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Seduta del 24/10/2000


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Seguito dell'esame della relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Campania.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame della relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Campania.
Ricordo che al termine delle dichiarazioni di voto, che sono iniziate nella seduta del 17 ottobre scorso, procederemo alla votazione del documento. Invito tutti i colleghi a rispettare il tempo di dieci minuti che abbiamo stabilito per ciascun intervento, anche perché nella discussione generale si è data la possibilità, soprattutto ai parlamentari che hanno seguito più da vicino questa vicenda, di dilungarsi nelle loro argomentazioni.
Poiché, diversamente da quanto previsto, l'Assemblea del Senato è stata convocata per questa mattina, dobbiamo concludere i lavori in tempo utile per consentire ai senatori di partecipare alle votazioni che si svolgeranno in quella sede.

BRUNO ERROI. Per quando è previsto il voto sulla relazione?

PRESIDENTE. Dipende da quanti parleranno per dichiarazione di voto. Comunque, dovremmo procedere alla votazione intorno alle 11.
Do pertanto la parola ai colleghi che intendano intervenire per dichiarazione di voto.

EMIDDIO NOVI. Vorrei innanzitutto prendere la parola sull'ordine dei lavori, presidente. Non so se le sia arrivata una comunicazione del professor Taormina, che chiede di essere audito in ordine ad alcune dichiarazioni del procuratore di Cosenza che lo riguardano.

PRESIDENTE. Senatore Novi, tratteremo questo argomento successivamente dal momento che in seno all'ufficio di presidenza dovremo affrontare proprio la questione di Messina. Prenda pure la parola per dichiarazione di voto.

EMIDDIO NOVI. Nella mia dichiarazione di voto mi voglio soffermare su un documento e precisamente sul verbale di un'udienza che si è svolta il 22 ottobre 1996 davanti alla prima sezione della corte di assise di Napoli nell'aula Ticino n. 1 del carcere di Poggio Reale.
Perché mi soffermo su una parte di quel processo, signor presidente? Perché negli ultimi anni qui vi è stato in realtà una sorta di silenzio sedimentato su alcuni fatti importantissimi che provavano una stretta connessione, uno stretto legame tra grande imprenditoria e potere camorrista in Campania. Non mi pare che quando Galasso fu ascoltato dalla Commissione antimafia (se non sbaglio, nel


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1993) l'allora presidente Violante abbia incalzato gli estensori di quella relazione per fare in modo che fossero riportate appieno tutte le argomentazioni dello stesso Galasso. Questo silenzio stratificato lo ritroviamo anche nella relazione successiva, che fu redatta sotto la presidenza del Polo per le libertà. Anche in quella relazione venivano sostanzialmente taciute alcune realtà, che alla fine, se fossero state approfondite, avrebbero a mio avviso giovato anche alla sinistra. Anche perché in questi anni si è formata in realtà tutta una nebulosa di detto e non detto che non è servita a nulla e a nessuno. Il condizionamento camorristico in Campania era infatti tale che qualsiasi imprenditore non era in condizioni di intraprendere un'attività, di lavorare, di essere addirittura fisicamente presente se non scendeva a patti con le cosche mafiose. Il fatto di tacere su alcuni fatti e di accentuarne altri era pertanto una sciocchezza, dal momento che chiunque fosse stato presente in Campania in quegli anni (e io lo ero in qualità di giornalista) doveva essere sicuramente a conoscenza di ciò: il condizionamento e la pervasività del crimine organizzato era tale che persino grandi gruppi imprenditoriali come la COGEFAR entravano in rapporto con quel fenomeno.
Ebbene, anche in questa relazione registriamo al riguardo la stessa carenza, e richiamo in proposito l'attenzione del relatore. Mi soffermo soprattutto su due grandi appalti: quello del canale Conte Sarno e quello della statale 268. Nell'udienza che ho ricordato emerge una realtà. L'allora capitano De Donno dice di essere stato trasferito dalla Sicilia in Campania e di avere trovato in quest'ultima regione una situazione non molto diversa da quella della Sicilia, dove aveva lavorato collaborando con il giudice Falcone. Egli afferma che il lavoro investigativo e l'attività inquirente fecero emergere una realtà impressionante. Va precisato che, per quanto riguarda quegli appalti ed anche altri, erano in contatto con il clan Galasso e con il clan Alfieri non soltanto la Lega delle cooperative o la COGEFAR ma tutti: anche imprese subappaltatrici che erano appartenute a grandi imprenditori napoletani si trovarono coinvolte in questo clima di pervasività camorrista. Ebbene, emerge un dato impressionante e cioè che appalti di poche decine di miliardi lievitano improvvisamente fino a centinaia di miliardi. Gli appalti per la statale 268 e per il canale Conte Sarno da una quarantina di miliardi lievitano fino ad 800 miliardi! Ciò comporta in realtà uno spreco di risorse immenso.
Nell'udienza cui ho fatto riferimento viene spiegato il meccanismo. Il rapporto tra imprese e camorra imprenditrice (quella dei Galasso e degli Alfieri, che insieme ai Casalesi erano, come lei sa, il gruppo più forte del crimine organizzato in Campania) si fondava su una stretta connessione tra la tangente ed il subappalto. Il gruppo camorrista non si limitava a chiedere e a sollecitare il pagamento della tradizionale tangente; in realtà costringeva le imprese concessionarie a concedere agli imprenditori legati alla camorra anche i lavori in subappalto. Cosa avveniva in pratica? Come tutti sanno, quando l'impresa madre, l'impresa concessionaria, concede un subappalto, in genere lucra su quel lavoro un 25-30 per cento. Nel caso del rapporto che si stabiliva con la camorra degli Alfieri e dei Galasso (e in genere, in Campania, era dovunque così), la percentuale di guadagno per l'impresa madre era invece del 2-3 per cento. Con quella percentuale di profitto, si elimina qualsiasi guadagno per l'impresa concessionaria; in realtà, è come se si fosse stipulata una società di fatto tra la società aggiudicatrice dell'appalto, l'impresa madre, e quella subappaltatrice, la cosca camorrista. Questo è il rapporto incestuoso che si viene a creare in Campania in quegli anni!
Ma c'è di più. Succede che alcuni appalti vengono concessi in subappalto a imprese gestite da personaggi già inquisiti e persino tratti in arresto. Si parla del 50 per cento dei lavori... In sostanza, questi uomini legati alle cosche camorriste finiscono per svolgere la loro attività quasi in un regime di monopolio; l'impresa aggiudicatrice dell'appalto, in realtà, si limita a


