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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del generale Mario Arpino, Capo di Stato maggiore della difesa, al quale cedo la parola, dopo averlo ringraziato a nome della Commissione.
DANIELE FRANZ. Prima che il generale Arpino inizi la sua esposizione, mi sembra doveroso precisare che la scarsa affluenza dei colleghi è determinata da contestuali lavori nelle Commissioni parlamentari di merito.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Signor presidente, onorevoli parlamentari, vi ringrazio innanzitutto per avermi convocato in Commissione. Spero che questa sia un'occasione per far condividere le esperienze aviatorie degli ultimi quarantacinque anni della mia vita che ho percorso senza staccarmi mai completamente dall'attività di volo. È anche in questa chiave che ho cercato di vedere e di interpretare ciò che è successo. Ho cercato di filtrare tutto con l'esperienza che ho maturato in oltre sette anni al vertice dell'aeronautica: quattro anni come Capo di Stato maggiore dell'aeronautica, oltre tre anni in qualità di sottocapo di Stato Maggiore dell'aeronautica e poi l'ultimo anno e mezzo come Capo di Stato maggiore della difesa, che mi ha permesso di vedere, osservare e capire le cose in chiave diversa. È con la massima collaborazione che, dopo l'esposizione della relazione che lascerò agli atti insieme con altri documenti che ritengo possano essere di interesse della Commissione, sarò disponibile per ogni tipo di quesito e cercherò di rispondere nel modo più semplice e appropriato.
solo per informazione (ho visto che si è dibattuto ed è stato chiarito, con manuale di scuola di guerra, cosa significhi in indirizzo «per conoscenza» o «per azione»). Con il messaggio venivano indicate le soluzioni individuate a seguito di una riunione specifica tenuta per vedere come diminuire l'impatto ambientale causato dal proliferare dell'attività esercitativa, e veniva richiesto, di conseguenza, di evitare l'attività addestrativa a bassa quota per reparti non stanziali, qualora non rispondente a dirette esigenze connesse con la missione in Bosnia.
emotiva, sono da valutarsi - o almeno io le valuto - non del tutto corrette per vari motivi: o per mancanza di cognizione di alcuni particolari, o perché non a conoscenza del momento, dello spirito e dell'ambiente in cui è nato il messaggio, o perché sono state dettate dal senno di poi, o addirittura da un senso di colpa ingiustificato ma sicuramente derivante dalle emozioni che in quei giorni ci sono state, a seguito della portata del disastro. A volte, soprattutto nei gradi più elevati, questa interpretazione con il senno di poi può essere derivata da una visione parziale del problema (visione NATO e visione non nazionale). Intendo dire che le missioni si dividevano in due grandi categorie, quelle NATO per la Bosnia che potevano essere sia NATO sia nazionali e passavano, come dicono i generali Vannucchi e Tricarico, attraverso il CAOC di Vicenza, e tutte le altre che nascevano per esigenze diverse (voli di controllo o di addestramento periodico), non avevano niente a che vedere con la NATO, con il CAOC e con la Bosnia e venivano regolarmente inserite (poche ultimamente ma tante in precedenza) nel piano di volo giornaliero compilato dai reparti.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. La mancanza di applicazione puntuale delle procedure, ancorché la causa immediata della tragedia sia stata solo l'indisciplina, non va sottaciuta ed è ancora per tutti gli aeronautici professionisti una fonte di estremo disagio, in quanto nel nostro mestiere non possiamo accettare mancanza di professionalità. Ci vergogniamo.
USA, ma non cambia, perché non necessario, quanto era già sancito a chiare lettere nel BIA, e cioè che l'attività volativa dei reparti permanenti sul territorio debba uniformarsi alle regole e alle norme nazionali. Questo c'era e bastava ai fini della tragedia. Il BIA è quindi l'accordo fondamentale da rifinalizzare, ed è proprio attraverso la revisione, prima da parte politica dei protocolli aggiuntivi al BIA e poi, a cascata, da parte militare dei Technical agreement discendenti dallo Shell agreement, che sarà effettivamente sostanziato il principio ed il modo con cui deve essere applicata la sovranità nazionale. I protocolli aggiuntivi e i Technical agreement dovranno ovviamente contenere, recependoli, anche gli esiti della Commissione Tricarico-Prueher, ovvero regole più stringenti e responsabilità più precise sia per comandi USA, sia per comandi nazionali, i famosi otto punti di cui ha parlato il generale Tricarico in questa sede.
oneri non sempre e non del tutto condivisi. A risolvere, per lo meno in parte, la questione, ed al fine comunque di definire presso le basi le esigenze logistiche e finanziarie, localmente sono stati a suo tempo concordati dei local arrangements tra il comandante italiano della base ed il comandante del reparto ospitato. Ciò è avvenuto per tutte le basi ad eccezione di Aviano, per il semplice motivo che i velivoli aggiuntivi o rischierati per l'operazione Bosnia si sono appoggiati alle strutture americane stanziali già regolamentate, come detto, da specifici accordi bilaterali (il summenzionato BIA) e non vi era quindi un supporto diretto italiano da regolamentare. Ad Aviano, cioè, è il reparto stanziale dell'USAF (31o Wing) che si prende cura dei reparti americani contingentemente rischierati. Da ciò, le diverse responsabilità del comandante italiano di Aviano rispetto a quelle degli altri comandanti nazionali. Il procuratore Block mi ha intrattenuto parecchio sull'argomento ed io ho spiegato che le competenze del comandante di Aviano sono completamente diverse da quelle del comandante di uno qualsiasi degli stormi nazionali, il quale ha tutte le competenze, incluse le operative (dal supporto logistico all'approvazione del programma di volo). Tutte queste attività sono prerogative del comandante dello stormo americano, mentre quelle del comandante italiano compaiono nelle tabelle. Le responsabilità operative riguardano gli atterraggi, i decolli, l'avvicinamento GCA, l'avvicinamento radar nella parte interessante l'aeroporto, eccetera. Le responsabilità previste dagli accordi riguardano la sicurezza a terra, quella dei cancelli, del perimetro, eccetera perché gli americani tendono ad esercitare una propria sicurezza.
incrociamo sempre le dita. L'aeronautica militare italiana, proprio negli anni oggetto di indagine, vi si è avvicinata significativamente.
ampio rilievo. Fra i tanti incarichi assegnati in organizzazioni in cui sono presenti gli americani con ampia quantità e qualità di forze, voglio citare la presidenza del comitato militare della NATO, affidata all'ammiraglio Venturoni. Sto conducendo degli accordi per il comando dei 50 mila uomini in Kosovo (americani, francesi, inglesi, polacchi e russi) che sarà assegnato all'Italia a partire dal prossimo autunno. Il comando in Albania è permanentemente tenuto da un generale italiano. La lista sarebbe ancora lunga, ma basta ricorrere al ricordo per verificare che non siamo mai stati trascurati; si tratta più di un modo di dire che della realtà.
con la scatola nera, che ci consentono di esaminare a posteriori le fasi del volo.
Ciò perché influisce sulla stessa in maniera determinante, contribuendo a ridurre i rischi e a preservare quello che il paese ci affida. Asserire o pensare che nulla sia stato fatto per prevenire, nonostante decine e decine di segnalazioni, come emerge spesso dalla lettura dei testi, è non solo ingiusto, anche se ne capisco lo spirito emotivo, ma anche poco rispettoso del lavoro quotidiano di tante persone costosamente pagate - magari poco - dallo Stato per fare questo. Non mi riferisco certamente ai membri della Commissione, che mai hanno fatto questo tipo di affermazione.
individuate dalla Commissione Tricarico-Prueher garantirà più che adeguatamente il rispetto e l'applicazione delle regole nazionali da parte americana o di altre nazioni temporaneamente nostre ospiti.
PRESIDENTE. Nel ringraziare il generale Arpino per l'ampia relazione, do la parola al collega Boato.
MARCO BOATO. Mi scuso con il generale Arpino del ritardo con cui ho preso parte alla riunione, perciò se ad uno dei quesiti che le sottoporrò lei avesse già risposto durante l'esposizione, me lo dica che leggerò il resoconto stenografico.
di una valle, poteva diventare una strage annunciata! Potrei ricordare altri cinque o sei episodi del genere. Questo per dire che probabilmente, se questo tipo di episodi e di violazioni verificatesi in passato avessero trovato una risposta più rigorosa, più decisa e più decisiva, la strage - annunciata o meno - del 3 febbraio 1998 non ci sarebbe stata. Convengo con lei che la strage si è verificata perché sono state violate tutte le regole, anche quelle esistenti, che però erano insufficienti, tant'è che si è provveduto a modificarle.
PRESIDENTE. Questo punto è importante. Lei ha parlato di non precettività della nota del 21 aprile 1997 e di voli vietati per reparti non stanziali, escluse le operazioni in Bosnia. Se la nota non aveva natura precettiva, qual era la sua finalità?
DANIELE FRANZ. Rivolgo al generale Arpino un doveroso ringraziamento e mi scuso perché al termine del mio intervento dovrò allontanarmi poiché sono atteso in altra Commissione, dove dobbiamo procedere all'elezione del presidente.
DANIELE FRANZ. Mi chiedo quindi se sia il caso di farle diventare qualcosa in più che semplici raccomandazioni e fare in modo che il Governo americano le recepisca compiutamente.
che non risiedono certamente all'interno delle forze armate, ma sono ministri, indipendentemente dalla forza politica di appartenenza - indifferenti.
LUIGI OLIVIERI. I colleghi che mi hanno preceduto hanno già formulato le domande più interessanti relative al livello di precettività dello SMA 332 del 21 aprile 1997, al perché non fosse precettivo e al motivo per cui fosse stato emanato.
