COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE), XI (LAVORO) E XIV (UNIONE EUROPEA)

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 18 febbraio 1998


Pag. 23

La seduta comincia alle 9.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità dei lavori, venga assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del ministro del lavoro e della previdenza sociale, Tiziano Treu, e del sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica, Isaia Sales, sulle linee del Piano d'azione nazionale per l'occupazione e sulle risorse finanziarie attivabili in materia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro del lavoro e della previdenza sociale, Tiziano Treu, e del sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica, Isaia Sales, sulle linee del Piano d'azione nazionale per l'occupazione e sulle risorse finanziarie attivabili in materia.
Ringrazio il ministro del lavoro e il sottosegretario di Stato per il tesoro Sales per aver accolto, anche tempestivamente, l'invito loro rivolto dalle tre Commissioni per un primo confronto sulle linee su cui si fonderà il Piano nazionale d'azione contro il fenomeno della disoccupazione.
Questa audizione fa seguito ad una analoga audizione svoltasi nel mese scorso - anche questa concordata con le Commissioni bilancio e politiche dell'Unione europea - in ordine alle conclusioni sul vertice di Lussemburgo. Volendo riassumere in un paio di frasi quelle conclusioni, mi sembra di poter dire che in merito al vertice di Lussemburgo vi è stato da parte di tutti il convincimento di una inadeguatezza rispetto alla gravità del fenomeno disoccupazione, se si confrontano le aspettative con i risultati che ne sono scaturiti. Questo non comporta un giudizio negativo sulle conclusioni del vertice; in quella sede, infatti, sono state decise alcune iniziative le quali possono rappresentare l'inversione di una tendenza che vedeva fino ad oggi molta genericità intorno al fenomeno della disoccupazione, una genericità di affermazioni scarsamente seguite da coerenze sul piano delle azioni convergenti.
In merito al problema occupazionale, mi sembra di poter dire che le conclusioni del vertice - soprattutto per l'individuazione del percorso di cui anche oggi siamo chiamati a discutere, ossia la predisposizione di piani nazionali che vengano messi a confronto e periodicamente verificati rispetto al raggiungimento dei risultati - possono rappresentare un modo per far emergere anche diversità di impostazioni nell'aggredire il fenomeno della disoccupazione. Potrebbe essere un primo confronto sulla questione della rigidità del modello europeo, che a volte in modo molto semplicistico viene messo a confronto con la flessibilità di quello statunitense.
Questo è un primo elemento: l'intervento sulle rigidità del modello soprattutto attraverso una maggiore combinazione


Pag. 24

delle politiche macroeconomiche con interventi di qualità strutturale sul mercato del lavoro e sulle infrastrutture.
L'altro punto riguarda il piano che il Governo sta predisponendo per la presentazione nel vertice di aprile, soprattutto in ordine a tre priorità: la questione del Mezzogiorno per quanto riguarda l'aggressione in aree territoriali particolarmente difficili; i soggetti sociali su cui pesa in modo forte il fenomeno della disoccupazione, ossia i giovani e le donne; la riqualificazione della struttura formativa e della ricerca, un fattore importantissimo su cui dobbiamo basarci in modo strategico per quanto riguarda il futuro di un'azione di politica occupazionale.
A me sembra che questi punti possano rappresentare le priorità, tra le tante questioni su cui dobbiamo lavorare nel 1998, sul piano del consolidamento di una politica efficace di contrasto della disoccupazione. Questi possono essere alcuni elementi da cui partire per avviare il confronto all'interno dell'audizione e proseguirlo nelle forme che riterremo più utili.
Do ora la parola al ministro del lavoro per introdurre i nostri lavori.

TIZIANO TREU, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Questa in effetti è per noi la seconda occasione, per cui rinvio al primo incontro, in cui si è discusso del quadro europeo, quindi non solo dei grandi orientamenti, ma anche della griglia entro la quale dobbiamo inserire il nostro piano d'azione. Questo non perché vogliamo essere pignoli, ma perché ci viene richiesto di avere obiettivi che siano il più possibile comparabili, anche accompagnati da impegni quantificabili, per dimostrare che le priorità dichiarate sono riscontrabili; abbiamo anche l'impegno di migliorare i sistemi di monitoraggio e di valutazione delle nostre azioni nell'ambito delle politiche del lavoro.
Cercherò di seguire questa traccia; del resto, la volta scorsa era emersa dalla discussione l'indicazione di dare conto del lavoro che si sta svolgendo, anche degli investimenti, delle spese mobilitate e mobilitabili nel prossimo futuro. Dirò in proposito per la parte che riguarda il mio dicastero alcune cose, che sicuramente il sottosegretario Sales potrà poi ampliare.
Come si era detto, gli orientamenti emersi dal vertice di Lussemburgo sono un passo indietro rispetto alle grandi linee già tracciate da Delors, ma riteniamo che comunque costituiscano un fatto positivo, perché la convergenza in materia di politiche dell'occupazione ha comunque un valore aggiunto. Da parte dell'Italia vi è l'impegno di gestire bene gli strumenti che già ha messo in campo, aggiungendovi poi un'accelerazione, un maggiore impegno di risorse; questa era una delle indicazioni emerse dal precedente incontro.
Darò alcune informazioni sulle misure che sono in elaborazione o già attuate, quindi con un impatto più evidente per il breve periodo, per il 1998; in realtà, ci si chiede di fare un piano per il 1998, ma con proiezioni per gli anni successivi e lì i margini di accelerazione, di miglioramento sono maggiori perché le misure per quest'anno sono già largamente decise.
Un'altra cautela in premessa: si tratta ancora di un tentativo. Vi è da parte del Governo un'azione congiunta, i vari ministeri stanno raccogliendo le diverse misure, è appena cominciata una consultazione con le parti sociali, con le regioni e gli enti locali, perché il patto deve essere costruito attraverso questo coinvolgimento.
Le priorità già sollecitate dall'Europa ma da noi affermate sono sostanzialmente già state indicate dal presidente Innocenti: in primo luogo, i giovani - la disoccupazione giovanile ha ancora in larga misura caratteristiche dominanti - e le donne; in secondo luogo - una priorità che va emergendo e viene richiamata nei documenti europei come sempre più significativa - i disoccupati di lunga durata (l'Italia, come è noto, ha sotto questo profilo un record negativo per la quantità e per la durata di tali forme di disoccupazione); in terzo luogo, la formazione, non solo del primo e del secondo livello, ma anche continua.


Pag. 25


Queste priorità sono già contenute nelle indicazioni del vertice di Lussemburgo, ma inseriremo in maniera molto evidente nel nostro rapporto formale un elemento aggiuntivo, in quanto l'Italia rispetto al contesto europeo presenta aree, in particolare nel Mezzogiorno, dove il fenomeno disoccupazione assume caratteristiche assolutamente eccezionali per gravità. Su questo aspetto dobbiamo porre un'enfasi particolare, per cui, anche un po' al di fuori dello schema dato dalle indicazioni comunitarie, sosterremo che certo per lo più abbiamo misure con valenza potenzialmente generale, ma la loro intensità deve essere particolare nel Mezzogiorno; in più occorrerà operare in quell'area con strumenti eccezionali, non perché si voglia tornare all'intervento straordinario, ma facendo riferimento ad interventi ordinari applicati con efficacia superiore alla media, in un'enfasi sullo sviluppo locale in genere e sullo sviluppo del Mezzogiorno in particolare. Nei nostri confronti dovremo dare uno spazio specifico ai problemi del Mezzogiorno; in questo senso vi è anche un'ipotesi - dovremo valutare come svolgerla in sede di Presidenza del Consiglio - di un tavolo di attenzione particolare alle misure nel Mezzogiorno. Svolgiamo queste priorità sul piano nazionale, ma vi è una tendenza molto accentuata verso il decentramento, nel senso che le politiche del lavoro e dello sviluppo d'impresa hanno sempre più nettamente una dimensione locale. Di qui l'importanza che attribuiamo ai provvedimenti, che in parte sono stati già avviati e si dovranno sviluppare negli anni a venire, di decentramento sia dei servizi all'impiego - questo massimizza l'efficacia, le occasioni di incontro tra domanda ed offerta, facilita l'uso degli strumenti di flessibilità e di job creation se i servizi sono adeguatamente operanti nel territorio - sia di strumenti di politica, per esempio, di incentivazione alle imprese, che, tradizionalmente accentrati, vengono ora immessi in questo processo. L'ultimo decreto legislativo tra i tanti dei cosiddetti pacchetti Bassanini, varato a cura del ministro Bersani, indica un processo di decentramento di una larga parte degli incentivi all'impresa con finalità, appunto, di promozione dello sviluppo locale e dell'occupazione.
Queste sono le priorità e le due sottolineature particolari dell'azione italiana.
Come sapete, nelle indicazioni richieste dalla Comunità ci sono quattro orientamenti prevalenti: l'aumento dell'occupabilità, l'imprenditorialità, la flessibilità e le pari opportunità. All'interno di questi orientamenti vi sono azioni specifiche più mirate, che non ripeterò (sono diciannove), limitandomi a sottolineare quelle che in questo momento mi sembrano più importanti, gli sviluppi possibili degli impegni e alcune indicazioni di risorse coinvolte (su questo punto chiedo l'aiuto del sottosegretario Sales per la parte che gli compete).
Come dicevo, la prevenzione e la riduzione della disoccupazione giovanile è la priorità in assoluto. Anzi, in proposito vi è stata - si ricorderà - una lunga discussione in sede europea; si voleva che l'impegno fosse particolarmente stringente, che addirittura si indicasse la determinazione standard degli Stati di offrire ai giovani disoccupati entro un tempo definito, sei mesi-un anno, occasioni di lavoro e formazione in una misura predefinita. L'indicazione è stata sfumata, ma vi è comunque la richiesta che i singoli Stati membri diano una priorità nell'uso delle risorse, nella quantità dei soggetti coinvolti da politiche attive del lavoro.
Su questo abbiamo una quantità di misure in parte già attivate ed in parte che si stanno riformando. Comunque occorre accelerare ed intensificare l'impegno. Vi sono due grandi tipi di intervento, uno volto ad aumentare e migliorare le offerte formative ai giovani e l'altro che consiste nella predisposizione di strumenti particolari di entrata nel mercato del lavoro. Abbiamo strumenti tradizionali come l'apprendistato e il contratto di formazione e lavoro che sono stati recentemente - in particolare il primo - allargati e favoriti, sulla base dell'idea che l'incentivazione del lavoro dei giovani deve