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svolgere un ruolo di intermediazione e di associazione con l'impresa subappaltatrice. Ciò dà luogo ad una serie di meccanismi criminali. Come si recupera la maggiorazione dell'appalto? Mediante la lievitazione dei costi. E come si ottiene la lievitazione dei costi? Con la falsa fatturazione e con la sovrafatturazione.
Ebbene, signor presidente, nella relazione al nostro esame avremmo dovuto riscontrare un'analisi seria dei meccanismi utilizzati: non si può infatti parlare di camorra imprenditrice, di rapporti stretti tra grande impresa e crimine organizzato, senza poi analizzare seriamente come i rapporti in questione si concretizzavano. Mi rifiuto di credere che il relatore e quanti lo hanno sostanzialmente sostenuto fornendogli il loro contributo professionale non conoscessero queste condizioni; secondo me le conoscevano benissimo, ma non si sono voluti soffermare su tali meccanismi perché ciò avrebbe fatto emergere determinate realtà. E ripeto che, se pure fossero emerse certe realtà, ciò non avrebbe significato alcunché, perché è noto che in Sicilia, in Calabria e in Campania non si riesce a lavorare se non si instaurano certi rapporti incestuosi con quello che in quelle regioni è sostanzialmente l'anti-Stato. Perché quindi c'è questa lacuna?
Voglio poi sottolineare un altro aspetto. Dalle carte dei processi che si sono svolti in Campania emerge un dato terrificante: alcuni esponenti politici della democrazia cristiana furono arrestati perché coinvolti nei rapporti incestuosi tra imprese e camorra, ma successivamente è emerso che questi personaggi, questi uomini politici di primo piano della democrazia cristiana non avevano nulla a che vedere con i fatti contestati, erano a loro assolutamente estranei, anche perché le imprese che si erano aggiudicate gli appalti facevano riferimento ad altre aree politiche, addirittura antagoniste rispetto alla democrazia cristiana. Avremmo dovuto quindi anche spiegare il perché nella prima fase investigativa e inquirente, cioè tra il 1991 e il 1993, gli inquirenti cadano in questa serie infinita di errori, coinvolgendo nelle inchieste giudiziarie dei politici che erano del tutto estranei ai fatti contestati, e non si soffermino invece su quelli che erano i legami organici tra gruppi di imprese della Lega delle cooperative e questo tipo di società criminali.
Perché dico ciò? Perché in questa Commissione deve essere resa giustizia a tutta una parte del ceto politico campano, ceto politico che è sicuramente responsabile di enormi errori (e semmai anche di altri rapporti collusivi con il crimine organizzato), ma che in molte di queste inchieste era del tutto estraneo ai fatti contestati.
Dobbiamo chiederci perché poi la magistratura nella prima fase delle inchieste li coinvolse e perché dal 1993 in poi, quando si sposta il gruppo di lavoro di De Donno da Palermo a Napoli, il lavoro investigativo subisce un rettifica fondamentale e praticamente emergono questi rapporti e questi dati. Perché nel momento in cui abbiamo un appalto, quello di Sarno, che parte da una concessione originaria di 18-19 miliardi per arrivare a 500 miliardi, dobbiamo chiederci cosa sia successo, perché avviene questo, perché questa lievitazione dei prezzi, come mai in quel periodo tutto il sistema politico campano era silente su questo tipo di situazione.
Perché era silente? Perché tutto il sistema politico campano era sostanzialmente coinvolto in questo tipo di rapporto e di situazione. Allora, se ci fossimo soffermati nella relazione della Commissione antimafia a ricostruire questi rapporti e li avessimo ricostruiti, non solo avremmo dato un contributo alla verità ma avremmo fatto in modo che certi errori non possano essere commessi da altri soggetti in futuro. Perché qui non è che diciamo che questi errori li ha commessi la DC o il PCI e non li potrebbe commettere un domani Forza Italia; chi lo dice? Nessuno, dico nessuno, per quanto riguarda queste situazioni può ergersi a moralizzatore.
C'è poi un altro fatto, presidente. Lo dico con molta franchezza: nelle carte processuali, ad esempio, emergono alcune cose; emerge che un politico noto della maggioranza, un politico di sinistra, magistrato,