ELVIO RUFFINO. L'audizione odierna è particolarmente importante per la funzione che lei, generale Arpino, riveste oggi e per quella che rivestiva all'epoca dei fatti. L'attesa non è stata delusa, perché su molti punti abbiamo avuto elementi di chiarezza ma anche di autocritica e di orgogliosa affermazione della professionalità, non certo inutile anche di fronte a fatti così drammatici.
meno su chi doveva autorizzare quel volo. Mi colpisce il fatto che alcuni degli esponenti di maggior rilievo abbiano dato valutazioni diverse sul fatto che doveva essere autorizzato da Martina Franca o da Vicenza. I generali Vannucchi e Tricarico hanno affermato che quel volo doveva essere autorizzato da Vicenza, mentre altri ufficiali dell'Aeronautica, fra cui anche lei, dicono che la procedura era tale per cui il volo doveva essere autorizzato da Martina Franca.
PIETRO MITOLO. Ringrazio il Capo di Stato maggiore della difesa per la sua ampia e puntuale relazione che, a differenza di altre che abbiamo ascoltato, è stata esaustiva. Non ho quindi domande da porre, anche in considerazione delle risposte che darà ai colleghi intervenuti. Desidero solo dire che dall'esame della relazione del generale Tricarico e dalle decisioni assunte, si evince chiaramente che è stato posto rimedio alle lacune che purtroppo esistevano. Si comprende anche che non vi è stato un certo controllo, ma non c'è dubbio che la responsabilità dell'incidente ricade ampiamente non sull'Aeronautica italiana ma sul comportamento del comandante dello stormo e di chi aveva la responsabilità del personale americano. Basti pensare che non aveva adempiuto al più elementare obbligo di adeguarsi alle norme facendo volare i propri piloti con le carte americane, pur avendo a disposizione quelle italiane. È evidente che vi è stata una carenza, oltre all'indisciplina del pilota e di chi ha condotto il volo.
PRESIDENTE. Alcune domande che intendevo porle sono state anticipate da chi è intervenuto, perciò non le ripeterò. Ella ha detto - può correggermi se sbaglio - che per ogni segnalazione veniva aperta un'indagine: invero vi sono state molte segnalazioni nella vicenda precedente alla tragedia e per ognuna di queste è stata aperta un'indagine, sì o no?
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Signor presidente, per rispondere unificherò in categorie i quesiti rivolti, nel senso che tratterò della precettività del messaggio del 21 aprile e delle
discordanze; delle finalità della nota del 21 aprile, delle segnalazioni e delle relative conseguenze; delle regole vigenti e degli accordi della Commissione Tricarico-Prueher.
MARCO BOATO. Per quanto riguarda Vicenza, si è detto che la missione non avrebbe dovuto essere autorizzata.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Esatto. Era giusto inserire la missione nel piano di volo giornaliero. Non a caso i due altissimi ufficiali, generali a tre stelle, cioè un grado di vertice, sono ex comandanti della V ATAF.
MARCO BOATO. Non esisteva il divieto di volo a bassissima quota per chi faceva parte della missione Deliberate guard?
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Questo è il punto, non c'era il divieto, non è mai stato espresso. Chiedevamo che il divieto venisse espresso, ma non è mai stato fatto espressamente.
MARCO BOATO. Perché ci dicono che se quel tipo di richiesta fosse arrivata a Vicenza sarebbe stata respinta?
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Perché non era una missione finalizzata alla Bosnia, quindi è giusto il suo inserimento nel piano di volo giornaliero.
MARCO BOATO. Se non c'era questo divieto, ci hanno detto il falso in molti!
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Il divieto non c'era. Nessuno ha mai precettato con questo messaggio, né era mio intendimento cancellare attività addestrative di reparto.
che segue. Se nel periodo di addestramento c'è questo tipo di scadenza, il rinnovo va fatto, ma non è una missione che deve ricevere l'autorizzazione del CAOC.
MARCO BOATO. Io parlavo del divieto di volo a bassissima quota per l'operazione Deliberate guard, cioè il divieto di volo specifico per i reparti rischierati per quella missione.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Anche la bassa quota rientra nelle qualifiche da mantenere, così come il tiro e la strumentale. Trattandosi di fatti episodici ed essendo ben contenti che l'attività era stata drasticamente ridotta - tanto che negli ultimi tre mesi solo 11 missioni sono state inserite nel programma - non ci siamo preoccupati. La peculiarità è che il 31o stormo avrebbe dovuto coordinare e controllare la regolarità delle attività dei reparti americani che di esso facevano parte, ma quando abbiamo riscontrato l'esistenza di 11 missioni nell'arco di tre mesi, nessuno si è spaventato. Non era un problema di sicurezza del volo; quale impatto acustico potevano provocare quelle 11 missioni volate presumibilmente per rinnovare o mantenere le qualifiche nell'ambito di centinaia di missioni? Nessuno.
MARCO BOATO. Ma non è emerso da nessuna parte che quel tipo di missione era stata autorizzata per le finalità da lei indicate; non è emerso da nessun documento, né è stata data alcuna giustificazione. Ci è stato detto che è stata mascherata all'interno di un'attività di un reparto stanziale, qual è il 31o stormo, mentre si trattava di un reparto non stanziale rischierato ad Aviano per la missione Deliberate guard. È una novità.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Nessuna novità, sto cercando di dare una spiegazione utilizzando la chiave dell'esperienza.
MARCO BOATO. Il messaggio è precedente al 3 febbraio: siamo nell'aprile dell'anno prima.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Non vedo queste incongruenze. Spiego le differenti interpretazioni dei due colleghi, ex comandanti NATO, con una prospettiva NATO: loro dovevano gestire non missioni di PVG, ma solamente missioni di CAOC, e non essendo questa una missione di CAOC, se fosse acceduta, attraverso i programmi informatizzati, il loro computer l'avrebbe respinta. Da qui discende il fatto che non l'avrebbero mai autorizzata, nel senso che non sarebbe mai arrivata. Sinceramente, guardando le cose in termini pratici con l'occhio della persona esperta, non vedo né discordanze né tentativi di frode - su questo non posso mettere la mano sul fuoco - da parte del reparto rischierato; forse vedo della noncuranza, del careless, una mancanza di attenzione da parte del comando del 31o stormo, che avrebbe dovuto verificare che tutte le regole ben note fossero rispettate. È per questo che al comandante nazionale di Aviano, fino allora, non era stato comandato di verificare gli aspetti operativi e i piani di volo, così come verificato dai giudici Block e Iacobellis. Non aveva alcuna facoltà di farlo, perché i suoi compiti erano assolutamente
al di fuori di tutto questo e si limitavano alle attività aeroportuali in termini operativi, per quanto riguarda le partenze e i decolli.
MARCO BOATO. Però c'è un paradosso (noi non siamo dei tecnici, ma i nostri consulenti sì): mentre per i reparti stanziali valeva la quota minima di 500 piedi, per i reparti rischierati vi era il divieto di scendere al di sotto dei 2000 piedi. È difficile capire che lo stesso aereo e lo stesso equipaggio, in una veste possono andare fino a 500 piedi (quello di cui parliamo è andato molto al di sotto e ha provocato ciò che sappiamo) e in una veste diversa devono rimanere al di sopra dei 2000 piedi. Questo aspetto non è convincente; sembra che vi sia una clandestinità e cioè che un volo sia stato - uso un'espressione del generale Tricarico - «infilato» in un piano che riguardava un reparto stanziale, il quale si presume conoscesse meglio il territorio.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Un reparto, un velivolo ed un pilota rischierati volano sempre sotto un'unica veste.
MARCO BOATO. Ma lì è stato «infilato» nel 31o stormo.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Sì, perché tutte le missioni di Aviano venivano coordinate dal 31o stormo, che ha un centro operativo che produce le missioni anche per i reparti aggregati. Quindi, è normale che faccia riferimento al 31o stormo, il quale però non ha esercitato il controllo. Per il comandante di Aviano era normalissimo trovare la missione di un reparto aggregato nei piani di volo giornalieri del 31o stormo: non poteva arrivargli diversamente, se non attraverso il CAOC di Vicenza, però non era quello il caso, perché la missione non era gestita da Tricarico o da Vannucchi precedentemente.
MARCO BOATO. Ho già precisato che noi non siamo dei tecnici.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Per me è tutto spiegabile. Naturalmente si va da un estremo all'altro: vi è l'ipotesi per cui erano in malafede e hanno cercato di contrabbandare il volo attraverso il 31o stormo.
MARCO BOATO. Questa ipotesi non la formulo io: sto usando un'espressione contenuta nel resoconto stenografico dell'audizione del generale Tricarico, che il Governo italiano ha messo a capo - insieme con il collega americano - della commissione che deve prendere i provvedimenti affinché episodi come quello di cui parliamo non si verifichino più. Ciò è stato detto non da Marino o da Boato, che non sono dei tecnici, ma da un generale che aveva un incarico all'epoca e ha avuto il compito di adeguare le normative, alla luce di quello che è successo.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Ho capito perfettamente: lo ha detto il generale Tricarico e la prima impressione è che non potevano volare e hanno cercato di farlo aggirando l'ostacolo, cioè il blocco elettronico del CAOC. Questa è una versione plausibile; ma può essere anche vera la mia ipotesi che è più benevola: la missione pianificata non rientrava tra quelle NATO e non era gestibile
dal CAOC, ma era gestibile attraverso un normalissimo piano di volo. Qualunque pilota francese che atterra a Grosseto è libero di andare al controllo di aeroporto e compilare un piano di volo che viene approvato se è regolare, se rispetta i limiti ed è presentato nei formati dovuti. Capisco che la cosa dia adito a dubbi; capisco che due ufficiali, che allora avevano un alto comando NATO, nella loro ottica NATO (allora non poteva essere diversa, come i loro ricordi riferiti a quel periodo non potevano che essere NATO), dicano che la missione da loro non sarebbe passata: è vero perché la missione non doveva passare. Non trovo incongruenze. Se vi sia stato tentativo di frode, lo sa solo il pilota. Può anche darsi, viste le gravi inadempienze, però non vorrei pensare solo a questo. Posso anche pensare che tutto sia avvenuto regolarmente, perché così doveva avvenire. La missione non era autorizzata? Era stato chiesto di non autorizzare più missioni di quel tipo, ma nessuno aveva detto che non dovevano essere autorizzate. Lui l'ha presentata ed è stata accettata, per cui era a posto. Poi ha combinato ciò che sappiamo.