Pag. 26

avere una forte spinta formativa. Abbiamo appena attivato una normativa «leggera» di regolazione e di sostegno dei tirocini formativi, un ulteriore strumento già esistente ma che dovrebbe diffondersi per permettere alla generalità dei giovani che frequentano gli ultimi anni di scuola di trascorrere un periodo nelle imprese. Anche questo è uno strumento di facilitazione all'ingresso nel mercato del lavoro. A ciò si aggiungono le borse di lavoro, che sono state avviate quest'anno, e i piani di inserimento professionale, forme queste non di rapporto di lavoro vero e proprio ma di sostegno all'inserimento attivo nel mercato del lavoro.
Per dare l'idea della dimensione di questi strumenti, che devono essere applicati al meglio ed allargati, posso indicare alcune cifre peraltro molto consistenti (è proprio qui l'impegno maggiore): abbiamo uno stock storico di apprendisti di circa 420 mila unità e oltre 350 mila contratti di formazione e lavoro. Si prevede che questo flusso, ed in particolare quello relativo all'apprendistato (i nuovi provvedimenti hanno portato l'età richiesta da 24 a 26 anni), nel 1998 subirà un incremento significativo. È nostra intenzione concentrare gli sforzi per la formazione in alcuni settori che hanno già concluso contratti pilota: da una parte il settore metalmeccanico e dall'altra l'artigianato.
Quello dei tirocini è uno strumento già esistente che ora è stato rilanciato e che immaginiamo si estenderà rapidamente. In proposito, insieme con il Ministero della pubblica istruzione, abbiamo dei programmi di promozione nelle scuole per un rapporto scuole-imprese, che dovrebbero riguardare un numero consistente di giovani (100-200 mila).
Per il 1998 abbiamo avviato circa 65 mila borse di lavoro e poco meno di 40 mila piani di inserimento professionale.
Non dimentichiamo che sull'occupazione giovanile si opera non solo facilitando l'ingresso nel mercato del lavoro dipendente ma anche sostenendo l'imprenditorialità. Su questo versante, oltre all'imprenditoria giovanile (legge n. 44 del 1986), abbiamo avviato la formula del prestito d'onore che, per l'anno in corso e in prospettiva, viene estesa e sostenuta con finanziamenti adeguati, anche se qui siamo su numeri più contenuti perché si tratta di aiutare giovani (non solo giovani, anche se di fatto si tratta prevalentemente di loro) a mettersi in proprio: circa 3 mila soggetti hanno avuto questa opportunità e si può immaginare di raddoppiare il numero.
In questo ambito dobbiamo evidenziare le misure contenute nella legge finanziaria ed in particolare gli incentivi fiscali sotto forma di esenzione IVA e credito d'imposta per i giovani che avviano nuove imprese nelle aree interessate da contratti d'area e patti territoriali. In questa prima fase abbiamo voluto concentrare gli incentivi per la creazione di nuove imprese in particolare da parte di giovani nelle aree in cui vi è il massimo sforzo di sostegno dello sviluppo locale. D'altra parte, non siamo convinti e forse neppure siamo in grado di immaginare interventi di agevolazione fiscale più diffusi.
L'altro pilastro che riguarda la formazione consiste nella crescente massa di risorse. Come è noto, la capacità di impegno e di spesa dei fondi per la formazione è cresciuta rapidamente nell'ultimo biennio. È chiaro che dobbiamo continuare in questa direzione per arrivare ad una capacità di spesa completa, anche in vista del prossimo round sul futuro dei fondi strutturali e dei fondi per la formazione europea, perché senza una capacità di spesa adeguata non potremo neppure partecipare al tavolo delle trattative.
Vi è poi il problema della qualità della formazione di vario livello; comunque per darvi alcuni dati ed evidenziare come l'impegno al riguardo stia crescendo, preciso che già nel 1997 vi è stata una significativa accelerazione della spesa, in particolare di quella per la formazione concentrata sui giovani: apprendistato - che, peraltro, deve aumentare la propria dotazione formativa; nella nuova versione ci sono 120 ore annue minime -, contratti di formazione e lavoro e formazione di


Pag. 27

primo e di secondo livello. In totale - per darvi un'idea dello sforzo che si sta compiendo, ma che deve essere aumentato - nel 1997 abbiamo coinvolto in questi diversi strumenti oltre 560 mila giovani, dai 15 ai 29-30 anni. Questo impegno è consistente perché mobilita 2500 miliardi, considerando che l'impegno sugli strumenti di sostegno all'occupazione giovanile è duplice, nel senso che da una parte vi sono gli investimenti di formazione e dall'altra gli sgravi contributivi. Quando facciamo la valutazione complessiva delle spese di politica attiva, dobbiamo comprendere tutte le voci, anche perché gli sgravi contributivi incidono molto sugli stanziamenti avendo, proprio perché i numeri sono grandi, dimensioni considerevoli.
Questi sono gli strumenti per l'occupazione giovanile in generale e in particolare nel Mezzogiorno, strumenti che, come ho detto, consistono in forme flessibili di entrata nel lavoro, forme per metà lavorative e per l'altra metà di istruzione, investimenti nella formazione mirata e, infine, sostegno all'autoimpiego.
Dovremo ulteriormente verificare queste misure e farne proiezioni oltre il 1998; saremo in grado di darvi una valutazione complessiva quando verrà presentato il piano definitivo.
Sulla disoccupazione di lunga durata (la seconda priorità), disaggregando su soggetti che sono già stati occupati, cioè sui disoccupati in senso stretto (i giovani sono per lo più inoccupati), registriamo un fenomeno la cui gravità sta crescendo, anche perché molti degli strumenti di ammortizzazione sociale hanno avuto un effetto positivo da alcuni punti di vista ma poi hanno bloccato altri sviluppi. Qui interveniamo con agevolazioni all'assunzione di coloro che sono in mobilità o comunque che sono stati coinvolti a lungo nella cassa integrazione (un caso di disoccupazione oltre un certo punto mascherata). Attivando servizi all'impiego più efficienti e decentrati sul territorio, riteniamo che il circuito della mobilità possa essere più dinamico, soprattutto in certe aree. Per dare l'idea delle dimensioni, posso dire che nel 1997 abbiamo utilizzato lo strumento dell'agevolazione all'assunzione di lavoratori disoccupati per circa 100 mila unità nei confronti di lavoratori in mobilità e per circa 185 mila unità per quelli in cassa integrazione, per un totale di 290 mila lavoratori. Sono numeri abbastanza contenuti ma pur sempre significativi; peraltro su questo versante l'impegno sarà sempre crescente.
Anche per la formazione stiamo investendo di più, perché gran parte dei lavoratori disoccupati di lunga durata hanno problemi di reinserimento che riguardano non solo il reperimento di occasioni, ma anche interventi formativi personalizzati in grado di renderli riutilizzabili.
I dati sulla formazione dei disoccupati di lunga durata sono significativi, anche se siamo su numeri inferiori rispetto a quelli relativi all'intervento sui giovani. Dagli ultimi dati di cui disponiamo risultano circa 80 mila soggetti disoccupati di lunga durata impiegati in attività formative di varia intensità, concentrati in buona parte nel Mezzogiorno (posso dire che tra sud e centro-nord vi è un certo equilibrio), con un impegno finanziario di quasi 700 miliardi per l'ultimo esercizio. Non si tratta solo di utilizzare le agevolazioni, perché credo che la politica attiva su cui dovremo puntare nel futuro sia quella di una migliore azione di formazione, orientamento e consulenza personalizzata da parte dei servizi, per accompagnare queste persone in un percorso di rientro non facile.
Sempre rimanendo sulle questioni di maggior rilievo, sottolineo ancora che abbiamo impostato un'azione di sistema per la formazione permanente. Come è noto, abbiamo esperienze di formazione permanente in Italia, ma un sistema vero e proprio è ancora da costruire. Sulla base della legge n. 196 del 1997, d'intesa con il Ministero della pubblica istruzione, abbiamo messo in atto una serie di strumenti che permettono di avviare una forte azione per la formazione permanente che dovrebbe produrre effetti già nell'anno in corso. Anche qui abbiamo una crescente


Pag. 28

concentrazione di risorse, che sono in parte pubbliche ed in parte private, provenendo dallo 0,30 per cento della contribuzione delle parti sociali, una quota considerevole (poco meno di mille miliardi). Questo impegno per la formazione permanente in passato è stato disperso, ma ora, d'intesa con le parti sociali, siamo in grado di convogliarlo progressivamente in attività di sistema per riqualificare i lavoratori nel corso della loro vita lavorativa. Si tratta, quindi, di un'azione di prevenzione della disoccupazione, oltre che di sostegno ai disoccupati.
Per quanto riguarda il secondo pilastro, cioè il sostegno all'imprenditorialità, ho già dato indicazioni sugli incentivi fiscali alle nuove imprese, in particolare dei giovani. Ovviamente su questo punto il sottosegretario Sales potrà essere più esaustivo, poiché l'azione che noi svolgiamo a sostegno dello sviluppo locale è concentrata nella predisposizione degli incentivi alla creazione di imprese, cioè nella legge n. 488 del 1992 che ha avuto un'accelerazione notevole nel 1997 e che è largamente concentrata nel Mezzogiorno e negli interventi sulla base della programmazione negoziata (patti territoriali e contratti d'area) nelle aree di maggiore impegno di sviluppo.
Desidero solo dire che abbiamo messo in opera una serie di strumenti e potenzialmente disponiamo di risorse, però vi è un ritardo - che continuamente verifico e che stiamo cercando di combattere - soprattutto nel decollo dei patti territoriali e dei contratti d'area. Il 1998 deve essere un anno di emersione di questo strumento, come lo è stato il 1997 per la legge n. 488. Mi risulta, infatti, dai dati che mi ha fornito il ministro Bersani, che sono stati erogati alle imprese oltre 11 mila miliardi di incentivi che hanno messo in moto un investimento triplo, largamente concentrato nel Mezzogiorno. Come dicevo, il 1998 deve essere l'anno di decollo dei patti territoriali e dei contratti d'area che, se sono solo uno o due sparsi nel mare magnum del Mezzogiorno o delle aree di crisi, hanno effetti limitati, ma se diventano una massa critica e costituiscono una rete di poli di sviluppo hanno un effetto di espansione. È questa la strada indicata anche dall'Europa per creare impresa e quindi lavoro.
È chiaro che la pressione degli interventi di supplenza che abbiamo fatto con lavori socialmente utili o lavori di pubblica utilità per sopperire a bisogni gravissimi di sostegno al reddito, se nelle zone interessate non partono azioni di sviluppo consistenti, è destinata a crescere, con il rischio che essi mantengano solamente la loro forma assistenziale.

NICOLA BONO. Che spiegazione dà del ritardo?

TIZIANO TREU, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Mi permetta di concludere, poi risponderò.
Abbiamo dato molta importanza alla semplificazione amministrativa per sostenere le piccole e medie imprese (molti dei decreti Bassanini vanno in questa direzione): oltre al riordino e al decentramento degli incentivi, ricordo lo sportello unico per le autorizzazioni relative alle nuove attività produttive e lo sportello comunale che fornisce informazioni sugli incentivi, che a volte sono poco accessibili.
Nel terzo pilastro abbiamo fatto una grande azione per l'ampliamento delle tipologie contrattuali. Tutti questi nuovi strumenti (apprendistato, tirocinio) aiutano il lavoro interinale, che è decollato bene. Abbiamo autorizzato 20 agenzie (che ci sembrano di grande solidità) ad operare e queste stanno dando una risposta significativa in termini di liste, di richieste e di piazzamento in imprese utilizzatrici. Secondo le loro previsioni nell'anno in corso, nonostante sia il primo anno, potranno essere impiegate in lavoro interinale circa 200 mila persone, in maggioranza giovani (ma non solo).
In ultimo, per quanto riguarda le pari opportunità, tutti i dati devono essere valutati comparando i due sessi. Uno degli obiettivi prevalenti che ci siamo posti è quello di riequilibrare le chance di lavoro; in realtà, la crescita del tasso di attività è maggiore fra le donne. Tra gli interventi


Pag. 29

specifici che abbiamo rilanciato, oltre alla legge sulle azioni positive, rientra la normativa sull'imprenditoria femminile (legge n. 215 del 1992), che ha buone prospettive, così come abbiamo dato un'importanza notevole ai congedi parentali e formativi, di cui al recente disegno di legge approvato dal Governo, che trovano riscontro anche in attività parlamentare.
Concludendo, si tratta di interventi in parte in itinere, ma tutti in fase di accelerazione. Dalle consultazioni che interverranno e da questo dibattito ci attendiamo ulteriori indicazioni; l'obiettivo, indicato nel documento di programmazione economico-finanziaria, di una crescita dell'occupazione dello 0,5 per cento per il 1998 è stato stimato come un obiettivo prudente, e noi ci auguriamo di ottenere un risultato maggiore di questa stima prudenziale.

