XIII LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 153
Onorevoli Colleghi! - Si è drammaticamente riaperto
negli ultimi tempi il dibattito attorno ai temi che riguardano
l'immigrazione. La necessità di nuove norme per sconfiggere la
clandestinità e per regolarizzare i lavoratori stranieri in
Italia è da tempo diventata occasione per campagne
allarmistiche tese solo a suscitare manifestazioni di
intolleranza. E' per questo particolarmente significativo
ripresentare alla Camera la proposta di legge già presentata
nella XII legislatura e che ebbe come primo firmatario il
senatore Manconi. Il Parlamento, negli ultimi nove anni ha
emanato due leggi principali relative all'immigrazione.
La legge 30 dicembre 1986, n. 943, entrata in vigore il 27
gennaio 1987, ha previsto disposizioni "in materia di
collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari
immigrati". All'articolo 1 tale legge ha affermato i princìpi
generali di parità di trattamento e di piena uguaglianza di
diritti fra lavoratori dipendenti italiani e lavoratori non
comunitari: con ciò, ha dato attuazione alla convenzione n.
143 dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), del
24 giugno 1975, ratificata dall'Italia ai sensi della legge 10
aprile 1981, n. 158.
La legge 28 febbraio 1990, n. 39 (meglio nota come "legge
Martelli"), nel convertire, con modificazioni, il
decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, ha dato disposizioni
soprattutto in materia di ingresso, soggiorno ed espulsione
dei cittadini stranieri, innovando il testo unico delle leggi
di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno
1931, n. 773, e il relativo regolamento di esecuzione,
approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635. La legge
Martelli ha previsto, inoltre, l'emanazione di un decreto
interministeriale, finalizzato alla programmazione annuale dei
flussi di ingresso in Italia dei lavoratori non comunitari e
al loro inserimento socio-culturale.
Ambedue le leggi citate hanno disposto misure di
regolarizzazione - definite "sanatorie" - del soggiorno di
stranieri presenti irregolarmente sul territorio nazionale.
La prima regolarizzazione, durata dal 27 gennaio 1987 al
30 settembre 1988, ha legalizzato il soggiorno di circa 110
mila cittadini non comunitari.
La seconda, dal 31 dicembre 1989 al 29 giugno 1990, ha
legalizzato il soggiorno di circa 240 mila stranieri. Va
sottolineato che questo secondo provvedimento ha consentito a
quanti si erano precedentemente regolarizzati - grazie alla
legge n. 943 del 1986 - di regolarizzarsi nuovamente, in
quanto il citato decreto-legge n. 416 del 1989 risultava più
adeguato, per alcuni aspetti relativi all'inserimento sociale
e lavorativo (ad esempio, il lavoro autonomo, lo studio e
l'assistenza sanitaria). Di conseguenza, il numero dei
"regolarizzati" in virtù della legge Martelli comprende un
numero non piccolo di "trasformazioni" del precedente
soggiorno e non segnala, dunque, con precisione le cifre vere
dei nuovi ingressi di immigrati.
La legge Martelli è stata successivamente integrata da
disposizioni amministrative - emanate dal Ministero degli
affari esteri ed applicate dal Ministero dell'interno ai posti
di frontiera - con le quali sono stati istituiti i visti di
ingresso, anche per ragioni di turismo, dalla maggior parte
dei Paesi stranieri, in particolare da quelli considerati "a
rischio" (basti ricordare l'istituzione del visto di ingresso
dal Senegal e dal Gambia del 14 aprile del 1990 e quella del
visto dal Marocco, dalla Tunisia e dall'Algeria del 3
settembre del medesimo anno).
Le considerazioni fin qui svolte contribuiscono a
sostenere la tesi per cui l'afflusso di stranieri, già
relativamente esiguo negli anni in cui l'ingresso in Italia
non era condizionato dal visto - e i dati forniti nel 1995 dal
Ministero dell'interno a proposito dei due provvedimenti di
regolarizzazione lo dimostrano - è oggi ancor più limitato.