MARCO BOATO. Dellai ha solo detto che la protesta è stata fatta in stile alpino, nel senso che non sono andati in piazza con le bandiere.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Ho trascritto parte delle affermazioni del sindaco di Cavalese, audito l'8 marzo di quest'anno, che mi sembrano illuminanti e che avrebbe tutto l'interesse ad amplificare la vicenda.
PRESIDENTE. La persona interrogata all'epoca non era sindaco di Cavalese.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Leggo testualmente. «... Spero abbiate compreso che i voli che si sono ripetuti più e più volte, erano voli soprattutto nazionali, legali, autorizzati, entro le quote stabilite, per i quali non era possibile procedere con denunce perché non serviva niente. Qui serviva l'azione politica. Per quanto riguarda invece i voli al di sotto di questi livelli, personalmente e come sindaco ho testimonianze di questo telegramma del 1981; il resto sono chiacchiere. In comune non ho raccolto una sola testimonianza scritta di qualcuno che sostenga che gli aerei continuano a passare sotto le funi della funivia, né personalmente ho assistito a questo».
MARCO BOATO. Nel corso di quell'audizione, da lei letta accuratamente, il sindaco Gilmozzi - persona rispettabilissima che pochi giorni fa è stato rieletto - non ci ha messo a conoscenza dell'unico caso in cui, in consiglio comunale, era stata presentata un'interrogazione e data una risposta per un episodio di cui abbiamo avuto contezza successivamente. Il sindaco, essendo ancora fisicamente presente in aula, ha citato quell'episodio che aveva totalmente dimenticato. Ha anche aggiunto che una volta portate a conoscenza dell'autorità politica più eminente le segnalazioni, ossia la giunta provinciale di Trento, a lui non competeva più intervenire, com'è comprensibile dato che il sindaco di un piccolo paese non può pensare di modificare le regole. A cascata vi è poi l'episodio della lettera del presidente della provincia autonoma di Trento, Andreotti, che scrive al ministro della
difesa ricevendo una risposta sei mesi dopo - sono cauto nel citare il ministro della difesa dell'epoca, perché personalmente gli sono amico e sono addolorato della situazione in cui versa - con la quale si affermava di aver recepito la preoccupazione, ma tutto sarebbe continuato come prima. La vicenda di Cavalese è dunque un po' più complessa.
PRESIDENTE. In quell'occasione vi fu un contrasto duro tra il sindaco di Cavalese e il rappresentante del Comitato 3 febbraio proprio su questa omissione, volontaria o involontaria, del sindaco stesso.
MARCO BOATO. Tanto che il sindaco ha ripreso la parola per citare l'episodio.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Mi sembra un azzardo parlare di stragi annunciate che avrebbero dovuto indurci ad una maggior cautela, che comunque vi è stata perché quando giunge una segnalazione si «scatena» una ricerca meticolosa. Pensate che la sola aeronautica italiana compie 150-180 mila ore di volo all'anno e le segnalazioni giungono con grande ritardo, sono imprecise ed è molto difficile rintracciarle.
MARCO BOATO. Accetta un dialogo con chi ha il massimo rispetto nei suoi confronti, dal momento che dobbiamo approfondire una vicenda?
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Sì, certo.
MARCO BOATO. L'episodio citato dal collega Olivieri è caratterizzato dall'indicazione del giorno, dell'ora, della località - che credo corrisponda ad una delle rotte seguite - per cui nell'ambito di quella mole di ore di volo da lei ricordata può essere identificato. Chi volava quel giorno, a quell'ora, su quella rotta? Ritengo che una risposta si possa avere.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Non voglio essere il difensore d'ufficio di nessuno, anche perché ho svolto inchieste e irrogato sanzioni severissime come il ritiro del brevetto. In un caso in cui avevamo chiesto il ritiro del brevetto per palese violazione, un tribunale amministrativo regionale ha fatto in modo che il pilota lo riavesse; in un altro caso, in cui il pilota ha puntato il Macchi 339 su casa propria a bassissima quota con l'allievo a bordo, siamo giunti fino al Consiglio di Stato ed ora il pilota è un comandante dell'Alitalia.
l'autore del misfatto, perché per Torbole di questo si è trattato: rispondo che faremo tutto il possibile come sempre abbiamo fatto, ma non riusciamo a garantire il risultato.
MARCO BOATO. Ci è stato detto.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. Devo anche dire, ad onore dell'aviazione degli Stati Uniti, che con loro non abbiamo mai avuto problemi di sorta sul territorio, anche per fatti ambientali, se non episodi riconducibili non tanto ad indisciplina quanto a puntigliosità nel voler compiere la missione a tutti i costi.
tanto che avevamo raddoppiato le quote per la navigazione a bassa quota dei velivoli non stanziali. Quindi, il pilota ha violato più volte: le norme standard, le nuove norme e le norme del corpo dei Marines che prescrivono che con quel tipo di velivolo non si può volare al di sotto dei 1.000 piedi. Subito dopo l'incidente - lo ha reso noto il ministro Andreatta - sono state raddoppiate tutte le quote: da 250 piedi si è passati a 500 in determinate aree; da 500 a 1000 genericamente parlando sul suolo italiano; 2000 su tutto l'arco alpino, definito come tale da coordinate geografiche; è stata sollevata addirittura a 13000 piedi la quota di sorvolo in un quadrato identificato da coordinate nella zona del Cermis. In questo, come dicevamo con l'onorevole Olivieri, privilegiando leggermente il Trentino, visto il torto subito, rispetto alle altre regioni italiane.
MARCO BOATO. Una specie di risarcimento postumo.
MARIO ARPINO, Capo di Stato maggiore della difesa. L'accordo Tricarico-Prehuer recepisce gran parte di tutte queste limitazioni o dei nuovi assetti di quota. Ribadisco che siamo veramente arrivati al punto in cui toglieremmo qualsiasi contenuto addestrativo a questo tipo di attività se provvedessimo ad innalzare ulteriormente i limiti. D'altro canto le attività che svolgiamo all'estero sono costosissime e soddisfano solo in parte le nostre esigenze addestrative.
PRESIDENTE. La ringrazio vivamente a nome della Commissione per la completa disponibilità dimostrata. Avevamo la necessità di porle alcune domande per arricchire la nostra conoscenza e per approfondire l'indagine che ci impegnerà ancora per un certo tempo.
Immagino che vi saranno diversi quesiti. Ho scorso con attenzione gli atti della Commissione, che mi sono stati cortesemente e puntualmente inviati, e ho notato che gli argomenti che ricorrentemente sono oggetto di dubbi e perplessità appartengono grosso modo alle stesse classi di interesse. Ritengo così necessario iniziare facendo chiarezza su alcuni di questi argomenti che ho cercato di porre sotto una lente di ingrandimento e di mettere a fuoco per proporre alla Commissione la mia visuale degli avvenimenti, tentando di sgomberare il campo dalle perplessità.
Il primo di questi argomenti è il telegramma del 21 aprile 1997 (SMA 332). Ho già dichiarato in sede di colloquio con il procuratore militare di Padova, dottor Block, che il messaggio va considerato non come un ordine ma come una richiesta e, quindi, non aveva alcuna natura precettiva nei confronti delle autorità NATO cui era indirizzato né, a maggior ragione, degli enti nazionali cui era stato esteso
Mi aspettavo che la richiesta producesse effetti positivi, come ha puntualmente fatto: l'attività addestrativa dei singoli reparti non stanziali ha subito un decremento notevole, tanto che le pochissime missioni extra Bosnia (lasciamo stare se addestrative o operative) hanno subito un decremento drastico. Ricordo che tutto è nato non per problemi di sicurezza del volo ma per problemi di inquinamento acustico, per venire incontro alle popolazioni: su questo si incentravano le nostre preoccupazioni in quel momento, dando per scontata la sicurezza del volo.
Le poche missioni che ancora comparivano nei piani di volo non hanno destato alcun allarme, né in chi le riceveva, né tantomeno a livello superiore di vertice o di vertici di forza armata. Che questa riduzione ci sia stata risulta anche dalla lettura degli atti in cui si legge che, in definitiva, solo undici missioni di questo tipo sono state programmate e volate dai reparti non stanziali nei tre mesi precedenti la disgraziatissima giornata del 3 febbraio. Infatti, se avessi avuto intenzioni precettive e se avessi avuto sensazioni di pericolo - ero io il capo - avrei richiesto espressamente al COA/COM e al comandante di Aviano, in deroga a quanto previsto dalla regolamentazione, dalle tabelle ordinative organiche in cui vi è scritto cosa si deve o non si deve fare, cosa il comandante di quello specifico ente deve fare o non deve fare, di provvedere direttamente a respingere qualsiasi attività di volo a bassa quota. Che l'applicabilità del messaggio fosse quella che ho appena citato, trova conferma anche nelle conclusioni interessanti e puntuali a cui sono pervenute le procure militari di Padova e di Bari, le quali hanno evidenziato ampiamente come non esistesse alcuno specifico mandato al comandante di Aviano o al COA/COM che facesse obbligo di impedire anche quel minimo di attività addestrativa di reparto - che differisce dall'attività addestrativa specifica per la Bosnia - richiesta per esigenze interne dai singoli reparti non stanziali.
Questo è lo spirito con cui, da pilota anziano, consapevole delle esigenze dei reparti di volo, ho pensato dovesse essere data lettura a questo messaggio quando l'ho approvato e quando ho autorizzato la sua trasmissione. Si tratta di un messaggio che io conoscevo e di una riunione che avevo fatto convocare, per cui ero al corrente di tutto personalmente e direttamente.