PRESIDENTE. Grazie, signor ministro. Do ora la parola al sottosegretario Sales, dopodiché decideremo come svolgere il dibattito dividendo il tempo a disposizione fra i gruppi parlamentari.

ISAIA SALES, Sottosegretario di Stato per il tesoro e il bilancio e la programmazione economica. L'identificazione tra disoccupazione in Italia e questione meridionale a parole trova tutti d'accordo, ma nei fatti incontra qualche difficoltà. Credo occorra essere più coerenti con questa identificazione e valutare se non sia opportuno, in rapporto a questo dato, rivedere quanto è stato fatto alla fine dell'intervento straordinario, quando, in un periodo di turbolenza del quadro politico nazionale e anche della percezione della questione meridionale, si disperse la questione stessa all'interno del problema delle aree depresse del paese. Se questione meridionale e disoccupazione sono sempre due cose che si identificano, credo sia giunto il momento di cominciare a scegliere aree del paese in cui intervenire che potrebbero non essere soltanto quelle meridionali, dove il problema della disoccupazione ha una priorità assoluta. Occorrerebbe sostituire i termini «aree depresse» con «aree a basso tasso di attività ed alto tasso di disoccupazione», e su quelle concentrare gli interventi pubblici nei prossimi anni. Ciò non vuol dire che le altre aree depresse sulla base della terminologia comunitaria non possano avere risorse: le avranno in rapporto alle risorse che l'Unione europea metterà a disposizione. Non possiamo consentirci in questa fase che più del 50 per cento del nostro territorio goda di aiuti nazionali; a livello comunitario si sta tentando di agire in tal senso e io credo sia giunto il momento di ragionare su questo aspetto. Lo dobbiamo fare sempre di più, perché risorse comunitarie e risorse nazionali devono non dico coincidere ma almeno interagire tra di loro.
Siamo alle prese con l'importante appuntamento di maggio; l'Italia nei prossimi anni sarà alle prese con il problema della riduzione del debito pubblico; nel 2006, se le cose dovessero procedere sulla base dell'attuale trattativa all'interno dell'Unione europea, tutte le regioni meridionali (esclusa la Calabria) potrebbero essere fuori anche dai fondi comunitari. Avremo quindi una riduzione delle risorse nazionali a disposizione del Mezzogiorno e potremmo avere una riduzione, se non l'eliminazione, dei finanziamenti comunitari a favore del Mezzogiorno.
È questo il motivo per cui dobbiamo compiere due operazioni: da qui al 2006 dobbiamo utilizzare al meglio i fondi comunitari e dobbiamo aprire la battaglia, che abbiamo già cominciato con i nostri due commissari a Bruxelles e con tutti i parlamentari europei (c'è stata anche una recente visita della Commissione presieduta dall'onorevole Ruberti), per marciare insieme in tale direzione.
Per quanto riguarda i fondi comunitari, nel corso del 1996 da Bruxelles sono rientrati 2.300 miliardi; nel corso del 1997, con tutti i problemi che abbiamo avuto in ordine alla riduzione della spesa pubblica, ne sono rientrati 8.200. Quindi, il balzo in avanti è impressionante. L'Italia


Pag. 30

sta cominciando a spendere bene i fondi comunitari; le regioni cominciano a spendere i fondi comunitari.
Voglio darvi il quadro riassuntivo dei vari obiettivi, anche per comprendere che la gerarchia sui fondi comunitari sta cambiando: per quanto riguarda l'obiettivo 1 (regioni meridionali), si è speso il 38,4 per cento; per l'obiettivo 2, la media tra il programma 1994-1996 e quello 1997-1999 (anche se quest'ultimo è di recente approvazione, dunque il dato può essere falsato) risulta del 17,3 per cento; l'obiettivo 3, di cui ha parlato il ministro Treu, ha una buona performance, cioè il 32,3 per cento; l'obiettivo 4 il 22,8 per cento; l'obiettivo 5A-agricoltura il 17,3 per cento; l'obiettivo 5A-pesca il 5,8 per cento; l'obiettivo 5B-aree rurali del centro nord il 21,8 per cento; i PIC (programmi di iniziativa comunitaria) solo il 2,2 per cento. In sostanza, le regioni meridionali sono al primo posto nella graduatoria dell'uso dei fondi comunitari. Se poi stiliamo la classifica tra le regioni, le due sole del centro nord che sono a livello di quelle meridionali sono l'Emilia-Romagna e la Toscana.
Che cosa possiamo fare utilizzando questo dato importante? Anche nel corso dell'audizione svoltasi presso la Commissione che si occupa specificamente di questi temi, da molti parlamentari è stato posto il problema dei cosiddetti progetti di sponda: il dato dell'utilizzo dei fondi comunitari sarebbe falsato da questo elemento. Ma quando rientrano 8.200 miliardi, credo che si possa ben dire che questo dato non ha bloccato l'utilizzo della spesa.
Esiste invece un problema: ci stiamo accorgendo di questa spesa? Stiamo vedendo dei risultati? Da questo punto di vista, l'insoddisfazione è anche mia e del Governo. Abbiamo un dato su cui riflettere: il quadro comunitario di sostegno fu fatto a ridosso della fine dell'intervento straordinario, vale a dire a ridosso degli stessi obiettivi per cui, concluso l'intervento straordinario, ci si rivolse ai fondi comunitari. Noi stiamo per varare uno studio, svolto dal nostro nucleo di valutazione, sugli effetti della spesa dei fondi comunitari; bisogna dire che c'è una totale frammentazione della spesa nei POP delle regioni e anche in alcuni interventi ministeriali. Gli altri paesi utilizzano i fondi comunitari per grandi obiettivi, sui quali concentrano le risorse; noi non riusciamo a farlo. In media, i POP delle regioni, soprattutto sul FERS, sono dell'ordine di 50-100 progetti approvati all'anno; altri paesi concentrano invece le risorse - ripeto - su una decina di progetti. La proposta su cui vogliamo lavorare, o attraverso intese istituzionali tra regioni e Governo o attraverso un comune sentire che bisogna cominciare ad avviare tra Governo, regioni e ministeri nei prossimi anni, visto che dovremo spendere intorno ai 35-40 mila miliardi di qui al 2001, è quella di scegliere le dieci-quindici grandi infrastrutture, non di più, che servono allo sviluppo del Mezzogiorno e su queste concentrare la nostra attenzione.
Certo, abbiamo l'80 per cento di impegni, il che ci lascia ben sperare per l'anno prossimo dal punto di vista della realizzazione degli obiettivi; come sapete, nel 1998 abbiamo fissato l'obiettivo del 55 per cento. Pur considerando gli impegni, se noi prendessimo solo il 20 per cento non impegnato e facessimo con le regioni un ragionamento di questo tipo, potremmo dotare il Mezzogiorno delle infrastrutture necessarie allo sviluppo. Tutti dicono che occorrono le infrastrutture per lo sviluppo, ma nessuno dice quali sono; un tavolo di concertazione dovrebbe servire a questo. Riteniamo che quella di Gioia Tauro sia un'esperienza da ampliare? Siamo in grado di formulare una previsione? E allora concentriamo lì la parte finale di questa programmazione comunitaria e anche la prossima. Si ritiene che l'alta velocità debba riguardare tutte le regioni meridionali? In caso di risposta affermativa, si concentrino lì i fondi comunitari. Si ritiene fondamentale l'asse tirrenico dal punto di vista della tratta Salerno-Reggio Calabria? Sono necessari 6 mila miliardi. Si riterrà domani - non è mia competenza parlarne - che ci siano le condizioni per costruire il


Pag. 31

ponte sullo stretto di Messina? Si attinga alle risorse comunitarie. Le città meridionali hanno bisogno delle metropolitane? Si concentrino sulle metropolitane. Questo è il punto. Occorre prevedere dieci progetti, non di più, su cui concentrare le risorse per i prossimi anni, progetti che possono attirare anche capitali privati.
Dobbiamo muoverci su queste linee, altrimenti non spenderemo nel modo migliore i fondi comunitari. Comunque, alla fine ce l'abbiamo fatta a rafforzare la burocrazia regionale in grado di spendere; alla fine l'opinione pubblica è in grado di giudicare chi governa le regioni sulla base del modo in cui utilizza i fondi; alla fine c'è stata una grande consapevolezza da parte delle regioni che si trattava di una materia su cui misurarsi. Quindi, il clima attorno ai fondi comunitari l'abbiamo creato: oggi dobbiamo dare qualità a questa spesa. Ed è un problema di tutti noi: Governo, regioni e Parlamento.
Per quanto riguarda i contratti d'area, i patti territoriali e i contratti di programma, voglio fornirvi alcune cifre: allo stato attuale abbiamo dodici patti territoriali già approvati dal CIPE, di cui nove già con il decreto di impegno. Su questi dodici patti, con le vecchie procedure, abbiamo 900 miliardi impegnati e finora sono stati erogati 38 miliardi per iniziative all'interno di tre patti territoriali (Enna, Siracusa e Benevento). All'esame del CIPE, in base alle nuove procedure, e cioè alla possibilità di recasi direttamente in una banca per verificare se si tratti di progetti finanziabili, abbiamo venti patti territoriali, ma c'è un problema delicato: con l'accelerazione delle procedure, si sono fatte avanti zone del centro-nord (su venti progetti sottoposti all'esame del CIPE, dieci sono relativi al centro-nord). Abbiamo poi undici patti territoriali che possono avere una società di assistenza tecnica convenzionata con il Ministero del bilancio; abbiamo candidato all'assistenza tecnica dell'Europa dieci patti territoriali e per nove di essi stiamo predisponendo un programma multiregionale, perché vogliamo finanziarli con fondi dell'Unione europea. Le risorse a disposizione sono pari a 700 miliardi per gli anni precedenti, più mille miliardi dell'ultimo riparto del CIPE; quindi, abbiamo 1.700 miliardi già stanziati, di cui 900 impegnati.
In riferimento ai contratti d'area, la nostra idea è di averne almeno dieci entro il 1998; per tre di essi, come sapete, siamo alle fasi conclusive. Per i contratti d'area abbiamo mille miliardi stanziati dal CIPE. Per i contratti di programma ne abbiamo 1.200: abbiamo già avuto una prima esperienza positiva nel settore del turismo in Puglia (iniziativa già varata dal CIPE), e abbiamo numerose richieste di accesso sempre per quanto riguarda il turismo. Abbiamo sottoscritto finora intese istituzionali con l'Umbria e le Marche, per una questione particolare (il terremoto), ma credo si tratti di uno strumento da utilizzare nel più breve tempo possibile, facendo passare per questo tramite tutto il rapporto tra Governo e regioni. La prima regione a candidarsi è stata la Calabria e speriamo che si possa partire il più presto possibile.
Sulla programmazione negoziata si è sviluppato un dibattito molto acceso. Molti dicono che siamo in ritardo e che occorre fare in fretta: voglio ricordare che la legge n. 488, normativa che adesso tutti definiamo un'ottima legge, è stata varata nel 1992 e ha cominciato ad operare nel 1996, quattro anni dopo la sua approvazione. I risultati di questa legge sono eccezionali: abbiamo 11 mila miliardi impegnati ed erogati. Dopo anni, gli imprenditori del Mezzogiorno e di altre parti del paese hanno potuto avvalersi di una legge di incentivi per fare investimenti. Sarebbe da discutere il fatto che ci sia una «agevolabilità» - uso questo termine che forse non è propriamente corretto - in tutte le aree depresse: è singolare che nelle regioni meridionali quasi nessuna graduatoria è stata esaurita, partendo dalla Sicilia, che ha avuto il massimo (intorno all'80 per cento delle richieste) alla Basilicata, che ha avuto il minimo (il 23 per cento), mentre in tutte le regioni del centro-nord (tranne una), anche se in genere l'agevolazione è minore di un


