RELAZIONE - N. 1850-C
Onorevoli Colleghi! - All'interno delle economie
giurisdizionali di ciascun ordinamento appare sempre centrale
e delicatissima l'operazione di preselezione dei fatti penali
dal gruppo generale dei fatti offensivi.
Non tutte le trasgressioni - offesa compresa -
costituiscono, infatti, un illecito penale ma possono
qualificarsi tali quelle sanzionate attraverso una pena e sono
pene le sanzioni indicate tipicamente dal sistema penale.
E' a partire da tale selezione che criteri e orientamenti
statali di politica criminale si traducono in modalità di
intervento legislativo, talvolta, con funzioni di
ridimensionamento quantitativo e ripensamento qualitativo del
tipo di tutela di alcuni beni giuridici.
Nel corso degli anni, l'intenso incremento dei reati
cosiddetti artificiali (o di costruzione, in relazione ai
tradizionali delitti naturali) indotto dalla criminalizzazione
di condotte nuove, unito a una sostanziale staticità delle
fattispecie già sanzionate penalmente (rare le vere "uscite"
da una tale area di rilevanza) dirigeva verso un panpenalismo
irragionevole pressoché illusorio.
Ciò in contrasto con la previsione fisiologica di
interventi di penalizzazione e/o depenalizzazione finalizzati
a rappresentare legislativamente, nel modo il più possibile
essenziale, organico e complementare, le naturali evoluzioni
del diritto in oggetto.
Il diritto penale italiano vigente, di matrice
codicistica, si delinea come un sistema ad altissima
penalizzazione, con una malgestita tendenza alla legislazione
speciale e alla stratificazione normativa poco adatta alle
esigenze di legalità e di certezza di tale settore
giuridico.
Le scelte di depenalizzazione che da circa un decennio
trovano diverse voci di sostegno si inseriscono, oggi, in un
progetto di riforma complesso, orientato al recupero della
perduta effettività del diritto sostanziale-procedurale
penale, anche in ordine a un soddisfacente equilibrio tra
domanda di giustizia e risposta.
In linea generale si individuano almeno due piani di
intervento: l'uno è connesso alla sintomatica urgenza di una
deflazione del carico di lavoro degli uffici giudiziari, che
non comporti una ingiustificata caduta di garanzie; l'altro
trova, invece, ragione nella esigenza di "snellimento e
superamento" circa fattispecie sostanzialmente desuete non
conformi all'attuale sensibilità penale.
Ciascuna proposta muove consapevolmente dalla distinzione
tra sanzione tout court e pena (quale tipica sanzione
penale) prevedendo per talune materie - individuate attraverso
l'oggetto di tutela - lo spostamento dell'illecito da un campo
dell'ordinamento all'altro o prospettando nuove soluzioni.
In primo luogo, non appare fuor di luogo osservare come
parte delle fattispecie candidate all'abrogazione - tutte di
sporadica ricorrenza e perciò solo fuori dalla tematica
deflattiva - siano, nella loro formulazione originaria, già
state oggetto di parziale censura costituzionale (mendicità,
istigazione, propaganda e apologia).
Per quanto attiene, invece, alle proposte "deflattive" di
cui si è detto sopra, si evidenzia come tutte coinvolgano
figure di reato statisticamente assai incidenti sugli affari
penali di competenza soprattutto ex pretorile (violazioni
della legge sugli assegni bancari e postali, furti semplici;
incauto acquisto).
In tale direzione appaiono dunque utili studi preliminari
di verifica della reale insistenza di tali fattispecie sul
carico penale e sul funzionamento della sanzione di tipo
amministrativo nell'esperienza attuativa delle precedenti
leggi di depenalizzazione: una sorta di prognosi di deflazione
e di effettività della nuova previsione sanzionatoria.
Sui singoli punti non mancano, certo, opinioni diverse
evidenziate anche durante l'iter parlamentare della
proposta di legge C. 1850, riformulata con passaggi sotto
taluni profili alternativi tra Camera e Senato, pur nella
prospettiva comune di uno spostamento dell'area della penalità
tipica, e con "stralci" importanti in relazione a materie così
destinate a una più specifica sede di trattazione.
A partire dai riferimenti di fondo, che vanno dalla qui
condivisa teorizzazione di un diritto penale minimo, a quella
opposta da una esigenza di depenalizzazione essenziale che
elimini solo le "punte" della iperlegificazione speciale, il
criterio base nella valutazione di ciascuna posizione può
attualmente trovare luogo nella adeguatezza della indicazione
di percorso che si propone.