Mi sembra che una disanima dei fatti attenta, puntuale ed oggettiva sia quella del procuratore militare di Bari, dottor Iacobellis, che porta direttamente e solo a questa interpretazione. A tal proposito sono la persona più adatta a certificare l'interpretazione, essendo al vertice dell'organismo a cui ho affidato l'impegno di emanare il messaggio e sono depositario dello spirito con cui esso è stato immaginato e creato e dei motivi per cui si è svolta la riunione che è riflessa nel messaggio.
Precisato questo, devo dire che subito dopo l'incidente vi è stata un'ondata di emozione sulla quale è emersa anche un'interpretazione precettiva del messaggio, caratterizzata da un forte senno di poi e quasi da un senso di colpa per non aver dato un'interpretazione più restrittiva magari forzando il senso e lo spirito del messaggio. In effetti, le interpretazioni di alcuni ufficiali, anche di rango elevato, sono diverse da quelle che io sto dando adesso - questo è stato fatto rilevare - ma anche da quanto hanno capito gli stessi procuratori militari di Padova e di Bari, i quali hanno accolto questo tipo di interpretazione senza alcuna obiezione. Le interpretazioni di questi ufficiali, sull'onda
Voglio dire con chiarezza che questo tipo di interpretazione - sulla quale non sono allineato perché ritengo che per procedere correttamente sia indispensabile sgomberare il campo da qualsiasi altra interpretazione (la mia è quella che do per originale) -, anche in completa buona fede, potrebbe finire per dare spazio ad ipotesi che successivamente possono diventare fuorvianti per l'attività di indagine che la Commissione sta perseguendo e portando avanti con così tanta pazienza e tenacia.
La problematica dell'attività a bassa e bassissima quota di velivoli militari nazionali e NATO è importante nel quadro delle scelte politiche militari operate dal Governo e dal Parlamento e va trattata senza passioni o pregiudizi e, soprattutto, evitando che si ingenerino distorsioni che possono venire raccolte all'esterno come disinformazione. Mi pare che su questo punto si sia già soffermato in questa sede il ministro della difesa, per cui non aggiungerò altro.
Ciò detto, sarà più semplice proseguire con un'ottica serena ed oggettiva l'esame di altri aspetti che spesso sono emersi nelle varie audizioni in forma dubitativa o addirittura in forma eccessivamente assertiva da tutte le parti. Passo quindi ad affrontare la questione più volte sollevata della mancata firma da parte dell'Aeronautica militare di un accordo - un tema ricorrente come quello dell'interpretazione di cui sopra - che secondo alcuni interventi, se firmato, avrebbe conferito più poteri al comandante di Aviano, permettendogli di impedire quel volo e quindi di evitare la tragedia. Desidero chiarire subito in modo inequivocabile che maggiori poteri del comandante per l'evento specifico non avrebbero comunque sortito l'effetto ipotizzato. Infatti, se la richiesta del volo effettuata tramite programma di volo giornaliero, autorizzato dall'ASMIX, dall'accettazione missioni del COA/COM di Martina Franca, era plausibile essendo inquadrata in un'attività addestrativa assai limitata (una sola sortita di quel reparto quel giorno che non balzava all'occhio come attività non regolata dalle norme), nulla avrebbe potuto una maggiore potestà del comandante, in particolare perché non si trattava di una missione espressamente vietata, almeno fino a quel momento, per quanto detto in precedenza sul famoso messaggio del 21 aprile.
Le responsabilità - che ci sono - ai nostri fini e anche a quelli giudiziari sono da ricercare a valle dell'autorizzazione, laddove è risultato evidente che il controllo da parte del 31o stormo stanziale statunitense di Aviano sul livello di conoscenza delle regole e delle normative che gli equipaggi rischierati sono ed erano tenuti ad applicare non era sufficiente, come dimostra il fatto che venissero usate carte americane - come più volte è stato ricordato in questa sede - per pianificare le missioni, anziché carte italiane, la cui prova di consegna è stata prodotta. Ciò emerge chiaramente dagli accertamenti dei magistrati.
È una vergogna che qualcuno, a noi estraneo, abbia mostrato questa mancanza di professionalità. Era ed è, infatti, inimmaginabile che quel bagaglio culturale e professionale di qualsiasi pilota e soprattutto di qualsiasi comandante, che prevede proprio come primo elemento di base la reciproca conoscenza ed il rispetto delle procedure locali, con la conseguente responsabilità di autodocumentarsi ogni qualvolta si va ad operare in un territorio nuovo, ed in particolare appartenente ad un altro Stato, sia stato disatteso senza nessuna logica o giustificazione, senza una necessità. Può accadere, per esempio, di doversi abbassare sotto le nubi perché si ha un'avaria, ma non è questo il caso.
Le carenze degli accordi sui poteri operativi del comandante italiano di Aviano non hanno certamente favorito la conoscenza di questa impensabile ed incredibile inadempienza a regole universalmente riconosciute. Ciò è però deducibile solo da un esame a posteriori - è incredibile ma prima non ci avevamo pensato, come a posteriori la Commissione Tricarico-Prueher ha individuato ulteriori azioni ritenute idonee ad incrementare l'attività preventiva di controllo e di sicurezza del volo; ma tutto ciò non era sicuramente individuabile in precedenza, quando le regole e le norme di sicurezza del volo a cui attenersi erano e sono comunque precise e puntuali. La tragedia non si sarebbe verificata se, chi doveva, si fosse attenuto a queste norme, anche a quelle minime. Non va comunque confuso quanto viene fatto o non viene fatto per aumentare la sicurezza del volo con quella che è l'imprevedibilità di un'azione contro la disciplina deliberatamente condotta al di fuori di qualsiasi regola, come nel caso del Cermis.
È chiaro, quindi, come anche maggiori responsabilità o competenze del comandante di Aviano non avrebbero modificato i fatti.
Ciononostante, è necessario porre un punto fermo sull'argomento relativo agli accordi, che, da quanto appare nelle precedenti audizioni, risulta un aspetto spesso causa di confusione, il che è possibile, perché gli accordi sono molti ed alcuni quasi contemporanei (due hanno la stessa data).
Come prima cosa è necessario demarcare una netta linea di distinzione fra due differenti accordi, firmati entrambi nel 1995, che attengono a diverse tipologie di obiettivi ed attività, ma che spesso vengono confusi. Ho preparato una tabella sinottica su questo - che consegnerò alla presidenza - per chiarire la situazione anche se, dopo tanti dibattiti, credo che la chiarezza non manchi.
Il primo, lo Shell agreement, firmato nel 1995 dal sottocapo di stato maggiore difesa pro tempore (generale Cervoni, attuale capo di stato maggiore dell'esercito) e dal rappresentante USA (generale Charles G. Boyd), deriva dal Bilateral infrastructure agreement (BIA), stipulato nel 1954, che regola i rapporti Italia-USA in relazione all'uso delle basi italiane concesse alle forze americane in Italia. Tale accordo non prevede sotto-accordi per le tre forze armate (come invece fa l'altro dei due accordi del 15 dicembre) bensì la stesura e la revisione dei Technical agreement (TA) per ciascuna base utilizzata. Technical agreement, o accordi tecnici, che non possono essere formalizzati prima del competente avvallo politico che si concretizzerà, secondo l'attuale orientamento, tramite la stesura di protocolli aggiuntivi (PA) al BIA. Va altresì chiarito che tutta questa attività di concertazione e revisione che si sta concretizzando da parte dei due ministeri competenti, esteri e difesa, va sicuramente a migliorare la capacità di controllo nazionale sulle basi stanziali
Per quanto riguarda il secondo accordo, stipulato nel 1995, e precisamente il 15 dicembre, esso in realtà è un Memorandum of understanding (MOU) fra il Ministero della difesa e il comando supremo delle forze alleate in Europa (SHAPE) riguardante la fornitura di supporto logistico alle forze esterne in transito o temporaneamente stanziate sul territorio italiano in applicazione del piano Joint endeavour di Saceur, riguardante varie operazioni presiedute dal generale Rossetti, in pratica il controllo dei cieli della Bosnia. Questo MOU, necessario a formalizzare soprattutto gli aspetti logistici e finanziari delle attività dei reparti di tutte le nazioni partecipanti alle operazioni in Bosnia e operanti dal territorio nazionale, tra i quali olandesi, belgi, francesi, inglesi, tedeschi, turchi e americani (aggiuntivi questi ultimi alle loro forze già stanziali che, come il 31o stormo di Aviano, sono invece regolati dal BIA), è stato reiterato ed applicato nel tempo a copertura anche delle successive operazioni, fino alle attuali SFOR e KFOR, rispettivamente sulla Bosnia e sul Kosovo. A cascata, derivanti da questo MOU, sono stati effettivamente elaborati tre sotto-accordi da stipulare e firmare da parte delle tre forze armate, che sono andati a compimento per l'esercito e la marina, in quanto molto limitati, circoscritti, meno consistenti e di facile individuazione (prevedevano un solo interlocutore per la firma, in particolare l'autorità NATO chiamata Comlandsouth per l'esercito - che per inciso è un italiano - a Verona, e Comnavsouth per la marina a Napoli). Di diversa complicazione è invece quello predisposto per le responsabilità assegnate all'aeronautica, perché prevede la firma di un accordo per ogni sending nation, cioè le nazioni che mandano gli aiuti per le operazioni. Vorrei sottolineare che questo accordo, elaborato quando ero Capo di Stato maggiore dell'aeronautica, era teso appunto a far recuperare al paese, almeno in parte, le spese sostenute in anni e anni di utilizzo delle infrastrutture messe a disposizione della NATO per adempiere al mandato dell'ONU. La NATO ha avuto picchi anche di 600 velivoli fin dal 1992-1993. Ricordo che nei periodi più caldi sono stati coinvolti fino a 21 aeroporti, dai quali sono partite centinaia di migliaia di missioni di forze aeree dell'Alleanza: si parla di circa 200 mila missioni. Per citarne qualcuna, posso parlare dei francesi ad Istrana e Cervia, olandesi e belgi a Villafranca, spagnoli, portoghesi e canadesi ad Aviano, inglesi a Gioia, turchi a Ghedi, tedeschi a Piacenza, più l'uso delle basi per i tanker e trasporti quali Pisa, Pratica di mare, Trapani, Falconara ed addirittura Malpensa. Questo è l'amplissimo quadro a cui fa riferimento l'accordo non finalizzato che, nato per le esigenze complessive della Bosnia, non poteva essere discriminatorio per l'una o l'altra nazione e, come è ben possibile immaginare, prevede le esigenze logistiche più disparate in funzione della tipologia dell'utente. Quindi la vera motivazione della mancata firma da parte dell'aeronautica italiana, anzi è meglio dire delle aeronautiche coinvolte, quasi quindici, in termini forse un po' prosaici, è stata ed è la sistematica difficoltà delle controparti ad accettare le proposte italiane che prevedono
La mancata firma dell'accordo, anzi degli accordi per ogni base come hanno invece finalizzato esercito e marina, non è stata, pertanto, per una più o meno accentuata subordinazione dell'aeronautica agli americani e agli alleati, come, e mi è dispiaciuto notarlo, è stato in più occasioni lasciato intendere. Direi, semmai, il contrario, visto che sono state portate avanti con determinazione le ragioni italiane ed a tutt'oggi il reparto logistico dello Stato Maggiore aeronautica militare continua ad adoperarsi perché queste non vengano disattese.