Pag. 32

terzo, le graduatorie sono state esaurite. Qualunque imprenditore del centro-nord abbia fatto richiesta per ottenere le agevolazioni in virtù della legge n. 488 è riuscito ad ottenerle; metà degli imprenditori del sud che ne hanno ugualmente fatto richiesta, pur avendo incentivi maggiori, non le hanno avute, anche se noi stanziamo in media mille miliardi per il centro-nord e 5 mila miliardi per il centro-sud. Credo che anche questo sia un elemento su cui riflettere.
In merito alle difficoltà rispetto alla programmazione negoziata, ci vuole tempo. Badate: quando si comincia a dire da parte di tutti che il tempo è poco, che bisogna fare in fretta, bruciare le tappe, non è buon segno per il Mezzogiorno. Questo ha sempre pagato la drammatizzazione dei suoi problemi, perché quando si drammatizza, si grida, alla fine sempre strutture straordinarie si creano. Al contrario, la programmazione negoziata sta tentando una strada più complessa, quella di consolidare lo sviluppo laddove è prodotto dagli attori locali. In fondo non c'è niente di nuovo, è la via che molte aree del centro-nord hanno percorso tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta; noi vogliamo provare a seguirla nel Mezzogiorno, ma ci vuole tempo, ci vuole fatica. Naturalmente tutti gli strumenti che abbiamo messo in piedi hanno bisogno di modifiche; alcune accelerazioni, alcune modifiche si possono fare, ma è una strada del tutto nuova.
Vorremmo fare un primo osservatorio sui patti territoriali per capire che cosa non funziona ed apportare via via i necessari aggiustamenti, ma è inutile illudersi: nel Mezzogiorno la cura del territorio è più importante degli incentivi; ce lo dice la storia!
Naturalmente la concorrenza tra aree europee si fa anche con la leva fiscale, con gli incentivi, ma via via tutto questo con la moneta unica europea finirà, si arriverà ad un regime fiscale unico. Sicuramente nel frattempo dovremo attrarre investimenti anche grazie a questo, ma dovremo dare la stessa importanza che diamo agli incentivi e alla leva fiscale alla cura del territorio, alla capacità autonoma del territorio di offrire potenzialità di sviluppo. Dobbiamo investire nel Mezzogiorno sulle cose che funzionano, ampliare quelle che vanno bene, ma questo richiede tempo, non è semplice; i processi di sviluppo non si determinano da un mese all'altro. A chi dimostrerà di esserne capace daremo il premio Nobel!
Rispetto alla strumentazione, per esempio, sono convinto che, accanto allo sportello unico per i comuni, sarebbe il caso di averne uno per le società che gestiscono i patti territoriali ed i contratti d'area. Ancora: le società di gestione dei patti territoriali potrebbero avere accesso diretto ai fondi comunitari, potrebbero gestire una serie di servizi in comune nel territorio.
Se ci si chiede come stanno andando questi strumenti, devo dire che ci sono grandissime potenzialità, ma non siamo ancora in grado di avere una valutazione, bisogna perfezionare. Da questo punto di vista, accetto la critica che viene formulata, ma - ripeto - la strada è del tutto nuova.
In merito al prestito d'onore, vorrei dire che dal punto di vista del costume nel Mezzogiorno esso ha un'importanza che va molto al di là delle domande. Naturalmente per molti di voi potrà dire poco, ma se 40 mila giovani nel Mezzogiorno non chiedono un posto fisso, questo fenomeno è espressione di un dato culturale di grande novità. Tuttavia, se poi alla fine mancano le risorse, si pone un problema; il Parlamento ha preso l'abitudine di allargare una serie di iniziative riguardanti il sud al centro-nord senza indicare le risorse: abbiamo esteso al centro-nord il prestito d'onore, ma abbiamo a disposizione 180 miliardi. Il fondo sociale non può operare fuori; bisogna fare in modo che sia più rispondente agli strumenti che noi applichiamo. Per esempio, a mio avviso, il prestito d'onore, la borsa lavoro, la riduzione dell'orario di lavoro, le flessibilità del mercato del lavoro potrebbero essere finanziati integralmente dal fondo sociale; spesso non abbiamo una rispondenza tra


Pag. 33

questo e gli strumenti. In ogni caso, il problema del finanziamento del prestito d'onore ha a mio modo di vedere un'importanza fondamentale.

PRESIDENTE. Essendo numerosi gli iscritti a parlare, credo sia necessario regolamentare il nostro dibattito, che dovrà esaurirsi entro le 11,30: per ogni intervento, una volta trascorsi cinque minuti, darò un segnale affinché l'oratore ponga la domanda finale, visto che l'audizione dovrebbe essere mirata più che allo svolgimento di una discussione generale, all'approfondimento degli argomenti toccati.

ANTONIO RUBERTI, Presidente della XIV Commissione. Darò il buon esempio ponendo solo una domanda, anche perché le audizioni dovrebbero servire soprattutto a porre questioni sulle quali il ministro e il sottosegretario possano rispondere.
In effetti, è stato già detto che siamo di fronte alla preparazione di un piano annuale in una prospettiva pluriennale; questo è abbastanza importante. Non farò osservazioni sugli obiettivi che credo siano largamente condivisi, ma ne formulerò una sugli strumenti.
Mi pare che gli strumenti presi in considerazione nel piano - almeno nell'illustrazione del ministro, forse proprio perché riferiti al primo anno - siano soprattutto congiunturali. Mi chiedo allora quale quota di attenzione venga posta agli interventi strutturali; ne abbiamo sentito parlare a proposito dell'utilizzazione dei fondi comunitari, ma non specificamente nel piano. È vero che il problema della formazione iniziale, continua e permanente è centrale, ma qui siamo sul lato dell'offerta del lavoro, mentre io mi preoccupo della domanda, quindi della qualificazione del sistema produttivo, della sua capacità di innovazione. Devo dire di non aver mai sentito la parola «ricerca», né nella relazione del ministro né nell'intervento dell'onorevole Sales; l'ho sentita nelle parole del presidente Innocenti.
Basta vedere la mappa europea della presenza della disoccupazione e della situazione relativa alla capacità di innovazione delle imprese: non c'è dubbio che dove si registra una maggiore disoccupazione è presente un tasso bassissimo di capacità di innovazione del sistema produttivo. Le indicazioni europee sono molto chiare in questa direzione; viene rivolto ai paesi membri l'invito ad adeguare la loro struttura produttiva; i fondi strutturali di riequilibrio servono anche a questo.
Allora, in una visione strategica, per i giorni in cui saranno finiti i fondi strutturali, saremo intervenuti a realizzare le strutture che permettono di qualificare, di rendere meno pesante il problema della disoccupazione? Questo è a mio avviso un problema centrale e le risorse per affrontarlo ci sono perché i fondi strutturali - ciò rientra nelle decisioni delle regioni - possono essere utilizzati a questo scopo. Conosco l'esempio del Portogallo e dell'Irlanda, in cui quote rilevanti di fondi strutturali sono state impegnate nella direzione di rafforzare non solo le strutture fisiche, ma anche quelle immateriali della formazione e della ricerca.
Mi scuso di cogliere anche questa occasione per evidenziare una situazione che conosco meglio, rispetto alla quale quindi mi sento in dovere di fare da portavoce. Mi sembra che l'accento messo unicamente sulla formazione riguardi in fondo il lato dell'offerta di lavoro, mentre bisogna preoccuparsi di operare anche perché vi sia domanda di lavoro qualificato; in un paese industrializzato i lavori a basso contenuto tecnologico vengono rifiutati, questa è la realtà (basta vedere i fenomeni dell'immigrazione).
Credo di essere stato nello spazio di tempo stabilito dal presidente e ringrazio il ministro per le indicazioni che mi vorrà dare.

BRUNO SOLAROLI, Presidente della V Commissione. In questo ultimo periodo sono state approvate tante norme e sono state assunte tante iniziative rivolte a promuovere l'occupazione, al punto che


Pag. 34

molto spesso diventa difficile avere un quadro conoscitivo abbastanza vicino alla realtà, sia per quanto riguarda la normativa, sia per quanto concerne le iniziative, sia rispetto all'utilizzo delle risorse impegnate.
Vorrei anche rimarcare come su ogni iniziativa, giustamente, trovino spazio opinioni diverse. Se dovessimo ragionare sui patti territoriali, avremmo da un lato il Governo che riporta in termini positivi determinati dati da cui dovrebbe risultare che i patti sono decollati, dall'altro opinioni espresse non solo in ambito politico da cui emerge una difficoltà ancora in essere rispetto alla loro attivazione concreta, alla loro capacità di produrre risultati concreti. Ma il ragionamento vale più in generale.
Mi chiedo allora se non sia il caso di prevedere - ovviamente dovrebbe essere una soluzione snella, agile - un punto di monitoraggio delle norme, delle risorse attivate, del loro grado di attuazione, soprattutto dell'efficacia in termini di occupazione e di qualità della stessa. Non credo di dire una banalità, anche perché conoscere che cosa, quanto quelle norme hanno prodotto è un elemento essenziale anche per correggere via via il taglio della nostra iniziativa sul piano dell'efficacia quantitativa e qualitativa, anche nell'ambito di un ragionamento di carattere congiunturale o strutturale dei provvedimenti.
Vorrei allora capire che cosa stia facendo il Governo e nello specifico il Ministero del lavoro affinché esso stesso in primo luogo, ma anche il Parlamento e il paese, siano posti nelle condizioni di capire lo stato di attuazione e soprattutto l'efficacia sull'occupazione dei provvedimenti e delle iniziative assunte fino ad ora.

MAURO MICHIELON. Ministro Treu, al di là della mia appartenenza all'opposizione, ho l'impressione che si navighi ancora a vista.
2 milioni 700 mila disoccupati, 1 milione di extracomunitari che lavorano in Italia; dunque, 1 milione 700 mila disoccupati, perché se un milione di cittadini scelgono di non svolgere determinati lavori, in realtà si pone un discorso qualitativo.
Non sappiamo ancora quanti siano i disoccupati reali e quanti i sottoccupati, perché è ben vero che nel nord vige il doppio lavoro, come è ben vero che nel sud c'è il lavoro nero. Anche qui occorre un quadro di riferimento per concentrare le risorse; altrimenti rischiamo di andare ad affrontare un problema che sembra biblico, quando in realtà dobbiamo intervenire non su 2 milioni 700 mila occupati, ma su una cifra certamente inferiore.
Ministro Treu, nella sua esposizione non ha parlato dei lavori socialmente utili, il che vuol dire che utili non sono, perché non creano occupazione, ma danno uno stipendio; le ricordo - lo sa meglio di me - che si parla ogni anno all'incirca di 80 mila persone. Capisco che a Napoli c'è la rivolta, ma a questo punto bisogna fare una scelta: poiché i lavori socialmente utili non creano lavoro ma consistono in un dispendio di risorse, probabilmente bisogna avere il coraggio di tagliare su questo discorso per spostare risorse, per esempio, sul prestito d'onore.
Dalla relazione risulta che nel 1998 avremo 450 mila contratti di apprendistato e 350 mila contratti di formazione professionale. Mi chiedo: quanti al sud e quanti al centro-nord? Abbiamo bisogno di questi dati, perché lei sa meglio di me che al nord questo tipo di assunzioni viene utilizzato per pagare meno a livello fiscale; comunque la gente sarebbe assunta, in questo caso viene assunta con alcuni incentivi. È necessario avere i dati reali del problema.
Il sottosegretario Sales ha centrato l'obiettivo quando ha evidenziato l'opportunità di concentrarsi su alcune iniziative. Abbiamo una serie di normative frammentarie che non si capisce se siano state concepite per cercare ovunque la nicchia o per fare dei tentativi e poi verificare quello più efficace. Non sarebbe meglio concentrarsi sulla riduzione del costo del lavoro, che sappiamo avere un peso all'interno del discorso occupazione?


