiore all'anno, in modo da non compromettere l'applicazione dell'ordine di merito economico nella selezione degli impianti.
Su tre punti dobbiamo invece ritornare, per la rilevanza che presentano ai fini prima del passaggio ad un sistema elettrico effettivamente competitivo e poi della sua funzionalità. Mi riferisco alle questioni della rete, della capacità produttiva o - se si preferisce - della concorrenza sul versante dell'offerta e infine della Borsa elettrica.
Quanto all'assetto della rete di trasmissione, la distinzione proposta tra il gestore della rete ed il suo proprietario introduce una complicazione non necessaria e lascia spazio ad un futuro contenzioso tra gestione e proprietà in ordine soprattutto allo sviluppo e quindi ai nuovi investimenti sulla rete, che compromette il primo obiettivo della direttiva europea, quello di creare un mercato integrato dell'energia elettrica a livello dell'Unione europea. Questo mercato interno richiede un rapido e sostenuto potenziamento delle strutture di interconnessione, e se anche il gestore della rete assume come proprio questo obiettivo, quale interesse avrà mai un proprietario come l'ENEL a potenziare infrastrutture che favoriranno anzitutto i suoi competitori ed abbasseranno una delle barriere all'ingresso sul mercato elettrico?
Non vi erano da parte nostra astratte ragioni ideologiche nel chiedere che proprietà e gestione rimanessero integrate e rispondessero ad un'unica responsabilità imprenditoriale, ma concrete ragioni di coerenza, linearità e funzionalità di sistema.
A sostegno della separazione si è portato ad esempio il modello californiano, che prevede appunto l'Indipendent System Operator (ISO) con responsabilità gestionali separate dalla proprietà della rete. A prescindere dalle perplessità che anche negli Stati Uniti hanno accompagnato questa scelta (compiuta nel 1994, ma


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ratificata dalla FERC, ossia l'Autorità federale americana, solo nel 1997) si deve notare come le condizioni strutturali del sistema elettrico della California siano diverse da quelle italiane almeno sotto tre decisivi profili: innanzitutto la proprietà della rete di trasmissione è suddivisa tra più soggetti e per lo più fa capo alle tre principali utilities californiane. L'ISO è quindi difficilmente «catturabile» ed è più forte nella sua dialettica con la proprietà proprio perché questa non è unica; il secondo profilo è rappresentato dalla capacità produttiva che è suddivisa tra un numero elevato di produttori, nessuno dei quali supera il 9 per cento del totale dello Stato.
Per farvi comprendere meglio la situazione, mi gioverò anche della proiezione di alcuni prospetti.

PRESIDENTE. I prospetti che il dottor Gatti si accinge ad illustrare saranno pubblicati in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.

GIUSEPPE GATTI, Presidente di Unapace. Nella prima diapositiva il 21 per cento rappresenta l'insieme degli Indipendent power producer e degli impianti da fonti rinnovabili (diverse decine di operatori sono raggruppati in quella percentuale); il 17 per cento rappresenta tutte le altre utilities locali minori, che sono estremamente numerose; per i soggetti industriali si va dal 3 al 9 per cento di capacità produttiva dislocata in ciascuno di essi.
Infine, la Borsa elettrica (Power Exchange) è stata istituita contestualmente al gestore della rete e rappresenta un passaggio obbligato per i produttori californiani, per i clienti e per le utilities, senza dispacciamento passante e senza acquirente unico.
Se vogliamo fare i californiani, dobbiamo farlo sul serio oppure non parliamo di California!
Qualora anche il Parlamento voglia mantenere la distinzione tra titolarità e gestione, si accolga almeno l'indicazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dando luogo ad una proprietà effettivamente nuda, cioè senza ruoli e responsabilità nello sviluppo come nella manutenzione da lasciare pienamente nelle attribuzioni del gestore della rete. E insieme il responsabile della rete, sia esso un proprietario-gestore o al limite solo un gestore, abbia un profilo imprenditoriale, sia cioè una società per azioni, con i conseguenti vincoli di bilancio e di codice civile, non un ente pubblico economico, categoria che non pensavamo si sarebbe più riprodotta dopo che nel luglio 1992 vennero trasformati in società per azioni ENEL, ENI, IRI ed INA.
Per chiarezza aggiungo che quando parliamo di società per azioni non mettiamo in discussione la loro proprietà pubblica; reputiamo preferibile avere una struttura societaria e non un ente di diritto pubblico.
Altro punto chiave è l'assetto della capacità produttiva in connessione alla liberalizzazione del mercato. Si è sostenuto che con la definizione di mercato libero pari al 30 per cento dei consumi nazionali al 1999 per giungere al 40 per cento nel 2002, quello italiano diveniva uno dei mercati più liberalizzati in tutta Europa. A prescindere dal fatto che in termini di mercato contendibile queste percentuali sono in realtà sensibilmente inferiori, perché comprendono anche l'autoconsumo, bisogna sottolineare come si tratti di una libertà di scelta del fornitore del tutto astratta che non si confronta con una struttura dell'offerta adeguata.
Nel 1999, infatti, a fronte di una domanda espressa dal mercato libero che può essere stimata intorno a 67 TWh - al netto dei consorzi che non sono quantificabili perché nessuno sa quanti se ne costituiranno e quanta energia domanderanno.