Ora, se pur vero che la firma dell'accordo così come formulato avrebbe forse dato una qualche maggiore autorità al comandante italiano di Aviano, e solo a lui in quanto nelle altre basi tale autorità già esisteva, è altrettanto vero che tale aspetto continua ad essere di fatto quasi irrilevante in un accordo a carattere prevalentemente logistico. Né, in alcun caso, sarebbe valso ad impedire un grave atto di indisciplina, così come leggi rigorosissime ed accurata vigilanza non potranno mai impedire un atto terroristico perché è un atto a sorpresa, così come lo è stato l'atto di indisciplina.
L'anomalia circa i compiti del comandante italiano di Aviano è ora sanata dall'accordo Tricarico-Prueher, ma allora anche la firma del Technical agreement non avrebbe certo consentito la necessaria autorità precettiva sul volo causa dell'incidente. Ricordo ancora che il messaggio del 21 aprile non lo vietava, né richiedeva allo stesso comandante di vietarlo.
Mi pare opportuno, infine, spiegare che tutti questi tipi di accordi - non so se tutti coloro che ne parlano li abbiano letti, ma io in ogni caso l'ho fatto - delineano comunque aspetti generali e incidono maggiormente su quelli ordinativi, finanziari e logistici, soffermandosi anche sulla sicurezza delle installazioni, ma modificano assai poco le responsabilità operative del comandante di Aviano. Quello che fa effettivamente fede, sia per l'azione preventiva sia per il controllo in fase di pianificazione e di esecuzione delle missioni di volo, va ascritto ai cosiddetti ordini di operazione, specifici di qualsiasi attività addestrativa, esercitazione o operazione reale, ed è lì che va posta la maggiore attenzione da parte degli organi preposti a tutti i livelli per raggiungere il traguardo quasi utopistico di «zero» incidenti. Siamo tra i più bravi e i più meritevoli e prima di dire queste cose,
Voglio inoltre rendere noto a questa Commissione che, come maggiore contributo ai lavori, ho fatto predisporre delle schede informative sulla natura e sulla situazione di tutti gli accordi. Se ritenuto opportuno, insieme al testo della mia audizione, renderò disponibili anche queste schede.
Gli ultimi aspetti che tengo ad approfondire sono quelli relativi alla più volte citata sudditanza o tolleranza nei riguardi delle forze statunitensi, nonché alla prevedibilità e prevenibilità del disastro che, in funzione di centinaia di segnalazioni, gli organi nazionali preposti avrebbero dovuto tenere in buon conto per evitare l'azione scriteriata e fuori di ogni logica perpetrata dall'equipaggio del velivolo che ha causato la tragedia.
Leggendo i documenti, soprattutto quelli più datati, forse è vero che si può individuare una poco puntuale e precisa definizione di tutti gli aspetti bilaterali riguardanti il famoso accordo BIA del 1954, un documento ad altissimo livello, un accordo sui massimi sistemi. Questa poca puntualità ed incisività va ovviamente, a mio parere, inquadrata nell'alto livello del documento - denominato poi accordo-ombrello, la madre di tutti gli accordi - e nel periodo storico in cui l'accordo è stato stipulato da parte del Governo.
C'è effettivamente qualche nota di debolezza, ma non credo che ora che siamo abituati a guardare le cose in prospettiva storica qualcuno se ne possa meravigliare.
Ciò premesso, voglio sottolineare che le autorità militari - e qui mi sento investito in prima persona - non si sono mai sentite in una posizione di inferiorità se non per l'innegabile superiore tecnologia dei mezzi statunitensi e per il loro assetto organizzativo.
Le autorità militari hanno rilevato, subito dopo la caduta del muro di Berlino e la modifica della filosofia generale sull'impiego delle basi concesse in uso agli americani (che era diventato leggermente diverso, o almeno veniva visto in un'ottica diversa da quella dell'accordo ombrello), che la materia andava comunque rivista ed è dimostrabile che gli Stati maggiori, pur nelle complesse attività dovute alle operazioni nel Golfo e ai problemi post-murali (Bosnia), a partire dal 1991, avevano subito cominciato a rivisitare gli accordi. Immediatamente dopo il cambio di filosofia e il collasso del sistema bipolare, è stata avviata un'attività - ero tra coloro che lavoravano su questi aspetti - lunga e faticosa che non è stata ancora completata, che si è concretizzata nel primo passo della stipula dello Shell agreement del 1995 e che sta tuttora continuando in buona intesa con il Ministero degli esteri. Si tratta di dieci anni di lavoro i cui risultati raggiunti e l'attività in itinere sono il segno più chiaro della continuità di attenzione dedicata all'argomento. Dire che non abbiamo fatto nulla sarebbe ingiusto nei confronti di chi ha lavorato, anche se i fatti, fotografati all'istante, possono portare a fare questo tipo di affermazioni.
Ritengo che le imputazioni di sottomissione a carico dei ministri della difesa e delle forze armate non siano giuste e, in virtù di quello che abbiamo appena evidenziato, non riconoscano quanto è stato posto in essere. Personalmente ho lavorato a fianco degli ufficiali statunitensi durante la guerra del Golfo e in altre occasioni, anche in posizioni di responsabilità, e devo dire che sono stato sempre sentito e rispettato, ho partecipato a tutte le conferenze e decisioni e non mi è stata mai fatta pesare l'esiguità delle forze che l'Italia aveva saputo, potuto o voluto mettere in campo con così grande difficoltà e dialettica interna. Sono stato trattato alla pari: ognuno di noi, il francese, l'inglese, l'arabo, aveva diritto di voto, esprimeva il suo parere e concorreva alle decisioni. Oggi è ancora più vero: sono passati dieci anni dalla guerra del Golfo e i militari italiani di tutti i gradi e forze sono presenti in tutti i contesti internazionali, sono sempre più richiesti e vengono spesso attribuite loro posizioni di
Passo ora a parlare delle segnalazioni di sorvoli a bassa quota. È ineludibile che ve ne siano, ma il sorvolo di per sé non è condizione necessaria e sufficiente per identificare sempre e solo un passaggio sotto le quote di sicurezza. Dico questo con la massima incisività possibile che mi consentono l'esperienza che ho acquisito e le cose che ho visto. Effettivamente le parole possono distorcere i fatti e stendere a tinte fosche un alone negativo su tutto un contesto. Scorrendo i titoli di stampa, che sono sempre ad effetto, e leggendo alcuni interventi svolti in questa sede, ho avuto più volte un'impressione non gradevole per un professionista che si riteneva a capo di un'istituzione molto professionale: l'aviatore viene dipinto come qualcosa di fantastico, quasi vanesio, un artista quale forse era ai tempi del ponte di Pinzano; non è più così, anche se ogni tanto qualche americano ci prova.
La tragedia aerea non è mai annunciata, come lo sono invece purtroppo le stragi di ogni sabato sera. Quelle sì sono tragedie annunciate: sappiamo che lunedì quando ascolteremo il telegiornale ci verrà detto quanti morti vi sono stati il sabato e la domenica all'uscita dalle discoteche. Ma nel nostro caso una singola segnalazione non produce una strage annunciata e neppure tante segnalazioni quando non sono provate. L'aereo avrebbe potuto benissimo, senza attenersi alle regole che comunque c'erano, schiantarsi da qualsiasi parte lungo la rotta, contro qualsiasi costone e allora non vi sarebbe stata un'annunciazione, si sarebbe semplicemente detto in qualche trafiletto che un equipaggio americano o italiano (è successo anche a noi) è deceduto. Se fosse così, il concetto di tragedia annunciata si legherebbe solo al concetto di segnalazione effettuata, nel senso che dopo la segnalazione se accade qualcosa si tratta di una tragedia annunciata. Tutto questo mi sembra molto azzardato, per cui desidero parlare brevemente delle segnalazioni.