Pag. 35


Mi chiedo come nell'ambito della riforma si concilino le borse lavoro, i lavori di pubblica utilità e via dicendo; si tratta di gente che lavora per un anno e poi torna ad essere disoccupata.
È stata fatta un'analisi sulle imprese del nord e del nord-est che si trasferiscono all'estero? Si sa con quanti lavoratori e con che tipo di lavorazione si muovono?
In merito ai patti territoriali, si fa riferimento al settore della manifattura, che sicuramente richiede molta manodopera e poca tecnologia. Ripetiamo lo stesso errore? Andiamo al sud con questo tipo di lavoro quando fino ad adesso abbiamo predicato sulla necessità di qualificare i lavoratori? Andiamo al sud con il settore manifatturiero che è l'opposto di quello che cerchiamo? Quali sono le imprese che devono andare al sud? Che tipo di lavorazione devono avere? Domani probabilmente verrà varato il provvedimento riguardante i 5 mila ragazzi che dal sud andranno al nord (tra l'altro, sui giornali si parla di 40 mila giovani, per cui sarebbe bene avere un chiarimento al riguardo). Le imprese impiegano per lo meno ventiquattro mesi a creare una fabbrica e noi, che non abbiamo certezza di nulla, portiamo questi giovani nel 1998; l'azienda verrà costruita nel giro di due anni o, nella migliore delle ipotesi, di quindici mesi; nel frattempo, quelli che hanno lavorato dodici mesi e si sono fatti una professionalità negli altri dodici stanno con le mani in mano aspettando che apra l'azienda?

NICOLA BONO. Devo dire che la relazione del ministro Treu è sicuramente più completa rispetto alla volta precedente; siamo stati «inondati» da una dovizia di dati che finalmente ci consente di avere un quadro esaustivo. La relazione è tuttavia un po' meno completa sotto l'aspetto della chiave di lettura di alcuni fenomeni e dell'impossibilità di concepire una politica del lavoro - è un problema di politica economica non secondario - svincolata da una logica dello sviluppo. Questo è quello che sta avvenendo nel nostro paese; le politiche del lavoro sono surrogati - per giunta di bassa lega - rispetto al «cioccolato» rappresentato dalla politica dello sviluppo, che viceversa manca.
Aggiungo di più: le scelte di politica economica realizzate soprattutto sul terreno della manovra tributaria nelle varie finanziarie hanno determinato loro stesse le ragioni dell'avvitamento nel mercato del lavoro. Da queste considerazioni non possiamo sfuggire; poco conta che si stanzino non mille ma 2 mila o 3 mila miliardi per politiche attive per il lavoro, quando non sono corrispondenti ad una logica di sviluppo che è stata assassinata dal drenaggio di decine di migliaia di miliardi dal settore degli investimenti, l'unico che può consentire uno sviluppo duraturo.
Fatta questa premessa, vorrei rivolgere ai nostri ospiti qualche domanda mirata. La prima questione nasce dall'osservazione che il ministro ha fatto a proposito degli 85 mila disoccupati impegnati nei corsi di formazione e lavoro per i quali si spendono 700 miliardi. Vorrei sapere esattamente quante persone nel nostro paese lavorano perché ci sono i disoccupati. Ho fatto una valutazione che ho inserito nella relazione di minoranza alla legge finanziaria - il presidente Solaroli lo ricorderà - dalla quale risulta che quasi 2 milioni di persone lavorano per dare lavoro ai 3 milioni di persone che non ce l'hanno. Questo è un paradosso, perché teoricamente se le politiche attive del Governo fossero finalizzate ad un risultato positivo, non avremmo più i 3 milioni di disoccupati, ma lo diventerebbero i 2 milioni che ora si interessano di dare lavoro agli altri. È in grado il Governo questa mattina di dirci con esattezza e tenuto conto di tutte le sfaccettature della questione quanta gente nel nostro paese lavora per dare lavoro a chi non ce l'ha?
Ho colto con molto interesse la delicatezza del ministro Treu e del sottosegretario Sales che non hanno fatto alcun accenno all'IRI 2. Questo è un dato che rassegniamo alla nota moderazione dei nostri due autorevoli colleghi, però sarebbe stato interessante sapere - anche se


Pag. 36

è stato delegato il Parlamento - se il Governo, all'interno delle politiche attive, abbia un'ipotesi di lavoro. Cosa ne pensano il ministro Treu e il sottosegretario Sales della vicenda relativa alla holding leggera o pesante per quanto riguarda la progettualità del Mezzogiorno?
Sui patti territoriali sono state fatte valutazioni che evidenziano un'onestà intellettuale da parte del collega Treu e dell'onorevole Sales in ordine ai ritardi. Però non vi è stato alcuno sforzo di analisi e di chiarimento sul motivo dei ritardi; ed è questo che noi ci attendiamo dal Governo, perché la considerazione circa l'esistenza del ritardo possiamo farla anche noi che non abbiamo gli uffici, i funzionari e l'organizzazione. Il Governo deve indicarci la ragione della difficoltà nel decollo di questi strumenti. Né ci basta - lo devo dire, ma non per spirito polemico - la proposta dell'onorevole Sales di istituire un osservatorio sui patti per comprendere i ritardi. Se uno strumento legislativo ideato due anni fa all'interno della legge n. 341 - che era l'evoluzione giuridica della legge n. 488 del 1992 - non funziona, evidentemente il Governo deve fornirci qualche dato.
Vi è un ritardo oggettivo, in qualche caso non giustificabile da parte del Governo italiano, relativamente alla vicenda dei fondi dell'Unione europea, un problema che non può essere risolto cambiando il nome alle aree depresse. Lo sforzo intellettuale va bene, ma dobbiamo capire come vogliamo che l'Unione europea si faccia carico della crescente difficoltà a mantenere le aree depresse meridionali all'interno dei fondi strutturali. Come ho già detto nel corso dell'audizione presso la Commissione per le politiche comunitarie, ribadisco in questa sede, non avendo riscontrato una volontà in questo senso, che il passaggio delicato è quello di affrontare fra gli altri l'aspetto infrastrutturale. Nel Mezzogiorno vi è un gap dal punto di vista delle infrastrutture non compreso tra gli elementi presi in considerazione ai fini della concessione dei fondi strutturali. Questo è un dato importante che, se inserito, ci pone nelle condizioni di affrontare meglio il problema.
Circa l'utilizzo corretto dei fondi, desidero fare un'osservazione e formulare una domanda. Non sono d'accordo sull'affermazione secondo cui sta andando bene l'utilizzo dei fondi strutturali, perché ciò è vero sul piano puramente matematico, ma vi sono forti perplessità sul piano economico e su quello della ricaduta. Il 38,4 per cento di spesa delle regioni meridionali si ottiene quasi interamente grazie ai progetti di sponda che non appartenevano alla programmazione originaria, che sono stati lo strumento per evitare che l'Unione europea tagliasse i fondi, ma non hanno un'impostazione razionale. Ha ragione Sales quando esprime dubbi - ma è grave che lo faccia il Governo senza dare una risposta - sulla ricaduta economica dell'utilizzo di questi fondi.
Io ho un altro dubbio: l'utilizzo dei progetti di sponda, che finora ci ha comunque salvato sul piano formale dalla perdita dei finanziamenti, per il 1998 quale scenario ci prospetta? Non è forse vero che i progetti di sponda sono quasi tutti esauriti e che comunque, nel frattempo, non siamo riusciti a trovare strumenti cogenti per accelerare la spesa? In buona sostanza, non serve essere a posto sul terreno della spesa; quello che conta è la qualità della spesa, sulla quale non abbiamo avuto risposte. Quali strumenti sono stati individuati dal Governo al fine di velocizzare le capacità delle regioni di utilizzare compiutamente i fondi dell'Unione europea?

GIANCARLO PAGLIARINI. Rivolgerò ai nostri ospiti sette domande. Potete farci avere un quadro sinottico di tutti gli interventi - considerato che ne ho sentiti citare tanti - con l'indicazione della spesa e dei risultati?
Con la pressione fiscale attuale già adesso stiamo assistendo ad una migrazione biblica delle imprese del nord (che nella migliore delle ipotesi fanno fare all'estero le lavorazioni facendo poi rientrare


Pag. 37

il prodotto) in Slovenia, Croazia, Romania, Ungheria. Cosa fate per prevenire la disoccupazione drammatica che sicuramente si verificherà in Veneto, in Lombardia e in Piemonte tra pochissimo tempo e della quale vi è già sentore in questi giorni?
Sales ha citato Gioia Tauro, vicenda nella quale è intervenuto un privato. Come fate a contattare - mi auguro in tutto il mondo - i privati per convincerli ad investire nelle zone in cui vi è disoccupazione? Infatti, la cosa funziona se vi è un privato che tira fuori i soldi ed al quale vengono poi dati gli incentivi: a Gioia Tauro è andata così ed è andata bene.
Alcuni giornalisti come Turani su la Repubblica, Levi sul Corriere della sera e Sergio Romano su La Stampa hanno detto che chi proponesse una moneta del sud, per cui, ad esempio, un marco vale 2 mila lire e una lira del nord vale 2 lire del sud, avrebbe una statua in ogni piazza del Mezzogiorno, la cui economia finalmente partirebbe. Cosa ne pensate di questa proposta dal punto di vista tecnico?
Non avete parlato del lavoro nero. Se ricordo bene nel rapporto ISTAT si dice che ufficialmente un lavoratore su cinque lavora in nero nel Mezzogiorno, però ho saputo da fonti vicine all'istituto che addirittura si tratta di due lavoratori su cinque. Vorrei qualche notizia in proposito.
Secondo me le trentacinque ore distruggeranno quel poco che c'è al sud, perché hanno un impatto fortissimo su lavorazioni labour intensive. Signor ministro, supponiamo che fare questa matita mi costa 200 lire, 100 di materia prima e 100 di costo del lavoro, e che la vendo a 205 lire, avendo concorrenti in tutti il mondo per cui non posso venderla a 206 lire; se il costo del lavoro aumenta del 12 o del 14 per cento (a parità di stipendio con un numero di ore di lavoro inferiore, il costo orario aumenta), produrre la stessa matita mi costa 214 lire, 100 di materia prima e 114 di lavoro, a parità di tempi. Considerato che la posso vendere a 205 lire, chiudo e buonanotte ai suonatori. A mio avviso ciò avrebbe un impatto soprattutto su aziende labour intensive, cioè non ad altissimo contenuto tecnologico, e quindi distruggerebbe quel poco che c'è al sud. Cosa ne pensate?
Il sottosegretario ha detto che la legge n. 488 del 1992 ha dato ottimi risultati. Lo so bene, l'ho sbloccata io! Voglio ricordare che senza concordare con la Direzione generale 4 di Bruxelles il decalage su tre anni degli sgravi contributivi la legge n. 488 non sarebbe mai partita. Come sono oggi i rapporti con quella Direzione generale?

