Onorevoli Colleghi! - «Bisogna che mi decida finalmente a scrivere qualcosa sulla terra dove sono nato. Ne ho la voglia da parecchie centinaia di anni ma non riuscivo mai a partire. Perché si dà questo curiosissimo caso: se qualsiasi italiano di qualsiasi regione proclama che la sua terra è stupenda e che ci sono meravigliosi monumenti e meravigliosi paesaggi e così via, nessuno trova niente da dire. Ma se io dico che la mia terra è uno dei posti più belli non già dell'Italia ma dell'intero globo terraqueo, tutti cascano dalle nuvole e mi fissano con divertita curiosità. La mia patria infatti si chiama Belluno e benché sia capoluogo di provincia, vado constatando da decenni come quasi nessuno tranne i bellunesi sappia dove sia (e molti ne ignorano perfino l'esistenza)».
Sono le parole iniziali di un articolo con cui Dino Buzzati celebra le bellezze della propria terra natale e lamenta la poca conoscenza dei suoi problemi, il nessun credito che ai suoi meriti vien dato: «La maggior fama della mia terra presso gli italiani - continua il Buzzati - è di essere un vivaio di ottime donne di servizio. Balie, bambinaie, cameriere, domestiche, serve: ecco la gloria della contrada che mi ha dato i natali...».
Quella di Belluno è difatti, nel contesto regionale veneto, una provincia anomala. Unica provincia della regione totalmente di montagna, interamente compresa nell'arco alpino, con una isoipsa media di mille metri sul livello del mare, dai 3342 di Punta Rocca, sulla Marmolada, ai 200 del greto del Piave, all'uscita del fiume dalla provincia, Belluno ha una superficie di 3.678 km quadrati con una popolazione di 220.000 abitanti; la superficie costituisce il 20 per cento dell'intero territorio regionale, la popolazione il 5 per cento degli abitanti della regione: un quinto di territorio, un ventesimo di abitanti. Per quanto riguarda il territorio un terzo della superficie è costituito da terreno improduttivo: nuda roccia, ghiaioni, pendii scoscesi, ghiacciai, alvei fluviali e torrentizi, laghi naturali e bacini artificiali, incolati. Il 43 per cento è costituito da boschi: larice, abete, pino, faggio, mugo sono le essenze principali. Poco più del 30 per cento è terreno agricolo e pascolo: un terreno agricolo a scarso reddito, un pascolo spesso non sfruttato per le sfavorevoli condizioni ambientali.
La fragilità idrogeologica è naturalmente elevata e ricorrenti sono i fenomeni alluvionali e franosi che arrecano gravi disagi alle popolazioni, con frequente pericolo per l'incolumità delle persone. La catastrofe del Vajont ne costituisce l'esemplificazione più significativa ma non è l'unica né l'ultima calamità verificatasi nel territorio bellunese in un lungo corso di anni.
Ricordiamo, infine che la provincia di Belluno è l'unico territorio veneto a ricorrente rischio sismico.
I mali sociali ed economici della provincia sono aggravati dalla collocazione periferica, all'estremo nord della regione, dalla conformazione geografica, dalla frammentazione orografica.
La provincia è inoltre gravemente penalizzata per quel che riguarda le comunicazioni stradali e ferroviarie, mai così carenti nel volgere dei millenni. Già in epoca romana, difatti, la provincia di Belluno era percorsa da numerose strade commerciali e tagliata in quota da un'ardita via militare, la Claudia augusta ab Altino che dalla pianura veneta puntava dritta al Danubio.