GUIDO POSSA. Non ci sono consorzi fino al 1999.

GIUSEPPE GATTI, Presidente di Unapace. Nello schema di decreto i consorzi sono già previsti. Dicevo che al momento siamo di fronte ad una domanda espressa


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dal mercato stimata in 67 TWh rispetto alla quale i produttori privati non sono in grado di offrire più di 4 TWh, pari alle loro eccedenze strutturali. Nel prospetto n. 3 è indicato il bilancio dei produttori industriali nel 1997 la cui produzione globale è stata pari a 51 TWh, di cui 26 assorbiti dall'autoconsumo e 25 ceduti all'ENEL, 20 con contratti da impianti dedicati e 5 come eccedenze. Ovviamente i 26 TWh da autoconsumo continueranno prevedibilmente ad essere assorbiti dallo stesso autoconsumo, i 20 ceduti all'ENEL sono vincolati da contratti pluriennali e dunque rimarranno all'ENEL o al gestore della rete; rimarranno disponibili 5 TWh di eccedenza dei quali soltanto 4 hanno un carattere di programmabilità e regolarità che consentirà di portarli sul mercato. È difficile immaginare che nelle sue battute iniziali vi sia un mercato spot capace di acquistare singole parti di energia di volta in volta; all'inizio il mercato sarà regolare. La capacità che i produttori privati offriranno sarà di 4 TWh a fronte di una domanda di 67 TWh. Le municipalizzate non sono autosufficienti e, nel loro insieme, salvo casi singoli di limitata consistenza, non saranno in grado di offrire sul mercato dei clienti liberi.
L'altra possibilità di offerta alternativa all'ENEL dovrebbe essere rappresentata dalle importazioni, ma anche la capacità di importazione a sua volta è per lo più impegnata dall'ENEL. Passando al prospetto n. 4 si evince che la capacità di importazione italiana nella sua globalità - fonte ENEL - è stimata in 5 mila MW, di cui 3.500 assorbiti attualmente da contratti pluriennali. Dei 1.450 MW restanti, 750 sono impegnati dall'ENEL con contratti annuali e clausole di rinnovo automatico e 700 con contratti spot.
La capacità di importazione dell'ENEL tenderà a scendere ma in misura significativa soltanto dopo il 2002, sempre che da parte dell'ENEL non si proroghino i contratti in scadenza come si sta tentando di fare.
Attualmente sono disponibili 700 MW per le importazioni e quand'anche da parte degli operatori alternativi all'ENEL vi fosse la possibilità di aggiudicarsi interamente i 700 MW oggi utilizzati per forniture spot, ciò corrisponderebbe ad una capacità di importazione di energia elettrica di circa 5 miliardi di KWh.
Se l'ENEL rinunciasse ad utilizzare le forniture spot, la competizione sul mercato libero nel 1999-2000 registrerebbe che 58 dei 67 miliardi di KWh di domanda sarebbero soddisfatti dall'ENEL, dai privati con 4 miliardi e dalle importazioni con 5 miliardi.
In altre parole, l'87 per cento della domanda libera non avrà altra alternativa di fornitura, la sua libertà sarà di scegliere tra l'ENEL e l'ENEL. È vero che in prospettiva tale situazione dovrebbe modificarsi, ma a nostro giudizio questo non è il migliore dei punti di partenza. Del resto, anche guardando più lontano, le contraddizioni non mancano. Nello schema di decreto si prevede infatti che al gennaio 2003 l'ENEL debba dismettere impianti per non meno di 15 mila megawatt e al tempo stesso che a partire da quella data nessun operatore possa immettere in rete più del 50 per cento dell'energia prodotta o importata in Italia.
La struttura del parco elettrico italiano è la seguente: attualmente sui circa 73 mila megawatt di potenza disponibili, 58 mila fanno capo all'ENEL, poco meno di 12 mila ai produttori privati, 2.800 alle imprese elettriche degli enti locali. Teniamo presenti questi due dati: da un lato 15 mila megawatt da dismettere (quindi 58 mila megawatt dovrebbero ridursi a 43 mila), dall'altro il limite del 50 per cento. Non c'è coerenza fra queste due grandezze.
Vorrei tranquillizzare a questo riguardo il senatore Caponi, del quale questa mattina ho ascoltato con interesse la relazione tenuta al convegno del suo partito, in cui esprimeva la preoccupazione che con questa dismissione l'ENEL possa scendere ad una produzione inferiore al 50 per cento (il senatore parlava del 40 per cento). Abbiamo provato a fare dei conti in termini di produzione, non in termini di capacità produttiva, e questa è l'ipotesi più sfavorevole all'ENEL nel caso in cui i 15 mila megawatt dismessi fossero tutti di impianti termoelettrici che hanno una produzione più alta degli impianti idroelettrici. Ebbene, anche in questo caso, nell'ipotesi più sfavorevole all'ENEL