In concreto, è un dato acquisito che sul tipo di emergenze
da superare (iperlegificazione, carichi di lavoro eccessivi,
sproporzione tra domanda e risposta, dispendio di mezzi in
relazione all'entità di alcuni fatti di reato, ritardo nelle
decisioni, depenalizzazione di fatto e facoltatività di fatto
dell'azione penale) ci sia ormai larga condivisione;
confermata, quindi, la fiducia nella sanzione penale come
strumento di difesa sociale di estrema ratio, il
confronto si apre sull'azione di intervento.
A tale fine e a integrazione di quanto già esposto si
ritiene interessante verificare - per articolo o per argomento
- le modifiche apportate dal Senato in data 3 marzo 1999 al
testo della proposta di legge C. 1850-B precedentemente
approvato dalla Camera dei deputati (25 giugno 1997).
Già dall'esame del titolo e dalla struttura delle due
stesure è possibile assumere qualche elemento utile ai fini
della nostra indagine:
la proposta di legge modificata dal Senato aggiunge alla
titolazione iniziale "Delega del Governo per la
depenalizzazione dei reati minori" le parole "... e modifiche
del sistema penale tributario" con ciò dando autonomo rilievo
alla disciplina prevista nel così modificato articolo 9 del
testo del Senato: "Reati in materia di imposte sui redditi e
sul valore aggiunto", in qualche modo superando i limiti della
proposta di depenalizzazione di cui alle soppresse lettere
b), c) dell'articolo 6 (decreto del Presidente della
Repubblica 633 del 1972 e legge 516 del 1982 con alcune
esclusioni).
Nel testo del Senato, le disposizioni in analisi, staccate
dall'ambito dell'attuale articolo 6 della proposta (Leggi
finanziarie tributarie e concernenti i mercati finanziari e
mobiliari), delegano al Governo la riscrittura di una
disciplina organica dell'argomento, informata alle direttive
descritte nei commi seguenti, incentrate sulla massima
riduzione dell'area penale da circoscrivere ai casi di
rilevante offensività.
Si rileva inoltre come il comma 1, lettera d),
articolo 6, del testo del Senato preveda, oggi, "l'abolizione
del principio di ultrattività delle norme penali tributarie"
prendendo spunto dalla più contenuta deroga all'articolo 20
della legge 4/1929 inserita dal comma 3 dell'articolo 6 del
testo approvato dalla Camera, solo in relazione al contenuto
dispositivo di detto articolo.
Altra determinazione di rilievo, presente nel testo
modificato dal Senato, è quella relativa allo stralcio
dell'articolo 11 su ambiente e territorio che delegava il
riordino e la semplificazione - ora destinati a un diverso
contesto di formulazione - del sistema sanzionatorio penale ed
amministrativo in materia di salvaguardia del territorio,
indicando la necessità di limitatissime previsioni penali e la
strada di efficaci misure ripristinatorie.
Si segnala come il doppio stralcio, che fa seguito
all'altro "eccellente" in materia di sostanze stupefacenti,
coinvolga le sorti di ambiti di discussa collocazione
penalistica, intorno ai quali l'attenzione dell'opinione
pubblica oltre che l'attesa degli operatori di giustizia è
particolarmente sviluppata, per la rilevanza
qualitativo-culturale oltreché la particolare diffusività
sociale.
Sarà, quindi, opportuno non leggere l'opzione del Senato
come un arresto quanto come una riserva di tempi e spazi di
elaborazione più congrui, in ordine a una disciplina
(ambiente, tributi e finanze) capace di ridefinire la
rilevanza più o meno penale di comportamenti già sanzionati,
in molti sistemi civili, in via esclusivamente
amministrativa.
Accanto a limitate prospettive abrogative (articolo 18,
commi 1 e 2 del testo del Senato) o a quelle (articolo 7)
davvero più estese di passaggio di competenza alla pubblica
amministrazione, la proposta di legge, in risposta a taluni
illeciti non gravi ma, per ragioni diverse, non trasferibili
dalla sfera penalistica (sempre dispendiosa e stigmatizzante)
all'area amministrativa o dell'indifferenza, rinvia alla
"creatività" del legislatore.
Ciò accade in diverse disposizioni della proposta di legge
che, ben oltre il tema suggerito dalla laconica dizione del
titolo, indica anche la possibilità di soluzioni diverse:
dall'incentivazione di aspetti premiali del diritto penale,
alla previsione di speciali cause estintive ed estensione
della perseguibilità a querela (articoli 12 e 19) fino a nuove
possibilità oblative e inedite sanzioni alternative alla
detenzione (articolo 10).
Come è evidente, anche nella giustizia penale si
interviene finalmente, sulle basi di una acquisita
consapevolezza circa la opportunità di diversificazione degli
strumenti e degli obiettivi, in relazione in primo luogo
all'oggetto di tutela e al grado di offesa.
