PROGETTO DI LEGGE - N. 3073




        Onorevoli Colleghi! - La sentenza della Cassazione del 1984 (quella del famoso "decalogo") ha innovato la materia delle diffamazioni a mezzo stampa, riconoscendo la possibilità di avviare direttamente un'azione civilistica risarcitoria, senza passare prima per la querela penale.
        Le conseguenze di quella sentenza sono in un certo senso devastanti. In primo luogo, non esistono certezze sul rischio professionale dell'attività giornalistica, in quanto la prescrizione per l'azione civile in materia è di ben cinque anni, per cui il giornalista potrebbe essere chiamato, magari quando è già in pensione, a rispondere di un articolo di cui si è persa memoria. Inoltre, la magistratura civile ammette risarcimenti di importi incredibili, anche quando l'autore dell'articolo ha scritto la verità ed in maniera corretta, in quanto ritiene sufficiente per l'azione civile la "perdita di identità sociale", non giudicando necessaria la sussistenza della volontà diffamatoria. Nel caso di campagne di stampa, magari con singoli articoli correttissimi, la magistratura accetta azioni articolate in solido. Infine, il nuovo codice di procedura civile, che ha introdotto l'esecutività della sentenza già dal primo grado, obbliga in tempi ristrettissimi all'anticipato risarcimento, prima del termine dell'intero iter processuale.
        La legge sulla stampa - risalente al dopoguerra e ormai superata, buona per altri tempi e per altri mezzi di comunicazione - individua come responsabili civilistici in solido per le diffamazioni l'editore, il direttore della testata e l'autore dell'articolo. Finora, però, nella prassi le imprese hanno sollevato i loro giornalisti da ogni onere economico per tali azioni. Ma oggi, in tempi di crisi generale dell'editoria, i segnali non sono incoraggianti. Il "Corriere della sera" sta compiendo una ricognizione delle insopportabili spese per contenziosi legali (al terzo posto tra gli oneri di bilancio delle imprese editoriali). I giornali, in crisi, non possono sopportare oneri di centinaia di milioni per risarcimenti, lievitati negli ultimi anni specie per responsabilità di "magistrati-attori". Quando le imprese falliscono, i giornalisti si trovano esposti alle azioni degli attori delle citazioni, magari con pignoramenti o sequestri individuali. E' capitato all'ex "Paese sera" per il quale è stata promossa una colletta. Le imprese inoltre non intendono coprire chi cambia testata (può capitare, per effetto della prescrizione quinquennale), chi lavora per giornali diversi o è in pensione. Risultano evidenti gli enormi rischi dell'attività professionale giornalistica, l'unica che, attualmente, non è coperta da alcuna forma assicurativa. Il rischio, inoltre, è indeterminato e sottoposto alla discrezionalità del giudice civile. Così, mentre giudici, architetti, avvocati, notai, ingegneri, medici, e in genere tutti i professionisti con proprio ordine, trovano coperture assicurative per il loro lavoro, ai giornalisti questo è negato. Fin quando le imprese erano floride e la diffamazione era risarcita in maniera simbolica, il sistema poteva reggere. Oggi, invece, con la crescita del sistema informativo e l'aumento di importanza della società della comunicazione, il sistema è al tracollo.
        Appare opportuno, pertanto, intervenire in sede legislativa. A tal fine, sembra rispondere alle esigenze prospettate una considerevole riduzione del termine di prescrizione che, come ricordato, è attualmente fissato in cinque anni. Con l'articolo 1 si propone, pertanto, di prevedere la riduzione della prescrizione dell'azione risarcitoria ad un anno. La ratio di tale innovazione è da individuarsi oltre che nelle ragioni suesposte anche nella considerazione che un anno è un termine più che congruo sia per avere conoscenza del contenuto dell'articolo sia per maturare la decisione di esperire la conseguente azione giudiziaria. Con l'articolo 2 viene prevista l'obbligatorietà, in capo all'impresa editoriale, di una copertura assicurativa contro il rischio derivante da azioni civili per il risarcimento del danno causato con la diffamazione a mezzo stampa dai giornalisti legati da un rapporto di lavoro contrattualizzato.




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