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per pura combinazione passava le vacanze nello stesso albergo dove alloggiava Gino Citarella, che fu ammazzato nel 1990 a Nocera Inferiore e che era uno degli esponenti, se non l'esponente più forte dell'imprenditoria ex Cutoliana in Campania. Quando questo Citarella fu ammazzato furono trovati nella sua agenda il nome ed il cognome di questo ex magistrato, attuale esponente di primo piano della maggioranza.
Non mi sono mai sognato si sostenere qui, in quest'aula, che tra questo esponente della maggioranza, di sinistra, ex magistrato e il signor Citarella ci fosse un qualsiasi rapporto. Probabilmente questo non sapeva neanche chi fosse Citarella; si frequentavano; i camorristi sono molto insinuanti nei rapporti personali e umani; questo Citarella allora era ritenuto un grande imprenditore del Salernitano e probabilmente questo nostro collega gli fornì anche il suo numero di telefono; come io non vengo qui a sostenere che un autorevole componente di questa Commissione, siccome è stato assessore con il fratello del criminale Bardellino, che era uno dei capi della camorra campana, non possa essere componente della Commissione, perché negli anni '80 nel Casertano il fratello di Bardellino o di uno dei boss dei Casalesi, il cosiddetto Sandokan, facevano politica e quindi chi faceva politica nel Casertano in quegli anni incappava in questo tipo di rapporti.
Qui nessuno viene a porre tali questioni perché da parte nostra, se le sollevassimo oggi con nomi e cognomi - mi spiego - e in questa Commissione pretendessimo nella relazione di minoranza di lasciare traccia di nomi e cognomi, persino di un esponente di questa Commissione, faremmo un'opera insinuante e calunniatrice nei confronti di queste persone. Noi questo non lo facciamo. Perché? Perché ci rendiamo conto di certe situazioni.
Ecco perché, a proposito della vicenda di Arcibaldo Miller, un magistrato che è stato il promotore dei maxi blitz contro le due cosche più pericolose della camorra campana, la cutoliana, la NCO, la nuova camorra organizzata e quella tradizionale delle grandi famiglie criminali, l'aggregato criminale che faceva capo ai Nuvoletta, ai Galasso e agli Alfieri, la nuova famiglia; ecco perché, dicevo, mi chiedo come sia possibile che, dopo venti anni e dopo le spiegazioni fornite da me in questa Commissione, si insista ancora nel lasciare questa traccia su Arcibaldo Miller. Me lo chiedo perché se ci mettiamo su questo piano, allora noi in questa Commissione seguiamo una linea di «attenzionamento» di alcune persone e di distrazione, diciamo di silenzio, su altre, che non è comprensibile per una Commissione come l'antimafia.
In realtà la invito a riflettere su questa vicenda di Arcibaldo Miller perché lui svolge ora un lavoro molto molto delicato come procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere e, siccome in provincia di Caserta la presenza di Miller già ha sollevato grande angoscia in certi ambienti, perché è uno dei migliori inquirenti per le inchieste sui reati nella pubblica amministrazione, noi indebolendo la posizione di Miller in realtà facciamo un piacere a tutti i corrotti della provincia di Caserta.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Una rapida considerazione di ordine preliminare generale e poi una considerazione sulle indicazioni che avevo dato nel precedente intervento, che ho visto accolte per due argomenti mentre, se non ho sbagliato nel leggere le integrazioni del relatore, si tace per altri due, per cui avrei piacere di capire se quanto ho letto rapidamente questa mattina sia corretto.
Inizio, dicevo, da una considerazione molto generale. Io avevo espresso l'altra volta, e la confermo oggi, una valutazione di apprezzamento per lo sforzo notevolissimo fatto dal collega Lombardi Satriani nella indicazione di un fenomeno di enorme rilievo come quello della vicenda camorristica campana, napoletana in particolare, le sue modalità, gli intrecci, le attività e l'emersione registrata negli ultimi anni, dopo anni in cui si riteneva ci fosse stata una sorta di esaurimento del fenomeno camorristico di tipo tradizionale.


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Proprio la serietà della impostazione della relazione mi aveva indotto a chiedere se alcune questioni fondamentali erano state trascurate per una qualunque ragione o se questo era dovuto ad una ragione di orientamento ideale, culturale o politico, perché poi le cose non sono sempre identiche.
Quindi, confermando questo tipo di apprezzamento per una relazione che contribuisce, a mio giudizio, in modo notevole alla comprensione del fenomeno - e da questo punto di vista la comprensione del fenomeno è la premessa delle valutazioni politiche anche per combatterlo, nel caso necessario - avevo dato delle indicazioni che venivano dalla mia personale formazione e dalla mia personale esperienza. Avevo indicato - e sono lieto di vederlo colto anche se in un passaggio rapido, ma il problema non è la quantità, il problema è la sostanza - nell'atteggiamento di fondo dell'idealità cattolica una forza con la quale si può costruire una rete di protezione, proprio perché nel corso di molti secoli l'idealità cattolica poteva non aver rappresentato quella rete di protezione che doveva essere costruita; quindi, come tutte le grandi strutture a valenza ideale molto importante, quella di ispirazione cristiana doveva svolgere una funzione che non era stata svolta in passato e che è importante che si sia cominciato a svolgere in tempi più recenti; al di là ora di questo o di quel vescovo, di questa o quella realtà, che la idealità cattolica possa concorrere in modo notevole ad una ricostruzione di valori che possano portare a combattere alla radice il fenomeno camorristico, non le singole punte di emersione, mi sembra una questione importante e - ripeto - il fatto che questo aspetto sia stato inserito, al di là ora della costruzione complessiva, mi sembra altrettanto importante.
Un'altra considerazione positiva avevo fatto in riferimento ai provvedimenti del 1991, governo Andreotti e ministro dell'interno Scotti; mi riferisco in particolare al provvedimento per lo scioglimento dei consigli comunali. Avevo detto queste cose per due ragioni, la prima - l'ho appena sentita dal collega Novi - perché faceva parte di quegli interventi che all'inizio degli anni novanta e alla fine degli anni ottanta anche all'interno del mondo politico democratico-cristiano si riteneva necessario assumere per concorrere ad una lotta al fenomeno camorristico che magari poteva non essere stata svolta prima con la stessa decisione ma che era stata iniziata con argomenti molto forti; lo dico ora non soltanto in ricordo del ministro Scotti e perché da questo punto di vista ed in un certo senso è la dimostrazione della volontà di quel governo di farlo, ma perché fui testimone casuale (casuale non come ascoltatore ma come presenza) dell'incontro tra il Presidente della Repubblica Cossiga e il ministro Scotti a Pian Consiglio nel 1991, quando fu affrontato il problema di una migliore organizzazione dello Stato per combattere il fenomeno camorristico, mafioso e della 'ndrangheta, e si concorse a dar vita a quelle che poi sarebbero diventate la procura antimafia e la direzione antimafia. Quindi provvedimenti di grande rilievo che furono pensati nel corso del 1991 e che evidentemente hanno rappresentato l'inizio di un'azione di governo che in quel momento risultava fondamentale.
Il provvedimento per lo scioglimento dei consigli comunali fu inserito in questo contesto, non fu quindi un'azione localistica del ministro Scotti; fu inserito in questo contesto di grande legislazione, di contrasto ai fenomeni della criminalità organizzata, in questo caso camorristica, ma riguardava tutti i comuni, non soltanto quelli della Campania; ricordo che, affermando questa necessità, fu proprio il Presidente Cossiga a dire a Scotti che questo provvedimento, una volta introdotto, doveva essere sperimentato all'inizio proprio in Campania, perché la credibilità dello scioglimento dei consigli regionali sarebbe stata maggiore se lo scioglimento stesso fosse intervenuto a carico di consigli comunali a prevalente voto democristiano ed appartenente anche alla corrente di Scotti. Questo fatto era dunque