Alla luce di queste considerazioni è utile procedere nella
già avviata analisi del testo, individuando brevemente,
secondo la progressione degli articoli, le modifiche più
significative non ancora trattate.
La previsione dell'articolo 1, di attribuzione al giudice
di pace della competenza in materia di opposizione
all'ordinanza-ingiunzione, di cui agli articoli 22, 23 e 24
della legge 689 del 1981, è esclusa dall'articolo 2 del testo
del Senato (Competenza del giudice di pace) per le materie -
che il legislatore delegato dovrà indicare tassativamente -
caratterizzate da una particolare difficoltà di accertamento o
dal coinvolgimento di rilevanti interessi collettivi nonché da
sanzioni di notevole entità.
A tale proposito si precisa come i limiti di cui
all'articolo 2 attribuiscano, in modo forse non
sufficientemente ponderato, la competenza residua di cui
all'articolo 1 al futuro tribunale di primo grado,
appesantendo in modo non del tutto giustificato il carico di
lavoro di tale ufficio, in chiara controtendenza con la nuova
distribuzione degli affari giurisdizionali prevista dalla
riforma del giudice unico e dalle norme complementari in corso
di attuazione.
L'articolo 4 (Disciplina della navigazione) limita in
relazione a talune disposizioni, specificate nella lettera
a) dell'unico suo comma, la portata del testo originario
(Codice della navigazione) che prevedeva genericamente la
trasformazione di tutte le contravvenzioni contenute nel
codice della navigazione in illeciti amministrativi.
Comunque l'attuale articolo 4 mantiene l'intento di
rivisitare una disciplina superata, da tempo, da una
evoluzione normativa che ha determinato evidenti e
problematici casi di sovrapposizione.
L'articolo 5 (Circolazione stradale e autotrasporti)
amplia, invece, il campo di intervento della depenalizzazione
del codice della strada previsto dal testo della Camera,
escludendo nel passaggio dall'area penale a quella
amministrativa le sole fattispecie di cui agli articoli 100,
comma 4, 184, 187 e 189 della legge 285 del 1992; la residua
disciplina delle sanzioni amministrative dispone, poi, in
maniera sostanzialmente conforme alla formulazione di
riferimento.
Per quanto attiene gli articoli 4 e 5 si può osservare
come gli stessi intervengano su una categoria di reati di
natura per così dire "artificiale", in quanto riferibili a
condotte tendenzialmente non punite o perseguite in tutti gli
ordinamenti ma di creazione, appunto, sistematica.
E' proprio in ordine a tali figure di reato che la
previsione e l'intervento penale, al di là dell'indiscusso
valore simbolico, spesso, non sono in grado di assicurare una
incisività maggiore né una deterrenza più efficace di quella
di una pronta risposta amministrativa (come è evidente nel
caso di sanzioni quali la confisca o il sequestro
obbligatori), con costi e tempi d'azione naturalmente
ridotti.
Per concludere, la direzione della proposta in esame,
nonostante le modifiche, appare univocamente quella di un uso
efficace ed effettivo del diritto e della sanzione penale
attraverso il contenimento delle incriminazioni e una
diversificazione degli strumenti e degli obbiettivi in
relazione a gerarchie di valori, bilanciamenti di interessi ed
esigenze concrete.
In questo senso appare esemplare il disposto dell'articolo
10 sulle sanzioni alternative alla detenzione, in cui il tema
della qualità della pena trova finalmente uno spazio normativo
adeguato e inusuale, a fronte di un consolidato problema di
ineffettività e più genericamente di crisi della risposta
sanzionatoria penale tradizionale.
La Commissione Giustizia non ha ritenuto di modificare il
testo trasmesso dal Senato in alcuna parte. Appare infatti
prevalente l'esigenza di giungere ad un'approvazione
definitiva, che consenta di mettere davvero mano all'opera di
depenalizzazione. In questa ottica non ha inteso neppure dare
seguito alle condizioni ed alle osservazioni contenute nei
pareri espressi dalle competenti Commissioni, di cui comunque
non sono parsi condivisibili i contenuti. In particolare,
sembrano sufficientemente definiti i principi e i criteri
direttivi contenuti nell'articolo 9, concernente i reati in
materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Tali
principi e criteri direttivi sono evidentemente da applicarsi
congiuntamente ed integrano pertanto una fattispecie ben
definita per l'esercizio della delega da parte del legislatore
delegato. Neppure potranno emergere problemi interpretativi in
riferimento all'articolo 11.
Si chiede quindi all'Assemblea di approvare il
provvedimento in esame senza ulteriori modificazioni.
CAROTTI, Relatore.