Va sottolineato che la segnalazione da vita ad un'infrazione solo quando è suffragata da prove concrete e l'uomo della strada, di cui dobbiamo sempre avere rispetto perché è un cittadino come noi che paga le tasse, non ha né i dispositivi né l'esperienza per misurare le quote dei sorvoli o discriminare fra 500, 750 o 1000 piedi in un contesto orografico difficile. Io per lo meno non ne sono capace, e ho passato la vita a guardare gli aeroplani. Però il cittadino della strada si affida alla sua sensazione, al rumore, alla velocità, e fa stime che il più delle volte sono errate, come spesso non è corretta la valutazione fatta da persone esperte quali sono i piloti e i controllori di volo, abituati a vedere velivoli ogni giorno. Ciò è dimostrato scientificamente, è dimostrabile ed appare sistematicamente dalle testimonianze dei testi oculari degli incidenti di volo. Abbiamo un'esperienza di indagini negli incidenti di volo e siamo l'unica agenzia ancora operante in ambito sicurezza del volo (il generale Battisti ne è stato a capo per diversi anni), e abbiamo visto che le testimonianze dei testi oculari nell'incidente di volo, alla verifica dei fatti, si contraddicono, non sono probanti e nel 99 per cento dei casi sono inutili e comunque mai risolutive ai fini del risultato dell'indagine. Ciò è accertato. Non sempre purtroppo abbiamo la possibilità della controprova, nel senso che siamo fortunati se la segnalazione riguarda, ad esempio, un velivolo con il flight recorder, o più propriamente
L'Aeronautica da molti anni, ogni volta che riceve una segnalazione, apre un'indagine che prevede, se la segnalazione è tempestiva, anche la lettura del flight recorder che ha una vita abbastanza breve, dopo di che viene cancellato, poiché riparte dall'inizio. In quasi tutti i casi in cui abbiamo avuto la fortuna di poter fare queste correlazioni, le segnalazioni si sono rivelate inattendibili. D'altro canto, anche in tanti altri settori, si può riscontrare che spessissimo le segnalazioni sono inaffidabili o comunque enfatizzano situazioni che non sono suffragate dai fatti. Quando cade un aeroplano, tutti vedono la palla di fuoco, ma in realtà è difficile che un aereo scoppi in volo. Spesso la segnalazione è originata più dal disagio che crea l'impatto acustico-ambientale, specialmente nelle valli, che da riconosciute situazioni di indisciplina, pur riscontrate e in alcuni casi represse anche severamente.
Nell'ultimo decennio, a causa soprattutto delle operazioni nei Balcani, il disagio acustico, specie nei pressi delle basi e su alcune rotte di elevato contenuto addestrativo, è continuamente aumentato. Si tratta di un disagio reale - è inutile nasconderlo - e il livello di sopportazione ed accettazione da parte dei cittadini è drasticamente diminuito. È per questo che l'Aeronautica militare ha concretizzato - come ha già detto il generale Fornasiero - gli accordi con il Canada e con altri paesi dove, pagando, esportiamo rumore. Questa strada è molto costosa, e non può essere percorsa sempre in tutte le occasioni. Non si può esportare tutto; una porzione dell'attività dovrà restare in Italia, anche per conservare un minimo di addestramento finalizzato all'ambiente europeo - che è molto diverso da quelli del Canada o dell'Arabia Saudita, mentre è simile a quello dei Balcani - pensando a fini di difesa nazionale. Per questo motivo il paese ha deciso di dotarsi di velivoli costosissimi da combattimento che, proprio per non divenire un pericolo per i cittadini, richiedono un certo addestramento dei piloti e dei navigatori. Averli e non provvedere a tenerli pronti qualora necessario non è esattamente ciò che ci viene richiesto, anzi se non provvedessimo all'addestramento saremmo imputabili e punibili con connotazioni di reato.
A proposito di sicurezza del volo, desidero sottolineare il forte coinvolgimento di uomini e mezzi che l'Aeronautica ha messo in gioco per dare riscontro in termini di indagine e di inchiesta a tutte le segnalazioni di possibili incidenti. Noi lavoriamo per tutte le forze armate e per tutti gli aeromobili dello Stato. Già nel lontano luglio del 1991 era stato costituito, sulle basi di un'organizzazione valida ma non abbastanza finalizzata, l'ispettorato per la sicurezza in volo, con lo scopo di indicare agli operatori ai vari livelli le vie fondamentali di una concreta prevenzione degli incidenti.
Per gli aspetti didattico-formativi era addirittura stato costituito, nel 1995, l'Istituto superiore per la sicurezza nel volo - ancora oggi è una struttura unica in Italia - che provvede alla formazione e alla qualificazione del personale militare e civile (dell'Alitalia e degli aeroclub), per la prevenzione e per la sicurezza nel volo e anche per l'investigazione. Tutti (polizia, carabinieri, aeroclub) frequentano i nostri corsi che sono difficili, severi, selettivi e molto apprezzati. Per dare un ordine di grandezza dell'attività di prevenzione, posso dire che dal 1991 sono stati effettuati circa 60 sopralluoghi, durati più giorni, presso i reparti di volo e centinaia di visite lampo che hanno consentito di affinare e controllare continuamente l'azione di prevenzione, comunque già esistente perché vi è un'organizzazione della sicurezza del volo di tipo cellulare: dal vertice discende a vari livelli fino a quello di comando di gruppo o di squadriglia.
Tutta l'attività svolta nel settore, per la quale la nostra aeronautica si pone all'avanguardia rispetto a moltissimi paesi della NATO, unita a tante altre iniziative, testimonia il continuo sforzo esercitato in un ambito che per tutta la gente dell'area è considerato inscindibile dall'attività operativa.
L'azione preventiva si estrinseca, oltre che con l'addestramento, con l'azione di comando, considerata non in un'ottica semplicemente repressiva, ma piuttosto educativa. Educazione intesa come capacità di incidere sugli atteggiamenti del personale dipendente, attraverso il coinvolgimento e il controllo anche motivazionale. Educazione fondata essenzialmente sulla credibilità dei capi e sull'esempio personale, pur senza trascurare l'incisività disciplinare. Abbiamo inciso disciplinarmente con energia, ma spesso i soggetti ci sono stati sottratti da altre istituzioni: ne possiamo parlare.
Prima di concludere, ritengo corretto menzionare l'ordine del giorno inviato nel 1996 al ministro della difesa pro tempore, onorevole Andretta, dalla provincia di Trento. Mi sembra che, diversamente da quanto avvenuto in altre audizioni e in altre sedi, nella seduta dello scorso 15 marzo il presidente Lorenzo Dellai abbia trattato la questione con molta pacatezza, senso del reale e grande obiettività. È un'osservazione mia, ma contestare al ministro il mancato esito sufficientemente positivo della richiesta, mi sembra riduttivo. Se non ricordo male, in sostanza si trattava della richiesta di aumentare le quote di volo nell'area trentina perché gli aerei disturbavano volando a bassa quota. Ciò in definitiva è stato fatto, ma è difficile pretendere che un ministro della Repubblica operi deliberatamente discriminazioni, accontentando solo gli abitanti di una particolare valle o provincia. Gli italiani delle altre valli alpine e appenniniche, della Campania o della Sicilia non hanno gli stessi diritti?
Alla fine le quote di volo sono state raddoppiate su tutto il territorio nazionale, dopo la tragedia, ma in Trentino di più, c'è una «scatola» dove non si può volare sotto i 13 mila piedi.
D'altra parte, come diceva il ministro Andreatta - con il quale ho lavorato parecchio ed al quale va il mio pensiero - e come ha confermato nella sua recente audizione il capo di Stato Maggiore dell'aeronautica, quella a bassa quota è un'attività riconosciuta a tutti i livelli come indispensabile per l'addestramento ed è, come già evidenziato, strettamente connessa a salvaguardare la sicurezza del volo. È inconfutabile che in qualsiasi mestiere l'addestramento è sinonimo di sicurezza, soprattutto in una professione di alta specializzazione qual è il pilotaggio di un velivolo da combattimento. Questa cultura è condivisa e ad essa si informa l'attività di volo di tutte le nazioni della NATO ed anche di quelle non partecipanti all'Alleanza.
Rimane il dilemma, che va affrontato serenamente e con equilibrio, di quanto il Governo italiano possa permettersi di compromettere la sicurezza dei voli e l'operatività delle proprie forze armate a favore della riduzione dell'inquinamento acustico (la sicurezza del volo è assicurata dal rispetto delle regole). Qui l'incolumità dei cittadini è fuori discussione, ma forse la condivisione di una minima quota-parte di disagio, lo Stato dovrebbe pur avere la possibilità di richiederla. Il cittadino tollera sempre meno l'inquinamento acustico come nel caso di Malpensa, Rimini, Fiumicino o Linate.
Penso, e questa volta parlo da tecnico aeronautico con 45 anni di esperienza, che le limitazioni di quota ora in vigore siano veramente il massimo che può essere assorbito dalle forze armate senza pregiudicare la sicurezza dei voli e l'operatività, come è emerso anche dai seminari organizzati insieme con il carabinieri, la polizia ed altre forze dell'ordine. L'utilizzo, già in essere, delle predisposizioni
Signor presidente, onorevoli commissari, non ritengo di avere altro da aggiungere. Spero di aver sgombrato il campo da dubbi e mi dolgo se dovessi averne aggiunti di altri. Ad ogni modo sono disponibile per eventuali quesiti o chiarimenti. Grazie.
Nel corso della relazione lei ha fatto alcune considerazioni generali nella sua veste attuale, ed in quella precedente, che non chiamano in causa la Commissione come tale. Premetto che abbiamo il massimo rispetto del ruolo dell'aeronautica militare, non mettiamo in discussione l'attività svolta né la professionalità di chi ne fa parte o le esigenze a cui deve far fronte per gli impegni assunti dal nostro paese; né alcuno mette in discussione le alleanze a cui partecipiamo, i compiti ai quali assolvere e così via: l'ho voluto specificare perché noi facciamo parte di questa Commissione, che non è responsabile dei titoli apparsi sui giornali. Tra l'altro, questa Commissione sta avendo uno scarsissimo rilievo sulla stampa per nostra scelta; stiamo lavorando con assoluta discrezione e daremo al Parlamento una relazione che avrà la pubblicità di tutti gli atti parlamentari.