Qualunque sia il motivo dell'ingresso - compreso, e
soprattutto, il turismo - esso è soggetto a numerosi controlli
e adempimenti amministrativi (si vedano, a questo proposito,
le tabelle sulla presenza degli stranieri e sui nuovi
ingressi, elaborate dalla Caritas diocesana di Roma sui dati
forniti dal Ministero dell'interno).
E' del tutto evidente come l'inequivocabile realtà delle
cifre non dia pienamente conto delle dimensioni del fenomeno.
Per due essenziali ragioni: una parte degli stranieri resta in
una condizione irregolare e una quota, ancora minore, si trova
in uno stato di clandestinità; tuttavia, la generalità delle
stime, sia di fonte scientifica che di fonte istituzionale,
indica un numero di immigrati non censiti che - nelle
valutazioni più pessimiste - non superano le quattrocentomila
unità. Il vero problema - e questa è la seconda ragione da
considerare - è che una parte significativa di immigrati (che
pure, nel complesso, tra regolari e irregolari, non superano
il 2 per cento della popolazione nazionale) finisce per
premere su un sistema di servizi gravemente deficitario, qual
è quello del nostro Paese. E' nella possibile concorrenza per
gli spazi e per i trasporti, per gli alloggi e per
l'assistenza sanitaria che possono prodursi conflitti tra
cittadini italiani e cittadini non comunitari; mentre, per
quanto riguarda l'accesso e la permanenza nel mercato del
lavoro, non si sono manifestate forme di concorrenza e di
competizione diretta. D'altra parte, non va sottovalutato che
l'emersione dalla clandestinità e l'inserimento regolare nel
lavoro possono contribuire a sostenere - attraverso la
contribuzione dei soggetti interessati - le entrate delle
casse previdenziali; e ciò può consentire alle istituzioni
deputate (enti locali e amministrazioni pubbliche) di fornire
servizi più adeguati. Il che avrebbe l'ulteriore effetto di
ridurre le manifestazioni di allarme sociale, che proprio
nella carenza e nel sovraffollamento, nell'inefficienza e
nella cattiva qualità dei servizi e dell'assistenza trovano le
loro radici.
Da quanto finora detto - e da quest'ultima considerazione
in particolare - discende l'opportunità di elaborare misure
capaci di favorire l'ingresso di stranieri nel nostro sistema
produttivo, consapevoli che è proprio esso, in primo luogo, a
richiedere il contributo di forza lavoro immigrata.
Un discorso a parte merita la programmazione annuale dei
flussi di ingresso, prevista dai commi 3, 4 e 5 dell'articolo
2 del decreto-legge n. 416 del 1989, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 39 del 1990.
A suo tempo, l'interesse del legislatore è stato quello di
coniugare i nuovi accessi sul territorio nazionale di
cittadini non comunitari con il fabbisogno del mercato del
lavoro nazionale. Da qui la scelta dello strumento legislativo
annuale (il decreto interministeriale emanato dal Ministro
degli affari esteri di concerto con gli altri Ministri
interessati), al fine di individuare criteri e modalità idonei
a favorire le esigenze dell'economia nazionale ma anche
l'inserimento socio-culturale dei lavoratori (con particolare
riferimento alla politica dell'accoglienza).
Con la previsione di un decreto sui flussi il legislatore
intendeva, quindi, promuovere un incontro equilibrato fra
l'effettiva ricettività del mercato del lavoro e del tessuto
sociale e l'offerta di lavoro proveniente da Paesi
stranieri.
A conferma di questa esigenza di equilibrio, la legge
Martelli - nel programmare gli accessi annuali di lavoratori
non comunitari - prevede (al comma 4 dell'articolo 2) che si
tenga conto "delle richieste di permesso di soggiorno per
motivi di lavoro avanzate da cittadini stranieri
extracomunitari già presenti sul territorio nazionale con
permesso di soggiorno per motivi diversi, quali turismo,
studio".
E con ciò si riconosceva, già da allora, che il meccanismo
dell'incontro fra la domanda e l'offerta di lavoro da
riservare ai cittadini non comunitari avrebbe dovuto tener
conto di quanti, entrati in Italia per differenti motivi, vi
avessero trovato opportunità di occupazione.