Nel Medio evo e nei primi secoli dell'epoca moderna, la più importante direttrice dei traffici tra Venezia e il cuore dell'Europa centrale era l'itinerario Piave-Boite-Drava, un itinerario che dall'Adriatico al Danubio e al Reno - cioè al Mar Nero e al Mare del Nord - aveva come valico più elevato i 1.500 metri del passo di Cimabanche, dieci chilometri a nord di Cortina d'Ampezzo. Caduta la Repubblica di Venezia, nel periodo napoleonico e in quello asburgico susseguente, particolare attenzione fu posta al potenziamento del sistema stradale con il riattamento, l'allargamento, la manutenzione delle vecchie arterie e la costruzione di nuove. Nel periodo tra le due guerre, infine, la dolomitica provincia di Belluno fu dotata di una rete autostradale che poteva essere considerata più che soddisfacente per i bisogni dell'epoca e alla quale faceva riscontro l'esistenza di quattro linee ferroviarie: la Padova-Calalzo, costruita fino a Belluno nel 1886 e prolungata fino all'attuale capolinea nel 1914; la Calalzo-Cortina-Dobbiaco, in funzione dal 1919, utile collegamento tra Calalzo e la linea Fortezza-Dobbiaco-Lienz; la Sedico-Agordo costruita nel 1925; la Venezia-Calalzo via Conegliano inaugurata nel 1938.
Due di queste linee sono oggi smantellate (1955 Sedico-Agordo; 1964 Calalzo-Dobbiaco) mentre delle altre la Venezia-Calalzo è considerata «ramo secco» e la Padova-Calalzo mostra evidenti segni di fatiscenza, con percorrenze sempre più limitate e disagiate: la «Freccia delle Dolomiti», qualificata «espresso», compie il percorso di 158 chilometri, da Padova a Calalzo, in tre ore e venticinque minuti, alla media di 46 chilometri orari!
Si aggiunga a ciò l'intenso sfruttamento del territorio sul piano idroelettrico, senza alcun beneficio diretto o indiretto per la popolazione e spesso anzi con grave disagio per il dissesto geologico provocato di cui il già citato esempio del Vajont non è che una dimostrazione, sia pure la più evidente.
Sono, quelle citate, condizioni che rendono sempre più difficile la vita in loco di una popolazione laboriosa e frugale, come in genere sono tutte le popolazioni di montagna, che trova i mezzi per il proprio sostentamento nelle attività silvo-pastorali, in quelle di un'industria specializzata (occhialeria) frutto dell'intraprendenza locale, in un limitato numero di insediamenti industriali e artigianali d'altro genere, nei proventi del terziario, con particolare riguardo alle attività turistiche. Ma sono attività che non possono comunque provvedere alle esigenze globali della popolazione, costretta, in alta percentuale, ad un'emigrazione stagionale talora remunerativa ma sempre stressante, con negativi riflessi sociali nell'ambito familiare. Basti pensare ai figli minori costretti ad un forzato distacco dai genitori e dagli altri membri adulti della famiglia per molti mesi all'anno.
La provincia di Belluno, nei suoi confini attuali, venne delineata dai geografi di Napoleone accorpando le tre unità politico-amministrative fino allora esistenti (Cadore, Bellunese, Feltrino), fu costituita con l'articolo 5 del Decreto 28 pratile, anno quinto della Repubblica Francese (16 giugno 1797) e riconfermata come tale, con la denominazione di «Dipartimento della Piave» nel 1806 dopo il Trattato di Presburgo e la costituzione del Regno d'Italia cui venne aggregata.
Quello costituito da Napoleone, malgrado le molteplici preesistenti differenziazioni sul piano storico (sottolineate anche dal diverso ordinamento religioso, dipendendo il territorio da tre diverse autorità ecclesiastiche: le diocesi di Udine - per il Cadore -, di Belluno e di Feltre) è un complesso unitario orograficamente, idrograficamente, socialmente, economicamente. Tanto unitario da potersi identificare come regione a se stante, al di fuori del Veneto vero e proprio di cui costituisce un'appendice montana estranea alla pur complessa morfologia veneta; al di fuori del Trentino-Alto Adige cui però l'accostano, nel Cadore, nell'Agordino, nel Feltrino nord-occidentale particolarità oro-idrografiche comuni (per molti secoli, quando le diocesi, prima ancora che unità religiose costituivano entità politico-amministrative, quella di Feltre si estese fino a tutta la Valsugana); al di fuori, infine, dal Friuli-Venezia Giulia cui però è stata a lungo legata sul piano storico. Non per niente ancor oggi la provincia di Belluno, elettoralmente legata al Veneto per quanto attiene ai collegi senatoriali, appartiene alla circoscrizione di Udine per l'elezione alla Camera dei deputati; ed è questa un'altra significativa anomalia a favore della tesi proposta per la concessione al territorio della provincia dell'autonomia regionale: un'autonomia che da sola non può ovviamente costituire il toccasana per tutti i mali che affliggono la provincia, le carenze strutturali esistenti, le difficoltà economiche in cui si dibatte, la piaga dell'emigrazione, talune stridenti sperequazioni sociali.