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in cui tutto il parco dismesso è quello che ha la produzione più alta, alla fine del processo la produzione dell'ENEL sarebbe sempre di 132 miliardi di chilowattora contro i 119 miliardi di tutti gli altri soggetti. Se poi consideriamo che nei 119 miliardi degli altri soggetti abbiamo 26 miliardi di autoconsumo, e quindi un'energia che non è sul mercato, il divario si accentua; all'ENEL rimane comunque una possibilità di produzione di 132 miliardi a fronte di meno di 100 miliardi prodotti da tutti gli altri soggetti.
Se ragioniamo in termini di capacità, dopo aver dismesso 15 mila megawatt l'ENEL conserverebbe una capacità di produzione e di importazione (considerando i soli contratti pluriennali) intorno al 55 per cento del totale nazionale ed anzi superiore al 60 per cento se, come è corretto fare, consideriamo nel totale non gli impianti di autoproduzione ma quelli effettivamente con destinazione commerciale, cioè quelli volti al mercato, sia esso libero o vincolato.
Se poi l'ENEL configurasse il suo programma di dismissioni prevalentemente sulla base di impianti obsoleti da «efficientare» o da ambientalizzare e questi dovessero quindi restare per un certo tempo fuori esercizio, la sua quota di potenza effettiva salirebbe ulteriormente, rendendo impraticabile e comunque antieconomico per tutti gli utenti il rispetto del limite del 50 per cento alla produzione e all'importazione.
Vi è un'alternativa alla soluzione offerta dallo schema di decreto al problema della posizione di assoluta dominanza oggi detenuta dall'ENEL? L'ipotesi a nostro avviso di gran lunga preferibile, sia per la struttura di mercato che ne sarebbe conseguita sia per i tempi assai più celeri in cui si avrebbe avuto competizione nell'offerta, sarebbe stata quella indicata nel 1997 dalla Commissione Carpi, con l'articolazione della struttura produttiva dell'ENEL in una pluralità di società da collocare separatamente sul mercato, insieme con un più limitato programma di dismissione di singoli impianti.
Assumendo comunque le linee indicate dal Governo, intanto i tempi del ridimensionamento della potenza detenuta dall'ENEL dovrebbero essere abbreviati e soprattutto i limiti alla posizione dominante dovrebbero essere riferiti non alla produzione ma alla capacità produttiva, con un progressivo passaggio dal 50 al 30 per cento, perché il carattere dominante di una posizione dipende non soltanto dalla sua quota di mercato ma anche dalla struttura complessiva dell'offerta e quindi dal posizionamento di un soggetto rispetto agli altri. Insieme dovrebbe essere introdotto il vincolo secondo cui gli impianti in dismissione siano quanto più rappresentativi del complessivo parco elettrico ENEL per tipologia, obsolescenza e fonte di combustibile.
La terza ed ultima notazione di carattere generale riguarda la funzionalità del mercato. Non vi è ragione, a nostro avviso, per attendere il 2001 per l'entrata in funzione della Borsa elettrica. Dodici mesi per organizzare l'operatore del mercato ci paiono più che sufficienti, tenuto conto che istituzioni di questo genere sono ormai presenti in molti paesi ed è quindi possibile fare riferimento ad esperienze adeguatamente collaudate e consolidate per definire le più adeguate modalità di funzionamento della nuova struttura. Questo passaggio alla Borsa elettrica è secondo noi essenziale, perché soltanto quando si avranno prezzi definiti dall'incontro simultaneo di una molteplicità di domande e di offerte, sia i consumatori sia i produttori potranno determinare i propri comportamenti sulla base di un effettivo mercato e lo stabilirsi di un ordine di merito economico nella selezione degli impianti imprimerà un impulso determinante al rinnovo del parco elettrico italiano. In altre parole, fin quando esiste la possibilità di stipulare contratti bilaterali senza passare attraverso la Borsa è più facile avere l'espressione delle posizioni dominanti o operazioni di collusione e minore è l'impulso al rinnovo del parco elettrico.
Al Parlamento chiediamo quindi di esprimere un'indicazione al Governo per accelerare l'introduzione nel nuovo sistema di un meccanismo di Borsa elettrica.
Se tali sono le questioni di maggiore rilevanza politica, su molti altri punti lo schema di decreto richiede una revisione nella formulazione tecnica ai fini della