Lei si è riferito al prima e al dopo guerra fredda, ciò che mi ha colpito positivamente; non a caso lei ha parlato di un lungo lavoro di revisione degli accordi cominciato nel 1989, che rappresenta una data decisiva nella storia europea e mondiale, ed ha detto che il traguardo dello «zero incidenti» è utopistico, cosa che vale per tutte le attività dell'uomo, non solo per l'aeronautica. Ho voluto citare questo passaggio per sottolineare che nel quadro generale non vi sono elementi di disaccordo o di diversità di valutazione; qualche interrogativo tuttavia emerge in me riguardo alle finalità della nostra Commissione, ossia l'approfondimento della strage del Cermis e ciò che si deve fare in futuro per evitare che simili tragedie si ripetano. Per quanto riguarda il futuro, nelle varie audizioni svolte finora - comprendendo quella odierna e la missione ad Aviano - sono emersi elementi positivi e rassicuranti, perciò le chiederei di spiegare in che fase è il recepimento formale delle raccomandazioni della Commissione Tricarico-Prueher, perché è uno degli aspetti da sottolineare nella relazione al Parlamento.
Sono perplesso invece sulle vicende precedenti, compresa la risposta fornita dal ministro Andreatta - mi associo alle sue parole di solidarietà e di affetto per la situazione in cui versa- nel dicembre 1996 ad un documento inviatogli dall'allora presidente della provincia autonoma di Trento, Carlo Andreotti, all'inizio dell'agosto 1996. In sostanza sei mesi dopo viene data una risposta totalmente evasiva, che sarà stata suggerita da qualcuno perché l'onorevole Andreatta non è un tecnico, in cui si conferma che si sarebbe continuato negli stessi termini.
Lei, in un passaggio della relazione, ha detto che non si tratta di stragi annunciate: anch'io sono convinto che alcune segnalazioni sono dettate dall'emozione, dall'impressione e, del resto, non si può chiedere al cittadino o all'autorità amministrativa locale di raccogliere le prove. Tuttavia l'episodio del Falzarego del 1987 poteva essere una strage effettiva, non annunciata: solo perché la cabina della funivia era ferma ci sono stati solo dei feriti! L'episodio di Cortina del 1985, quando un aereo ha puntato sullo stadio del ghiaccio a 70 metri di altezza, poteva diventare una strage annunciata! L'episodio di Vallarsa, quando un aereo ha colpito i cavi ad alta tensione all'interno
Le do atto della lealtà, perché più volte ha sottolineato che l'aeronautica non ci aveva pensato prima, anche riguardo alle competenze del comandante della base di Aviano. Ha usato espressioni molto esplicite nel dire che è inspiegabile quanto è avvenuto il 3 febbraio 1998 e che non sarebbe accaduto se non vi fossero state tutte quelle violazioni. Ma la violazione delle violazioni è che quel volo possa essere stato effettuato. Su questo mi pare che vi sia una palese discordanza fra ciò che anche pochissimi giorni fa ci ha ripetuto il generale Tricarico, il quale ha parlato di volo clandestino, e ciò che qualche settimana fa ci ha detto il generale Vannucchi, che ha ritenuto assolutamente illegittimo quel tipo di volo. Come è potuto accadere che non solo quel volo che era il 12o ma anche gli undici precedenti siano stati autorizzati, quando per quel tipo di operazione (Bosnia, Deliberate guard), quel tipo di reparti, che non erano stanziali e non erano il 31o stormo, non avrebbero potuto compiere quell'addestramento?
La prima questione riguarda l'accordo Tricarico-Prueher. In occasione della nostra visita ad Aviano, a domanda precisa abbiamo avuto una risposta altrettanto precisa da parte del comandante americano, il quale ha parlato di un'applicazione tendenzialmente discrezionale delle norme della Tricarico-Prueher, che venivano recepite sotto la forma generica della raccomandazione, facendo così intendere che lui, amico non solo del comandante italiano della base ma anche della nostra nazione, riteneva di dare un'effettività operativa a quelle che comunque rimanevano esclusivamente delle raccomandazioni.
Per quanto riguarda il secondo punto che desidero sottoporre alla sua attenzione, citerò la procura militare di Padova da noi audita agli inizi dei nostri lavori. Più volte i procuratori militari hanno usato il termine «responsabilità politica»: si tratta quindi non di una valutazione emersa dalla Commissione ma forse di una cortese provocazione delle due autorità udite in quel momento.
Sul fatto che si tratti o meno di una strage annunciata ho apprezzato le sue osservazioni: credo che nessuno possa giungere ad una speculazione tale da affermare che si sia trattato di una strage annunciata. Come lei ha affermato e come io potrei ribadire è assolutamente illegittimo pensarlo. Resta però il fatto che vi è stata una serie di atti di sindacato ispettivo, che sono qualcosa in più rispetto alla semplice denuncia dei cittadini e hanno una veste ufficiale, che tendenzialmente hanno lasciato gli organismi competenti -
Senza entrare nel merito dell'accordo Tricarico-Prueher, probabilmente, al netto della responsabilità che dal punto di vista soggettivo è in capo al pilota, dal punto di vista oggettivo, se esso fosse stato siglato un mese prima, si potrebbe dire che la nazione aveva fatto tutto ciò che era lecito attendersi per evitare una fattispecie del genere, comunque da addebitare a quel grado di incoscienza umana che ogni tanto emerge anche nelle persone più coscienziose.
Credo di poter dire che se c'è stata sudditanza psicologica, essa certamente deve essere ricercata non negli organismi militari ma in qualche organismo di natura politica, atteso che l'alleato in questione è da lungo tempo il principale alleato della nostra nazione ed è anche la più grande potenza non solo del mondo occidentale ma del nostro universo mondo.
Prima della strage era ragionevolmente possibile addivenire ad un accordo simile al Tricarico-Prueher, che ha trovato poi una grande accelerazione nell'emotività provocata dai fatti? In caso affermativo, fermo restando che le segnalazioni provenivano non esclusivamente dai cittadini ma anche da colleghi parlamentari che le hanno prodotte nelle dovute sedi, perché tale strada non è stata perseguita?
Alla luce della chiara esposizione del Capo di Stato maggiore, desidero sollevare una questione concernente il fatto che le segnalazioni il più delle volte (nel 99 per cento dei casi) risultano essere mere illusioni, perché si pensa di aver visto qualcosa che poi risulta diversa. Chi parla ha presentato, nel giugno 1997, un'interrogazione parlamentare sulla base non di illusioni ma delle tegole dei tetti scoperti a Nago Torbole. Il ministro Andreatta, alle Commissioni difesa riunite, il 5 febbraio 1998, cioè due giorni dopo la tragedia del Cermis, in merito a quella interrogazione, disse che non era in grado di dare alcuna risposta - ma si prometteva di darla - perché lo Stato Maggiore dell'Aeronautica non era in grado di identificare la nazionalità dei velivoli che avevano fatto quel sorvolo a così bassa quota sul paese di Nago Torbole. Il fatto che io stia ancora attendendo una risposta ha poca importanza, ma vorrei sapere se siamo in grado oggi di evitare che non siano identificabili aeromobili italiani o meno che svolgono questo tipo di attività, anche alla luce di tutto quello che è intervenuto dopo il 3 febbraio 1998.
Non mi soffermerò sull'importante questione delle segnalazioni più o meno corrispondenti al vero, anche se vi sono fatti concreti che dimostrano che si tratta non di illusioni ma di episodi reali di una certa rilevanza.
Desidero invece soffermarmi brevemente sulla questione dell'autorizzazione del volo. Non si tratta solo di capire se dodici voli che non dovevano esserlo sono stati autorizzati (in quanto fra le diverse centinaia di voli, questo poteva essere un elemento ininfluente) perché purtroppo uno di questi voli ha avuto un epilogo tragico, per cui tale elemento è diventato rilevante. Si trattava comunque di voli di addestramento effettuati da personale non stanziale e quindi soggetto ad un rischio maggiore.
Ciò che mi ha colpito è la valutazione diversa di alcuni fra i massimi gradi dell'Aeronautica militare in servizio o
Uno dei temi su cui indaghiamo è proprio la manifestazione della funzione di comando e di controllo: se i principali responsabili dell'Aeronautica di allora e di oggi, con funzioni diverse, alcuni in servizio e altri no, non sono d'accordo fra loro sulle procedure, si crea in noi un sospetto e un'inquietudine che vanno molto al di là dell'episodio che in sé potrebbe essere limitato. Ancora oggi non è chiaro chi dovesse autorizzare e in che modo: questo è un elemento significativo.
Lei ha accennato a questo tipo di problemi, ma forse non vi si è soffermato quanto mi aspettavo, per cui le chiedo di tornare su questo punto.
Lei ha sostenuto che l'attività addestrativa è notevolmente diminuita in considerazione dell'inquinamento acustico anziché per la sicurezza che deve essere garantita al cento per cento, ma le lamentele degli abitanti della zona erano determinate dal pericolo che non fosse garantita la sicurezza; è vero anche che il privato, in quanto incompetente, non riesce a determinare con esattezza il limite, ma il parroco di una chiesetta di montagna ha dichiarato di aver visto passare dei velivoli ad una quota più bassa di quella della chiesa stessa, ciò che costituisce un riferimento molto preciso. Cosa può dire al riguardo?
Tra le regole vigenti prima dell'incidente e quelle nuove introdotte successivamente, che differenze vi sono?
Agli americani erano state fornite le nostre carte di volo, loro però le hanno completamente ignorate dal momento che hanno utilizzato le loro su cui non era segnato né il paese di Cavalese, né tanto meno la funivia del Cermis: i comandi italiani erano al corrente della disinvoltura con cui gli americani eseguivano le esercitazioni ignorando completamente le carte di volo italiane? La ringrazio.