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la prova della volontà di non avere veli davanti all'uso di poteri straordinari come questi.
Rimanevano altre due questioni, e chiedo al collega Lombardi Satriani se le ha considerate irrilevanti, o perché non le ha considerate, perché non le ho notate o ho sbagliato nel non notarle. Delle due, una mi dispiace che appaia come questione personale, ma personale non è; riguardava il compito che il mondo del sapere e quindi della scuola deve avere accanto a quello delle grandi organizzazioni politiche, sindacali, ecclesiastiche e sociali nella costruzione dei valori; avevo ricordato il tentativo fatto, durante il governo Berlusconi, nei mesi in cui sono stato alla responsabilità dell'istruzione, proprio su Napoli; ecco perché il valore riguardava questa specifica vicenda, operando in tre diverse direzioni, nel corso di quei pochi mesi, la più emblematica delle quali fu certamente la richiesta al maestro Cesare Moreno di Barra (credo fosse di democrazia proletaria o di rifondazione comunista, certamente non di area di centro-destra) di collaborarmi per trasformare la lotta alla dispersione scolastica da un atteggiamento repressivo quale era stato prevalentemente fino ad allora, in un atteggiamento di promozione del successo scolastico. Moreno fu il protagonista del cambiamento del linguaggio, perché mi sembrava necessario affermare che la scuola doveva essere una struttura di successo per gli studenti e non di compressione della loro libertà di movimento. Il fatto che lui venisse da Barra rappresentava in quel momento della città di Napoli un gesto di grande valore emblematico perché Barra era uno dei quartieri dove l'organizzazione malavitosa aveva colpito la scuola elementare fisicamente, cercando di distruggere l'edificio perché quello rappresentava il solo punto di idealità e civiltà in quel quartiere degradato della realtà napoletana. Avevo preso altresì atto del fatto che la costruzione di edifici di proprietà pubblica a Napoli non era stata sufficientemente presa in considerazione dalle autorità scolastiche, che avevano lasciato deperire, senza utilizzarla, una parte notevole dei fondi della cosiddetta legge Falcucci. Il primo provvedimento del Governo Berlusconi fu quindi il decreto-legge che consentiva l'uso dei fondi residui della legge Falcucci; e quello della scelta di Moreno fu un gesto altrettanto emblematico. Per quanto concerne poi la proposta cultural-politica dell'associazione Napoli 99, che aveva lanciato l'idea che le scuole si riappropriassero della storia del territorio civile di Napoli procedendo ciascuna all'adozione di un monumento, sostenni che questa era un'idea eccellente e che a mio avviso essa doveva diventare una regola generalizzata.
Dico questo perché evidentemente l'attenzione al mondo della scuola nel contesto del fenomeno anticamorristico rappresenta una linea di condotta politica molto importante. Ho chiesto al collega Lombardi Satriani (capisco che il tempo può non essere stato sufficiente) se queste iniziative abbiano o meno avuto un seguito. Lo dico senza alcun intento polemico: non so davvero se queste iniziative abbiano avuto un seguito, se siano state prese in considerazione dal senatore Lombardi Satriani e dall'onorevole Berlinguer, se vi siano al riguardo iniziative nuove. Poiché la relazione fa giustamente riferimento alla possibilità che la scuola diventi struttura formativa anche di valori civili anticamorristici, mi interessava sapere cosa fosse successo nel corso dei sei anni successivi. Siamo nel 2000, e non ci si può limitare ad esprimere un'esigenza dal momento che in passato qualche tentativo in proposito era stato fatto. Da questo punto di vista, non ho trovato nulla.
Vengo all'ultimo punto, che è molto delicato. Ne ha parlato poco fa anche il collega Novi, e ovviamente, appartenendo egli ad una diversa formazione politica e non provenendo come me dalla democrazia cristiana (provenienza che io conservo idealmente), ciò è per me molto importante. Proprio per l'estrema ampiezza dei riferimenti giurisdizionali contenuti nella relazione (che sottendono un'innegabile fatica dal momento che i documenti, i rinvii a giudizio, gli atti istruttori, le


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sentenze sono sicuramente molto delicati ed occupano interi volumi), avevo fatto riferimento al volume dell'ex ministro Pomicino. Questo libro, che è in testa da molti mesi nella classifica dei best seller e che si intitola Strettamente riservato: le memorie di un superministro della Repubblica contiene due affermazioni di estremo rilievo rispetto al nostro lavoro (il resto si può anche trascurare), perché riguardano l'intreccio politica-camorra. In primo luogo, Cirino Pomicino sottolinea di essere stato più volte indiziato di associazione camorristica e di aver visto sempre archiviate tutte le accuse mosse nei suoi confronti. Chiedo allora perché mai si siano avviati contro di lui tali procedimenti. Forse perché si era convinti che così dovesse essere? Forse perché si riteneva che non potesse essere che così? Forse perché vi erano intenti accusatori rivolti contro una parte politica anziché un'altra? Forse perché quella parte politica aveva governato più delle altre? Perché, insomma, persone certamente di rilievo come Pomicino, come Gava, come Scotti venivano indicati come sospetti di appartenenza ad organizzazioni camorristiche? Uno di essi era stato addirittura il promotore della legge sullo scioglimento dei consigli comunali, un altro era ministro dell'interno di quel governo (poi rimosso dall'incarico per malattia), ed un altro ancora era ministro del bilancio e quindi, come tale, sospettato di tutta una serie di intrecci e di rapporti finanziari. Che cosa ha indotto la magistratura napoletana ad avviare i procedimenti contro Pomicino e che cosa l'ha indotta invece ad archiviarli prima che arrivassero alla fase del giudizio? Questa riflessione di Pomicino nel suo libro è utile ai fini della nostra valutazione politica.
Vi è poi una seconda affermazione, più specifica. In quel libro si sostiene (e io mi auguro che sia vero; del resto, se è vero fa impressione e se si tratta di bugie l'autore ne porta la responsabilità) che sarebbe stato richiesto il sequestro di sette appartamenti di cui Pomicino non è mai stato proprietario. Ebbene, chi ha adottato la misura del sequestro dei sette appartamenti (fermo restando che il sequestro dei beni è fondamentale per reprimere il fenomeno camorristico)? È vero o no che non erano di proprietà di Pomicino? Se è vero, si deve far presente al Consiglio superiore della magistratura, al ministro dell'interno, al ministro della difesa (a seconda di chi è responsabile di quanto è successo) che vi è stata innanzitutto una insufficiente attenzione al riguardo. Parliamo di un atto di accertamento molto semplice: si tratta di accertare non se il soggetto sia o meno responsabile di associazione camorristica, ma semplicemente se il soggetto in questione sia o no proprietario di alcuni beni.
Questi due fatti hanno indotto nel 1993 l'onorevole Giovanardi e il sottoscritto a presentare un esposto alla procura di Roma (parlo di sette anni fa e si tratta di un atto pubblico), nel quale si chiedeva se la procura di Roma, e quindi i servizi segreti, non ritenessero che gli atti di accusa contro i cinque o sei personaggi di maggior rilievo del governo democristiano (i ministri dell'interno Gava e Scotti, il ministro Pomicino, il Presidente del Consiglio Andreotti, il ministro Misasi) potessero configurare una sorta di aggressione giudiziaria ad un partito. Ci fu detto allora, sette anni fa, che mancavano gli elementi per potersi esprimere al riguardo e che si sarebbero appunto attesi i giudizi. I giudizi sono intervenuti: nel caso di Pomicino vi è stato il proscioglimento per archiviazione per il reato di associazione camorristica, nel caso di Andreotti vi è stata la sentenza di assoluzione in primo grado, nel caso di Misasi - e prima della sua morte - vi è stata l'esclusione di qualunque responsabilità giudiziaria.
Mi chiedo se sette anni dopo, nel momento di stilare una relazione sulla camorra in Campania, non abbiamo in qualche modo il dovere di porci queste domande e di cercare di dare delle risposte. Altrimenti, come diceva prima il collega Novi, è difficile che noi possiamo dare insegnamenti alla nuova classe politica circa le cose da fare o da non fare.
Riassumendo, sono lieto che siano state accolte due delle richieste che avevo fatto.