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sua stessa concreta applicazione, nonché per evitare defatiganti contenziosi che non contribuirebbero certamente all'avvio e al procedere di una riforma impegnativa e di alto profilo.
Non intendo tediare le Commissioni entrando nei singoli dettagli, per cui mi limito a richiamare la loro attenzione su cinque punti specifici che consideriamo di grande rilevanza.
Il primo è rappresentato dalla definizione dell'autoproduzione contenuta nell'articolo 2. Per quanto sia priva di conseguenze questa definizione nell'ambito dello schema di decreto, ci sembra gratuita ed immotivata la riduzione dell'ambito dell'autoproduzione, eliminando la possibilità di rifornire anche le società consociate, quelle appartenenti allo stesso gruppo industriale ma non controllate direttamente o controllate dalla medesima controllante. Come sapete, il decreto prevede che l'ambito dell'autoproduzione sia, oltre che la produzione di un'impresa per se stessa, la possibilità di produrre per conto di una società controllata dal produttore o che controlli il produttore o una società che abbia il medesimo controllante del produttore. Nella formulazione originaria proposta dal Ministero dell'industria, che rispecchiava la normativa attuale, era prevista anche la possibilità di fornire società che sono consociate, cioè non controllate direttamente o dallo stesso controllante ma che fanno parte dello stesso gruppo industriale. Paradossalmente, se si scala di un livello nella struttura societaria, pur rimanendo nell'ambito dello stesso gruppo, viene meno la qualifica di autoproduzione. Ciò avrebbe pesanti conseguenze sul sistema dell'autoproduzione italiana e su molte grandi società italiane e, tra l'altro, contraddice la spinta alla societarizzazione che il decreto introduce, a nostro avviso giustamente, per quanto riguarda le società che attualmente sono pubbliche, ma che parimenti è corretto introdurre anche per le società private, dando specifica configurazione societaria agli operatori elettrici. Per evitare questa incongruenza è sufficiente ripristinare il testo inizialmente proposto dal Ministero dell'industria.
Il secondo punto riguarda la cessione a terzi di obbligazioni di acquisto trasferite dall'ENEL al gestore della rete. La previsione che il gestore della rete possa cedere a terzi contratti di acquisto che ha ricevuto dall'ENEL dovrebbe essere quanto meno condizionata dal consenso del titolare del contratto, per non porre a rischio rilevanti iniziative che sono state sviluppate in sistema di project financing, con il concorso del sistema finanziario internazionale che chiede, ovviamente, una garanzia di solvibilità dell'altra parte contraente. Fin quando questi contratti facevano capo all'ENEL c'era garanzia di solvibilità; se questi contratti con il decreto passano al gestore della rete c'è garanzia di solvibilità; se il gestore della rete a sua volta può cedere a terzi tali contratti, la garanzia di solvibilità può venir meno e di conseguenza da parte delle banche è possibile dichiarare in default i project financing avviati.
Del terzo punto, relativo alla durata delle concessioni idroelettriche, credo che abbiano già parlato i colleghi di Federelettrica, per cui non mi dilungo su di esso. La difformità di trattamento riservata alle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche a seconda che la titolarità sia dell'ENEL o di altri soggetti, privati o pubblici anch'essi ma non pubblici come l'ENEL, cioè imprese elettriche degli enti locali, introduce una discriminazione che non è giustificata e per tutte le concessioni, ripartendosi oggi da una sorta di punto zero, dovrebbe essere assunta la medesima scadenza.
Il quarto punto concerne le modalità di ingresso dell'ENEL nel capitale delle imprese elettriche degli enti locali. In linea generale condividiamo il meccanismo proposto dal Governo per razionalizzare il servizio di distribuzione nei singoli ambiti comunali. Dobbiamo però rilevare come l'aumento di capitale riservato all'ENEL, pur essendo prevista una successiva alienazione della partecipazione che l'ENEL viene ad acquisire, possa generare alcuni gravi scompensi. Intanto, per un certo periodo può rendere l'ENEL azionista di riferimento dell'impresa locale, con ciò compromettendo il pluralismo che invece si intende rafforzare. Inoltre, la cessione da parte dell'ENEL