In ordine alla precettività del messaggio del 21 aprile e del perché sia stato scritto si traggono elementi utili dalla sua lettura. In esso si dice che «questo meeting» - di cui il messaggio è la sintesi delle conclusioni - «è stato organizzato per esaminare e trovare soluzioni possibili per minimizzare l'impatto sociale ed ambientale sopra il territorio italiano, dopo oltre tre anni di operazioni aeree sulla Iugoslavia, eccetera» (mi scuso per la sintassi ma ho tradotto). Non si parla mai di sicurezza del volo; il messaggio auspica e richiede misure per minimizzare l'impatto ambientale ed io lo considero come una richiesta. Questo è il suo spirito.
Circa le discordanze sulle affermazioni dei generali Vannucchi e Tricarico relativamente a questa missione ovvero se questa dovesse essere recepita nell'ambito di quelle autorizzate dal CAOC, cioè l'organo della NATO di Vicenza, o se era giusto che la missione, ancorché fattibile o non fattibile...
Nella mia relazione ho citato queste discordanze, dando varie motivazioni; forse per i gradi più bassi può valere l'emozione del momento, ma i due alti ufficiali hanno presente l'aspetto NATO del problema. Devo ricordare che il CAOC, l'agenzia che opera sotto la responsabilità della NATO, del comandante della V ATAF e di quello di AIRSOUTH, gestisce tutte le missioni operative o addestrative all'operatività afferenti alla Bosnia. Queste, però, non sono le uniche attività dei reparti, perché ogni reparto di volo ha bisogno di un addestramento proprio. Per esempio, un reparto che si rischiera su un territorio dovrà fare voli di ambientamento e queste missioni sono addestrative di reparto che non possono non essere compiute, dato che ciò comprometterebbe la sicurezza del volo. Non si tratta di missioni addestrative per la Bosnia, nel senso che non ripetono il tipo di armamento, di percorso, di difficoltà di quelle operative, ma riguardano l'addestramento del reparto su un territorio nuovo e certamente non rientrano nelle missioni autorizzabili dal CAOC. Quindi rientrano nella programmazione giornaliera di volo dei reparti, così come fanno i reparti nazionali stanziali.
Un esempio: qualsiasi pilota di reparto deve rinnovare le abilitazioni, come quella strumentale, attraverso un esame in volo con un istruttore o con un altro velivolo
Personalmente non mi sarei allarmato, né avrei vietato questa missione, pur avendo chiesto di ridurre o di eliminare queste missioni, perché contento del risultato ottenuto. Ricordo che il mio risultato era il contrasto all'inquinamento acustico, non i problemi di sicurezza del volo che nessuno di noi avrebbe mai immaginato, altrimenti avremmo vietato tutte le missioni. Io stesso avrei vietato queste missioni e il messaggio non sarebbe stato trasmesso per informazione alle varie agenzie, ma sarebbe stato precettivo per tutti. Come lo è stato un messaggio fatto in seguito, in un momento di panico, il quale precisava che quelle attività erano vietate. In realtà era stato chiesto di vietarle ma non erano state vietate.
Una volta che il CAOC o Martina Franca avevano accettato la missione, e il tutto ritornava nelle mani del comandante dello stormo che avrebbe dovuto controllare i piloti delle squadriglie aggregate. La responsabilità era nelle mani del pilota che avrebbe dovuto volare quel percorso, ancorché stilato negli standard a 500 piedi, 2000 piedi, eccetera, secondo le notizie ai naviganti e le disposizioni. Non trovo incongruenze.
Trovo il tutto congruente con una spiegazione che però solo una visione completa può dare: questo sto cercando di trasferirvi, anche se so che non è facile come io difficilmente potrei recepire l'esperienza di parlamentare o di presidente di una Commissione.
Per quanto riguarda la validità delle segnalazioni, ho già detto che spesso esse portano ad incongruenze di valutazione. Ne arrivano molte ma non tutte sono attendibili. Credo che sia la testimonianza del presidente della provincia Dellai, sia quella del sindaco di Cavalese...
Il sindaco di Cavalese ha anche aggiunto «Mi pare evidente, poiché la lettura della lettera è stata fatta dallo stesso Pichler, che la risposta a quell'interrogazione era assolutamente coerente con quello che vi ho detto, ossia che ciò che veniva esposto in comune riguardava voli fastidiosissimi ma assolutamente legittimi e legali, di cui tutti erano a conoscenza. Per questo la risposta era 'Siamo perplessi ad intraprendere le azioni perché queste, a livello penale di responsabilità, non potrebbero portare a niente».
Qualcuno ha chiesto se, a seguito di quanto accaduto, sarà possibile accertare con precisione fatti simili a quello di Torbole. Rispondo forse sì, forse no; con grandissima difficoltà, a meno che le segnalazioni siano estremamente precise, riusciamo a dirimere questioni del genere e se qualcuno non dice la verità, la nostra indagine - costosa - fallisce. Non è possibile in nessun modo seguire la navigazione a bassa quota, soprattutto fra le montagne dove non si vola più perché è praticamente impossibile seguire con il radar. Il flight recorder potrà essere sviluppato per i velivoli che già lo hanno, perciò si dovrà orientare la ricerca tra centinaia di migliaia di voli eseguiti da noi e dai reparti stranieri, che hanno periodi di rotazione molto brevi.
Per l'episodio di Cortina del 1995 le autorità statunitensi hanno opposto una forte resistenza nel dare una risposta, sono passati mesi e reiterate richieste prima che il velivolo fosse identificato e, come dice il magistrato, è stata data una risposta un po' sprezzante del tipo: «se ritenete che vi sia una violazione penale, rivendicheremo la giurisdizione in base al trattato di Londra».
I problemi sono molto complessi e con l'aiuto dei consulenti anche noi profani abbiamo capito le difficoltà, però per alcuni episodi specifici, individuati per data e luogo, non è stata data risposta da parte italiana, come nel caso di Torbole, oppure vi è stata una forte resistenza nel rispondere e quando lo si è fatto si è ribattuto con altre argomentazioni, il che ha portato all'archiviazione.
Qualcuno ha chiesto se, dopo quanto accaduto, saremo in grado di identificare
Vorrei ora passare ad un'altra categoria di risposte relativa al grado di applicazione degli accordi Tricarico-Prehuer. Ci tenevo anche io a conoscerlo, come responsabile della difesa e quindi in veste diversa di quella che avevo quando ero capo dell'Aeronautica, anche perché ho dato io al ministro della difesa il nominativo del generale Tricarico per la stima e la considerazione che ho di lui.
Il 1o luglio 1999, in una riunione con i rappresentanti dello Stato maggiore dell'esercito, della marina e delle altre forze armate e degli enti operativi, sono state definite le azioni per l'attuazione delle singole raccomandazioni formulate nel rapporto. Il 2 agosto 1999, presso l'ispettorato della sicurezza del volo, si è tenuto un meeting con tutti i rappresentanti dei reparti statunitensi, nel quale è stato deciso di effettuare con frequenza annuale incontri con rappresentanti dell'USAF, della US Navy, della US Army e dei Marines per affrontare le maggiori problematiche di sicurezza del volo riguardanti l'attività degli aeromobili statunitensi in Italia (è bene che queste date restino agli atti). Il 20 settembre 1999, le decisioni adottate il giorno 1o luglio 1999 sono state formalizzate all'ufficio di cooperazione della difesa presso l'ambasciata USA e notificate a me, allo Stato maggiore della difesa, come azioni compiute. Il 29 ottobre 1999, sono stati comunicati ai comandi aeronautici interessati i nominativi degli ufficiali statunitensi designati come autorità responsabili (questi sono bei passi avanti!). Il 17 dicembre 1999, con comunicazione dell'ufficio di cooperazione per la difesa americana a Roma, sono state puntualizzate alcune procedure e norme non esattamente applicate alle unità statunitensi imbarcate. Qui voglio aprire una parentesi: noi trattiamo molto facilmente con l'aviazione degli Stati Uniti e con molta difficoltà con la marina, con il corpo dei Marines e con l'esercito degli Stati Uniti. Anche l'USAF ha problemi.
Il 24 febbraio di quest'anno, acquisito il preventivo benestare dello Stato maggiore difesa, le norme e le procedure applicate ai reparti statunitensi sono state estese anche a tutti i paesi alleati che hanno velivoli rischierati qui. Al momento, tra le raccomandazioni formulate dal rapporto, non sono state ancora applicate le seguenti: istituzione di un sito Internet e aggiornamento degli accordi tecnici; le informazioni riportate sul sito sono in larga misure da desumere da una pubblicazione (direttiva di addestramento aviazione a bassissima quota) che è in via di revisione. Per questo non vogliamo introdurre notizie ancora non mature. Finora non si è ancora provveduto - e questo è noto - a rinegoziare l'accordo a livello militare techical arrangement, in quanto stiamo finalizzando quello di Sigonella che farà da capostipite di tutti i 21 accordi su basi americane o su 21 differenti presenze americane in Italia.
È stato lamentato dall'onorevole Franz il fatto che durante la visita ad Aviano è sembrato che il comandante avesse recepito in modo poco formalmente precettivo il pacchetto di raccomandazioni: su questo ci siamo già attivati e abbiamo dato istruzioni attraverso l'Aeronautica al comandante di Aviano, il quale aveva già predisposto una lettera perché il comandante rendesse precettivo il tutto in modo pubblico per i suoi uomini e per i reparti rischierati.
Mi è stata rivolta una domanda sulla differenza di regole. Avevamo individuato una differenza già prima dell'incidente,
Spero di avere contribuito, più che a creare altre incertezze, a chiarirne alcune. Non pretendo di essere stato esauriente. Su molte delle questioni prospettate ho utilizzato la mia esperienza e il mio modo di vedere e sentire. Posso ammettere che non tutto ciò che ho detto è asettico, ma spero che venga considerato come un contributo. Ringrazio per l'attenzione.
La ringrazio nuovamente per la relazione e per le risposte che ci ha dato e che la Commissione avrà modo di valutare attentamente attraverso il resoconto stenografico dell'audizione.