Quindi, si è riconosciuto, sia pure implicitamente, che
l'articolo 8 della legge n. 943 del 1986 - relativo alla
chiamata nominativa e all'assunzione all'estero di un
cittadino non comunitario da parte di un datore di lavoro
italiano - non è stato sufficiente a garantire un equilibrato
soddisfacimento del fabbisogno nazionale di mano d'opera
straniera; si è previsto, di conseguenza, che i decreti
annuali sui flussi programmati dovessero rappresentare uno
strumento più adeguato e flessibile. E invece, fino ad oggi,
tali decreti hanno limitato gli ingressi per motivi di lavoro
alle sole chiamate nominative ex articolo 8 della legge
n. 943 del 1986.
Tali chiamate prevedono la verifica - ad opera
dell'amministrazione territorialmente competente (gli uffici
del Ministero del lavoro e della previdenza sociale) -
dell'indisponibilità di lavoratori italiani per i posti per i
quali sono richiesti lavoratori stranieri. Nei fatti, tali
chiamate sono state riservate ad alcuni settori, come il
lavoro familiare, la panificazione, la lavorazione del marmo
oppure le attività ad alto contenuto tecnologico; sono stati
invece esclusi settori come l'edilizia, la ristorazione e
l'agricoltura, in quanto si è ritenuto che a tali settori
intendano accedere i cittadini italiani disoccupati.
L'errore di tale impostazione è risultato visibile - e
gravido di conseguenze - soprattutto nel settore
dell'agricoltura e, in particolare, nelle attività agricole a
carattere stagionale, per le quali - pur in presenza del
permesso di soggiorno relativo (previsto dal comma 4
dell'articolo 4 del decreto-legge n. 416 del 1989, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 39 del 1990) - i decreti
annuali di programmazione dei flussi non hanno ancora disposto
alcunché.
Se pure, nella XI legislatura, il Governo ha emanato un
decreto-legge ad hoc sull'argomento (decreto-legge 22
giugno 1993, n. 200, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 144 del 22 giugno 1993), esso ha suscitato tali dissensi
fra gli immigrati, le organizzazioni sindacali, gli istituti
di patronato e le associazioni di volontariato, da indurre lo
stesso proponente a lasciarlo decadere la situazione. L'ultimo
provvedimento in merito, il decreto legge del Governo Dini non
ha modificato la situazione. Da quanto detto deriva la
convinzione che le due questioni precedentemente esposte -
regolamentazione del lavoro stagionale e regolarizzazione del
soggiorno dei cittadini non comunitari presenti irregolarmente
in Italia, in grado di dimostrare un rapporto di lavoro
subordinato - sono pregiudiziali a qualunque seria politica di
accoglienza nei confronti dell'immigrazione.
La presente proposta di legge intende affrontare, appunto,
tali questioni.
Al capo I, per quanto riguarda il lavoro stagionale, si
dispone la previsione del fabbisogno di manodopera straniera
all'interno del decreto annuale di programmazione dei flussi
di ingresso. Ciò al fine di utilizzare questo strumento
legislativo in maniera dinamica, adeguata alle trasformazioni
del mercato del lavoro e alle sue esigenze di flessibilità e
di ricettività.
Si stabiliscono, poi, le modalità di ingresso in Italia
per i cittadini non comunitari che intendono svolgere lavori
temporanei a carattere stagionale e, nel contempo, si prevede
un sistema congiunto di verifica degli ingressi (tra Ministero
degli affari esteri e consolati), tale da consentire chiarezza
nelle autorizzazioni ed efficienza nella gestione delle
stesse. In fase di prima applicazione si consente l'accesso al
lavoro stagionale anche ai cittadini non comunitari già
presenti in Italia in maniera irregolare (relativamente al
permesso di soggiorno).
Con l'articolo 3 (commi 1, 2 e 3) si istituisce il
permesso di soggiorno per lavori a carattere stagionale
(previsto dal già citato comma 4 dell'articolo 4 del
decreto-legge n. 416 del 1989, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 39 del 1990) e se ne definiscono la durata e le
caratteristiche. Ai commi 7, 9, 10 e 11 dello stesso articolo
3, si stabilisce il dovere dello straniero di uscire dal
territorio nazionale alla scadenza del permesso di soggiorno
stagionale, con la sola eccezione relativa alla possibile
modifica dello stesso permesso in presenza di un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato; si stabilisce inoltre il diritto
di precedenza del medesimo straniero al reingresso in Italia
nell'anno successivo.