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della sua partecipazione potrebbe avvenire con modalità che vanificano i criteri di privatizzazione decisi dagli enti locali. Cito un esempio molto banale. Come sapete, per quanto riguarda Milano c'è un limite al possesso azionario del 5 per cento. L'ENEL domani conferisce la propria rete, ha una quota riservata di capitale dell'AEM milanese certamente superiore al 5 per cento, potrebbe alienare ad un unico soggetto la sua quota ed a questo punto il criterio (non dico se sia giusto o sbagliato) stabilito dal comune di Milano verrebbe vanificato dal comportamento dell'ENEL. Credo che questi inconvenienti possano essere rimossi prevedendo che a fronte del conferimento di proprie attività l'ENEL riceva azioni con modalità tali da non alterare gli assetti societari e soprattutto da non compromettere i programmi di privatizzazione e i criteri adottati dagli enti locali.
Il quinto ed ultimo punto riguarda lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Vi è da parte di Unapace pieno sostegno e piena adesione all'obiettivo di sviluppare l'apporto delle fonti rinnovabili al bilancio energetico nazionale, sia per ragioni ambientali sia per ridurre il grado di dipendenza dell'approvvigionamento di fonti fossili e quindi per rendere più autonome l'Italia e l'Europa sul piano delle fonti.
Proprio in ragione della rilevanza di questi obiettivi, credo che debbano però essere ricomprese nell'ambito delle rinnovabili tutte le tecnologie e le modalità di alimentazione che non comportano l'impiego diretto di energia primaria, ma si basano in misura prevalente sull'utilizzo di residui di processo e quindi sostanzialmente sull'energia recuperabile in processi, in impianti ed in prodotti (si vedano ad esempio le diverse tecnologie di gassificazione e di utilizzo di gas di sintesi). Cito soltanto un banale esempio. La centrale termoelettrica realizzata nello stabilimento Ilva laminati piani di Taranto è alimentata per il 60 per cento da gas siderurgico che precedentemente andava disperso in atmosfera; ciò provoca un deciso miglioramento ambientale, perché il gas di cokeria prima di essere utilizzato viene trattato e purificato, e riduce la dipendenza dal metano, perché questa centrale da 500 megawatt è alimentata a metano soltanto per il 40 per cento, mentre per il 60 per cento è alimentata da gas di cokeria che altrimenti andrebbe sprecato. Concettualmente che differenza passa tra questo gas di sintesi ed i rifiuti organici o inorganici che vengono considerati fonte rinnovabile? Perché il gas di cokeria o i cascami di calore che abbiamo in molti processi o il gas di raffineria non devono essere considerati un rifiuto (lo dico tra virgolette, non certo in senso tecnico, ma in base al decreto Ronchi) alla pari delle fonti rinnovabili?
L'incremento del ricorso alle fonti rinnovabili e recuperabili deve essere perseguito a nostro avviso con determinazione, con lungimiranza ma insieme con il necessario realismo in ordine ai tempi e alle risorse necessarie.
Non ci sembra corrisponda a questi requisiti l'obbligo che si pone a carico di tutti gli attuali produttori di immettere in rete al 2001 il 20 per cento di energia da fonti rinnovabili. Innanzitutto, non è appropriato considerare alla stessa stregua quanti - operatori commerciali - operano con la finalità di rivolgersi e di rifornire i clienti liberi o vincolati e quanti - gli autoproduttori -soddisfano le proprie esigenze di consumo, i quali, dovendo immettere in rete nuova energia, sono paradossalmente costretti a diventare anch'essi operatori commerciali comprando da terzi l'energia elettrica da fonte rinnovabile per rivedere ad altri senza che ciò discenda da una libera scelta imprenditoriale. Inoltre, dobbiamo considerare che ad oggi l'apporto delle fonti rinnovabili è pari a circa il 16 per cento del totale della produzione netta e delle importazioni. Esaminando nel dettaglio tale dato, il valore totale nazionale è di oltre 45 miliardi di chilowattora; il 15 per cento della produzione dell'ENEL deriva da fonti rinnovabili per un ammontare di 33 miliardi di chilowattora; anche il 15 per cento della produzione dei privati deriva da fonti rinnovabili per un totale di oltre 8 miliardi di chilowattora; oltre il 46 per cento della produzione delle municipalizzate, per ovvie ragioni storiche, essendo prevalentemente nate con impianti idroelettrici, deriva da fonti rinnovabili, ma per un totale di soli 4 miliardi di chilowattora. Passare dal 16 al 20 per cento significa