MICHELE SALVATI. Vorrei affrontare due punti che conducono al problema del coordinamento tra un disegno di lungo periodo, che sia valutato a livello nazionale, e le capacità e possibilità decisionali che stiamo sempre più dando alle regioni e agli enti locali.
Il primo tema è quello degli investimenti infrastrutturali, che anche nei vostri interventi sono stati sottolineati come decisivi; il secondo è quello della formazione professionale.
Ho pochi dubbi sul fatto che l'intero quadro della politica macroeconomica determini una crescita dell'occupazione in via generale; ho pochi dubbi, a differenza di quanto sostengono i miei colleghi, che in un clima di accelerazione, di forte spinta dell'attività economica anche il problema dell'occupazione sarebbe meno grave. Molti dicono che non vi è più alcuna relazione tra livello dell'attività economica, tasso di crescita e livello di occupazione. Io credo che questo sia falso. In una situazione in cui si fanno tanti investimenti, il reddito cresce e o cresce direttamente l'occupazione oppure i redditi crescono in maniera tale per cui è più facile per lo Stato o per gli enti redistribuire quattrini in modo da rendere meno gravoso il problema dell'occupazione.
Credo - a differenza dell'onorevole Bono - che la politica macroeconomica di questi anni sia stata fondamentalmente depressiva, perché dovevamo affrontare un problema drammatico. Basta vedere le


Pag. 38

cifre: in questi anni, negli anni novanta, abbiamo perso almeno un punto di crescita rispetto ai nostri colleghi europei e almeno due nei confronti degli Stati Uniti. Nessuno può negare questa ovvietà. L'onere della prova - non si rallegrino gli onorevoli Bono e Armani - è su questo problema: sarebbe stato possibile per i nostri eroi, cioè per qualsiasi Governo, riuscire a compiere un risanamento fiscale di tale impatto, che era assolutamente necessario per entrare in Europa, deprimendo di meno il tasso di crescita ed il livello di attività economica? Io credo che non sarebbe stato possibile, ma siccome in storia la prova non si può dare, rimaniamo come stiamo.
Lasciando andare questo argomento che sarebbe solo polemico, vengo al punto. Ritengo che in futuro il problema di aumentare il livello degli investimenti pubblici e privati al di sopra di quello attuale, che è bassissimo, sia fondamentale. La percentuale di investimenti pubblici sul totale della spesa pubblica, che era del 6,5 alla fine degli anni ottanta ed è calata al 3,8, deve assolutamente risalire. Il problema è: quali investimenti? Non è un caso che qui si sia parlato degli investimenti pubblici, ma dov'è lo stock di progetti di investimento che possiamo attivare (l'onorevole Bono ha accennato al modo in cui si è ottenuto il 38,4 per cento della spesa)?
In merito alla pipe line, quali progetti ci sono e che bontà hanno? Se sono quelli dei quali si è parlato, cioè il ponte sullo stretto di Messina e l'alta velocità nel sud, immediatamente penso alle controversie. Non sono in grado di giudicare se il ponte o l'alta velocità siano o meno buone occasioni, però so che si tratta di temi molto controversi. Abbiamo uno stock - che non siano fondi di magazzino - di investimenti rapidamente attivabili?
Vorrei ora parlare dei poteri delle regioni e dello Stato in questa materia, tema che ci porta anche alla questione dell'IRI che poteva essere fatto e pensato come una struttura di coordinamento (siccome non era questo il caso, è bene che il progetto sia stato sospeso). Se si devono fare investimenti grossi, è evidente che essi non possono essere frazionati in dieci o quattordici per regione. Occorre, quindi, fare scelte di fondo; ma come compierle? Abbiamo strumenti di coordinamento fra i poteri delle regioni, che sono pesanti e diventeranno sempre maggiori con il decentramento, e un minimo di pianificazione nazionale?
Il problema pianificazione centrale-regioni vale anche per l'altra parte rilevante di qualsiasi politica che guardi al futuro: mi riferisco alla formazione professionale. Come sapete essa in quasi tutti gli Stati, tranne la Germania, è un disastro, tant'è vero che gli inglesi, ricordando un famoso film, The great train robbery, hanno coniato l'espressione The great training robbery. A che punto siamo circa la valutazione dell'efficacia di una formazione professionale che è in mano attualmente alle regioni (qui ricordo la battuta dell'onorevole Bono sui 2 milioni di persone impegnate per dare lavoro agli altri? Qui siamo in Italia e dobbiamo ragionare da italiani per migliorare questo paese. Vi sono disegni di coordinamento regionale? È un problema che veramente riguarda il nostro futuro: se riusciamo a fare una buona formazione, come se riusciamo a fare buoni investimenti, siamo a metà dell'opera. Credo che questi siano i due punti sui quali dobbiamo insistere.

RAFFAELE VALENSISE. Abbiamo ascoltato dal ministro Treu un'accurata esposizione degli strumenti per fronteggiare la disoccupazione e per cercare di qualificare determinati fenomeni patologici del mondo del lavoro. Tuttavia, l'odierna audizione a mio giudizio è caratterizzata soprattutto dalla coraggiosa esposizione del sottosegretario Sales, al quale voglio dare atto delle cose che ha detto con una domanda precisa; ciò senza nulla togliere a quanto affermato dal ministro, che è di grande interesse operativo, ma considerando che il ministro del lavoro è facilitato quando ci sono a monte le condizioni di scelta che consentono la preparazione e la formazione del lavoro, altrimenti questa diventa un'inter


Pag. 39

pretazione teorica che non ha il terreno su cui operare.
Mi pare che il sottosegretario abbia dato delle indicazioni di scelta sulle quali vorremmo che tutto il Governo fosse compatto; quando il sottosegretario Sales ha ricordato la brevità dei tempi per l'utilizzazione dei fondi comunitari non ha completato, forse perché lo riteneva implicito (ma secondo noi è bene esplicitarlo), il suo ragionamento, salvo che per un accenno, dicendo che tutto ciò che riguarda il problema dello sviluppo nazionale è collegato non tanto e non soltanto a questioni di dettaglio e di piani territoriali, che rappresentano la seconda fase, quanto all'esistenza di grandi infrastrutture di natura strategica. Questa è la sostanza. Quando si fanno i patti territoriali nel Mezzogiorno, quando il ministro Treu si sforza, con i suoi strumenti, di prevenire o cercare di curare la patologia della disoccupazione attraverso strumenti che nel nostro sistema sono fondamentali, senza le premesse strutturali - lo diceva il collega Bono e io riprendo con forza questo argomento - per lo sviluppo, si fa un fuor d'opera. Pensiamo solo che per percorrere i 400 chilometri che separano Reggio Calabria dalla Puglia in ferrovia occorrono dodici ore e questa è una vergogna, è un laccio emostatico a qualsiasi possibilità o tentazione di sviluppo; se poi si vuole lasciare il treno e prendere il mezzo gommato, la condizione della statale ionica è quella che è, e si rischiano anche incidenti pari a quelli che caratterizzano le ferrovie.
Pongo ora la domanda: il Governo ha intenzione di affrontare il problema dello sviluppo del Mezzogiorno attraverso la progettazione e la promozione delle due o tre grandi infrastrutture che sono la premessa per qualsiasi sviluppo? Abbiamo la ferrovia ionico-adriatica, che è la grande e naturale longitudinale italiana, tant'è vero che i nostri antenati l'hanno costruita sulla costa adriatica, e non su quella tirrenica, in quanto si tratta di una linea più pianeggiante, senza ostacoli naturali, senza bisogno di gallerie. Vuole il Governo pronunciarsi in questo senso, strappando così al sottosviluppo il sud e i terminali del nostro paese, la Sicilia e la Calabria, che contano quasi 10 milioni di persone, essendo oltre tutto al centro del Mediterraneo? Più che «oltre tutto» dovrei dire «anzitutto», perché bisogna creare fin da ora le infrastrutture necessarie per queste nostre contrade, che una volta erano periferiche rispetto all'Italia ma che ora sono centrali rispetto agli sviluppi del Mediterraneo, unica area ad alto tasso di sviluppo demografico e quindi ad alto tasso di potenziali consumatori.
Sono queste le grandi politiche che ci aspettiamo da un Governo che abbia rispetto per se stesso. Abbiamo visto qualche annunzio nella coraggiosa esposizione del sottosegretario Sales, ma vorremmo sapere dal Governo se ci si muova su questa strada al fine di creare le premesse allo sviluppo e per eliminare quelle diseconomie di scala che sono il laccio emostatico per lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno d'Italia nella sua funzione e nella sua attuale potenzialità.
La stessa Gioia Tauro è un fenomeno mondiale, in virtù del traffico delle grandi navi porta-container, ma non potrà avere prospettive se per uscire dal porto le merci dovranno continuare ad utilizzare un'autostrada modestissima e una linea ferroviaria che fa ridere, che non permette ai container di fare rapidamente il percorso via terra che giustifica il traffico dei grandi mezzi che portano i container da un continente all'altro. Il porto di Gioia Tauro non ha niente alle spalle, dal punto di vista infrastrutturale, e naturalmente questo niente infrastrutturale disincentiva anche i privati, che avrebbero interesse a trasformare sul luogo quelle materie prime o quei semilavorati che arrivano nel porto nell'ordine di centinaia di migliaia di tonnellate. Ma il Governo è cieco: non c'è niente che somigli ad uno sviluppo infrastrutturale, che il Governo nella sua interezza e nella sua sensibilità dovrebbe adottare e non adotta. Noi continuiamo a sostenere che se il Governo non è in condizione di fare le infrastrutture


Pag. 40

a terra rispetto al porto di Gioia Tauro, che è un porto sul Mediterraneo, sull'Oriente e quant'altro, dovrebbe almeno adottare un provvedimento come quello preso ad Amburgo, dove è stata costituita un'area di franchigia doganale. Potremmo nel caso cominciare a ragionare; altrimenti andremo avanti cercando il modo di utilizzare questo o quell'altro fondo comunitario, senza risolvere alla base il problema dello sviluppo dell'area meridionale, che poi è lo sviluppo dell'intera penisola italiana, al centro del Mediterraneo.

PRESIDENTE. Poiché sono iscritti a parlare ancora alcuni colleghi, ritengo che si possa proseguire con le domande fino alle 11,10, in modo da lasciare venti minuti per la replica.

LUCA CANGEMI. Nell'ambito del discorso che stiamo svolgendo, un elemento non secondario dovrebbe essere quello della valutazione di alcuni soggetti in campo. Mi riferisco - è un esempio significativo - alla task force per l'occupazione. Tutti i colleghi che si occupano delle questioni del Mezzogiorno credo abbiano esperienza di una serie di vicende di reindustrializzazione (sta per scoppiare nuovamente e drammaticamente la questione della ex Pirelli di Villafranca) rispetto alle quali la task force doveva avere - e formalmente aveva - un ruolo di spinta e che si sono risolte in drammatici fallimenti e in elementi sicuramente non edificanti. Ciò attiene da un lato, nell'immediato, ad una questione - passatemi il termine forse eccessivo - di vigilanza o quanto meno di verifica rispetto all'azione di questi soggetti e, dall'altro, ad un tema più generale di cui stiamo discutendo in questi giorni e che però, anche per questa via, dimostra la sua importanza, vale a dire quello di una verifica e di una ristrutturazione degli strumenti di intervento.
Ho ascoltato con interesse il ragionamento del sottosegretario Sales rispetto all'utilizzo dei fondi comunitari per dare finalmente una svolta alla questione delle infrastrutture nel sud, esigenza giustissima. Mi hanno però lasciato perplesso alcuni esempi che sono stati fatti; infatti, se parliamo di alta velocità e soprattutto di ponte sullo stretto mi sembra che l'ottica sia completamente diversa da quella che è utile per fare un salto in avanti e superare la situazione che abbiamo di fronte. Infatti, è proprio di quel tipo di intervento (per il sud non è nuovo) che non abbiamo bisogno. Se invece ragioniamo su altre cose (penso alla questione delle reti, delle acque, di un vero ammodernamento del sistema ferroviario), ritengo che quello di concentrarsi su alcune cose senza la pretesa di fare tutto subito sia un buon approccio, così come credo che occorra riflettere sulla questione dei progetti e anche di un indirizzo politico che il Governo deve dare, senza recepire semplicemente alcune istanze provenienti dai territori. Ripeto, l'approccio che possiamo definire «del ponte» non è né nuovo né utile al Mezzogiorno.
Gradirei, infine, un'informazione - perché circolano notizie preoccupanti - rispetto ad un elemento che ha anch'esso una sua valenza non secondaria in questo contesto: mi riferisco ai programmi di una serie di soggetti rispetto al Mezzogiorno (penso all'ENEL, alle Ferrovie, a soggetti che agiscono nel campo delle telecomunicazioni). Quali sono questi programmi? Infatti, si stanno diffondendo una serie di preoccupazioni rispetto a tale impegno, che non solo non aumenta, ma anzi diminuisce e può avere un'influenza diretta sui livelli occupazionali.