È però certo che taluni di detti mali potrebbero essere attenuati qualora con l'autonomia la dolomitica provincia di Belluno (non va dimenticato che i due terzi delle Dolomiti insistono entro i confini amministrativi della provincia di Belluno, contrariamente ad una diffusa mentalità corrente che associa il termine Dolomiti alla regione Trentino-Alto Adige) potesse operare, amministrativamente, secondo indirizzi congeniali alle proprie esigenze che sono esigenze diverse, e a volte contrastanti, da quelle della regione Veneto che nelle rimanenti sei province deve risolvere problemi di viabilità, urbanistici, industriali, agricoli e turistici totalmente diversi da quelli della provincia di Belluno, avulsa dal contesto veneto anche sul piano geografico, incuneata tra due regioni a statuto speciale e due province della regione di appartenenza, Treviso e Vicenza, nettamente da essa differenziate sul piano morfologico e su quello socio-economico.
Regioni e province agevolate sul piano delle comunicazioni stradali e ferroviarie e di conseguenza, per quanto riguarda industria, commerci e, soprattutto, possibilità di sviluppo turistico che sono negate invece, sotto questo profilo, alla provincia di Belluno: e ciò anche per la diversità delle caratteristiche di Belluno, nel settore del turismo, rispetto alle rimanenti province venete dove sono privilegiate quelle balneari, termali, lacustri, artistiche, fieristiche e di richiamo religioso. Alla montagna in generale - salvo alcune eccezioni relative a Vicenza e Verona - e alla montagna bellunese in particolare, si guarda normalmente, da amministratori e tecnici della regione Veneto, come ad una semplice riserva di ossigeno, ad un patrimonio paesaggistico incontaminato, senza tenere in conto alcuno quelle che sono le esigenze di sviluppo sul piano economico-turistico, senza considerare che la montagna può essere salvaguardata nelle sue più genuine caratteristiche solo dalla presenza dell'uomo, solo invertendo la tendenza allo spopolamento in atto da decine di anni.
A favore della concessione dell'autonomia regionale alla provincia di Belluno militano anche considerazioni di ordine linguistico. Belluno è, di fatto, trilingue, considerato che in alcune zone (Alto Agordino, Cadore, Comelico) si parlano dialetti ladini ora definiti «lingua» a norma di legge, e che esiste l'isola alloglotta tedescofona di Sappada-Bladen; né va dimenticato che Belluno è anche regione di confine (confinanti con l'Austria sono i comuni di Comelico Superiore, San Nicolò di Comelico, San Pietro di Cadore, Santo Stefano di Cadore, Sappada).
Circa l'opportunità della suddivisione in due province - da adottarsi con legge ordinaria - la proposta di legge tiene conto, oltre che della diversa posizione storica delle due zone della provincia di Belluno anche del vivo desiderio più volte espresso, da quando la provincia fu costituita, già in epoca napoleonica e poi asburgica, ma soprattutto dopo l'Unità nazionale, dai cittadini di Feltre e del Feltrino di un decentramento dei servizi amministrativi provinciali. Gli interessi sociali ed economici di Feltre, su cui gravitano anche zone al di fuori della provincia e della regione, come ad esempio Fiera di Primiero in provincia di Trento, sono sempre stati diversi e staccati da quelli di Belluno così come staccate sono state le giurisdizioni religiose, con due vescovati distinti; e la recente soppressione del vescovato di Feltre ha ancor più aggravato uno stato di disagio latente cui potrebbe porre conveniente soluzione la costituenda provincia.
Per le considerazioni sopra svolte si confida nella approvazione della presente proposta di legge costituzionale.
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