Ancora all'articolo 3 (commi 5, 6 e 8) si definiscono i
doveri dei datori di lavoro e dei lavoratori non comunitari
per quanto riguarda le norme generali dell'avviamento al
lavoro degli stranieri e dell'assicurazione generale
obbligatoria dei lavoratori dipendenti.
Il capo II concerne la regolarizzazione del soggiorno da
parte dei cittadini non comunitari, lavoratori dipendenti,
irregolarmente presenti in Italia.
All'articolo 5 si stabiliscono i tempi e le procedure
della regolarizzazione: viene rilasciato un permesso di
soggiorno per lavoro subordinato a quanti, entro centoventi
giorni dalla data di entrata in vigore della legge, siano in
grado di certificare un'attività di lavoro subordinato o di
ottenere la disponibilità all'assunzione regolare da parte di
un datore di lavoro; il rilascio del permesso di soggiorno da
parte della questura è contestuale alla presentazione della
domanda di regolarizzazione, al fine di impedire forme di
ricatto da parte di eventuali datori di lavoro disonesti
(comma 1).
Le autodichiarazioni del lavoratore straniero sono
verificate dall'ispettorato provinciale del lavoro e
dall'INPS: se false, sono punite ai sensi della legge 4
gennaio 1968, n. 15, e il permesso di soggiorno viene revocato
(comma 2).
Analoga regolarizzazione viene concessa per i
ricongiungimenti di fatto, nel caso in cui il familiare, in
attesa dell'adempimento delle procedure amministrative, sia
giunto in Italia; in questo caso, la questura attribuisce il
permesso di soggiorno per coesione familiare ai sensi
dell'articolo 4 della legge n. 943 del 1986 (comma 3).
I datori di lavoro che regolarizzano i lavoratori
stranieri, occupati irregolarmente presso di loro, non sono
puniti per le violazioni in materia di rapporto di lavoro, nè
in materia di soggiorno o di ospitalità e non sono tenuti a
versare i contributi previdenziali qualora dichiarino entro
centoventi giorni le omissioni contributive (commi 4 e 7).
Al lavoratore vengono accreditati i contributi
previdenziali presso l'istituto competente per il periodo di
lavoro dichiarato dal datore di lavoro o accertato
dall'ispettorato provinciale del lavoro (comma 5).
Sono dichiarati nulli i provvedimenti amministrativi e
giurisdizionali notificati al cittadino non comunitario per
violazione delle disposizioni in materia di ingresso e
soggiorno (comma 6).
Le norme sulla regolarizzazione del soggiorno per motivi
di lavoro si applicano anche ai richiedenti asilo (comma
8).
All'articolo 6 si stabiliscono le norme per la
pubblicizzazione e l'attuazione della regolarizzazione, da
farsi anche utilizzando l'opera degli istituti di patronato e
la collaborazione delle associazioni degli immigrati e di
volontariato sociale (comma 1).
Si definisce, infine, la copertura finanziaria per
l'istituzione dell'Anagrafe annuale informatizzata presso la
competente Direzione generale del Ministero degli affari
esteri e si valuta che la spesa annuale prevista sia di lire
300 milioni, salvo future modifiche dello stanziamento negli
anni successivi (comma 2). Le spese per la regolarizzazione
dei permessi di soggiorno dei cittadini non comunitari, di cui
all'articolo 2, comma 6, all'articolo 5 e all'articolo 6,
comma 1, sono valutate in lire 3.000 milioni annui, di cui
lire 1.500 milioni a carico dello stato di previsione del
Ministero dell'interno e lire 1.500 milioni a carico dello
stato di previsione del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale.
Alla stesura della presente proposta di legge ha
collaborato Romana Sansa dell'Ufficio immigrazione
dell'Istituto nazionale confederale di assistenza (INCA).