GIUSEPPE NIEDDA. Signor presidente, mi domando se sia corretto affermare che il saldo negativo tra la nostra contribuzione all'Europa e quanto riceviamo di rimando dai fondi strutturali rappresenti un grave problema nazionale. Se è vero - come ha detto il sottosegretario Sales - che abbiamo ricevuto 2 mila miliardi nel 1996 a fronte di una contribuzione di circa 20 mila miliardi, e se nel 1997 abbiamo ricevuto 8 mila miliardi, credo che il divario tra quanto contribuiamo e quanto riceviamo rappresenti un problema


Pag. 41

nazionale fondamentale. Sarebbe pertanto corretto dire che quella dell'anno passato è stata la finanziaria per l'Europa non tanto per quella piccola tassa, che ha garantito un contributo di 3 o 4 mila miliardi, quanto perché le nostre finanziarie le facciamo, malauguratamente, per contribuire complessivamente al fabbisogno dell'Europa, senza ricevere indietro - per una serie di ragioni - quanto probabilmente dovremmo ricevere. E anche l'obiettivo del 50 per cento che ci poniamo nel 1998 è una soddisfazione abbastanza amara. Vorrei sapere - si tratta di una domanda posta anche da altri colleghi - se sia possibile, con progetti o di sponda o diretti, ovviare a quello che sembra veramente uno dei problemi fondamentali del nostro paese.
In secondo luogo, vorrei sapere se esista qualche strumento per valutare se in ordine ai patti territoriali, ai contratti d'area e a tutte le altre forme di incentivo territoriale vi siano stati benefici in campo occupazionale, vale a dire se esista uno strumento per conteggiare l'efficacia di questi interventi o se ci si accontenti di dire che sono stati stanziati 2 mila miliardi senza avere il feed back dell'utilità di tale stanziamento.

ELENA EMMA CORDONI. In ordine all'esigenza posta dall'onorevole Pagliarini di disporre di un quadro sinottico degli strumenti di cui stiamo parlando, credo sarebbe utile, in questo quadro sinottico, rispetto a degli obiettivi che ci siamo posti e ai risultati da raggiungere per le varie tipologie di disoccupazione ed occupazione, avere una comparazione tra uomini e donne per capire gli effetti degli strumenti e il loro impatto sul terreno dell'offerta.
In secondo luogo, sarebbe utile avere una rappresentazione della situazione enunciata dal sottosegretario Sales, cioè che il 50 per cento del paese sarebbe destinatario di tutta una serie di strumenti, in varie forme e in vari modi. Sarebbe opportuna una ricostruzione anche in ordine alle scelte che man mano il Governo e il legislatore hanno fatto nell'individuazione dei territori, per arrivare a soddisfare una seconda esigenza spesso espressa dal Parlamento (ma può essere questo il momento per compiere un passo in avanti), quella di riuscire a capire quali scelte politiche di fondo si fanno. A parte questo, vorrei capire come questi territori siano stati individuati e se siamo in grado di costruire criteri più condivisi, perché altrimenti non ci sottrarremo all'allargamento e al restringimento degli strumenti. Tra l'altro, è questa una richiesta spesso avanzata dal Parlamento ed è la ragione per cui qualche volta accade quello che dice il sottosegretario, vale a dire prestiti d'onore che vengono allargati, tra l'altro ogni volta cambiando i criteri, per cui non si capisce a quali esigenze vere del territorio ci si riferisca.
Ciò è importante sia per i fondi nazionali sia per i fondi strutturali europei; infatti, adesso abbiamo fatto un bilancio di quanto è avvenuto e delle possibili evoluzioni della situazione, ma sappiamo che è in corso la revisione dei criteri dei fondi strutturali, che fra l'altro in Italia abbiamo cercato di far coincidere con i fondi nazionali (in un territorio che non ne usufruisce più le conseguenze sono diverse). Approfittando della revisione di tali criteri, sarebbe utile avere questo dato, come pure sarebbe opportuno ragionare su ciò che si sta discutendo in Europa e che nelle prossime settimane comporterà dei cambiamenti molto forti.
Il sottosegretario Sales ha detto che vi è una serie di strumenti (prestiti d'onore, borse di lavoro e così via) per i quali si potrebbe ricorrere alla dotazione del fondo sociale. Da cosa dipende? Cosa occorre per poter fare questo tipo di operazione?

GIANCARLO LOMBARDI. Vorrei svolgere due osservazioni di carattere generale, una delle quali non credo debba essere sottovalutata, al di là del modo leggermente enfatico - è il loro stile - con cui è stata espressa dai colleghi Pagliarini e Michielon: l'analisi del problema dell'occupazione e della disoccupazione. Il collega Michielon ha fatto una sollecitazione


Pag. 42

in questo senso e il collega Pagliarini ha parlato di una fuga biblica che dal nord-est e dal nord-ovest scorre verso la Boemia: non è proprio una fuga, per fortuna, se non nell'enfasi posta dalla lega, ma il problema è reale. Quindi, occorre una lettura intelligente dei dati, come per esempio di quello della disoccupazione maschile rispetto a quella femminile; oggi abbiamo delle zone del nord in cui non esiste molta disoccupazione maschile, mentre è significativa quella femminile. Quindi, si rende necessaria una lettura più intelligente di quella che porta a dire che non sappiamo neanche quanti siano i disoccupati, leggendo il fenomeno in un modo preciso. Credo che il Ministero del lavoro debba affrontare questo problema e debba attrezzarsi per affrontarlo, perché è abbastanza stupefacente che oggi non disponga di una serie di dati che a noi interessano molto. Lo abbiamo visto rispetto al lavoro dei minori, lo si sa con il lavoro nero, adesso possiamo dirlo anche per la disoccupazione.
Qualcuno, mi pare l'onorevole Bono, ha posto un po' provocatoriamente una domanda sull'eventuale IRI 2. Credo sia convinzione diffusa di queste Commissione riunite - spero anche del Governo - che non esiste possibilità di intervento importante sulla disoccupazione, se non in modo coordinato ed intervenendo su una pluralità di aspetti. Concordo con quanto detto dall'onorevole Salvati: la ragione largamente di fondo e principale è quella dello sviluppo del paese. Tuttavia, accompagnare ad una fase di sviluppo un contributo sull'occupazione più rilevante richiede un intervento su varie voci. Inserirei in proposito le osservazioni mosse da alcuni sulla politica fiscale e sull'eventuale sollecitazione nei confronti delle aziende ad andare oltre confine; inserirei gli oneri sociali che qualcuno ha evocato - mi pare l'onorevole Michielon - come incentivo all'occupazione stessa; inserirei in modo forte l'indicazione del sottosegretario Sales sulla necessità di concentrare i nostri sforzi in alcuni ambiti.
Dedico un'osservazione particolare al problema della formazione professionale, che a mio modo di vedere spesso è fatta bene, al di là della conoscenza che la gente ne ha; tutti parlano della scuola e della formazione e pochissimi conoscono davvero il livello assolutamente eccellente di aggiornamento di alcune scuole tecniche. Manca tuttavia il coordinamento di chi stabilisce quali saranno i fabbisogni formativi fra cinque anni; ravviso al riguardo una grave carenza del mondo imprenditoriale, di tutte le imprese, non certo solo quelle industriali. Manca il coordinamento da parte del Ministero del lavoro; il ministro Berlinguer durante l'esame della finanziaria tenta il blitz di inserire il capitolo all'interno della parte riguardante il suo dicastero, sperando che nessuno se ne accorga. Questo coordinamento reale diventa tanto più serio ed importante se teniamo conto delle osservazioni espresse dall'ex ministro Ruberti (condivido pienamente quanto egli ha detto).
Manca la volontà di affrontare il problema, come risulta dal fatto che non abbiamo fatto partire la ricerca sui fabbisogni formativi soltanto perché mancavano alcune risorse che dovevano venire dall'Europa, per cui si è stabilito che in assenza di questi finanziamenti non si sarebbe proceduto. Questo dà la misura di quanto poco crediamo all'importanza del problema; altrimenti, avremmo trovato le risorse necessarie.
Mi soffermo brevemente sugli esempi non felici riportati dall'ottima relazione del sottosegretario Sales: l'alta velocità e il ponte di Messina. Diversamente dall'onorevole Salvati, dico subito che sono in disaccordo rispetto a tutti e due. Non capisco perché non si proceda ad un intervento coordinato e non episodico sugli enormi capitoli rappresentati dall'edilizia scolastica e sanitaria, dai tribunali e dalle carceri; questi interventi, letti in maniera coordinata in modo da costituire un progetto vero, avrebbero sicuramente una valenza di grande intervento strutturale perché non si tratterebbe di costruire le carceri di Cosenza o la scuola


Pag. 43

di Matera. Quando ero ministro della pubblica istruzione avevo valutato in mille miliardi all'anno la spesa per un intervento sull'edilizia scolastica che permettesse entro tre anni di dare un risultato significativo; siamo nell'ambito di cifre ragionevoli, né troppo piccole né troppo consistenti. Anche qui vedo un problema di coordinamento interministeriale, perché il tema non può non toccare la questione dei ministeri interessati e della gestione generale.
Se questo tema, come il Presidente del Consiglio ha più volte indicato, deve assumere caratteristiche di grande priorità nell'attività governativa, deve scattare un coordinamento interministeriale e un'esplicita volontà politica coordinata, in assenza dei quali francamente non credo che avremo grandi risultati.

STEFANO BASTIANONI. Dalla relazione del ministro del lavoro emerge come il cambio di marcia nell'aggredire il problema della lotta alla disoccupazione consista nel promuovere una tastiera di interventi, a partire dalla legge n. 196 del 1997, promuovendo una politica attiva per il lavoro. Questo è fondamentale ed importante.
È stato rilevato che esistono ritardi e difficoltà attuative per quanto riguarda i patti territoriali ed i contratti d'area. È ipotizzabile la realizzazione di una task force o di una cabina di regia, così come è stata realizzata per la spesa dei fondi strutturali della Comunità europea? Un organismo di questo tipo potrebbe accelerare, superare gli ostacoli che si frappongono nel dare il via ad investimenti che sono poi moltiplicatori di risorse pubbliche e private e quindi anche di nuova occupazione?
In merito al gap infrastrutturale, il sottosegretario ed altri colleghi hanno ricordato come il nostro meridione viva in una condizione di inferiorità dovuta a questa storica carenza di infrastrutture. Come arrivare all'individuazione di questi progetti? Credo che il Governo ma anche il Parlamento dovrebbero immaginare una forma di selezione, individuazione; penso agli strumenti del Giubileo, qualcosa che richiami forme di coinvolgimento di soggetti privati per convogliare risorse. Tutto questo si rende necessario, in quanto vista la rigidità del bilancio da qui ai prossimi anni - è stato detto molte volte - le risorse utilizzabili saranno quasi esclusivamente quelle comunitarie e quelle che saremo in grado di promuovere attraverso i finanziamenti privati.