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Per quanto riguarda le altre due mie richieste, una sul ruolo della scuola e l'altra sul ruolo della dirigenza democristiana dell'epoca, rimango ovviamente insoddisfatto e vorrei capire se vi siano ragioni che spieghino il perché quei due argomenti non siano stati affrontati.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Ovviamente, presidente, non ripeterò in questa sede gli argomenti che ho già trattato intervenendo nella discussione generale. Mi limiterò, in questa dichiarazione di voto, ad affrontare un paio di argomenti.
A noi questa pare, come avevo già detto, una buona relazione, una relazione che ricerca, innova, indaga e si arrovella su un tema peraltro aspro e difficile, una relazione che comunque non è priva di indicazioni concrete. Mi sembra che nel redigere questa relazione si sia seguito un metodo utile di composizione, di analisi, di strutturazione. Nella relazione, tra l'altro, non scorgiamo quella retorica (che in altre occasioni ho negativamente sottolineato) tipica di un'antimafia un po' scontata che è pura chiacchiera giustizialista, pura invocazione di maggiore efficacia da parte delle forze di polizia e di maggiore capacità di indagine giurisdizionale, cose che è bene sottolineare ma che in qualche modo dovrebbero essere ovvie e scontate, laddove compito di questa Commissione bicamerale è anche effettuare una ricerca oltre che fornire un'indicazione e una progettualità, una ricerca che abbia ad oggetto le strutture, il mercato del lavoro, i processi di accumulazione locali, territoriali e che quindi faccia riferimento ad una capacità di contrasto non solo repressiva, dal punto di vista sia giurisdizionale che politico, ma in grado di investire fortemente anche il terreno sociale.
In questo senso, mi pare ingiusta la critica che da alcuni è stata mossa a questa relazione, che cioè essa sia caratterizzata da un taglio illuministico ed idealistico. A me pare che non abbia un simile taglio. Tra l'altro, se il taglio fosse veramente tale e desse evidenza all'aspetto dei rapporti sociali e ad un momento rivoluzionario che ritengo di grande importanza come quello del '99 a Napoli, sarebbe allora un laboratorio interessante. Consiglierei quindi prudenza nell'usare gli aggettivi quando parliamo di realtà meridionale. Mi pare che non sia negativo un taglio illuministico inteso in tal senso in questa relazione.
Voglio infine sottolineare due punti. In ordine al primo punto, sono abbastanza critico, dal momento che già nell'ambito della discussione generale avevo proposto alcune correzioni che mi dolgo di non trovare nella stesura finale della relazione. Con riferimento all'altro punto, ritengo invece che sia stato evidenziato in termini molto positivi.
Per quanto riguarda il primo aspetto, apprezzo molto il fatto che nella relazione si dia grande importanza alla pervasività nella società civile e al fortissimo controllo sul territorio di cui le camorre sono capaci. Siamo di fronte alla pervasività di una cultura che devasta le stesse culture giovanili, i sentimenti di massa, a Secondigliano come a Bagnoli, dando luogo ad una socializzazione desertificante. Senza ricorrere ad espressioni sociologiche, potremmo dire che in quel deserto di socializzazione si alimentano anche le camorre. In questo la camorra è molto diversa, per esempio, da altri fenomeni come la 'ndrangheta, le mafie, la sacra corona unita: il rapporto con il territorio è molto pervasivo. La camorra va allora fortemente contrastata attraverso la capacità da parte delle forze democratiche dello Stato di recuperare l'egemonia sul territorio.
Da questo punto di vista, la relazione mi sembra un po' debole quando in essa si esaltano in maniera un po' troppo trionfalistica i successi delle leggi per l'occupazione in Campania e nel resto del Mezzogiorno, citandole espressamente; leggi che invece non hanno avuto successo, tant'è vero che il mercato del lavoro in molte zone è pressoché dominato e controllato dalle camorre (io sono del posto ma è inutile qui fare nomi, del resto già sono stati ricordati nella discussione generale). È inutile illudersi che in quelle regioni la politica per l'occupazione abbia raggiunto i livelli dei distretti emiliani e toscani.