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aumentare la produzione netta da fonti rinnovabili di oltre 10 miliardi di chilowattora; non si tratta di un obiettivo tecnicamente raggiungibile nell'arco di tre anni, tanto più se si circoscrive alle forme più tradizionali l'ambito delle rinnovabili. Ci pare dunque che questo nobilissimo obiettivo si scontri con una impraticabilità di fatto e riteniamo quindi che esso debba essere riconsiderato per renderlo concretamente raggiungibile. Oltretutto, come ho già detto, questo obbligo non può essere esteso anche a quanti non hanno finalità commerciali.
Infine, l'attuale formulazione dell'articolo 11 da un lato e dell'articolo 8 dall'altro (quest'ultimo prevede che ogni nuovo impianto debba essere corredato da un impianto da fonti rinnovabili che produca almeno l'1 per cento dell'energia globalmente prodotta) introduce una pesante discriminazione tra gli operatori già esistenti sul mercato, che dovranno garantire un apporto da fonti rinnovabili del 20 per cento, ed i nuovi entranti sul mercato, il cui apporto è limitato all'1 per cento. Qualunque soggetto oggi esistente (ENEL, Edison, Sondel, FIAT o ENI) dovrà garantire un apporto del 20 per cento mentre un operatore che entri domani sul mercato (EDF o altre) italiano, dovrà assicurare l'1 per cento. Questa discriminazione francamente non ci pare comprensibile.
Ripeto, siamo d'accordo sull'obiettivo, come siamo d'accorso sul meccanismo introdotto nello schema di decreto del cosiddetto portafoglio verde, che però deve essere riorganizzato nelle sue modalità di funzionamento, anzitutto ponendo tale portafoglio a carico di chi va effettivamente sul mercato e poi puntando non a salti impossibili ma alla graduale e per alcuni anni continua realizzazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili, con programmi temporalmente compatibili con le procedure autorizzative e i vincoli tecnici di realizzazione. In altre parole, in termini di proposta, riteniamo possa portare a maggiori risultati l'obbligo di corredare nuovi impianti di una quota anche superiore a quella oggi prevista nello schema di decreto di potenza alimentata da fonti rinnovabili e recuperabili (invece dell'1 per cento prevedere per qualunque nuovo impianto o per il potenziamento di impianti esistenti, una percentuale di fonti rinnovabili anche più alta), in alternativa all'inattuabile vincolo del 20 per cento al 2001.
È da rilevare, a conclusione della questione, la complessiva contraddizione rappresentata dall'articolo 15 rispetto all'obiettivo di promuovere lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Con tale articolo, infatti, non solo non si risolvono compiutamente i problemi di rilocalizzazione degli impianti, poiché rimane una discrezionalità ministeriale che credo debba essere superata, ma soprattutto si pongono limiti temporali che vanificano gran parte delle iniziative progettate e non ancora realizzate, proprio nel campo delle fonti rinnovabili. La mancata realizzazione di impianti, che sono stati prescelti dall'ENEL e per i quali l'ENEL stessa ha stipulato convenzioni non è dipesa, nella stragrande maggioranza dei casi, da inadempienze o ignavia degli operatori, ma da lungaggini e difficoltà incontrate nell'iter autorizzativo, da opposizioni localistiche e talvolta dalla stessa richiesta dell'ENEL di spostare il sito per ragioni di allacciamento alla rete. Non vediamo motivo di penalizzare queste iniziative, che sono anzi necessarie proprio quell'incremento che si vuole dell'energia prodotta da fonti rinnovabili.
Signori senatori, onorevoli deputati, grazie anzitutto per l'attenzione che avete voluto prestarci anche a quest'ora tarda. UNAPACE rimane a disposizione delle Commissioni per integrare con dati, analisi e valutazioni le linee generali che ho esposto.
In ultimo vorrei dire al presidente onorevole Nesi che stamani ho ascoltato con rispetto ed attenzione la sua introduzione al convegno del partito dei comunisti italiano sulla riforma del sistema elettrico, nella quale tra l'altro richiamava come una delle sicurezze della sua parte politica il fatto «che le idee finiranno per prevalere sugli interessi: e proprio per questo non possiamo non dirci keynesiani». Onorevole Nesi, a mio avviso oggi il sistema degli interessi è assai più contro la riforma del sistema che a suo favore, ma anch'io, che come lei non ho alcuna