PRESIDENTE. Essendosi conclusi gli interventi dei colleghi, do la parola al ministro Treu.

TIZIANO TREU, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Queste discussioni sono molto utili ad approfondire e ad ampliare i temi trattati.
Farò due o tre accenni all'aspetto dell'ampliamento. Già nella precedente audizione avevamo inserito queste misure tipiche di politica del lavoro nel quadro generale delle politiche di sviluppo; quindi, senza dubbio il discorso del quadro macroeconomico e del suo sostegno è fondamentale. Ritengo che il tema della ripresa di investimenti pubblici selettivi, dopo un impegno notevole nel risanamento, sia certamente decisivo.
L'onorevole Salvati chiedeva se esista un'idea chiara, si disponga di progetti adeguati o se, viceversa, ci si limiti a mandare avanti quello che è pronto nel cassetto. Come sempre accade quando si fanno queste audizioni, sarebbe bene che fossero presenti, oltre al ministro del lavoro, anche altri membri del Governo. Posso però dire che su questo punto in particolare il collega Costa è stato molto impegnato negli ultimi tempi, individuando alcune priorità strategiche. A partire dal famoso decreto «sblocca cantieri», quando si fece una lista di oltre cento opere che avevano una progettazione pronta, da lì in poi il ministro Costa è stato impegnato proprio nell'attività di privilegiare all'interno di questa lista quei progetti che non solo erano pronti, ma avevano un effetto specifico per migliorare le condizioni dello sviluppo soprattutto nelle aree del Mezzogiorno. Non so se a


Pag. 44

questo punto sia utile una integrazione di audizione con il ministro Costa.
Un altro problema generale che è stato giustamente posto è quello del coordinamento di queste politiche - anche quelle sulle infrastrutture, sulla formazione, sulla ricerca - in un processo che sta puntando al decentramento. Ci poniamo questo problema ormai per molti aspetti; senza dubbio, questo è un processo molto delicato che va gestito - occorrerà molto tempo perché il decentramento non è certo realizzabile velocemente - attraverso un coordinamento che abbia almeno due piani: uno politico che può avere una sua sede nel CIPE ed uno di interlocuzione con le conferenze Stato-regioni-città. Certamente in questo processo si sente molto il bisogno del coordinamento e dell'intervento di sostegno anche operativo.
A questo punto faccio un inciso, perché mi è stato chiesto quale sia il futuro dell'Agenzia del sud. Mi sembra corretto riprendere l'indicazione del patto per il lavoro concluso a suo tempo, nel senso che l'esigenza prioritaria è quella di semplificare una congerie di strutture di vario tipo che si sono accumulate e agiscono spesso in modo scoordinato e con sovrapposizioni. Il problema, quindi, non è quello di creare una nuova struttura e tanto meno una megastruttura, ma è quello di semplificare e prevedere funzioni leggere ma importanti di coordinamento e promozione. È vero quanto dice il sottosegretario Sales e cioè che lo sviluppo locale si deve basare sulle forze locali: si tratta di un processo lento ma giusto. Però, in questa situazione, sono sicuramente utili strutture in grado di sostenere, sul piano della progettazione e della promozione di progetti di impresa, le attività che nascono sul territorio.
I ritardi in relazione ai patti e agli interventi infrastrutturali ritenuti importanti possono essere addebitati alla carenza di progettazione e alla difficoltà di coordinamento. Quelle che portano sviluppo locale sono tutte attività combinatorie ed in questo senso ci dobbiamo muovere anche con l'agenzia.
Non vi è dubbio che tra gli interventi strutturali di fondo quello sulla ricerca e sull'innovazione ha un ruolo centrale. Faccio solo notare che, in attuazione del patto per il lavoro dello scorso anno, è stata avviata una serie di iniziative che hanno favorito gli investimenti in innovazione e ricerca ed è in gestazione un decreto legislativo - che sarà esaminato dal prossimo Consiglio dei ministri - di riordino del quadro di programmazione degli organismi per la razionalizzazione dell'uso delle risorse destinate alla ricerca di base e alla ricerca applicata. Evidentemente l'attività del collega Berlinguer è orientata in questo senso.
Molti hanno parlato di informazione e monitoraggio. Desidero solo dire che l'ISTAT è stato sollecitato da qualche mese dalla Presidenza a fare approfondimenti teorici e pratici sulle varie modalità di rilevazione del fenomeno disoccupazione, occupazione, rapporto tra disoccupazione e lavoro nero. La questione è molto dibattuta anche a livello europeo. Al di là della vostra possibilità di ascoltare direttamente i responsabili dell'ISTAT, a breve ci arriverà un rapporto che saremo lieti di mettere a vostra disposizione.
Uno dei solleciti che ci provengono dall'Europa è quello di creare degli indicatori che permettano di monitorare in modo esatto le quantità e le priorità dell'intervento delle varie politiche (io parlo di quella del lavoro, però a monte vi sono quelle sulle infrastrutture, sulla ricerca, eccetera). Oltre alla misurazione degli interventi è difficile un'azione di monitoraggio sulla gestione effettiva degli stessi e sulla loro efficacia. Quest'ultima è una valutazione di particolare difficoltà. Noi siamo partiti con la formazione professionale, abbiamo avviato una attività di identificazione degli standard e dei criteri e abbiamo istituito dei centri, sia interni sia autonomi, di valutazione degli interventi formativi. La stessa cosa stiamo approntando per le politiche del lavoro. Si tratta di una iniziativa appena avviata che risponde anche ad esigenze sollecitate dall'Europa.


Pag. 45


A proposito di formazione professionale, non vorrei che si dimenticasse che partiamo da situazioni molto difficili sia per lo scollamento tra la scuola e la formazione professionale, sia per la tradizione di pessima gestione di quest'ultima. Il lavoro che abbiamo avviato da qualche mese è fortemente coordinato con il Ministero della pubblica istruzione: un'occasione questa che non si è presentata molte volte in passato. Incontriamo qualche difficoltà nella giuntura tra formazione di base, formazione professionale di primo livello, nella quale è impegnata sempre di più la scuola, e formazione continua.
Per rispondere alle osservazioni dell'onorevole Salvati, preciso che stiamo lavorando sugli standard, i criteri di accreditamento degli enti e i criteri per la certificazione delle attività formative. Questi sono gli strumenti per permettere che la gestione continui a livello decentrato ma vi sia un momento centrale, addirittura europeo, in cui si sia in grado di verificare cosa si sta facendo, la qualità e gli impatti.
Anche la lunga vicenda dei fabbisogni formativi è decollata. Abbiamo avuto grandi ritardi per i motivi indicati dall'onorevole Lombardi, ma attualmente sono in corso due ricerche, una molto avanzata coordinata dall'Unioncamere con il nostro intervento, che dà un quadro delle tendenze delle professioni (progetto Excelsior), ed un'altra, gestita dalle parti sociali, che è un po' in ritardo ma sta finalmente dando qualche indicazione.
Ho citato i lavori socialmente utili solo per ribadire che, come prevede il provvedimento recentemente approvato, devono essere progressivamente trasformati in lavori in grado di autosostenersi con forme di impresa sociale. Si tratta di un'operazione molto complicata che richiede tempo. Come diceva il collega Sales tutte queste iniziative nei luoghi più difficili si mettono in moto, ma poi i tempi non possono essere brevissimi; comunque il processo è avviato.
Non sono in grado di darvi tutte le informazioni che sono state richieste, ad esempio, a proposito dell'apprendistato e dei contratti di formazione lavoro al sud e al nord, però, poiché mi si chiede in generale una mappatura, posso dire che alla fine del processo di costruzione del piano saremo in grado di avere un quadro sinottico almeno degli strumenti essenziali e delle relative risorse impiegate. Questa è un'opera che il ministro del lavoro può fare solo in parte - in realtà anche come utente -, poiché è necessario il coordinamento della Presidenza, in quanto gli strumenti vanno dai lavori pubblici, ai trasporti, al bilancio, alle finanze, alla pubblica istruzione, alla ricerca e infine al lavoro. Comunque, mi impegno a fornire un quadro sinottico più esauriente possibile.
Si è posto il problema delle aziende e dell'esodo: abbiamo l'impegno, cui crediamo molto, di pilotare in modo coordinato, coinvolgendo le associazioni di categoria, un movimento delle aziende e delle aree sovraffollate verso quelle più critiche, in particolare del Mezzogiorno. Questi patti di gemellaggio che stiamo promuovendo sono uno strumento, anche se ne serviranno altri; dovremo per esempio rafforzare l'attività di scouting di cui parlava l'onorevole Pagliarini. C'è qualche idea, bisogna essere più concreti, ma i primi segnali ci sono. Noi cerchiamo di favorire la delocalizzazione; è chiaro che non possiamo competere con quelle aree in cui i costi sono dieci volte inferiori ai nostri, però per certi tipi di produzione, in forma sia di delocalizzazione sia di subforniture, stiamo avendo dei risultati cercando di favorire il movimento delle aziende in aree specifiche del Mezzogiorno in particolare, dove esistono condizioni di convenienza che abbiamo creato con gli incentivi di cui abbiamo parlato. È un inizio. La prospettiva è quella di migliorare le condizioni di convenienza, il che comporta delle politiche molto più a medio periodo, come la riduzione dei costi indiretti sul lavoro, la semplificazione amministrativa e via dicendo.
Per quanto riguarda il lavoro sommerso, oggi non ho detto niente, ma ne avevamo parlato la volta precedente: c'è


Pag. 46

una specifica attenzione, al di là dei contratti di emersione, che pure hanno cominciato a funzionare. Già in sede di DPEF si era avviata un'attività di analisi, che vorremmo concludere a breve, perché si tratta effettivamente di un problema gravissimo, che si può affrontare solo in una prospettiva strutturale di lungo periodo. Se lo riterrete opportuno, a questo potremo dedicare una specifica sessione.
Quanto alle spese del fondo sociale europeo, abbiamo recuperato molto, ma possiamo fare meglio. È vero che i progetti di sponda non sono sufficienti, ma faccio notare che anche altri paesi hanno cominciato così e poi si sono rimessi in pista; c'è l'esigenza, che condivido, di trovare un utilizzo di questi fondi anche per strumenti che hanno bisogno di essere alimentati, come il prestito d'onore.
Per quanto riguarda in generale l'utilizzo dei fondi strutturali, abbiamo una buona previsione; non è vero che ci basiamo solo su progetti di sponda (ci hanno permesso di prendere fiato), ma disponiamo di strumenti per cui, ragionevolmente, siamo in grado di arrivare ad una buona capacità di spesa. Certamente, rimane il problema della qualità.

PRESIDENTE. Chiedo al ministro l'impegno a farci pervenire, anticipatamente rispetto agli scoop giornalistici, il testo del Piano nazionale di azione per l'occupazione, in modo che le Commissioni parlamentari partecipino con questo atteggiamento nella fase ascendente e poi, contestualmente, anche alla presentazione del piano.

TIZIANO TREU, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Senz'altro, signor presidente.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro del lavoro e il sottosegretario Sales per la collaborazione, nonché i colleghi presidenti e tutti gli onorevoli che hanno preso parte all'odierna seduta.

La seduta termina alle 11.35.