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Una simile affermazione è ridicola: sappiamo tutti cosa sono i patti territoriali, i contratti d'area, il mercato del lavoro nel sud. Io ritengo che sarebbe stata invece molto più utile una descrizione delle vere e proprie filiere produttive moderne e non di nicchia che sono presenti nei distretti del lavoro nero e sommerso, del lavoro che si svolge nei garage, nei sottoscala e negli scantinati delle grandi città; andiamo a vedere che cosa succede a Bagnoli dopo lo smantellamento dell'apparato industriale e vediamo com'è nata la camorra una volta caduti i presìdi democratici; andiamo a Secondigliano a vedere come la camorra è collegata con la lavorazione in nero del cuoio nei sottoscala e nei garage. Se il ministro Salvi, nel suo ultimo intervento a Napoli, afferma che la legislazione del mercato del lavoro nel Mezzogiorno è fallita, una relazione che sostiene invece che questa legislazione è stata molto positiva mi sembra sia più realista del re. Questo è il nostro punto di vista sulla politica meridionalista.
Per quanto riguarda invece il secondo punto, esprimiamo un giudizio molto positivo sul fatto che la relazione individui in maniera molto attenta il rapporto tra camorra, imprenditorialità e vecchia politica (ovviamente dico vecchia tra virgolette) come anche i rischi del rapporto fra camorra e nuova politica. La relazione si sofferma attentamente su alcuni aspetti che ritengo essenziali, come ad esempio il rapporto fra la camorra e nuovi settori di intervento. Cito ad esempio lo smaltimento dei rifiuti tossici, dove il raccordo con l'imprenditorialità è ampiamente dimostrato e che rappresenta un fenomeno inedito, della nuova camorra.
Noi di Rifondazione comunista voteremo in maniera convinta a favore di questa relazione, apprezzandone il taglio e la capacità di ricerca, fermo restando che si tratta solo di un punto di partenza e mantenendo comunque qualche riserva sugli aspetti relativi al rapporto tra attività repressiva e necessità, per così dire, di un'antimafia sociale. Al riguardo abbiamo qualche dubbio ma - ripeto - apprezzando lo sforzo compiuto, esprimeremo con convinzione un voto favorevole.

ROSARIO PETTINATO. Anch'io esprimo su questa relazione una valutazione positiva, avendo ovviamente piena consapevolezza del fatto che è quasi inevitabile, ogni volta che giungiamo alle conclusioni di un lavoro, avvertire anche un sentimento di insoddisfazione: c'è sempre la sensazione di non essere riusciti ad abbattere qualche muro, di non essere riusciti a rompere qualche fronte di omertà, di non essere riusciti spesso ad infrangere le barriere che le culture locali ergono di fronte ai tentativi di penetrare verità che spaventano e che è molto più confortante percepire in forma generica, il che a volte consente anche facili moralismi.
La relazione va letta ovviamente in rapporto al lavoro fatto dalla Commissione. Credo che questo criterio di lettura consenta di esprimere alla fine una valutazione convintamente favorevole.
L'obiettivo della Commissione del resto non è quello di indagare con le finalità delle indagini dell'autorità giudiziaria, non è quello di ristabilire equilibri di giustizia che sono stati o si assume siano stati violati in altre sedi, ma quello di una lettura del fenomeno nei suoi rapporti con le articolazioni delle società e, se possibile, con l'identificazione di strumenti possibili.
Da questo punto di vista certamente, anche in ragione della particolare cultura e dell'impegno professionale del relatore, la relazione è particolarmente attenta ed efficace laddove si occupa della capacità straordinaria di questo pezzo della mafia, della camorra di penetrare nella società, di legarsi profondamente ai percorsi culturali, alle abitudini e in qualche modo anche alle frustrazioni delle popolazioni locali, pervadendole e creando reti di solidarietà o di silenzio che rendono più difficile il lavoro di chi combatte contro questi fenomeni.
Per il resto debbo dire che questo è un aspetto di particolare rilevanza, per quanto riguarda la regione cui la relazione


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si riferisce. Non condivido il giudizio piuttosto severo appena espresso dal senatore Russo Spena con riferimento alla valutazione degli interventi sull'occupazione; certo, lo dice il ministro del lavoro, ma è sotto gli occhi di tutti che questi tipi di strumenti trovano poi nella società forme di resistenza che tendono a difendere i meccanismi di produzione economica che purtroppo determinano poi una coincidenza di interessi fra l'imprenditore che sfrutta e chi è sfruttato per necessità, soprattutto nelle organizzazioni criminali che hanno interesse a mantenere questo stato di fatto. Quella della relazione è però l'indicazione di una strada da percorrere. Può essere forse eccessivamente ottimista nella valutazione di ciò che è stato ma è certo che uno degli strumenti cui non possiamo rinunciare e che dobbiamo usare per combattere il fenomeno, in particolare con riferimento all'economia di quella regione e di quei luoghi, è proprio l'investimento in questa direzione.
Per il resto, insistendo sul fatto che la relazione non deve ristabilire alcun equilibrio e soprattutto non deve ristabilire gli equilibri che si ritengono violati in altri settori, soprattutto in quello della magistratura, credo sia particolarmente apprezzabile la valutazione del rapporto stretto, che è comune a tutte le mafie e a tutte le regioni di mafia, fra la criminalità organizzata, gli interessi economici della criminalità organizzata fatalmente legati e portati ad esercitare una forte pressione sull'impresa e naturalmente la politica, ieri più esplicita, talora perfino esibita, oggi certamente più prudente, più attenta ma non per questo meno rischiosa.
Credo che la relazione rappresenti dunque una sintesi efficace, fedele ed intelligente del lavoro svolto. Naturalmente è una tappa di un lavoro che proseguiremo più avanti, che altri probabilmente proseguiranno dopo di noi, ma comunque un momento di riflessione importante che credo meriti una piena valutazione positiva sia pure con le riserve, le attese ed i progetti ai quali altri hanno già accennato.

MICHELE FIGURELLI. Le ragioni dell'approvazione della relazione del senatore Lombardi Satriani sono negli argomenti ed anche nelle motivazioni di apprezzamento che sono state svolte nei numerosi interventi del nostro gruppo, in particolare dagli onorevoli Gatto e Veneto e dal senatore Diana; io stesso ho avuto modo di svolgere una serie di considerazioni e di proporre un ragionamento. Ma le ragioni, dicevo, non stanno solo in questo. Io ho prestato molta attenzione agli altri interventi e mi sembra che da parte della stragrande maggioranza degli intervenuti, forse con qualche eccezione, la struttura della relazione, i suoi indirizzi e le sue acquisizioni hanno trovato consenso. Ci sono state alcune eccezioni, le quali però sembrano paradossalmente confermare questo giudizio perché ho avuto l'impressione che in queste eccezioni si sia un po' scambiata la parte per il tutto, come se la relazione del senatore Lombardi Satriani fosse sulla vicenda e sui comportamenti degli anni '80 di un magistrato piuttosto che sulla camorra e sulla lotta alla camorra in Campania negli ultimi anni, in particolare del 1993 al 2000.
Io penso che dal dibattito siano venuti una serie di suggerimenti, indicazioni ed anche osservazioni critiche che potrebbero forse essere ulteriormente accolte in qualche precisazione che potrebbe essere fatta. Io credo che l'apprezzamento sia anche per l'accento dato alle modificazioni intervenute dal 1993 ad oggi, ed anche per l'estensione della analisi a territori e campi che precedentemente non erano stati toccati per il loro valore. Proprio per questo credo che noi possiamo ritenere questa relazione anche come un punto di partenza, in parte come un work in progress per approfondimenti successivi che possono essere fatti, e sarebbe auspicabile noi facessimo anche attraverso i comitati, non solo su alcune questioni (per esempio si è insistito sulla necessità di guardare al riciclaggio) ma anche su alcune estensioni territoriali. Il merito e la novità di questa relazione è