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esitazione a dichiararmi keynesiano, ho la sicurezza che le idee finiranno per prevalere sugli interessi.

PRESIDENTE. Credo debba scattare ora la mediazione, poiché siamo tutti molto stanchi. La relazione è stata interessante e merita certamente un'attenzione maggiore di quella che potremmo garantire a quest'ora, anche considerato che molti deputati si sono dovuti allontanare. Rinvio pertanto il seguito dell'audizione al termine dell'audizione dei rappresentanti delle associazioni di consumatori, già prevista per domani sera alle ore 21 al Senato.

LEONARDO CAPONI. Presidente della 10a Commissione del Senato. Vorrei lasciare agli atti una breve dichiarazione. Le audizioni parlamentari sono concepite per acquisire le opinioni dei soggetti sociali interessati ai provvedimenti che il Parlamento ha poi il compito di discutere, approvare e modificare o sui quali deve esprimere il proprio parere. Non è questa la sede per polemiche politiche che vanno riferite in altri tempi, in altri modi, con altri stili.

MARIO LUCIO BARRAL. Era doveroso!

LEONARDO CAPONI. Presidente della 10a Commissione del Senato. Non è affatto doveroso perché in questa sede altro è il nostro compito. È stato citato più volte un convegno di questa mattina del partito dei comunisti italiani. Ritengo che per fare polemica con il presidente Nesi, con me o con i comunisti italiani, si debbano scegliere altre sedi.

GIUSEPPE GATTI, Presidente di Unapace. Presidente Caponi, le chiedo scusa ma forse non sono stato chiaro: nelle mie parole non vi era alcuna intenzione polemica.

MARIO LUCIO BARRAL. Ringrazio innanzitutto i rappresentanti di Unapace, che hanno avuto la cortesia di aspettare nonostante l'allungamento dei tempi dell'audizione precedente. Ci spiace che la presidenza abbia deciso di inserire il prosieguo dell'audizione al termine di quella già prevista per le ore 21; a mio avviso sarebbe stato più opportuno fare il contrario, per ragioni di continuità ed anche per rispetto...

PRESIDENTE. Onorevole Barral, non riusciremmo ad avvertire gli altri auditi.

MARIO LUCIO BARRAL. Questo è comunque quello che penso. Mi scuso inoltre, anche se non lo fa la presidenza, per la indelicatezza del senatore Caponi in questa Commissione.

EDO ROSSI. Signor presidente, poiché spesso i resoconti stenografici sono disponibili molti giorni - a volte anche settimane - dopo lo svolgimento delle sedute, vorrei precisare che l'utilità di queste audizioni è anche legata alla disponibilità degli atti parlamentari in tempi rapidi. Poiché presumo che il Servizio stenografia non abbia arretrati, avendo appena ripreso i nostri lavori, prego il presidente di farsi interprete di questa esigenza.

PRESIDENTE. Vorrei rassicurare l'onorevole Rossi, facendo comunque presente che gli auditi hanno consegnato un'ampia documentazione che è a disposizione dei colleghi.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 23.55.