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appunto quello di aver guardato all'insieme dei territori ed anche alle differenze tra di essi nella Campania.
Da questo punto di vista ritengo che sulla criminalità organizzata ed il relativo contrasto nella provincia di Caserta, che è appunto uno di questi elementi di innovazione rispetto a trattazioni precedenti, si debba e si possa andare ancora avanti.
L'onorevole Veltri si è riferito ai dati recentissimi, che la relazione non poteva contenere, della relazione Palmerini, relativi alla Campania. Io credo che l'attenzione già manifestata dal presidente della Commissione antimafia - ci siamo tornati anche in ufficio di presidenza - su come trattare questi dati, in generale ma anche per quanto riguarda la differenziazione che essi mettono in evidenza fra territorio e territorio, meriti forse che nel coordinamento del testo siano fatte alcune citazioni specifiche della relazione Palmerini.
In questa settimana abbiamo avuto notizia dai giornali ed abbiamo già chiesto di acquisire e proprio questa mattina è stato acquisito dalla Commissione antimafia un documento che, almeno dalla descrizione di stampa, sembra importante sul rapporto camorra-massoneria; è un'indagine che ha avuto un primo sbocco in un provvedimento giudiziario del dottor Cordoba e dei suoi sostituti. Si tratta di un filone che, anche per quanto riguarda la Campania, è utile che noi approfondiamo.
Io penso che il giudizio di fondo della relazione Lombardi Satriani non vada smarrito nell'intento di seguire o approfondire questo o quell'aspetto, questo o quel problema, questa o quella situazione territoriale. Dobbiamo partire dal dato che in questi anni, nel periodo che va dal 1993 ad oggi, la camorra è stata combattuta e ci sono stati risultati quantitativi e qualitativi che non possono essere assolutamente sottovalutati. Non mi riferisco soltanto agli arresti o agli scompaginamenti di famiglie e di clan; mi riferisco allo stesso insieme di rotture politiche avvenute rispetto a tante connessioni tra istituzioni, politica, affari e criminalità organizzata. Si sono anche andate a formare condizioni e basi più avanzate per la continuazione della lotta alla camorra, per l'affermazione della legalità e per lo sviluppo e la diffusione della democrazia ed anche di una cultura della legalità ed antimafia. Si sono create nuove basi e nuove condizioni anche per diffondere il processo di rinnovamento delle classi dirigenti, del governo della cosa pubblica, in ogni articolazione del territorio.
Tuttavia - e questo è un punto molto importante della relazione Lombardi Satriani - dobbiamo valutare con molta attenzione che a questi risultati, questi colpi dati alla camorra non corrisponde una situazione di raggiungimento dell'obiettivo di conclusione della lotta. Ai risultati e ai colpi dati corrispondono controffensive, riorganizzazioni, tentativi di rivincita e soprattutto una capacità di resistenza, anche molto mobile e flessibile, di quella pervasività che Lombardi Satriani ha cercato di focalizzare un po' anche come preoccupazione, come filo rosso della sua analisi della situazione della Campania. Proprio alle ragioni più di fondo, strutturali e anche storiche di questa pervasività noi dobbiamo continuare a guardare per condurre una battaglia multilaterale, sul piano non solo economico, non solo istituzionale, ma anche culturale e ideale. Proprio per questo dualismo tra i risultati importanti che sono stati conseguiti per le novità che si sono costruite, da una parte, e la resistenza, la capacità di riorganizzazione e di controffensiva dimostrata, dall'altra, noi dobbiamo raccogliere non solo l'allarme ma anche le richieste, le proposte che il procuratore Cordova ed il suo ufficio hanno lanciato in occasione dell'ultimo sopralluogo da noi fatto a Napoli (e Luigi Lombardi Satriani a ciò ha fatto riferimento in più punti della relazione), che poi corrispondono a quanto ha evidenziato il procuratore Vigna con riferimento alla Campania nelle sue due ultime audizioni davanti al plenum della Commissione. Dico questo pensando soprattutto all'economia e al problema acuto - al quale dobbiamo prestare attenzione


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prioritaria - delle indagini patrimoniali e delle misure patrimoniali e avendo anche grande attenzione al controllo del territorio e al ruolo che hanno al riguardo la politica e le istituzioni, ma anche le istituzioni culturali.
Per quanto riguarda la parte molto marginale della relazione che è stata dedicata al caso Miller - e concludo -, io ritengo che potrebbe essere espunto dal testo il riferimento critico specifico al Consiglio superiore della magistratura. Noi potremmo limitarci a registrare filologicamente i fatti, sulla base dei documenti che il senatore Lombardi Satriani ha citato in nota. Non mi sembra opportuno manifestare una nostra critica specifica al CSM perché in fondo nella relazione si è affrontato un problema molto più generale, quello cioè della capacità di varie istituzioni di fare attenzione anche alle carriere, alle responsabilità di dirigenti e funzionari. Del resto, la relazione elenca una serie di fatti che si sono verificati nelle forze dell'ordine e negli apparati dello Stato. Dovremmo forse richiamare allora tutte le istituzioni, in funzione di un nuovo rapporto di fiducia tra cittadini e Stato, tra cittadini e uomini delle istituzioni, ad un maggior rigore nella verifica, nel controllo e poi anche nel governo delle carriere e delle responsabilità.
Ritengo quindi che a questa pregevole relazione possano essere apportati (ove il relatore lo ritenga opportuno) ulteriori singoli miglioramenti che tengano conto anche dei problemi che altri interventi hanno sollevato con riferimento a questo tema. Dico questo per evidenziare ulteriormente che si è operata una mistificazione quando si è rappresentata (anche all'esterno, sulla stampa) la nostra discussione e la relazione del senatore Lombardi Satriani come avente ad oggetto non la camorra, ma il caso di un magistrato.

GIUSEPPE SCOZZARI. Finalmente siamo giunti alla conclusione della relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Campania. I popolari hanno discusso molto anche al loro interno e hanno avuto un travaglio molto profondo su alcune questioni che riguardano la relazione, relazione sulla quale ci sentiamo di dare, per la maggior parte, un giudizio assolutamente positivo. La relazione tratta aspetti importanti legati ad ambienti della criminalità organizzata e a pezzi delle istituzioni e fa un'analisi molto specifica sulla questione dei comuni. Noi abbiamo comunque avanzato delle critiche rispetto ad alcune parti.
Innanzitutto, non abbiamo condiviso il metodo con il quale sono state affrontate alcune questioni. Qualcuno tra di noi, presidente e colleghi, ha infatti purtroppo divulgato notizie concernenti la relazione, notizie che erano coperte dal segreto e che avrebbero potuto essere modificate (come poi è in realtà avvenuto). Divulgando queste notizie si è arrecato un danno alla Commissione, alle persone cui si faceva riferimento e al lavoro che noi, con grande riservatezza, avremmo ancora potuto fare per migliorare alcune parti della relazione, al limite anche stravolgendole. Questo è un metodo che a me non piace, e credo che il presidente e l'ufficio di presidenza dovranno occuparsi di questo problema. Noi abbiamo il dovere giuridico, prima ancora che morale, di assumere precisi ed inequivocabili comportamenti su atti riservati della Commissione: non è permesso a nessuno di sbizzarrirsi con interviste o con la divulgazione anche parziale di quelle parti che sono giornalisticamente molto appetibili! Come popolari, non condividiamo questo metodo. Già in una seduta precedente ho fatto un intervento molto critico su questo metodo.
Ma ho espresso delle critiche anche rispetto ad alcuni temi della relazione. Senatore Figurelli, io sono sempre d'accordo con lei, ma per me non sono questioni marginali quelle sulle quali lei si è soffermato indicandole come tali. Sono questioni importanti. Le critiche avanzate dal senatore Erroi (e ricordo che all'interno del nostro partito abbiamo avuto un travaglio difficile) sono agli atti e le avevo già fatte io precedentemente. Comunque, nel complesso la relazione è per noi un


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documento importante dal quale partire, e su di essa noi esprimiamo un giudizio decisamente positivo. Sia io che il senatore Erroi, come anche altri colleghi hanno fatto intervenendo nella discussione generale, abbiamo invitato il relatore a modificare quella parte che intaccava, per così dire, una persona che oggi ha responsabilità istituzionali. A nostro avviso non è giusto fare così, considerato che organi dello Stato (e noi siamo uomini dello Stato, che crediamo negli organi democratici della Repubblica) hanno già espresso dei giudizi. E per primi noi abbiamo il dovere morale e giuridico di rispettare tali giudizi. Di qui il nostro invito a modificare parti che ci sembravano eccessive nei giudizi e per come venivano affrontate le questioni. Ritengo che il relatore abbia in parte accolto le nostre richieste. Pertanto, anche se la relazione desta ancora in noi molte perplessità, voteremo comunque a favore.

PRESIDENTE. Do ora la parola al relatore.

LUIGI MARIA LOMBARDI SATRIANI, Relatore. La ricchezza degli stimoli presenti in tutti i contributi mi indurrebbe ad una risposta estremamente articolata. Purtroppo i tempi non mi consentono di farlo e il presidente mi invita ad una sinteticità assoluta. A questo punto non posso che ringraziare tutti i colleghi per gli interventi svolti (che ho ascoltato con estrema attenzione), per gli stimoli forniti e per le integrazioni che mi hanno suggerito e che sono stato lieto di accogliere nella massima parte. Se avessi tempo, spiegherei i motivi per cui alcuni rilievi non sono stati recepiti pur in un'istanza complessiva di verità e di approfondimento.
Ringrazio tutti per il contributo prezioso fornito attraverso il consenso o la divergenza criticamente motivata rispetto al mio lavoro, che considero sicuramente una base di partenza, come è stato più volte richiamato. Nessuno può ritenere esaustivo il proprio discorso a meno che non sia preso da un delirio di onnipotenza (e non è questo il caso): chi vi parla non è in preda a questo delirio, ritiene soltanto che la sua relazione possa essere un punto di partenza che poi occorrerà approfondire ed integrare con uno sforzo congiunto, proprio perché è mio convincimento che una tematica quale quella della lotta alla camorra come a qualsiasi altra forma di criminalità organizzata debba vederci, pur nella diversità di collocazione politica e ideale, convergenti nell'obiettivo e quindi operosamente concordi nel lottare, pur differenziandoci eventualmente sulle modalità. Ringrazio ancora una volta tutti.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto. Prima di passare alla votazione volevo ringraziare tutti e ricordare ai colleghi che subito dopo si riunirà l'ufficio di presidenza, nell'ambito del quale discuteremo di questioni importanti; ritengo quindi opportuna la presenza di un rappresentante per gruppo. Subito dopo la votazione darò la parola all'onorevole Napoli, che mi ha già anticipato di voler svolgere un intervento importante che riprende anche una questione sollevata dal senatore Novi all'inizio della seduta.
Passiamo alla votazione.
Pongo in votazione il testo della relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Campania.
(La relazione è approvata).

Se non vi sono obiezioni, s'intende affidato al presidente il mandato ad operare l'indispensabile coordinamento del testo.
(Così rimane stabilito).

Comunico che la relazione verrà inviata ai Presidenti delle Camere affinché ne dispongano la pubblicazione negli atti parlamentari; comunico, inoltre, che entro trenta giorni dalla data odierna sarà possibile presentare eventuali relazioni di minoranza che verranno a loro volta inviate ai Presidenti delle Camere per la relativa pubblicazione.
Ricordo inoltre ai colleghi che alle 13 si svolgerà l'audizione del professor Arlacchi


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che è molto importante in vista della conferenza mondiale dell'ONU.

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